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La ricostruzione dei percorsi dei briganti e le foto sono di Carlo Scappaticci, inse-gnante, scrittore, e cuoco presso la Trattoria del Corso di Arpino. Da anni Scappaticcipromuove il territorio qui descritto con attività outdoor ed attraverso i siti www.ecoturismogoledelmelfa.it, www.montecairotrekking.it, www.arpinovacanze.com.A richiesta può organizzare escursioni tematiche.

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Chiara Recchia

Le facce travisate con farina

Casalvierani nel brigantaggio postunitario

Prefazione diGuido Pescosolido

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I edizione: giugno

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Indice

Prefazionedi Guido Pescosolido

Premessa

Obiettivi della ricerca

Casalvieri a metà Ottocento, – Abbreviazioni utilizzate, .

Capitolo IQualche cenno storiografico

.. Da scorridori di campagna a banditi sociali, – .. L’anali-si di Pasquale Villari, – .. L’analisi di Eric Hobsbawm, –.. Gaetano Salvemini e Giustino Fortunato, – .. La questio-ne meridionale, .

Capitolo IIIl biennio –. Da malfattori o soldati sbandati abriganti passando per Garibaldi

.. È impossibile l’andare innanzi così, – .. I cacciatori delVesuvio, – .. Fine dell’esercito meridionale, – .. Unabella carriera alle spalle, – .. Da cacciatori a lepri, .

Capitolo IIIIl sindaco Alessio Mollicone (–)

.. Casalvierani tra Chiavone e Mollicone, – .. La chiusuradelle masserie ( ottobre ), – .. La caserma negata (,primo atto), .

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Indice

Capitolo IVL’anno degli assalti.

.. Vallefredda Roccasecca Schiavi, .

Capitolo VItinerari collaudati da sbandati, disertori, renitenti e bri-ganti

.. Lo stato romano a portata di Ciocia, .

Capitolo VII & I. Soldati di Franceschiello

.. Iacobelli e Iannucci ex soldati borbonici, – .. L’inconfon-dibile soprannome: Flaudo/Plauto, .

Capitolo VIIGuardie papaline e guardie regnicole di là e di qua del Liri

.. Una collaborazione sempre più necessaria, .

Capitolo VIIILa Legge Pica e il Tribunale Militare di Gaeta. –

.. Una nuova legge e un nuovo tribunale ( agosto ), .

Capitolo IXTobia Petrilli (agosto )

.. Tobia Petrilli da Le Olive ( agosto ), .

Capitolo XPietro Iacobelli, Giovanni Vitti (agosto )

.. Pietro Iacobelli e Giovanni Vitti ( agosto ), –.. Cinque briganti, .

Capitolo XIPietro Antonio Marsella e sette complici sconosciuti (marzo)

.. Pietro Antonio Marsella da Le Olive ( marzo ), –.. Cattura e uccisione di un brigante, – .. La refurtiva,

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Indice

– .. Sequestro e prigionia dei Cellucci, – .. Sulle ormedei briganti. Ipotesi di percorso dei Cellucci, .

Capitolo XIIMarsella Antonio, Petrilli Pietrantonio, Rocca Salvatore(maggio )

.. In tre sui Monti di Arce: Marsella Antonio, Petrilli Pietran-tonio, Rocca Salvatore ( maggio ), .

Capitolo XIIIAncora Clemente Iannucci con Giovanni Rossi, FrancescoCedrone e altri quattro (maggio )

.. Un caso (apparentemente) limitrofo con sette briganti: Gio-vanni Rossi, Francesco Cedrone, Clemente Iannucci e gli altri( maggio ), .

Capitolo XIVPasqua Morelli, Giovanni Petrilli, Raffaele Vitti e diecibriganti sconosciuti (giugno )

.. Un sequestrato, tre manutengoli, nessun brigante e nessu-na condanna ( giugno ), – .. Sulle orme dei bri-ganti. Ipotesi di percorso di Mazzenga, – .. Testimo-ni/manutengoli tutti casalvierani, – .. Ricotte e paneinzuppato nel sangue dei poveri, – .. Il caso Vitti: im-prendibilità o protezione, – .. Il Lupo Filippetta, –.. Aneddotica su Raffaele Vitti, .

Capitolo XVAntonio Catenacci e Rocco suo figlio (luglio )

.. Catenacci Antonio e Rocco suo figlio, – .. Fu vistoparlare con il brigante, .

Capitolo XVIGiuseppe Vitti (agosto )

.. Vitti Giuseppe da Grotte dell’Acqua ( agosto ), –.. Una testimonianza su Giuseppe Vitti, .

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Indice

Capitolo XVIICostanza Martinelli e Banda Martinelli (settembre )

.. Costanza Martinelli mette fuori uso il granatiere tiran-dolo per una gamba ( settembre ), – .. La bandaMartinelli, .

Capitolo XVIIIOmicidi. Anni –

.. Ventotto omicidi a Casalvieri in anni, .

Capitolo XIXLe nuove bande (–)

.. Brigantaggio anni –, – .. Agguato e omicidioa Grotte Dell’Acqua (agosto ), – .. Sequestro di Feli-ce Viscogliosi e Vincenzo Bianchi ad Arpino (aprile ), – .. Sequestro dei fratelli Tari di Sora (maggio ), – .. Assalto a una casa di Selvapiana ( agosto ), – .. Un vivo ad Arpino ed un morto ad Atina ( agosto), – .. Sequestro De Luca e Bianchi a Terelle ( no-vembre ), – .. novembre Tentativo di sequestroLiego a Casalattico, .

Capitolo XXIn trasferta nello Stato Pontificio. Cisterna e oltre (–) – Luigi Carlesimo, Carlo Fallone, Tommaso Iacobelli,Benedetto Ianni, Michele Ianni, Onorio Ianni, Nicola Vittie altri

.. Incauti viaggiatori sulla Regina Viarum, – .. Il GrandTour e i briganti casalvierani, .

Capitolo XXIIn trasferta nello Stato Pontificio. Patrica ()

.. Sergente, caporale e soldati sbandati ( ottobre ), .

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Indice

Capitolo XXIIIn trasferta nello Stato Pontificio. Cori () – Ceccano()

.. I fratelli Zeppa nella banda Panici, – .. Camillo Vittinella banda Andreozzi, .

Capitolo XXIIIIn trasferta nello Stato Pontificio. Velletri (fine maggio)

.. Bande e ancora bande, .

Capitolo XXIVIl sindaco Antonio Rezza (–)

.. Il sindaco Rezza e l’arciprete D’Agostini, – .. Lacaserma negata–Secondo atto, – .. Soldati a sussidio dellacaserma, .

Capitolo XXVAlla fine del brigantaggio. Briganti dopo il

.. Una retata di briganti vecchi e nuovi, .

Considerazioni finaliOmme se nasce, Brigante se more

Appendice

Ringraziamenti

Bibliografia

Indice dei nomi

Indice dei luoghi

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Prefazione

G P∗

Il brigantaggio post–unitario e la sua repressione furono unodei passaggi più drammatici della storia dell’Unità d’Italia e delprimo decennio di vita del nuovo Regno. Su di esso non si è maismesso di meditare, ricercare, scrivere, dibattere, condannare,assolvere, scontrarsi e poi tornare ancora a ricercare e medi-tare. Ovviamente non ne è mancato, come sistematicamentecapita per gli eventi storici di particolare importanza, ancheun uso strumentale, a seconda del variare delle epoche e delleappartenenze ideali e ideologiche di chi ne ha scritto. Ma nonsono neppure mancate ricerche scientificamente rigorose, bendocumentate e soprattutto criticamente attente a ricostruire egiudicare in modo il più possibile sereno e distaccato una vi-cenda che comunque fu la più sanguinosa e tragica della storiad’Italia dell’Ottocento. Sanguinosa non certo nelle dimensioniindicate dalla recente letteratura neo–borbonica (per qualcunoaddirittura un genocidio di circa . vittime), e neppurein quelle più contenute, proposte da autori di più equilibratogiudizio storico (. le vittime stimate da Giordano BrunoGuerri).

Lo studioso più autorevole in questa materia, Franco Molfe-se, nel valutò che il numero dei briganti uccisi nel periodo giugno – dicembre superasse i ., cifra checalcoli successivi hanno poi innalzato a quasi .. Ma an-che stando alla misura minima del Molfese, si tratterebbe pur

∗ Professore ordinario di Storia moderna presso la Sapienza – Università diRoma.

. F. M, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Feltrinelli, Milano , pp.–.

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Prefazione

sempre di un sacrificio di sangue superiore a quello di tutte leguerre di indipendenza risorgimentali. E alla tragedia dell’altonumero di vittime si aggiunse quella della natura particolaredello scontro, avvenuto non tra eserciti di diversa nazionalità,ma tra forze dell’ordine e poi esercito italiano contro una parterilevante della popolazione meridionale, spinta alla ribellioneda una pluralità di motivi sui quali da parte degli storici si è alungo discusso e si discute ancora. I giudizi sono stati sempremolto contrastati e con un difetto abbastanza comune, pur negliopposti orientamenti, ossia quello di giustificare le ragioni diuna sola delle parti in lotta in una guerra che fu, nelle sue moti-vazioni originarie e predominanti, guerra civile tra meridionali,prima e più che sollevazione filo–borbonica e antipiemonte-se, come invece sostenuto dalla storiografia neoborbonica, laquale ha peraltro attribuito al neonato Stato unitario tutta laresponsabilità della tragedia che tra il e il insanguinòsenza soluzione di continuità l’intero Mezzogiorno.

È indispensabile quindi, per meglio comprendere il significa-to e il valore del libro di Chiara Recchia, ricordare succintamen-te i termini fondamentali della vicenda storica e storiograficaalla quale esso porta un più che apprezzabile contributo.

Come è noto, il primo episodio di quello che viene definitoil brigantaggio post–unitario fu per i più la strage di ArianoIrpino del settembre , dove i contadini, assieme a brigantie soldati borbonici massacrarono tra guardie nazionali gari-baldine, liberali e benestanti. Ma anche Chiavone si mosse quasiin contemporanea nello scenario del sorano in Terra di Lavoro,al confine con lo Stato Pontificio. Il moto di Ariano proseguìsubito nella zona di Isernia, dove le vittime complessive traliberali filo–unitari, briganti, contadini ribelli, soldati borbonicie soldati piemontesi, furono oltre milleduecento, e nel corsodel dilagò un po’ in tutto il Mezzogiorno con punte diadesione altissima in Basilicata, Puglia, Calabria. Intere zonefurono sottratte per anni al controllo delle forze dell’ordine dacentinaia e centinaia di bande brigantesche. Franco Molfesenella sua opera riuscì a individuarne nominativamente di

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dimensioni varianti dalle – alle – unità, ma egli stessoavvertì dell’incompletezza del censimento. Secondo altre stime,la rivolta in tutto il Napoletano era sostenuta nell’aprile daquasi . uomini, dei quali oltre . armati, senza contarei ribelli di paesi del Beneventano e di alcuni paesi limitrofi aNapoli, e senza i gregari non quantificati di altre quattro fortibande. La riprova più sicura dell’entità e della pericolosità delgrande brigantaggio è data con attendibile certezza dall’entitàdelle forze dell’esercito che lo Stato italiano giunse a mobilitaretra il e il in seguito alla repressione ordinata dallalegge Pica: fino a . uomini, ossia quasi la metà di tutti glieffettivi alle armi.

Ora, non c’è dubbio che sin dagli eventi di Ariano e Iserniavi fu una chiara ispirazione antigaribaldina, antipiemontese efilo–borbonica dei rivoltosi. Come non c’è dubbio che al nu-cleo originario di briganti e contadini si aggiunse il sostegno disoldati borbonici, sia prima che dopo la battaglia del Volturno.Successivamente si diedero alla macchia molti elementi deldisciolto esercito garibaldino, delusi per il loro mancato inqua-dramento nell’esercito italiano, e poi molti renitenti alla primaleva ordinata dal governo di Torino nel giugno del (nellasola Basilicata se ne contarono oltre su circa ), oltreai disertori, agli amnistiati, agli evasi dalle carceri e ai criminalicomuni presenti sin dalla prima ora nelle azioni ribellistiche.

Non c’è dubbio neppure che il forte incremento della pres-sione fiscale, l’abolizione del protezionismo doganale, l’ap-proccio spesso superficiale e arrogante, non di rado venato dirazzismo, dei quadri dirigenti e amministrativi giunti dal Nord,furono tutti elementi che favorirono la propaganda reazionariae spinsero la sollevazione a qualificarsi politicamente in sensofilo–borbonico. Così fu almeno fino al fallimento del tentati-vo di José Borjes (ufficiale dell’esercito spagnolo reduce daimoti carlisti in Spagna, al servizio del comitato borbonico diMarsiglia) di assumere la guida dell’intera galassia delle ban-de. Operazione che però non gli riuscì, e già questo fu moltosignificativo dei limiti del richiamo politico borbonico.

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Le cose, in effetti, cambiarono rapidamente proprio a partiredal disarmo dei soldati spagnoli di Borjes ad opera del briganteCarmine Crocco in Basilicata, dall’uccisione dello stesso Borjesa Tagliacozzo a fine e, soprattutto, con lo svanire nel di qualunque speranza di intervento dell’Austria o della Fran-cia a favore della spodestata dinastia. La spinta politica vennerapidamente scemando, anche se il fenomeno brigantesco eribellistico fu ben lungi dall’esaurirsi e anzi nel – raggiun-se il suo culmine estensivo e intensivo (saccheggi, sequestri,uccisioni di borghesi e possidenti, e di contro dura repressio-ne delle forze unitarie e dell’esercito italiano), facendo levain modo sempre più esclusivo sulle ragioni di natura socialeche erano state alla radice già del massacro di Ariano Irpino.Queste non erano ragioni di breve periodo create dall’inter-vento garibaldino e piemontese, ma ragioni di lungo periodo,alimentate energicamente dalle scelte di politica economica esociale operate sia dai francesi sia dalla dinastia borbonica nellaprima metà del secolo XIX; risalivano cioè almeno all’epocadell’abolizione della feudalità decisa da Giuseppe Bonapartenel e poi confermata, dopo la Restaurazione, dal ristabi-lito governo borbonico, che l’aveva estesa anche alla Sicilianegli anni –. Quei provvedimenti avevano innescato unmastodontico contenzioso relativo alla spartizione dei demanifeudali, statali e comunali, fra contadini da un lato e dall’altroaristocrazia ex–feudale, borghesia terriera grande, media e pic-cola, ma anche frazioni del ceto civile cittadino, che si eranoimpadronite, legalmente e illegalmente, di grandi estensionidi terre demaniali a danno di contadini poveri ed ex–fruitori diusi civici e diritti comuni sui demani pubblici. Ne era derivatoun odio feroce dei “cafoni” verso i “galantuomini” che avevaavvelenato per decenni, e avvelenava ancora al momento del-l’Unità, i rapporti sociali nelle campagne meridionali, terrenodi coltura fertilissimo per bande di briganti che innalzavanola classica bandiera del banditismo di ogni epoca in difesa deipoveri contro i ricchi oppressori e usurpatori di terre e diritticomuni, a copertura però non di rado di intenti meramente

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grassatori e criminali. Un odio che nel primo Ottocento eraesploso in una serie di jacqueries, di cui quella notissima di Bron-te, repressa da Nino Bixio, fu uno degli ultimi esempi primadell’Unità; un odio al quale la dinastia borbonica finché erastata al potere era stata ben lungi dal dare una risposta diversada quella puramente repressiva.

Il brigantaggio dunque non nacque ex–abrupto nel –e quello iniziato ad Ariano aveva legami di continuità socialefortissimi con la situazione preunitaria. La dinastia borbonicalo aveva conosciuto sin dal Settecento e vi aveva fatto anchericorso durante il periodo dell’occupazione francese come coa-diuvante nel suo tentativo di recuperare il Regno di Napoli (FraDiavolo). Nella prima metà dell’Ottocento l’aveva fronteggiatocon reiterati provvedimenti repressivi, come quello del contenente norme severe contro il brigantaggio nei territoricontinentali del Regno delle Due Sicilie, con l’istituzione dicorti marziali e pena di morte per processare i componenti dibanda armata anche di soli tre uomini e i “manutengoli”; ocome quello dell’ottobre , con il quale Francesco II con-ferì ai consigli di guerra ordinari la facoltà di processare congiudizio inappellabile coloro che nelle tre Calabrie avesserocommesso i reati di banda armata, resistenza alla forza pubblica,brigantaggio e suo favoreggiamento.

La ragione fondamentale delle sollevazioni preunitarie erastata sempre la stessa: l’insofferenza per la miseria crescente el’aspirazione alla terra, che portava i contadini ad appoggiarsianche ai briganti comuni nell’invasione di terre usurpate e non,nei saccheggi, nei sequestri di persona, nelle uccisioni. Così nel–, così nel –, così nel quando le masse ruraliavevano richiesto la spartizione delle terre mentre il ceto civilesi batteva senza successo per la costituzione e la libertà politica ecivile. E ancora nell’agosto , mentre Garibaldi passava dallaSicilia in Calabria, in Basilicata e nelle Puglie la popolazionerurale aveva reclamato la divisione delle terre distruggendogli archivi comunali, saccheggiando e uccidendo impiegati e“galantuomini”, questa volta in nome di Francesco II, visto che

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l’odiatissimo ceto civile e la borghesia rurale erano passati perlo più alla causa unitaria e liberale, e visto che il nuovo regimegaribaldino si mostrava chiuso sul problema delle reintegredemaniali e della rivoluzione sociale in genere, le quali, seeseguite in via rapida e sommaria avrebbero colpito non solola grande ma anche la piccola borghesia e il ceto civile dai qualila causa risorgimentale stava avendo un appoggio decisivo.

Una riprova dell’origine prevalentemente sociale e crimi-nale del brigantaggio è data dal fatto che tra le parole d’ordinelanciate dai capi del movimento borbonico vi fu la promessa aicontadini della quotizzazione delle terre demaniali. Cosa chela caduta dinastia quando era al potere non aveva mai concesso,come non aveva mai affrontato con mano ferma il problemadelle usurpazioni, alimentando in tal modo l’odio fra contadini,pastori e plebe urbana, contro notabili e borghesi. Un odio i cuieffetti erano ben visibili nelle statistiche dei reati commessi daibriganti. Sappiamo dal Molfese che nel furono rubati ouccisi dai briganti quasi capi di bestiame; nel quasi capi. Essi non appartenevano certo all’esercito italiano,bensì a proprietari e agricoltori meridionali i quali chiaramentechiedevano il ristabilimento dell’ordine pubblico al nuovo Statoe non più alla dinastia borbonica nella quale avevano smessoda tempo di credere. E il nuovo Stato, di fronte ai risultati del-l’apposita inchiesta parlamentare, di cui fecero parte Massari,Bixio, Saffi, Sirtori, Castagnola e che denunciava una gravissimaperdita di controllo dell’ordine pubblico in parte estesa del ter-ritorio meridionale, ricorse all’emanazione dell’arcinota leggePica e allo stato d’assedio, che permisero, con una sanguinosacampagna militare rivelatasi peraltro niente affatto semplicesul piano strettamente militare, di sgominare la maggior partedelle bande entro la fine , anche se il fenomeno continuòin forma endemica fino al .

La letteratura sul brigantaggio postunitario ha sempre cri-ticato la durezza di quella repressione, fatta di scontri a fuoco,esecuzioni sommarie, distruzione di masserie, controllo op-pressivo della vita e dei traffici delle campagne, arbitrio delle

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giunte provinciali di pubblica sicurezza nei deferimenti allagiurisdizione militare e nell’invio a domicilio coatto di sbanda-ti e favoreggiatori, sentenze capitali e lunghe pene detentivecomminate da consigli e tribunali di guerra. Ed ha giustamentemesso in risalto il coraggio fino all’eroismo estremo di moltibriganti, e anche brigantesse, in lotta contro la miseria, gli abusie l’ingiustizia sociale. E possiamo aggiungere, anche se la storianon si fa con i se, che probabilmente forme e metodi menoduri e più controllati da parte delle autorità italiane avrebbe-ro reso meno cruento il ristabilimento dell’ordine costituitoe la cessazione di quella che era pur sempre una guerra civiletra meridionali, usata dalla propaganda borbonica e clericaleper il ritorno al potere di una dinastia, sulla quale ricadeva laresponsabilità completa della condizione economica e civiledi una società che nel arrivava all’unificazione con l’–% di analfabeti, priva in quasi tutto il territorio meridionale,tranne l’area intorno a Napoli, di ferrovie, e con uno stato del-la viabilità ordinaria poco più che primordiale. Come ancheuna gradualità nella liberalizzazione degli scambi e nell’intro-duzione del sistema fiscale piemontese avrebbero reso menotraumatico l’impatto del nuovo regime su una popolazione abi-tuata a poco pagare e quasi nulla avere dallo Stato in termini disviluppo civile e politico.

Tuttavia su alcune cose vanno fatte precisazioni dalle qualicredo che al momento non si possa prescindere al fine di ungiudizio non unilaterale sull’operato dello Stato unitario. Laprima è che già sul problema della leva obbligatoria è diffi-cile pensare alla possibilità di esenzione di oltre il % dellapopolazione in un’epoca in cui la possibilità di guerre per ilconsolidamento e la difesa dell’unità nazionale era altissima.Inoltre, sul piano dell’eventuale e sia pur parziale spartizionedelle terre, indicata come possibile antidoto dal Molfese, va ri-cordato che essa era guardata a metà Ottocento con forti timorida un’Europa assolutista che a stento stava accettando l’unifi-cazione della penisola nel segno del moderatismo sabaudo ecavouriano, e che comunque si sarebbe rivolta anche contro

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quella piccola borghesia meridionale e sul ceto civile sul cuiappoggio politico il movimento nazionale e lo Stato sabaudostavano giocando tutte le loro carte per realizzare l’annessio-ne politica del Mezzogiorno e la stessa Unità d’Italia. Senzadire che studiosi anche della stessa ispirazione gramsciana ecomunista di Franco Molfese, come Giorgio Candeloro e PieroBevilacqua, o comunque di sinistra, come Luigi Dal Pane oValerio Castronovo, hanno osservato che una spartizione delleterre come quella rivendicata dai movimenti contadini sarebbestata non solo impossibile, ma ininfluente o addirittura con-troproducente per l’innalzamento dei livelli di produttività equindi di benessere dei contadini stessi.

Garibaldini, esercito piemontese e, soprattutto a partire dal, forze dell’ordine e poi lo stesso esercito italiano, si trova-rono di fronte non a pacifiche manifestazioni di protesta, maa violenze contro le persone e le cose che mettevano in gio-co, a prescindere dal dichiarato intento di restaurazione delladinastia borbonica, la capacità dello Stato di garantire l’ordineinterno, la vita e la libertà di tutti i cittadini, ossia la capacitàstessa di essere Stato su una porzione vastissima del territorionazionale. In condizioni simili la risposta borbonica e franceseal brigantaggio preunitario non era stata a suo tempo qualita-tivamente diversa da quella postunitaria dello Stato italiano. Ilfenomeno dopo l’Unità fu di più estese dimensioni perché lapopolazione, la miseria, il malessere e l’esasperazione in oltreun cinquantennio dall’eversione del feudalesimo si erano viavia accresciute. Tra il e il la popolazione del Mezzo-giorno continentale era passata da , a , milioni di abitanti,con una crescita del %, mentre la produzione agraria eracresciuta assai meno. A ciò si aggiunsero le aspettative createdalla spedizione di Garibaldi, atteso in Sicilia dai contadini co-me restitutore di giustizia, senza peraltro che egli avesse maialimentato equivoci sulla natura esclusivamente politica dellasua impresa; e si aggiunse l’illusione che lo scontro di poteretra vecchio e nuovo regime avrebbe consentito finalmente diregolare conti aperti da tempo. Lo scontento per l’inasprimento

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fiscale e la leva obbligatoria fecero il resto. Ma di fronte al datodi fatto della perdita di controllo dell’ordine pubblico i Borboneavevano usato l’arma della repressione nel sangue e nel carceresenza neppure avere i problemi di legittimazione internaziona-le che i Savoia avevano all’indomani del , quando lo stessoNapoleone III era convinto che il nuovo Regno non avrebberetto di fronte alla gravità dei problemi finanziari e di ordinepubblico che incombevano su di esso. Non si dimentichi che laPrussia riconobbe il nuovo Stato solo nel .

Per concludere, è difficile pensare che con una guerra civilein atto e con la totale perdita di controllo su buona parte delMezzogiorno continentale ci fosse il tempo di percorrere stra-de diverse da quelle della pronta riaffermazione della pienezzadei poteri dello Stato costituzionale, senza che l’unità nazio-nale ne risultasse del tutto compromessa. A meno che non sivoglia sostenere che per il Mezzogiorno sarebbe stato meglioritornare tra l’acqua santa e l’acqua salata, nelle mani di unadinastia assolutista contro la quale, per un avvenire del Mezzo-giorno nella libertà e nel progresso, il fior fiore della gioventùliberale meridionale aveva dato la vita o aveva patito il carceree l’esilio, con un eroismo che non era stato certo inferiore aquello dei pur rispettabilissimi briganti esaltati da tanta partedella pubblicistica neoborbonica.

Alla luce di queste considerazioni mi sembra che studi comequello di Chiara Recchia, basati su documentazione di archiviosinora inesplorata, relativa a contesti anche molto ristretti o afigure singole di briganti più o meno esemplari, siano i soli chepossano portare, al di là di ogni tipo di strumentalizzazionestoriografica e ideologica, un contributo di ulteriori, originalie poco opinabili conoscenze non solo alla storia dolorosa delbrigantaggio, ma anche a quella più generale delle condizionidi vita delle masse popolari e dei ceti meno abbienti in unperiodo storico che resta uno dei più importanti della nostrastoria nazionale.

Nel nostro caso la ricostruzione riguarda un piccolo paesedel basso Lazio, Casalvieri in Val Comino, dal in provincia

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di Frosinone, nell’Ottocento in Terra di Lavoro, circondario diSora, a ridosso del confine del Regno delle Due Sicilie con loStato Pontificio. L’area di appartenenza era periferica rispettoa quella classica del grande brigantaggio (Basilicata, Calabria,Puglia), ma nondimeno, essendo zona di confine, fu teatro dipassaggi cruciali della vicenda brigantesca pre e post–unitaria edelle gesta di briganti dai nomi noti su scala nazionale, comequello di Chiavone (Luigi Alonzi), studiato anni addietro in unpregevole volume, citato anche da Chiara Recchia, di Domeni-co Celestino e Michele Ferri, il quale ha poi portato anche altriimportanti contributi alla storia sociale e politica della Ciociariaottocentesca.

Sulla base di ricerche estese e puntuali soprattutto negli Ar-chivi di Stato di Caserta e Frosinone e nell’Archivio Centraledello Stato, l’autrice ricostruisce una galleria di profili di arresta-ti, processati, condannati, della maggior parte dei quali, quandonon del tutto sconosciuti, non si era sinora trattato in modotanto dettagliato e completo. Di ogni casalvierano incriminatosi seguono con attenzione i movimenti, le azioni, le eventualiappartenenze a bande, costruendo un mosaico che compren-de non solo il comune di Casalvieri, ma anche ramificazionie “militanze” che si estesero oltre la Valle di Comino e oltreil confine con lo Stato Pontificio (Cisterna, Velletri, Ceccanoecc.). E l’arco temporale considerato si estende oltre il decennioindicato nel titolo (–) richiamando l’attenzione anchesugli eventi successivi al , anno considerato generalmenteconclusivo del “grande brigantaggio” e allo stesso .

Evito di anticipare nomi che il lettore troverà nel libro, mami sembra doveroso sottolineare alcune delle conclusioni piùsignificative tratte dall’autrice. Anzitutto l’osservazione di ordi-ne generale secondo la quale anche nella vicenda casalvierana,come in tutte le regioni interessate dal fenomeno, « le connota-zioni politiche si sono sempre più rarefatte fino a scomparire deltutto, mettendo in luce un brigantaggio di tipo eminentementecriminale » (p. ) e inoltre che la causa prevalente di esso erala miseria « ovvero la povertà nera e senza scampo dei contadini

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privati degli usi civici — pascolo per gli animali, legname perriscaldarsi e cuocere gli alimenti, raccolta di erbe commestibili »(p. ). In effetti i casi di adesione di casalvierani a bande marca-tamente politicizzate come quella di Chiavone sono pochi ed« è chiara, comunque, la preferenza per bande formate esclusi-vamente da casalvierani » (p. ). Inevitabilmente erano quindipiccole bande, o comitive, che si formavano e si scioglievanodi continuo, per operare anche di notte con furti, aggressionie omicidi, come risulta dall’elenco di questi ultimi dal al. Non abbiamo grandi eccidi, come quelli di Ariano Irpino,ma la partecipazione di singoli a alcune bande della Valle eanche a quella di Chiavone, ma soprattutto in paese un conti-nuo stillicidio di uccisioni, diverse delle quali notturne, con unaevidente punta nel quinquennio –, quando a Casalvieri siregistrarono sei omicidi, con una media di , all’anno, scesanel successivo decennio – alla media di omicidio all’an-no. Ma è di gran significato che anche nel – si erano avuti omicidi, con una media annua di ,, a significare appuntoche sicuramente un incremento di conflittualità nel passaggiodi regime si ebbe, ma che il fenomeno criminale aveva unasua presenza endemica da ben prima dell’Unità, che era quellache poi più di qualunque altra giustificava l’opinione correnteche Casalvieri e Casalattico fossero “nidi di briganti”. Brigantiche esistevano, come nel resto del Mezzogiorno, già primadell’Unità, come dimostra nel capitolo XX l’analisi degli attiprocessuali riguardanti una banda attiva nel – e formata da elementi di cui di Casalvieri e di Sora. Briganti non certocon innata vocazione a delinquere di tipo lombrosiano. Eranoinvece e per lo più individui disperati spinti sulla strada delladelinquenza e della ribellione dalla miseria che imperversavain tutto il Mezzogiorno e che teneva ovunque le aspettativedi vita alla nascita poco al di sopra dei anni. A Casalvieri eCasalattico era poi mediamente più grave che in altri paesi delSorano e dell’Arpinate, dove non mancavano manifatture dilana e di carta; e anche della Valle di Comino, dove Atina avevavisto da poco impiantata la cartiera dei Visocchi e l’agricoltura

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viveva una stagione di rinnovamento che proprio dopo l’Unitàcominciò a dare i primi sensibili benefici.

Casalvieri si trovava allora segregata all’angolo estremo del-la Valle, senza neppure quel tanto di centralità che ad essaavrebbe dato negli anni settanta dell’Ottocento l’apertura dellacarrozzabile “tracciolino”. Al censimento del contò ben. abitanti (erano circa . a fine Settecento), che configu-ravano una pressione demografica ai limiti della sopportabilitàdell’economia del tempo, se si considera che la Casalvieri in-dustrializzata e anche post–industriale di oggi di abitanti neconta solo . Le oltre . anime del traevano sosten-tamento in modo quasi esclusivo dalla pastorizia e soprattuttoda un’agricoltura assai poco ricca, centrata sulla coltivazionedi cereali. Nelle annate migliori si realizzavano rendimenti delgrano che moltiplicavano il seme al massimo per o volte,(contro le – volte di oggi), senza alcun impiego di piante daforaggio, che cominciarono ad essere introdotte nella zona daiVisocchi solo negli anni dell’Unità. La viticoltura era promiscuae conosceva solo antichi vitigni locali di bassa qualità. L’alleva-mento bovino riguardava quasi esclusivamente capi da lavorolocali. Nel territorio comunale non c’erano industrie, se nonqualche mulino e qualche frantoio. Poche e deboli le attivitàartigianali, con un sistema viario poco più che primitivo perun asfittico interscambio di merci abbondantemente superatodall’autoconsumo. Non c’erano grandi latifondi. Le maggioriproprietà nell’intera valle di Comino non superavano i –ettari di superficie di terreni, poderi e masserie sparse, pochi deiquali adatti a realizzare significativi incrementi di produttivitàgrazie ai quali soltanto si sarebbe potuta alleviare la miseria ge-nerale che affliggeva la maggior parte della popolazione ruralee quella del centro urbano. Era una situazione vecchia di moltidecenni, se non secoli, nella quale era difficile per i più disperatinon cedere alla tentazione di delinquere o di emigrare in massaall’estero, come avvenne a partire dagli anni Settanta–Ottantada tutta Italia e non dal solo Mezzogiorno. E d’altro canto perun regime convinto che la libertà politica, la proprietà privata e

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la libera impresa fossero l’unica via per uscire dalla povertà edall’ignoranza, ma ancora giovane, instabile, con una ristrettabase di partecipazione alla vita politica e nel contempo con-testato all’interno e all’estero, era difficile controllare l’ordinepubblico senza ricorrere a misure straordinarie e all’esercitoed essere costretto nel contempo a rinunciare anche a una pic-cola caserma dei carabinieri, come avvenne per diversi anni aCasalvieri, nonostante fosse ritenuta da tutte le autorità civili emilitari un “covo di briganti”.