2014 numero 9 Ottobre - Trucioli SavonesiDiario di viaggio 2014 (di Enzo Motta) ... un depuratore...

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1 2014 numero 9 Ottobre Email: [email protected] Picciotti carissimi,vasamu li mani. Diario di viaggio 2014 (di Enzo Motta) Questa volta insieme a moglie e nipotina intraprendo il mio imperdibile viaggio estivo in Sicilia, in traghetto con auto al seguito. A bordo si conferma una mia impressione che negli anni mi ha via via allietato: i meridionali (specie gli emigrati) hanno sempre meno da invidiare ai "nordici" quanto a pulizia, abbigliamento e comportamenti (specie dei bambini). Inoltre (questo poi anche sulle spiagge dell'Isola) noto che le quarantenni (e oltre) di evidente matrice meridionale hanno delle figure aggraziate; si vede che la globalizzazione del "fitness" sta facendo scomparire le sfasciate matrone di un tempo. Ad Agrigento troviamo l'atmosfera familiare di sempre fra parenti amici e vecchi compagni di scuola (61 anni dalla maturità!). Ma non posso impedirmi di notare i segni di un progressivo degrado della città. Diciamo prima delle cose buone: una Valle dei Templi sempre unica, con lo spendido giardino della Kolimbetra (FAI) dove l'attivissimo e appassionato direttore raffadalese Giuseppe Lo Pilato (che speriamo di avere presto in visita a Savona) organizza indimenticabili pomeriggi di musica etnica, in una valletta fra gli agrumi sovrastata dal Tempio dei Dioscuri, (e dove altro si può godere il fascino travolgente di un meraviglioso tramonto ascoltando note che sembrano venire dall'antica Grecia?) Per iniziativa delle Autorità ecclesiastiche e di una associazione di giovani guide volontarie, belle e preparatissime sono visitabili il Duomo (parzialmente puntellato per motivi di stabilità), il Museo Diocesano, la grandiosa Biblioteca Lucchesiana, e diverse chiese e monasteri di grande fascino. Il resto è in una situazione allarmante, che vogliamo denunciare con forza: un dissesto idrogeologico frutto di incompetenza, imprevidenza, edilizia selvaggia(fino a qualche anno fa non c'era neanche un Piano Regolatore) sta facendo slittare parti della città, antica e nuova (diverse famiglie sono da tempo fuori di casa loro). La Passeggiata, che ha sempre offerto ai turisti la vista di tutta la Valle dal Viale della Vittoria, è transennata per lavori attualmente fermi, strade e marciapiedi trasformati in trappole. Palazzi prestigiosi in totale abbandono (uno nella città alta è crollato anni fa), affascinanti facciate barocche erose dal tempo e dagli agenti atmosferici (in particolare quello del palazzo dei liguri Marchesi del Carretto), molti eleganti negozi del centro chiusi, scarsa nettezza urbana, un depuratore sempre da realizzare. C’è, e si sente, la crisi economica, ma anni di politica clientelare hanno portato a questo; speriamo nei giovanissimi che abbiano lo spirito delle guide di cui ho detto sopra; attendiamo da loro una ventata di rinnovamento che indirizzi correttamente la Pubblica Amministrazione e incoraggi i privati ad investire nel turismo. Il mondo culturale si sta muovendo; non devono passare sotto silenzio gli interventi di autentici apostoli della città, quali il "nostro" Matteo Collura, Mario Gaziano, Paolo Cilona,e tanti altri. Purtroppo è scomparso da poco, ultranovantenne (il tempo non perdona) il Prof. Enzo Lauretta siracusano di origine ma da decenni agrigentino di adozione, Presidente del Centro Nazionale Studi Pirandelliani biografo di Pirandello (con "Storia di un personaggio fuori di chiave" che presentò in un affollatissimo Ridotto del Chiabrera molti anni fa) e organizzatore delle "Giornate Pirandelliane" che coinvolsero studenti di tutta Italia (ve n'è una commossa testimonianza in altra parte di questo numero). Tutt'altra musica ad Alcamo, sede quest'anno con Castellammare del Golfo dell'incontro degli italiani (e dei Siciliani) nel Mondo organizzato dall'infaticabile coppia Rosa Di Bella e Pietro Paolo Poidimani definiti ormai degli autentici etnologi.

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2014 numero 9 Ottobre

Email: [email protected]

Picciotti carissimi,vasamu li mani.

Diario di viaggio 2014 (di Enzo Motta)

Questa volta insieme a moglie e nipotina

intraprendo il mio imperdibile viaggio estivo in

Sicilia, in traghetto con auto al seguito.

A bordo si conferma una mia impressione che negli

anni mi ha via via allietato: i meridionali (specie gli

emigrati) hanno sempre meno da invidiare ai

"nordici" quanto a pulizia, abbigliamento e

comportamenti (specie dei bambini). Inoltre (questo

poi anche sulle spiagge dell'Isola) noto che le

quarantenni (e oltre) di evidente matrice

meridionale hanno delle figure aggraziate; si vede

che la globalizzazione del "fitness" sta facendo

scomparire le sfasciate matrone di un tempo.

Ad Agrigento troviamo l'atmosfera familiare di

sempre fra parenti amici e vecchi compagni di

scuola (61 anni dalla maturità!). Ma non posso

impedirmi di notare i segni di un progressivo

degrado della città.

Diciamo prima delle cose buone: una Valle dei

Templi sempre unica, con lo spendido giardino

della Kolimbetra (FAI) dove l'attivissimo e

appassionato direttore raffadalese Giuseppe Lo

Pilato (che speriamo di avere presto in visita a

Savona) organizza indimenticabili pomeriggi di

musica etnica, in una valletta fra gli agrumi

sovrastata dal Tempio dei Dioscuri, (e dove altro si

può godere il fascino travolgente di un meraviglioso

tramonto ascoltando note che sembrano venire

dall'antica Grecia?)

Per iniziativa delle Autorità ecclesiastiche e di una

associazione di giovani guide volontarie, belle e

preparatissime sono visitabili il Duomo

(parzialmente puntellato per motivi di stabilità), il

Museo Diocesano, la grandiosa Biblioteca

Lucchesiana, e diverse chiese e monasteri di grande

fascino.

Il resto è in una situazione allarmante, che vogliamo

denunciare con forza: un dissesto idrogeologico

frutto di incompetenza, imprevidenza, edilizia

selvaggia(fino a qualche anno fa non c'era neanche

un Piano Regolatore) sta facendo slittare parti della

città, antica e nuova (diverse famiglie sono da

tempo fuori di casa loro).

La Passeggiata, che ha sempre offerto ai turisti la

vista di tutta la Valle dal Viale della Vittoria, è

transennata per lavori attualmente fermi, strade e

marciapiedi trasformati in trappole.

Palazzi prestigiosi in totale abbandono (uno nella

città alta è crollato anni fa), affascinanti facciate

barocche erose dal tempo e dagli agenti atmosferici

(in particolare quello del palazzo dei liguri

Marchesi del Carretto), molti eleganti negozi del

centro chiusi, scarsa nettezza urbana, un depuratore

sempre da realizzare.

C’è, e si sente, la crisi economica, ma anni di

politica clientelare hanno portato a questo; speriamo

nei giovanissimi che abbiano lo spirito delle guide

di cui ho detto sopra; attendiamo da loro una

ventata di rinnovamento che indirizzi correttamente

la Pubblica Amministrazione e incoraggi i privati ad

investire nel turismo.

Il mondo culturale si sta muovendo; non devono

passare sotto silenzio gli interventi di autentici

apostoli della città, quali il "nostro" Matteo Collura,

Mario Gaziano, Paolo Cilona,e tanti altri.

Purtroppo è scomparso da poco, ultranovantenne (il

tempo non perdona) il Prof. Enzo Lauretta

siracusano di origine ma da decenni agrigentino di

adozione, Presidente del Centro Nazionale Studi

Pirandelliani biografo di Pirandello (con "Storia di

un personaggio fuori di chiave" che presentò in un

affollatissimo Ridotto del Chiabrera molti anni fa) e

organizzatore delle "Giornate Pirandelliane" che

coinvolsero studenti di tutta Italia (ve n'è una

commossa testimonianza in altra parte di questo

numero).

Tutt'altra musica ad Alcamo, sede quest'anno con

Castellammare del Golfo dell'incontro degli italiani

(e dei Siciliani) nel Mondo organizzato

dall'infaticabile coppia Rosa Di Bella e Pietro Paolo

Poidimani definiti ormai degli autentici etnologi.

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Molte le eccellenze spesso poco note ai "media" che

hanno ricevuto significativi riconoscimenti. Fra tutti

ricordiamo la Parrocchia "Ecce homo" di Cinisi

(segnalata da noi perché gemellata con la

Parrocchia di Legino), che opera, in mezzo a mille

comprensibili difficoltà, nel paese di Peppino

Impastato, attraendo i visitatori sul percorso dei

"Cento Passi" e contribuendo a scalfire una

mentalità mafiosa che resiste da secoli.

Gli incontri sono avvenuti nel Palazzo Civico di

Alcamo e nel castello di Castellammare del Golfo:

quest'ultima cittadina è molto nota come centro

turistico e merita la sua fama.

Per contro Alcamo è conosciuta solo come

importante centro vinicolo, ma c'è ben altro, grazie

ad una elìte di intellettuali alcamesi, capitanata da

un Sindaco, Sebastiano Bonventre, chirurgo di

fama, docente universitario e non compromesso coi

centri di potere e di speculazione.

La città - cinquantamila abitanti- con il suo

impianto medioevale, le torri delle antiche famiglie,

le vestigia delle mura, le strade rilastricate coi

marmi della vicina Custonaci, i suoi musei, le belle

chiese e soprattutto col restaurato Castello dei Conti

di Modica, merita una visita peraltro molto

gratificante e si aggiunge, grazie al "fiuto"

dell'amico Poidimani, alle città dell'Ennese e della

Madonia di cui ho già parlato (a proposito Gangi

quest'anno è stato dichiarato il primo fra i borghi

più belli d'Italia!).

Prima di ripartire abbiamo avuto il piacere di

bagnarci nelle acque dell'incantevole Scopello e,

costeggiando la riserva dello Zingaro, di andare a

mangiare il couscous nella sempre bellissima S.

Vito Lo Capo (a proposito: la gastronomia siciliana,

già ottima - vini compresi - progredisce

ulteriormente mantenendo un valido rapporto

qualità-prezzo).

Infine una veloce visita a Palermo (dedicata alla

nipotina) dove ho riscontrato novità molto

piacevoli: posti auto coperti e custoditi, niente

affatto cari, pullman scoperti per diversi giri della

città, la pedonalizzazione di molte delle aree del

centro, e, parzialmente, anche della via Maqueda e

dei Quattro Canti, i "risciò" con gli autisti - guide

turistiche, e, allo Steri (Palazzo Chiaramonte) già

sede dell'Inquisizione, l'apertura di quasi tutte le

celle coi graffiti dei prigionieri, anche qui con guide

giovani e preparatissime.

Il tempo è trascorso veloce.

Ci attende il traghetto per il ritorno.

I SICANI

Si conclude con questa 3° puntata l’articolo

dell’amico Lorenzo Turturici che ringraziamo

per la collaborazione.

La conquista da parte dei Greci segnò la fine di

questa civiltà, inglobando e mutando gli usi e le

tradizioni dei siculi che ne facevano parte.

Gli Iblei si collocherebbero quindi in un periodo

pre-ellenico

Quando l’isola divenne una provincia romana,

Ragusa e Modica vennero classificate decumane,

erano cioè obbligate a pagare a Roma la decima

parte dei raccI Sicani della Sicilia orientale

Le testimonianze storiche ci dicono che

inizialmente i Sicani occuparono l’intera isola, ma

nel XIII sec. a.C., a seguito dell’arrivo dei Siculi,

dovettero spostarsi verso occidente stanziandosi ad

ovest del fiume Himera (Salso).

Contestualmente si incrementarono le popolazioni

di alcuni centri arroccati sulle alture interne, come

Polizzello, Monte San Mauro, Sabucina, Monte

Dessueri, Butera e soprattutto Pantalica.

Ad incrementare il numero degli abitanti di queste

roccaforti non possono essere stati i Siculi, come

taluni studiosi sostengono, ma riteniamo che siano

stati quei Sicani della Sicilia orientale che per tanti

anni erano vissuti a contatto con i Micenei di

Thapsos e di Villasmundo, i quali non vollero

allontanarsi dalla loro terra, mentre i Siculi, come si

evince dai loro primi insediamenti, privilegiarono le

coste (Zancle, Naxos, Suraka, Katane) e le terre

pianeggianti (Leontinoi).

Di contro si assiste al perdurare dell’architettura

funeraria della tomba a tholos lungo la fascia

meridionale dell’isola che, partendo da Augusta, va

a Monte Campanella (Milena), Monte Ottavio,

Monte S. Vincenzo (Caldare), Sant’Angelo

Muxaro, fino ad Anguilla (Ribera).

Il massiccio incremento della popolazione sicana di

Pantalica diede vita alla cultura omonima che

gli storici hanno ripartito in tre fasi ampiamente

documentate:

1) Pantalica Nord (1270 - 1000 a.C.)

Il corredo funerario venuto alla luce è ricco di

oggetti bronzei (coltelli, rasoi, fibule ad arco di

violino o semplice), forme fittili e metalliche

ispirate al repertorio egeo. Si afferma il tornio e la

ceramica di colore rosso e alcuni esemplari seguono

la cultura di Thapsos (ceramica rossa con lunghi

piedi tubolari). Sulla parte più alta del sito si trova

l’anaktoron, il quale fu ritenuto fino a poco tempo

fa un palazzo, ma oggi è riconosciuto come un

ampio magazzino con annessa fonderia.

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2) Cassibile (1000 - 850 a.C.)

Compare la ceramica dipinta a motivi piumati, le

fibule sono con arco a gomito o ad occhio con

spillo rettilineo; compaiono le asce a cannone.

3) Pantalica sud (850 - 730 a.C.) La ceramica si

ispira allo stile geometrico; compaiono frequenti

anelli, bottoni, spirali a disco e l’ oinochoè trilobata;

la fibula è più sottile e legolti. I principali centri dei

Sicani sono Iccara, l’odierna Carini, Inico , l'Isola

San Nicola di Licata, Indara, ribattezzata come

Naro e Camico, probabilmente l’ odierna

Sant’Angelo Muxaro

Sui Monti Sicani esistono infinite tracce di questo

popolo, ceramica, strumenti di lavoro e decorazioni

da Sant'Angelo Muxaro a Himera, da Morgantina a

Caltabellotta. In una recente pubblicazione il prof.

Alessi aveva spiegato come le poche ossa umane

casualmente rinvenute nel 1996 in una grotta

carsica di S. Angelo Muxaro assieme ad altre ossa

animali e ad un singolare corredo funerario, non

sono di individui qualsiasi, ma di un bambino e un

giovane guerriero di 3.200 anni fa, quasi certamente

facenti parte di una potente classe elitaria locale.

È questo in sintesi il risultato cui sono pervenuti,

dopo approfondite e sofisticate analisi scientifiche,

l’archeologo Giuseppe Castellana, il Centro di

Antropologia molecolare per lo studio del DNA

antico al Dipartimento di Biologia dell’Università

di Roma, Tor Vergata, ed il prof. Francesco

Mallegni docente di paleontologia umana e di

antropologia alle Università di Pisa e Palermo

Tracce visibilissime della loro presenza si trovano

a Calbellotta.

Le quattro necropoli che circondano la città ne

attestano la loro presenza riconducibile all’età

del bronzo antico.

Necropoli - Cappuccini

Necropoli - S. Marco

Necropoli - Monte delle Nicchie

Necropoli - S. Paolo

Sul vicino monte Gulèa in età protostorica si formò

il primo nucleo di un insediamento che, estesosi

prima al contiguo terrazzo S. Benedetto e poi ai

villaggi vicini, diede vita alla città di Inycon.

L’acropoli inizialmente sorse sulla cima del

monte Gulèa, ma intorno al XIII sec. a.C. la sede

reale venne trasferita sulla vicina rupe

denominataCamico, oggi Gogàla, eponimo del suo

illustre sovrano, Cocalo.

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Il 6 agosto è scomparso Enzo Lauretta, presidente

e fondatore

del Centro

Nazionale

Studi

Pirandellia

ni di

Agrigento e

sta a noi,

docenti e

studenti

che

abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo, continuare

a coltivare il seme della conoscenza che ha diffuso

nelle migliaia di giovani nei 50 anni di attività di

convegni.

Ma solo chi ha partecipato ad un incontro

pirandelliano organizzato da lui può comprendere

l’emozione condivisa da tanti giovani, entusiasta e

soprattutto autentica che ogni anno si rinnovava. La

prolusione iniziale innescava un meccanismo

emozionale che rimaneva vivo per la durata di tutti i

giorni del convegno nei circa mille giovani

partecipanti. Qual era il segreto? Il coinvolgimento,

la preparazione offerta agli studenti nelle giornate

pirandelliane antecedenti che Lauretta curava

personalmente. Accendeva una scintilla che avrebbe

avuto alimento nello studio e poi nel confronto

finale del convegno, quando i giovani ascoltavano

insigni relatori, ma proponevano anche personali

chiavi di lettura.

Anche il nostro liceo ha avuto l’occasione di

partecipare alla kermesse pirandelliana negli ultimi

10 anni e ha avuto l’onore di ricevere due premi per

lavori ispirati alle tematiche predilette dal grande

scrittore agrigentino, proiettate nella nostra

complessa, spesso drammatica attualità.

Ma la lezione di Lauretta si perpetua nei giovani

anche dopo la sua morte.

Il successo del film L’escluso, girato dai ragazzi del

liceo Cuoco di Napoli liberamente ispirato a uno dei

primi romanzi dello scrittore siciliano -che era

giunto finalista nella rassegna tenuta a battesimo da

Lauretta a Palermo - ha confermato il suo intuito

critico e verrà proiettato nella competizione

cinematografica nazionale «Napoli film festival».

Una soddisfazione, un modo come un altro per

restituire dignità a Napoli e a tutto il Sud d’Italia in

un momento così difficile soprattutto per i ragazzi.

* docenti liceo scientifico e linguistico Cuoco-

Campanella, Napoli

Benvenuti in Sicilia la perla dell'Islam

LA ROSA scagliò il Jihad alla spiga. Così in

Sicilia, al tempo degli emiri.

È la guerra del giardino contro il grano, ancor più

dell'epopea della conquista saracena, a raccontare al

meglio la scena antropologica e culturale

dell'orizzonte

siciliano.

Salvatore

Tramontana,

nel suo saggio

L'Isola di Allah descrive la trama di

religione, legge e

potere.

Ed è una vicenda di

mura, commercio e

zappa.

Il seminativo cede il

passo ai fiori giunti da

Qayrawan.

Quello dei fiumi e dei vulcani è il paese dove,

parafrasando Goethe, fioriscono le allimuniyya.

La coltivazione degli agrumi, nella terra arsa dal

sole, impegna l'idea superiore del "giardino

mediterraneo"; l'orto di agrumi i cui frutti

(decorativi, diventeranno commestibili dopo

successivi innesti), duellando contro l'arsura del

paesaggio naturale, confermano l'irriducibile gara

tra campagna e città: una scelta di campo tra ruralità

e urbanizzazione.

Il parco contro le sterpaglie, dunque; le irrigazioni

in luogo della dispersione delle acque; i vigneti,

perfino, a svantaggio dei cereali a significare

un'idea di politica che realizzasse un modello di

stabilità oltre alla memoria delle razzie.

Quel che nel sentimento popolare fu «tutto un

vendemmiar di teste e un mietere di colli».

Lo spazio «sostanzialmente sottratto alla

produzione cerealicola« (i giardini descritti da Ibn

Hawqal presso Balharà, oggi Ballarò) è già il

racconto di un'identità.

I picciotti del Profeta edificano il palazzo di Ja'far a

Maredolce, con il parco intorno, e tracciano le

mappe.

Questi saraceni — che non sono ancora "i mori

dell'Opera dei Pupi", contemporanei alle Crociate

— pongono sigillo al sentimento dei secoli a venire

per tutta la Umma islamica.

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Il poeta Muhammad Iqbal, nel 1931, durante il suo

viaggio dal Pakistan verso l'Inghilterra,

costeggiando Mazara del Vallo destinerà all'isola,

"la perla dell'Islam" da lui mai visitata, il saluto di

nostalgia e resurrezione di un «mondo che fu morto,

oggi tornato vivo».

In tema d'Islam non c'è mai un singolo eroe,

piuttosto un'epoca.

Tramontana, anche alla luce dell'esito spirituale,

oggi tema di attualità, affida alle fonti e alle

citazioni dal Diwan di Ibn Hamdis, il più

affascinante tra i capitoli del limes mediterraneo per

restituire così — senza sconfinare in ambito

teologico — il senso di «un piano superiore e

nascosto».

Tramontana accompagna il lettore sul ciglio del

cratere di Etna dove, grazie alla cronaca di Ibn Said,

«la masse incandescenti hanno le sembianze dei

figli di Adamo».

I siciliani di Allah vestono "camicie di ferro" e

portano scudi rotondi.

Impugnano spade scandinave. Oppure indiane.

Come quella di cui riferisce Abulfeda: «Pesa 170

mithqal e molto essa ha ferito innanzi al Profeta di

Allah».

Combattono e riposano, i picciotti, a Ballarò, «ricco

di polle e rivi» — scrive Tramontana — «che vanno

a ingrossare il Wadi Abbas».

Oggi si chiama Oreto.

È un rigagnolo, una colatura di miasmi più che un

fiume.

La siccità ha sopraffatto la frescura.

Salvatore Tramontana è stato ordinario di Storia

medievale all'Università di Messina.

Fra le sue opere ricordiamo Antonello e la sua città

(Palermo 1981), L'effimero nella Sicilia normanna

(Palermo 1981), La monarchia normanna e sveva

(Torino 1986), Lettera a un tesoriere di Palermo

sulla conquista sveva di Sicilia (Palermo 1988), Gli

anni del Vespro. L'immaginario, la cronaca, la

storia (Bari 1989), Vestirsi e travestirsi in Sicilia.

Abbigliamento, feste e spettacoli nel Medioevo

(Palermo 1993), Il mezzogiorno medievale.

Normanni, svevi, angioini, aragonesi nei secoli XI-

XV (Roma 2000), Capire il Medioevo. Le fonti e i

temi (Roma 2005) e per Einaudi, Il Regno di Sicilia.

Uomo e natura dall'XI al XIII secolo («Biblioteca di

cultura storica», 1999) e L'isola di Allah. Luoghi,

uomini e cose di Sicilia nei secoli IX-XI 2014).

NOTE DI ROBERTO ALAYMO

L’espressione chiave è Gratitudine Sospesa.

Tutto il sistema del consenso oggi è fondato su

quello: la Gratitudine Sospesa.

C’era una volta il voto di scambio nella sua forma

primitiva. Io do un pacco di pasta a te, tu dai il voto

a me. Sistema tribale, ripugnante; ma efficace,

perché approfittava dello stato di bisogno del

cittadino. Nel meridione d’Italia il voto d’opinione

ha cominciato a estinguersi allora.

Già negli anni Sessanta si favoleggiava su forme

più elaborate: io do una scarpa a te, tu dai il voto a

me, io do l’altra scarpa a te. Storia o leggenda che

fosse, era un primo tratto evolutivo del sistema. Un

pionieristico tentativo di fidelizzazione dell’elettore.

La seconda scarpa arrivava dopo il successo

elettorale, ma il contratto doveva ritenersi sciolto

già alla consegna; e semmai poteva rinnovarsi alla

tornata elettorale successiva. Né si poteva

pretendere che un paio di scarpe potesse garantire

più di un voto alla volta.

Il passo successivo è stato la promessa di un posto

di lavoro. E stavolta a tutto danno dell’erario, senza

esborso di denaro da parte del candidato. Per un

vero lavoro magari sì: la famiglia intera poteva

votarsi a una devozione elettorale perpetua nei

confronti del benefattore. Ma era tutto troppo

aleatorio. Nessuno poteva garantire che il

beneficiato si mantenesse fedele elezione dopo

elezione. Il sistema era perfettibile, e difatti

l’evoluzione definitiva è degli ultimi vent’anni.

Un’evoluzione che in Sicilia ha avuto il suo

pionieristico laboratorio d’applicazione.

Un’evoluzione che ha un nome: Gratitudine

Sospesa.

Nell’inconcludenza amministrativa di questi anni

c’è da una parte l’inadeguatezza di una generazione

dirigente, ma dall’altra pure un disegno preciso.

Certo, l’immobilità è una scelta facile. Chi non

mangia non fa molliche, chi non fa non falla,

eccetera. Tuttavia la paralisi che pesa sulla

comunità è frutto pure di un calcolo. Il cui risultato

è proprio la sospensione della gratitudine. È dalla

saldatura fra inefficienza e tornaconto personale che

nasce lo stallo sociale con cui ci misuriamo ogni

giorno.

La svolta evolutiva è stata l’avvento del precariato.

Forse tecnicamente non è stato inventato in Sicilia,

ma di sicuro è qui che il precariato ha trovato il suo

massimo livello di applicazione. Poi, come spesso

succede, i risultati del laboratorio Sicilia sono stati

estesi al resto del Paese. Coi risultati che si vedono.

(Prima parte di due, segue)

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L’amico Giuseppe Tizza da Düsseldorf ci

segnala , questo studio dell’ Arch. Mor Temor.

Finora, secondo me, nessuno ha pensato a dare

al Ponte sullo Stretto il suo vero valore. Tutti i

progettisti hanno solo pensato a

un ponte tradizionale, per far passare i passeggeri da

una parte all`altra. Il ponte a unica campata (3.300

m) che e` stato considerato dai progettisti il

migliore tra tutti le proposte, non e` mai stato

realizzato finora, perché tantissimi ricercatori hanno

approfondito l`argomento e hanno cercato di dare

una risposta. Voglio menzionare qui alcuni di loro.

Gli autori dell`articolo “Aspetti geologici e di

stabilita`per il Ponte sullo Stretto di Messina”

Alessandro Guerricchio e Maurizio Ponte

(Universita` di Reggio Calabria), hanno concluso la

loro ricerca con l`affermazione: “In caso di sisma

di particolare energia, la struttura potrebbe essere

coinvolta in fenomeni gravitativi di importanti

dimensioni. Un eventuale, anzi probabile,

meccanismo di instabilita` che dovesse coinvolgere

il versante su cui insiste la torre dal lato della

Calabria, produrrebbe una sollecitazione di tipo

impulsivo sulla struttura, con serissime

conseguenze sulla stabilita` strutturale”.

L`autore dell`articolo “Mistakes and Erroneous

Solutions in Urban Planning: The Project for a

Bridge over the Straits of Messina”, Guido

Signorino (Universita` di Messina) ha scritto: “Mi

limitero` a sintetizzare alcune delle molte ragioni

per cui il progetto appare del tutto anti economico,

sia a livello locale, sia a livello nazionale. A livello

locale, il ponte riduce il benessere a causa dei costi

ambientali e di congestione; i costi ambientali

del ponte si riferiscono al suo impatto sulla

ecosfera urbana: a) la riserva naturale di Ganzirri

(di interesse Comunitario) sara` irrimediabilmente

danneggiata; b) piu` di 5 milioni di m3 di residui

dei lavori di scavo sono localizzate in posizioni

molto pericolose, sulle pendici dei monti Peloritani,

adiacente alla parte residenziale della citta`.

Inoltre, il ponte sara` costruito a 15 km dal centro

della citta`, per un totale di 25,7 km di tunnel

ferroviario e stradale e viadotti che collegano

il ponte con le zone piu` centrali della citta`.

La conclusione dell`analisi economica del progetto

e` sicuramente negativa, a causa di: a) errori nelle

previsioni di traffico; b) sottovalutazione dei costi

di investimento, c) imprecisioni in analisi costi-

benefici; d) le conseguenze negative per il bilancio

pubblico e per l`economia siciliana”.

Da quanto sopra citato, appare evidente che il

governo italiano debba sforzarsi per cercare un

alternativa molto più conveniente, economicamente

e finanziariamente sostenibile, al tempo stesso

socialmente piu` desiderabile. E io, forse, ne ho

una. Un ponte basato su Piattaforme Galleggianti

Abitate. I ponti ordinari e le gallerie (sotterranei e sommersi)

sono stati studiati e valutati per risolvere il

problema dello Stretto di Messina da vari

ricercatori. Senza dubbio si e` concluso che tali

strutture non sono in grado di rendere fattibile il

sogno italiano. Per realizzare il Ponte e` necessario

pensare diversamente. Si tratta di un concetto unico

nel suo genere, venuto al mondo grazie a tre anni di

laboriose ricerche fatte dal sottoscritto sulle

strutture galleggianti. Le caratteristiche principali

del Ponte Galleggiante Abitato proposto da me

come alternativa per risolvere il problema

dello Stretto sono le seguenti:

1) Si usa l`acqua come fondamenta per le trave

e il pilone del ponte. La configurazione proposta si

basa su piattaforme galleggianti di calcestruzzo

armato, in cui lo spazio interno in queste

piattaforme verrà destinato ad attività commerciali,

uffici, alberghi, parcheggi, parchi, ecc. Inoltre, si

possono costruire anche case a schiera nello spazio

a forma di ellisse che costituisce le due travi in

acciaio a forma di archi. La

fondazione galleggiante e` stata scelta come

soluzione a causa della profondita` dell`acqua che

supera i 100 metri, la presenza delle falde attive

sulle coste messinese e calabrese, e la probabilita`

di un forte terremoto. Il Ponte offre piu` di

3.000.000 mq di spazio abitabile.

2) La possibilita` di costruire gran parte

del Ponte (le Piattaforme Galleggianti) in un

cantiere navale, verranno poi trascinate nella loro

posizione galleggiando sull`acqua, risparmiando

cosi nei costi e nei tempi di costruzione.

3) Il Ponte Galleggiante Abitato verrà finanziato

dalla vendita delle unità abitative, più di 3.000.000

m² di spazio abitabile.

4) Il vantaggio economico ottenuto dalla

costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina si

fara` sentire a livello nazionale, a seguito del

miglioramento dei mezzi di passaggio tra Reggio

Calabria e Messina, facilitando il rapido sviluppo

regionale su entrambi i lati dello Stretto, in

particolare nel settore dell`industria e del turismo.

Durante la costruzione, nascerà un boom economico

locale. Le varie attività a sostegno della costruzione

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del ponte mobiliteranno una quantità enorme di

fondi e forze che porteranno benessere alla regione.

5) Grazie alle piattaforme galleggianti, la posizione

del Ponte Galleggiante Abitato

sullo Stretto di Messina non dipenderà più dalla

distanza minima tra la Sicilia e la Calabria.

Il Ponte Galleggiante potrebbe essere costruito a

pochi chilometri dal centro della città di Messina. Il

totale di 25,7 km di gallerie ferroviarie e stradale

che e` stato suggerito per collegare le zone più

centrali della città di Messina non sarà necessario.

6) Produzione d’energia elettrica sfruttando i

correnti dello Stretto. I turbini vengono installati su

i sette corpi galleggianti, sulle parti sommersi dal

acqua a profondità pari circa a 20 - 30 metri.

La soluzione del vetro fotovoltaico colorato si

integra perfettamente al Ponte Galleggiante,

migliorando l'isolamento e allo stesso tempo

producono energia pulita e gratuita, in loco, grazie

al sole.

7) L`impatto ambientale del Ponte Galleggiante e`

di molto inferiore rispetto a quello degli altri

progetti proposti.

Il progetto del Ponte Galleggiante Abitato e`

stato inviato al Ministero delle

infrastrutture italiano il 15 novembre 2009.

Il 13 Novembre 2012 l`architetto Mor Temor ha

incontrato a Roma i tecnici della Societa` Stretto di

Messina, l`ing. Giuseppe Fiammenghi, direttore

tecnico della Societa` Stretto di Messina SPA, ed

l`ing. Sparatore. Soggetto del incontro: Il Ponte

Galleggiante Abitato sullo Stretto di Messina.

Durante l'incontro Mor Temor ha consegnato il

progetto del ponte Galleggiante alla Società Stretto

di Messina.

Con tutto ciò Enzo Motta ricorda che da sue

indagini fra siciliani e calabresi emigrati, si

ritiene che sia meglio farne a meno.

IL PAESE NATIO DI UN CARO AMICO

TRIPI patria di Emilio Sidoti

Una mappa della Sicilia Nord Orientale risalente al

IV° sec. a.C.

In evidenza Abakainon (Tripi) Tyndaris (Tindari)

Naxos (Giardini Naxos) Mylai (Milazzo)

Tauromenion (Taormina) Agathyrnon (Capo

d'Orlando) Tissai (Randazzo) Adranon (Adrano)

Kentoripa (Centuripe) Ameselon (Regalbuto)

Agyrion (Agira) Imachara (Catenanuova) Capytion

(Capizzi) Herbita (Nicosia) Engyon (Gangi) Henna

(Enna) Katane (Catania) Amestratos (Mistretta)

Aitna (Paternò) Tyrakinai (Troina) Kephalodion

(Cefalù) Halaiba (Tusa) Kalè Aktè (Caronia)

Apollonia (S. Fratello) Halontion (Longi)

L'antica città sicula di Abakainon, posta su un

altopiano oggi nel comune di Tripi, a dominio della

valle percorsa dalla strada di collegamento tra la

riviera ionica e quella tirrenica e di un vasto

territorio che si estendeva dalla fascia costiera tra

Milazzo e Patti, fino alle cime dei Peloritani e agli

altipiani orientali dei Nebrodi.

Il sito della città è ora sicuramente identificato e

corrisponde alla frazione Casale, subito a

settentrione dell’attuale comune di Tripi, su un

altopiano che dai monti Nebrodi si estende verso il

mare.

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Tale zona pianeggiante, detta appunto il Piano, era

in realtà una sorta di fortezza naturale, facilmente

difendibile, essendo compresa tra due valli laterali,

del torrente Novara a est e del suo affluente

Tallarita a ovest, e chiusa a sud dall’altissima

acropoli del Castello e a nord dal Pizzo Cisterna.

Alla luce delle attuali conoscenze si pensa che sia

stata la più importante città stato di questa zona in

epoca pre-romana. Prima in conflitto con i Sicani e

poi con i sopraggiunti greci, negli anni successivi al

450 a.C. la città fu impegnata a tenere a bada la

sempre più potente Siracusa, ma quando Dionigi nel

396 a.C. fondò Tindari, Abakainon perse parte del

suo territorio, forse quello compreso fra il fiume

timeto e il fiume di Oliveri, e vide gravemente

minacciata la sua indipendenza.

Alleata ora con i cartaginesi ora con i siracusani per

conservare la propria libertà, nel 262 a.C. fu

occupata dai Romani che la elevarono a

"municipium" e la chiamarono Abacaenum o

Abacaena.

Pur perdendo l’indipendenza, essa continuò a essere

una città laboriosa e prospera, e seguitò a battere

moneta come accadeva fin dal V° secolo.

La fine della città è attribuita ad Augusto nel 36

d.C., che la distrusse per il mancato aiuto, e una

qualche successiva calamità naturale cancellò poi le

ultime tracce rimaste.

Di essa rimangono comunque avanzi di mura, resti

di abitazioni ellenistiche e romane, tombe,

terracotte, armi ed altri oggetti a testimonianza della

sua prosperità. Rimangono soprattutto le monete

coniate con il nome della città, le cui più antiche

risalgono al 460 a.C.

Nel periodo arabo e normanno un insediamento più

a monte, in un luogo più sicuro per l'epoca, diede

origine a quello che oggi è il paese di Tripi.

La Chiesa Madre

Alessandro Barbero

Federico II, l’incontro di civiltà

Esecrato dal Papa, additato come l’Anticristo,

l’imperatore favorì i rapporti tra Cristianesimo e

Islam. Forse anche per questo piaceva a Dante che,

pur collocandolo nell'inferno fra gli eretici, lo

chiama “loico e clerico grande”.

«E vidi salir dal mare una bestia piena di nomi di

bestemmia»: così, con una citazione

dell’Apocalisse, papa Gregorio IX aprì la bolla in

cui denunciava i delitti dell’imperatore Federico II,

che i suoi ammiratori chiamavano stupor mundi.

A dar retta al Papa, Federico considerava Cristo un

impostore, metteva in dubbio la sua nascita da una

vergine, e preferiva l’Islam al Cristianesimo.

Non c’è da stupirsi se molti fedeli credettero di

riconoscere in lui l’Anticristo, che doveva mettere il

mondo a ferro e fuoco preannunziando la fine dei

tempi. I più convinti erano i seguaci dell’abate

Gioacchino da Fiore, il mistico calabrese che aveva

profetizzato per il 1260 la rovina dell’Anticristo e

l’avvento di un’età nuova. Quando, nel 1250, si

sparse la notizia che Federico II era morto - senza

aver conquistato il mondo, come avrebbe dovuto

fare l’Anticristo - il francescano Salimbene da

Parma non voleva crederci, e si disperò: la profezia

era sbagliata, l’Anticristo non era lui e bisognava

ricominciare ad aspettarlo.

Attraverso il clamore delle testimonianze

contrastanti, delle maledizioni apocalittiche e degli

elogi cortigiani, par d’intuire che nei suoi ultimi

anni Federico II si trasformò davvero in un tiranno

malefico, come accade ai despoti abituati male da

troppi decenni di potere e inaspriti dai fallimenti.

Fece ammazzare tanta gente, e spesso senza buoni

motivi: così si offuscò la leggenda dell’imperatore

dotto e splendido, che fondava università,

promulgava codici di leggi, costruiva meraviglie

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come Castel del Monte, assisteva a esperimenti

scientifici e nei ritagli di tempo scriveva di suo

pugno quel De arte venandi cum avibus che non è

solo un manuale di falconeria ma un vero trattato di

zoologia.

Castel del Monte

Ma almeno una delle accuse che i Papi scagliavano

contro lo stupor mundi suscita piuttosto la nostra

ammirazione, e anziché contribuire alla leggenda

nera alimenta semmai il mito d’un Federico lontano

e superiore rispetto al suo tempo: e sono i rapporti

che intrattenne col mondo musulmano. Certo, oggi

siamo lontani dagli entusiasmi di Jacob Burckhardt

che vedeva in lui il primo uomo moderno; ma

certamente Federico fece tutto quello che poteva per

contrastare il clima da scontro di civiltà in cui il

mondo europeo e mediterraneo era precipitato

all’epoca delle crociate. I musulmani Federico li

aveva in casa, giacché prima d’essere imperatore

era re di Sicilia. Certo, non erano più i tempi in cui

gli scrittori arabi esaltavano la Sicilia come la

provincia più ricca del mondo islamico, e neppure

quelli di suo nonno Ruggero II, nella cui cancelleria

lavoravano fianco a fianco notai latini, greci, ebrei e

arabi. All’inizio del suo regno Federico aveva

ancora al suo servizio qualche funzionario arabo,

però battezzato. Dotti musulmani a Palermo non ce

n’erano più; ma c’erano alcuni dotti ebrei, cui

l’imperatore commissionò traduzioni dall’arabo.

Federico aveva una gran voglia di discutere con i

sapienti islamici, e scrisse al sultano del Marocco

ponendo una raffica di quesiti filosofici e scientifici,

cui sperava che i dotti di laggiù potessero

rispondere. Uno di loro, Ibn Sabin, in effetti gli

rispose, anche se in tono piuttosto sostenuto,

invitandolo a impadronirsi un po’ meglio della

terminologia filosofica, e osservando che se aveva

tanta sete di verità avrebbe fatto meglio a

cominciare convertendosi all’Islam.

Ma se non c’erano più dotti, la Sicilia di Federico II

era ancora piena di contadini musulmani, impoveriti

e vessati dopo la riconquista cristiana. Molti di loro,

riparati nelle zone montagnose e poco accessibili di

Monreale e del Val di Noto, erano in stato di

ribellione endemica. Federico cercò di reintrodurre

le colture in cui erano più esperti, come l’indaco, lo

zucchero, l’henné, ma soprattutto pubblicò leggi in

loro favore, per impedire che fossero maltrattati dai

suoi funzionari. Musulmani ed ebrei dovevano

avere la possibilità di rivolgersi alla giustizia come

tutti gli altri sudditi, e non bisognava che fossero

trattati diversamente dai cristiani né sottoposti a

vessazioni. Ma quando i ribelli delle montagne

catturarono il vescovo di Agrigento e lo tennero

prigioniero per un anno, Federico perse la pazienza.

È forte la tentazione di definire pulizia etnica le

ripetute campagne che i soldati del re condussero in

Sicilia, al termine delle quali c’erano pochi

musulmani nell’isola e prevalentemente di classe

agiata. Un grande storico del mondo mediterraneo

come David Abulafia ha proposto, non credo con

molta ragione, di vedere nella guerriglia dei

saraceni le remote origini della mafia; semmai è più

curioso scoprire che Federico, per ripopolare le

campagne devastate, organizzò il trasferimento in

Sicilia di grossi contingenti di emigranti reclutati in

Piemonte, e che da loro discendono gli abitanti di

Corleone.

Ma il punto cruciale è che i saraceni catturati, se

rifiutavano di convertirsi al Cristianesimo, non

vennero messi a morte com’era abituale in clima di

crociata, ma risistemati in Puglia, la provincia più

amata da Federico, dove il re donò loro una città.

A Lucera, dove la cattedrale era opportunamente

crollata e il vescovo s’era dovuto trasferire altrove,

vennero risistemati 15.000 musulmani, e fra di loro

l’imperatore reclutò una guardia di fedelissimi.

Per i polemisti di parte papale, quei saraceni che

accompagnavano Federico sui campi di battaglia

erano la prova che l’imperatore preferiva Maometto

a Cristo. Del resto, quando dopo molte insistenze

l’imperatore si era deciso a partire per la crociata,

non aveva rovinato tutto mettendosi d’accordo col

sultano e trasformando Gerusalemme in una città

aperta, dove cristiani e musulmani avevano

ciascuno i propri spazi? Da entrambe le parti gli

integralisti, che non mancano mai, erano inorriditi.

Per noi tutto questo è piuttosto la prova che lo

stupor mundi, per quanti delitti abbia commesso,

era un uomo che sulla convivenza tra fedi diverse

aveva saputo andare avanti, e non solo rispetto al

suo tempo.

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Un'illuminante storiella araba.

Ogni parola, prima di uscire dalla bocca di chiunque

dovrebbe attraversare il vaglio di tre porte.

Sulla prima porta sta scritto: è vero?

Sulla seconda porta sta scritto: è necessario?

Sulla terza porta sta scritto: è gentile?

Conosco persone che, se questa storiella fosse

convertita in legge, sarebbero costrette a rimanere

in perpetuo silenzio. E mica per la prima porta:

soprattutto per le altre due.

Catania di notte con eruzione dell’Etna - agosto 2014

LA SICILIA COME METAFORA

Di me come individuo, individuo che

incidentalmente ha scritto dei libri, vorrei che si

dicesse: «Ha contraddetto e si è contraddetto»,

come a dire che sono stato vivo in mezzo a tante

«anime morte», a tanti che non contraddicevano e

non si contraddicevano. La Sicilia come metafora, p. 88

“Il più grande peccato della Sicilia è stato ed è

quello di non credere nelle idee, qui che le idee

muovano il mondo non si è mai creduto. Ci sono

naturalmente delle ragioni, di storia, di esperienze,

però è questo che ha impedito sempre alla Sicilia di

andare avanti, il credere che il mondo non potrà

mai essere diverso da come è stato. Ora siccome

questa mancanza di idee ormai si proietta su tutto il

mondo, in questo senso per me la Sicilia ne è

diventata la metafora”.

(LeonardoSciascia, intervista RAITVcultura).

A volte mi capita di pensare al mio paese, come si

è trasformato nel tempo, e vedo un quadro che non

mi piace. Amo il mio paese e questo mi dà il diritto

di poterlo criticare; lo faccio nella speranza che

migliori, anche se mi provoca dolore farlo. Il mio

paese sembra in stato di abbandono, basta fare una

passeggiata per i suoi quartieri per accorgersi del

degrado in cui versano; tante case abbandonate al

degrado e all’incuria. Ricordare quei posti pieni di

vita sino a pochi anni or sono, mi fa venire un nodo

alla gola e mi chiedo il perché di tutto questo senza

riuscire a darmi una risposta. Penso che gli

appartenenti ad una comunità debbano vivere a

stretto contatto l’uno con l’altro, ogni via, ogni

cortile deve essere vissuto insieme; la vicinanza

crea solidarietà, si diventa tutti un po’ parenti,

assistiamo invece ad un progressivo allontanamento

tra le persone, si preferisce vivere in estrema

periferia o addirittura in campagna diventando tante

isole. Il lavoro che da noi non è mai stato

sufficiente, oggi è quasi scomparso in vari settori:

agricoltura, edilizia, commercio, artigianato.

Naturalmente a subire di più questa situazione sono

le fasce più deboli e i giovani. Tutto questo nella

totale indifferenza di chi ha amministrato, di chi

amministra e di quelle associazioni locali che

dovrebbero battersi per creare le condizioni per la

socializzazione e la condivisione, organizzando e

suggerendo iniziative da attuare. Anche

politicamente questo paese sembra andare alla

deriva nella totale rassegnazione e indifferenza

generale.

Chi ha governato lo ha fatto senza amore mentre i

cittadini assistevano a questo degrado quasi

disinteressatamente, curando soltanto il proprio

orticello. Ha ragione Leonardo Sciascia; i siciliani

sono convinti che le idee non potranno mai

cambiare le cose, che nulla potrà essere diverso di

come è stato e quindi è normale essere rassegnati e

indifferenti, anche se qualcuno propone ai politici

un cambiamento, un nuovo modo di amministrare

con trasparenza. Odio gli indifferenti.

Sono convinto che vivere significhi essere

combattenti, vedo soltanto persone che sanno solo

lamentarsi, protestare, accusare, recriminare.

Mai qualcuno che si chieda: se avessi fatto il mio

dovere, se avessi combattuto per le mie idee, se

avessi dato l’esempio, se non fossi stato egoista e

indifferente, sarebbe successo tutto quello a cui

assistiamo sbigottiti oggi?

L’indifferenza ha causato sempre dolore e disastri

nella nostra nazione: siamo stati indifferenti quando

i fascisti marciarono su Roma, siamo stati

indifferenti con chi ci ha fatto vivere negli anni di

piombo, siamo stati indifferenti davanti a tutte le

stragi, siamo indifferenti alla mancanza di futuro

per le nuove generazioni e siamo indifferenti al

degrado della politica.

Ecco perché odio gli indifferenti.

Roberto Salvo Castrum Racalmuto Domani

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Nella bandiera siciliana campeggia in bella mostra

il simbolo di una testa femminile con tre gambe

piegate (triscele) e mosse direttamente dal capo.

In araldica questa raffigurazione prende il nome di

trinacria.

La testa rimanda chiaramente alle gorgoni, mostri

della mitologia greca di aspetto mostruoso, ali

d'oro, mani con artigli di bronzo, zanne di cinghiale

e serpenti al posto dei capelli.

Esse erano tre e rappresentavano le perversioni:

Euriale rappresentava la perversione sessuale, Steno

la perversione morale e Medusa (la più famosa,

unica mortale tra le tre e custode degli Inferi) la

perversione intellettuale.

Anticamente il nome della Sicilia era quello di

Triquetra o Trinacria.

Questo perchè, a differenza della classica forma

tonda di tutte le altre isole, la Sicilia ha una

configurazione geografica strana.

E' caratterizzata da tre promontori, Pachino, Peloro

e Lilibeo e tre vertici che quasi istintivamente

rimandano al triangolo.

Ed è probabilmente in epoca ellenistica che la

cultura greca, colma di dei, semidei e mostri

mitologici, coniò il simbolo della gorgone con tre

gambe attaccate direttamente alla testa associandolo

piano piano alla nostra terra ed i misteri che la

avvolgevano (se non sbaglio un tempo la fine del

mondo con tanto di colonne d'ercole erano molto

più vicine alla Sicilia di quanto possiamo oggi

immaginare).

Ma dove trae origine questo simbolo? Ce ne sono

mai stati di simili nella storia dell'uomo? In questo gli studiosi sono concordi nel ribadire che

la trinacria sia un antico simbolo religioso orientale

che rappresentava il dio del sole nella sua triplice

forma di primavera, estate e inverno.

Remote monete (del VI e IV secolo a.C.) lo

testimoniano. Esse provenivano quasi tutte da città

dell'Asia Minore, come Aspendo in Panfilia, Olba

in Cilicia, Berrito e Tebe nella Troade.

Il simbolo si sarebbe quindi diffuso in occidente

attraverso i greci che con le tre gambe marchiavano

diverse monete (a esempio quelle di Atene del VI

sec a.C., ma anche successivamente nelle urbe di

Paestum, Elea, Terina, Metaponto e Caulonia).

In Sicilia, invece, pare essere stato Agatocle (in

Siracusa) ad usare il simbolo sulle monete e forse

(questo dato non è certo) come sigillo personale.

E' solo in epoca romana che la trinacria perde il

suo intrinseco significato religioso per diventare

esclusivamente il simbolo geografico della Sicilia.

In quell'epoca a Palermo la gorgone con tre gambe

appare nel suo aspetto definitivo sulle monete. Ma

al posto dei serpenti, la testa della gorgone è

decorata con tante spighe. Spighe di grano che

tributavano alla Sicilia il suo ruolo di granaio

dell'antico impero romano. Sicilia sinonimo di

fertilità e prosperità.

Ma perchè è stata usata la testa di una gorgone? La domanda che alcuni di voi potrebbero porsi è:

ma perchè, se il significato religioso della trinacria

non c'era più, si continuò ad usare una immagine

mistica come quella della gorgone?

La gorgone, amici miei, è un dettaglio tipicamente

siciliano.

In tutte le altre rappresentazioni, le gambe erano

legate tra loro attraverso un cerchio o un punto.

E la "Trichetria" è fortemente legata alla mitologia

greco orientale. I nostri avi erano soliti decorare

tempi, vasi e case con maschere e raffigurazioni

pittoresche per scongiurare, allontanare o annullare

influssi maligni. Proprio come il gesto delle corna

che noi usiamo per esorcizzare il male.

Per il siciliano doc, religioso e superstizioso per

tradizione familiare, la trinacria è un talismano

portafortuna.

Vogliamo concludere questo articolo spiegando

anche il perché del giallo e del rosso presenti nel

vessillo ufficiale della regione Sicilia.

Il giallo ed il rosso stanno a rappresentare

rispettivamente il coraggio delle città di Palermo e

poi di Corleone, che per prime si sollevarono contro

i francesi durante i vespri siciliani del 1282.

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La Duca il

narratore

della città

Rosario La Duca (Palermo, 22 giugno 1923 –

Palermo, 23 ottobre 2008) è stato uno storico

dell'arte, ingegnere, docente e politico italiano.

È stato considerato il più grande conoscitore della

storia e dell'evoluzione della città di Palermo.

La città ha imparato a conoscerla fin da bambino,

attraversandola a piedi in lungo e largo. Abitava in

via Trieste, zona stazione, e l' asilo che frequentava

era al Papireto, in via D' Ossuna, due chilometri più

in là.

Il padre, un colonnello grand' invalido di guerra, lo

mandava a scuola con il fratello a piedi, in

osservanza dei suoi principi educativi spartani.

E quando i due ragazzini, vedendo i loro amichetti

della buona borghesia che venivano condotti a

scuola in automobile, hanno cominciato a

protestare, il padre li ha presi per mano e li ha

portati nei catoi a guardare da vicino la miseria di

quella Palermo degli anni Trenta.

Catapecchie, ragazzini scalzi, madri che

spidocchiavano le loro creature, tanfo, moccoli al

naso e vestiti a brandelli. «In un attimo ci siamo resi

conto di essere dei bambini privilegiati e abbiamo

abbassato la cresta».

Rosario La Duca, grande storico della città, esperto

d' arte, morto a 85 anni ieri mattina all' ospedale

Cervello dove era stato ricoverato quattro giorni fa,

ci raccontava questo e altri ricordi d' infanzia

intercalandoli con storie di personaggi e di

monumenti.

La narrazione sul sacco di Palermo e su quel che è

scampato al furore della malapolitica scorreva sul

filo della logica stringente di chi tutto sapeva su

ogni pietra della città; i ricordi invece andavano a

venivano come onde sulla riva.

E la voce un po' si incrinava di nostalgia. Quel via

vai dall' asilo per Rosario La Duca è stato l' inizio di

una passeggiata per le vie di Palermo durata oltre

ottant' anni.

Non capiva le migliaia di suoi concittadini che

trascorrono gran parte del loro tempo imbottigliati

nel traffico dentro quelle che lui definiva «scatole di

latta».

Solo la morte ha fermato lo scalpitio del suo passo

lesto. Dal vivere la città è stato naturale il passaggio

al raccontarla. Sono così nati decine di libri che ci

hanno aiutato, ci aiutano e ci aiuteranno a conoscere

la nostra storia, il turbinio di trasformazioni, le tante

stratificazioni che collocano un manufatto sopra un

altro e un altro ancora, cambiando continuamente i

connotati urbanistici.

Da "Palermo felicissima" scritto con Sciascia a "Da

Panormus a Palermo".

E ancora, i tre volumi de "La città passeggiata", gli

altri della collana "Palermo ieri e oggi", "La città

perduta", un atto di dolore per gli scempi edilizi, e

una sfilza di altri titoli.

Il professore, ex docente di Storia dell' architettura,

oltre a scrivere libri ne ha collezionati migliaia, che

ha sistemato negli otto stanzoni della sua tana che si

affaccia su piazzetta Santo Spirito, al Cassaro.

Un tempio dove viene venerata la storia di Palermo

e della Sicilia. Preziosi testi antichi e opere

moderne.

Il pezzo forte è la ricca collezione cartografica su

Palermo, centinaia di disegni che marcano le tante

città che si sono succedute nei millenni.

Tutto questo patrimonio, schedato al computer, lo

ha lasciato in eredità alla Facoltà teologica, con i

diritti d' autore, gli arredi, le anfore e ogni altra cosa

che contiene.

Quanta umanità in quella casa.

L' ultima volta che ci siamo andati per intervistarlo,

dopo averci mostrato i libri e le tavole - la più antica

del Cinquecento - ci ha condotto in un cortile sotto

il sole, un giardino d' inverno infoltito da una gran

varietà di ficus. In un angolo, l' orto, basilico e altri

aromi in grossi vasi da cui penzolavano decine di

coloratissimi peperoni.

«Annata buona», fu il compiaciuto commento dello

storico, forse il più erudito vissuto in città.

La visita finì sul limitrofo terrapieno della Regia

Zecca. Fece da cicerone alla sporcizia disseminata:

plastica, cartacce, foglie al vento e materassini.

«Non lo hanno pulito nemmeno quando è passato il

carro di Santa Rosalia», disse con tono indignato.

Era dispiaciuto per quella Palermo che aveva visto

scomparire, seppellita prima da una colata di

cemento e poi dall' incuria di una catena di

amministratori che non l' hanno mai amata. «Sono

vissuto in due Palermo diverse - disse –

La linea di demarcazione tra una e l' altra ha una

data precisa: il 1940.

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Una precede lo scoppio della guerra e l' altra,

completamente diversa, lo segue.

Nella prima Palermo il rapporto tra centro urbano

ed espansione esterna era di uno a uno.

Nella seconda il rapporto si è dilatato a dismisura. Il

cemento ha inghiottito la Conca d' oro».

La sua preoccupazione non era solo per le ferite

paesaggistiche, ma temeva i guai che la spoliazione

del verde avrebbe potuto arrecare. «Dio non voglia -

aggiunse - ma se dovesse capitare un' altra

inondazione come quella del 1931, ci troveremmo

dentro un disastro apocalittico, perché le colline

cementificate dalle costruzioni non sarebbero più in

grado di assorbire l' acqua piovana che scenderebbe

a valle come una valanga».

Aveva provato a fare politica per porre un freno alla

distruzione della Sicilia: eletto nelle file comuniste

all' Ars, deluso da quella esperienza era tornato ai

suoi studi.

Quando gli abbiamo chiesto il perché quel ben di

dio raccolto in tuta la vita fosse destinato in qualche

modo alla Chiesa ci ha dato una spiegazione che

mette a nudo la fragilità delle nostre istituzioni nella

tutela dei beni artistici.

Lo storico aveva bussato alle porte della Regione,

per la quale aveva curato il restauro di Palazzo dei

Normanni negli anni Settanta, ma nessuno era stato

in grado di dargli alcuna garanzia.

Nel frattempo era entrato in contatto con il

cardinale Pappalardo che l'aveva coinvolto nella

ristrutturazione della Facoltà teologica.

Affascinato dalla personalità del prelato e

constatato l' amore con cui nella Facoltà venivano

trattati i libri, ha ritenuto di optare per quella scelta.

Nel testamento, il cui curatore è Ninni Giuffrida, è

specificato che la sua casa-museo deve restare a

disposizione dei cittadini e suggerisce di farne un

istituto di studi teologici.

«Non potevo sopportare l' idea - ci disse - che tutto

quello che amo finisse ammucchiato in qualche

scantinato della Biblioteca regionale».

Scrupoloso fino all' estremo, aveva dettato perfino il

suo necrologio: «è morto un uomo giusto che ha

amato immensamente la sua città».

« Una città non nasce mai per caso. La

configurazione del sito le imprime i propri tratti

indelebili, ma è il rapporto tra l'ambiente e gli uomini

che vi si sono insediati a segnare il destino. »

(Rosario La Duca, Prefazione a Palermo città d'arte)

In Piazza Duomo, a Catania, una statua di un

elefante che sorregge un obelisco egizio prende il

nome di Liotru o Diotru ed è il simbolo della città.

Si narra che il famigerato elefante venne chiamato

Liotru in onore di un mago: Eliodoro, detto anche

Diodoro, Liodoro, Lidoro, ed anche Teodoro.

Eliodoro visse intorno al 725 d.C quando Catania

era una provincia bizantina dell'Impero Romano

d'Oriente. Eliodoro aspirava a diventare il vescovo

di Catania ma non riusciva ad affermarsi. Un giorno

però conobbe uno stregone ebreo, che gli insegnò

arti magiche e lo convertì al giudaismo.

Si racconta che una notte Eliodoro si recò presso il

sepolcro degli eroi ed iniziò ad evocare il diavolo,

grazie a un misterioso scritto che gli era stato

consegnato dallo stregone ebreo.

Satana infine apparve e gli chiese cosa volesse.

Eliodoro gli comunicò le sue ambizioni ed il

demonio rispose: “Se rinneghi la fede in Cristo, ti

pongo a fianco uno della mia corte, Gaspare, che

sarà tuo servo, e ti conferirò poteri magici.”

Fu così che Eliodoro accettò ed ottenne poteri

sovrannaturali. Fu lui stesso a costruirsi

magicamente l'elefante, con la lava dell'Etna.

A cavallo della magica creatura girava per la città,

facendo scherzi e dispetti alla popolazione.

L’elefante veniva utilizzato, inoltre per i suoi lunghi

viaggi da Catania a Costantinopoli. Eliodoro era

veramente perfido.

Si racconta che andasse al mercato e comprasse

tutto quel che gli piaceva, pagando con ori e

diamanti, ma quando se ne andava, i preziosi si

trasformavano in sassi.

Una volta convinse il nipote del vescovo a puntare a

una corsa di cavalli, facendolo vincere.

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Ma al momento della premiazione il cavallo

vincente parlò rivelando che in realtà era Satana

stesso al servizio del mago per lo scherzo, e poi

sparì.

Eliodoro venne per tale ragione condotto in carcere,

ma riuscì a riguadagnare la libertà corrompendo le

guardie con l'offerta di tre libbre d'oro.

Anche questa volta utilizzò una grossa pietra

all'apparenza d'oro, che in seguito riacquistò la sua

forma naturale.

Fu Condannato a morte da Costantino ma nel

momento in cui stava per eseguirsi la sentenza, egli

domandò in grazia una catinella d'acqua: vi tuffò la

testa e sparì misteriosamente, dicendo: " Chi mi

vuole, mi cerchi in Catania ! ".

Nuovamente ricondotto dinanzi al boia per aver

dato fuoco al “di dietro” della moglie di Eraclio, un

ministro di Costantino, Eliodoro, mentre stava per

ricevere il colpo di grazia, si rimpicciolì, entrò per

la manica destra del carnefice e ne uscì dall'altra,

gridando: "

Scampai la prima volta; questa è la seconda. Se mi

volete, cercatemi a Catania! ".

E disparve ancora, facendosi trasportare dagli spiriti

nella inquieta città.

Fu il vescovo Leone detto il Taumaturgo che,

celebrando una messa propiziatoria riuscì a ridurre

il mago Eliodoro in un mucchio di cenere.

Il suo elefante rimase vivo ed è ora simbolo della

città di Catania.

A parte le leggende, si ritiene che originariamente la

statua dell’elefante sia stato oggetto di culto in un

tempio di riti orientali della Città.

Stranamente è poi precipitato dal suo altare ai

primordi del Cristianesimo e venne portato fuori le

mura, dove rimase per più secoli. In seguito dopo

essere stato dimenticato per diverso tempo, venne

ricondotto in città dai padri Benedettini del

monastero di S. Agata e posto ad adornare un antico

arco.

Nel 1508, però, essendo stato completato il vecchio

Palazzo di Città, l’arco venne abbattuto e l'elefante

fu posto sul prospetto della parte nuova

dell'edificio, con la seguente iscrizione:

Ferdinandus. Hispaniae utriusque. Siciliae. Rege –

Elephans erectus fuit a Cesare Jojenio – Justitiario –

MDVII Dopo il terremoto del 1693, l'elefante fu

nuovamente abbandonato, finchè, nel 1727,

l'olandese Filippo d'Orville, trovandosi di passaggio

da Catania, sollecitò che esso venisse innalzato

insieme all'obelisco egizio che adesso lo sormonta

nella famosa Piazza Duomo. Alessandra Cancarè

Nuovo record mondiale di traversata a nuoto

dell’atleta Giovanni Brancato.

A fine agosto il sessantenne medico nutrizionista è

riuscito nella ineguagliabile impresa della traversata

a nuoto pinnato in soli 8 giorni dalla francese Ile

Porquerolles alla costa settentrionale della

Sardegna.

Molte le difficoltà quali la forza del mare, avverse

condizioni meteo e vento intenso, ma Brancato, a

cui non mancano certo determinazione e grinta, ha

percorso bracciata dopo bracciata le 140 miglia fino

all’agognata meta della spiaggia di Stintino.

Un’altra grande prova e uno storico trionfo dello

“Squalo delle Lipari” come è stato ribattezzato il

dott Brancato, Siciliano di natali ora Alassino di

adozione.

PROVERBI E MODI DI DIRE

I proverbi si contraddicono. È in ciò che si cela la

saggezza dei popoli.

Stanisław Jerzy Lec, Pensieri spettinati, 1957

E’ bona donna, ch’idda ca’un parla.

E’ cchì niscìu lu casdararu?

E’ cchiù facili ca lu porcu acchiana la ‘ntinna.

Ed’è lu sali e fà li vermi.

E’ megliu un cani amicu, cà n’amicu cani.

Essiri comu lu scrafagliu ‘nni la stuppa.

Essiri figliu di la gaddina bianca.

Essiri friscu e tenniru.

Essiri scrittu a libru nivuru.

E si li cannola e li maccarruna stuffanu,

figuramunni…….

Fa beni e scordatillu…..fa mali e pensaci.

Fa ca t’agghiorna e non ca ti scura.

Facci senza culuri: o farsu o tradituri.

Facci cunn’è vista è disiata….facci c’hè vista

e schifiata.

Fa cuntu cà vinni.

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Fari beni a ccù nun lu canusci…

facci mali ca mancu lu capisci

Fari oricchi di mircanti.

Fari un trunzu di mala figura.

Fari vidiri li surci virdi.

Fatti ‘ngrata..ca si circata. nun ti fari munnizzedda,

ca ti jettanu cu la cuffitedda.

Fatti ‘nomina’ e và curcati.

Fatti virrutu ca si sirvutu.

Fidarisi è bonu…nun fidarisi è megliu

Figli nichi guai nichi, figli granni guai granni.

Figli nfidili, jenniri sbirri, nori grattalori e mariti

“bboia” a lu capizzu.

Figlia di gatta, si nun muzzica gratta.

Fimmina ca a lu caminari annaca l’anca, si buttana

nunn’è picca cci manca.

Fimmina ca s’impupa e fa tuletta o è

nnamurata o cajorda netta.

Fimmina e ventu…….cancia ogni mumentu.

Fimmina ‘mpiegata, si nunn’è tuccata è

maniata.

Fimmini, fulmini e ‘rrizzittaculu di

puci…sunnu li ‘nnimici di la santa paci.

Finennu l’amuri, resta lu pintimentu e lu

duluri.

Finìu a fetu.

Finìu a schifiu.

Finìu a tri tubi.

Finìu a meccu cunfusu…o megliu:

cù acchiappa un turcu è sò. *

Finu a quannu c’è hiatu, c’è spiranza.

Focu di paglia.

Frati e soru finu a quannu su schetti, a la

maritata si notanu li difetti.

Frati, jumi e parrini sunnu tri mali vicini.

Friscu comu li rosi.

Frivareddu è curtuliddu……ma nun c’è cchiù

tintu d’iddu.

Frivaru metti la frevi a li tirrena.

Fuiri nunnè ‘vriogna’…ma sarvamentu di vita.

Fumamu e jemu ‘nculu a lu cuvernu.

Fumu e dannu su malannu.

Fussi ca’ fussi.

Futti e futtitinni.

Futti, futti ca’ Diu pirduna a tutti.

* Enzo Motta ha scoperto che questo detto riguarda

una rivendicazione “sindacale ” che i capibarca

trapanesi espressero al vicerè spagnolo, che

pretendeva di avocare alla corona i berberi da loro

catturati.

Un brano da

"L'arte di

Annacarsi"

di Roberto

Alaymo

...C’era un

pasticcere

palermitano,

tale Gulì, che

alla fine

dell’Ottocento

decise di

specializzarsi.

Nel suo laboratorio di corso Vittorio Emanuele si

mise a produrre quasi esclusivamente frutta candita.

Come molti siciliani di tenace concetto, aveva

deciso di contraddire l’opinione più radicata.

Allora come oggi, tutto il mondo nutriva nei

confronti della frutta candita un sentimento

comune: la ripugnanza. Non la voleva nessuno.

Se c’era, veniva scartata accuratamente.

Non si conosce il motivo per cui Gulì si convinse

del contrario, che ci fosse all’orizzonte un boom di

richieste per la frutta candita.

Sta di fatto che il suo laboratorio si ritrovò in breve

tempo intasato di zuccata e mandarini imbalsamati.

Col magazzino pieno e sull’orlo della bancarotta,

ebbe un’intuizione che gli consentì di riciclare tutto

quel ben di dio.

Prese spunto da un dolce di origini molto più

antiche, la cassata, quella che oggi viene chiamata

cassata al forno: un involucro di pasta frolla

ricoperto di cannella e zucchero a velo che

custodisce il cuore di ricotta e cioccolato.

Su questa base lavorò di fantasia, imbarocchendo il

tutto con glassa di zucchero, pasta di mandorle e

naturalmente montagnole di frutta candita a fare da

guarnizione.

Libero ognuno, poi, di scartare la decorazione e

assaporare il resto.

Il risultato venne prontamente denominato cassata

siciliana in modo da sbaragliare anche l’ombra della

concorrenza da parte dell’umilissima cassata

originale, che si trovò da un momento all’altro

privata della propria identità.

La fortuna del nuovo dolce e del suo inventore fu

quella di trovare subito un formidabile veicolo

promozionale.

La facoltosa famiglia dei Florio, che a Palermo

ospitava regnanti e aristocratici di tutta Europa, fece

della nuova cassata il suo dono di rappresentanza.

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Questi ospiti partivano da Palermo come altrettanti

involontari testimonial, convinti che quel

coloratissimo coacervo di zuccheri rappresentasse la

Sicilia più vera.

E ne incarnava, invece, soltanto la facciata.

Prodotti tipici siciliani: il gelato di campagna

(storia e ricetta)

Sembra un gelato come tutti gli altri, ma in realtà

non lo è: si tratta del gelato di campagna, dolce

della tradizione siciliana.

A Palermo, ad esempio, viene abitualmente

consumato nel periodo del Festino di Santa Rosalia

e fa capolino sulle bancarelle insieme a calia e

semenza.

Dolce coloratissimo ed invitante già al primo

sguardo, il suo ingrediente principale è lo zucchero

ed ha la caratteristica di sciogliersi in bocca, proprio

come un gelato vero e proprio.

Si potrebbe definire come una sorta di torrone

tenero e solitamente è a tre colori, che richiamano il

tricolore.

Oltre allo zucchero, tra gli ingredienti principali c'è

anche il pistacchio, che gli conferisce il tipico

colore verde (più o meno brillante), mentre bianco e

rosso sono ricavati da coloranti vegetali.

A completare la bontà del gelato di campagna

contribuiscono mandorle, cannella e frutta candita,

altri sapori tradizionali della Sicilia.

Il gelato di campagna è di origine araba; in seguito,

venne preparato nei monasteri (cosa che accadeva

spesso per i dolciumi) e si diffuse molto nel 1860,

per acclamare l'arrivo di Garibaldi e l'annessione

all'Italia.

Da allora, è sempre presente e inconfondibile, in

tutte le feste popolari.

Nel corso del tempo, questo prodotto tipico

siciliano si è aggiornato, ha cambiato colore e si è

affinato nell'aspetto, ma non ha per questo perso il

suo legame la tradizione, rimanendo sempre fedele

alla sua versione originale.

Ingredienti:

zucchero 1 kg

pistacchio 100 gr

mandorle macinate 150 gr

mandorle sgusciate 150 gr

acqua 100 gr

cannella q.b.

frutta candita (a piacere)

coloranti vegetali

Procedimento:

Per preparare il gelato di campagna, mettete in un

tegame l'acqua e scioglietevi lo zucchero: portate ad

ebollizione e continuate a rimescolare. Quando lo

zucchero farà il caratteristico "filo", aggiungete le

mandorle macinate e continuate a mescolare.

Unite anche le mandorle intere, i pistacchi, la frutta

candita a dadini e la cannella. Dividete il composto

e coloratelo con i diversi coloranti vegetali, quindi

sistemate le diverse parti in un unico stampo dalla

forma affusolata, che va posto in frigo per 12 ore.

Togliete dallo stampo, tagliate a fette e servite.

Dal sito medicinaedialogo curato dalla dott.sa

Maria Vittoria Brizzi Tessitore

Capire l'insonnia

L’insonnia, considerata uno dei mali del secolo, è

un disturbo notevole visto che il sonno è una

necessità non soltanto assoluta ma anche istintuale

dell’organismo. Se tale esigenza non viene

soddisfatta può costituire una minaccia per la salute.

Il numero delle persone che ne soffre è altissimo

come pure quello di tranquillanti, neurolettici,

ipnotici tesi al trattamento.

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Accenniamo ai diversi periodi della vita umana.

Capire l’insonnia del neonato è competenza, oltre

che del medico, anche dei genitori, della madre in

particolare visto il rapporto solitamente privilegiato

che ella ha con la propria creatura.

Quest’ ultima può opporsi all’allontanamento sia

fisico che psicologico della mamma rifiutando, non

soltanto di nutrirsi ma anche di riposare.

Una maternità rifiutata, sia apertamente che

nell’inconscio, può creare nel bambino degli

squilibri comportamentali duraturi anche nel tempo

futuro.

Sono invece, generalmente, considerati soltanto

episodi, i bruschi risvegli dei piccoli durante la

notte.

Mi riferisco al “pavor nocturnus” durante il quale il

bambino si sveglia, urla, si siede sul letto in preda a

stato ansioso e di terrore.

Di solito bastano poche parole rassicuranti per

calmare la situazione ma l’aver constatato un

disagio inconscio nel figlio, farà certamente

meditare i genitori consapevoli. In seguito, durante

l’età scolare e fino all’adolescenza, iniziano a

ravvisarsi nell’essere umano, speranze e

inquietudini che verranno poi allo scoperto durante

la prima giovinezza caratterizzata dalle reazioni più

varie, non di rado violente. Fra turbamenti e sensi di

colpa, il giovane che, per le difese dell’età conosce

di rado una insonnia completa, avrà, comunque, il

sonno turbato e disturbato.

L’inconscio non perdona, emerge sempre anche in

Freud che di inconscio si intendeva, lo ha posto in

una zona limite della coscienza.

Gli adulti e gli anziani, quando sono posti di fronte

agli inevitabili fallimenti della vita possono (forse

più facilmente che nell’età precedente) cadere in

forme depressive. Queste impediranno loro di

riposare.

Se però il loro “io cosciente” sarà aiutato a

esercitare la ragione e a dare per scontati gli alti e i

bassi dell’ esistenza, essi rientreranno nella realtà

che durante la crisi rifiutavano.

Tale rientro sarà un ulteriore investimento sulla

vita, forse anche una sfida all’insonnia. Per

ricominciare da capo.

A qualsiasi età.

Terapia La cura farmacologica, se necessaria, sarà

prescritta dopo la comprensione da parte del

medico, dei problemi del malato e potrà variare,

perciò, di tipologia e posologia in rapporto alla

necessità di ogni singolo paziente.

PILLOLE DI CINEMA

“Belluscone – Una storia Siciliana”,

Protagonista una Palermo popolare che si nutre di

mafia, di musica neomelodica, di mezze frasi e di

feste di piazza - il nuovo film di Franco Maresco,

prodotto da Rean Mazzone e dalla sua Ila – Palma.

Diciamolo subito, giusto per fugare ogni dubbio: il

film è bello, a tratti geniale, ma la bravura di

Maresco è nota e Belluscone non è altro che una

sintesi di un modo di fare cinema a cui il regista

palermitano ci ha abituato da anni.

O meglio, ha abituato il suo pubblico.

Che fino ad ora non è stato mai numeroso.

Adesso, con questo film lo diventerà senz’altro un

po’ di più e il segreto sta nel titolo, dedicato a

Silvio, e in una spolverata berlusconiana qua e là,

che conferisce alla pellicola mareschiana quel

lasciapassare d’immagine, che l’ha fatta salutare al

Festival del cinema di Venezia con un tripudio di

applausi.

Insomma, in parole povere, l’intelligenza di Franco

Maresco ha saputo dare ad un film dei suoi la

lettura berlusconizzante, che in un Paese come

l’Italia è il miglior modo per diventare visibili.

E infatti, per adesso tutti (o quasi) ne parlano.

Ovviamente dal centrodestra piovono le solite,

scontate, critiche. Da parte delle macerie di sinistra,

invece, arrivano parole d’elogio all’indirizzo del

regista e del suo lavoro. Insomma, tutto secondo

copione.

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Ma il palermitano Maresco i copioni li stravolge.

E così, il film è l’occasione non tanto per ricordare

la solita storia dei presunti contributi di Stefano

Bontade e della mafia palermitana all’ascesa dell’ex

Cavaliere di Arcore (quella è la cornice), ma per

tratteggiare il rapporto che con lui ha avuto da

sempre il popolo palermitano, un rapporto misto di

idealizzazioni e speranze, di osanna e di protezione.

Insomma, “Silvio santo subito”, come recitava un

cartello in uno dei meeting palermitani di Forza

Italia del “bel tempo che fu” non è una boutade, ma

quello che pensavano in tanti. E c’erano i sorrisi

rassicuranti dei Miccichè e dei Cammarata, quando

Angelino Alfano e l’ultima generazione di azzurri

non erano manco nel grembo di mammà.

Ed eccezion fatta per la parte interpretata nel film

da Tatti Sanguineti, sono due gli attori d’eccezione

in questa pellicola.

Uno si chiama Marcello Dell’Utri, che con

Berlusconi è stato il fondatore di Forza Italia:

l’inseparabile amico palermitano di Silvio che

mandò da lui ad Arcore Vittorio Mangano ad

accudire la fattoria e i suoi figli.

L’altro protagonista, che ruba la scena a tutti, è

Ciccio Mira, impresario di cantanti neomelodici e

organizzatore di spettacoli di piazza nei quartieri

popolari di Palermo.

Maresco è rivoluzionario molto più di quello che la

sinistra ha compreso, perché nel suo film riabilita

Dell’Utri, attualmente ospitato nelle patrie galere,

assegnandogli un ruolo che lo rende simpatico al

pubblico.

L’ex senatore azzurro, infatti, seduto su un trono

comincia a svelare alcuni misteri d’Italia che

afferma di condividere con Silvio, quando il

registratore si rompe per un guasto tecnico e l’audio

va via. Insomma, un banale guasto diventa

un’occasione mancata per scoprire alcuni celebri

buchi neri della storia democratica del nostro Paese.

E Dell’Utri vola nell’Olimpo del cinema, come

colui che da palermitano si presta a giocare il ruolo

assegnatogli dal regista, molto più intelligente

rispetto agli isterici piagnistei dei dirigenti

forzitalioti di oggi.

Ma Ciccio Mira è il re incontrastato del film. È lui il

vero protagonista, altro che Berlusconi. Pontifica

sulla mafia a mezze parole, legge i messaggi “agli

ospiti dello Stato” che parenti e amici dei detenuti

gli consegnano durante i concerti nelle feste di

piazza, viene intercettato mentre parla con un boss

del mandamento mafioso di Porta Nuova e non fa

mistero delle sue idee, quando dice che la vecchia

mafia, quella di una volta, era altra cosa rispetto a

quella di adesso. Per non parlare delle trasmissioni

sull’emittente Tsb dedicate ai nuovi talenti della

musica partenopea. Insomma, un istrione.

Un grande attore consumato di se stesso, che

interpreta se stesso nel migliore dei modi, bucando

il video nell’interpretazione-verità tanto cara al

regista fin dai tempi in cui faceva coppia con

Daniele Ciprì.

Insieme a Mira ci sono anche i cantanti neomelodici

a raccontare se stessi. E a litigare fra loro.

Ma tanto poi ci pensa il duo Ficarra e Picone a

“mettere pace”. Niente di nuovo sotto il sole. È

Palermo.

È quello che avviene giornalmente in una città che

si nutre di grandi offese, di silenzi, di mezze parole,

di omicidi, di vendette e di strette di mano

chiarificatrici.

E Ciccio Mira è la faccia di questa Palermo, che già

alcuni anni or sono proprio il duo Ciprì e Maresco

avevano dipinto in “Enzo, domani a Palermo”,

raccontando quell’Enzo Castagna, impresario di

pompe funebri e al tempo stesso impresario

cinematografico, finito pure lui in gattabuia per il

solito “errore giudiziario”. In pratica, il “gemello”

di Mira. Quella volta, però, il film non ebbe la

stessa visibilità. Mancava l’ultimo tocco. Mancava

il riferimento a Silvio.

E Berlusconi? Dovrebbe ringraziare e disporre la

messa in onda del film in prima serata su Canale

Cinque. Sarebbe il minimo per ringraziare Franco

Maresco e per far stare zitte le moltitudini di oche

starnazzanti di cui spesso si circonda.

Se ci fosse ancora Dell’Utri al suo fianco, di certo

così sarebbe…

Oltre al prestigioso premio Orizzonti, Belluscone ha

portato a casa il Premio Arca CinemaGiovani e,

solo due giorni fa, il riconoscimento come

migliorFilm della Critica assegnato dal SNCCI,

Sindacato Nazionale Critici Cinematografici

Italiani, diviso con Anime nere di Francesco Munzi

e The Look of Silence di Joshua Oppenheimer

(quest’ultimo insignito in Laguna col Gran Premio

della Giuria).

E in sala? Bene anche su quel fronte.

Grande successo alla prima nazionale al

Nuovofilmstudio, dove Tatti malgrado una brutta

frattura, non ha voluto mancare per presentare e

commentare il suo film, raccontando del back stage

e delle difficoltà della produzione.

Mentre malgrado un modesto impegno della

distribuzione il film indipendente sta riscuotendo un

notevole successo Una riprova dello spazio che il

Cinema deve ritagliarsi nel panorama del grande

spettacolo italiano.

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Diamo il benvenuto al Capitano di Vascello,

Vincenzo VITALE, nuovo Comandante della

Capitaneria di Porto di Savona.

Milazzese, come il nostro indimenticato Stefano

Bertè e come il grande Luigi Rizzo da noi

recentemente commemorato.

Un altro benvenuto al nuovo Comandante della

Compagnia dei Carabinieri di Savona il Cap. Dario

RAGUSA, agrigentino e figlio di un compagno di

infanzia del presidente Enzo Motta.

APPUNTAMENTI DA NON PERDERE

NUOVOFILMSTUDIO presenta

Una rassegna di film su AMBIENTE,

ALIMENTAZIONE, STILI DI VITA

Giovedi 2 ottobre L’Economia della felicità

Giovedi 9 ottobre Plastic Planet

Giovedi 16 ottobre Canned Dreams

Tutti gli spettacoli avranno inizio alle ore 21,00

INGRESSO LIBERO

Sabato 25 ottobre 2014, alle ore 16,30 Nella Sala Rossa del Comune di Savona

gentilmente concessaci presenteremo il libro di

poesie del nostro Angelo Guarnieri:

TEMPO NOSTRO

Letture di Bepi Benzo

E’ atteso l’intervento degli autori delle prefazioni

Adriano Sansa, magistrato e poeta e della

psichiatra Grazia Depau

Letture di Bepi Benzo

Venerdì 3 Ottobre alle ore 17:00

OFFICINE SOLIMANO

SALA NUOVOFILMSTUDIO

Asl2 savonese, Comune di Savona, Ministero della

Salute, Ordine dei Medici di Savona, Ordine degli

Psicologi della Liguria, Federazione Italiana di

Sessuologia Scientifica, European Federation of

Sexology

Giovani e sexting: nuove realtà, nuovi problemi,

nuove sfide educative

Il fenomeno sempre più diffuso del sexting (l'invio

di foto e video sessualmente espliciti o di testi a

sfondo sessuale attraverso i nuovi media) fra i

giovani sta ponendo tutta una serie di nuovi

problemi e interrogativi.

In questo incontro rivolto a genitori, insegnanti,

operatori socio-sanitari il fenomeno verrà analizzato

alla luce delle più recenti indagini nazionali,

mettendone in luce i pericoli, da quelli più evidenti

come il cyberbullismo o l'adescamento on-line, a

quelli più nascosti, poiché dietro a comportamenti

apparentemente liberi e volontari può celarsi una

pressione e un condizionamento che risulta

particolarmente accentuato - e sofferto- per il sesso

femminile. Si discuterà sulla necessità di un'azione

educativa di fondo che consenta ai giovani da un

lato di sviluppare la consapevolezza dei rischi,

dall'altro di rafforzare le capacità personali e

interpersonali necessarie per vivere le relazioni

sentimentali e sessuali in modo costruttivo e

responsabile.

Relatore:

Dott. Piero Stettini (Psicologo psicoterapeuta

Centro Giovani ASL 2 Savonese, Docente di

Psicologia Generale e Psicologia Clinica presso

l'Università di Genova e Professore al Master di

Sessuologia Clinica di II livello presso l'Università

di Pisa).

Sarà presente personale esperto della Polizia di

Stato (Specialità Polizia Postale e Comunicazione).

Santuzzo