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professione b ancario DIRITTILAVOROPARIOPPORTUNITÀ Il diritto di scelta del cognome nel giudizio della Corte europea dei diritti dell’uomo Legge 104/92 e divieto di trasferimento Europa 2020: la nuova strategia europea per la crescita e l’occupazione Mobbing: di cosa parliamo Libertà religiosa e rapporto di lavoro: i simboli religiosi Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB Roma 022017

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D I R I T T I L A V O R O P A R I O P P O R T U N I T À

Il diritto di sceltadel cognome nelgiudizio della Corteeuropea dei dirittidell’uomo

Legge 104/92e divieto ditrasferimento

Europa 2020:la nuova strategiaeuropea per la crescitae l’occupazione

Mobbing:di cosa parliamo

Libertà religiosae rapporto di lavoro:i simboli religiosi

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Anno XXVIIIN. 02 luglio-dicembre 2017Chiuso in tipografial’11 dicembre 2017

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io

editorialeContro ogni violenza e discriminazioneEMILIO CONTRASTO

lavoroIl diritto di scelta del cognome nel giudiziodella Corte europea dei diritti dell’uomoUMBERTO ALEOTTI

lavoroLegge104/92 e divieto di trasferimentoANTONELLA VERDE

lavoroEuropa 2020: la nuova strategia europeaper la crescita e l’occupazioneANTONIO LANZARO

lavoroMobbing: di cosa parliamoMASSIMO DEGLI ESPOSTI

lavoroLibertà religiosa e rapportodi lavoro: i simboli religiosiBIANCA DESIDERI

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Con la celebrazione del Congresso Straordinario di UNISIN dello scorso9 novembre si completa il percorso che ha portato all’ingresso del Sinfubnella nostra Organizzazione Sindacale.

Unità Sindacale Falcri Silcea Sinfub si candida quindi, a tutti gli effetti, ad essererealtà sindacale sempre più forte e coesa, ancora più in grado di presidiare ildifficile momento che il Settore bancario sta attraversando, che vede non esaurirsiil processo di forte riorganizzazione iniziato oramai da più anni, ulteriori esuberi dipersonale, sempre maggiori difficoltà a svolgere la normale operatività quotidiana,sempre nuovi tentativi volti a destrutturare le tutele economiche e normative con-quistate in tanti anni di lotte sindacali in cui prima Falcri, Silcea e Sinfub ed oggiUNISIN sono protagoniste.

UNISIN da sempre, e non ci stancheremo mai di ripeterlo, è al fianco delle Lavoratrici e dei Lavoratori,sempre più impegnata sui molteplici temi che il continuo attacco ai diritti e alle professionalità mettono incampo sia a livello nazionale che all’interno delle varie Aziende/Gruppi nonché sui territori.

Le nostre Dirigenti e i nostri Dirigenti sindacali, le Associazioni, le Strutture ed i Referenti sono continuamenteimpegnati a monitorare i processi in corso nelle varie realtà del Settore ed a intervenire con gli strumenti e lemodalità più idonei per intercettare e/o risolvere criticità.

L’attenzione ai giovani che, purtroppo, risultano ancora essere i grandi esclusi dal mercato del lavoro, èparte fondamentale della nostra azione quotidiana.

Sempre grande è la nostra attenzione per i tanti fenomeni che rendono sempre più complesso il Lavoro inquesto nostro mondo e che nel Settore si fanno sentire in maniera molto evidente, rendendo il lavoro stesso“percorso difficile” da compiere giorno per giorno a causa delle pressioni commerciali, del clima organizzativoche genera disagio, dei continui attacchi ai diritti anche a quelli legati alla sfera della tutela della maternità edella disabilità.

In particolare, fra la varie iniziative e pubblicazioni edite da Unisin, è recente la pubblicazione della “Guidaai diritti delle persone con disabilità” realizzata dalla Segreteria Nazionale e coordinata da Unisin Donne &Pari Opportunità e alla quale hanno collaborato dirigenti sindacali, medici, giornalisti, avvocati, docenti perfornire informazioni inerenti la normativa sulla disabilità in forma semplice ed immediata.

Il volume, edito da Cuzzolin, è presente anche nelle librerie.Non si può, poi, non ricordare il tema della violenza contro le donne e della violenza di genere che

rappresenta un vero e proprio dramma della nostra società che vede le vittime colpite proprio in quei “luoghi”che dovrebbero essere più protetti come famiglia, persone più vicine, partner.

La nostra attenzione alle Persone anche al di fuori del mondo del lavoro ci porta ad operare e parteciparein maniera fattiva a propositiva ad iniziative ed azioni culturali, sociali, educative, gruppi di lavoro e studio suiprincipali temi del sociale, del welfare, della sicurezza sul lavoro, ecc.

Il nostro continuo impegno contro le discriminazioni di genere, per il miglioramento del clima aziendale, peril sostegno alla legalità, la collaborazione con le istituzioni scolastiche con l’intento di avvicinare i giovanissimial mondo del lavoro e soprattutto a quello dei diritti ad esso collegati, stanno portando ottimi risultati.

La collaborazione con il mondo universitario attraverso il Comitato Scientifico di Professione Bancario si stafacendo sempre più intenso e cogliamo l’occasione per dare il benvenuto nel Comitato alla professoressaSusanna Quadri dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” che ha accettato il nostro invito a farne parte.

Le sfide quotidiane ci fanno sempre più credere con forza nel nostro progetto nato nel 2011 e nellanecessità che la nostra azione quotidiana a tutela delle Lavoratrici e dei Lavoratori si apra sempre di più anchead altre sfide che la società odierna e il mercato propongono.

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EMILIO CONTRASTOSEGRETARIO GENERALE UNISIN

Contro ogni violenzae discriminazione

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Il diritto al nome trova in Ita-lia il suo fondamento nel-l’articolo 22 della Costitu-

zione, secondo cui “nessuno puòessere privato per motivi politici(…) del nome. L’articolo 6, comma2, del codice civile, nell’individuareil contenuto di tale diritto, stabili-sce che “nel nome sono compresiil prenome e il cognome”, i quali,secondo l’interpretazione che neè stata data dalla Corte costitu-zionale, assumono, rispettiva-mente, il carattere di “segno di-stintivo ed identificativo dellapersona nella sua vita di rela-zione” e di “segno identificativodella discendenza familiare”1.

Il nome, inteso come insiemedi prenome e cognome, ha, dun-que, la funzione di individuare unapersona in un determinato conte-sto sociale e costituisce uno deglielementi che precisano la suaidentità personale (insieme, adesempio, allo pseudonimo o al-l’immagine)2.

Il prenome è frutto di una liberascelta compiuta, di comune ac-cordo, dai genitori dell’interessatocon la dichiarazione di nascita resaall’Ufficiale dello stato civile e nelD.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, èspecificato che, nell’effettuare lascelta, è vietato imporre lo stessoprenome del padre, della sorella odel fratello viventi, il cognomecome prenome o un prenome ridi-colo o vergognoso (articolo 34). Sela decisione non è presa al mo-

cuna esplicita previsione di leggeche la contenga.

Il codice civile, come com-plesso di norme legislative, si oc-cupa infatti del conferimento delcognome solo in relazione ai figlinati fuori dal matrimonio, dispo-nendo che il figlio naturale prendeil cognome del genitore che perprimo lo ha riconosciuto e se il ri-conoscimento è stato effettuatocontemporaneamente da entrambii genitori, egli assume il cognomedel padre. Se la filiazione nei con-fronti del padre è stata accertatasuccessivamente al riconosci-mento della madre, il figlio natu-rale può prendere il cognome delpadre, aggiungendolo, anteponen-dolo o sostituendolo a quello ma-terno. Qualora il cognome in pre-cedenza attribuitogli sia divenuto

mento della dichiarazione da unodei genitori, provvede l’Ufficiale distato civile (articolo 29).

Il prenome imposto deve corri-spondere al sesso del neonato epuò essere composto da uno o piùelementi onomastici, anche sepa-rati, purché non superiori a tre. Seseparati, devono essere sempre ri-portati tutti negli atti rilasciatidall’Ufficiale di stato civile e di ana-grafe (articolo 35).

Riguardo al cognome, il D.P.R.n. 396/2000 stabilisce che il figliolegittimo assume il cognome delpadre (articolo 33) e sorprende chela regola, derivata da una ben ra-dicata tradizione consuetudinaria,corrispondente, storicamente, alcostume sociale italiano, sia di na-tura esclusivamente amministra-tiva e non esista, al contrario, al-

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UMBERTO ALEOTTI

Il diritto di scelta del cognomenel giudizio della Corteeuropea dei diritti dell’uomo

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autonomo segno distintivo dellasua identità personale, egli puòmantenerlo, aggiungendolo, ante-ponendolo o sostituendolo al co-gnome del genitore che lo ha rico-nosciuto, indipendentemente se siail padre o la madre, o anche nel-l’ipotesi di riconoscimento da partedi entrambi. Nel caso in cui il figlioè minore, decide sul cognome ilgiudice tutelare (articolo 262 c.c.).

Disposizioni esistono anchesui figli adottati, per i quali è pre-visto che l’adottato assume il co-gnome dell’adottante, anteponen-dolo al proprio, e ciò anchenell’ipotesi in cui la filiazione siastata accertata o riconosciutadopo l’adozione. Se l’adozione ècompiuta da coniugi, l’adottatoprende il cognome del marito, se,invece, è compiuta da una donnasposata, l’adottato assume il suocognome, purché non sia figlio delmarito (articolo 299 c.c.).

Dal tenore di tali prescrizioni sievince che la posizione della donnarispetto all’uomo, nell’ambito deirapporti familiari, con riferimentoall’attribuzione del cognome al fi-

glio, non è paritetica, nonostantel’articolo 29 della Costituzione san-cisca che il matrimonio debba es-sere ordinato sull’eguaglianza mo-rale e giuridica dei coniugi.

A ciò si aggiunga che la Con-venzione europea per la salvaguar-dia dei diritti dell’uomo e delle li-bertà fondamentali (C.E.D.U.),firmata a Roma il 4 novembre 1950ed entrata in vigore il 3 settembre19533, obbliga lo Stato italiano al-l’eguaglianza di trattamento tral’uomo e la donna, vietando tuttele forme di discriminazione, tra cuiquelle fondate sul sesso delle per-sone (articolo 14) e, in argomento,come si vedrà tra breve, il vincolonon sembra sia stato rispettato.

Della questione dell’automaticaattribuzione del cognome paternoai figli si è occupata di recente laCorte europea dei diritti dell’uomocon un’importante sentenza pro-nunciata nel 20144, che ha contri-buito all’evoluzione della disciplinagiuridica italiana in materia5.

La sentenza è scaturita da un ri-corso proposto contro lo Stato ita-liano dai coniugi Cusan (moglie) eFazzo (marito), i quali avevano pre-sentato, nel 1999, domanda all’Uffi-ciale dello stato civile del Comune diMilano, affinché la figlia appena natafosse iscritta nei registri delle nascitecon il cognome della madre.

La domanda era stata respintaprima a livello amministrativo e poia livello giurisdizionale, in base alpresupposto dell’inesistenza nel-l’ordinamento nazionale di unanorma giuridica che prevedesse lapossibilità per una madre di tra-smettere il proprio cognome ai fi-gli. La mancata previsione, a giu-dizio dei giudici interni, non violavané l’articolo 29 (matrimonio ordi-nato sull’eguaglianza morale e giu-ridica dei coniugi) né l’articolo 3

(eguaglianza dei cittadini dinanzialla legge) della Costituzione, per-ché, pur riconoscendosi una disto-nia con il valore della parità trauomo e donna, l’applicazione delcognome materno avrebbe com-portato delle conseguenze negativeben maggiori per la figlia della cop-pia, che, portando il cognome dellamadre, avrebbe corso il rischio diessere considerata come figlia nonlegittima.

A questo la Corte di cassazioneaveva aggiunto che, sebbene si do-vesse ritenere il sistema vigente diattribuzione del cognome ai figliretaggio di una concezione patriar-cale della famiglia, che aveva leproprie radici nel diritto romani-stico, e, come tale, non più in ar-monia con fonti sopranazionali,quali la Convenzione O.N.U. sul-l’eliminazione di ogni forma di di-scriminazione contro la donna(C.E.D.A.W.), firmata a New York il18 dicembre 1979 ed entrata in vi-gore il 3 settembre 1981, di cuil’Italia era parte contraente6, sa-rebbe in ogni caso spettato al legi-slatore ridisegnare la disciplinagiuridica pertinente e adottare lemisure più adeguate a rimuoverele discriminazioni nei confrontidelle donne in tutte le questioni de-rivanti dal matrimonio e dai rap-porti giuridici familiari, assicurandoal marito e alla moglie gli stessidiritti personali, compreso il dirittodi scegliere il cognome dei figli.

Esauriti i rimedi di ricorso in-terni, i coniugi Cusan e Fazzo sierano rivolti alla Corte europea deidiritti dell’Uomo, contestando il ri-fiuto delle autorità italiane di acco-gliere la domanda diretta a conferirealla propria figlia il cognome dellamadre e sostenendo, all’opposto,che l’ordinamento italiano avrebbedovuto consentire loro la scelta.

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Non avendo concesso il diritto didecidere il cognome della figlia, leautorità nazionali avevano quindi,ad avviso dei ricorrenti, violato gliarticoli 8 (diritto al rispetto della vitaprivata e familiare) e 14 (divieto didiscriminazione) della C.E.D.U..

La Corte europea ha sempreritenuto che, in ossequio all’arti-colo 14 della Convenzione, per di-scriminazione deve intendersi iltrattare in maniera differenziata,senza una giustificazione oggettivae ragionevole, persone che si tro-vino, in uno specifico campo, in si-tuazioni comparabili7.

Una disparità di trattamento,secondo la Corte, non è automati-camente discriminatoria e noncomporta sic et simpliciter la vio-lazione della Convenzione europea,ma diviene rilevante, ai sensi delsuo articolo 14, se è priva di unagiustificazione oggettiva e ragione-vole, ossia, se non persegue unoscopo legittimo e non esiste unrapporto di ragionevole proporzio-nalità tra i mezzi impiegati e il fineprefissato8.

Si è, in particolare, in presenzadi una giustificazione oggettiva eragionevole, quando la misura sta-tale che opera una differenza ditrattamento persegue un interessepubblico e garantisce un giustoequilibrio tra la salvaguardia degliinteressi della comunità e la con-formità ai diritti e alle libertà sancitinella Convenzione9.

Gli Stati contraenti godono, co-munque, di un certo margine di ap-prezzamento nello stabilire se e inquale misura le diversità di tratta-mento di situazioni analoghe si tra-ducano in discriminazioni e l’am-piezza della discrezionalità varia aseconda delle circostanze e delcontesto in cui si realizzano, anchese la valutazione finale in ordine al

La Corte, riprendendo afferma-zioni già compiute in sue prece-denti sentenze, ha sottolineato cheil combinato disposto degli articoli14 e 8 della Convenzione postulal’eguaglianza dei sessi nei rapportifamiliari e l’eliminazione di ogni di-

scriminazione che sia fondata sulgenere nell’individuazione del co-gnome dei figli e ha evidenziato chel’esigenza di manifestare l’unitàdella famiglia attraverso il confe-rimento a tutti i suoi membri delcognome del marito non è unoscopo che possa legittimamentegiustificare una discriminazione neiconfronti delle donne11.

Nel caso esaminato non sipossono applicare le medesimeconclusioni. Nel diritto italiano, in-fatti, l’individuazione del cognomedei figli è effettuata unicamentesul presupposto di una differen-

rispetto della Convenzione com-pete sempre alla Corte europea10.

Alla luce di queste considera-zioni, i giudici di Strasburgo, nel-l’osservare che, in base al dirittointerno italiano, ai figli legittimi siconferisce, sin dalla nascita, il co-

gnome paterno e la legislazionenon prevede alcuna eccezione asiffatta regola, in materia di deter-minazione del cognome da attribuireai discendenti legittimi, personeche si trovino in situazioni simili,come il ricorrente e la ricorrente,rispettivamente, nella fattispecie,padre e madre della bambina delcui cognome si controverte, sonostate trattate in maniera discrimi-natoria, perché, a differenza delpadre, alla madre non è stata datala possibilità di trasmettere il suocognome alla figlia, e ciò, nonostanteil consenso del coniuge.

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ziazione per ragioni di sesso deigenitori, poiché le norme dell’or-dinamento nazionale vogliono cheil cognome attribuito alla prole siasenza eccezioni quello del padre,nonostante la diversa volontà co-mune dei coniugi. Tale regola, di

per sé, non è necessariamente incontrasto con la Convenzione, tut-tavia, l’impossibilità di derogarvi almomento dell’iscrizione nei regi-stri dello stato civile è eccessiva-mente rigida e risulta, per ciòstesso, senza una giustificazioneoggettiva e ragionevole, risolven-dosi così in una discriminazionenei confronti delle donne, in viola-zione degli articoli 14 e 8 dellaConvenzione europea per la sal-vaguardia dei diritti dell’uomo edelle libertà fondamentali12.

Sulla scia di questa pronuncia,nel 2016, la Corte costituzionale

italiana ha dichiarato, con una sen-tenza interpretativa di accogli-mento, l’illegittimità costituzionaledella norma, desumibile dagli ar-ticoli 237, 262 e 299 del codice civilee dagli articoli 33 e 34 del D.P.R. 3novembre 2000, n. 396, che nonconsente ai coniugi, di comune ac-cordo, di conferire ai figli, al mo-mento della nascita, anche il co-gnome materno, per contrasto siacon l’articolo 2 della Costituzione,che, tutelando come inviolabile ildiritto all’identità del minore, com-prende il diritto del figlio ad essereidentificato, sin dalla nascita, an-che mediante il cognome della ma-dre, sia con gli articoli 3 e 29 dellaCostituzione, che sanciscono ilprincipio di uguaglianza dei coniugie, pertanto, il diritto di trasmettereai figli, in aggiunta e di comune ac-cordo, il cognome materno. Lasentenza ha, per gli stessi motivi econ carattere additivo, dichiaratol’illegittimità costituzionale degliarticoli 262 e 299 del codice civilenella parte in cui non consentonoai genitori, di comune accordo, diattribuire ai figli, al momento dellanascita, anche il cognome ma-terno13.

Come si può notare, l’orienta-mento della Corte costituzionale èstato in argomento più cauto ri-spetto a quello adottato dalla Corteeuropea, avendo riconosciuto ai co-niugi non il diritto di scegliere qualecognome attribuire ai figli, bensì ildiritto di attribuire ai figli, oltre alcognome paterno, anche quellomaterno (cd. doppio cognome).

1 Corte costituzionale, sentenza n.13 del 24 gennaio - 3 febbraio 1994, pub-blicata in G.U. n. 7 del 9 febbraio 1994.

2 Dal punto di vista della tutela giu-ridica, l’articolo 7, comma 1, del codicecivile, dispone che “la persona alla qualesi contesta il diritto all’uso del proprio

nome o che può ricevere un pregiudiziodall’uso che altri indebitamente ne fac-cia, può chiedere giudizialmente la ces-sazione del fatto lesivo, salvo il risarci-mento del danno”.

3 La Legge 4 agosto 1955, n. 848, haratificato e resa esecutiva la Convenzionein Italia.

4 Corte europea dei diritti dell’uomo,Cusan e Fazzo c. Italia, causa n. 77/07,sentenza del 7 gennaio 2014.

5 Sul punto si veda C. Pitea, Trasmis-sione del cognome e parità di genere:sulla sentenza Cusan e Fazzo c. Italia esulle prospettive della sua esecuzionenell’ordinamento interno, in Diritti umanie Diritto internazionale, 1, 2014, 225.

6 La Legge 14 marzo 1985, n. 132,ha ratificato e resa esecutiva la Conven-zione in Italia.

7 Corte europea dei diritti dell’uomo,Willis c. Regno Unito, causa n. 36042/97,sentenza dell’11 giugno 2002.

8 Corte europea dei diritti dell’uomo,Petrovic c. Austria, causa n. 156/96, sen-tenza del 27 marzo 1998, e Lithgow e a.c. Regno Unito, cause riunite nn. 9006/80,9262/81, 9263/81, 9265/81, 9266/81,9313/ 81 e 9405/81, sentenza del 27marzo 1998.

9 Corte europea dei diritti dell’uomo,G.M.B. e K.M. c. Svizzera, causa n.36797/97, sentenza del 27 settembre2001, Zarb Adami c. Malta, causa n.17209/02, sentenza del 20 giugno 2006.

10 Corte europea dei diritti dell’uomo,Gaygusuz c. Austria, causa n. 17371/90,sentenza del 16 settembre 1996, eRasmussen c. Danimarca, causa n.37212/02, sentenza del 28 novembre 1984.

11 Corte europea dei diritti dell’uomo,Ünal Tekeli c. Turchia, causa n. 29865/96,sentenza del 16 novembre 2004.

12 Corte europea dei diritti dell’uomo,Losonci Rose e Rose c. Svizzera, causan. 664/06, sentenza del 9 novembre 2010.

13 Corte costituzionale, sentenza n.286 dell’8 novembre - 21 dicembre 2016,pubblicata in G.U. il 28 dicembre 2016.Per approfondimenti, A. Ruggieri, Unitàdella famiglia, eguaglianza tra i coniugi,tutela del preminente interesse dei mi-nori, in Rivista di diritti comparati, 1,2017, 1.

Avv. Prof. Umberto Aleotti, docentepresso la Scuola Superiore per MediatoriLinguistici di Maddaloni (CE).

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lavoro ANTONELLA VERDE

professionebancario08 NUMERO022017

C on la sentenza n. 24015del 12 ottobre 2017, laCorte di Cassazione ha

dichiarato:“… il divieto di trasferimento dellavoratore che assiste con conti-nuità un familiare disabile convi-vente ogni volta che muti definiti-vamente il luogo geografico diesecuzione della prestazione an-che se lo spostamento venga at-tuato nell’ambito della medesimaunità produttiva;il diritto del lavoratore a non esseretrasferito ad altra sede lavorativasenza il suo consenso senza limi-tazioni risultando la inamovibilitàgiustificata dal dovere di cura e diassistenza da parte del lavoratoreal familiare disabile, sempre chenon risultino provate da parte deldatore di lavoro specifiche esigenzetecniche, organizzative e produttiveche, in un equilibrato bilancia-

principio che “le misure previstedall’art. 33, comma 5, devono in-tendersi come razionalmente in-serite in un ampio complesso nor-mativo - riconducibile al principiosancito dall’art. 3 Cost., comma 2- che deve trovare attuazione me-diante meccanismi di solidarietàche, da un lato, non si identificanoesclusivamente con l’assistenzafamiliare e, dall’altro, devono coe-sistere e bilanciarsi con altri valoricostituzionali”.

Le ragioni poste a fondamentodella maggior tutela trovano il pro-prio fondamento logico - giuridicoanche in altre norme di pari rangocostituzionale che, unitariamenteconsiderate, mirano a realizzare idiritti della persona e, nello speci-fico, la tutela dei soggetti con di-sabilità in tutte le estrinsecazionidella loro personalità (lavoro, sa-lute, istruzione).

mento tra interessi, risultino effet-tive e comunque insuscettibili diessere diversamente soddisfatte”.Nella stessa sentenza ha affermatoche: “il trasferimento del lavoratorelegittima il rifiuto del dipendente -che ha diritto alla tutela di cui all’art.33, co. 5, della L. n.104 del 1992 - diassumere servizio nella sede diversacui sia stato destinato, ove il trasfe-rimento sia idoneo a pregiudicaregli interessi di assistenza familiaredel dipendente e ove il datore di la-voro non provi che il trasferimentoè stato disposto per effettive ragionitecniche, organizzative e produttiveinsuscettibili di essere diversamentesoddisfatte”.

La Suprema Corte è pervenutaa siffatti principi di diritto, ponen-dosi sul solco di precedenti pro-nunce (Cass. SS.UU. 16102/2009;Cass. 25379/2016, 22421/2015,9201/2012) in cui si consolidava il

Legge 104/92 e divietodi trasferimento

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Una lettura costituzionalmenteorientata della norma, quindi, rivelail favore verso l’integrazione e l’in-terrelazione del disabile e, in questoprocesso, la famiglia assume unruolo centrale nell’assistenza deldisabile (da ultimo, Corte Cost.329/2011 e, in precedenza, CorteCost. 233/2005) e, in particolare,nel soddisfacimento dell’esigenzadi socializzazione quale fondamen-tale fattore di sviluppo della per-sonalità e idoneo strumento di tu-tela della salute del disabile intesanella sua accezione più ampia.

Già in precedenti pronunce,(25379/2016, 22421/2015) la Su-prema Corte aveva affermato ilprincipio secondo cui “la disposi-zione dell’art. 33, comma 5, dellalegge n. 104 del 1992, laddovevieta di trasferire, senza consenso,il lavoratore che assiste con con-tinuità un familiare disabile con-vivente, deve essere interpretatain termini costituzionalmenteorientati - alla luce dell’art. 3, se-condo comma, Cost., e della Cartadi Nizza che, al capo 3 - rubricato“Uguaglianza” - riconosce e ri-spetta i diritti dei disabili di bene-ficiare di misure intese a garantirel’autonomia, l’inserimento socialee la partecipazione alla vita dellacomunità (art. 26) e al capo 4 ru-bricato “Solidarietà” - tratta dellaprotezione della salute, per laquale si afferma che nella defini-zione e nell’attuazione di tutte lepolitiche ed attività dell’Unione ègarantito un alto livello di prote-zione della salute umana.

Va anche osservato che la let-tura dell’art. 33 c. 5 della L. n. 104del 1992 nei termini sopra ricostruitiè conforme alla Convenzione delleNazioni Unite del 13 dicembre 2006dei disabili, ratificata con legge n.18 del 2009 dall’Italia (C. Cost. n.

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275 del 2016) e dall’Unione Europeacon decisione n. 2010/48/CE”.

Seguendo tali orientamenti, laCorte di Cassazione ha evidenziatol’interesse del legislatore per lericadute che le vicende lavorativepossono avere nella vita privata,incidendo nei rapporti affettivi efamiliari, soprattutto in presenzadi soggetti disabili, che richiedano“un impegno più pregnante e gra-voso da parte del familiare lavo-ratore, impegno che anche l’ina-movibilità di quest’ultimo può ga-rantire”, sicché di tanto si devetener conto “…e nel necessariobilanciamento di interessi e didiritti del lavoratore e del datoredi lavoro, aventi ciascuno coperturacostituzionale, dovranno esserevalorizzate le esigenze di assistenzae di cura del familiare disabile dellavoratore, occorrendo salvaguar-dare condizioni di vita accettabiliper il contesto familiare in cui lapersona con disabilità si trova in-serita ed evitando riflessi pregiu-dizievoli dal trasferimento del con-giunto ogni volta che le esigenze

tecniche, organizzative e produttivenon risultino effettive e comunqueinsuscettibili di essere diversa-mente soddisfatte”.

La Suprema Corte ha, poi, sot-tolineato un distinguo tra la formadi tutela generica disposta dall’art.2103 c.c., che fa riferimento al di-vieto di trasferimento ad altra unitàproduttiva e la tutela più incisiva emirata prevista dall’art. 33 L.104/92, che fa riferimento alla sededi lavoro, concludendo che, poichédal testo normativo, riferito allasede, non può evincersi che questacorrisponda all’unità produttiva dicui all’art. 2103 c.c., deve ritenersiche il trasferimento del lavoratoredi cui al c. 5 dell’art. 33 L n. 104del 1992 è configurabile anchenell’ipotesi in cui lo spostamentovenga attuato nell’ambito dellamedesima unità produttiva, quandoquesta comprenda uffici dislocatiin luoghi diversi.

Avv. Antonella Verde, già compo-nente Comitato Pari Opportunità Consi-glio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli.

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lavoro ANTONIO LANZARO

Il 3 marzo del 2010 la Com-missione europea dava ori-gine ad una nuova strategia

europea per la crescita e l’occu-pazione (cd. Europa 2020) firmandoil documento COM (2010) 2020 edenominata come “Una strategiaper la crescita intelligente, soste-nibile e inclusiva”. La Commissioneera consapevole, che la crisi eco-nomica avrebbe vanificato i pro-gressi dell’ultimo decennio, ren-dendo disoccupati circa 23 milionidi persone, pari al 10% della po-polazione attiva. Uscire dalla crisidiventava una priorità, ma ancheprima di questa c’erano stati moltisettori in cui l’Europa non progre-diva con sufficiente rapidità rispettoal resto del mondo, ad esempio itassi di occupazione registrati inEuropa erano nettamente inferioririspetto alle altre parti del mondo(come Stati Uniti e Giappone). Al-

ciente sotto il profilo delle risorse,più verde e più competitiva;

3. Crescita inclusiva, promuovereun’economia con un alto tassodi occupazione, che favoriscala coesione economica, socialee territoriale.

Tra gli obiettivi principali per il 2020la Commissione indicava il rag-giungimento del tasso di occupa-zione al 75% per le persone di etàcompresa tra i 20 e 60 anni, preve-dendo una maggiore partecipazionedelle donne e dei lavoratori più an-ziani e una migliore integrazionedei migranti nella popolazione at-tiva. Altri obiettivi riguardavano lariduzione del tasso di abbandonoscolastico, la riduzione del numerodegli europei che tuttora vivono aldi sotto delle soglie di povertà na-zionali e la riduzione delle emissionidi gas a effetto serra. Tutti questiobiettivi sono ancora oggi connessi

tresì, venivano individuate assiemealla sfida immediata della ripresa,sfide a lungo termine, quali, laglobalizzazione, la pressione sullerisorse e l’invecchiamento dellapopolazione. L’uscita dalla crisi,secondo la Commissione, avrebbedovuto segnare l’ingresso in unanuova economia basata su unanuova strategia intelligente, so-stenibile e inclusiva, caratterizzatada alti livelli di occupazione, pro-duttività e coesione sociale. Lastrategia Europea 2020, destinataagli Stati membri, rispondeva, ap-punto, a questa esigenza, nel pro-muovere la crescita per tutti, indi-viduando tre priorità che si raffor-zano a vicenda:1. Crescita intelligente, ovvero svi-

luppare un’economia basata sullaconoscenza e sull’innovazione;

2. Crescita sostenibile, cioè pro-muovere un’economia più effi-

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Europa 2020: la nuovastrategia europeaper la crescita e l’occupazione

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tra loro, ad esempio, livelli di istru-zione più elevati favoriscono l’oc-cupabilità, così come l’aumentodel tasso di occupazione contri-buisce a ridurre la povertà; lo svi-luppo della ricerca e l’innovazione,assieme ad un efficiente uso dellerisorse, dovrebbe dare risultati po-sitivi sulla competitività e favorirela creazione di nuovi posti di lavoro;anche la protezione dell’ambientedovrebbe contribuire allo sviluppodell’Unione.

In particolare, la priorità Cre-scita inclusiva significa “rafforzarela partecipazione delle personemediante livelli di occupazione ele-vati, investire sulle competenze,combattere la povertà e moder-nizzare i mercati del lavoro, i metodidi formazione e i sistemi di prote-zione sociale per aiutare i cittadinia prepararsi ai cambiamenti e agestirli e costruire una società coe-sa”. Secondo la prospettiva dellaCommissione, l’Europa oggi deveutilizzare al meglio le potenzialitàdella forza lavoro per affrontarel’invecchiamento della popolazionee l’aumento della concorrenza glo-bale, bisogna sviluppare politichea favore della parità dei sessi, perfavorire la crescita e la coesionesociale.

Le misure adottate nell’ambitodi questa priorità riguardano la mo-dernizzazione delle politiche in ma-teria di occupazione, istruzione, for-mazione e protezione sociale peraumentare la partecipazione al mer-cato del lavoro e ridurre la disoc-cupazione, nonché rafforzare la re-sponsabilità sociale delle imprese.

La strategia Europa 2020, nel-l’ambito di questa priorità, individuadue iniziative faro:- Un’agenda per nuove compe-tenze e nuovi posti di lavoro. Questariguarda la modernizzazione dei

la lotta alla povertà e alla esclu-sione sociale, consentendo allepersone di vivere in modo dignitosoe di partecipare attivamente allosviluppo della società. Anche que-sta iniziativa prevede un lavoro dicoordinamento tra tutte le partiinteressate (livello comunitario, li-vello nazionale, regionale, locale esociale).

Prof. Antonio Lanzaro, docente pressol’Università degli Studi di Napoli “Par-thenope”.

mercati del lavoro per aumentare ilivelli di occupazione; ciò è possibilemigliorando la partecipazione dellepersone attraverso l’acquisizionedi nuove competenze per permetterealla forza lavoro attuale e futura diadeguarsi ai cambiamenti in atto.Per realizzare questa iniziativa sirichiedono interventi a tutti i livelli,quali, istituzioni dell’UE, Stati mem-bri, Autorità locali e regionali.- Piattaforma europea contro lapovertà. Riguarda la coesione eco-nomica, sociale e territoriale per

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MASSIMO DEGLI ESPOSTIlavoro

Mobbing:di cosa parliamo

R aramente parole en-trate nel linguaggio ditutti, come il termine

mobbing - il cui uso è oramai dif-fuso in ogni ambito, compresoquello lavorativo - sottendono con-cetti così lontani fra loro se usatein senso strettamente tecnico-giu-ridico, oppure se usate in contestipiù discorsivi.

Tale discrasia è spesso causadi grande delusione per gli interes-sati che si rivolgono al legale, fidu-ciosi di avere conferma da lui checiò che ritengono di aver subito nel-l'ambiente lavorativo sia in qualchemodo tutelabile, magari con un ade-guato risarcimento monetario.

L'acquisizione nel nostro ordi-namento del termine anglofonomobbing non ha, infatti, portato consé anche gli (spesso fantasiosi) in-dennizzi risarcitori che l'opinionecomune ritiene che siano riconosciutiin favore delle lavoratrici e dei lavo-ratori vittime di tali condotte per-secutorie negli ordinamenti di stam-po anglosassone. Al contrario, lastrada da percorrere per la lavora-trice o il lavoratore che intenda agirein giudizio affinché venga ricono-sciuta la natura “mobbizzante” dellecondotte datoriali perpetrate a suodanno è quanto mai irta di ostacoli,spesso insormontabili, o comunquedi difficile dimostrazione.

Alla base di tali difficoltà vi è,da un lato, la mancanza di una pre-cisa definizione di mobbing statuitada un testo normativo, dall'altro,l'individuazione degli elementi chela lavoratrice o il lavoratore ha l'one-re di dimostrare in giudizio, avvenuta

termini di inquadramento contrat-tuale (c.d. mobbing orizzontale),che intendano mettere in cattivaluce e screditare la lavoratrice o illavoratore vittima di tali atti.

In questo caso, il datore di lavororisponderà per la mancata tuteladegli obblighi a suo carico volti atutelare l'integrità fisica e dellapersonalità morale del prestatoredi lavoro (art. 2087 cod. civ.) ed inparticolare per non aver posto inessere tutte le necessarie ed inde-terminate misure destinate alla tu-tela dell'integrità psico-fisica deldipendente. Graverà pertanto sullalavoratrice o sul lavoratore dimo-strare l'effettiva sussistenza dellecondotte subite e dei conseguentidanni di cui chiederà il risarcimento.Sarà invece onere del datore di la-voro la dimostrazione di aver adot-tato ogni misura necessaria allatutela del dipendente.

Come accennato in premessa,quindi, la terminologia che si usacorrentemente per definire condottepurtroppo non infrequenti neppurenegli ambienti degli istituti di cre-dito, è ben lontana da quanto ne-cessario per la tutela giuridica deldipendente mobbizzato, con la tristeconseguenza che spesso le legitti-me aspettative di tutela della vittimadi tali comportamenti, seppure va-lidamente consigliate da realisticipareri dei legali, si debbono fermaredi fronte ai gravosi oneri probatoriche si troverebbero ad affrontarein caso di giudizio.

Avv. Massimo Degli Esposti, giusla-vorista.

attraverso lo stratificarsi di sentenze,anche di Cassazione.

Come infatti è oramai pacificoin giurisprudenza, la lavoratrice oil lavoratore che assume di esserevittima di condotte persecutoriedel proprio datore di lavoro (c.d.“bossing” ) deve dimostrare al giu-dice: a) che quanto subito (l'emar-ginazione, la dequalificazione, lecontinue critiche ingiustificate, l'iso-lamento dal contesto lavorativo,ecc.) sia effettivamente avvenuto eche l'intento del datore di lavorofosse effettivamente persecutorioe vessatorio; b) che tali comporta-menti datoriali si siano svolti in unarco temporale tale da rendere dif-ficile vivere l'ambiente lavorativo;c) che i comportamenti persecutorisubiti abbiano causato nella lavo-ratrice o nel lavoratore un danno(alla salute, da dimostrare con pe-rizie, certificazioni mediche atte-stanti depressioni e frustrazione,ecc); d) il nesso causale fra le con-dotte subite e l'insorgere del danno,escludendo quindi ipotesi risarci-torie, qualora il danno, anche seeffettivamente esistente, possa at-tribuirsi a cause differenti.

L'ipotesi in questione della con-dotta datoriale mobbizzante vieneinfatti ascritta all'ambito della re-sponsabilità extracontrattuale (art.2043 cod. civ.), nel cui contesto chiritiene di aver subito un danno hal'onere di darne integrale dimo-strazione. Oneri probatori che siaffievoliscono parzialmente qualorale condotte persecutorie non pro-vengano dal datore di lavoro, mada colleghi, anche di pari livello in

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BIANCA DESIDERIlavoro

Libertà religiosa e rapportodi lavoro: i simboli religiosi

L a libertà religiosa com-porta, nei rapporti dilavoro pubblici e privati,

possibili criticità che possono ge-nerare discriminazioni in ambitolavorativo, portando ad una vastacasistica che va dalla mancata as-sunzione al licenziamento.

La libertà religiosa è un dirittofondamentale e come tale va tu-telato.

Il mondo del lavoro può rap-presentare, quindi, un osservatorioprivilegiato per le sue dinamichee per comprendere i rapporti in-tercorrenti tra libertà religiosa ediritti umani, interessi collettivi edeconomici e libertà d’impresa, inparticolare nei sistemi giuridici deiPaesi occidentali, dove tale dirittoè tutelato costituzionalmente.

In Italia la Costituzione, le nor-me comunitarie, lo Statuto dei La-voratori e la contrattazione collettivacostituiscono i principali strumentidi garanzia per le lavoratrici e i la-voratori nella tutela dei diritti inambito lavorativo e, conseguente-mente, anche in quelli legati al-l’esercizio della libertà religiosanei luoghi di lavoro. Tuttavia possonoverificarsi, come, peraltro, è acca-duto, “attacchi” al diritto costitu-zionalmente garantito e quindi casidi discriminazione, sia nel momentodell’ingresso nel modo del lavoro,all’atto della selezione o dell’as-sunzione, sia in corso di rapportodi lavoro, che possono portare,nella prima fattispecie, alla mancataassunzione, nella seconda, ad unaserie di azioni vessatorie o allaperdita del posto di lavoro.

gruppo etnico o linguistico, ad unaconfessione religiosa, ad una cit-tadinanza. Costituisce discrimina-zione indiretta ogni trattamentopregiudizievole conseguente al-l’adozione di criteri che svantagginoin modo proporzionalmente mag-giore i lavoratori appartenenti aduna determinata razza, ad un de-terminato gruppo etnico o lingui-stico, ad una determinata confes-sione religiosa o ad una cittadi-nanza e riguardino requisiti nonessenziali allo svolgimento dell’at-tività lavorativa”.

Per quanto concerne l’azionecivile contro la discriminazione, lostesso D.Lgs. all’articolo 44, comesuccessivamente modificato, recita:“Qualora il comportamento di unprivato o della pubblica ammini-strazione produca una discrimi-nazione per motivi razziali, etnici,linguistici, nazionali, di provenienzageografica o religiosi, è possibilericorrere all’autorità giudiziaria or-dinaria per domandare la cessa-zione del comportamento pregiu-dizievole e la rimozione degli effettidella discriminazione” e, ancora,“Alle controversie previste dal pre-sente articolo si applica l’articolo28 del decreto legislativo 1° set-tembre 2011, n. 150)”. Rispetto aldatore di lavoro, al comma 10, pre-vede: “Qualora il datore di lavoroponga in essere un atto o un com-portamento discriminatorio di ca-rattere collettivo, anche in casi incui non siano individuabili in modoimmediato e diretto i lavoratori lesidalle discriminazioni, il ricorso puòessere presentato dalle rappre-

La lavoratrice o il lavoratoreche ritengono di essere discriminatiper motivi religiosi, in virtù dellalegislazione esistente e del dirittoantidiscriminatorio applicabile allatutela del rapporto di lavoro, pos-sono agire in giudizio per garantireil diritto di professare la propriareligione.

Vediamo cosa s’intende per di-scriminazione. A norma dell’art.43, primo comma, del D.Lgs. 25luglio 1998, n. 286 e successivemodificazioni e integrazioni, “co-stituisce discriminazione ogni com-portamento che, direttamente oindirettamente, comporti una di-stinzione, esclusione, restrizioneo preferenza basata sulla razza, ilcolore, l’ascendenza o l’origine na-zionale o etnica, le convinzioni e lepratiche religiose, e che abbia loscopo o l’effetto di distruggere odi compromettere il riconoscimen-to, il godimento o l’esercizio, incondizioni di parità, dei diritti umanie delle libertà fondamentali in cam-po politico, economico, sociale eculturale e in ogni altro settoredella vita pubblica”.

Compie un atto di discrimina-zione: “il datore di lavoro o i suoipreposti i quali, ai sensi dell’articolo15 della legge 20 maggio 1970, n.300, come modificata e integratadalla legge 9 dicembre 1977, n.903, e dalla legge 11 maggio 1990,n. 108, compiano qualsiasi atto ocomportamento che produca uneffetto pregiudizievole, discrimi-nando, anche indirettamente, i la-voratori in ragione della loro ap-partenenza ad una razza, ad un

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sentanze locali delle organizzazionisindacali maggiormente rappre-sentativi a livello nazionale”.

La definizione di discriminazioneè completata facendo riferimentoal D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, cheha attuato la direttiva 2000/43/CEsulla parità di trattamento tra lepersone indipendentemente dallarazza e dall’origine etnica.

Complessa e molto articolatarisulta, in ambito discriminatorio,la tipologia di questioni che afferi-scono alla libertà religiosa nel-l’ambito dei rapporti di lavoro.

Sia i Tribunali, sia le Corti na-zionali, sia la Corte di Strasburgosono stati più volte interessati datematiche che hanno inciso pro-fondamente sulla vita degli individui.

L’utilizzo di simboli religiosi sulposto di lavoro e la fruizione del ri-poso settimanale sono due pro-blematiche ampiamente analizzatecon interessanti pronunce a livelloeuropeo anche di carattere opposto.

In questo numero di ProfessioneBancario prendiamo in esame ilcaso di due simboli religiosi unomusulmano, il velo, l’altro cristiano,il crocifisso e analizziamo un casoche ha suscitato molto interesse,deciso con la sentenza del 15 gen-naio 2013 Eweida and others v.United Kingdom.

Nel procedimento sono statiriuniti quattro ricorsi presentatialla Corte europea dei diritti del-l’uomo, che si è trovata a doverdecidere sulla questione dei limitiall’esercizio della libertà religiosae alla conseguente manifestazioneesterna del credo religioso nel rap-porto di lavoro, analizzando le quat-tro domande riguardanti un’unicafattispecie.

La prima era relativa un’im-piegata addetta al check-in dellacompagnia aerea British Airways,

società democratica, volte a per-seguire in maniera proporzionataobiettivi di pubblica sicurezza, pro-tezione dell’ordine, della salute odella morale pubblica o la protezionedi altrui diritti fondamentali pari-menti meritevoli di protezione. Perl’art. 14 una violazione del divietodi discriminazioni sorge non soloquando persone in posizioni ana-loghe sono oggetto di trattamentidifferenziati, ma anche quando per-sone, in situazioni diverse, vengonotrattate in maniera identica, in en-trambi i casi senza una ragionevoleed obiettiva giustificazione.

Il lavoro della Corte di Stra-sburgo si è mosso per valutare se,esaminate le posizioni dei quattrolavoratori, questi potessero legit-timamente vantare un diritto adottenere un’eccezione, fondata sulleloro credenze e convinzioni reli-giose, all’applicazione delle regolegenerali relative all’abbigliamentoo uniforme di servizio e/o al man-sionario richiesto al personale, ov-vero se il loro assoggettamentoalle regole generali, con conse-guenti misure disciplinari o di li-cenziamento, avesse dato luogo aforme vietate di discriminazioneindiretta e di violazione del dirittoalla libertà religiosa.

Solo nel primo caso (NadiaEweida), la Corte di Strasburgo hariconosciuto una violazione da partedel Regno Unito del diritto dellaricorrente all’esercizio della libertàdi manifestazione del proprio credoreligioso.

La lavoratrice, addetta al check-indella compagnia aerea BritishAirways, voleva continuare ad in-dossare una catenina con il crocifissosopra l’uniforme di servizio. Questavolontà è stata ritenuta espressionedel diritto alla manifestazione delproprio credo religioso, e dunque

che era stata per un certo periodosospesa dall’impiego per non avervoluto ottemperare alla richiestadel datore di lavoro di non esibireuna catenina con un crocifissosopra l’uniforme di servizio.

Il secondo caso riguardavaun’infermiera di un reparto geria-trico di un ospedale pubblico tra-sferita ad altre mansioni per il suorifiuto di ottemperare alla richiestadel management di togliere la col-lanina attorno al collo cui era ap-peso un crocifisso oppure, in al-ternativa, di indossarla sotto unadolcevita o di apporre il crocifissoa mo’ di spilla sull’uniforme diservizio.

Il terzo caso riguardava un uf-ficiale di stato civile impiegato pres-so un’autorità comunale licenziatodopo essersi opposto, per motivireligiosi, a celebrare unioni civiliregistrate tra partner dello stessosesso, legalizzate nel Regno Unitodalla legislazione del 2004.

Il quarto caso concerneva unconsulente psicologico per la terapiapsico-sessuale di coppia, impiegatopresso un’associazione privata, sot-toposto a procedimento disciplinaredal datore di lavoro per il suo rifiutodi fornire consulenza terapeuticaa coppie omosessuali.

La Corte di Strasburgo nel-l’esaminare i quattro ricorsi ha ri-tenuto quindi di doverli analizzaresotto il comune spettro della pos-sibile violazione della libertà dipensiero, coscienza e religione dicui all’art. 9 e del divieto di discri-minazioni di cui all’art. 14 dellaCEDU.

Seguendo il dettato dell’art. 9,le limitazioni alla libertà di manife-stazione del proprio credo religiosopossono essere soggette a restri-zioni ed interferenze solo se ri-spondenti a finalità legittime in una

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del diritto fondamentale alla libertàreligiosa, da ritenersi prevalente,nelle circostanze dello specificocaso, sull’interesse del datore dilavoro a proteggere la propria “im-magine” o “marchio” aziendale chesi voleva “neutro” con l’imposizionedi un’uniforme di servizio.

La Corte, volendo trovare ungiusto equilibrio tra i due interessiin gioco, quello della lavoratrice equello del datore di lavoro, hapreso una decisione in favore dellalibertà religiosa dell’impiegata,evidenziando le circostanze spe-cifiche del caso. La compagniaaerea aveva, infatti, consentitol’adattamento dell’uniforme di ser-vizio per impiegati di altre fedi re-ligiose, ad esempio in favore delpersonale di religione Sikh, alquale aveva consentito di indossareil turbante o al personale femminiledi religione islamica di indossareil velo o hijab, senza che questoavesse avuto un impatto negativosull’immagine della compagnia,così come, successivamente allatemporanea sospensione dal ser-vizio della ricorrente, aveva modi-ficato la propria politica in materiadi “uniforme di servizio”, consen-tendo al personale di indossare,in forma visibile, gioielleria “reli-giosamente connotata”, segno, dun-que, che la precedente proibizionenon avesse vitale importanza.

Per gli altri casi collegati laCorte ha deciso diversamente.

Nel caso, solo apparentementeanalogo, di indossare la cateninacon il crocifisso, da parte dell’in-fermiera Shrley Chaplin, impiegatapresso un reparto ospedaliero ge-riatrico, invece, la Corte di Stra-sburgo non ha ritenuto che il divietoopposto dal management ospeda-liero potesse costituire una viola-zione del diritto alla libertà religiosa

dell’infermiera o una discrimina-zione indiretta fondata sul credoreligioso. Sono state infatti addottea favore della decisione del datoredi lavoro ragioni ritenute dalla Cortelegittime di salute e sicurezza delpersonale ospedaliero e dei pazienti,per il timore che la catenina, po-tesse, pendendo dal collo dell’in-fermiera venire in contatto conferite infette, o offrire la possibilitàai degenti di aggrapparcisi sopra,cagionando rischi a loro stessi oall’interessata e tali, quindi, da es-sere prudentemente lasciati allavalutazione delle autorità nazionali,secondo il criterio del margine didiscrezionalità nel bilanciamentotra opposti interessi in gioco.

Anche nel terzo caso esaminato,quello della ricorrente Lilian Ladele,la Corte non ha ritenuto sussistereun diritto dell’ufficiale di stato civilead invocare un trattamento diffe-renziato rispetto agli altri ufficialidi stato civile, volto all’esonero dicelebrare unioni registrate tra per-sone dello stesso sesso. Un dirittoche la ricorrente ascriveva all’eser-cizio della libertà religiosa e al di-vieto di discriminazioni fondate sulcredo religioso.

La Corte di Strasburgo, deci-dendo, ha affermato che il dirittoalla manifestazione della libertàreligiosa della lavoratrice trova unlimite nella tutela delle relazionifamiliari delle coppie omosessualie nel divieto di discriminazioni fon-date sull’orientamento sessuale.Questi infatti sono principi aventipure natura di diritti fondamentali,come riconosciuto dalla giurispru-denza della stessa Corte di Stra-sburgo, per cui si può concludereche le coppie formate da personedello stesso sesso hanno dirittoalla parità di trattamento rispettoalle coppie eterosessuali e a forme

di protezione delle loro relazionifamiliari e di riconoscimento legale,anche se tale diritto non appareancora compiutamente consolidatonell’esperienza complessiva deiPaesi del Consiglio d’Europa, maè ancora in fase evolutiva, esistendoancora a favore degli Stati membriun certo margine di libertà circa lemodalità per realizzare tale rico-noscimento e protezione nei ri-spettivi ordinamenti interni.

Trattandosi quindi di un conflittotra diritti fondamentali parimentimeritevoli di protezione, fondateerano le ragioni per applicare ilprincipio dell’ampio margine di ap-prezzamento lasciato alle autoritànazionali.

Per quanto concerne infine laquarta decisione, la Corte ha ri-gettato la richiesta del ricorrenteGary McFarlane, che rivendicava,come terapista psico-sessuale, permotivazioni religiose, di non offrirei propri servizi a coppie omoses-suali. Anche qui la richiesta ditutela per motivi religiosi, sul pre-supposto dell’articolo 9, trova ilsuo limite nella protezione dei dirittidelle persone omosessuali rispettoa forme di discriminazione fondatesull’orientamento sessuale. La Cor-te, pertanto, ha giudicato correttala decisione delle autorità giudiziariedel Regno Unito, nel ritenere pre-valenti le ragioni del datore di lavorodi assicurare la fornitura di serviziall’utenza secondo una rigorosapolitica di pari opportunità e di nondiscriminazione, rispetto a quelledella libertà religiosa del terapista,che rientrava, di conseguenza, nelprincipio del legittimo margine diapprezzamento lasciato agli Statimembri.

Bianca Desideri, direttore respon-sabile Professione Bancario.

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- Via Piccagli, 7 - 50127 Firenze - Tel. 055.212951 - Fax 055.212962e-mail: [email protected]

- Chietie-mail: [email protected]

- Via Enzo Valentini, 4 - 06128 Perugia - Tel. 075.5731000 - Fax 075.9660227e-mail: [email protected]

- Viale Liegi, 48/B - 00198 Roma - Tel. 06.8416336 - Fax 06.8416343e-mail: [email protected] - [email protected]

- Via Cristoforo Colombo, 181 - 00147 Roma - Tel. 06.5126765 - Fax 06.5140464e-mail: [email protected]

- Via Cesare Balbo, 35 - 00136 Roma - Tel. 06.4820677 - 06.4820900 - Fax 06.4820251e-mail: [email protected]

- Via Paolo Emilio Imbriani, 53 - 80133 Napoli - Tel. 081.7913066 - 081.7914729 - Fax 081.5521178e-mail: [email protected]

- Via Nicolò Piccinni, 133 - 70129 Bari - Tel. 080.5231510e-mail: [email protected]

- Via Cimabue, 153 - Località Saporito - 87036 Rende (CS) - Tel./Fax 0984.791741

- Via Cerda, 24 - 90139 Palermo - Tel./Fax 091.6113684e-mail: [email protected]

- Corso Vittorio Emanuele II, 32 - 07100 Sassari - Tel. 079.231480e-mail: [email protected]

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