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Anno LVI - Mensile n. 3/4 Marzo/Aprile Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma 2009 cenacolo aperto

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Anno LVI - Mensile n. 3/4 Marzo/Aprile Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

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cenacolo aperto

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4 EditorialeDonne appassionatedi Giuseppina Teruggi

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Cenacolo aperto, casa dei dubbi e dei sogni

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14Le donne nella ParolaLe donne della passione di Gesù

16Vita consacrata e...Giustizia sociale

Rivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice Via Ateneo Salesiano, 81 - 00139 Roma RM

tel. 06/87.274.1fax 06/87.13.23.06

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Direttrice responsabileMariagrazia Curti

RedazioneGiuseppina TeruggiAnna Rita Cristaino

CollaboratriciTonny Aldana • Julia Arciniegas • Mara Borsi

Piera Cavaglià • Maria Antonia ChinelloEmilia Di Massimo • Dora Eylenstein

Laura Gaeta • Bruna GrassiniMaria Pia Giudici • Palma Lionetti

Anna Mariani • Maria Helena MoreiraConcepción Muñoz • Adriana NepiLouise Passero • Maria PerentalerLoli Ruiz Perez •Rossella Raspanti

Lucia M. Roces • Maria Rossi

Traduttricifrancese • Anne Marie Baud

giapponese • ispettoria giapponeseinglese • Louise Passero

polacco • Janina Stankiewiczportoghese • Maria Aparecida Nunesspagnolo • Amparo Contreras Álvarez

tedesco • ispettorie austriaca e tedesca

EDIZIONE EXTRACOMMERCIALEIstituto Internazionale Maria Ausiliatrice

00139 Roma, Via Ateneo Salesiano, 81c.c.p. 47272000

Reg. Trib. Di Roma n. 13125 del 16-1-1970Poste Italiane S.p.A.

Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46)

art.1, comma 2 - DCB Roma

n. 3/4 Marzo Aprile 2009

Tipografia Istituto Salesiano Pio XIVia Umbertide 11, 00181 Roma

ASSOCIATA ALLA UNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

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36Giovani.com Lunga vita al re dei videogames

39Scaffale sitiRecensioni siti web

40Video Once

42ScaffaleRecensioni video e libri

45LibroRoma due del mattino

46 CamillaDalla teoria alla pratica

18Ecumenismo La grande speranza

20Filo di AriannaOltre il dubbio

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28Cooperazione e sviluppoIl microcredito per la qualità

30 PastoralmenteGiovani: nel tempo e nello spazio

32PolisDonne in nero

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ANNO LVI • MENSILE / MARZO APRILE 2009

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casa del senso – le intuizioni maturate duranteil Capitolo e consegnate ad ogni FMA.Diventare donne appassionate può essere unatra le molte risposte. Donne che sanno legge-re l’Oltre in se stesse e nella realtà di tutti igiorni. Senza rassegnarsi alla ripetitività, anchequando le persone, i gesti, gli orari, gli eventisono sempre gli stessi. Un cuore appassionatoè letteralmente pervaso di amore, sa sperare,sa scoprire nelle vicende usuali il germe delnuovo nascosto che può venire alla luce.

“Che cosa vi ha colpito maggiormente duran-te il Capitolo?”, è stato chiesto ad alcune dellepartecipanti. “Le 193 capitolari erano donneappassionate – questa una risposta - chehanno partecipato a tutto: riflessione, pre-ghiera, dibattiti, ricreazioni, gite. Hanno dimo-strato un grande amore all’Istituto anche attra-verso espressioni differenti e discordanti!”. Forse nelle nostre comunità abbiamo bisognodi immettere fremiti di passione - passioneper Cristo e per i giovani - pur con le nostredifferenze; di rendere ogni giornata un’op-portunità di cose inedite e buone, costruendoponti di speranza e di novità. Questo, nessu-no lo decide per noi: lo scatto di partenzaviene solo dalla scelta libera di ciascuna.Così hanno fatto le donne di Gerusalemme alseguito di Gesù fino al compimento della suapassione. Prima fra tutte Maria, rimasta inpiedi presso la croce.

[email protected]

Donne appassionateGiuseppina Teruggi

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Nella conclusione delle Linee orientative dellamissione educativa si legge che “la casa delsenso è la vita quotidiana”. Nella quotidianità,infatti, più che nello straordinario si gioca l’im-pegno per la vita, per costruire il futuro, per rea-lizzarsi come persone. Lì è il luogo in cui ilsegno può tradursi in espressione concreta cherende visibile un valore. Proprio nel quotidianotroviamo il senso dell’essere, del fare, dellescelte di ogni momento. La nostra vita si costruisce normalmente sucose semplici, sull’amore ricevuto e donato,sulle relazioni, sulla fatica, a volte sul dubbio osulla speranza. Chi ha cuore e occhi limpidiscopre nel dono di ogni giorno motivi per rin-novarsi, per scoprire l’inedito nei suoi risvoltidi sorpresa gradita o di disappunto amaro.

Il Capitolo generale XXII ha coinvolto in modoattivo ogni FMA e ha creato attesa di novità.Navigando sul sito web dell’Istituto, tra lepagine del Forum, si leggono espressioni chedicono desiderio di aria fresca per le nostrecomunità. Le stesse capitolari si sono chieste:quale novità possiamo offrire alle sorelle, aigiovani, ai laici che condividono la nostra mis-sione? Questa rimane una sfida per ognuna,una provocazione ad aprire cammini di futuroda tradurre nel quotidiano.

Il presente numero del DMA permette di intra-vedere delle risposte a questa sfida e introdu-ce alla riflessione sulla responsabilità di ciascu-na di assumere e portare nel quotidiano – la

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Cenacolo apertocasa dei dubbi

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Abbiamo temuto che l’espressione sinte-si dell’assemblea capitolare “Più grande ditutto è l’amore” diventasse uno slogan, qua-si un vino nuovo in otri vecchi. La serie diimpegni che ci venivano proposti era infi-nita. Forse non riuscivamo a intuire dietrole parole trasparenti, positive di chi al Ca-pitolo c’era stato, il processo di elaborazio-ne avvenuto anche attraverso divergenze,discussioni, confronti. Qualcuna si aspettava qualcosa di nuovo.Quello che ci dicevano sembrava, invece,ripetitivo. L’avevamo sentito altre volte. Si trattava diuna semplice cronaca o c’era dentro la pro-blematicità dell’esistenza? Le capitolari erano state all’interno di un ce-nacolo chiuso a vivere la comunione fra diloro o si erano lasciate ferire dalla vita del-la gente, dalle problematiche mondiali,dalle crisi in atto?Quando poi ci sono giunti gli Atti del Capi-tolo, attraverso la presentazione della Ma-dre, abbiamo cominciato a individuare il filorosso che ci veniva donato, come il fuoconuovo dello Spirito, cioè l’amore, la dinami-ca più grande di tutte, che apre le porte allavita delle persone e degli eventi.Abbiamo capito che il messaggio non era al-l’insegna della ripetitività, ma della continuitàe dell’approfondimento. E poi, nel cenaco-lo c’era Maria, che accompagnava gli apo-stoli nel cammino difficile, dopo la morte diGesù. E lei, ce l’ha assicurato don Bosco, èancora nelle nostre case, e ci aiuta.

Cenacolo apertocasa dei dubbi e dei sogniGraziella Curti

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Dopo la morte di Gesù, gli apostoli,insieme con Maria ed altri amici, si radunano nella stanza del pianosuperiore, dove hanno celebrato,pochi giorni prima, l’ultima cena.L’atmosfera è piuttosto bassa, c’è paura in tutti, vengono chiuse le porte. Più tardi, nonostante il racconto dell’apparizione di Gesù,Tommaso non crede. Di fronte al messaggio delle donne,che parlano di resurrezione, la risposta degli apostoli è di dubbio.Soltanto il vento dello Spiritospalancherà le porte del cenacolo e inizierà la Chiesa.

Sarà vero?

Anche per noi, nelle comunità, che abbia-mo seguito da lontano il Capitolo, ci sonostati momenti di incertezza, di dubbio.Nonostante avessimo la soddisfazione di co-gliere stralci di vita dai video, dalle notiziein diretta, quando abbiamo sentito le ispet-trici e le delegate che ci hanno comunica-to l’esperienza di quei due mesi vissuti al-l’insegna della mondialità e nel cuore del ca-risma, a volte abbiamo provato un senso disgomento. Il confronto fra ciò che ci veni-va trasmesso e la realtà in cui viviamo ognigiorno è stato a volte stridente. Le due cose ci sono sembrate, a prima vi-sta, inconciliabili.

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Una sera, tra sorelle

La Casa “Madre Ersilia Canta”, a Roma, èsede del corso di spiritualità e le sorelle chela abitano hanno la fortuna di avere contattifrequenti con la Madre e le Consigliere gene-rali. Una volta all’anno, in particolare, subitodopo Natale, le Superiore fanno il regalo diuna visita più prolungata in cui è possibile unoscambio di pensieri, la preghiera e una buo-na cenetta insieme.Quest’anno, il tema della condivisione erad’obbligo e la domanda alla Madre e alle so-relle del Consiglio ben mirata: che cosa vi hacolpito maggiormente durante il Capitolo equale speranza avete per il futuro?Le risposte sono venute a cascata, senza pau-se, dichiarazioni diverse, ma concordi.

Le 193 FMA capitolari erano donne appas-sionate, che hanno partecipato a tutto: rifles-

sione, preghiera, dibattiti, ricreazioni, gite…Hanno dimostrato un grande attaccamentoall’istituto anche attraverso espressioni dif-ferenti e discordanti.

Una cosa bella era notare che, nonostantela diversità di posizioni durante il dibattito,di fronte alla decisione presa, non c’era re-plica, veniva accettata in pieno. Le divergen-ze di opinione non hanno mai intaccato lerelazioni personali.

Il fare memoria dell’istituto (attraverso la ta-vola rotonda dell’inizio e altri apporti in se-guito) ha dato tono al senso di appartenen-za ed ha aiutato a confrontarsi sulla realtà del-l’amore preveniente, sempre all’ordine delgiorno nella storia delle FMA.

La centralità della Parola, espressa in parti-colare ad ogni inizio di settimana con l’in-tronizzazione della Bibbia in sala capitola-

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re, ha connotato la ricerca, il confronto, lariflessione, i dibattiti, mettendo ognuna insintonia con il Vangelo.

La volontà precisa, in tutte, di fare in modo chel’essere segno dell’amore preveniente diven-tasse espressione, cioè vita, nel nostro rappor-to in comunità e con i giovani, ha dimostra-to che è soprattutto su questa volontà che sibasa la speranza di una realizzazione del Ca-pitolo nel quotidiano.

L’esigenza di condurre una vita sobria percondividere con i più poveri la crisi econo-mica attuale e l’opzione prioritaria per l’e-ducazione dei giovani più bisognosi è statal’oggetto di un Orientamento tutto centra-to sulla promozione di una cultura solidale,alternativa alla logica capitalista. In questocampo si è andate molto sul concreto: cono-scere il costo della vita; fare scelte da verepovere, solidali con le altre sorelle della co-munità e con i giovani che serviamo.

Il primo Orientamento ha espresso l’esigen-za di tutte che i documenti dell’Istituto (Co-stituzioni; Progetto Formativo; Linee dellamissione educativa; Cooperazione allo svi-luppo), già tra le nostre mani, passino dal-la carta alla vita.

Certamente gli interventi, in quella serata,sono stati ancora più numerosi e carichi dipassione. Ci hanno dato speranza, anche senon tutti i dubbi, le incertezze sono scompar-si. Il seme gettato ha ancora bisogno di tem-po e di pazienza per fiorire. Soprattutto ha bi-sogno di una terra buona che lo accolga e lofaccia fruttificare. E questo pensiamo si stiasperimentando in tutte le comunità.

La terra buona

«Dopo la trasmissione del Capitolo – ha det-to una sorella – credo che il primo passo dafare sia quello di appropriarsi del messaggio,

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ogni di fare sintesi nella propria vita e di cercare di

integrarlo nel proprio cammino personale».E un’altra ha completato: «C’è un secondo pas-so ugualmente importante. Si tratta di condi-videre, di riflettere in comunità per delinea-re la strada da fare insieme in modo che le pa-role: “Più grande di tutto è l’amore” diventi-no pane per tutti». È necessario preparare quella terra buona, dispo-nibile, semplice che rende possibile passaredall’essere segno all’essere espressione.Ma quando una terra è buona?Quando è permeabile, si lascia attraversaredalla pioggia, dalla rugiada, dal sole, da tuttiquegli agenti atmosferici che rendono possi-bile la crescita del seme. È stato detto che l’i-dentità di una persona o di una istituzione nondeve essere immaginata come una boccia dabiliardo, bensì come una spugna dentro un ca-tino dove assorbe l’acqua e interagisce con al-tre spugne. È necessario passare dall’immagi-ne delle bocce, che nella loro rigidità sonopronte allo “scontro”, alle spugne, che nellaloro morbidezza e porosità sono pronte allo“scambio”, alla relazione. Questo vale sottotutti i cieli di un mondo ormai divenuto inter-culturale, complesso. E vale pure nelle nostrecomunità dove si moltiplica la differenza,che esige tuttavia di diventare unità.

Una terra è buona quando accoglie in profon-dità, apre i suoi solchi, ha cura del seme, lo cul-la nel suo seno evitandogli di stare in super-fice dove verrebbe forse disperso. Ugual-mente la terra del nostro cuore è buona se saconservare la Parola, le parole sapienti di chici è vicino e la cui vita profuma di Vangelo.

Una terra è buona quando riconosce la sua mi-norità, cioè accoglie il suo essere terra, chepossiede la potenzialità di far crescere ilseme, ma sa che il potere di farlo fruttificareè solo di Dio. Minorità per noi vuol dire cam-biare il proprio immaginario. Un tempo c’e-

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veri, senza garanzie, entrare a pieno titolo nel-la linea delle Beatitudini. Qui sta il messag-gio di un Capitolo che gioca tutto sull’amo-re preveniente, cioè su quello sguardoche non è centralizzato su sé, ma con dol-cezza guarda a chi ha bisogno, apre gli oc-chi e le orecchie alle domande inespressedi chi gli sta vicino o semplicemente gli pas-

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ra un po’ troppo protagonismo per le FMAnella vita religiosa. Il grande numero dellesorelle, le opere significative, le forze gio-vani, le grandi strutture. Ora è il tempo del-la potatura, della precarietà anche econo-mica, per qualcuna, del non poter fareprogetti a lungo termine. È proprio qui chesi gioca il nostro voler essere vicine ai po-

Hanno detto

Abbiamo chiesto a due sorelle di HongKong, l’ispettrice e la segretaria ispetto-riale (che non ha partecipato al Capito-lo) quali sono i dubbi e le speranze difronte al messaggio della grande as-semblea capitolare.

Suor Elena Miravalle segretaria ispettoriale

Stando a casa davanti al computer ho avu-to l’incarico di trasmettere ogni giorno lenotizie. Prima di tutto devo dire che, sia ioche le sorelle della comunità, non abbia-mo mai sentito un Capitolo generale cosìvicino, così “nostro”. Pur nella gioia di unapartecipazione “a distanza” sono sortidubbi e interrogativi. Sapevamo che nontutte le sorelle sparse per il mondo la pen-sano allo stesso modo, come avranno fat-to a unificare le risposte, le decisioni?Come saranno state le discussioni nellecommissioni? Queste domande hannostuzzicato la nostra curiosità.“Più grande di tutto è l’amore” - L’amore

non si sogna, si vive. Il sogno svanisce, lavita rimane. Ed è quella che vogliamo rea-lizzare, grazie all’aiuto che ci verrà dal CGXXII. Per ora le traduttrici stanno lavoran-do, noi studiamo ancora lo “Strumento dilavoro” che ci permetterà di capire megliola trasmissione. Il sogno è che tutto l’Isti-tuto capisca Chi è l’Amore più grande.

Suor Monica Liu ispettrice

Quali dubbi e interrogativi sono apparsinel tuo cuore?

L’ispettoria si trova nella situazione di granparte dell’Istituto per il calo o mancanzadi vocazioni, personale in età avanzata, sa-lute precaria delle sorelle. Di fronte aquesta situazione, ci vuole fede – certez-za che il Signore opera anche con ele-menti deboli. Ci chiediamo come faremergere e potenziare le poche risorseche abbiamo per poter rispondere alleesigenze delle nuove povertà e richiestedella società, sulla linea del carisma.

Quali sogni puoi ancora fare?Che la nostra vita sia un segno visibile,sia coerente con ciò che proclamiamo,cioè capaci di amarci reciprocamente nel-la vita quotidiana per far nascere nuovevocazioni.

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sa accanto, su quella terra buona che è innoi e vuol far crescere l’amore.

Vivere al confine

In questi ultimi tempi, i contributi di scrit-tori religiosi e laici sono percorsi dalle im-magini della soglia, del confine, della fron-tiera. «Il confine è il luogo propriamente fe-condo della conoscenza» (Paul Tillich). «Lafigura del confine ci chiede di essere assi-duamente indagata. Tanto più oggi che i suoitratti ci sembrano insistentemente sfuggir-ci, sotto l’onda di una geografia in movimen-to che ridisegna di continuo le mappe del-le nazioni, delle immense periferie urbaneche inghiottono i centri» (Gabriella Caramo-re). Chi si situa sulla linea di confine può go-dere di scenari più ampi, può assumeresguardi diversi, può distanziarsi da un’atten-zione troppo localizzata e percepire doman-de e grida inespresse. Il cenacolo era terradi confine. Stava nella città, ma era quasiestraneo ai suoi pensieri, alle sue attese. Ma-ria e gli apostoli avevano in cuore la promes-sa del Cristo, che sembrava, in quel momen-to, inconcepibile. Loro ne affrettavano la rea-lizzazione con la loro speranza. Anche le no-stre comunità dovrebbero essere terra diconfine e ognuna di noi dovrebbe viverecome è scritto nella lettera a Diognetodove si disegna lo stile di esistenza dei pri-mi cristiani: «Vivono nella loro patria, macome forestieri; partecipano a tutto come cit-tadini e da tutto sono distaccati come stra-nieri. Ogni patria straniera è patria loro, eogni patria è straniera. Dimorano nella ter-ra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo.Obbediscono alle leggi stabilite, e con la lorovita superano le leggi. Sono poveri, e fannoricchi molti; mancano di tutto, e di tutto ab-bondano. Facendo del bene vengono puni-ti come malfattori; condannati gioisconocome se ricevessero la vita». Qui sta la “dif-

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Sono già passati mesi dal termine del Ca-pitolo e senz’altro sono state prese de-cisioni per alcune linee da seguire inIspettoria e in comunità. È comunquenecessario confrontarsi con le sorelleper individuare, di volta in volta, la via daseguire affinché possiamo essere davve-ro espressione dell’amore preveniente.Il Cardinale Newman, grande converti-to del secolo diceva spesso questa pre-ghiera che proponiamo per ciascuna dinoi. É espressione di minorità, di fidu-cia e di amore.

Conducimi tu, luce gentile,conducimi nel buio che mi stringe,la notte è scura, la casa è lontana,conducimi tu, luce gentile.Tu guida i miei passi, luce gentile,non chiedo di vedere assai lontano,mi basta un passo, solo il primo passo,conducimi avanti, luce gentile.

Card. Newman

Dopo la preghiera, che è divenuta an-che un canto, proviamo a raccontarcigesti di amore di cui siamo state testi-moni o addirittura siamo state ogget-to nella nostra vita. Chiediamoci qua-li situazioni o persone della nostracomunità educante o del nostro terri-torio vediamo più bisognose di un’at-tenzione d’amore da parte nostra?Come esprimere, in modo concreto,questa attenzione?

Per la condivisionecomunitaria

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ferenza cristiana” e nel nostro caso, la diffe-renza di ogni Figlia di Maria Ausiliatrice chevuole essere “espressione dell’amore peve-niente di Dio”. Fa tutto quello che può non esi-gendo ricompensa, ma amando gratuitamen-te, secondo il Vangelo.Allora il luogo scomodo del confine può di-ventare “ponte di speranza e novità”.

Sulla soglia

“Meglio stare sulla soglia della casa del mioDio che negli atri delle case dei potenti” (Sal-mo 84,11).L’espressione del Salmo presenta in modo pla-stico l’atteggiamento di chi vive la minorità,non cerca appoggi forti, ma si fida di Dio. Stasulla soglia del Tempio come il pubblicano,consapevole della sua piccolezza. Il confineci permette di guardare meglio fuori della co-munità, la soglia ci consente un’attenzione aivicini, a coloro con i quali condividiamo i no-stri giorni. Infatti, come annota una scrittricecontemporanea, la soglia è un’immagine«più mite, più domestica. Che designa un li-mite più familiare. Accade che dentro lemura si erigano barriere invalicabili. Perché ,alla fine, più che le frontiere tra gli stati, sonoquelle dentro di noi le più invincibili, le piùaspre da superare, le più inflessibili da apri-re. Ma sulla soglia, ecco, è possibile sostaree imparare l’esercizio dello sguardo e dell’at-tesa, del confronto e della pazienza, della sop-portazione e dell’accoglienza». Un gruppo dilaici, interrogandosi sulla comunità, ci rega-la un suggerimento che ci serve per attuareil messaggio del Capitolo: «Oggi la comunitàè intrinsecamente plurale e richiede sceltepersonali e consapevoli da parte di tutti i suoipartecipanti. Apriti cuore e be kind, sii genti-le: bisogna ridirselo ogni mattina appena si met-te il piede giù dal letto. Altrimenti la comunitànon ci sarà». Questa visione laica non è lonta-na da quanto ci stiamo proponendo per vive-

re l’espressione dell’amore preveniente, pervivere la minorità evangelica che ci fa accet-tare l’altro per quello che è, come dono.Allora “stare sulla soglia sarà come avere unpiede nel Tempio e un piede sulla strada, cioècercare l’unità tra la liturgia cultuale e la litur-gia della vita, la presenza a Dio e la presenzaai fratelli” e alle sorelle.

Insieme con Maria, la madre di Gesù

Nel Capitolo, è stata molto evidenziata lapresenza di Maria. A questo proposito, laMadre, nella Presentazione degli Atti,scrive: «Il Capitolo è stato come un gran-de Cenacolo caratterizzato dall’attenzio-ne allo Spirito e dall’ascolto alla realtà conil cuore credente di Maria».Gli esegeti parlando di questa presenza, cheè l’ultimo riferimento esplicito marianodella Scrittura, dicono che «rivela il reali-smo di una preghiera che accompagna lavita nell’attesa dell’adempimento dellepromesse del Figlio, nella perseveranza delgiorno dopo giorno, nella comunione deicuori e nella supplica ardente per la disce-sa dello Spirito». Maria è la donna che hacomposto il cantico del Magnificat e la cuifede non è stata vinta dal dubbio e dallapaura, nonostante la morte crudele del Fi-glio. È la donna che esulta nel rivelare il vol-to di un Dio misericordioso, forte, chino adascoltare il grido dei poveri, di quelli chesoffrono. È la madre che ha uno sguardo lu-cido sulla storia e sugli eventi. Nel Cenaco-lo, come a Cana, compie il suo servizio dimediatrice. Dissipa l’incertezza, la paura an-che nostra e ci accompagna per vivere il suo“inedito”. Siamo sue figlie, quindi in qual-che modo le dobbiamo assomigliare.

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Approfondimenti biblicieducativi e formativi

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di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalem-me uno spirito di grazia e di consolazione:guarderanno a colui che hanno trafitto. Nefaranno il lutto come si fa il lutto per un fi-glio unico, lo piangeranno come si piange unprimogenito. In quel giorno grande sarà il la-mento in Gerusalemme» (Zc 12,10-11).Gesù, benché in preda a sofferenze atroci,ha orecchi, occhi e cuore per queste don-ne. Egli ha sentito fra tante voci brutali, quelcoro femminile e si volta, le cerca con losguardo annebbiato dal sangue e rivolgeloro parole di conforto. Ahimè non sono pa-role che vorremmo udire. Dio non conso-la con parole prese in prestito dal nostrocuore, ma consola con la sua Parola, la suapromessa. Gesù, infatti, cita la scrittura in-dirizzandosi a queste pie donne. L’espressione «figlie di Gerusalemme» ricor-re soltanto qui nel Nuovo Testamento esembra evocare il Cantico dei cantici dovericorre più volte. Lo Sposo, il Messia, è orain cammino verso la prova suprema e il suopopolo lo rinnega. Ma queste donne si dis-sociano dalla folla accusante. Le parole che Gesù rivolge a queste donnesono generalmente interpretate come va-ticinio della distruzione di Gerusalemme esuonano come un pressante invito allaconversione. Egli annuncia alle figlie diGerusalemme che, la città da loro rappre-sentata non accoglierà il suo appello allaconversione, altre e più amare lacrime do-vranno versare. In tal senso, il loro piantorichiama il suo stesso pianto per Gerusalem-me (cf Lc 19,41-44).

Le donne della passione di GesùElena Bosetti

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Le donne, diversamente dai discepoli,non abbandonano Gesù nella sua passione. A partire dalle figlie di Gerusalemmeche lo accompagnano sulla viadolorosa e ne fanno il lamento, fino alle donne sotto la croce con sua Madre, le medesime che osservano attentamente il luogo della sepoltura.

Non piangete su di me

Siamo sulla via dolorosa e qui è l’evangeli-sta Luca che ci informa di un gruppo di don-ne che fanno il lamento sul condannato: «Loseguiva una gran folla di popolo e di don-ne che si battevano il petto e facevano la-menti su di lui. Ma Gesù, voltandosi versole donne disse: “Figlie di Gerusalemme nonpiangete su di me, ma piangete su di voistesse e sui vostri figli. Ecco, verranno gior-ni nei quali si dirà: beate le sterili e i grem-bi che non hanno generato e le mammel-le che non hanno allattato. Allora comince-ranno a dire ai monti: cadete su di noi! E aicolli: copriteci! Perché se trattano così il le-gno verde, che avverrà del legno secco?”»(Lc 23,27-32). Il lamento sul condannato fa parte del costu-me del tempo. Ma qui c’è di più. Si perce-pisce la risonanza della scrittura e in parti-colare il lamento sul figlio unico di cui par-la il profeta Zaccaria: «Riverserò sopra la casa

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Stavano presso la croce

L’ultimo quadro ci ambienta sotto la crocedove, al di là dei dettagli, i Vangeli concor-dano su un dato fondamentale: la presen-za di alcune donne salite con Gesù dalla Ga-lilea. Matteo ricorda in primo piano Mariadi Magdala, Maria madre di Giacomo e diGiuseppe e la madre dei figli di Zebedeo (cfMt 27,56). Marco fa anche il nome di Salo-me (15,40). Sono loro le testimoni della pa-gina più sublime e drammatica della vita del

Cristo, sono loro chene raccolgono le ul-time parole. Presen-za silente e strazian-te, come quella dellaMadre che vede il fi-glio torturato e nonpuò fare alcunché insuo favore. Si com-piono le parole di Si-meone: «A te stessauna spada trafiggeràl’anima» (Lc 2,35). C’èforse un dolore piùgrande per una ma-dre? Come sostene-re, senza morire, untale martirio? E la suastessa presenza nonaumenta forse la tor-tura del figlio? Luiche ha rivolto atten-zione alle pie donne,avrà parole per laMadre?Nel racconto di Gio-vanni le sue ultimeparole sono proprioper lei: «Donna, eccotuo Figlio» e al disce-polo amato, «Ecco

tua Madre» (Gv 19,26-27). Una duplice con-segna del discepolo alla Madre, della Ma-dre al discepolo amato. Nessuna parola daparte di Maria. Lei, che a Gabriele aveva po-sto obiezione, ora semplicemente tace.L’ora del Figlio è giunta e con essa l’ora del-la Donna. Egli associa la Madre nel parto diuna nuova umanità.

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no oggi le persone consacrate a spendere leloro energie nel sociale: «Per la costruzione diun mondo di pace, giustizia, etica e rispetto del-le diverse spiritualità, libero dalle armi, special-mente quelle nucleari; per l’accesso universa-le e sostenibile ai beni comuni dell’umanità edella natura, per la conservazione del nostropianeta e delle sue risorse, soprattutto l’acqua,i boschi e le energie rinnovabili; per la demo-cratizzazione e l’indipendenza della cono-scenza, la cultura e la comunicazione». Ragioni ben sintetizzate da padre Alex Zanotel-li, missionario comboniano con anni di esperien-za tra le baraccopoli del Kenya: «Per cui noi,come credenti, dobbiamo essere in prima filaper un cambiamento che non solo è possibile,ma è necessario, se vogliamo permettere a tut-te le persone di vivere davvero da figli di Dio».Il nuovo ordine sociale che i successivi FSM han-no invocato con lo slogan: “Un altro mondo èpossibile”, diventa per i/le religiosi/e, l’espres-sione laica delle parole di Gesù: “Io sono venu-to perché abbiano la vita e l’abbiano in abbon-danza”. Ben lo diceva anche il missionarioPIME prima citato: «Questo passaggio del Van-gelo di Giovanni (10,10) riassume in sé tutta lanostra missione. Il servizio missionario con i po-poli indigeni promuove il diritto alla vita, in tut-ti i suoi aspetti, il rispetto delle culture e dellereligioni tradizionali, il diritto alla salute, alla pre-servazione dell’ambiente, alla valorizzazionedelle conoscenze dei nativi».I membri di ogni Istituto, secondo il proprio ca-risma, si sentono chiamati ad assumere la cau-sa dei più poveri, delle masse di persone i cui di-ritti fondamentali sono calpestati o misconosciu-

Giustizia socialeJulia Arciniegas

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La crescente globalizzazione ha dato incremento alla valenza socialedella giustizia. Il grido dei popoli negli eventi organizzati dalla societàcivile assume ogni volta di più il carattere della drammaticità. L’impegno delle persone consacrate in questo campo non si fa attendere.

«Non siamo qui per difendere la terra; c’è giàchi la abita da sempre e la difende, pure conmolte sofferenze e ostacoli. Siamo qui per of-frire risposte concrete alle prime necessità deipopoli nativi e, quindi, naturalmente il dirittoalla terra, senza la quale non ci può essere lavita». La voce di padre Nello Ruffaldi, missiona-rio del Pime e membro del Consiglio indigeni-sta missionario (Cimi), arriva limpida al telefo-no dalla redazione del ‘Mensageiro’, rivistadedicata ai popoli indigeni con sede in Brasi-le, a Belém, nello stato amazzonico del Pará.Così ci racconta l’Agenzia MISNA, in uno deisuoi servizi sul Forum Sociale Mondiale (FSM),realizzatosi negli ultimi giorni del gennaioscorso nel cuore dell’Amazzonia. Come mai, cisi può domandare, tra i delegati di oltre 4000 or-ganizzazioni della società civile e più di 3000 rap-presentanti delle popolazioni indigene di 150paesi del mondo, erano presenti anche tanti re-ligiosi e religiose provenienti dai più svariati an-goli del pianeta? Perché sono accorsi a questoevento Gesuiti, Comboniani, Saveriani, Missio-narie della Consolata, Salesiane…?Basterebbe leggere alcuni dei dieci obiettivi delIX FSM per scoprire le motivazioni che spingo-

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ti. Votate radicalmente all’amore, per seguireGesù Cristo più da vicino e collaborare alla suamissione di costruire il Regno di Dio, le perso-ne consacrate cercano di coniugare nella loro vitae missione il binomio: giustizia sociale-carità, tan-to auspicato dalla Dottrina Sociale della Chiesa.Secondo la sua più classica formulazione, la giu-stizia in generale consiste nella costante e fer-ma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò cheè loro dovuto. Dal punto di vista soggettivo lagiustizia si traduce nell’atteggiamento determi-

nato dalla volontà di riconoscere l’altro comepersona, mentre, dal punto di vista oggettivo,essa costituisce il criterio determinante dellamoralità nell’ambito inter-soggettivo e sociale.In questo senso, oltre le forme classiche dellagiustizia: commutativa, distributiva, legale, unrilievo sempre maggiore ha acquisito la giusti-zia sociale, che concerne gli aspetti sociali, po-litici ed economici e, soprattutto, la dimensio-ne strutturale dei problemi e delle correlativesoluzioni. Essa risulta particolarmente impor-tante nel contesto attuale, in cui il valore del-la persona, della sua dignità e dei suoi diritti, aldi là delle proclamazioni d’intenti, è seria-mente minacciato dalla diffusa tendenza a ri-correre esclusivamente ai criteri dell‘utilità e del-l’avere. Anche la giustizia, sulla base di tali cri-teri, viene considerata in modo riduttivo, men-tre acquista un più pieno e autentico significa-to nell’antropologia cristiana che mette in lucel’identità profonda dell’essere umano.Si potrebbe dire che la giustizia sociale è la co-stante e ferma volontà di favorire il bene comu-ne in quanto condizione per sviluppare la di-gnità integrale di tutte le persone.Questa verità permette di aprire anche per la giu-stizia l’orizzonte della solidarietà e dell’amore.Da sola, la giustizia non basta. Può anzi arrivarea negare se stessa, se non si apre a quella forzapiù profonda che è l’amore. Al valore della giu-stizia, la Dottrina sociale della Chiesa accostaquello della solidarietà, in quanto via privilegia-ta della pace. Il traguardo della pace sarà certa-mente raggiunto con l’attuazione della giustiziasociale e internazionale, ma anche con quegli at-teggiamenti che favoriscono la convivenza e ciinsegnano a vivere insieme, per costruire uniti,dando e ricevendo, una società nuova e un mon-do migliore (Cf. Compendio DSC, nn. 201-208).

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«Sono Kim Sung-hwan, gesuita della Corea.Talvolta sento nostalgia per i giorni in cui eroun bambino e la gente del mio villaggio siaiutava l’un l’altra e condivideva l’esistenzaanche se era povera. Con l’industrializzazio-ne però, in molti hanno cominciato a pen-sare che il ‘denaro’ era il centro della vita. Lacondivisione, allora così preziosa, è di fat-to scomparsa.Prima di venire al FSM, conoscevo lo slogan:‘un altro mondo è possibile’. Questa fraseaccattivante mi toccava perché suggerivache l’ethos e i sogni della mia infanzia sareb-bero potuti rivivere. Nel corso del Forum,molte persone provenienti da ogni parte delmondo hanno condiviso gioie e dolori.Personalmente ho ricavato grande consola-zione e gioia nello scoprire che non ero ilsolo, bensì eravamo in molti a sognare ‘unaltro mondo’. Qualcuno ha detto: ‘Il sognodi una persona è soltanto un sogno, ma i so-gni di molti sono già realtà’. Ho avuto l’im-pressione, quindi, che ‘un altro mondo’ siagià nato tra noi qui al FSM».

(Tratto da: SJS Headlines, 2009-01 n°4)

La Giornata Mondiale della Giustizia Sociale siè celebrata per la prima volta il 20 febbraio 2009,dopo la sua approvazione all’unanimità da par-te dei 192 Stati membri delle Nazioni Unite.

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Questo esige una collaborazione nella ricerca del “bene comune” e una sinceraapertura ad accogliere la diversità come“ricchezza”. L’unità è condizione essen-ziale per la pace: è una dimensione fon-damentale della Chiesa, è un’esigenzaprofonda.Gesù ci affida questo compito “come donoe come impegno”, ed esige una testimo-nianza di fede, di comunione, di stima reci-proca. Alla vigilia dell’anno 2000, Papa GiovanniPaolo II ci ricordava che il dialogo richiederispetto e reciprocità in tutti i campi. «Que-sto costituisce una delle preoccupazioniprincipali della Chiesa, soprattutto in Euro-pa che, nel passato, ha visto nascere troppedivisioni tra i cristiani». E concludeva: «Iosono profondamente convinto che nelmondo di oggi, questo è l’imperativo pertutti i cristiani». Ed esortava i giovani a rico-noscere e a valorizzare, con amore frater-no, il contributo delle Chiese cristiane d’O-riente, con la ricchezza delle loro tradizio-ni per una vera comprensione. «Il Papa ècon voi: rifiutate ogni violenza, fatevi pro-motori instancabili di Pace, di armonia, difraternità».

Parola e testimonianza

«Nell’Europa di oggi c’è molto che possia-mo condividere nel servizio del Vangelo». L’ha ricordato Papa Benedetto XVI il 19 gen-naio 2008, durante la tradizionale udienzaalla Delegazione Ecumenica giunta dallaFinlandia, in coincidenza con l’inizio della

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Sogno una Chiesa che porta nel cuoreil fuoco dello Spirito Santo.Una Chiesa appassionata di quell’unitàche ha voluto Gesù. Che apre la Porta Santa della Basilicadi San Paolo fuori le mura e sulla soglia avanza con un Metropolita ortodossoe con l’Arcivescovo Anglicano di Canterbury. Una chiesa in cammino, Popolo di Dio,col Papa che porta la croce pregandoe cantando e, nel cuore, la forza dello Spirito Santo.

Benedetto XVI

Questo è il cammino verso l’unità. Non èun’utopia: è una urgente responsabilità.È una sfida che chiama “tutti” i cristiani adaprirsi allo Spirito di comunione, di un rap-porto sereno che ci coinvolga nella condi-visione dei valori di cui sono portatori an-che i fratelli un tempo da noi “separati”.Così Papa Benedetto XVI ci ricorda, con in-sistenza, che solo l’amore può portare allaconoscenza vicendevole, nel rispetto delledifferenze. Non c’è alternativa. Il dialogo ecumenico è possibile: dobbia-mo continuare a cercarlo e a viverlo nellafiducia, nella verità, nella stima reciproca.Oggi la Chiesa ci chiede un sussulto di ca-rità, nella collaborazione fraterna per rea-lizzare l’“Ecumenismo della Verità”(Eclesiain Europa, 31).

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

La grande speranzaBruna Grassini

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“Settimana di preghiera per l’Unità dei Cri-stiani”(Osservatore Romano).Esattamente cento anni fa: un sacerdoteamericano, “episcopaliano”, Paul Wathson,tornato alla comunione con la Chiesa cat-tolica, dopo un periodo difficile della suavita, celebrò per la prima volta, con i suoifedeli, l’ “Ottavario di preghiera per l’Unitàdei cristiani”. Era il giorno 18 gennaio 1908: una data pas-sata quasi inosservata. Ma da allora l’impe-gno di preghiera per l’unità dei cristiani èdiventata parte integrante della vita di tuttala Chiesa, in tutto il mondo, in un abbrac-cio fraterno, universale.La preghiera di Gesù nel Cenacolo: “Chetutti siano uno”, oggi riveste per ogni cri-stiano un valore essenziale. «In quanto Ar-

tigiani della Pace e della Giustizia – ci ricor-da il Papa – siete presenza viva di Cristo ve-nuto a riconciliare il mondo con il Padre e ariunire tutti i suoi figli ovunque dispersi».«Sono felice – affermava ancora il Papa – disapere che riservate una grande importan-za alla testimonianza nei rapporti fraternicon le altre chiese e comunità ecclesiali. Gli ostacoli nel cammino dell’Unità nondevono spegnere l’entusiasmo, nonostan-te le difficoltà per creare le condizioni deldialogo quotidiano, preludio della pienaUnità. Il fatto stesso di dialogare dimostraun atteggiamento disponibile, aperto all’a-scolto per condividere i problemi, le spe-ranze, nel rispetto della verità nella carità».Leggiamo in un documento della Confe-renza dei Vescovi francesi: «Dialogarecomporta un giusto equilibrio fra ascolto eparola, umiltà e coraggio. La Chiesa ha unruolo privilegiato, promuovendo atteggia-menti di apertura alle differenze, nell’arric-chimento reciproco, nell’incontro che fa-vorisce comprensione e fedeltà, ascolto edisponibilità».Ecumenismo però, scrive Andrea Riccardidella Comunità di S. Egidio, non è soloquesto: «Il dialogo tra credenti è una dellesfide fondamentali di questo secolo».L’Ecumenismo è un cammino: non sappia-mo quanto sarà lungo. Un passo decisivocertamente l’ha fatto il Papa Benedetto XVIquella sera, a Istanbul: Egli si inoltrava ri-spettosamente scalzo, sotto la volta splen-dida della Moschea Blu, ascoltando le pa-role del Mufti che gli faceva da guida e of-friva al Papa una “calligrafia” turca in formadi colomba, e al termine della Liturgia si so-no abbracciati e insieme hanno benedettoi fedeli.

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conti con l’oscurità: non è solo evidenza, èpiuttosto un continuo avanzare e rischiare.Per questo, quando il cielo si annebbia nontemiamo di aver perso la fede!

In un’intervista recente, il card. Carlo MariaMartini ha confidato: “I pesi sono paure, ca-renza di fiducia in Dio. Quando Lui mi ha af-fidato un compito e ho pensato di non es-sere all’altezza … a dire il vero a volte mi èmancato il coraggio. Anche i conflitti han-no talvolta creato difficoltà; non me la sonopresa con Dio, ma gli ho chiesto: sono in gra-do di farlo? Perché devo farlo? Sono io quel-lo giusto?… Ho interrogato Dio come fan-no anche i Salmi: perché deve essere così?Poi mi è stato concesso di sentire ancora chedal dubbio nasce qualcosa di nuovo e di piùprofondo. In un primo momento, quandoquel qualcosa di nuovo non era ancora vi-sibile, è stato difficile. Naturalmente occor-re molta fiducia in Dio, ma spesso si parteproprio dai dubbi, da domande”. C’è una componente positiva del dubbio,passo previo ad una fiducia più consapevo-le e matura. Ma non sempre il dubbio è por-ta aperta alla chiarezza.

Il dubbio amaro

Un saggio dava questo consiglio: “Se inse-gni, insegna a dubitare di ciò che insegni”.Nella didattica, ma anche nell’esperienzaquotidiana, è maestro chi sa suscitare inter-rogativi, chi fa pensare, chi induce a porsiin un’attitudine critica: è la via migliore perradicare in sé, in modo personale e profon-

Oltre il dubbio…Giuseppina Teruggi

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Nella natura esiste, tra i tanti, un fenome-no curioso: quello dei fiumi carsici, corsid’acqua che scompaiono improvvisamen-te, poi a distanza di decine di chilometri ri-compaiono a valle e sembrano sgorgare dalnulla. L’acqua ritorna più abbondante di pri-ma, spesso più limpida e fresca, dopo averpercorso grotte profonde e sotterraneibui. Una metafora per esprimere il vissutoumano quando il dubbio e l’incertezzafanno piombare nell’oscurità e nel vuoto.Ciò che prima era chiaro ed evidente scom-pare. Rimane sconcerto e lacerazione.

Una sfida

Nella vita personale, nelle relazioni comu-nitarie, nella vita stessa della Chiesa e delmondo, ci si imbatte in situazioni in cuisembra di essere ingoiati dal nulla. Il per-corso della fede, in particolare, è segna-to da passaggi oscuri: ne fanno esperien-za uomini e donne di ogni tempo, grandifigure che hanno dato un’impronta allastoria o gente comune che costruisce insemplicità il quotidiano. Louis Evely, teologo francese, ha rilevato che“la fede è un intreccio di luce e di tenebra:possiede abbastanza splendore per ammet-tere, abbastanza oscurità per rifiutare, ab-bastanza ragioni per obiettare, abbastanzaluce per sopportare il buio che c’è in essa,abbastanza speranza per contrastare la di-sperazione, abbastanza amore per tollera-re la sua solitudine e le sue mortificazioni“.Ogni percorso di fede fa inevitabilmente i

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do, idee, conoscenze, convinzioni. È eviden-te che questo non significa dubitare sem-pre e di tutto, ma piuttosto assumere un at-teggiamento di pensosità e di autonomia.

L’atteggiamento di dubbio o di fiducia si as-sume già dai primi anni di vita. È dello psi-cologo Erik Erikson l’intuizione che, nell’e-voluzione dell’identità della persona, sidevono attraversare alcuni stadi precisi disviluppo psico-sociale. Ne descrive otto, apartire dalla nascita fino al termine della vita.Ogni stadio presenta specifiche “crisi evo-lutive” il cui superamento è requisito per ilpassaggio alla fase successiva. SecondoErikson, tra i 2 e i 3 anni il bambino compienotevoli conquiste nelle abilità motorie e re-lazionali e sperimenta un’attitudine di auto-nomia se l’ambiente che lo circonda è acco-gliente e incoraggiante. Ma se è ostacolatoe incontra eccessivi controlli, invece dell’au-tonomia il piccolo può incrementare in séun’attitudine al dubbio come predisposizio-ne negativa per il resto della vita. Già dall’infanzia si possono creare o impe-dire le condizioni per la costruzione di unapersonalità orientata prevalentemente ver-so la fiducia, la capacità di iniziativa e di in-dustriosità, piuttosto che verso il dubbio, ilsenso di colpa o di inferiorità. L’orientamen-to al dubbio può anche essere frutto di scel-te poco avvedute e di situazioni problema-tiche non accettate e mal elaborate.

La riflessione psicologica attuale parla di undubbio saggio che rende la persona capa-ce di profondità e di buon senso, nella con-sapevolezza che nulla è rigidamente pre-fissato, ma tutto è mutevole e spesso im-prevedibile. Ma analizza anche la realtà diun dubbio amaro, quello che “arroventa l’a-nima, ferisce il cuore, disorienta il pensie-ro, compromette l’equilibrio”. Lo sguardosulla storia evidenzia anche la teorizzazio-

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ne di questo tipo di dubbio, fino a render-lo costitutivo della personalità umana. Ildubbio amaro è tormento, può diventareveleno per la propria vita e per quella de-gli altri e, quando penetra nel cuore e nel-la mente, acceca, impedisce di vedere lecose come si vedevano prima, conduce alladepressione e al non-senso della vita.Gli psicologi suggeriscono di imparare asostituire questo tipo di dubbio con unasana incertezza, connessa alla constatazio-ne che “in questo mondo nessuno è per-fetto, chiunque può sbagliare” e le situa-zioni hanno sempre la possibilità di evol-vere in senso migliore.

Dal dubbio alla speranza

Il contesto sociale in cui viviamo, le sceltepolitiche, sociali, economiche prevalenti, in-ducono ad individuare linee di tendenzapoco rassicuranti per il futuro del mondo.Tutto sembra concorrere a rimarcare laprevalenza dell’incerto sul certo, del sospet-to sulla fiducia, della paura sulla speranza.Le voci più frequenti che ci arrivano dai me-dia, e anche dalle considerazioni dellagente, esprimono paura in merito al futu-ro del pianeta terra e della vita umana.Già negli anni ’80, parlando dei giovani, JeanVanier scriveva: «Si sentono impotenti difronte alle enormi potenze che dominanoil mondo. Vent’anni fa i giovani credevanoche avrebbero potuto fare qualsiasi cosa,mentre ora sono convinti che sia impossi-bile fare qualsiasi cosa!».

Nella vita insieme, inoltre, come nelle no-stre comunità, le differenze individualispesso sono accolte con fatica e non sem-pre vissute come opportunità e motivo diarricchimento. In questi anni, con l’affer-marsi delle scienze umane e la valorizzazio-ne della persona, ci stiamo ripetendo spes-

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ti uomini e donne che hanno scelto la spe-ranza, rifiutandosi ad una rassegnazionepassiva. Etty Hillesum, giovane donna ebreamorta in campo di concentramento, hascritto pagine di luce, in un tempo di par-ticolare oscurità. Stralciamo dal suo diario:«Dio mio caro, viviamo tempi angosciosi.Questa sera per la prima volta mi trovosdraiata al buio con gli occhi che mi brucia-no perché, una dopo l’altra, mi sono passa-te davanti le scene della sofferenza umana.Voglio prometterti una cosa, o Dio: è pro-prio una cosa piccolissima: non caricheròmai il mio oggi con le preoccupazioni peril mio domani, sebbene ciò richieda un cer-to allenamento. Ad ogni giorno basta la sua pena... Puoi essere certo che, di quando in quan-do, passerò dei brutti momenti quando lamia fede vacillerà un po’, ma credimi, lavo-rerò sempre per te e ti resterò fedele e nonti scaccerò mai dalla mia presenza…Il gelsomino che si arrampicava dietro casaè stato completamente rovinato dalle piog-ge e dal vento di questi ultimi giorni, i suoifiorellini bianchi galleggiano in pozzanghe-re nere e fangose sul tetto basso del gara-ge. Ma in qualche angoletto, dentro dime, quel gelsomino continua a fiorire indi-sturbato con l’abbondanza e la delicatezzadi sempre. E diffonde il suo profumo attor-no alla casa dove tu abiti, o Dio».

Tempi di oscurità, di dubbio accompagna-no la tua, la mia, ogni esistenza: come i fiu-mi carsici sembrano risucchiare improvvi-samente ogni cosa nel nulla. Ma la nostrafiducia è nell’Oltre. Perchè la Vita ha la for-za di esplodere con rinnovata freschezza efecondità.

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so che “la diversità è ricchezza”. E ne siamoconvinte, ritenendo questo un segno di fu-turo, in considerazione del percorso dellastoria sempre più orientata alla multicultu-ralità, alla compresenza del diverso. Nellostesso tempo, le differenze intrapersonalidiventano talvolta occasione di dubbio,fino a sfociare in atteggiamenti di diffiden-za che creano muri di separazione e di in-comunicabilità. Ad alimentare questa spi-rale, concorre non poche volte la paura, iltimore di affrontare l’imprevisto e il non co-nosciuto. È la paura ad ingabbiarci in una ra-gnatela di dubbi anche sul futuro persona-le e vocazionale del nostro Istituto.

Uno sguardo limpido e libero su di noi esulla realtà ci permette, tuttavia, di scorge-re germi buoni anche in una terra arida e diaccettare le incertezze con realismo, sen-za lasciarsi irretire dal dubbio amaro. E di in-travedere orizzonti aperti di speranza. È ancora il card. Martini, condividendo lasua esperienza, a suggerire questa ottica:«Proprio perché sono timoroso, nel dub-bio dico a me stesso: coraggio! Abramo eraun uomo coraggioso. Quando fu chiama-to da Dio lo conosceva appena. Partì per an-dare lontano e lasciò la sua patria, i suoiamici e la casa dei suoi genitori. Dio lo in-viò nell’incertezza e Abramo partì. Ebbe ilcoraggio di decidere. Insieme ad Abramodico ai miei amici: coraggio! E ne augurodi più a tutti noi nella Chiesa» (Conversa-zioni notturne a Gerusalemme p. 42).

Il nostro è tempo di sfide e di grandi oppor-tunità, ha confermato l’assemblea capitola-re pochi mesi fa. I cammini da percorrerenecessitano sempre più, oggi, di intra-prendenza, di audacia, di fiducia in Dio checontinua ad agire nella storia. Nonostantetutto. Altri momenti storici hanno conosciu-to situazioni tragiche. E sempre ci sono sta-

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GLI ARCOBALENI NON BASTANO

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Vado a scuola in bicicletta, mi piace stare con i miei compagni,

soprattutto con Lucrezia, la mia amica del cuore.

In famiglia sono serena, ho due fratelli più grandi.

Da grande vorrei diventare una pittrice perché so disegnare, o l’attrice, faccio ridere i miei

compagni e potrei fare la comica anche quando avrò vent’anni,

o la postina, perché mi piace andare in giro nel quartiere e una postina conosce davvero ogni palazzo, ogni cortile, ogni casa, deve divertirsi un mondo e fare tante scoperte e conoscenze quando gira per il quartieree poi può cambiare quartiere e ricominciare.

Il mondo che sogno è un mondo più ricco di giochi, che si trovano in tutti i quartieri della città, e anche più pieno di luoghi per i bambini dove possono entrare solo loro.

E poi ho un altro desiderio, un grande sogno.Vorrei vedere più spesso l’arcobaleno, con tutti i suoi bellissimi colori.

Jolanda B., 11 anni

E POI HO UN ALTRO

DESIDERIO...

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Io penso di essere fortunata, perché vivo in una famiglia che ritengo abbastanza perfetta, in quanto ci vogliamo bene […].

Quando però incomincio a guardarmi intorno, mi rendo conto che ci sono troppe cose

che non vanno bene nel mondo.Secondo me, tutti quanti dovremmo riflettere

e renderci conto che non bisogna pensare solo a noi stessi e al nostro benessere,

ma dovremmo pensare più agli altri e aiutare chi ha bisogno.

Vorrei avere una bacchetta magica per cancellare tutte le ingiustizie che ci sono nel mondo.

Roberta B.,10 anni

Dal libro di Francesca Pansa, Un mondo perfettoMilano, Sperling & Kupfer 2008

VORREI AVERE

UNA BACCHETTAMAGICA

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Ogni anno diventano madri 14 milioni di adolescenti costrette

a matrimoni precoci, secondo i dati contenuti nel rapporto 2008

sullo stato della popolazione nel mondo,redatto dal Fondo dell’Onu per la Popolazione

(Unfpa) e presentato il 13 novembre scorso in diverse capitali del mondo.

Il rapporto stima che ci siano 51 milioni di adolescenti o bambine già sposate,

per il 90 per cento di casi nei Paesi in via di sviluppo.

Secondo l’Unfpa, i matrimoni precoci espongono bambine e ragazze

a rischi di sfruttamenti, malattie e povertà.Il rapporto - Punti di convergenza: cultura, genere,

diritti umani - si concentra sui fattori culturali e su come essi incidano nella violazione

dei diritti umani, compresi quelli di genere. L’Unfpa sollecita di conseguenza azioni di politica culturale. Sono infatti proprio i fattori culturali

quelli che non permettono alle donne l’accesso alle cure, all’informazione,

all’istruzione, ai servizi ed alle risorse.Fra le denunce del rapporto, la condizione

delle giovanissime nei Paesi in via di sviluppo è considerata grave ed emblematica. Il rapporto sottolinea come chi si sposa giovanissima

non abbia alcun potere in casa e raramente sia coinvolta nelle decisioni.

Più in generale, il rapporto dell’agenzia Unfpa conferma anche quest’anno la situazione di allarme

in cui vivono nel mondo le donne.

BAMBINECOSTRETTE A MATRIMONI

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Lettura evangelicadei fatti contemporanei

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perativa si provvede all’autosostenta-mento dell’opera stessa.In Africa attività di microcredito sono avvia-te in Zambia, Benin, Cameroun, Costa d’A-vorio, Mozambico, Angola, Repubblica De-mocratica del Congo, Etiopia, Madagascar.Meno significativa, nell’Istituto, è la presen-za di microeconomie-microcredito in Euro-pa, dove esistono alcune esperienze in Al-bania, in Italia e si sta avviando in Polonia.

Il microcredito a Tale (Albania)

Marjana Gjura è la quarta di dieci figli, i ge-nitori sono arrivati da Puka, l’estremo norddell’Albania per cercare un posto più vici-no alla città, sognando un futuro diverso peri figli. Una baracca di cartone sul terrenoabusivo e tanti fratellini da accudire, ma an-che la gioia di poter studiare. Il padre le ave-va dato il permesso di studiare presso lesuore di Shenkoll, con una borsa di studio,ma poi per la mancanza di lavoro del padreha dovuto ritornare a casa.Ora frequenta il Centro di formazione pro-fessionale del villaggio ed è una delle piùassidue.Valmira Çuni, terza di sei figli. Orfana dipapà, ha terminato la scuola media, ora at-tende in casa il matrimonio. La famiglia, povera ma dignitosa: la mammanon lavora, una mucca e alcune galline sonola loro ricchezza. Si ascoltano le ragazze: quanti sogni! Si pen-sa a una pizzeria-byrektore, al forno per ilpane, alla gelateria, alla vendita di detersi-

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

Il processo di diffusione del microcredito nell’Istituto FMA,attualmente, è collegato a benefattori,a fondi di rotazione istituiti nelle ispettorie o al sostegno di ispettorie solidali più che ad Istitutidi microfinanza. L’interesse e la necessità di far fronteagli appelli della povertà e dell’educazione, da parte delle donne,dei giovani e delle famiglie orientamicroprogetti di produzione e di formazione collegati soprattutto a scuole professionali, centri sociali,case famiglia per ragazze a rischio.

Forme di microcredito e di microeconomiesono diffuse un po’ in tutti i continenti. InAsia troviamo esperienze consolidate nel-l’India dove le diverse ispettorie FMA rag-giungono più di 35.000 donne, nelle Filip-pine, in Cambogia, in Vietnam. In questi Paesi ad attività di coltivazioni, al-levamento, piccoli commerci informali siunisce la possibilità di educazione per i fi-gli e di un miglioramento delle condizionidi vita dell’intera famiglia, oltre a favorirel’empowerment della donna stessa.In America Latina esistono microcoopera-tive spesso collegate a case di accoglienzadi ragazze a rischio. In queste opere, mentre si favorisce nel-le giovani l’apprendimento di professio-ni varie, attraverso la gestione della coo-

Il microcredito per la qualità della vita Mara Borsi

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zione totale. Il prestito lo si potrà richiede-re o reinvestire solo quando è restituito to-talmente. I risultati attesi sono il lavoro sicuro per ledue ragazze per mantenere la famiglia, lapossibilità di formarle nell’onestà e alla cit-tadinanza attiva, creare opportunità di lavo-ro, stimolare le mamme a migliorare la cu-cina, a imparare a fare cose semplici e nu-trienti per i bambini.Il sogno è quello di arrivare ad avere un for-no per fornire il pane al villaggio e dare que-sta stessa possibilità ad altre ragazze e gio-vani mamme perché sono la fascia più de-bole e senza voce del villaggio, e perché leragazze offrono maggiore garanzia di se-rietà e continuità nel lavoro.

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vi e alla fine si decide per la produzione dipizza e byrek, anche perché la si potrà of-frire ai bambini della vicina scuola dell’ob-bligo, agli alunni del Centro e d’estate sul-la spiaggia. Marjana e Valmira sono le dueragazze scelte dalle FMA di Tale per avvia-re l’attività attraverso il microcredito. Ilcredito di partenza è di 4.200 euro che per-mette di acquistare il forno per la pizza, laspianatrice, un tavolo, un lavandino e il ma-teriale di consumo: farina, olio, pomodoroformaggio.Gli obiettivi che le FMA si propongono diraggiungere sono educare le giovani allasperanza di poter riuscire, accompagnaree sostenere la prima esperienza professio-nale, fornire un alimento sano ai bambinidel posto, creare opportunità di lavoronel villaggio ed evitare i rischi dell’emigra-zione clandestina. Le ragazze hanno iniziato laproduzione di pizza, byrek edolcetti, e la restituzione delprestito è cominciata dopo iprimi 5 mesi, ogni mese entroi primi 10 giorni e non vienerichiesto nessun interesse. Le difficoltà che fino ad ora sisono manifestate sono rela-tive alla fatica dei genitorinell’accettare il rischio diuna cosa nuova, le resisten-ze del clan familiare, lamancanza di luce, le stradenon in buono stato cheostacolano il trasporto diciò che le ragazze produ-cono. Gli incontri di verificanei primi sei mesi sisvolgono una volta a set-timana, poi una volta almese fino alla restitu-

I programmi di microcredito provvedono piccoli

prestiti a microimprenditori o gruppi di persone chehanno forte necessità di risorse finanziarie per av-

viare modeste attività produttive rurali ed urbanenell’ambito di quella che è stata definita economiainformale. Il reddito che ne deriva viene finalizzato al miglio-

ramento delle condizioni di vita delle rispettive fa-

miglie con un vantaggio diffuso per tutta la comu-

nità locale. Il microcredito, oltre a consentire agli operatori

informali l’accesso ai finanziamenti, promuovepure un aumento delle potenzialità di crescita eco-

nomica e di miglioramento della qualità della vita.(Cooperazione allo sviluppo. Orientamenti per

l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice p. 30-31).

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re cura. Forse, così, i due spazi potranno in-coraggiarsi nella loro crescita, perché “ilmondo è grande, ma dentro di noi è piùprofondo del mare”, recita un verso di Rilke.È spesso lo spazio interno che dona signifi-cato allo spazio esterno e lo fa risuonare innoi, e attraverso la risonanza elimina lefrontiere che costruiamo nei nostri paesag-gi mentali, ci permette di trasformare le fron-tiere in limiti e confini che, come ben sape-vano i greci, sono i punti in cui qualcosa nonfinisce, ma inizia la sua essenza. Inizia il dia-logo vero con i giovani per cogliere comun-que e sempre una domanda di senso, anchese molte volte inespressa. E il tempo? L’esi-stenza è innanzitutto un processo nel tem-po, un essere nel tempo, e l’educazione, inquesto contesto può trasformarsi nella me-tafora della vita, incessante divenire.

Attendere

Una relazione educativa necessita di un rap-porto con il tempo, coniugato con il verbo“attendere”. Si attende la consapevolezzache ciò che accade nella relazione educa-tiva, non sarà mai interamente verificabilenell’immediato, ma si trasformerà in un frut-to a lenta maturazione, “gli esseri umani nonsono nati per morire, ma per incominciare”,ci ricorda Hannah Arendt.Spazio e tempo, per i giovani, hanno unsolo nome: la notte. Una relativa e recente indagine, a riguardo,afferma: «Passando dal senso della notte allavalutazione circa l’effettivo protagonismo

Giovani: nel tempo e nello spazioEmilia Di Massimo

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“La gestione originale e nuova del tempo èuno degli elementi che caratterizza gran par-te del pianeta giovanile… La creatività, l’e-spressione vitale, vengono spese in un tem-po altro che si svolge anche in spazi diversida quelli tradizionali: le discoteche, i centricommerciali, i concerti… Sono i nuovi areo-paghi che segnalano la forte creatività giova-nile… La vita parallela si svolge per lo più nel-le ore notturne, lontano dal mondo degliadulti…” (Linee orientative della missioneeducativa delle FMA, numero 16). Qualesguardo è richiesto a chi vuole educare eraggiungere i giovani là dove essi abitano?È fondamentale nelle relazioni, e a maggiorragione nella relazione educativa, riflette-re sulle due categorie base di spazio e tem-po, non tanto in senso ontologico e filoso-fico, ma in un senso più esperienziale, percontribuire alla messa in atto di quell’occhiosapiente e autoriflessivo di cui la generazio-ne di adulti necessita.Eraclito affermava che “la vera natura del-le cose ama nascondersi”. Sembra proprioessere così, la realtà dei giovani che ama-no vivere la notte e in essa trovano il lorospazio autentico. Forse, più che un’analisi sociologica a riguar-do, occorre riflettere sulla metafora che spa-zio e tempo possono significare, soprattut-to per gli educatori e le educatrici.Non possiamo comprendere lo spazio abi-tato dai giovani senza far emergere l’impor-tanza dello spazio interno inteso come la ca-pacità di imparare a fare spazio anche den-tro di noi, per conoscere, ri-conoscere, ave-

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

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dei giovani nei percorsi della notte, si osser-va una strana ibridazione che nasce dal fat-to che molti dei testimoni adulti intervista-ti percepiscono i giovani contemporanea-mente quali protagonisti e quali consuma-tori. Infatti essi affermano che i giovani sonoprotagonisti in quanto soggetti privilegia-ti a cui sono destinate le varie offerte di con-sumo della notte e in quanto pienamentecoinvolti nel vortice delle attività notturne.In questa valutazione degli adulti si espri-me il tipico paradosso del modello consu-mistico che richiede ai consumatori di es-sere protagonisti dell’offerta loro rivolta ealla cui formazione non hanno minimamen-te contribuito. Questo riconoscimento diprotagonismo spurio da parte degli adultiè forse il modo per evitare di riconoscereche i giovani, nell’attuale temperie sociale,non hanno reali spazi di protagonismonella vita sociale, se non come consumato-ri». Leggendo ciò, bisogna tener conto chequanto affermato è una verità a livellomondiale, fa parte della globalizzazione.La convergenza tra adulti e giovani, riguar-do alla notte, tocca solo i «fatti» e non la lorointerpretazione. Si può dire che adulti e giovani, all’internodi uno spazio-tempo comune, abitino duemondi che se da un lato sono diversi, dal-l’altro sono complementari e che l’unonon può esistere senza l’altro.Oltre le brevi considerazioni fatte, rimanela realtà che la notte è per molti giovani unospazio esistenziale importante, di ricercaspesso fallita di una dimensione di sé piùautentica, di una libertà, di un’autonomiae di un protagonismo che la realtà socialediurna solitamente non offre loro.Questa ricerca, che in un gran numero dicasi si trasforma nella ricerca dello sballo edella trasgressione, è comunque il sintomodi un bisogno di significato esistenziale, di

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scoperta di sé, dei propri limiti e delle pro-prie potenzialità che gli adulti non posso-no ignorare. La responsabilità educativa de-gli adulti richiede di ricercare ciò che c’èdietro determinati comportamenti.

Leggere il vissuto

Occorre leggere nei vissuti dei giovani leloro domande: domande inespresse diprotagonismo e di realizzazione di sé, di co-municazione autentica con gli altri, di signi-ficato della vita e di futuro. Anche se spes-so vengono banalizzate dagli stessi giova-ni, attraverso la risposta che danno ad essee che è fatta in termini esclusivamente con-sumistici, cercando in rituali, comportamen-ti trasgressivi o di rischio e ausili esterni qua-li l’alcool e le droghe, qualcosa che è den-tro di loro e nella loro vita.L’educazione dovrebbe materializzarsi nel-l’offerta di luoghi, di spazi, di incontri conadulti significativi, di memoria e di progettiin cui i giovani possano riappropriarsi inmodo progettuale e da protagonisti della pro-pria vita, esprimendo e sviluppando le risor-se di cui sono portatori. Portatori di semi edi sogni di futuro. La notte è uno dei luoghiin cui oggi sta avvenendo una profonda tra-sformazione della cultura sociale. È quindi unluogo della crisi, un luogo aperto sia alla re-gressione distruttiva che alla evoluzionecreativa. Se essa viene abbandonata nellemani dei mercanti, lo sbocco della sua cri-si appare scontato in senso negativo, men-tre se diviene il luogo simbolico da cui ri-partire per aprire la vita sociale al futuro, of-frendo ai giovani un nuovo protagonismoe una nuova responsabilità, la crisi può pro-durre un salto evolutivo creativo… Ma crediamo che la bellezza del carismache ci è stato donato stia già realizzando ilsogno di tanti giovani!

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

La violenza sulle donne non conosce confini, crea vittime nei paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo. E non conosce differenze sociali o culturali: le vittime e i loroaggressori appartengono a tutte le classi e a tutti i ceti. Secondo il rapporto del “PanosInstitute” è la prima causa di morte,più del cancro e della guerra: un lutto continuo che sembra non trovare soluzione.

Per le donne tra i 15 e i 44 anni la violenzaè la prima causa di morte. Questo datosconvolgente, proviene da una ricerca del-la Harvard University, e fa parte del rappor-to preparato per l’apertura di una sessionedelle Nazioni Unite sulla condizione fem-minile. Raccoglie studi e ricerche sul pro-blema della violenza sulle donne effettua-ti in ogni parte del pianeta da organismi eistituti nazionali e internazionali. Da questo documento emerge la dramma-tica fotografia di una realtà che non rispar-mia nessuna nazione e nessun continente.

Violenza domestica

Secondo l’Organizzazione mondiale dellasanità, almeno una donna su cinque ha su-bito abusi fisici o sessuali da parte di unuomo nel corso della sua vita. E, come si può verificare anche solo apren-

Donne in neroGraziella Curti

do le pagine di cronaca dei quotidiani, il ri-schio maggiore sono i familiari, mariti e padri,seguiti a ruota dagli amici: vicini di casa, co-noscenti stretti e colleghi di lavoro o di stu-dio. In Gran Bretagna, ad esempio, ogni announa donna su dieci viene picchiata a sanguedal partner, marito o amante che sia. In Canada e in Israele è più probabile che unadonna venga uccisa dal proprio compagnoche da un estraneo. In Russia, un omicidio sucinquanta è compiuto dal marito nei confron-ti della moglie. La violenza contro le donne è diffusa persinonelle avanzate democrazie scandinave. Per quel che riguarda il mondo in via di svilup-po, le informazioni si fanno, se possibile, an-cora più drammatiche, ma allo stesso tempodiventa più difficile raccogliere dati precisi, siaperché le indagini statistiche sono meno fre-quenti e accurate, sia per ragioni squisitamen-te culturali. In molti paesi in via di sviluppo, pic-chiare la moglie fa parte dell’ordine naturaledelle cose, una prerogativa maschile ancora in-discussa: in un distretto del Kenia, il 42 per cen-to delle donne intervistate venivano picchia-te regolarmente dal marito.

Le cifre della vergogna

Anche la povertà miete vittime in primo luo-go tra le donne: in Nepal, circa 10 mila ragaz-ze ogni anno vengono vendute dalle famiglieper essere avviate alla prostituzione. Nell’A-sia sudorientale, i trafficanti selezionano le co-munità più deboli, arrivano nei villaggi duran-te un periodo di siccità o una carestia e con-

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vincono le famiglie a vendere le figlie incambio di pochi soldi.Un problema specifico di alcune culture afri-cane è quello della mutilazione genitale, anco-ra ampiamente praticata, ed effettuata quasisempre in condizioni sanitarie abominevoli,senza anestesia e soprattutto su bambine an-che in tenerissima età. Gli effetti sulla salutesono devastanti, e colpiscono le donne inogni momento della loro vita sessuale e ripro-duttiva. Oggi sarebbero 130 milioni le donneche hanno subito questo genere di mutilazio-ne, e i flussi migratori stanno facendo arrivareil problema (e le sue conseguenze) fin nelle ric-che civiltà occidentali.Lo stupro è un’altra piaga che colpisce ogni par-te del globo: i dati dell’Organizzazione mondia-le della sanità fissano tra il 14 ed il 20 per centoil numero di donne che, negli Stati Uniti, subi-scono uno stupro durante il corso della vita. Per-centuali analoghe sono indicate da studi effet-tuati in Canada, Corea e Nuova Zelanda. La vio-lenza sessuale è anche un’arma di guerra, soloda poco riconosciuta come tale dalle leggi inter-nazionali (risoluzione ONU del giugno 2008).

Il volto sfregiato

È il novembre dello scorso anno (2008)quando quindici giovani liceali afgane diKandahar vengono aggredite e sfregiate condell’acido. «Eravamo a metà strada verso illiceo, quando due uomini in motociclettasi sono fermati vicino a noi. Uno di loro ha gettato dell’acido sul viso dimia sorella, ho cercato di aiutarla e hannogettato l’acido anche su di me», raccontaAtefa, 16 anni, dal suo letto d’ospedale.Mentre sul lettino accanto sua sorella Sha-misa, di 18 anni, si contorce e geme in pre-da al dolore con il volto completamente sfi-gurato dall’acido. Le ragazze, erano circa le8 del mattino, si stavano dirigendo verso illiceo femminile ‘Mirwais Nika’, coperte dalburqa, cosa che probabilmente le ha salva-te da guai peggiori. Gli aggressori, dopo averspruzzato loro in faccia l’acido con una pi-stola giocattolo, sono fuggiti in seguitoalle urla delle ragazze. Il gesto non è statorivendicato ma la città meridionale dell’Af-ghanistan è culla e roccaforte dei talebani:nei loro cinque anni di dittatura (dal 1996 al2001), gli studenti del Corano avevanoproibito per legge l’educazione alle donne.L’acido usato è quello delle batterie dellemacchine. Un liquido che in pochi istanticorrode anche il legno. Figuriamoci cosapuò fare sul volto di una persona. Distrug-ge il viso, danneggia la vista e a volte pro-voca anche la cecità. Pure l’udito, la respi-razione e la masticazione sono compromes-si. Spesso, le ragazze colpite non possononeppure muovere la testa per quanto il col-lo è danneggiato. La donna che ha subitoquesto orribile trattamento cessa di esse-re un membro della società. Non può fare alcun progetto di vita. Il suofuturo è vivere da emarginata sostenuta solodalla misericordia dei parenti.

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

Hanno detto

Dichiarazioni di donne impegnate contro la violenza

“Restare unite”, “fare da collante con lealtre donne”, “fare rete”, “fare massa”,“fare informazione con le donne” que-ste le frasi che si sono sentite più spes-so nella nostra assemblea. La violenza sulle donne è un cancro chedivora il cuore di ogni società, in ognipaese del mondo. Sia in tempo di pace che in tempo diguerra, le donne subiscono atrocitàsemplicemente per il fatto di esseredonne. (Amnesty International)

FMA contro la violenza sulle donne

L’ufficio per la promozione della don-na dell’Ambito per la Famiglia salesia-na nelle attività di contrasto al trafficodelle donne e dei bambini, in questi ul-timi quattro anni, è stato coinvolto nel-l’organizzazione, a livello internaziona-le, dei corsi di formazione alle religio-se per contrastare questo fenomenodella tratta, che è una grave violazionedei diritti umani.I Centri direttamente interessati nell’at-

tività di assistenza e protezione delledonne che sono state vittime sono: lacomunità di Via Giulio a Torino e la co-munità di Tirana in Albania. La comunità di Battambang in Cambo-gia lavora nell’ambito della prevenzio-ne delle giovani esposte ad essere ven-dute ai trafficanti. Il centro professionale per le giovanidonne a Cebu nelle Filippine collaboracon le Suore del Buon Pastore nella for-mazione professionale delle giovani.Sempre con questo obiettivo è l’inizia-tiva dell’ispettoria Madre Mazzarellodi Belo Horizonte in rete con il CentroUniversitario FUMEC nel Programma diDifesa alle Vittime della Violenza inCasa iniziato nel 2002. Tutti i centri per le giovani a rischio si oc-cupano di chi ha subito vari tipi di vio-lenza anche in tenera età. I centri lavorano per la ricostruzionedella dignità e il potenziamento socia-le, culturale, spirituale ed economicoper rendere le giovani maggiormenteautonome e superare la vulnerabilità allaviolenza di ogni genere. Le iniziative nell’ambito del potenzia-mento economico attraverso i gruppi diAuto Aiuto (Self Help Groups) che soloin India raggiungono più di 50,000 don-ne. Lo stesso obiettivo è realizzato an-che in altre parti del mondo attraversolo sviluppo dell’imprenditorialità, delmicrocredito e piccole attività redditizie.Come attività di supporto a tali attività,i programmi socio-culturali mirano apromuovere l’autostima e la capacità de-cisionale nelle donne.

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Informazioni notizie novità dal mondo dei media

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I videogames non sono la novità di questi ul-timi anni nell’orizzonte del divertimento deipiccoli, dei ragazzi, dei preadolescenti edadolescenti. L’origine di questi giochi elettro-nici risale a metà del XX secolo grazie a un pro-gramma di computer destinato al gioco degliscacchi. La possibilità di giocare a tennis arri-va più tardi, nel 1958. Circa cinquant’annidopo, la Nintendo lancia sul mercato Wii unainnovativa console che permette ai giocatoridi “saltare” di fronte al terminale video simu-lando partite di boxe, gare di sci e altri sport.

Che cosa è Wii?

Più di due anni dopo l’immissione sul merca-to, il successo di Wii ha superato ogni aspet-tativa. Ormai lo si ritiene la punta di diaman-te nel panorama dei giochi elettronici. Non è stata una sorpresa se Time Magazine haincluso Shigeru Miyamoto, il creatore di Wii e“padre dei moderni videogames”, tra le cen-to persone più famose del 2008.Nintendo, infatti, non si è rivolto ai giocatori tra-dizionali dai 18 ai 35 anni che erano soliti usa-re videogames di lotta o di corse. Si è rivoltoinvece ad un’utenza diversa e questa scelta siè dimostrata vincente: a cinque mesi dal lan-cio sono stati venduti sei milioni di piattafor-me Wii e circa 29 milioni di Wii games.La console è ormai un fenomeno culturale. Ne-gli Stati Uniti, al di là della crisi economica, Wiiè in testa alle classifiche di vendita. Nel novem-bre 2008 ha raddoppiato il fatturato raggiun-to nello stesso mese dell’anno precedente,vendendo più di 2 milioni di piattaforme.

Lunga vita al re dei videogamesMaria Antonia Chinello e Lucy Roces

Quando il Wii venne lanciato a fine 2006 sembrava destinato al ruolo di Cenerentola, fra colossi comela PlayStation 3 della Sony e dell’Xbox 360 della Microsoft.Invece, ha vinto l’immediatezza e la facilità d’uso.Già, perché il successo del Wii sta nel suo controller dotato di sensori di movimento, capace di trasformarsi inracchetta da tennis, e nello schermo tattile del Ds.Perché, quel che conta, spiegano gli esperti del settore, non è la potenza dell’hardware, ma la relazione che si riesce a creare fra uomo e macchina.Ecco perché ci interessa.

Le critiche nei confronti dei videogamessono state da sempre aspre: corruttori dei va-lori morali, ammortizzatori del pensiero, ge-neratori di giovani comodamente abbando-nati sui sofà immersi in un mondo tutto lorodi fantasie pericolose. Erano solo gli ultimi esempi di una correntetesa a generare sospetto nei confronti dellenuove e familiari forme di intrattenimento. In ogni generazione è sempre la stessa storia:i giovani adottano nuove espressioni di diver-timento, gli adulti li mettono al bando. Poi sicresce. Il nuovo media viene accettato e all’ap-parire dell’ennesima innovazione tecnologiail ciclo si ripete.

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE

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Ma la “Wii-mania” non è solo statunitense. An-che in Giappone, 6,9 bilioni di dollari dell’in-dustria di sale giochi femminili è stata soppian-tata dall’avanzare di Wii. È di pochi mesi fa lanotizia in Italia del sorpasso storico della nuo-va console Nintendo. Il mondo dei videogio-chi ha un nuovo re. Dopo più di vent’anni didominio, il leggendario Super Mario Bros perNintendo Entertaiment System deve cedere iltrono al “fratello” Wii Sports.Quello che emerge da una recente ricerca del-la Nielsen sempre negli Stati Uniti è però lacompresenza dei sistemi “tradizionali” conquelli più innovativi. Il videogiocatore cheemerge da questi dati ha quindi più anime e di-mostra come l’arrivo di sistemi originali non si-gnifichi per forza l’abbandono di quelli ormaitradizionali. Oggi, il Wii si presenta dotato di Wi-Fi per l’accesso a Internet e di un’interfaccia dicontrollo, il Wii Remote o Wiimote, che permet-te di entrare nell’azione: i giocatori disegnanoil loro personaggio chiamato Mii che poi ap-pare sullo schermo e ripete i movimenti cheil giocatore stesso simula (come giocare a ten-nis, a golf, mimando un incontro di pugilato).È l’addio al gioco seduti sul divano a spingerebottoni. È il benvenuto nella realtà virtuale.

Non solo per giovani

Quando Nintendo ha lanciato Wii, ha rivolu-zionato l’idea dei videogiochi. Mentre le con-sole tradizionali attirano i giovani maschi con

atteggiamenti antisociali, ilWii sta coinvolgendo personedi ogni status sociale, facendoappello a persone di tutto ilmondo e offrendo loro undivertimento intuitivo, familia-re e amichevole. Donne, geni-tori, anziani sono stati attrattidal Wii. Invece dei giochi di azione edi simulazione anche violen-

ta, stanno promuovendo offerte come MyLife Coach (un gioco per motivare al cambia-mento delle abitudini facendo leva sulla pro-pria volontà) oppure My Word Coach, che aiu-ta i giocatori a migliorare la loro comunicazio-ne verbale e ad arricchire il proprio vocabola-rio in un modo divertente. L’ultimo fruttodella Nintendo è il sistema interattivo di home-fitness, Wii Fit. Questo gioco, basandosi sul mo-vimento fisico, è divenuto popolare anche incampo medico, entrando nel mondo della ria-bilitazione come un’apparecchiatura terapeu-tica digitale. Il concetto nuovo di Wiihab for-nisce metodi di trattamento unici per personecon malattie e problemi fisici o cognitivi comei celebrolesi.

Cosa succede ai bambini?

Sapendo che per i bambini il movimento è vi-tale, alcune scuole, soprattutto quelle localiz-zate in quartieri con pochi spazi di attività al-l’aria aperta, hanno adottato Wii nelle ore dieducazione fisica promuovendo così un ap-proccio non tradizionale ed insegnando ten-nis, baseball, pugilato e bowling. Anche gli insegnanti di musica possono utiliz-zare la tecnologia Wii. La National Associationfor Music Education, riconosciuta come la piùgrande organizzazione di istruzione d’artenel mondo, ha collaborato con Nintendo perun programma di musica Wii. Uno strumento unico per la creatività e l’im-

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fare in classe. Lei spera che usando il Wii, conla sua mistura di informazioni sensorie ecompiti motori e visivi possa aiutarli nelleprestazioni scolastiche.

Quali Wii usare?

È interessante notare come la parola Ninten-do è la traslitterazione del nome della societàgiapponese nintendou. Le prime due sillabe(nin-ten) possono essere tradotte in inglesecome “affidamento al cielo”, dou può essereinteso come la “sala” o il “negozio”. Allo stesso modo in cui noi impariamo ciò cheinteressa il mondo dei giovani, possiamo im-parare ad adattare la tecnologia Wii nelle no-stre opere educative e pastorali per portarei giovani “al cielo”.

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OpenOffice.org (abbreviato in OOo) è una sui-te di proprietà Sun Microsystems. È un softwa-re di produttività personale, un’applicazionecioè che permette ad un utente di un compu-ter di creare dei contenuti quali documenti ditesto, presentazioni o grafici. OpenOffice.orgè la più importante alternativa all’applicazio-ne per ufficio dominante: Microsoft Office. Ilpacchetto è interamente e gratuitamente sca-ricabile dalla Rete (http://www.openoffice.org).Attualmente si è giunti alla versione 2.4.Il pacchetto comprende le applicazioni Writer(word processor); Calc (foglio di calcolo);Draw (programma di grafica vettoriale); Impress(programma per creare presentazioni); Math(editor di formule matematiche); Base (databa-se). È proprio la caratteristica di essere com-patibile con i formati di file di Microsoft Offi-ce (.doc), che dovrebbe attivare un passaggioa questa piattaforma, che è anche in grado dileggere numerosi altri formati come .rtf e

.xhtml. Ultimamente, molte amministrazionipubbliche, anche internazionali, hanno adot-tato questo programma per gestire i rapporticon il cittadino. OpenOffice.org è disponibile in circa 70 ver-sioni linguistiche ufficiali, a cui si aggiungonoprogetti di localizzazione “regionali” come, peresempio, la traduzione nei dialetti della linguazulu sponsorizzata dal governo sudafricano. In particolare Writer, l’elaboratore di testi, è si-mile a Microsoft Word, anche se presenta ca-ratteristiche sue proprie, come la possibilità diesportare i documenti direttamente in forma-to PDF. È anche implementata la funzione diesportazione dei documenti in formato MediaWiki (Wikipedia). Dal 2007 è disponibile comeestensione Sun Weblog Publisher per crea-re/pubblicare Blog. OpenOffice.org invita aprovare a cambiare per contrastare il dominiodi Microsoft Windows sul mercato tecnologi-co, sia hardware che software.

L’ “altra” Rete

Open Office

provvisazione attraverso l’uso del gioco con piùdi 60 strumenti per divertirsi con esercizi di rit-mo, tempo e struttura della canzone. Gli insegnanti di musica possono utilizzare Wiiper far familiarizzare gli studenti con la tecno-logia e contemporaneamente sviluppare le loroabilità creative e di improvvisazione. C’è anche un uso per bambini con autismo. La terapeuta professionista Joan Sauvigne-Kirsch ha vinto recentemente una concessio-ne da un’organizzazione non-profit che sostie-ne l’innovazione in scuole per acquistare unaconsole di Wii per usarla con i propri studen-ti che hanno disturbi di autismo. Lo scopo della sua ricerca è valutare se i gio-chi Wii possono migliorare le prestazioni inclasse degli studenti. Molti bambini con au-tismo hanno problemi di input sensoriali, so-stiene Sauvigne-Kirsch, e questo rende dif-ficile la loro concentrazione sui compiti da

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Sito in lingua italiana e inglese dell’associa-zione umanitaria ONLUS Soleterre che in-terviene all’estero e in Italia per garantirel’applicazione dei diritti inviolabili degli in-dividui. Con proprio personale eroga ser-vizi sanitari ed educativi e garantisce alimen-tazione principalmente a bambini e donneche si trovano in uno stato di povertà asso-luta. Soleterre è impegnata nella creazionedi sviluppo economico e sociale in paesi invia di sviluppo e in paesi emergenti secon-do una logica che parte dal presuppostoche lo sviluppo umano sia legato allo svilup-po economico, sanitario ed educativo.

Sito in Italiano e in Inglese di “Terre deshommes (Tdh) Italia” Onlus, una delle piùattive e riconosciute organizzazioni non go-vernative (ONG) focalizzate sulla difesadei diritti dell’infanzia nei paesi in via di svi-luppo, senza discriminazioni di ordine po-litico, razziale o religioso. È membro dellaFederazione Internazionale Terre des hom-

http://www.tdhitaly.org/chi_siamo.php

http://www.soleterre.org/

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siti

a cura di Anna Mariani [email protected]

mes (IFTDH) con sedi in Belgio, Canada,Danimarca, Francia, Germania, Italia, Lus-semburgo, Paesi Bassi, Spagna, Svizzera, Si-ria e presente con 1.164 progetti in 72 pae-si. Terre des hommes Italia agisce in 22 pae-si e 3 continenti con progetti di aiutoumanitario d’emergenza e di cooperazio-ne internazionale per assicurare i dirittifondamentali dei bambini, in particolareper garantire il diritto al gioco, alla forma-zione, all’istruzione e alla salute.

Sito di Child Workers in Asia (CWA) natonel 1985 come gruppo di supporto aibambini lavoratori in Asia; si proponecome network contenente collegamenti einformazioni tra le associazioni che ope-rano a favore della tutela dei bambini la-voratori, con schede per paese relative al-l’attività, ai progetti e ai documenti prodot-ti, link a siti interessanti, ampia bibliogra-fia sul tema, forum e testi di indagini e rap-porti predisposti dal CWA.

Sito interculturale per lo sviluppo umanosostenibile; all’interno, nella rubrica Guide,si può entrare nella sezione Lavoro infan-tile che contiene link a documenti e orga-nizzazioni internazionali.

http://www.unimondo.org/

http://www.cwa.tnet.co.th/

Segnalazioni di siti interessanti

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Lanciato dal «Sundance» di Redford, «Once» è unfilm indipendente che in America è diventato uncaso: la scorsa estate ha incassato sette milioni didollari, ha conquistato pubblico e critica e ha avu-to gli elogi di Spielberg e Dylan. Girato nel 2006 insoli 17 giorni e costato appena 100 mila euro, que-sto musical dell’irlandese John Carney è uscito inItalia a fine maggio 2008 grazie alla Sacher di Nan-ni Moretti. Vincitore di diversi premi, tra cui unOscar per la migliore canzone Falling Slowly (Ca-dendo lentamente), la «World Cinema AudienceAward» per l’opera che di più colpisce al cuore glispettatori, un Independent Spirit Award per il mi-glior film straniero e il National Board of ReviewAwards 2007. Una pellicola certamente coraggio-sa che decide di mettere in scena un musical in to-tale controtendenza rispetto alle caratteristiche delgenere. Un musical atipico quindi, dal piglio docu-mentaristico, capace di raccontare una piccola gran-

de storia d’amore illibato tra due giovani che s’in-contrano e “si parlano” attraverso la musica. Nona caso, infatti, viene diretto dal trentasettenne re-gista dublinese che per anni è stato bassista del grup-po irlandese The Frames e interpretato da altri dueveri musicisti - Glen Hansard fondatore della bandFrames, e Markéta Irglová, ventenne cantautrice diPraga. Non “recitano” personaggi cuciti loro addos-so, ma si raccontano reciprocamente mettendo inscena il nascere di una serie bellissima di canzoni:le loro canzoni. Un film semplice quindi, ma sen-tito ed ispirato, di cui lo stesso Carney dice: “Na-sce dalla mia personale esperienza. Ai tempi,quando ho scritto il film, vivevo a Dublino e la miaragazza a Londra. Allora mi è venuta l’idea di de-scrivere la storia di un amore a distanza che resi-ste alle tentazioni”.Opera godibile, da ascoltare-sentire. Da amare, nel-la sua limpidezza e spontaneità.

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Mariolina Perentaler

Sì, esistono ancora le canzoni d’amore…

«Difficilmente una storia d´amore contempora-nea potrebbe essere raccontata in modo più au-tentico, delicato e semplice di come la raccon-ta Once» - scrive autorevolmente la critica. Mase far funzionare la storia più vecchia del mon-do, “ragazzo incontra ragazza”non succede ognigiorno, usare uno schema così semplice e uni-versale per ribaltare il rapporto fra il cinema ela musica, asservendo il primo alla seconda sen-za battere le solite strade del musical, è ancorapiù raro. La vicenda è di una semplicità disar-mante. Un giovane suonatore ambulante sta can-tando una canzone d’amore a un angolo di stra-da a Dublino. Una ragazza ancora più giovane

ONCE (Una volta)di John CarneyIrlanda, 2008

si ferma ad ascoltarlo e inizia a fargli domandeintime. «È tua la canzone? L’hai scritta per qual-cuna che ti ha fatto molto male? L’amavi tanto?Hai scritto questa meravigliosa canzone per ri-conquistarla?». I due protagonisti non hanno al-tro nome nel film: sono il Ragazzo e la Ragazza:una soluzione perfetta per un incanto da “favo-la realistica, universale e senza tempo”. Quan-te volte succede che dei passanti s’accorganoche le tue composizioni: 1°- sono originali; 2°-scaturiscono da fatti personali profondamentedolorosi? Lui le racconta che di giorno canta mu-sica non sua, canzoni conosciute e amate dai più.Di sera canta se stesso, in tutti i sensi. Come nel-la più classica tradizione chapliniana, la Ragaz-za è una venditrice di rose ambulante: un’immi-grata ceca che sbarca il lunario. È pianista e vivedi lavoretti umili nella metropoli irlandese. Vi abi-

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ta con la madre e la sua bambina piccola. È se-parata dal marito, molto più grande di lei, rima-sto in patria. Il Ragazzo invece ha lasciato Lon-dra e la donna che lo ha tradito. É ritornato nel-la sua città natale per… guarire le ferite, e dareuna mano al padre, rimasto vedovo, nel labora-torio di riparazioni per aspirapolvere. La Ragaz-za, guarda caso, ha un aspirapolvere rotto da cuinasce un appuntamento. Il Ragazzo è folgora-to dalla sua bravura alla tastiera: le chiede se havoglia di collaborare con lui su alcune canzoni.Sta cercando di mettere insieme un album da re-gistrare, il noto «demo disc» da portare ad agen-ti ed editori musicali, nel tentativo di riavviarela sua carriera interrotta… E così, scena doposcena il film accumula situazioni talmente vero-simili da non interrompere mai la sospensioned’incredulità necessaria per godersi fino in

Raccontare una love-story pudicamenteabbozzata attraverso canzoni autobiogra-fiche, con protagonisti che non hanno al-cuna esperienza recitativa, trattandosi dimusicisti professionisti.

Glen Hansard (il Ragazzo) è capo di unaband irlandese, né lui né la Ragazzasono attori professionisti, ma composi-tori e musicisti di talento che collabora-no “nella vita reale”e realizzano questofilm a bassissimo costo. Intessuto di mu-sica dall’inizio alla fine, i due si diconotutto attraverso le parole e le melodiesenza enfasi. Ma l’azione non si fermamai e, quasi senza accorgersi, l’ascolto

«Alza la tua voce piena di speranza - tu haisofferto abbastanza e lottato contro te stesso.É tempo che tu vinca. Prendi questa barca chesta affondando e vira verso casa…Abbiamo ancora tempo - alza la tua voce pie-na di speranza... Hai la possibilità di sceglie-re, ora ce l’hai fatta!»

Così suonano e cantano nel cuore del filmle note dolcissime della canzone/messaggio.Once non ha nulla di prevedibile né di sen-timentale. È il racconto di due persone cre-

sciute “con le ali rotte”, che si aiutano a ri-prendere il volo. Lei, una giovane profugaarrivata da Praga che pur sembrando unadelle tante anime perse nelle strade dellacittà, nasconde un dono: tesori di sentimen-to e di saggezza nelle dita e nella voce. Scopre per caso e sintonizza subito con ildono creativo dell’altro – il cantautoredeluso e vagabondo. Insieme saprannorealizzare quanto di meglio la vita può so-gnare di raggiungere: “virare verso casa”,la propria!

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Per far pensaremetabolizza l’incanto dell’armonia profonda.I due sembrano fatti l’uno per l’altra, ma l’u-nico amplesso che vivranno è quello creati-vo, in un duetto straordinario: lui alla chitar-ra e lei al piano, cantando Falling slowly. Nean-che un bacio, soltanto un piccolo pezzo di vitaper mostrarci l’Irlanda ‘underground’, quel-la della musica appunto, e del cinema, vissu-ta dal regista. Quella multietnica, invasa da im-migrati dell’Est a portare (ma non a ottenere)ricchezza, umana e non. Le scene per le stra-de di Dublino sono state girate senza auto-rizzazione e con teleobiettivo, così che i pas-santi non si rendessero conto delle riprese egli “attori” non si alterassero per le cinepre-se, fossero ed apparissero “reali”.

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fondo un’opera di finzione. Once è uno di queifilm così delicati e toccanti che a raccontarli sisciupa. Esattamente come succede quando siascolta della musica: bisogna lasciarla scorrerenella nostra mente e nel nostro cuore. Il cuoreè il terzo occhio che l’osservatore è chiamato adaprire davanti a film del genere. È un dato di fat-to che in Once, la fusione fra il “poco” che ac-cade e la piena di emozioni che Carney riescead accendere con un pugno di personaggi nonprofessionisti, è una delle vere sorprese dell’an-no. Attraverso una camera a mano che permet-te al musical di ritrovare la sua dimensione rea-listica, si entra nei loro sentimenti, nelle loro vite,e per quanto si incrocino brevemente, si rega-lano con l’Arte e la sua anima il recupero piùprofondo: la speranza.

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Gianni Di GregorioPRANZO DI FERRAGOSTOITALIA • 2008

Un pienone con richiesta di proiezione supple-mentare alla 65a Mostra Internazionale d’artecinematografica a Venezia per questa piacevo-lissima opera dell’esordiente regista romano.«Le vecchiette terribili, attrici per caso e ragaz-ze irresistibili - sorprendono la Mostra», scrivo-no a pieno titolo i giornali. Sono infatti quattro affascinanti ultraottan-tenni le protagoniste di questa deliziosa com-media sulla terza età, alla cui origine c’è una su-permamma, quella che il regista ha realmenteaccudito amorevolmente. «Figlio unico di ma-dre vedova – dichiara – ho dovuto misurarmiper lunghi anni da solo con mia madre, perso-naggio di soverchiante personalità. Benché pro-

cora poco dello Sri Lanka, e nella prima parte,il film aiuta ad immergersi nel formicolio del-le baraccopoli di Colombo dove si muovono idue ideatori dell’imbroglio a fine di sopravvi-venza. Venuti a conoscenza dell’invito ufficia-le rivolto alla Nazionale di Pallamano del loropaese a partecipare ad un torneo in Baviera, simettono di buona lena ad arruolare ogni sor-ta di emarginati per formare la fantomaticasquadra da trasferta. Compilando documentifalsi e facendosi fotografare in divise sportivedi fortuna, riescono ad arrivare in Germania peril torneo internazionale dove devono giocaretre partite. Le perdono tutte con punteggisurreali: 73 a zero, o giù di lì. Ma quando ven-gono scoperti sono già lontani: riescono a farperdere ogni traccia e tuttora non si sa che fineabbiano fatto. Interpretato da bravissimi esimpaticissimi attori esordienti, Pasolini rein-venta la loro avventura con toni divertenti masolidali. Se visto con attenzione, diventa un sot-tile elogio del coraggio e della fantasia di tut-ti i «migranti». Il tono è scherzoso – concludepastoralmente l’ACEC – ma intanto qualcosa sidice sulla difficile ricerca della felicità in tanteparti del mondo. Da valorizzare.

a cura di Mariolina Perentaler

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Uberto PasoliniMACHANITALIA - SRI LANKA - GERMANIA • 2008

Curiosissimo esordio nella regia di Uberto Pa-solini, che in carriera ha già prodotto film famo-si come «Full Monty» e «I vestiti nuovi dell’im-peratore», è un’opera gradevolissima. Selezio-nata e presentata con successo a Venezia nel-la sezione Giornate degli Autori, affronta in for-ma di tragicommedia l’emergenza dell’immigra-zione. Pasolini è italianissimo, ma il suo curri-culum cinematografico è super-internaziona-le: ha sempre cercato storie di respiro univer-sale. Anche Machan (parola tamil che signifi-ca «amico mio») si riferisce all’odissea di alcu-ni giovani dello Sri Lanka che, per emigrare inEuropa, si inventarono una nazionale cingale-se di pallamano, uno sport pressochè scono-sciuto in quel paese. Si ispira ad una storia verae lo spunto della sceneggiatura – scritta in tan-dem con una drammaturga cingalese – è trat-to da un fatto di cronaca di alcuni anni fa. Nonostante l’ormai diffusa familiarità con i la-voratori venuti dalla mega-isola soprannomi-nata «lacrima dell’India», in occidente si sa an-

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za, la vitalità e la potenza dell’universo dei “vec-chi”. Ma ho anche visto la loro solitudine e vul-nerabilità in un mondo che cammina a passoaccelerato senza sapere dove va, perché dimen-tica la sua storia, perde la continuità del tem-po, teme la vecchiaia e la morte ignorando chenulla ha valore se non la dedizione reciprocae la qualità dei sentimenti». Un gioiello per intenditori – sentenzia unani-me la critica – che non fa sconti buonisti a nes-suno… «La malinconia e il rimpianto ci sono,ma come circonfusi da una voglia di vivere che,essendo più alta del colesterolo e della pres-sione, non esita a comprarsi le piccole soddi-sfazioni che figli distratti e società frettolosa ten-dono fatalmente a reprimere». Così, per realizzare questo suo primo film DiGregorio se n’è andato in giro per Roma a cer-

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TESTAMENTI SPIRITUALI DI DONNE E UOMINI ILLUSTRI

a cura di Lucio Coco - ed. Paoline

I testamenti raccolti in questa antologia rap-presentano uno straordinario tesoro spiritua-le che, nel corso dei secoli, religiosi, santi, uo-mini e donne impegnati nei campi più diver-si della cultura, delle scienze, dell’impegno so-ciale hanno voluto lasciarci come testimonian-za di una vita interamente modellata su quel-la di Cristo. Per citarne solo alcuni, Tonino Bel-lo, Georges Bernanos, don Bosco, Chiarad’Assisi, Elisabetta della Trinità, Giovanni XXIII,Giovanni Paolo II, Chiara Lubich, Paolo VI,l’Abbé Pierre, Annalena Tonelli, Carlo Urbani,René Voillaume…. ci comunicano il distillatodi ciò che è stata la loro linfa vitale. Sono te-sti intrisi di una grande carica profetica e rive-lano lo spessore umano e cristiano, unito a unaeccezionale sensibilità, di chi li ha scritti.

Annunzia la ParolaLECTIO DIVINA SULLA SECONDA LETTERA A TIMOTEOEdoardo Scognamiglio - ed Paoline

Timoteo è in ciascuno di noi. È il giovane cheresta affascinato dalla proposta del Vangelo,dall’amore misericordioso di Cristo, ma poi siaffievolisce di fronte alle prove della vita re-stando inerme di fronte al male del mondo.Il rischio che corre Timoteo è quello del silen-zio, del rinunciare a parlare, a portare l’annun-zio. È anche la tentazione che vive la Chiesa.

Allora Paolo griderà per lui e per noi: “Predi-ca verbum”, “Annunzia la Parola”. Sollecitati dalSinodo sul tema La Parola di Dio nella vita enella missione della Chiesa e motivati anchedall’apertura dell’Anno Paolino, questa lectiodivina aiuta a capire non solo che la Chiesavive della Parola, ma che è anche in grado diaffrontare le sfide di ogni epoca.

Ambrogio Bongiovanni IL DIALOGO INTERRELIGIOSOEmi 2008

Già nel Concilio Vaticano II era stato esplici-tamente incoraggiato il dialogo ecumenico einter-religioso. Inizialmente esso sembrò ri-guardare soprattutto l’attività missionaria.Oggi, in seguito alla massiccia presenza d’im-migrati professanti diverse religioni, ce ne sen-tiamo tutti direttamente interpellati.Il libro che presentiamo, denso di pensiero edi puntuali riferimenti culturali, ci propone lacomplessa problematicità del tema: che co-s’è propriamente il dialogo? Quali ne sono lecondizioni, i rischi, l’efficacia ? Che s’intendeper sincretismo? Può esso avere anche unasua connotazione non negativa? Che differen-za passa tra fede e credenza? Che significaesperienza religiosa? Quali i criteri orientati-vi per educare a un vero e fruttuoso dialogo?L’autore sottolinea come il dialogo interreli-gioso richieda una solida consistenza dellapropria fede, ma come al tempo stesso l’ap-profondisca, la purifichi, l’arricchisca di sco-perte sempre nuove.

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a cura di Adriana Nepi

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care delle “irresistibili ragazze” capaci di dimo-strare una stoffa da professioniste consuma-te nella più divertente naturalezza ed auten-ticità. La storia si snoda tutta intorno al miti-co pranzo che, come da tradizione, va consu-mato in compagnia. Nonostante le età elevate dei commensali, cu-riosamente le più vitali sono proprio le vecchiesignore. Pur ritrovandosi in casa d’estranei (per-ché ‘scaricate’ temporaneamente per piacere

o per comodo dai rispettivi figli), progressiva-mente sanno adattarsi, fanno comunella e allafine si coalizzano. Una storia atipica decisamente poco com-merciale ma così capace di raccontare un rita-glio di quotidiano talmente speciale e argutoe tenero che è sicuramente una perla. Per riflet-tere e per parlarne, oltre che per intratteneree divertire.

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Nei primi giorni accadde che un vescovomorì e un altro fu colto da pazzia. Davvero,commentò argutamente il dom (così ama-va chiamarsi, alieno com’era dai titoli altiso-nanti), per chi vive questo evento in profon-dità non c’è niente di più naturale chemorire o… impazzire. Lui non impazzì, purspendendovi tutto se stesso. Dovette tutta-via, come forse un po’ tutti, “morire”: accet-tando umilmente di ridimensionare certesue immense speranze, lottando con forza,ma senza amarezza né intolleranza, controostinate resistenze che minacciavano divanificare ogni vero progetto di riforma. Basti pensare al card. Ottaviani, rimasto nelcomune immaginario come il simbolo del-la rigida intransigenza curiale. È commoven-te vedere con quanto rispetto è trattatoquesto “antagonista”: il quale, da un atteg-giamento chiuso e aggressivo, si ammorbi-disce gradualmente fino a chiedere che sipreghi per lui perché, dice, “non vogliopeccare contro la luce”. Affermerà più tardi:“Per 76 anni sono stato il guardiano del de-posito della fede, il vecchio carabiniere dipiantone. Ma se è la santa Chiesa stessa a rie-saminare e approfondire usando un altro lin-guaggio…Dio mi farà la grazia di essere fe-dele oggi come ieri…”. Ma quale parte avràavuto in tutto questo l’affettuoso calore di cuiil vecchio cardinale fu circondato? Il dom as-siste un giorno…a un miracolo: Ottaviani cherecita compieta con frère Roger seguendo ilbreviario di Taizé! e scrive: “Roger ottiene daOttaviani quello che vuole. Credo che il po-vero cardinale (che oggi conosco meglio e acui voglio bene con tutto il cuore) soffra

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Sono trascorsi più di quarant’anni dallachiusura del Concilio Vaticano II. Un sempli-ce avvenimento storico per chi di noi alloradoveva ancora nascere, un ricordo forse im-pallidito per le più anziane.Helder Camara fu nel Concilio una delle pre-senze più coraggiose e innovative. Dal corpo voluminoso delle relazioni invia-te da Roma giorno dopo giorno ai collabo-ratori della sua diocesi, sono state estrat-te queste pagine. Esse ci introducono nel-la storia segreta, spesso drammatica, diquell’eccezionale assise ecclesiale che fuil Vaticano II, e insieme ci donano di sco-prire un grande uomo di Dio, forse uno deipiù grandi donati alla Chiesa nel tormen-tato secolo appena concluso. Qualcuno lo definì, con tono ottusamentespregiativo, il vescovo rosso.Ma chi era veramente questo piccolo vivacis-simo uomo che trascorreva ogni notte, fin daltempo della sua ordinazione sacerdotale, al-meno un’ora di adorazione davanti all’Eucari-stia (non venne mai meno alle sue “veglie”nemmeno durante l’attività febbrile del Con-cilio) e insieme sapeva concedersi come pa-rentesi distensiva la visione di Mary Poppin’so del Compagno don Camillo? “Il Concilio sarà difficilissimo”: questa la pri-ma impressione da lui registrata.Vescovi diocesani e curia romana, progressi-smo e integrismo, mondo sviluppato e mon-do sottosviluppato, genuina tradizione da ri-trovare e “tradizioni” fossilizzate o addirittu-ra antievangeliche, comunismo e capitalismo,chiesa e denaro, regolazione delle nascite,condizione dei divorziati non colpevoli…

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

Helder Camara Roma, due del mattimoLettere dal Concilio Vaticano II

a cura di Adriana Nepi

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quando si accorge di essere temuto da tut-ti. Roger gli si avvicina come un bambino cherotola per terra con un pastore tedesco, glimette le mani in bocca, gli tira la lingua… Diosa che questa immagine non vuol essere ir-riverente”. Di sé scrive: “Ciò che mi rallegraè che quanto sto facendo per il concilio e perla chiesa non si vede. Non parlo in aula, nonfaccio parte di nessuna commissione…”. In realtà fu protagonista geniale e attivissimo,lavorando dietro le quinte in un assiduo ami-chevole dialogo con le personalità più aper-te sia tra i padri conciliari che tra gli osser-vatori, osando scrivere più volte a Paolo VI,per esprimere critiche e suggerimenti, conuna franchezza tale da sconcertare chi nonavesse conosciuto la sua rettitudine e la sti-ma piena di affetto che nutriva per il Papa, dacui era profondamente ricambiato.Tutti lo cercavano: volle pure conoscerlo reBaldovino, e fu un incontro bellissimo, com’èsempre quello che avviene tra due santi. Il regli lasciò l’impressione di un francescano con-dannato allo splendore della corte…Quanto pesava al dom quella pompa che siera andata creando attraverso i secoli ancheintorno agli uomini di chiesa! Lui sognava

una chiesa “che faccia un bagno di vangelo,che diventi serva invece di essere signora, po-vera invece che ricca, che dialoghi, compren-da, stimoli, invece di sospettare, perseguita-re, condannare…”.Il suo amore alla povertà non aveva peraltroniente di arido o di moralistico. “Pur nellasemplicità - diceva - negli ambienti di vita edi lavoro sia sempre previsto un tocco di bel-lezza”. Considerava un dono di Dio l’esseresensibili alla bellezza, e quanta comprensio-ne aveva per gli artisti! Era convinto che Diousasse con loro una misura speciale, purchiedendo conto dei talenti ricevuti.Insieme a un gruppo di padri conciliari ave-va programmato degli impegni da assume-re liberamente. Ne accenniamo alcuni: - cer-cheremo di rendere il nostro tenore di vitaconforme a quello della nostra gente -non possederemo a nostro nome benimobili né immobili - affideremo, per quan-to sarà possibile, la gestione finanziaria emateriale della nostra diocesi a un comita-to di laici - rifiuteremo nomi e titoli cheesprimano grandezza e potere (Eminenza,Eccellenza, Monsignore). Molte aperture, molti sostanziali rinnova-menti furono raggiunti con il Concilio Vati-cano II, alcuni dei quali attendono ancorapiena attuazione. Quanto alla realizzazione concreta di certisogni, i tempi non erano probabilmenteancora maturi. Quale la conclusione di Helder Camara?“State tranquilli… La cosa più essenziale è es-sere sempre più uniti a Cristo e metterci nel-le mani del Padre, con o senza salute, poten-do lavorare oppure no, con o senza possibi-lità di agire, in terra o in cielo…”. Questa la chiusa del libro: sigillo, si direbbe,della vita di questo innamorato di Dio e ap-passionato servitore della Chiesa.

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Finalmente sono arrivati gli Atti del Ca-pitolo e la cosa che mi ha colpito di piùè la frase “ci impegniamo a”. E noi che non eravamo in quel Cenaco-lo, ci impegniamo? Loro lo hanno dettopubblicamente e in prima persona…Noi possiamo ancora scegliere. Ma fratante “stanchezze” e cose da fare era pro-prio necessario accollarci un’altra lista?Sarà che sono anziana… Ma di biglietti dibuoni propositi ne ho scritti tanti anchese poi non sempre li ho rispettati. Sono proprio una vecchia bisbetica, maper fortuna non tutte le fma sono comeme. Ma vi racconto cosa è successo nel-la mia comunità… Sicuramente solo nel-la mia… Dopo la presentazione degli Atti,ognuna sottolineava diversi impegni e di-ceva alla sorella vicina: “hai capito?… Tidevi impegnare in questo”; “hai visto cheavevo ragione io quando ti dicevo che do-vevi potenziare questo o quello”…“quando lo dicevo io erano miei pallini…Ora che è scritto sugli Atti del Capitolo,sono intuizioni carismatiche”. Allora sono andata a rileggere e ho vistobene che il verbo è alla prima persona enon alla seconda o alla terza… Mah!!!!Forse noi siamo più brave a trovare ciòche devono fare le altre, rispetto a ciò chedobbiamo fare noi.La direttrice ha richiamato le cose che se-condo lei erano più adatte alla nostra co-

munità, sottolineando per esempio l’im-portanza del colloquio e dell’accompa-gnamento personale. Ma devo proprio confidarvi una cosa…Non so per quanto tempo ancora conti-nuerò a scrivere… Forse questo è il mioultimo anno… Allora mi sento più libe-ra di dirvi tutto.Stavamo parlando del colloquio. Bene,nella mia comunità solo noi sorelle piùanziane siamo fedeli… O meglio, nonavendo troppi impegni e rendendociconto che ogni volta che cerchiamo diparlare con qualcuna questa ha tantecose da fare che non può ascoltarci, al-lora passando davanti all’ufficio delladirettrice e trovandolo vuoto, pensiamodi fare un atto di carità… Entriamo e par-liamo. Spesso ripetiamo le stesse cose ea volte siamo anche un po’ noiose, ma ilbello è che la direttrice pensa lei pure chesta facendo un atto di carità nei nostriconfronti… Perché – diciamocelo franca-mente – anche lei è un po’ stufa delle no-stre lamentele. E allora il colloquio diven-ta un regalo di carità reciproca… Ecco ilpunto: più grande di tutto è l’amore.Visto! Parlando con voi ho capito il sen-so di questa affermazione. Sarà banale,ma è la mia vita di tutti i giorni. Alla prossima… Se Dio vuole.

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

Dalla teoria alla pratica

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Ricordatevi, o giovani che voi siete la delizia

del Si gnore(Don Bosco)

DOSSIER: Cenacolo aperto al vento dello Spirito

PRIMO PIANO: Le donne nella parola La scuola dell’amore

IN RICERCA: Pastoralmente La morte: un gioco

COMUNICARE Giovani.com Emo - Emotional Punk

NEL

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IL VOLTO

Il corpo del Figlio è la Scrittura a noi trasmessa.

(Sant’Ambrogio in Lucam VI, 33).