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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO L’EVOLUZIONE DELLE POLITICHE CULTURALI CRISTIAN VALSECCHI

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO

L’EVOLUZIONE DELLE POLITICHE CULTURALI

CRISTIAN VALSECCHI

Indice

1. Premessa 1 1.1 Gli anni Settanta 2 1.2 Gli anni Ottanta 3 1.3 Gli anni Novanta 4 1.4 Il nuovo millennio in Italia 1.5 Verso una dimensione europea delle politiche culturali

5 6

2. Le politiche culturali dell’Unione Europea 10 2.1 Linee generali 10

3. Le politiche culturali in Italia 16 3.1 Oggetto 16 3.1.1 I beni e le attività culturali nella normativa vigente 17 3.1.1.1 Il patrimonio culturale 17 3.1.1.2 La fruizione collettiva 17 3.1.1.3 I beni culturali 18 3.1.1.4 L’individuazione dei beni culturali 21 3.1.1.5 Le attività culturali 22 3.2 Le funzioni 23

3.2.1 La tutela 23 3.2.2 La valorizzazione 24

3.3 Gli attori 24 3.3.1 La distribuzione delle funzioni nella Costituzione italiana 24 3.3.2 La distribuzione delle funzioni nella normativa vigente 25 3.3.2.1 La tutela 25 3.3.2.2 La valorizzazione 27 3.3.2.3 La gestione 27 3.3.2.4 Forme di cooperazione 28 4. Le riforme 30 4.1 Il Ministero per i beni e le attività culturali 30 4.2 La normativa statale negli anni Novanta 33 4.2.1 La legge Ronchey 33 4.2.1.1 La gestione del personale 33 4.2.1.2 I servizi aggiuntivi 35 4.2.2 L’abolizione della tassa d’ingresso 36 4.2.3 Legge omnibus 37 4.2.3.1 Il Testo unico dei beni culturali e ambientali 37 4.2.3.2 La soprintendenza autonoma di Pompei 38 4.2.3.3 Altre disposizioni 39 4.3 La normativa più recente 40 4.3.1 Patrimonio dello Stato S.p.A. e Infrastrutture S.p.A. 40

4.3.1 Arcus S.p.A. 41 5. Il Terzo settore 42 5.1 Gli strumenti 44 5.2 Gli incentivi fiscali al settore culturale 45 Bibliografia 48

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1. PREMESSA

L’insieme delle vicende che hanno condizionato e determinato in questi

ultimi trent’anni lo sviluppo delle politiche culturali in Italia – qui intese

nell’ambito disciplinare del diritto e dell’economia – si snoda lungo un

percorso quanto mai articolato, che solo negli ultimi vent’anni ha tentato di

coniugare in senso organico il sistema istituzionale di gestione dei beni e

delle attività culturali.

E’ noto come il legislatore italiano, dalla fine della Seconda Guerra

Mondiale alla fine degli anni Sessanta, abbia colpevolmente trascurato le

problematiche del settore culturale, mancando così di proporre politiche

armoniche di sostegno e di sviluppo del patrimonio nazionale capaci di dare

forza ad un impianto normativo1 e strutturale2 che, rispettivamente per

impostazione e competenze, rappresentavano un importante baluardo della

difesa dei beni culturali in Italia. Soltanto verso la fine di quel decennio,

grazie anche all’accresciuta sensibilità della società civile rispetto ai

problemi legati alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio

culturale, si è registrata una inversione di tendenza. Non è pertanto un caso

che proprio in quegli anni il Parlamento, dopo aver acquisito la

consapevolezza di un sistema complessivamente provato da anni di incuria,

di dissennata espansione urbanistica, di incontrollato degrado ambientale,

abbia promosso l’istituzione di una commissione di studio, detta

Franceschini dal nome del suo Presidente, al fine di “condurre un’indagine

sulle condizioni attuali e sulle esigenze in ordine alla tutela e alla

valorizzazione delle cose di interesse storico, archeologico, artistico e del

paesaggio, e di formulare proposte concrete” allo scopo di perseguire, tra

1 La lg. 1089/1939. 2 Il sistema delle soprintendenze.

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l’altro, l’obiettivo della “revisione delle leggi di tutela nonché delle strutture

e degli ordinamenti amministrativi e contabili”3.

Gli esiti di tali studi, sebbene gradualmente e in modo non sempre

ordinato e strutturato, hanno dato un notevole contributo allo sviluppo di

una politica per i beni e le attività culturali nei decenni successivi.

A tal proposito, accogliendo la classificazione normativa proposta da

Theodor Lowi, è possibile tracciare un quadro più chiaro del profilo

evolutivo del “sistema cultura” in questi ultimi quarant’anni.

La classificazione elaborata da Theodor Lowi prevede le seguenti

categorie di leggi:

a contenuto costitutivo, quando istituiscono o modificano apparati

amministrativi pubblici o dettano norme per il loro funzionamento

interno.

a contenuto distributivo, quando erogano risorse finanziarie.

a contenuto regolamentare, quando contengono norme rivolte alla

generalità dei cittadini.4

1.1 GLI ANNI SETTANTA

Seguendo questa linea definitoria, gli anni Settanta si sono caratterizzati

per l’elaborazione di normative a prevalente carattere costitutivo. Ci si

riferisce, in particolare, ai provvedimenti istitutivi e disciplinari di due tra i

principali attori del sistema dei beni e delle attività culturali: il Ministero dei

Beni Culturali – oggi Ministero per i beni e le attività culturali – e le

regioni.5

3 Legge 26 aprile 1964, nr. 310. 4 Cfr. LUIGI BOBBIO, La legislazione degli anni Ottanta, in CARLA BODO (a cura di), Rapporto sull’economia della cultura in Italia 1980-1990, Associazione per l’economia della cultura – Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, Roma, 1994, pg. 167-168. 5 Per un più approfondito studio sulla nascita e sul ruolo del Ministero e delle regioni nel corso degli anni Settanta e Ottanta, si veda LUIGI BOBBIO, La politica dei beni culturali in Italia, in LUIGI BOBBIO (a cura di), Le politiche dei beni culturali in Europa, Il Mulino, Bologna, 1992.

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L’importanza dell’istituzione di un Ministero6 per il governo del settore

dei beni culturali e ambientali è evidente se si pensa che essa, da un lato, ha

definito un nuovo interlocutore in sede parlamentare e di Governo capace di

raccogliere le numerose istanze a difesa del patrimonio culturale e del suo

sviluppo e di sostenerle nelle opportune sedi istituzionali; dall’altro ha

creato le premesse per investire la tematica in oggetto di una rinnovata

centralità nel dibattito politico, contrariamente al passato quando la materia

era di competenza del Ministero della pubblica istruzione.

Quanto alla nascita delle regioni,7 non v’è dubbio che sia stata

altrettanto significativa. La presenza di un organo istituzionale forte a livello

territoriale, capace di assumere un ruolo di indirizzo e di controllo per le

realtà locali, ha incentivato la nascita e lo sviluppo di un sistema integrato di

valorizzazione e di promozione culturale nell’ambito del territorio regionale.

1.2 GLI ANNI OTTANTA

Durante il decennio successivo, invece, è prevalsa l’adozione di atti

normativi a contenuto per lo più distributivo. Numerosi provvedimenti,

infatti, hanno disposto in quegli anni – direttamente o indirettamente –

l’erogazione di notevoli quantità di risorse finanziarie.

Nonostante ciò, la complessiva disorganicità della politica normativa

non consente di trarre giudizi particolarmente positivi con riferimento a

questo decennio.8

6 Avvenuta con il D.L. 14 dicembre 1974, nr. 657, al quale ha fatto seguito il regolamento contenente norme in materia di organizzazione del Ministero, approvato con d.p.r. 3 dicembre 1975, nr. 805. 7 Le regioni, già previste nella costituzione del 1948, vengono istituite nel 1972. 8 Si veda LUIGI BOBBIO, La politica dei beni culturali in Italia, in LUIGI BOBBIO (a cura di), Le politiche dei beni culturali in Europa, Il Mulino, Bologna, 1992.

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1.3 GLI ANNI NOVANTA

Al contrario, negli anni Novanta ha preso avvio un processo di

maturazione nella gestione delle problematiche legate alle politiche culturali

da parte degli enti preposti.

Una lettura analitica della normativa nazionale e regionale prodotta nel

corso dell’ultimo decennio evidenzia infatti, da parte degli attori delle

politiche culturali, una visione più organica, sebbene non particolarmente

efficace, nella organizzazione e nel governo del sistema culturale.

La normativa di questi anni, particolarmente articolata, ha assunto

contenuti di carattere costitutivo, regolamentativo e distributivo, e si è

sviluppata, come si avrà modo di evidenziare in seguito, lungo tre direttrici

principali:9

il decentramento di poteri e funzioni dallo Stato alle regioni e agli enti

locali;

la semplificazione organizzativa, normativa e procedimentale;

l’apertura ai privati, attraverso nuovi strumenti di defiscalizzazione e

politiche di cooperazione e collaborazione.

Nonostante gli sforzi fatti nel tentativo di migliorare un sistema

fortemente arretrato, non si può negare che il processo di riforma abbia

manifestato gravi lacune legate al mancato riconoscimento del ruolo statale

nel campo delle politiche culturali.

In particolare è venuta meno l’assunzione, da parte dello Stato, della

doppia responsabilità che ne dovrebbe caratterizzare l’operato in ambito

culturale, consistente da un lato nello sviluppo delle condizioni necessarie al

sostegno e alla promozione dell’offerta culturale in tutte le sue forme (dal

recupero alla conservazione, dalla fruizione alla creazione artistica), e

dall’altro – e qui si riscontrano le più gravi carenze – nel favorire e

9 MARCO CAMMELLI, La semplificazione normativa alla prova: Il Testo Unico dei beni culturali e ambientali, in MARCO CAMMELLI (a cura di), La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, Il Mulino, Bologna, 2000, pg. 7.

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incentivare il consumo culturale, attraverso adeguate politiche di educazione

e di formazione.

In conclusione, la capacità dello Stato di individuare e coniugare

obiettivi di breve-medio periodo, sostanzialmente legati alla gestione

dell’offerta culturale, e obiettivi di lungo periodo, connessi invece alla più

complessa definizione e attuazione di una politica di crescita e di sviluppo

della domanda culturale,10 sembra essere venuta meno.

1.4 IL NUOVO MILLENNIO IN ITALIA

Il nuovo millennio è proseguito sulla strada avviata nel corso degli anni

Novanta. L’opera normativa più significativa, in quanto finalizzata a

razionalizzare il quadro legislativo di riferimento in materia di beni

culturali, è il Codice dei beni culturali e del paesaggio.

L’attività legislativa è stata particolarmente vivace in questi anni.11

Sul piano della disciplina sostanziale, il Codice, che già sostituiva il

Testo Unico dei beni culturali e ambientali del 1999, ha già subito tre

interventi di integrazione e modifica, con i d.lgs. 156/2006, 52 e 63/2008.

Sul piano della disciplina istituzionale possiamo citare le seguenti

normative: la riforma costituzionale del Titolo V (legge costituzionale

3/2001); legge c.d. La Loggia (legge 131/2003); legge di riforma

costituzionale del 18 novembre 2005 (poi respinta dal referendum del 25-26

giugno 2006); intesa Mibac-Cei del 1996 e intesa Mibac – Presidente Cei

del 26 gennaio 2005 (d.p.r. 78/2005).

Infine, sul piano della organizzazione ministeriale l’intervento è stato

ancor più frenetico: regolamento di organizzazione del Mibac (d.p.r.

441/2000); regolamento per la costituzione e partecipazione del Mibac alle

Fondazioni culturali (d.m. 491/2001); regolamento di organizzazione degli 10 Cfr. Augusto GRAZIANI, Per una teoria economica dell’investimento culturale, in AA.VV., Osservazioni sulla nozione di giacimento culturale. Le isole del tesoro, Roma, IBM, 1988. 11 Cfr. Marco CAMMELLI, Beni culturali e Aedon: un decennio di politiche istituzionali, Aedon. Rivista di arti e diritto on line, nr. 3/2008, il Mulino, Bologna.

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uffici di diretta collaborazione del Mibac (d.p.r. 307/2001); istituzione dei

poli museali (d.m. 21 dicembre 2001); istituzione della Patrimonio dello

Stato s.p.a. (art. 7, legge 112/2002); delega per il riordino organizzativo del

Governo (legge 137/2002) e conseguente riorganizzazione del Mibac (d.lgs.

1/2004); Centro sperimentale di cinematografia (d.lgs. 32/2004); Istituto

nazionale di dramma antico (d.lgs. 33/2004); articolazione centrale e

periferica dei dipartimenti e delle direzioni generali del Mibac (d.m. 24

settembre 2004); riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio e

dei ministeri (legge 233/2006); modifiche al regolamento di organizzazione

del Mibac (d.p.r. 89/2007); regolamento di riorganizzazione del Mibac

(d.p.r. 233/2007); regolamento di riorganizzazione del Mibac (d.p.r.

91/2009).

La frenetica e compulsiva attività di produzione normativa che ha

caratterizzato le nostre istituzioni in questi ultimi anni non può tuttavia

essere valutata positivamente, poiché ha creato una notevole instabilità del

quadro di riferimento legislativo e strutturale.

E’ evidente, per esempio, che le ricorrenti modifiche della struttura

organizzativa del Ministero, attuate senza attendere che i cambiamenti

apportati producessero risultati concretamente valutabili, non hanno giovato

alla continuità e dunque all’efficacia delle politiche culturali, frustrando così

l’operato dei funzionari ministeriali, costretti a rincorrere continue

riorganizzazioni interne anziché concentrarsi unicamente e concretamente

sui problemi e le necessità che caratterizzano il sistema della cultura in

Italia.

1.5 VERSO UNA DIMENSIONE EUROPEA DELLE

POLITICHE CULTURALI

Accanto al processo di riorganizzazione e di riforma della normativa

interna, nel corso degli anni Novanta si è assistito all’affermarsi, sul piano

- 7 -

internazionale, di un nuovo attore delle politiche culturali: l’Unione

Europea.

E’ noto che il processo di integrazione che sta investendo l’Unione

Europea trae le sue origini dal perseguimento di obiettivi di natura

principalmente economica e commerciale; ma la mancanza di una politica di

integrazione socio-culturale all’inizio del processo di unificazione, più che

ad una lacuna o ad una scarsa sensibilità dei suoi fondatori, è da attribuire

alla consapevolezza che, “di fronte alla necessità della ricostruzione morale

e materiale cui dovevano far fronte paesi da tempo dilaniati da guerre

fratricide, la “messa in comune” doveva per forza essere basata su delle

nozioni semplici e non conflittuali”.12

Solo dopo la maturazione di una reale capacità di comunicazione e di

interazione tra le culture dei diversi stati europei si è potuto aspirare ad una

unione non più solo economica, bensì anche politica e culturale.

E’ così che, per la prima volta, nel Trattato di Maastricht del 1992 è

stata assegnata all’Unione Europea una competenza nel campo dei beni e

delle attività culturali.

Tale competenza è stata poi ulteriormente ribadita con l’entrata in

vigore del Trattato di Lisbona nel 2009.

Anche se nel contesto dell’incontro Europeo di Lisbona13 il ruolo della

cultura e della creatività è rimasto sostanzialmente ignorato, l’UE ha dovuto

nel tempo ricredersi circa la capacità di tali settori di contribuire alla crescita

economica complessiva attraverso l’indotto diretto ed indiretto dagli stessi

prodotti. Uno studio commissionato dalla Direzione Generale per

l’Educazione e la Cultura della Commissione Europea14, ha portato alla luce

12 READING Viviane, “Uno spazio culturale per una cittadinanza comune”, Economia della cultura, 1, gennaio-aprile 2000, pg. 7. 13 Quando, nel marzo del 2000 i capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea si sono prefissi l’ambizioso obiettivo di «fare dell’Unione Europea, al termine del 2010, la società della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, generando nel contempo una crescita economica sostenibile, maggiore coesione sociale, migliori livelli di occupazione. 14 KEA European Affairs, The economy of culture in Europe, European Commission – Directorate General for Educational and Culture, 2006.

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dati particolarmente significativi relativi all’impatto economico del settore

delle industrie creative.

Secondo lo studio citato, nel 2003 il settore delle industrie creative ha

fatturato più di 654 miliardi di Euro, a fronte dei 271 miliardi di Euro

fatturati nel 2001 dall’industria automobilistica e dei 541 miliardi di Euro di

fatturato generato dalle industrie delle Nuove tecnologie dell’informazione e

della comunicazione (NTIC) nel 2003 (cifre riferite a UE15).

Sempre secondo lo studio di KEA Affairs, il settore delle industrie

creative ha contribuito per il 2,6 % al PIL UE nel 2003 mentre, nello stesso

anno:

le attività immobiliari hanno contribuito per il 2,1%;

il settore manifatturiero degli alimentari, delle bevande e del tabacco

hanno contribuito con l’1,9%;

l’industria tessile ha contribuito con lo 0,5%;

le industrie chimiche, della gomma e della plastica hanno contribuito

con il 2,3%.

Infine, è stato rilevato come la crescita globale del valore aggiunto del

settore dal 1999 al 2003 è stata del 19,7%, superando così del 12,3% la

crescita economica globale.

Il processo “cultura – creatività – innovazione” è entrato così

dirompente nell’agenda dell’Unione Europea nell’attuazione della strategia

di Lisbona e di una buona parte degli stati europei15, dai quali rimane

purtroppo esclusa l’Italia che, in linea con il passato, e ancorata ad una

fallimentare interpretazione turistica del ruolo della cultura16, non riesce a

costruire un proprio modello culturale di sviluppo economico

compromettendo in modo drastico il proprio potenziale competitivo.

15 Il piano anti-crisi varato nel dicembre 2009 dalla Francia prevede un investimento complessivo di 35 miliardi di Euro, un terzo dei quali dedicati ad istruzione e università. In particolare, i fondi saranno così ripartiti: insegnamento superiore e la formazione: 11 miliardi; ricerca: 8 miliardi; industria e in particolare le PMI: 6,5 miliardi; sviluppo sostenibile: 5 miliardi; digitale: 4,5 miliardi. 16 VALSECCHI Cristian, “Arte e impresa: nuovi modelli per competere nella società post-industriale”, in ArteImpresa. Tempi futuri: l’uomo e la macchina, Accademia di Belle Arti “G. Carrara” di Bergamo e Confindustria Bergamo, 2008.

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L’investimento in cultura, addirittura, ha subito un drastico

ridimensionamento in questi ultimi anni. Basti pensare che, secondo una

ricerca di Federculture, il peso del finanziamento statale al settore culturale

è sceso dallo 0,57% del PIL nel 2000, allo 0,35% nel 2002, allo 0,29% nel

2007. Nel 2007, in particolare, lo Stato italiano ha stanziato 1,860 miliardi

di Euro contro i 5 miliardi di Spagna e Inghilterra e gli 8 di Francia e

Germania.

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2. LE POLITICHE CULTURALI DELL’UNIONE

EUROPEA

2.1 LINEE GENERALI

E’ dal Trattato dell’Unione Europea che si deve partire per un’analisi

delle politiche culturali comunitarie.

Il Trattato di Lisbona, che modifica il Trattato di Maastricht del 1992,

viene sottoscritto il 13 dicembre 2007 ed entra in vigore nel 2009.

Una prima dichiarazione di principio è fissata nell’articolo 3, comma 3,

in base al quale è stabilito che l’Unione:

“rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale”.

Appare da subito evidente come il desiderio di una politica comune non

debba intendersi come un tentativo di dare luogo ad un processo di

omologazione dei contesti sociali e culturali, che anzi trovano nella loro

diversità un punto di forza per la definizione di piani di sviluppo economico

e sociale.

Al tempo stesso la dichiarazione contenuta nell’articolo 3 apre ad una

politica fondata non solo su istanze conservatrici ma produttrici di nuova

cultura, essendo fondata sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo e

non solo sulla sua tutela.

La dichiarazione contenuta nell’articolo 3 è ulteriormente rafforzata

dall’articolo 16717, comma 1, che così recita: “la Comunità contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli

Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune”.

17 L’articolo 167 sostituisce l’ex articolo 151 del Trattato di Maastricht, lasciandone tuttavia sostanzialmente inalterati i contenuti.

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Quest’ultimo punto appare una dominante delle politiche culturali

europee, tese da un lato a “mettere in evidenza gli aspetti comuni dei

patrimoni europei”18 e dall’altro a “rafforzare il sentimento di appartenenza

a una stessa comunità rispettando le differenze culturali, nazionali o

regionali”, nella consapevolezza che la difesa e al tempo stesso la messa in

comune delle diversità non può che tradursi in un valore aggiunto per i

cittadini europei.

Una volta dettati i principi ispiratori, l’articolo 167, comma 2, definisce

le linee di azione della politica comunitaria:

“l’azione della Comunità è intesa ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, ad appoggiare e ad integrare l’azione di questi ultimi nei seguenti settori: miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei; conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea; scambi culturali non commerciali; creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo”.

Inoltre, la volontà comune è quella di adottare una politica relazionale

che imponga all’Unione Europea l’assunzione di responsabilità sociali non

soltanto nei confronti degli stati membri, bensì anche nell’ambito della

cooperazione internazionale.

Così recita infatti l’articolo 167, comma 3: “la Comunità e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con

i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura, in particolare con il Consiglio d’Europa”.

“Un’Europa delle molteplicità, ma anche un’Europa che diffonde i

valori della diversità e del dialogo culturale oltre i suoi confini. Questa

preoccupazione è il punto fondamentale degli accordi che l’Unione ha

concluso con i paesi terzi: la conservazione del patrimonio mondiale, la

reciproca conoscenza delle opere, il sostegno alle attività culturali locali, gli

18 COMMISSIONE EUROPEA, Costruire l’Europa dei popoli. L’Unione europea e la cultura, Comunità europee, Bruxelles, 2002, pg. 3.

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scambi tra le regioni e i paesi, modi diversi per contribuire allo sviluppo

sociale e alla coesione tra i popoli”.19

La cooperazione culturale con i paesi terzi non costituisce un’

espressione casuale delle politiche europee, poiché la UE riconosce nella

cultura un elemento fondante della democrazia di tutti i popoli e del loro

sviluppo economico e sociale, capace perciò di garantire la stabilità politica

dei diversi paesi, al loro interno e nei rapporti internazionali.

I settori di intervento in ambito culturale individuati in seno alla

Commissione europea sono i seguenti:20

architettura: “è una componente essenziale della cultura e dell’ambiente

degli europei. Nell’Unione europea essa viene vista nei suoi aspetti

culturali ed economici, come creazione artistica e parte del patrimonio

culturale nonché come servizio professionale”.

arti visive: “pittura, scultura, fotografia, arti digitali, sono settori

interessati dalle attività dell’Unione europea. Oltre a promuovere

iniziative a favore della mobilità, della formazione e dell’occupazione

dei professionisti del settore, l’Unione europea concentra le proprie

attività sulla creatività degli artisti, la conoscenza e la conservazione

delle opere d’arte, sia europee che di paesi terzi”.

cinema e audiovisivi: l’Unione affronta “numerosi aspetti connessi al

cinema e al settore audiovisivo, quali: la formazione professionale, il

sostegno alla creazione e alla diffusione delle opere in Europa e nei

paesi terzi, la valorizzazione delle cineteche, la regolamentazione

nonché l’educazione all’immagine. Tutto ciò concorre a rendere il

cinema e l’audiovisivo strumenti di cultura e, al contempo, attività

economiche competitive e in grado di creare occupazione”.

danza: “nel promuovere la danza l’Unione europea pone l’accento sulla

formazione degli artisti, sulla creazione e la diffusione delle opere, ma

anche sul ruolo sociale della danza”. 19 COMMISSIONE EUROPEA, Costruire l’Europa dei popoli. L’Unione europea e la cultura, Comunità europee, Bruxelles, 2002, pg. 4. 20 Dal sito internet dell’Unione Europea: europa.eu.int.

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istruzione e formazione artistica: “l’Unione europea invita i cittadini

europei di tutte le età a impegnarsi attivamente nella vita culturale

attraverso l’esercizio delle arti. A tal fine promuove la cooperazione tra

le istituzioni europee nel settore dell’istruzione e della formazione come

pure l’innovazione pedagogica”.

libro: “espressione della diversità linguistica e culturale, il libro

rappresenta un veicolo privilegiato di apertura culturale e di

apprendimento. Per questa ragione l’Unione europea si fa promotrice di

azioni di sostegno del libro e della lettura, oltre a tenere conto della

dimensione culturale del libro nella sua azione legislativa. L’Unione

contribuisce altresì alla preparazione degli editori europei, all’adozione

delle nuove modalità di distribuzione delle opere letterarie possibili oggi

grazie alle tecnologie digitali”.

musica: “la musica accompagna costantemente la vita degli europei e

rappresenta un elemento fondamentale del loro patrimonio e della loro

cultura. La musica rappresenta inoltre una fonte di occupazione: 600.000

persone in Europa lavorano in questo settore. Il Consiglio […] ne

sottolinea l’importanza culturale, sociale ed economica e invita la

Commissione a promuovere la creazione e la diffusione della musica,

nonché la qualificazione e la mobilità dei professionisti del settore”.

patrimonio: “la Comunità deve appoggiare e integrare l’azione degli

Stati membri nell’obiettivo della conservazione e salvaguardia del

patrimonio culturale di importanza europea”. I primi interventi

comunitari si limitavano al sostegno, al restauro del “patrimonio

monumentale” […] ma oggi l’intervento comunitario copre ormai il

patrimonio costituito da beni mobili e immobili […], il patrimonio

archeologico e architettonico, il patrimonio naturale ma anche il

patrimonio linguistico, gastronomico e artigianale. Dette azioni sono

rivolte al patrimonio nella sua duplice dimensione culturale ed

economica”.

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teatro: “il teatro è una delle principali espressioni della vita culturale e

democratica”. “L’Unione europea sostiene la cooperazione culturale nel

campo delle “arti viventi”, in particolare nel settore teatrale e promuove

la conoscenza del teatro europeo fra i cittadini dell’Unione. Nel quadro

delle sue attività di sviluppo regionale, l’Unione europea sostiene la

realizzazione o l’allestimento di sale teatrali”.

In materia di beni e attività culturali, l’Unione europea promuove

prevalentemente politiche di natura regolamentare ed erogativa.

Tra le norme con contenuto regolamentare rientrano innanzitutto quelle

finalizzate a garantire la libera circolazione all’interno della UE, da un lato

degli operatori culturali, dall’altro dei beni e dei servizi con contenuto

culturale. Nel primo caso, in particolare, viene garantito il diritto degli

operatori culturali di svolgere ricerche o attività in tutti gli Stati dell’Unione

Europea, anche grazie al riconoscimento reciproco dei diplomi e delle

qualifiche professionali. Nel secondo caso è invece opportuno specificare

che, in controtendenza con le norme generali sulla libera circolazione delle

merci e con lo scopo di proteggere i beni culturali nazionali sono stabilite

particolari restrizioni all’importazione, al transito e all’esportazione, ed uno

speciale regime di restituzione dei beni culturali usciti illegalmente dal

territorio di uno Stato membro.

Per quanto concerne invece le norme con contenuto erogativo, tra le

tante se ne possono menzionare alcune che si distinguono per il particolare

rilievo e impatto economico:

programma Cultura 2007-2013: l’obiettivo generale del programma è

quello di contribuire alla valorizzazione di uno spazio culturale

condiviso dagli europei e basato su un comune patrimonio culturale,

sviluppando la cooperazione culturale tra i creatori, gli operatori

culturali e le istituzioni culturali dei paesi partecipanti al programma, al

fine di favorire l’emergere di una cittadinanza europea. Il programma è

aperto alla partecipazione delle industrie culturali non audiovisive, in

particolare delle piccole imprese culturali, laddove tali industrie

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svolgano una funzione culturale senza scopo di lucro. Gli obiettivi

specifici del programma sono i seguenti: a) promuovere la mobilità

transnazionale degli operatori culturali; b) incoraggiare la circolazione

transnazionale delle opere e dei prodotti artistici e culturali; c) favorire il

dialogo interculturale.

programma MEDIA: Gli obiettivi generali del programma sono quelli di

a) conservare e valorizzare la diversità culturale e linguistica europea e il

patrimonio audiovisivo cinematografico, garantire l’accesso al pubblico

dello stesso e favorire il dialogo tra le culture; b) accrescere la

circolazione e la visibilità delle opere audiovisive europee all’interno e

all’esterno dell’Unione europea, intensificando fra l’altro la

cooperazione fra le parti attive; c) rafforzare la concorrenzialità del

settore audiovisivo europeo nel quadro di un mercato europeo aperto e

concorrenziale propizio all’occupazione, promuovendo fra l’altro i

collegamenti tra i professionisti dell’audiovisivo.

programmi Leonardo da Vinci, Erasmus, Erasmus Mundus, Grundtvig,

Comenius: finalizzati a favorire gli scambi di cittadini europei tra i

diversi Stati membri, in particolare in connessione a progetti di

istruzione e formazione artistica e culturale. Per il periodo 2007-1013

l’Unione Europea ha stanziato 7 miliardi di Euro a favore di questi

programmi di apprendimento permanente.

Infine, va rilevato che gli interventi, siano essi regolamentari od

erogativi, sono sviluppati secondo tre modalità specifiche: la formazione

delle professionalità per ciascuno degli ambiti culturali sopra considerati; lo

scambio tra i paesi membri dei professionisti della cultura e dell’arte e la

loro interazione anche attraverso lo sviluppo di progetti comuni; il sostegno

diretto alla creatività in quanto motore dello sviluppo economico, sociale e

culturale.

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3. LE POLITICHE CULTURALI IN ITALIA

3.1 OGGETTO

Nel capitolo introduttivo si è anticipato come a partire dai recenti anni

Novanta siano stati introdotti significativi cambiamenti alle strutture e alle

modalità di gestione delle politiche culturali in Italia.

Un primo aspetto che mette in luce la filosofia di fondo che ha guidato

tale processo di trasformazione emerge dall’analisi, in chiave normativa,

dell’oggetto delle politiche culturali, ossia di ciò che rappresenta il primario

punto di riferimento del presente lavoro.

Per farlo, tuttavia, è d’obbligo una brevissima premessa relativa alla

recente introduzione nell’ordinamento giuridico del “Codice dei Beni

culturali e del Paesaggio”.

A distanza di pochi anni dall’emanazione del “Testo unico dei beni

culturali e ambientali” (d.lgs. 490/1999), con il quale si era inteso riunire e

coordinare in un unico documento legislativo tutte le disposizioni normative

allora vigenti in materia di beni culturali e ambientali, con d.lgs. del 22

gennaio 2004, nr. 42 è stato approvato il “Codice dei Beni culturali e del

Paesaggio” che riscrive in modo significativo la materia in oggetto, al punto

da abrogare molte delle norme che fino ad oggi hanno governato il sistema

italiano dei beni culturali e ambientali (tra di esse, per citare le più recenti,

lo stesso Testo Unico dei Beni culturali e ambientali e il d.lgs. 112/98 –

applicativo delle leggi Bassanini).

- 17 -

A differenza del Testo unico,21 con il quale la normativa allora vigente

era stata semplicemente coordinata in un unico corpo normativo, con il

Codice22 si è voluta riformare la normativa in esame.

3.1.1 I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI NELLA NORMATIVA VIGENTE

3.1.1.1 IL PATRIMONIO CULTURALE

Il Codice contiene un’importante novità, quanto meno nozionistica:

l’introduzione e la definizione di patrimonio culturale e l’accorpamento,

nell’ambito dello stesso, dei beni culturali e di quelli paesaggistici.

“Il patrimonio culturale – così recita l’articolo 2 - è costituito dai beni

culturali e dai beni paesaggistici”, come di seguito definiti:

sono beni culturali le cose immobili e mobili che presentano

interesse artistico, storico, archeologico, etno-antropologico, archivistico

e bibliografico (ai sensi degli articoli 10 e 11 del Codice stesso) e le altre

cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze

aventi valori di civiltà.

sono beni paesaggistici gli immobili e le aree costituenti

espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici

del territorio (ai sensi dell’articolo 134 del Codice) e gli altri beni

individuati dalla legge o in base alla legge.

3.1.1.2 LA FRUIZIONE COLLETTIVA

Nel definire il concetto di patrimonio culturale, il Codice ne sancisce in

modo esplicito la natura collettiva, quando afferma che “i beni del

patrimonio culturale di appartenenza pubblica sono destinati alla fruizione

21 Il Testo Unico aveva sostituito a sua volta sostituito la longeva legge 1089/1939 (recante la disciplina della tutela dei beni culturali). 22 Il Codice è stato successivamente modificato con le disposizioni integrative e correttive contenute nei d.lg. 156/2006, 52 e 63/2008.

- 18 -

della collettività, compatibilmente con le esigenze di uso istituzionale e

sempre che non vi ostino ragioni di tutela”.

La fruizione collettiva dei beni culturali non è tuttavia limitata a quelli

di appartenenza pubblica, ma è garantita anche ai beni di proprietà privata,

sebbene limitatamente agli immobili che rivestono interesse eccezionale

(dichiarato con atto del Ministero per i beni e le attività culturali, sentito il

proprietario), ed alle collezioni di eccezionale interesse artistico e storico.

Tali beni possono essere assoggettati a visita da parte del pubblico per scopi

culturali, sebbene con modalità concordate tra proprietario e soprintendente.

Al fine di garantire una adeguata promozione dei beni culturali privati così

aperti alla fruizione pubblica, il soprintendente ne dà comunicazione al

comune e alla città metropolitana nel cui territorio si trovano i beni.

L’apertura al pubblico è inoltre prevista per quegli immobili restaurati o

sottoposti ad altri interventi conservativi con il concorso totale o parziale

dello Stato nella spesa, o per i quali siano stati concessi contributi in conto

interessi, con modalità di visita concordate questa volta tra proprietario e

Ministero all’atto dell’assunzione dell’onere da parte dello Stato.

3.1.1.3 I BENI CULTURALI

Il Codice conferma l’adozione di una definizione normativa23 di bene

culturale, poiché gli articoli 10 e 11 sopra menzionati elencano

sistematicamente tutte le categorie di beni che possono rientrare nell’ambito

dei beni culturali.

In estrema sintesi, sono beni culturali:

A) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico,

archeologico o etnoantropologico appartenenti a24:

23 Ossia fondata su un elenco tassativo delle categorie di beni definibili “culturali”. 24 Sono comprese: a) le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà; b) le cose di interesse numismatico che, in rapporto all’epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione, nonché al contesto di riferimento, abbiano carattere di rarità o di pregio; c) i manoscritti, gli autografi, i carteggi, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni, con relative matrici, aventi carattere di rarità e di pregio; d) le carte geografiche e gli spartiti musicali aventi carattere di rarità e di pregio;

- 19 -

Stato, regioni ed enti pubblici territoriali

altri enti ed istituti pubblici

persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi

compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti

B) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi, gli

archivi e i singoli documenti, e le raccolte librarie delle biblioteche25,

appartenenti a:

Stato, regioni ed enti pubblici territoriali

enti e istituti pubblici

C) i seguenti beni:

i) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico,

storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente

importante appartenenti a:

soggetti diversi da quelli indicati alla lettera A), ossia

a persone giuridiche private con scopi di lucro e persone fisiche

ii) gli archivi, i singoli documenti e le raccolte librarie di

eccezionale interesse culturale appartenenti a:

privati (comprese le persone giuridiche private senza

scopo di lucro)

iii) le cose immobili e mobili che rivestono un interesse

particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia

politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della

tecnica, dell’industria e della cultura in genere, ovvero quali

e) le fotografie, con relativi negativi e matrici, le pellicole cinematografiche ed i supporti audiovisivi in genere, aventi carattere di rarità e di pregio; f) le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico; g) le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico; h) i siti minerari di interesse storico od etnoantropologico; i) le navi e i galleggianti aventi interesse artistico, storico od etnoantropologico; l) le architetture rurali aventi interesse storico od etnoantropologico quali testimonianze dell’economia rurale tradizionale. 25 Ad eccezione delle raccolte che assolvono alle funzioni delle biblioteche indicate all’articolo 47, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (ad es. le biblioteche popolari).

- 20 -

testimonianze dell’identità della storia delle istituzioni pubbliche,

collettive o religiose, nonché

iv) le collezioni o serie di oggetti che per tradizione, fama e

particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica,

storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestono

come complesso un eccezionale interesse artistico o storico:

a chiunque appartenenti

Si tratta di una definizione non distante da quella precedentemente

contenuta nel Testo unico, ad eccezione della novità costituita dalla

classificazione, nell’ambito dei beni culturali, delle “raccolte di musei,

pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi” appartenenti ad enti pubblici.

Ad integrazione di quanto sopra, è opportuno ricordare che con il d.lg.

62/2008 il legislatore ha integrato il testo normativo con l’art. 7-bis,

concernente le “espressioni di identità culturale collettiva”, contemplate

dalle Convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale

immateriale26 e per la protezione e la promozione delle diversità culturali27,

prevedendo la loro assoggettabilità alle disposizioni del codice qualora siano

rappresentate da testimonianze materiali e sussistano i presupposti e le

condizioni per l’applicabilità dell’articolo 10.

Rimane invece confermato quanto disposto dalle precedenti leggi di

tutela, ossia che non sono soggette alla disciplina della tutela le opere di

autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni. Ciò

risponde all’esigenza di “non intralciare il commercio delle opere d’arte

contemporanea” e di “evitare giudizi affrettati sul pregio artistico di opere di

autori viventi o di recente esecuzione”. 28

26 Siglata a Parigi il 3 novembre 2003. 27 Siglata a Parigi il 20 ottobre 2005. 28 ALIBRANDI Tommaso, FERRI Piergiorgio, I beni culturali e ambientali, Milano, Giuffrè, 2000. Pg. 192.

- 21 -

3.1.1.4 L’INDIVIDUAZIONE DEI BENI CULTURALI

Se con il nuovo Codice la definizione dei beni culturali non subisce

sostanziali cambiamenti, i criteri di individuazione degli stessi vengono

sensibilmente modificati attraverso l’abolizione della pratica degli elenchi

prevista dal Testo Unico (come derivazione dalla l. 1089/1939), peraltro

rimasta largamente inapplicata.

Tre sono i regimi di individuazione dei beni culturali contemplati dalla

nuova normativa:

assoggettamento automatico;

verifica dell’interesse culturale;

dichiarazione dell’interesse culturale.

Di fatto, la tripartizione dei regimi di individuazione corrisponde alla

tripartizione delle tipologie di beni culturali sintetizzata nel paragrafo

precedente.

In particolare, i beni individuati alla lettera B)29 non necessitano di

particolari provvedimenti e procedure di individuazione, poiché sono

considerati automaticamente beni culturali e conseguentemente sottoposti al

regime di tutela.

Per i beni che rientrano tra le cose immobili e mobili indicate alla

lettera A)30 è invece previsto un procedimento di verifica della sussistenza

dell’interesse culturale, ad opera dei competenti organi del Ministero,

finalizzato a valutare la possibilità di includerle nella categoria dei beni

culturali. L’accertamento dell’interesse artistico, storico, archeologico o

etnoantropologico sancisce la natura culturale del bene e dunque la

definitiva sottoposizione al regime di tutela previsto dal Codice.

Infine, per i beni elencati alla lettera C)31 è confermato il regime della

dichiarazione dell’interesse culturale32, previsto anche dalla normativa

precedente.

29 Corrispondenti a quelli elencati all’articolo 10 co. 2 del Codice. 30 Corrispondenti a quelli elencati all’articolo 10 co. 1 del Codice. 31 Corrispondenti a quelli elencati all’articolo 10 co. 3 del Codice.

- 22 -

La previsione in oggetto ha suscitato forti polemiche con riferimento

alla necessità di verificare l’interesse culturale delle cose elencate alla

lettera A); ciò, soprattutto, in considerazione del fatto che, da un lato, l’esito

della verifica è frutto di una valutazione soggettiva che incide

sull’assoggettamento a tutela del bene e, dall’altro, la norma prevede un

provvedimento di sdemanializzazione nei casi in cui la verifica abbia esito

negativo, lasciando così aperte le porte della vendita di beni culturali a

privati. Allo scopo di garantire ai beni culturali la tutela e inalienabilità in

attesa dei procedimenti di verifica dell’interesse culturale, l’articolo 12 del

Codice prevede che le cose appartenenti alla categoria A) siano sottoposte

alle disposizioni di tutela fino a quando non sia stata effettuata la verifica

dell’interesse culturale. Tuttavia, qualora tale procedimento dovesse

condurre ad un esito negativo, il bene così “declassato” sarà sottratto al

regime di tutela e, soprattutto, sdemanializzato con la conseguente

possibilità di vendita da parte dello Stato.

3.1.1.5 LE ATTIVITÀ CULTURALI

Nell’abrogare le norme relative ai beni culturali contenute nel d.lgs.

112/98 (applicativo delle leggi Bassanini), il Codice non prevede il

ripristino della definizione di “attività culturali” e della corrispondente

funzione di “promozione”.

A tal proposito va semplicemente specificato che tale abrogazione non

determina una lacuna nell’ambito del nostro ordinamento giuridico, poiché

il principio della promozione delle attività culturali da parte dello Stato e

delle sue articolazioni territoriali (regioni, province e comuni) risulta già

implicitamente sancito dall’articolo 9 della Costituzione, che così recita: “la

32 Ai sensi dell’articolo 14 del Codice, il procedimento per la dichiarazione dell’interesse culturale è avviato dal soprintendente, anche su motivata richiesta della regione e di ogni altro ente territoriale interessato, dandone comunicazione al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa che ne forma oggetto, ed è adottata dal Ministero. L’efficacia della dichiarazione è subordinata alla notifica della dichiarazione al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa che ne forma oggetto (MAGLIERI A., “Dichiarazione dell’interesse culturale”, in CAMMELLI Marco (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, il Mulino, 2007. Pg. 113).

- 23 -

Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e

tecnica”.

3.2 LE FUNZIONI

L’articolo 9 della Costituzione italiana così recita:

“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

Si tratta di una disposizione di grande rilevanza in quanto attribuisce

valore primario, nell’ordinamento giuridico, alla cultura, al suo sviluppo e

alla tutela del patrimonio che ne deriva, e costituisce pertanto il presupposto

imprescindibile delle politiche culturali di tutte le istituzioni facenti capo

alla Repubblica.

Definiti costituzionalmente i principi generali delle politiche culturali

nazionali, con l’entrata in vigore del Codice dei Beni culturali e del

Paesaggio vengono riscritti i concetti di tutela e di valorizzazione dei beni

culturali, precedentemente contenuti nel d.lgs. 112/98, nonché il sistema di

ripartizione di tali funzioni tra Stato, regioni ed enti locali.

3.2.1 LA TUTELA

Al contrario del d.lgs. 112/98 (abrogato dal Codice), nell’ambito del

quale la tutela veniva definita in modo articolato con l’individuazione di

tutti gli atti attraverso cui si esplicava l’esercizio di tale funzione, il Codice

ne fornisce una definizione sintetica, in base alla quale la tutela consiste

nell’esercizio “delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla

base di un’adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il

patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini

- 24 -

di pubblica fruizione”, e nell’adozione di “provvedimenti volti a conformare

e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale” 33.

3.2.2 LA VALORIZZAZIONE

Analogamente alla disciplina della tutela, il Codice definisce in modo

sintetico la valorizzazione, sostituendo così la definizione articolata adottata

dal d.lgs. 112/98.

La valorizzazione è definita come “l’esercizio delle funzioni e la

disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio

culturale e ad assicurare le migliori condizioni di conservazione,

utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio”34.

E’ interessante notare che nel Codice si rintraccia una sorta di gerarchia

delle funzioni, dal momento che, con l’art. 6, co. 2, viene esplicitamente

previsto che la valorizzazione deve essere esercitata “in forme compatibili

con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze”. La valorizzazione è

dunque una funzione primaria nell’ambito del sistema dei beni culturali, ma

il suo esercizio deve essere tale da non limitare o compromettere la tutela

degli stessi, indispensabile per la salvaguardia dei beni culturali e per la

fruibilità di questi ultimi da parte delle generazioni future.

3.3 GLI ATTORI

3.3.1 LA DISTRIBUZIONE DELLE FUNZIONI NELLA COSTITUZIONE ITALIANA

Prima di illustrare il contenuto della normativa sopra citata, è d’obbligo

una premessa che riguarda la distribuzione costituzionale delle funzioni tra

centro e periferia, alla luce della riforma attuata con legge costituzionale 18

ottobre 2001 nr. 3. 33 Articolo 3 del Codice. 34 Articolo 6 del Codice.

- 25 -

Il nuovo articolo 117 della Costituzione, che determina la ripartizione

tra Stato e regioni in materia di legislazione, così recita: “ […] Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

[…] s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: “[…]

valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali […]. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato […]”.

Mentre il successivo articolo 118, nel definire le attribuzioni dello Stato

e delle regioni in materia di funzioni amministrative, stabilisce che: “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che,

per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. […]. La legge statale […] disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali”.

Il principio di sussidiarietà, in particolare, risponde al criterio in base al

quale:35 “la generalità dei compiti e delle funzioni amministrative sono

attribuite ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati”.

3.3.2 LA DISTRIBUZIONE DELLE FUNZIONI NELLA NORMATIVA VIGENTE

3.3.2.1 LA TUTELA

Nel rispetto dei principi stabiliti dalla Costituzione italiana in materia di

distribuzione delle funzioni, che attribuiscono allo Stato le potestà in

materia di tutela dei beni culturali, il Codice prevede che le funzioni ad essa

35 Articolo 4, comma 3, lettera a) della legge 15 marzo 1997, nr. 59.

- 26 -

relative siano attribuite al Ministero per i beni e le attività culturali, che le

esercita direttamente, oppure ne conferisce l’esercizio alle regioni tramite

forme di intesa e coordinamenti.

La necessità di rispettare i termini della Costituzione, da un lato, e le

ragioni di opportunità legate alla gestione di tale funzione da parte dello

Stato, dall’altro, hanno dunque confermato la linea storica della tutela

statale, salvo la possibilità di un esercizio coordinato con le regioni.

Fanno eccezione i beni librari e affini non appartenenti allo Stato, la cui

tutela rimane affidata, come in passato, alle regioni.

La decisione di mantenere in capo allo Stato la funzione di tutela del

patrimonio culturale e ambientale continua a suscitare molte polemiche,

soprattutto da parte di coloro che avrebbero preferito l’attribuzione di tale

funzione alle regioni.

Le motivazioni che possono aver spinto il Parlamento ed il Governo ad

evitare tale trasferimento sono varie.

Da un punto di vista strettamente giuridico e dottrinale, si fa discendere

dall’art. 9 della Costituzione, in cui è stabilito che la Repubblica tutela il

patrimonio storico e artistico della Nazione, il fatto che i beni culturali

rappresentano un fattore costitutivo dell’identità nazionale e che, pertanto, è

lo Stato che deve garantirne l’integrità fisica.

In secondo luogo, la scelta in senso centralista può essere maturata da

una considerazione di carattere organizzativo. La consolidata esperienza

delle attuali soprintendenze, ben diffuse e radicate sul territorio (ma

svincolate dal potere politico locale), è tale da consentire allo Stato di

sviluppare una politica di tutela unitaria, pur nel rispetto delle singole realtà

territoriali. L’opportunità di garantire una politica unitaria nell’esercizio

delle attività di tutela appare più che mai giustificata dalla necessità di un

trattamento uniforme nei confronti dei privati cittadini proprietari di beni

culturali, in ragione del fatto che l’esercizio della tutela, come noto,

costituisce un limite all’applicazione del diritto di proprietà,

costituzionalmente garantito.

- 27 -

Una terza ragione, che appare invece più plausibile, è legata al fatto che

assegnando tale funzione al centro, la si svincola da scelte particolaristiche

legate a situazioni e conflitti di interesse di dimensione locale.

3.3.2.2 LA VALORIZZAZIONE

In materia di ripartizione delle funzioni, anche in relazione alla

valorizzazione rimane sostanzialmente confermata la linea precedentemente

stabilita dal d.lgs. 112/98.

Le funzioni di valorizzazione sono infatti esercitate dal Ministero, dalle

regioni e dagli altri enti pubblici territoriali attraverso forme di

coordinamento, armonizzazione e di integrazione, nel rispetto dei principi

costituzionali in base ai quali spetta allo Stato la determinazione dei principi

fondamentali in materia di valorizzazione e, nel rispetto di questi ultimi, alle

regioni è riservato l’esercizio della potestà legislativa36.

Tra i principi fondamentali individuati dallo Stato nell’ambito del

Codice è importante menzionare quello in base al quale “la Repubblica

favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati,

alla valorizzazione del patrimonio culturale”, poiché costituisce uno dei

punti di riferimento che hanno guidato lo sviluppo delle politiche culturali a

partire dagli anni Novanta.

3.3.2.3 LA GESTIONE

A differenza della precedente normativa che definiva la gestione come

una funzione ulteriore – in un certo senso indipendente – rispetto a quelle di

tutela e di valorizzazione37, il Codice ha implicitamente e più correttamente

definito la gestione come un’attività strumentale alla tutela e, in particolare,

alla valorizzazione.

36 Articolo 7 del Codice. 37 Al punto che si arrivava paradossalmente a prevedere la possibile assegnazione della valorizzazione e della gestione a soggetti diversi.

- 28 -

L’articolo 11538 del Codice, che disciplina le forme di gestione dei beni

culturali, prevede che le attività di valorizzazione dei beni culturali di

appartenenza pubblica possano essere gestite in forma diretta o indiretta.

La gestione diretta è svolta per mezzo di strutture organizzative interne

alle amministrazioni, dotate di adeguata autonomia scientifica,

organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale

tecnico, oppure anche in forma consortile pubblica.

La gestione indiretta è attuata tramite concessione a terzi delle attività

di valorizzazione, anche in forma congiunta e integrata, da parte delle

amministrazioni cui i beni appartengono o dei soggetti giuridici costituiti

dallo Stato, dalle regioni e dagli altri enti pubblici territoriali allo scopo di

provvedere all’elaborazione e allo sviluppo dei piani strategici di sviluppo

culturale e dei conseguenti programmi relativi ai beni culturali di pertinenza

pubblica, qualora conferitari dei beni culturali.

L’affidamento a terzi prevede il ricorso a procedure di evidenza

pubblica, sulla base della valutazione comparativa di specifici progetti.

Va tuttavia precisato che la gestione in forma indiretta, secondo

l’interpretazione normativa della dottrina prevalente39, può essere effettuata

dagli stessi soggetti giuridici costituiti dalle amministrazioni pubbliche per

la redazione dei sopra menzionati piani strategici di sviluppo culturale.

3.3.2.4 FORME DI COOPERAZIONE

Quanto sopra detto in materia di gestione delle attività di valorizzazione

deve essere raccordato con le disposizioni contenute nell’art. 10 del d.lgs.

20 ottobre 1998, nr. 368, in base al quale il Ministero per i beni e le attività

38 Così come modificata dal d.lg. 156/2006. 39 A titolo di esempio si citano: Girolamo Sciullo, “Valorizzazione, gestione e fondazioni nel settore dei beni culturali: una svolta dopo il d.lgs. 156/2006?”, aedon, il Mulino, 2006, nr. 2; Leonardo Zanetti, “Valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica”, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio (a cura di Marco Cammelli), il Mulino, 2007, pp. 435 – 447; Carla Barbati, “Forme di gestione”, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio (a cura di Marco Cammelli), il Mulino, 2007, pp. 456 – 467.

- 29 -

culturali, ai fini del più efficace esercizio delle sue funzioni e, in particolare,

per la valorizzazione dei beni culturali e ambientali, può:

stipulare accordi con amministrazioni pubbliche e con soggetti privati;

costituire o partecipare ad associazioni, fondazioni o società.

La norma prevede che il Ministero possa partecipare al patrimonio

sociale anche con il conferimento in uso di beni culturali che ha in

consegna, fermo restando che gli statuti dei citati enti devono prevedere che,

in caso di estinzione o di scioglimento, i beni culturali conferiti in uso

ritornano nella disponibilità del Ministero.

Tale disposizione costituisce di fatto uno strumento attraverso il quale

potenziare le politiche di gestione e di valorizzazione dei beni culturali. Da

un lato, infatti, essa offre al Ministero la possibilità di avvalersi di strumenti

gestionali alternativi ed efficaci, che oggi trovano un sempre più largo

impiego nel settore sociale e culturale (in particolare associazioni e

fondazioni). Dall’altro, l’eventualità di una partecipazione al capitale di

associazioni, fondazioni e società mediante il conferimento in uso di beni

culturali è in grado di rendere potenzialmente fruibili – e dunque

valorizzabili – anche quei beni che, normalmente, trovano spazio soltanto

nei depositi di musei e istituti culturali statali.

- 30 -

4. LE RIFORME Parallelamente alla ridefinizione di poteri e funzioni tra Stato, regioni

ed enti locali, è stata complessivamente riformata la struttura organizzativa

degli enti pubblici, sia a livello statale che locale.

Nell’ambito delle riforme organizzative che hanno coinvolto gli

apparati pubblici statali, assume particolare interesse la riforma del

Ministero per i beni e le attività culturali.

A livello locale, invece, va segnalata la riforma dell’ordinamento delle

autonomie locali, culminata nel d.lgs. 18 agosto 2000, nr. 267 (Testo Unico

delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), che ha apportato sostanziali

modifiche ai sistemi di gestione dei servizi pubblici locali.

4.1 IL MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI

Il Ministero è stato al centro di una successione di riforme quasi

frenetiche.

Verso la fine degli anni Novanta, sulla scia delle leggi Bassanini, il

Ministero per i beni e le attività culturali è stato interessato da una

significativa ristrutturazione, compiuta prima con il d.lgs. 20 ottobre 1998,

nr. 368 (Istituzione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali), poi con

il d.lgs. 30 luglio 1999, nr. 300 (Riforma dell’organizzazione del Governo) e

con il regolamento approvato con d.p.r. 441/2000, contenente le norme di

organizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, incentrato

sulla figura del segretario generale, delle direzioni generali di settore e dei

sopraintendenti regionali, ed infine con d.p.r. 173/2004, basato su

un’articolazione del Ministero in quattro Dipartimenti, dieci Direzioni

generali e diciassette direzioni regionali, ma privato della figura del

Segretario generale.

Dopo un’ulteriore riforma, attuata nel 2006 con il ripristino della figura

del Segretario generale e la soppressione dei quattro dipartimenti, nel 2009

- 31 -

la struttura organizzativa del Ministero è stata oggetto dell’ennesima

riforma, a seguito della quale il Ministero risulta articolato come di seguito

descritto.

Il Ministro mantiene la direzione politica e amministrativa,

determinando gli indirizzi, gli obiettivi e i programmi e verificando la

rispondenza a questi dei risultati conseguiti.

Al Ministero fanno capo i seguenti organi consultivi:

Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici;

Comitati tecnico scientifici;

Comitati regionali di coordinamento;

altri organi istituiti in attuazione delle leggi vigenti.

Il Consiglio superiore per i beni culturali e ambientali, in particolare, è

l’organo consultivo del Ministro in materia di programmi nazionali per i

beni culturali e paesaggistici e di piani di spesa annuali e pluriennali, nonché

in materia di schemi di atti normativi e amministrativi e, più in generale, per

qualsiasi questione gli venga sottoposta dal Ministro stesso. Il Consiglio è

inoltre un organo di consulenza nell’ambito delle previsioni stabilite dal

Codice.

L’attività di coordinamento del Ministero è affidata al Segretario

generale, il quale opera alle dirette dipendenze del Ministro.

Il Segretario generale è chiamato a svolgere compiti di coordinamento

delle strutture amministrative rispetto all’indirizzo del Ministro, nonché di

vigilanza sull’osservanza delle direttive impartite.

La riforma ha inoltre previsto la riduzione delle Direzioni generali

centrali.

Di particolare rilievo è risultato in primo luogo l’accorpamento della

Direzione generale per la qualità e la tutela del paesaggio, l’architettura e

l’arte contemporanee con la Direzione generale per i beni architettonici,

storico-artistici ed etnoantropologici, che ha dato luogo alla Direzione

generale per le belle arti, il paesaggio, l’architettura e l’arte contemporanea.

- 32 -

In secondo luogo, è stata istituita la Direzione generale per la

valorizzazione del patrimonio culturale, alla quale sono state affidate

funzioni e compiti nei settori della promozione della conoscenza, della

fruizione pubblica e della valorizzazione del patrimonio culturale, con

riguardo a tutti gli istituti e luoghi della cultura di cui all'art. 101, commi 1 e

2, del Codice medesimo, di pertinenza dello Stato o costituiti dallo Stato.

A livello periferico sono invece confermate le funzioni delle direzioni

regionali, alle quali è demandato il compito di coordinare l’attività delle

strutture periferiche del Ministero, di curare il rapporto con le Regioni, gli

enti locali e le altre istituzioni presenti nel territorio regionale.

In particolare, le strutture periferiche che le direzioni regionali sono

chiamate a coordinare, sono le seguenti:

soprintendenze per i beni architettonici e per il paesaggio;

soprintendenze per il patrimonio storico, artistico e demo-etno-

antropologico;

soprintendenze per i beni archeologici;

soprintendenze archivistiche;

archivi di Stato;

biblioteche statali;

musei e istituti di conservazione dotati di autonomia.

Al di là delle polemiche che hanno accompagnato l’ultima

riorganizzazione ministeriale attuata dal Ministro Bondi40, va ribadito

l’aspetto negativo legato all’instabilità organizzativa del Ministero generata

dalle continue riforme, con ripercussioni negative sull’efficacia delle

politiche culturali.

40 Con particolare riferimento all’accorpamento della Direzione generale per la qualità e la tutela del paesaggio, l’architettura e l’arte contemporanee con la Direzione generale per i beni architettonici, storico-artistici ed etnoantropologici e alla nomina, in qualità di Direttore della Direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale di Mario Resca, ex amministratore delegato di McDonald’s e soprattutto membro del Consiglio di amministrazione del gruppo Mondadori (cui fa capo Electa Mondadori S.p.A., concessionaria di bookshop e siti culturali del Ministero).

- 33 -

4.2 LA NORMATIVA STATALE NEGLI ANNI NOVANTA

Già si è detto che gli anni Novanta sono stati un decennio di grande

proliferazione normativa. Quest’ultima non ha investito soltanto il

funzionamento degli organi e delle strutture dello Stato e degli enti locali,

ma ha contribuito anche a migliorare i presupposti gestionali e organizzativi

delle nostre istituzioni culturali.

4.2.1 LA LEGGE RONCHEY

Tra le più note normative in ambito museale prodotte nel corso degli

anni Novanta, vi è senz’altro la l. 4/93, meglio conosciuta come Legge

Ronchey.

L’importanza di questa legge, i cui contenuti sono stati in parte ripresi

dal Codice, è dovuta al fatto che ha dato il via ad un dibattito serrato sui

temi della gestione museale, che fino ad allora, quanto meno a livello

normativo, erano rimasti ai margini delle politiche culturali.

La Ronchey è intervenuta in particolare su due aree della gestione

economica dei musei statali, quella del personale (artt. 1 – 3) e quella dei

servizi cosiddetti aggiuntivi (art. 4).

4.2.1.1 LA GESTIONE DEL PERSONALE

Nella seguente tabella è contenuto l’art. 1 della legge Ronchey.

Art. 1, l. 14 gennaio 1993, nr. 4: impiego dei servizi audiovisivi

Per la prevenzione e la tutela da azioni criminose e danneggiamenti, in tutti i musei e le biblioteche statali, nonché negli archivi di Stato in cui siano installati impianti audiovisivi di sicurezza e' autorizzato, anche in assenza degli addetti ai servizi di vigilanza dei locali aperti al pubblico, il controllo continuativo ed ininterrotto dei beni culturali esposti o comunque raccolti e depositati

E’ evidente che tale legge, oltre a migliorare gli standard di qualità

relativi alla gestione della sicurezza dei beni culturali, consente ai musei di

- 34 -

ridurre i costi per la gestione del personale, poiché autorizza l’apertura delle

sale anche in assenza degli addetti alla vigilanza dei locali, qualora nelle

stesse siano installati impianti audiovisivi di controllo.

Nella seguente tabella è riassunto l’art. 2 della legge Ronchey.

Art. 2, l. 14 gennaio 1993, nr. 4: trasferimento dipendenti tra uffici e musei.

Per assicurare una piu' intensa sorveglianza e favorire il regolare funzionamento di musei, biblioteche, archivi di Stato e ogni altro istituto periferico del Ministero per i beni culturali e ambientali, che presentino peculiari problemi di affollamento periodico o di gestione, nonche' per garantire il prolungamento degli orari di apertura e comunque in situazioni di necessita' e urgenza, il Ministro per i beni culturali e ambientali puo' assegnare temporaneamente in quelle sedi unita' dipendenti da altro ufficio, presso il quale il personale risulti in esubero rispetto alla dotazione organica. In caso di ulteriori carenze, il Ministro per i beni culturali e ambientali puo' utilizzare il personale di corrispondente qualifica posto in mobilita' da altre amministrazioni dello Stato.

Questa norma ha un notevole impatto sulla gestione dei musei, da un

lato sul piano organizzativo e gestionale, dall’altro sul piano della fruibilità

dei beni culturali.

L’autorità concessa al Ministro consente infatti una migliore e più

equilibrata redistribuzione delle risorse umane tra i vari musei, e una

conseguente razionalizzazione della spesa pubblica. Il vantaggio prodotto

dalla normativa è ancora più evidente se si pensa che in passato si sono

frequentemente verificate gravi carenze di organico in molti musei statali,

costretti a chiudere le sale al pubblico, a fronte di altre realtà museali in cui

il personale era eccessivo rispetto alle esigenze.

La mobilità del personale ha creato dunque i presupposti per una sua

più equilibrata redistribuzione tra i vari musei, consentendo in tal modo un

miglioramento della fruibilità degli stessi grazie all’apertura di sale

precedentemente chiuse per carenze di organico.

Per assicurare l’apertura quotidiana, con orari prolungati, di musei,

biblioteche e archivi di Stato, l’art. 3 della legge Ronchey prevedeva inoltre

la possibilità per il Ministero per i beni e le attività culturali di stipulare con

le organizzazioni di volontariato, sentite le organizzazioni sindacali,

convenzioni per l’impiego di personale volontario.

- 35 -

Anche questa norma, come la precedente, da un lato consentiva una

riduzione dei costi di gestione del personale, dall’altro favoriva tutte quelle

azioni rivolte ad un miglioramento della fruizione dei beni culturali.

4.2.1.2 I SERVIZI AGGIUNTIVI

La legge Ronchey ha introdotto un elemento innovativo nell’ambito

della gestione dei musei statali: la possibilità per questi ultimi di affidare a

privati la gestione dei cosiddetti servizi aggiuntivi.

Questo provvedimento, oggi sostanzialmente mutuato nell’articolo 118

del Codice,41 è fondato sull’idea che l’attivazione di servizi accessori a

quelli più strettamente culturali è in grado da un lato di incrementare e

migliorare la fruizione del servizio museale, dall’altro di incrementare i

ricavi e i proventi del museo.

Rispetto all’originaria definizione normativa stabilita dalla legge

Ronchey, il nuovo impianto legislativo è stato sostanzialmente migliorato,

ampliando da un lato le tipologie di servizi da affidare ai privati, e dall’altro

le tipologie di privati ai quali assegnare la concessione e i criteri di

assegnazione.

Le tipologie di servizi da affidare in concessione ai privati previste nella

originaria formulazione sono le seguenti:

“a) servizio editoriale e di vendita riguardante le riproduzioni di beni culturali e la realizzazione di cataloghi ed altro materiale informativo;

b) servizi riguardanti i beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito nell'ambito del prestito bibliotecario;

c) servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba e di vendita di altri beni correlati all'informazione museale.”

Il nuovo elenco di attività affidabili in concessione ai privati ai sensi

dell’art. 117 del Codice, che riprende le modifiche apportate alla Ronchey

dalla l. 85/95, è riportato di seguito:

41 Le forme di gestione coincidono con quelle indicate più sopra (gestione diretta o indiretta).

- 36 -

a) il servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi

catalografici, audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo,

e le riproduzioni di beni culturali;

b) i servizi riguardanti beni librari e archivistici per la fornitura di

riproduzioni e il recapito del prestito bibliotecario;

c) la gestione di raccolte discografiche, di diapoteche e biblioteche

museali;

d) la gestione dei punti vendita e l'utilizzazione commerciale delle

riproduzioni dei beni;

e) i servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di

intrattenimento per l'infanzia, i servizi di informazione, di guida e

assistenza didattica, i centri di incontro;

f) i servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba;

g) l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonché di

iniziative promozionali.

L’articolo 117 prevede inoltre la possibilità di una gestione integrata dei

servizi sopra elencati con quelli di pulizia, di vigilanza e di biglietteria.

Rispetto all’originaria formulazione della legge Ronchey, la gestione

dei servizi aggiuntivi può essere affidata anche a organizzazioni senza fini

di lucro.

4.2.2 L’ABOLIZIONE DELLA TASSA D’INGRESSO

La legge 25 marzo 1997, nr. 78, mutuata nell’art. 103 del Codice, ha

abrogato la tassa d’ingresso ai musei, sostituendola con un biglietto

d’ingresso. La legge ha previsto inoltre la possibilità che “l’emissione, la

distribuzione, la vendita del biglietto d’ingresso e la riscossione del

corrispettivo” avvengano “anche mediante convenzioni con soggetti

pubblici e privati” e che “per la gestione dei biglietti d’ingresso possono

essere impiegate nuove tecnologie informatiche, con possibilità di

prevendita e vendita presso terzi convenzionati”.

- 37 -

La nuova disciplina normativa ha delle implicazioni notevoli sul piano

pratico della gestione museale, legate principalmente alla differenza tra

tassa e biglietto d’ingresso.

La tassa implica che il pagamento venga effettuato dal cittadino nel

momento stesso in cui egli usufruisce del servizio. Ciò non è invece

necessario per il biglietto d’ingresso, che può essere emesso anche prima

della visita al museo.

Analogamente alla legge Ronchey, le disposizioni in esame sono

potenzialmente in grado di migliorare la struttura dei costi del museo e di

incrementare le entrate dello stesso.

Il biglietto d’ingresso consente infatti per sua natura l’impiego di

tecnologie informatiche che possono consentire una riduzione del personale,

e quindi dei relativi costi, sia in fase di emissione del biglietto che di

ingresso al museo.

Inoltre, a differenza della tassa d’ingresso, il biglietto d’ingresso

consente di attivare un sistema di prevendita, anche tramite concessionari

privati o tramite internet, facilitando l’accesso al museo da parte del

pubblico.

4.2.3 LEGGE OMNIBUS

La l. 8 ottobre 1997, nr. 352 (legge omnibus) è un provvedimento

eterogeneo ma di notevole importanza per il sistema normativo di

riferimento per il settore dei beni culturali, poiché in pochi articoli fa propri

alcuni dei principi cardine lungo i quali si è mosso il legislatore negli anni

Novanta: la semplificazione normativa e procedimentale e l’apertura ai

privati.

4.2.3.1 IL TESTO UNICO DEI BENI CULTURALI E AMBIENTALI

La legge, infatti, ha delegato il governo ad emanare un decreto

legislativo recante un testo unico finalizzato a riunire e coordinare tutte le

- 38 -

disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali e ambientali,

abrogando conseguentemente tutte le previgenti disposizioni in materia che

il Governo avrebbe inteso sostituire con il medesimo Testo Unico.

Tale delega è stata attuata con il già più volte citato d.lgs. 29 ottobre

1999, nr. 490, ormai abrogato dal Codice.

4.2.3.2 LA SOPRINTENDENZA AUTONOMA DI POMPEI

La legge 352/97 ha rivoluzionato il sistema di gestione della

Soprintendenza di Pompei.

In primo luogo, essa ha disposto la semplificazione organizzativa e

procedimentale attraverso l’attribuzione al sito archeologico di autonomia

scientifica, organizzativa, amministrativa e finanziaria, ad eccezione del

personale che è assegnato alla soprintendenza dal Ministro, sentito il parere

del soprintendente.

La Soprintendenza di Pompei è stata dotata di un consiglio di

amministrazione, con competenze in materia di programma, bilancio di

previsione, e conto consuntivo. Del consiglio fanno parte il soprintendente,

il direttore amministrativo e il funzionario di più elevato grado, appartenente

alla carriera direttiva, in servizio presso la soprintendenza.

La figura del direttore amministrativo rappresenta un’innovazione

rispetto al passato. Esso adotta i provvedimenti di attuazione del programma

e del bilancio di previsione, compresi gli atti di impegno e di spesa, e cura

l’amministrazione del personale.

In secondo luogo, la legge in oggetto ha incentivato l’intervento dei

privati nel finanziamento delle spese di recupero del sito. Da un lato, infatti,

l'immagine di un singolo bene facente parte dei complessi archeologici può

essere data in uso a soggetti pubblici e privati, per una durata non

superiore a tre anni, previa assunzione delle spese necessarie per il

restauro dello stesso. Dall’altro, invece, le erogazioni liberali effettuate

da imprese a favore dello Stato per la manutenzione, protezione e restauro

del patrimonio delle aree archeologiche di Pompei, sono state beneficiate di

- 39 -

un credito di imposta nella misura del 30 per cento dell'ammontare

dell'erogazione stessa, fino ad un limite di lire 1.000 milioni annue, da

far valere ai fini del pagamento delle imposte sul reddito delle persone

fisiche e delle persone giuridiche dovute per i periodi di imposta medesimi.

Con questa legge, Pompei ha di fatto costituito l’esperimento sulla base

del quale è stato possibile valutare successivamente l’attribuzione di

autonomia ad altre soprintendenze.

4.2.3.3 ALTRE DISPOSIZIONI

Accanto alle norme sopra menzionate, la l. 352/97 ha disposto alcuni

provvedimenti in materia di protezione dei beni culturali.

In particolare, ai produttori di generatori aerosol contenenti vernici è

stato imposto l’obbligo di indicare sulle confezioni dei prodotti la formula

chimica delle resine e dei solventi in essi contenuti, nonché dei solventi in

grado di neutralizzare le componenti della formula chimica stessa, a pena di

sanzioni amministrative pecuniarie e del divieto di commercializzazione del

prodotto. Oltre a ciò, è stato previsto l’inasprimento delle sanzioni in caso di

danneggiamento di beni culturali.

Infine, la l. 352/97 ha previsto la costituzione di una società, la

S.I.B.E.C. S.P.A., finalizzata alla promozione e al sostegno finanziario,

tecnico-economico e organizzativo di progetti e altre iniziative di

investimento per la realizzazione di interventi di restauro, recupero e

valorizzazione dei beni culturali. Tale società, tuttavia, non è mai stata

costituita.

- 40 -

4.3 LA NORMATIVA PIÙ RECENTE

4.3.1 PATRIMONIO DELLO STATO S.P.A. E INFRASTRUTTURE S.P.A.

Con legge n. 112/2002 è stato approvato un provvedimento che ha

suscitato molte polemiche nel settore dell’economia, della cultura e

dell’arte.

L’art. 7 della citata legge prevede che, per la valorizzazione, gestione ed

alienazione del patrimonio dello Stato e nel rispetto dei requisiti e delle

finalità propri dei beni pubblici è istituita una società per azioni denominata

“Patrimonio dello Stato S.p.A.”. Alla Patrimonio dello Stato S.p.A. possono

essere trasferiti diritti pieni o parziali sui beni immobili facenti parte del

patrimonio disponibile e indisponibile dello Stato, sui beni immobili facenti

parte del demanio dello Stato. Il trasferimento di beni di particolare valore

artistico e storico è effettuato di intesa con il Ministero per i beni e le attività

culturali, trasferimento che tuttavia non modifica il regime giuridico

previsto dagli articoli 823 e 829, primo comma, del codice civile, dei beni

demaniali trasferiti.

L’art. 8 della legge 112/02 autorizza invece la Cassa depositi e prestiti a

costituire una società finanziaria denominata “Infrastrutture S.p.A.” con lo

scopo di finanziare sotto qualsiasi forma le infrastrutture e le grandi opere

pubbliche, purché suscettibili di utilizzazione economica, e di concedere

finanziamenti sotto qualsiasi forma finalizzati ad investimenti per lo

sviluppo economico.

Una norma di raccordo tra i due articoli, è stabilita nell’art. 7, comma

11, in base alla quale i beni della Patrimonio dello Stato S.p.A. possono

essere trasferiti esclusivamente a titolo oneroso alla Infrastrutture S.p.A.

Tale provvedimento ha naturalmente destato un fortissimo allarme da

parte degli operatori del settore culturale, in quanto lascia aperta la strada

della vendita a privati di beni culturali attualmente appartenenti allo Stato.

- 41 -

Il richiamo contenuto nella normativa in oggetto al codice civile e agli

articoli connessi all’inalienabilità del demanio pubblico non è affatto

rassicurante, dal momento in cui il codice stesso consente la possibilità di un

passaggio dei beni dal demanio pubblico (inalienabile) al patrimonio dello

Stato (alienabile), con un semplice provvedimento dell’autorità

amministrativa. Ne consegue la possibilità di una vendita diretta del bene

culturale da parte della Patrimonio S.p.A.

La possibilità di trasferire i beni alla Infrastrutture S.p.A. consente

invece a quest’ultima di impegnare il patrimonio (anche quello culturale)

per finanziare la realizzazione di infrastrutture e opere pubbliche. In questo

caso possono cadere anche le garanzie politiche offerte dagli amministratori

pubblici, poiché nulla vieta che i beni pubblici finiscano nel patrimonio di

società miste create dalla Infrastrutture S.p.A., in cui quest’ultima sia in

minoranza rispetto a privati, ai quali non sarebbe più preclusa la possibilità

di vendere i beni o di rivalersi sui beni dati in garanzia dallo Stato.

4.3.1 ARCUS S.P.A.

Con legge del 16 ottobre 2003, nr. 291, il Ministro per i beni e le

attività culturali è stato autorizzato a costituire una società per azioni,

denominata “Società per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dello

spettacolo – ARCUS S.p.A.”, con lo scopo di promuovere e sostenere, da un

punto di vista finanziario, tecnico-economico e organizzativo, progetti e

altre iniziative di investimento per la realizzazione di interventi di restauro e

recupero dei beni culturali e interventi a favore delle attività culturali e dello

spettacolo.

L’attività di ARCUS S.p.A., che nel frattempo è stata costituita ed è già

operativa, sarà finanziata con la gestione di circa il 3% dei fondi stanziati

dalla legge obiettivo per le grandi infrastrutture fisiche (strade, porti,

ferrovie).

- 42 -

5. IL TERZO SETTORE L’analisi fin qui sviluppata non può prescindere dai mutamenti che

stanno in questi anni modificando l’assetto della gestione dei servizi sociali,

attraverso l’affermazione, a fianco dei tradizionali strumenti pubblici, di un

sistema di organizzazioni private che senza perseguire fini di lucro si

propongono il raggiungimento di scopi di utilità sociale.

Nel caso specifico dei musei, ci sono due spinte convergenti che

contribuiscono ad alimentare il ricorso al terzo settore per la gestione e

valorizzazione dei beni culturali.

In primo luogo quella pubblica. La crisi del Welfare porta lo Stato e gli

enti territoriali ad esternalizzare servizi che nei decenni passati erano stati

riservati principalmente alla gestione pubblica. Sta maturando infatti la

consapevolezza che l’accollo ai privati di una parte dei costi sociali connessi

all’erogazione di tali servizi possa produrre una gestione delle risorse più

efficiente e più efficace, fermo restando la necessità di assicurare all’ente

pubblico il potere di indirizzo e di controllo su tali attività. Che lo Stato si

stia preparando ad una simile operazione è testimoniato dal d. lgs. 460/97 e

successive modifiche, provvedimento con cui sono stati disposti benefici

fiscali alle organizzazioni non profit che rispondono ai requisiti determinati

nel decreto stesso e a quelle persone fisiche o giuridiche che effettuano atti

di liberalità in favore di tali organizzazioni. L’importanza di tale norma non

sta tanto nella concessione di vantaggi fiscali alle onlus o ai terzi sovventori,

quanto piuttosto nel fatto che con tale provvedimento prende corpo un

processo di riforma delle attività non profit destinato ad un potenziamento

del cosiddetto “terzo settore”.

D’altra parte, l’orientamento al non profit per la gestione dei servizi

pubblici costituisce uno dei punti base della politica sociale europea.

L’indirizzo statale al trasferimento di proprie funzioni a soggetti non

profit è ancora più evidente nel settore culturale: come già visto nei capitoli

che precedono, il d.lgs. 20 ottobre 1998 - istitutivo del Ministero per i beni e

- 43 -

le attività culturali - stabilisce al primo comma dell’art. 10 che “il Ministero

ai fini del più efficace esercizio delle sue funzioni e, in particolare, per la

valorizzazione dei beni culturali e ambientali può: a) stipulare accordi con

amministrazioni pubbliche e con soggetti privati; b) costituire o partecipare

ad associazioni, fondazioni o società”. Al secondo comma si aggiunge

invece che “al patrimonio delle associazioni, delle fondazioni e delle società

il Ministero può partecipare anche con il conferimento in uso di beni

culturali che ha in consegna”. Dunque, non solo il decreto individua la

partecipazione pubblica ad organizzazioni di carattere privatistico come

valida alternativa alla gestione dei beni culturali, ma indica anche la strada

per ottimizzare il rapporto tra la funzione pubblica ed i principi di

efficienza ed efficacia, data appunto dalla possibilità per l’ente pubblico di

partecipare al patrimonio dei soggetti privati con il conferimento in uso dei

beni culturali.

La seconda spinta viene invece dal settore privato ed in particolare dalle

imprese, le quali tendono ad abbandonare le vecchie forme di mecenatismo

e sponsorizzazione per partecipare a forme stabili di intervento e di

collaborazione. Si tratta di un fenomeno che si è intensificato in particolare

negli ultimi anni, nel quadro di una sempre più stretta collaborazione

pubblico-privato.

Costituiscono un chiaro indirizzo politico della spinta pubblica e di

quella privata, da un lato la Convenzione stipulata nel 1996 tra il Ministero

per i Beni Culturali e Confindustria, dall’altro il “Patto di collaborazione”

attivato nel 1999 tra Confidustria e Comuni; entrambi finalizzati alla

valorizzazione, alla promozione ed alla conservazione dei beni culturali,

oltre che alla ricerca tecnica da parte degli imprenditori.

Accanto agli evidenti noti benefici derivanti dalla sburocratizzazione

dei processi decisionali ed operativi, la scelta di un modello gestionale

privatistico per la conduzione di un museo può garantire allo stesso una

maggiore stabilità finanziaria, riflettendosi positivamente sulla

programmazione delle attività culturali. Questo è vero soprattutto se si

- 44 -

considera che la spesa pubblica nel settore culturale è altamente

condizionata dalle situazioni congiunturali negative: nei periodi meno felici

per l’economia nazionale la voce di spesa relativa alla cultura è una delle

prime a subire drastiche riduzioni nei conti degli enti pubblici. La relativa

indipendenza finanziaria degli organismi non profit spinge il management

culturale ed amministrativo a sperimentare la ricerca di nuovi fondi (fund

raising), attraverso analisi di mercato volte ad individuare nuovi e potenziali

finanziatori ed a sviluppare più agevolmente nuove e durature forme di

partnership.

5.1 GLI STRUMENTI

Le forme giuridiche utilizzabili nell’ambito del terzo settore sono quelle

tipiche della fondazione e dell’associazione, a cui si aggiunge una formula

alternativa intermedia alle due, che è quella della fondazione di

partecipazione, o fondazione pluripersonale.

L’associazione è data da una pluralità di soggetti che si uniscono

contribuendo con risorse proprie e di terzi al raggiungimento di uno scopo.

Le linee generali della politica culturale sono definite dall’assemblea dei

soci e perseguite tramite un consiglio di amministrazione.

La fondazione, invece, deriva per lo più da un atto di uno o più soggetti

che destinano un determinato patrimonio al raggiungimento di uno scopo. In

questo caso, le linee generali della politica culturale, definite dal fondatore

nello statuto di fondazione, sono interpretate e realizzate direttamente

attraverso un consiglio di amministrazione.

Ne consegue che i caratteri tipici dell’associazione, da un lato, e della

fondazione, dall’altro, sono, rispettivamente, di natura personale e

patrimoniale.

Ai modelli dell’associazione e della fondazione si è affiancato nel

decennio scorso il modello della fondazione di partecipazione (o

pluripersonale). Ormai consolidata nel panorama giuridico italiano, essa è

- 45 -

nata come incrocio dei charitable trust inglesi e delle fondazioni olandesi,

entrambe formule che si sono rivelate efficienti per la gestione dei servizi

socio-culturali. La fondazione di partecipazione rappresenta una formula

intermedia tra la forma giuridica dell’associazione e quella della fondazione,

in quanto costituisce di fatto una fondazione a struttura sociale aperta. Essa,

pur non essendo contemplata dal Codice Civile italiano, viene collocata in

piena legittimità nel nostro ordinamento giuridico.

La panoramica mostra evidentemente una varietà ampia dei modelli

gestionali con cui l’amministrazione locale può gestire i musei, anche in

collaborazione con enti ed istituzioni private.

5.2 GLI INCENTIVI FISCALI AL SETTORE CULTURALE

Nell’arco dell’ultimo ventennio, gli interventi privati in favore dei beni

culturali sono progressivamente cresciuti.

Riguardo al trattamento fiscale di tali finanziamenti, va

preliminarmente sottolineata la differenza che intercorre tra le due principali

forme di intervento:

la sponsorizzazione;

l’erogazione liberale.

La sponsorizzazione consiste in un vero e proprio contratto di

pubblicità, in base al quale, a fronte del finanziamento di una particolare

iniziativa, l’imprenditore chiede in cambio un ritorno pubblicitario. Il

rapporto che ne deriva assume pertanto natura commerciale, poiché è

fondato sullo scambio reciproco di prestazioni tra museo e azienda.

Nel caso dell’erogazione liberale, invece, viene a mancare il rapporto

sinallagmatico tipico della sponsorizzazione. L’eventuale pubblicizzazione

dell’intervento finanziario eseguito dall’azienda, in questo caso, non deriva

da un obbligo contrattuale e non assume carattere commerciale.

La scelta della tipologia di intervento ne condiziona il trattamento

fiscale.

- 46 -

Nel primo caso, trattandosi di un intervento pubblicitario di natura

commerciale, la somma investita è deducibile dal reddito d’impresa.

L’erogazione liberale, invece, è deducibile solo qualora si sia in

presenza di condizioni esplicitamente previste dalla normativa tributaria.

Un primo caso di deducibilità è quello derivato dall’art. 3 della legge 2

agosto 1982, nr. 512, mutuato nel Testo Unico delle imposte dirette,42 in

base al quale sono deducibili

“le erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, di enti o istituzioni pubbliche, di fondazioni, di associazioni legalmente riconosciute che senza scopo di lucro svolgono o promuovono attività di studio, di ricerca e di documentazione di rilevante valore culturale e artistico, la protezione o il restauro delle cose indicate nell’articolo 1 della legge 1 giugno 1939, nr. 1089, e successive modificazioni e integrazioni, e nel decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, nr. 1409, ivi comprese le erogazioni effettuate per l’organizzazione di mostre e di esposizioni che siano di rilevante interesse scientifico e culturale, delle cose anzidette, e per gli studi e le ricerche eventualmente a tal fine necessari”.

La deducibilità in questione, tuttavia, è condizionata ad una serie di

formalità ed, in particolare, ad alcuni specifici controlli e verifiche di merito

da parte del Ministero per i beni e le attività culturali o di organi ad esso

collegati.

Quest’ultimo aspetto insieme a dubbi interpretativi della legge stessa

non le hanno consentito di raggiungere pienamente le finalità per le quali

era stata disposta.

La legge 512/82 ha avuto in ogni caso il pregio di introdurre altre

forme di agevolazioni fiscali che hanno favorito, in particolare, i proprietari

di beni culturali. In primo luogo, la previsione in base alla quale gli

immobili adibiti ad uso culturale non concorrono alla formazione del

reddito; in secondo luogo, la possibilità di cedere opere d’arte a

compensazione dei debiti d’imposta; infine, l’esclusione dall’attivo

ereditario dei beni culturali vincolati ai sensi della l.1089/39 (oggi Testo

42 D.p.r. 917/86.

- 47 -

Unico dei beni culturali e ambientali) e, pertanto, l’esclusione del valore

degli stessi ai fini del calcolo dell’imposta di successione.

Tornando alle erogazioni liberali, un particolare regime di deducibilità è

stabilito per gli interventi finanziari resi alle cosiddette “organizzazioni non

lucrative ad utilità sociale”.43

In tal caso, le facilitazioni previste sono le seguenti:

per le persone fisiche, gli oneri relativi alle erogazioni liberali in denaro

a favore delle onlus danno luogo ad una detrazione d’imposta del 19%

per importo non superiore a Euro 2.065,82.

per i soggetti titolari di reddito d’impresa, gli oneri relativi alle

erogazioni liberali in denaro a favore delle onlus sono deducibili dal

reddito di impresa, per importo non superiore a Euro 2.065,82 o al 2 per

cento del reddito d’impresa dichiarato.

Un ultimo regime di deducibilità è stabilito dall’art. 38 della l. 21

novembre 2000, nel quale è stata prevista la piena deducibilità dal reddito

d’impresa delle somme erogate a favore di istituzioni culturali individuate

con decreto dal Ministero per i beni e le attività culturali.

Si tratta di una previsione di notevole importanza in quanto, anche se

limitatamente a determinate categorie di istituzioni culturali, viene concessa

la deducibilità integrale delle erogazioni liberali.

Va dato atto che la normativa tributaria si è progressivamente adattata

alle esigenze del settore culturale e dei suoi mecenati. Per un incremento

ulteriore (e necessario) degli interventi finanziari, è ora necessario che il

management delle istituzioni culturali sappia sviluppare una proficua

collaborazione con i privati finalizzata al potenziamento dell’offerta

culturale complessiva.

43 Enti non profit inclusi nelle categorie indicate dal D.lgs. 460/97. Vi rientrano, tra l’altro, le istituzioni che svolgono attività di conservazione, promozione, valorizzazione e gestione dei beni culturali previsti dalla normativa di tutela.

- 48 -

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