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Ministero per i Beni e le Attività Culturali Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Brescia, Cremona e Mantova 3 Bollettino 2006 2007

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Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici

per le Province di Brescia, Cremona e Mantova

33

isbn

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Bollettino 2006 2007

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Bollettino 2006 2007

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© 2008 Soprintendenzaper i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Provincedi Brescia, Cremona e Mantova

Realizzazione editoriale:Grafo | gestione Igb Group

isbn 88 7385 83 9

Le fotografie pubblicate,dove non altrimenti specificato, sono a cura degli autori.In copertina: Pescarolo (Cr), Museo del Lino(foto L. Rinaldi).

Chiuso in redazione nel mese di luglio 2008.

Il volume è stato realizzatocon il contributo di

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Bollettino 2006 2007Ministero per i Beni

e le Attività Culturali

Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici

per le Province di Brescia, Cremona e Mantova

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a cura di Luca Rinaldi e Diana Vecchio

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Vecchi e nuovi scenari

In pochi altri settori della Pubblica Amministrazione il dibattito sulle riforme è stato vivo in questi anni quanto in quello dei Beni Culturali, a dispetto del ruolo apparentemente relativo da essi giocato all’interno dell’economia del paese. Dopo l’entrata in vigore, nella scorsa legislatura, del D. L.vo 2/200, il cosiddetto “Codice Urbani”, revisione del Testo Unico del 999, e nel 2006 dei DD. LL.vi 56 e 57, già commentati nel precedente editoriale, il cambio di legislatura del 2006 ha portato nuove iniziative di revisione e riforma della complessa architettura normati-va e organizzativa del settore. Di particolare significato i provvedimenti di riforma dell’organiz-zazione del Ministero introdotti col D. L.vo 233/2007 e la nuova, ennesima riforma del Codice riguardante i Beni Paesaggistici, approntata dall’apposita Commissione presieduta da Salvatore Settis e approvata infine con i DD. LL.vi 62 e 63 del 26 marzo 20082.

Nello stesso tempo, ancora una volta, l’impalcatura istituzionale del Ministero è stata variata.Ricordiamo, a tal proposito, che l’entrata in vigore del regolamento del Ministero nel 200

(D.P.R. 0 giugno 200 n. 73) aveva avuto come diretta conseguenza la completa redistribuzio-ne delle competenze tra gli uffici periferici. Alla creazione delle Soprintendenze, poi Direzioni, Regionali, introdotte nel 998 e rese operative dal 2003, il regolamento citato, all’art. 20, faceva seguire il completo accentramento ad esse dei poteri svolti sino allora dalle Soprintendenze di settore. I nuovi Direttori, dirigenti di livello generale, procedevano, essendo la riforma prevista “a costo zero”, al drenaggio dalle Soprintendenze del personale necessario ad affrontare gli im-portanti compiti attribuiti alle nuove strutture.

Con il D.P.R. n. 233 del 26 novembre 2007 accanto ad alcune significative variazioni de-gli Uffici Centrali5 vengono meglio precisati, e in parte limitati, i poteri delle Direzioni Re-gionali nei confronti delle Soprintendenze di settore. Nel nuovo articolato (art. 7) le Dire-zioni Regionali vedono circoscritta a casi motivati la possibilità di avocazione di singoli pro-cedimenti, mentre (art. 8) vengono meglio precisati i compiti delle Soprintendenze, tra cui non rientra però la funzione di stazione appaltante, il cui trasferimento alle Regionali tan-te osservazioni critiche aveva suscitato. Viene ribadita soprattutto la struttura piramidale, in cui non è concesso alcun incremento della capacità operativa delle Soprintendenze trami-te forme di autonomia organizzativa, amministrativa, contabile, confermando in tal modo l’indebolimento dei poteri e dell’autorevolezza dei Soprintendenti e del personale tecnico-scientifico nei confronti delle Direzioni Regionali, vero terminale delle decisioni politiche6.

L u c a R i n a l d i

a sinistra, Cremona, il “Minareto” della vecchia Filanda Bertarelli (foto D. Morato).

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All’interno dell’iter di approvazione del nuovo regolamento, durato un anno, i diri-genti di seconda fascia del Nord Italia, chia-mati spesso alla reggenza di altre sedi oltre la propria7 per la carenza di personale venutasi a creare con il riassetto del Ministero, hanno espresso il loro motivato dissenso a una ricon-ferma delle competenze delle Direzioni Regio-nali, evidenziando le numerose criticità venu-tesi a creare8. Al D.P.R. 233/07 segue il D.M. 28 febbraio 2008, che delinea un nuovo assetto degli Uffici periferici. Anche qui alcune scelte, decise tra Ministero e Direzioni Regionali, non sembrano rispondere a una logica di potenzia-mento delle strutture delle Soprintendenze, semmai ad un loro “spezzettamento” in aree ancora più limitate e con compiti ridotti. In Lombardia si è prevista ad esempio una nuo-va Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Varese, Como, Lecco e Sondrio, con sede a Milano, che rag-grupperebbe territori assai dissimili per storia civile e religiosa, priva di una grande città d’arte come autorevole sede d’ufficio. Nel resto d’Ita-lia, ancora a invarianza di spesa e soprattutto di dotazioni organiche, vengono definitivamente separate le Soprintendenze ai Beni Architettonici da quelle per i Beni Artistici e Storici, smon-tando non poche strutture in cui la gestione unitaria della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale si era mostrata pienamente efficace.

Non sembri inutile il riferimento al complesso iter di redistribuzione delle competenze all’in-terno del Ministero. Le nuove incombenze attribuite alle strutture territoriali, soprattutto nel

campo della tutela del paesaggio, necessitano di una azione forte e unitaria, all’interno di una continuità amministrativa. La moltiplica-zione delle sedi dirigenziali vacanti, unita alla generale riduzione del personale, solo in parte affrontata con i nuovi concorsi banditi, non ha permesso finora a molti uffici di svolgere pie-namente i compiti affidati, né di poter valutare l’efficienza della gestione dei singoli dirigenti, che come si sa dovrebbero essere soggetti a va-lutazioni di merito e a rotazioni di incarico9.

L’emergenza paesaggio

“La più grave minaccia alla cultura italiana è la distruzione del paesaggio”. Così il Mini-

A

La difesa delle cascine

della Bassa Padana è

stata una delle azioni

che hanno caratterizzato

in questi anni l’azione

della Soprintendenza di

Brescia.

A) Pozzaglio e Uniti

(Cr), Casalsigone, Corte

Luminosa.

B) Castelverde (Cr),

Cascina Fabbrica.

C) Ospitaletto (Bs), la

settecentesca Cascina

Gardellone, di origine

medioevale, rasa al suolo

nel 2007.

B

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stro dei Beni Culturali Francesco Rutelli ha ribadito nel novembre 2007 all’annuale Convegno del FAI di Assisi. Il ministro ha annunciato nel contempo linee di condotta coerenti con la sen-tenza emessa dalla Corte Costituzionale n. 367 del novembre, ove viene riaffermato con forza che “la tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso e unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario e assoluto, e rientrando nella competen-za esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali”0.

Il provvedimento di riforma del Codice già Urbani, promesso dal Ministro per risolvere i pro-blemi presentatisi soprattutto per la tutela del paesaggio, è stato varato dal Governo dimissionario a gennaio e, come detto, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale nell’aprile 2008. Poche le modifiche relative alla seconda parte del Codice, fatte seguendo il procedimento inclusivo di categorie di beni già sperimentato con i primi decreti correttivi. Innovativa la tutela prevista per i beni cul-turali “immateriali” (art. 7 bis) e per le testimonianze della scienza, della tecnica e dell’industria (art. 0, c. 2). Significativi anche i provvedimenti di più puntuale salvaguardia del patrimonio culturale immobiliare di proprietà pubblica nell’ipotesi di dismissione o utilizzo a scopo di valo-rizzazione economica, con prescrizioni e clausole (artt. 55 e 55bis). Ma, come promesso, è ancora la parte terza del Codice, quella riguardante il paesaggio, a essere oggetto di nuova radicale rifor-ma. È lo Stato, si afferma ora perentoriamente, “in via esclusiva” che definisce la tutela paesaggi-stica2, onde “riconoscere e salvaguardare”, ma dove necessario “recuperare i valori culturali che esso esprime”. La pianificazione deve essere congiunta, a livello Stato-Regione, almeno quando si tratta di salvaguardia dei beni paesaggistici tutelati3.

Le Soprintendenze riprendono poi un potere di veto effettivo, dovendo esprimere pareri vin-colanti sui progetti, perfino sulla posa dei cartelli pubblicitari e sui colori delle facciate!, anche se

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il termine a disposizione per esaminare le prati-che viene ridotto da sessanta a quarantacinque giorni (art. 6, cc. 6,7,8). Tra le altre dispo-sizioni, si ribadisce la limitazione alla delega ai Comuni della materia (art. 6, c. 6, con qualche scappatoia), l’obbligo da parte regio-nale della verifica dei requisiti di competenza tecnico-scientifica, apportando le eventuali ne-cessarie modificazioni all’assetto della funzione delegata, delle discusse Commissioni Paesag-gistiche comunali (art. 6, c. 6), pena la de-cadenza delle deleghe, la necessità di rivedere i vincoli esistenti, da quelli ministeriali (art. 3, c. , lettera b) a quelli “ex Galasso” (art. 3, c. , lettera c) e sulle aree tutelate ma irrimedia-bilmente trasformate, all’interno della stesura del Piano Paesistico Regionale (art. 3, c), il riconoscimento della partecipazione dello Sta-to, garantita dallo stanziamento apposito nella Finanziaria 2008, di quindici milioni di euro, all’azione dei Comuni per l’abbattimento dei cosiddetti “ecomostri”, la creazione di un nuo-vo, nebuloso “Osservatorio nazionale per la qualità del paesaggio” del Ministero (art. 33). Un chiaro messaggio viene dall’inclusione dei centri storici nei “complessi di cose immobi-li che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale” secondo la vecchia dizione della L. 97/39, anche se poi non si capisce attraverso quali forme giu-ridiche si possa garantire la salvaguardia degli stessi (art. 36, c. , lettera c).

Senza addentrarci nel dettaglio delle disposizioni, preme sottolineare alcuni aspetti che non sono parsi sufficientemente considerati. Qualsiasi politica di accentramento di responsabilità, e dunque di moltiplicazione di procedure o più semplicemente di pratiche da istruire, non può non essere accompagnata da una robusta immissione di nuovo personale, tecnico e amministra-tivo, con relativi assistenti “collaboratori”. Le Soprintendenze per i Beni Architettonici smaltisco-no già una mole di lavoro assai maggiore delle altre, spesso con il medesimo personale, e quelle periferiche del Nord, come Brescia, sono cronicamente sotto organico. Atti di eroismo e di ab-negazione – altro che scarsa redditività degli uffici pubblici! – non possono comunque colmare le necessità di una tutela puntuale, specialmente paesaggistica, pena naturalmente per la Soprin-tendenza l’abdicazione al proprio ruolo istituzionale e l’assunzione di un atteggiamento passivo e conciliante verso ogni iniziativa.

Paradossalmente, per alcuni, si tratterebbe di una soluzione preferibile, visto che in passato nessun controllo o apprezzamento sull’efficacia dell’azione di tutela svolta è pervenuto dagli or-ganismi centrali.

L’area vincolata attorno

al Castello di Padenghe

(Bs), argine allo sviluppo

a macchia d’olio

dell’abitato.

in alto, la strada

provinciale Desenzano-

Salò, all’altezza di

Padenghe.

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In prospettiva vi sarebbe comunque un significativo incremento di lavoro degli Uffici. Attual-mente sono già circa diecimila le pratiche paesaggistiche evase annualmente a Brescia dai cinque architetti degli uffici tecnici della Soprintendenza. Esse comprendono certamente anche questioni di scarsa importanza, ma pure Conferenze di Servizi – mezzo sempre più utilizzato, anche impro-priamente5 – sui temi più vari, dalla TAV alle nuove Autostrade, alle VAS per le nuove centrali, per gli Elettrodotti, per gli impianti sciistici…, tutto il vasto contenzioso sui condoni e sulle sanatorie, le valutazioni sui nuovi strumenti urbanistici comunali.

L’altra criticità è costituita dal continuo contenzioso tra Stato e Regioni sulle competenze dele-gate. Ad una posizione “centralista” del Governo, comune alle maggioranze variabili di questi ul-timi anni, corrisponde un posizione spesso “devoluzionista” dei Governi regionali, in cui ha sem-pre spiccato la posizione oltranzista, da battistrada, della Regione Lombardia6. Che lo Stato non si debba intromettere nelle questioni paesaggistiche, e tantomeno urbanistiche, è stato dichiarato a chiare lettere dalla rappresentanza politica della Regione Lombardia, anche con riferimenti diretti all’inutilità delle Soprintendenze, destinate per alcuni a sparire7.

L’unico tavolo aperto tra Sta-to e Regione è stato in questi anni quello sulla semplificazio-ne dei contenuti della relazione paesaggistica. Ricordiamo che il Codice prevede (art. 6, c. 3) la necessità di individuare la docu-mentazione necessaria ai fini del-la verifica di compatibilità pae-saggistica degli interventi sulle aree tutelate. Con il D.P.C.M. 2 dicembre 2005 si sono definiti, a livello centrale i contenuti della relazione che correda … l’istan-za di autorizzazione paesaggisti-ca, prevedendo nel contempo la possibilità di accordi tra Regioni e Direzioni Regionali del Mini-stero ai fini di un’eventuale in-tegrazione e semplificazione dei contenuti della relazione. La Re-gione Lombardia ha recepito la norma nazionale nella sua Legge Regionale 2/2005, all’art. 80, c. , procedendo però all’emanazio-ne di autonomi “Criteri e pro-cedure per l’esercizio delle fun-zioni amministrative in materia di tutela dei beni paesaggistici” (Delibera della Giunta Regio-nale n.VIII/22 del 5 marzo 2006)8. Paventando una distin-

Moniga del Garda (BS), il

castello-ricetto medievale

con il vasto uliveto che

occupa la cima del colle,

e l’area del castello vista

dall’alto. Qui dovevano

sorgere sei grandi ville

monofamiliari con piscina.

La Soprintendenza ha

apposto nel 2007 il

vincolo di inedificabilità

dell’area, concordando

con proprietari e Comune

una diversa collocazione

dell’insediamento.

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zione troppo marcata tra disposizioni statali e regionali, veniva aperto un tavolo di confronto che si concludeva con l’accordo firmato il agosto 2006, in cui la Direzione Regionale di fatto ha sottoscritto l’impostazione regionale sulla documentazione da presentare, reputata sostan-zialmente idonea a garantire un’adeguata istruttoria dei progetti, anche se in parte difforme dai criteri statali del 2005. Un risultato deludente, anche perché la prevista fase di monitoraggio e controllo dell’attività degli Enti locali9, scelti a campione (Comuni, Province, Parchi Regiona-li) al fine di apportare modifiche o integrazioni alle norme regionali in senso migliorativo non ha portato ad alcun nuovo e definitivo accordo, il che di fatto dimostra l’incapacità delle strut-

ture ministeriali di porsi come autorevole in-terlocutore dell’azione della Regione, anche su questioni limitate.

Torniamo però alla questione centrale, quella delle forme di tutela del paesaggio. Con-sideriamo la situazione attuale del territorio lombardo e l’efficacia della normativa di setto-re elaborata da Regione ed Enti locali.

Dai Piani di Governo del Territorio al nuovo Piano Territoriale Regionale

Il quadro generaleIn Lombardia in questi ultimi anni si è assisti-

to a un nuovo e ancor più grave consumo delle

Toscolano Maderno

(BS), santuario di

Supina. Una delle

ultime oasi scampate

all’espansione

incontrollata

dell’abitato, a seguito

dell’approvazione

del PRG del

2003. Il santuario

quattrocentesco è stato

vincolato nel giugno

2007 assieme al suo

intorno.

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risorse territoriali e paesaggistiche. Due i fatto-ri che hanno contribuito a determinare questo scenario.

Il primo è strutturale. Grazie alla fuga dalla Borsa e dalle obbligazioni, e il crollo del costo dei mutui immobiliari (dal % al 5% dal 996 al 998) si è avuto un enorme incremento del-la domanda di immobili. Le regole urbanistiche favorevoli e una tassazione assai leggera su que-ste operazioni hanno fatto il resto. Almeno sino al 2006 si è avuto un nuovo boom del mattone, con una rendita esponenziale per gli operato-ri immobiliari, dato che il costo di costruzione negli ultimi dieci anni è rimasto invariato, ma i prezzi delle abitazioni sono intanto raddoppiati e nelle aree di pregio quasi triplicati.

Il secondo fattore di turbativa, già ampiamente descritto nelle pagine dei precedenti Bollet-tini, è stato la dissoluzione delle regole e dei controlli della Regione sull’attività edilizia dei Co-muni, sancita dal 997 al 2000 prima dalla delega delle competenze in materia paesaggistica, poi dall’approvazione degli strumenti urbanistici. Si sperava che quest’ultimo passaggio fosse in real-tà impedito dall’obbligo, per i Comuni, di conformarsi ai Piani Territoriali Paesistici provinciali (P.T.C.P.): ci si è sbagliati. Le indicazioni positive, per fare un esempio, del P.T.C.P. bresciano so-no state superate immediatamente dai Comuni situati nelle zone a maggior rischio speculativo. Questi, grazie agli strumenti “devolutivi” di legge – in particolare la famigerata Legge Regionale 23/997 – si sono autoapprovati, con il solo voto di Giunta e senza alcun controllo superiore, i Piani Paesistici comunali, impostati come piani “interpretativi” delle indicazioni provinciali e, co-me strumenti di maggior dettaglio, immediatamente prevalenti. A ciò è seguita la subitanea con-seguente approvazione, coi medesimi criteri, di varianti urbanistiche devastanti. I casi emblema-tici, nelle zone a forte vocazione turistica della provincia di Brescia, quali Toscolano Maderno20, Montisola, Soiano del Garda2, Manerba del Garda22, Padenghe23, spiegano a sufficienza il mec-canismo perverso. La Provin-cia non ha potuto, o in parte non ha voluto, intervenire, anche quando sarebbe stato facile, ad esempio, contesta-re lo sforamento della stima sostenibile di consumo del suolo dei nuovi insediamen-ti, in base al calcolo dei fab-bisogni secondo i parametri dell’art. del P.T.C.P., an-che ricorrendo al TAR con-tro le varianti palesemente irragionevoli2.

Forse però era già tutto scritto. Degli oltre millecin-

Lonato del Garda (Bs),

frazione Maguzzano,

Abbazia. Eccezionale

complesso architettonico,

già insediamento

benedettino, circondato

da un’area agricola di

pertinenza dell’antico

cenobio, che si spinge

sino al lago. È la più

vasta area edificabile

conservata nel basso

lago. Ne è in corso il

vincolo.

Lonato (Bs), frazione

Barcuzzi. Nuova edilizia

“vista lago”.

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quecento Comuni lombardi, ottocento sono sotto i tremila abitanti. I sindaci che bloccano lo sviluppo edilizio non vengono rieletti. Stretti tra patto di stabilità e riduzione di trasferimenti, i soldi degli oneri urbanistici, che dalla Finanziaria 200 possono essere impiegati anche per le spese correnti e non solo per investimenti, diventano indispensabili per i bilanci comunali. La stessa realizzazione di edilizia convenzionata, necessaria per il fabbisogno di abitazioni per i resi-denti a prezzi accessibili, è spesso resa possibile solo dalle larghe concessioni di aree per seconde case agli operatori immobiliari.

L’esito di questa nuova ondata edilizia è sotto gli occhi di tutti. Dal 999 al 20025 la provin-cia di Brescia ha visto sparire 929 ettari di superficie all’anno sotto il cemento e l’asfalto, un pri-mato in Lombardia. A livello pro capite il primato spetta invece alla provincia di Mantova, ed è un dato ugualmente preoccupante.

L’enorme numero di abitazioni immesse sul mercato nel decennio 996-2006 e il contempo-raneo aumento dei tassi sui mutui sta intanto generando lo scoppio della bolla speculativa. Mol-te case e capannoni rimangono invenduti e sono lo specchio di un utilizzo del territorio di tipo commerciale, sensibile solo allo sfruttamento economico e non alle esigenze abitative e a un uso oculato delle risorse.

sopra, Manerba del Garda (Bs), Porto Dusano, la “Casa sulla Cascata”. Il nuovo

intervento ha definitivamente cancellato uno degli angoli più suggestivi del

Lago, con la cascata, ora inglobata nel condominio, che precipitava a pochi

metri dalla riva.

a destra, Tignale (Bs). Demolizione di case abusive lungo la Statale Gardesana

(2007-2008), uno dei pochi esempi di diretto intervento dei Comuni nella

repressione degli abusi. Il Sindaco ha poi emesso l’ordinanza di demolizione

per 29 delle 71 villette del “villaggio fantasma” di Boldìs.

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A questo accelerato trend di consumo del territorio, si sono ancora una volta sommate le criti-cità delle norme aggressive varate per il patrimonio edilizio esistente, tra cui le più pericolose sono quelle sul risparmio energetico. La legislazione statale, che giustamente incentiva il consumo di energie alternative, senza però prevedere indicazioni per i centri storici o le aree ad alto impatto paesistico26, è stata accompagnata dal varo di una specifica norma regionale. Il comma , lettera a della L. R. 33 del 28 dicembre 2007 art. 2, consente ad esempio a chi migliora almeno del 0% le prestazioni complessive degli edifici di dedurre dal calcolo della volumetria o della superficie lorda di pavimento, e dei rapporti di copertura, l’intero spessore dei “muri perimetrali portanti e di tamponamento, nonché i solai, che costituiscono l’involucro”27. Nei centri storici dove non è rigidamente indicato il limite di altezza, questo escamotage ha permesso il sopralzo degli edifici ristrutturati, spesso con effetti grotteschi, a cui si aggiungono i devastanti effetti dell’applicazio-ne dei cosiddetti cappotti esterni all’involucro degli edifici storici, che portano invariabilmente alla demolizione e sostituzione di davanzali, cornici, fregi, modanature, lesene etc.

Piani comunali e provincialiIn questo scenario perturbato l’impatto avuto dalla prima applicazione della L. R. marzo

2005, n. 2, Legge per il governo del territorio, è stato complessivamente assai modesto. La stes-sa Legge Regionale ha dovuto essere corretta più volte nel corso del tempo per diversi motivi. Innanzitutto per sanare in qualche modo la triste vicenda della deregulation del recupero abita-tivo dei sottotetti esistenti, che tante critiche aveva sollevato (L. R. 27 dicembre 2005, n. 20), cui era seguita la L. R. luglio 2006, n. 2, e infine la più corposa modifica (5 articoli della

Toscolano Maderno

(Bs). Resti dell’uliveto

espiantato per far

posto ad un vasto

complesso immobiliare,

presso Maclino.

La Soprintendenza

ha annullato

l’autorizzazione

paesaggistica emessa

dal Comune.

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legge su un totale di 06) approvata dal Consiglio Regionale nella seduta del marzo 2008. Es-sa prevede semplificazioni procedurali per i comuni più piccoli, e una ridefinizione delle com-petenze provinciali28. Significativa, tra queste, la delimitazione degli ambiti agricoli che, se pur “contrattati”, finiscono a essere un argine ad un possibile illimitato uso del territorio da parte dei Comuni.

L’esame dei pochissimi P.G.T. sinora licenziati dalle Amministrazioni29 conferma intanto che siamo di fronte ancora a strumenti di regolazione della crescita urbana – con maggiore at-tenzione rispetto al passato per ricadute nel pubblico interesse30– e non di critica nei confron-ti dei modelli di trasforma-zione del territorio. L’atten-zione insomma è, come nel passato, rivolta allo “svilup-po” – espansione residenzia-le e commerciale-produttiva, con potenziamento delle in-frastrutture viarie – e indif-ferenza verso le aree agricole, con progressivo abbandono della campagna dove non sia fonte di reddito. Il tutto presentato con un apparato sovrabbondante di indagini preventive, dati e tabelle, che hanno il preciso compito di

Mantova, zona

Industriale Valdaro. La

nuova area industriale,

enorme insediamento

mai completato, con

grotteschi capannoni

“in stile”.

Mantova, il gonzaghesco

Porto Catena, assediato

dai nuovi condomini del

comparto di Fiera Catena.

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giustificare la progressiva e inarrestabile espansione della megalopoli padana come comunque “sostenibile”, quando poi le scelte di progressivo consumo del territorio sono semplicemente dettate dalle esigenze di bilancio dei Comuni, mentre abitazioni e capannoni appena costruiti rimangono sfitti.

Il basso profilo delle scelte locali è la diretta conseguenza dell’impostazione della Legge Re-gionale. Se alla pianificazione piramidale, “a cascata”, si vuole sostituire un insieme di piani tra loro coordinati, che si rapportano per competenze e non più per via gerarchica a quelli sovraor-dinati, il nuovo Piano Paesistico Regionale e la revisione dei P.T.C.P. provinciali finiscono ad essere sostanzialmente inefficaci se non inutili. Valanghe di indagini e mancanza di indicazioni conformative e prescrittive, tutte demandate, anzi “devolute”, ai Comuni, secondo il principio che il ruolo di autorevolezza debba sostituire quello di autorità. È l’ipotesi ottimistica che un modello cooperativo-concertativo, la vagheggiata co-pianificazione frutto di “negoziazioni e in-tese”, risulti migliore di quello conformativo dei piani sovraordinati. Il potere effettivo rimane così in mano ai soli Comuni.

Questa filosofia svuota di potere e di capacità di controllo soprattutto le Province – sem-pre peraltro in odore di soppressione per favorire lo snellimento burocratico – il cui ruolo si rivela sempre più prezioso in questo settore, essendo più vicine ai problemi del territorio, ma meno “ricattabili” dei piccoli Comuni dagli operatori economici. La Legge 2/2005 le met-te invece in un angolo, lasciando loro in pratica un ruolo di coordinamento dei Comuni. I P.G.T., a differenza di quel che accade in altre Regioni dove il compito è svolto dalle Province e dalla Regione stessa, non solo vengono redatti, ma anche approvati dagli stessi Comuni. Si è verificato anche che, in casi estremi, la Provincia stessa abbia dovuto ricorrere al TAR con-tro le scelte comunali, che invariabilmente certificano la compatibilità delle scelte locali con i piani sovraordinati .

Anche per gli altri Enti il discorso è analogo. Ricordiamo il caso dei Parchi Regionali3, già accennato nello scorso Bollettino. La L. R. 2/2005, all’art. 80, trasferisce a loro la competenza per l’emissione delle autorizzazioni paesaggistiche, ma solo al di fuori dei “territori assoggettati all’esclusiva disciplina comunale” dai Piani Territoriali di Coordinamento, che nelle aree sogget-te a forte pressione immobiliare, coincidono con tutti i terreni appetibili prossimi agli abitati, e sui quali sarebbe necessario un ben altro controllo, sottraendolo ai Comuni!

Verso il nuovo P.T.R.Veniamo infine alla revisione del Piano Territoriale Paesistico Regionale, avviata nel dicem-

bre 200532 e culminata con l’approvazione da parte della Giunta Regionale, nel gennaio 2008 (D.G.R. n.8/67 pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia del 25 marzo 2008), delle “integrazioni ed aggiornamenti” del Piano, inviate poi al Consiglio Regionale per l’adozio-ne. Ricordiamo che il Piano Territoriale Regionale (P.T.R.), ai sensi della L. R. 2/2005, ha na-tura ed effetti di piano territoriale paesaggistico, e nelle intenzioni della Regione il nuovo P.T.R. serve ad aggiornare il precedente Piano Territoriale Paesistico Regionale approvato nel 200, ispirandosi alla “Convenzione Europea del paesaggio”, e in conformità del D. L.vo 2/20033. Non sfugge però che le modifiche al Codice dei Beni Culturali, introdotte in concomitanza con l’avvio delle procedure del nuovo piano impongono ora la redazione congiunta dello stesso da parte dello Stato e della Regione, cosa che in Lombardia non si è perseguita, certo fiduciosi che “comunque” i nuovi elaborati sarebbero stati reputati congruenti alle novità introdotte dal Co-dice, come del resto viene esplicitamente affermato3. Difficile prevedere come si potrà in futuro sbrogliare l’intricata matassa.

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La dissoluzione del paesaggio. Il caso gardesano

Il quesito sull’efficacia della legislazione di tutela del paesaggio, specialmente per le zone che sono state oggetto in questi ultimi decenni del più accelerato sviluppo turistico-residenziale, si è riproposto puntualmente per il Lago di Garda, già oggetto di approfondite riflessioni al-l’interno dei precedenti Bollettini35. Il dibattito su questi temi si è riacceso a livello naziona-le dal 2006, a seguito dell’abbattimento, in aprile, del complesso di Punta Perotti a Bari, una vicenda emblematica che seguiva d’appresso i casi campani (dal Mostro di Fuenti alle Vele di Secondigliano, alle case abusive nella pineta di Eboli) e di altre aree dell’Italia Meridionale sfi-gurate dall’abusivismo; si è accompagnato ai primi timidi segnali legislativi di un’inversione di tendenza al lassismo degli anni precedenti, dalla puntuale riforma del D. L.vo 2 del 200 in senso restrittivo per i beni paesaggistici, che dal 2006 non consente che l’abbattimento del-l’edificio, per i casi di mancanza di autorizzazione paesaggistica, come unica forma di sanzio-ne amministrativa, all’esemplare azione condotta dalla Regione Sardegna in difesa soprattut-to delle proprie aree costiere. Non poco ha naturalmente influito una particolare attenzione rivolta dal Ministro dei Beni Culturali, che ha sostenuto l’azione di controllo e di denuncia degli abusi, pubblicizzando a livello nazionale i casi più clamorosi, sostenendo finalmente il solitario ed eroico lavoro delle Soprintendenze.

In Lombardia il caso del Garda è tornato così sotto i riflettori. Le accese polemiche sulla speculazione edilizia delle coste del Benaco sono rimbalzate in altri siti a rischio della Regione, dal Lago di Como (a partire dalla clamorosa bocciatura del nuovo porto e insediamento turi-stico di Caviate a Lecco), ai Parchi regionali (quello agricolo Sud Milano e quello del Ticino in particolare), e alle aree turistiche montane (l’alta Valtellina delle piste “mondiali” di Santa Caterina e il comprensorio di Ponte di Legno).

Sul Garda bresciano si sta avverando quanto preconizzato dal compianto Eugenio Turri an-che dalle pagine del precedente Bollettino. La creazione di una conurbazione perilacuale, di un’unica metropoli lacustre tra Sirmione e Toscolano che si affaccia su una quarantina di chi-lometri di costa, interrotta solo da rilievi inaccessibili (Monte Corno, la Rocca di Manerba), o da iniziative sporadiche di salvaguardia (l’isola del Garda a San Felice del Benaco), parte di quella megalopoli padana che sta di fatto saturando tutti gli interstizi liberi lungo la direttrice Milano-Venezia36.

Su questo territorio si è abbattuta la deregulation urbanistica regionale dell’ultimo decen-nio. I Comuni, gratificati dalla delega senza controllo di Milano sancita dalle mille leggi che hanno prima svuotato i piani regolatori, permettendo ogni tipo di deroga contrattata a livello locale, poi li hanno di fatto aboliti, hanno subito promosso revisioni e varianti “fai da te” de-gli strumenti urbanistici, riversando ulteriore cemento sul Lago. Anche qui l’aumento dell’of-ferta edilizia è stato accompagnato, o meglio preceduto, da una nuova impetuosa domanda di abitazioni, il che ha fatto lievitare i prezzi 37. L’aspetto inquietante di queste iniziative immo-biliari è che si tratta quasi esclusivamente di edilizia speculativa, di seconde o terze case per i vacanzieri della domenica, le “conigliere” efficacemente descritte da Vittorio Messori. Intanto le giovani coppie continuano a non trovare alloggio, sebbene la percentuale di case disabitate durante l’anno sfiori in alcuni comuni , come Sirmione 38, i due terzi del patrimonio edilizio.

Il trend pare ora rallentare. La bolla speculativa che ha gonfiato il mercato immobiliare de-ve fare i conti con un eccesso di offerta. Mentre il costo dei mutui risale e i primi sintomi di una grave crisi economica del paese si fanno sentire, cominciano a comparire i cartelli di in-venduto e alcune grosse iniziative immobiliari non partono nemmeno, in attesa di capire il

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trend del mercato. Si tratta dunque di fare un bilancio di questi anni. Anche i cittadini gardesani si interrogano se questa vendita (o svendita) del terri-torio abbia portato un nuovo diffuso benessere, anche sotto forma di incre-mento dei servizi garantiti dai Comuni che beneficiano degli altissimi oneri di urbanizzazione, o solo l’arricchimento di alcuni, come pare evidente.

Da parte della Soprintendenza bre-sciana si è trattato, in questi anni di boom sregolato, di individuare quali fossero le forme di tutela più efficaci, cioè le azioni più dirette di contrasto agli interventi di devastazione del pae-saggio. Di certo le norme, come detto, si sono progressivamente inasprite, con

la previsione a breve, in mancanza di Piani paesistici elaborati congiuntamente da Stato e Re-gione, di un parere preventivo e vincolante delle Soprintendenze sulla compatibilità paesag-gistica di progetti in aree vincolate. E sono proceduti, si sono anzi significativamente incre-mentati, gli annullamenti delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dai Comuni, che spesso hanno portato a una radicale revisione dei progetti e, in alcuni casi, al loro definitivo abban-dono. Lo stesso avviso di inizio di procedimento di annullamento, di per sé non necessario, ha ugualmente in moltissimi casi spinto i proponenti a una riforma delle proposte avanzate, dopo averle concordate con la Soprintendenza.

Si devono anche prevedere altre forme di controllo, che non siano la semplice azione repres-siva, sino ad ora successiva ad autorizzazioni rilasciate dagli enti locali. Non si può continuare a perseguire il privato che, spesso alla fine di un lungo iter in cui il prezzo del terreno è stato gonfiato ad arte, si trova finalmente in procinto di costruire, spesso con il tacito incoraggia-mento delle amministrazioni che hanno già incamerato i lauti proventi degli oneri.

Bisogna dunque agire a monte, laddove i piani vengono definiti, in un livello di pianifica-zione dove sinora le Soprintendenze non sono state chiamate a partecipare. È questa la sfida lanciata in primo luogo, con le recenti modifiche del Codice, alle Regioni: ma se Piani Paesi-stici di rigorosa tutela non vengono stipulati tramite intese tra Stato e Regioni si dovrà pro-cedere in altro modo.

Sul Garda in questi anni si sono sperimentati provvedimenti di vincolo monumentale, di-retto o pertinenziale, a estrema difesa del bene “paesaggio”, vale a dire in casi di pericolo per la salvaguardia di aree di particolare bellezza e valore. Si è intervenuti per tutelare le aree cir-costanti al Castello di Moniga, interessate da una previsione di lottizzazione a ville, e al San-tuario della Madonna di Supina nel comune di Toscolano Maderno, anch’esse assediate dai nuovi condomini turistici. Una ancor più ambiziosa proposta è stata formulata recentemente per tutto il comprensorio dell’Abbazia di Santa Maria a Maguzzano di Lonato, antico ceno-bio benedettino i cui possedimenti giungevano sino al Lago, secondo modalità che vengono illustrate più oltre in questo Bollettino. Tutte queste iniziative hanno avuto una larghissima eco sulla stampa nazionale.

Sirmione (Bs). La

lottizzazione di San Vito,

all’inizio del promontorio.

Era l’ultima area agricola

rimasta sulla penisola,

presso l’antica chiesetta

di origine longobarda. Le

lunghe trattative hanno

permesso di ottenere la

tutela di una vasta area a

sud del complesso.

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L’altra fondamentale novità è costituita dal più stretto rapporto tra strutture istituziona-li di tutela e associazioni nazionali, o comita-ti locali, di difesa del patrimonio culturale e paesaggistico. Sul Garda è sorto un Coordina-mento territoriale dei Comitati (Legambien-te, Italia Nostra, Comitato Parco delle Colli-ne moreniche, Fondo Ambiente Italiano), la cui azione di sprone e di denuncia ha non di rado incalzato i Comuni, contrastandone la deriva urbanistica, e le stesse Soprintendenze. Particolarmente incisiva è stata la loro funzio-ne di vaglio in sede di formazione degli stru-menti urbanistici.

La scommessa per il futuro non è quella di fermare, ma di governare lo sviluppo. Lo si può fare gestendo assieme, enti pubblici e tutti i soggetti portatori di pubblici interessi, le trasformazioni, evitando che le iniziative vengano divulgate quando già gli accordi tra amministrazioni locali e imprenditori sono stati siglati ed evitando di nascondere i pro-getti più discutibili fidando nell’acquiescenza dei cittadini, o peggio, nei casi più gravi, nel-l’impunità o nella lentezza dei controlli.

Il controllo delle

autorizzazioni

paesaggistiche comunali

ha permesso, nelle aree

montane e dei laghi,

di arrivare a revisioni

concordate di progetti di

grosso impatto, con un

sensibile miglioramento

delle soluzioni progettuali.

D) Montisola (Bs), frazione

Carzano. Progetto per

parcheggio di ciclomotori

(Masterplan Studio,

2007).

E) Montisola (Bs), frazione

Carzano. Progetto per

parcheggio (Masterplan

Studio, 2007).

F) Casto (Bs). Progetto

di ampliamento dello

Stabilimento Raffmetal

(arch. A. Floris, 2008).

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Note

L. Rinaldi, L’innovazione legislativa, in Bollettino n. 2 (2004-2005), Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Brescia, Cremona e Mantova, Brescia, Grafo, 2006, pp. 5-22. Il D. L.vo 56 contiene correzioni e integra-zioni alla Parte I e II del Codice, il 57 alla Parte III.2 Pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 8 del 9 aprile 2008.3 Con il D. L.vo 368/998, e il D.P.R. 29.2.2000 (Regola-mento di Organizzazione del Ministero) venivano create le Soprintendenze Regionali, con funzione di coordinamento degli uffici periferici presenti nella Regione. Esse venivano rese operative dall’ giugno 200, con la nomina dei So-printendenti Regionali tra i dirigenti di II fascia, perlopiù confermando come Regionale il Soprintendente ai Beni Architettonici della città capoluogo di regione. Inserite nel D. L.vo n. 3, 8..200, di riorganizzazione del Ministero (ai sensi della Legge Delega 37/2002), all’art. 5, le Direzio-ni Regionali diventano articolazioni territoriali del nuovo Dipartimento Beni Culturali e Paesaggistici del Ministero. Si procede all’accentramento dell’attività di gestione nego-ziale, contabile e amministrativa a livello regionale. Un vivace dibattito allora sorse sulla moltiplicazione del-le “poltrone” di dirigente generale da quattro a trentacin-que, a scapito della dotazione di personale e della copertura delle sedi periferiche vacanti a livello dirigenziale, rinfoco-latosi nell’agosto 2007 per la stabilizzazione ope legis a diri-genti generali (di fatto per il disposto del D. L.vo 65/200, come modificato dalla L. 5/2002, art. 23, in mancanza di una verifica critica del loro operato) di tutti o quasi i diret-tori regionali.5 A livello di Direzioni Generali il Paesaggio veniva accor-pato a quella dell’Architettura e dell’Arte Contemporanea, i Beni Storico-Artistici ed Etnoantropologici a quelli Archi-tettonici.6 Erano state richieste in sede di dibattito diverse compe-tenze, tra le quali la gestione autonoma dei cosiddetti ”ser-vizi aggiuntivi”, il coordinamento delle sponsorizzazioni, la possibilità di concessione in uso dei beni culturali, la notifica per le aree di particolare interesse culturale, l’autorizzazione alle alienazioni e ad ogni altro trasferimento a titolo one-roso di beni culturali appartenenti a soggetti pubblici co-me identificati dal Codice, la concessione dei contributi in conto interessi e in conto capitale e un’effettiva autonomia tecnica, scientifica, amministrativa e contabile, applicando la vigente normativa prevista per gli Istituti Centrali.7 Dall’agosto al dicembre 2006 il Soprintendente di Bre-scia è stato nominato Soprintendente ad interim per i Be-ni Architettonici e il Paesaggio e per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Friuli Venezia Giulia.8 Documento dei dirigenti di seconda fascia del Nord Italia sulla riconferma delle competenze delle Direzioni Regiona-li e indicazione delle criticità (novembre 2006). “Un primo aspetto riguarda gli organici delle strutture periferiche. È noto

che il personale delle Direzioni proviene in buona parte dal-le Soprintendenze. Ciò ha determinato, in regioni con or-ganici sotto livello come quelle del Nord Italia, un ulteriore depauperamento del personale delle soprintendenze, specie nei ruoli apicali … Non si capisce, a questo riguardo, su quale base sia stata determinata la dotazione organica delle Direzioni Regionali, mentre sono note le carenze di perso-nale presso le Soprintendenze di settore. Se è vero che le Di-rezioni devono attribuire alle Soprintendenze le risorse uma-ne e finanziarie, allora si dovrebbe provvedere ad una più equa ripartizione del personale. Esercizio delle deleghe di com-petenze. L’art. 20 del D.P.R. 73/200 assegna alle Direzioni Regionali una serie di attribuzioni, alcune delle quali, prima della riforma, erano di competenza delle Soprintendenze di settore … Alcune funzioni dovrebbero, di norma (art. 20, c. 5), essere delegate alle Soprintendenze di settore, mentre altre possono, semplicemente, essere delegate. In una situa-zione di incertezza normativa e indeterminazione delle ri-sorse umane, le Direzioni Regionali hanno esercitato il po-tere di delega in maniera diversificata, senza apparenti prin-cipi di chiarezza e trasparenza. Alcune Direzioni hanno delegato solo parzialmente, riservandosi funzioni che, di norma, andavano delegate: si veda il caso dell’art. 20, c. lettera h, relativa alla concessione in uso dei Beni Culturali. La delega parziale è in palese contrasto con la direttiva n. /2006 del Capo Dipartimento per i Beni Culturali e Pae-saggistici, emanata con circolare n. 3/2006 del 29.02.2006 … Occorre, inoltre, definire meglio il contenuto del comma 2 dell’art. 20 (‘le Direzioni Regionali curano i rapporti del ministero con le regioni, gli enti locali e le altre istituzioni presenti nella regione medesima’). Tale norma, infatti, viene da alcune Direzioni Regionali interpretata in senso estensi-vo, fino al punto da ricomprendervi anche questioni quali incontri istituzionali, commissioni operative, conferenze di servizi, partecipazione a convegni, organizzazione di mostre etc., assorbendo competenze finora esercitate dai soprinten-denti di settore, che spesso non sanno come comportarsi e si sentono, per questo, limitati nella propria sfera di auto-nomia. Vi è da sottolineare inoltre come tale estensione di-screzionale delle proprie funzioni risulti naturalmente sbi-lanciata sulle Soprintendenze di settore dalle cui fila provie-ne il Direttore Regionale. Molte direzioni, inoltre, nel caso di competenze delegate, si sono riservate forti poteri di con-trollo sulle Soprintendenze: richiesta di copia di tutti i prov-vedimenti emanati, avocazione di singole pratiche senza ap-parente criterio, richieste di riesame degli atti, con revisione d’ufficio di valutazioni di merito (ad esempio nel caso di ac-certamento di interesse culturale), che arrivano a porre in dubbio la legittimità dei provvedimenti. Non si può non sottolineare come ciò crei disorientamento nell’utenza e de-legittimi il potere autonomo dei dirigenti che tali atti hanno prodotto. Appare peraltro illogico che il controllo delle de-termine dirigenziali dei Soprintendenti sia, in realtà, eserci-tato da funzionari direttivi, non essendovi, nell’organico delle Direzioni Regionali, dirigenti tecnici oltre al Direttore. Così accade che un soprintendente sia controllato da tecni-

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ci di profilo professionale C2 o C3, magari provenienti dagli organici dell’ufficio controllato o da altre amministrazioni (scuola, economia, finanze, enti locali etc.), e pertanto privi della necessaria esperienza pluriennale che tale funzione ri-chiederebbe. Inoltre non è infrequente che, in incontri isti-tuzionali, nei quali sono invitati sia la Direzione che le So-printendenze, il Direttore Regionale si faccia rappresentare da funzionari direttivi, che detengono quindi poteri di rap-presentanza superiori rispetto ai dirigenti di 2° fascia. È ne-cessario che la norma definisca meglio la ripartizione delle competenze tra direttori regionali e soprintendenti … È in-dubbio che, in tale situazione, un maggiore esercizio della delega (o attribuzioni dirette ope legis alle Soprintendenze di settore), renderebbe più agile ed efficace l’azione ammini-strativa. Funzioni di stazione appaltante e ripartizione delle risorse finanziarie. L’esercizio di tale funzione rappresenta indubbiamente il caso più emblematico della materia di competenza delle Direzioni Regionali. Vi sono infatti alcu-ne direzioni che hanno delegato completamente tale funzio-ne …, altre parzialmente …, altre si sono trattenute inte-gralmente la materia … Le Direzioni che si sono riservate le funzioni di stazione appaltante hanno trattenuto anche i relativi fondi. Questa situazione determina un appesanti-mento nella gestione economica degli appalti … un iter bu-rocratico supplementare – dapprima concentrato in un solo soggetto (le Soprintendenze) – che rischia di determinare aggravi di spesa, dovuti, ad esempio, agli interessi per ritar-dato pagamento … o alla tassa di mora … Si ha ragione di ritenere che non sempre la gestione degli appalti da parte delle Direzioni Regionali possa aver rappresentato l’auspi-cata accelerazione degli impegni di spesa sui fondi ministe-riali … Occorre impedire che le funzioni di stazione appal-tante finora svolte, pur con molte difficoltà, da Soprinten-denze dotate di idoneo e competente personale, siano sacrificate nell’ottica di concentrare sulle Direzioni Regio-nali tali funzioni: una volta smantellate le strutture che fun-zionano presso le Soprintendenze, è difficile tornare indie-tro, senza gravi ricadute sull’efficienza dell’amministrazione … Si verifica inoltre il caso che alcune Direzioni Regionali, specialmente quelle con maggiore personale tecnico, si sono riservate anche altre competenze in materia di appalti, come la progettazione e la direzione lavori, assegnate ai propri tec-nici, talvolta in contrasto con le indicazioni del responsabi-le del procedimento, incarico che in molti casi è ricoperto dal dirigente di 2ª fascia. Si evidenzia come ciò stia creando, all’interno di uno stesso territorio, un regime di dualità e concorrenza tra il personale delle Direzioni e degli istituti, con conseguente confusione di competenze tecniche. Nel caso di competenze parzialmente delegate, inoltre, avviene che alcune direzioni si siano riservate solo un segmento del procedimento di appalto, ad esempio la gara e la stipula del contratto, lasciando alle Soprintendenze di settore il restan-te procedimento, quali la contabilità ed il collaudo. In mol-ti casi gli appaltatori devono, così, riferirsi, per alcuni appal-ti, alle Direzioni Regionali, per altri alle Soprintendenze di settore. I pagamenti sono poi effettuati in parte dalle Dire-zioni, per i fondi che si sono trattenuti, in parte dalle So-printendenze, per i fondi già ad esse assegnati. Si rischia, in questo modo, di creare una situazione di estrema confusio-

ne per gli interlocutori esterni, che spesso non sanno con precisione a che amministrazione rapportarsi. Non sembra infine corrispondere al vero che il decentramento di alcuni poteri abbia portato a quello snellimento previsto dal legi-slatore: la conclusione di procedimenti tra Direzioni Regio-nali e Soprintendenze, spesso poste a contatto tra loro in uno stesso edificio, presenta talvolta tempi superiori a quel-li che avvenivano tra direzioni generali centrali ed istituti periferici. Vi sono procedimenti come, ad esempio, il rico-noscimento dell’interesse culturale, che appaiono gravati da inutili passaggi di atti tra Direzione Regionale e Soprinten-denze: perché, in questi casi, non prevedere la competenza esclusiva delle Soprintendenze? Qual è allora l’utilità pub-blica di un siffatto decentramento amministrativo? Qual è il futuro delle Soprintendenze, istituti dotati di autonomia gestionale e di un’esperienza ultracentenaria, riconosciuta a livello internazionale?”.9 La scelta della dirigenza di seconda fascia (Soprintenden-ti, Direttori di Biblioteche etc.) dovrebbe seguire la diretti-va del Ministro del 6 maggio 2007, nella quale sono san-citi i criteri della professionalità, della rotazione, i risultati raggiunti e il periodo di permanenza, che “non può essere inferiore a tre anni né superiore a cinque anni. Cfr. anche la Direttiva PCM-Dipartimento della Funzione Pubblica, 9 dicembre 2007 n. 0, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 7 del 25 febbraio 2008, recante “Affidamento, mutamento e revoca degli incarichi di direzione di uffici dirigenziali”, in applicazione al D. L.vo 65/200, art. 9, c. .0 Sentenza della Corte Costituzionale sui ricorsi presenta-ti dalle Regioni Toscana, Piemonte e Calabria sulle ultime modifiche del Codice D. L.vo 2/200, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del novembre 2007. Particolarmente interessante ai fini della pratica della tu-tela, e in particolare nella nostra regione, il riferimento ai beni di cosiddetta “archeologia industriale”. 2 “Le norme di tutela del paesaggio, la cui definizione spetta in via esclusiva allo Stato, costituiscono un limite al-l’esercizio delle funzioni regionali in materia di governo e fruizione del territorio”, D. L.vo 2/200, art. 3, c. 3. 3 “L’elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiun-tamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni pae-saggistici di cui all’articolo 3, c. , lettere b, c e d, nelle for-me previste dal medesimo articolo 3”. D. L.vo 2/200, art. 35, c. . Ibidem, artt. 53-5.5 Si veda l’attività degli Sportelli Unici, degli Enti di Ge-stione Associata (ad esempio dei Laghi bresciani), dei Co-muni montani etc.6 Nell’autunno 2007 è stato aperto a Roma il negoziato tra Governo e Regione Lombardia per la possibile applica-zione del “federalismo differenziato”, previsto dall’art. 6, c. III della Costituzione. “Siamo convinti”, ha affermato il Governatore lombardo Roberto Formigoni, “che ad ogni livello istituzionale debbano far capo le materie che esso è meglio in grado di amministrare”. Viene richiesto il trasfe-rimento alla Regione di dodici materie, tra cui i beni cultu-

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rali e la tutela dell’ambiente, per “garantire maggiore libertà ai cittadini e ai corpi sociali. Sono tutti settori importanti sui quali abbiamo dimostrato di saper governare, e che è giusto che siano gestiti dal livello di governo più vicino ai cittadini lombardi”. È da notare che tale richiesta è stata formulata dopo il voto unanime del Consiglio Regionale, con la sola opposizione dei partiti dell’estrema sinistra.7 Nell’articolo Ai Comuni il Governo del territorio. Boni presenta il Piano Regionale e attacca i burocrati della Soprin-tendenza in La Padania del 23 maggio 2007, si leggono le affermazioni di Davide Boni, assessore al Territorio della Regione: “Dobbiamo eliminare le Soprintendenze … un appesantimento non più sopportabile, e mi chiedo perché dobbiamo mantenere in piedi una macchina che mangia un sacco di soldi”. Nelle linee politiche del movimento Lega Nord per l’Indipendenza della Padania, alla tema-tica Territorio, al capitolo Abolizione delle Soprintendenze, si legge che “Lo Stato italiano, invece di lasciare agli Enti Locali la possibilità di favorire una reale e fattiva valorizza-zione della propria cultura, ha instaurato un vero e proprio controllo capillare del territorio attraverso le Soprintenden-ze, il cui operato ostacola da sempre lo sviluppo locale … È giunto il tempo di abolire le Soprintendenze, affidando il settore alla Regione … meno incline a modelli negativi quali l’incuria e l’inefficienza” (febbraio 2008). Dal sito in-ternet ufficiale del partito, URL: http://www.leganord.org/elezioni/2008/lega/territorio/aboliz_soprintendenze.pdf.8 In realtà si tratta di una ripresa dei criteri, per certi ver-si più dettagliati, emanati con D.G.R. 309 del 25 luglio 997, in occasione della subdelega ai Comuni della tutela del paesaggio.9 Il controllo è avvenuto per gli atti emessi tra il º aprile e il 3 dicembre 2006. 20 Toscolano ha ottenuto la conformità al P.T.C.P. nel 2005.2 La variante generale e il Piano Paesistico Comunale sono del 200-2005 (architetto Buzzi).22 Una variante devastante con nuovi incrementi di volu-metria è stata approvata nel 2003 (architetto Zeni). Da no-tare che anche in ambiti di “sensibilità paesistica alta”, come definiti nel Piano Paesistico Comunale (architetti Barba e Salvadori) del 2005, si sono in alcuni casi triplicati o qua-druplicati gli indici fondiari! Su molti di essi vi è stato il parere negativo della Provincia in merito alla compatibili-tà del P.T.C.P., per sforamento della soglia consentita per il consumo di suolo, ma le concessioni sono state comunque rilasciate.23 Il Piano del 985 è stato sottoposto ad una nuova varian-te nel 2003, approvata definitivamente nel 2006 dopo il necessario passaggio di approvazione del Piano Paesistico Comunale (architetto Rovati), “conforme” al P.T.C.P. La variante ha previsto nuove aree di espansione residenziale turistica, malgrado il territorio di Padenghe sia ormai stato saturato dopo il boom edilizio speculativo degli anni No-vanta.2 Questo anche per le disposizioni della L. R. 2/2005, che

limitavano in questo senso il potere impositivo dei Piani provinciali. Quello per la provincia di Brescia aveva previ-sto, per il consumo di suolo, due soglie per i Comuni, una relativa all’accrescimento cosiddetto “endogeno”, naturale, ed uno “esogeno” relativo alle richieste per eventuali feno-meni di immigrazione o di sviluppo di seconde case in zone turistiche. Superate tali soglie si sarebbero dovuto ridiscu-tere le previsioni in Provincia, o addirittura in Regione.25 I dati si riferiscono alla ricerca presentata nel marzo 2008 da Legambiente e dal Politecnico di Milano, Dipartimen-to Architettura e Pianificazione, ed ampiamente divulgata dalle testate giornalistiche. La ricerca è stata curata e diffusa dal professor Paolo Pileri.26 Tra le leggi che incentivano la produzione delle fonti energetiche rinnovabili, il D. L.vo 92, 8.8.2005, dal cui disposto peraltro risultano esclusi gli edifici vincolati come beni culturali o paesaggistici, il D. L.vo 3/2006, in cui si precisa che gli edifici vincolati non sono esentati ma solo se i lavori comportano inaccettabili alterazioni di aspetto e ca-rattere degli edifici e dei loro elementi storico-artistici. C’è anche l’obbligo, nelle ristrutturazioni all’interno dei centri storici, che almeno il 20% del fabbisogno energetico per acqua calda provenga da fonti rinnovabili (pannelli solari o fotovoltaici). Infine il Decreto del Ministero dell’Econo-mia e delle Finanze del 9 febbraio 2007 fissa i criteri e le modalità per incentivare la produzione di energia elettrica mediante fonti rinnovabili, stabilendo i relativi finanzia-menti. 27 Per le ristrutturazioni la norma vale per gli edifici sog-getti “al rispetto dei nuovi limiti del fabbisogno di energia primaria o di trasmittanza termica”.28 Le competenze della Provincia dove essa può dettare pre-scrizioni, sono limitate ai settori della difesa idrogeologica, della tutela paesistica, delle infrastrutture sovra comunali, della definizione degli ambiti agricoli.29 Il termine dell’aprile 2009 per la redazione dei P.G.T. appare per molti Comuni un miraggio, sia per i costi da sostenere, sia per le larghissime previsioni di sviluppo inse-diativo dei P.R.G. vigenti, in una fase di stasi demografica e stagnazione economica.30 Condivisibile il proposito di rivedere i meccanismi per-versi di oneri di urbanizzazione e costruzione sottostimati, a fronte dei ricavi sontuosi dei palazzinari, spesso impiegati dalle Amministrazioni per coprire le spese correnti.3 Sulla carta la rete dei Parchi regionale rappresenta un’as-soluta eccellenza in Italia per numero e vastità delle superfi-ci vincolate, tutta legata però quasi interamente alla stagio-ne riformista della Regione negli anni Ottanta. Nel territo-rio delle Province di Brescia, Cremona e Mantova insistono il Parco dell’Adamello e Adda Sud (creati nel 983), Mincio (98), Serio (985), Oglio Nord e Oglio Sud (988), Alto Garda Bresciano (2003), Monte Netto (2007).32 Cfr. la comunicazione dell’avvio dell’elaborazione del P.T.R. n. 59 del 20 dicembre 2005, pubblicata sul Bolletti-no Ufficiale della Regione Lombardia n. 52, serie inserzioni, del 28 dicembre 2005.

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33 “L’opportunità di aggiornamento delle scelte di valoriz-zazione del paesaggio regionale, correlata alla redazione del P.T.R. ha offerto oggi la possibilità di proseguire più in-cisivamente nell’integrazione tra pianificazione territoria-le e urbanistica e pianificazione del paesaggio, ma anche di trovare maggiore correlazione con le altre pianificazio-ni del territorio, e in particolare quelle di difesa del suolo e ambientali. Si conferma e specifica così ulteriormente il sistema di pianificazione paesaggistica, in un’ottica di sus-sidiarietà e responsabilità dei diversi livelli di governo del territorio, e si rafforza il ruolo del Piano paesaggistico regio-nale quale riferimento e disciplina del governo del territorio della Regione Lombardia. Le nuove misure di indirizzo e di prescrittività paesaggistica si sviluppano in stretta e reci-proca relazione con le priorità e gli obiettivi messi a sistema dal Piano Territoriale Regionale, con specifica attenzione ai temi della riqualificazione paesaggistica e del contenimento dei fenomeni di degrado”. Dal sito ufficiale della Regione Lombardia.3 Cfr. D.G.R. 6..2008, n. 8/67: “Considerato che dal-le verifiche tecniche e giuridiche effettuate … il vigente Piano Territoriale Paesistico Regionale risulta in gran parte rispondente ai contenuti indicati nell’art. 3 del D. L.vo 2/0…”. Si noti peraltro che l’atto è precedente alla riforma Rutelli del Codice dei Beni Culturali (D. L.vo 62/2008 e D. L.vo 63/2008), che impone all’art. 35 la redazione congiunta del Piano, almeno per le aree sottoposte già a tutela.35 Cfr. E.Turri, La nuova geografia gardesana. La conurba-zione perilacustre, in Bollettino n. 2 (2004-2005), Soprinten-

denza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Brescia, Cremona e Mantova, Brescia, Grafo, 2006, pp. 29-. 36 La cosiddetta Padania è ormai una città diffusa di venti milioni di abitanti (il 78% del Nord), distesa su 30 milioni di chilometri quadrati (/ del Nord Italia), con una densità di 650 abitanti/kmq. In alcune zone ormai le aree non urba-nizzate sono scomparse. Nell’hinterland milanese, secondo i dati del Politecnico di Milano per il 2007, una volta realiz-zati tutti i Piani vigenti, la percentuale di aree urbanizzate diverrà quasi il 50%. Lungo la Comasina siamo però già al 66% sull’asse del Sempione al 60%, appena a nord di Mila-no (Sesto San Giovanni, Cinisello Balsamo, Bresso, Cusano Milanino) quasi al 00%. Vi sono ormai richieste pressanti per intaccare le aree destinate a Parco Regionale.37 I prezzi sul Lago sono in pratica triplicati. Quelli ufficiali del 2006 delle nuove abitazioni immesse sul mercato sono sui 3.000-3.200 €/mq nel comprensorio Desenzano-Sirmio-ne, e di 2.900 €/mq in quello Salò-Gardone, malgrado la massiccia invasione edilizia. I prezzi correnti sono in realtà attorno ai .000 €/mq. Nella richiesta di abitazioni di lus-so è subentrata anche la clientela straniera, in particolare i “nuovi ricchi” dell’Est europeo. I residenti del Garda sono circa 50.000, mentre nei mesi estivi la popolazione sale a 700.000 abitanti (dati forniti dalla rivista Il geometra bre-sciano. Bimestrale d’informazione del Collegio dei Geometri di Brescia, Brescia, 2006).38 In Italia ormai la percentuale di seconde case ha superato /5 dell’intero patrimonio edilizio, 6 milioni su di un totale di 28,7 milioni di abitazioni.

a destra, Madignano (Cr), Oriolo,

ex fornace di mattoni (foto L. Rinaldi).

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T u t e l a d e l p a t r i m o n i o

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Restauro, aggiunta, rimozione

La più recente definizione del concetto di “re-stauro”, riportata nel Codice dei Beni Culturali del 200 (D. L.vo. 2/200, art. 29), riprende e pre-cisa quanto enunciato nel D. L.vo. 90/99 (Testo Unico, art. 3). Si tratta di un “intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni fi-nalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione ed alla trasmis-sione dei suoi valori culturali”. L’inserimento di tale definizione nel corpus di norme che regola le operazioni di tutela del nostro patrimonio cultu-rale fa assumere al testo un valore prescrittivo di grande significato, poiché pare troncare una lun-ghissima diatriba sul restauro interna alla cultura accademica italiana, sulle finalità, i limiti e i modi dell’intervento più “corretto”. Nello stesso tempo vengono finalmente archiviate interpretazioni del-l’intervento di restauro che avevano trovato spazio in provvedimenti normativi in materia di recupero edilizio (il famigerato articolo 3 della L. 57/78), e di lavori pubblici in genere (con il regolamento attuativo della cosiddetta legge Merloni, D.P.R. 55/999, e con il Codice dei Contratti pubblici, D. L.vo. 63/2006)2.

Questa definizione, peraltro, presenta voluta-mente un margine di ambiguità. Per chi si occupa di restauro architettonico la sottolineatura dell’in-tegrità materiale come fine ultimo dell’intervento non può che suonare come una definitiva boccia-tura di ipotesi interpretative del “monumento” che si associno ad operazioni di rimozione di parti, di qualsiasi epoca siano, sulla base di semplici giudizi estetici o stilistici.

Tutto ciò che ci perviene dalla Storia è integral-

mente da conservare perché costitutivo della consi-stenza attuale del bene che come tale, e non per la sua supposta forma primitiva, nell’oggi viene rico-nosciuto e quindi tutelato. L’attenzione per il suo “recupero” non costituisce, in questo orizzonte, un invito a ricercarne elementi nascosti, ma piutto-sto un reinserimento, in quanto bene, nel circuito della pubblica fruizione o godimento, attraverso il restauro.

Un poco più sfumato ed aperto a possibili inter-pretazioni è invece il richiamo alla necessità di pro-teggere e trasmettere il “valore culturale” del bene. La teoria dei valori culturali, come magistralmen-te definita per la prima volta oltre un secolo fa da Alois Riegl, contempla il soddisfacimento di esi-genze tra loro opposte, che possono portare se ap-plicate ad interventi di “restauro” del tutto diversi. In un secolo e mezzo di cultura del restauro, queste diverse sottolineature hanno orientato l’intervento di volta in volta verso esiti di ripristino dello stato originario, di recupero dell’immagine, di esibizione filologica, di pura conservazione.

Di quale “valore culturale” si chiede perento-riamente la protezione e la trasmissione? Evidente-mente, di quello che oggi il “monumento” esprime, come manifestazione di continue mutazioni e og-getto di sedimentazioni e stratificazioni. L’obietti-vo dichiarato dalla disposizione normativa è difatti la permanenza dell’“integrità materiale” del bene, come oggi percepito dall’osservatore e dal fruito-re. Scivolano dunque in secondo piano le ipote-si, ancora tenacemente sostenute da chi rivendica una posizione “critica”, di un intervento di restau-ro come operazione “rivelativa” che, in casi ormai

L u c a R i n a l d i

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eccezionali, possa anche comportare la “rimozione delle aggiunte”3.

Differente il discorso su una possibile “integra-zione delle lacune” del testo. È evidente che in que-sto caso non ci si occupa più di quanto oggi perve-nuto, ma della possibile trattazione di parti perdute. Sul tema dell’integrazione delle lacune nel restauro artistico e architettonico esiste una ricchissima bi-bliografia specifica, che in ambito italiano riflette una coerenza di impostazione teorica, nel solco di un approccio critico-filologico che per tutto il seco-lo scorso, dalle proposizioni di Camillo Boito sino all’organica trattazione di Cesare Brandi, ha trova-to nel restauro archeologico la sua più esemplare applicazione.

Nell’ambito del restauro artistico questa impo-stazione, in particolare la necessità di distinguere nettamente nell’intervento tra “originale” e parte ri-pristinata, integrata o aggiunta, è stata oggetto di os-servazioni critiche, che tendevano a contestualizzare le affermazioni di Brandi, molto spesso influenzate, ancora nel secondo dopoguerra – si pensi al restau-ro architettonico – dalla constatazione della perma-nenza di atteggiamenti inclini al ripristino stilistico. L’integrazione delle lacune è, per dirla con i Mora e Paul Philippot, un mero “problema di presentazio-ne”5, secondario, o meglio laterale, rispetto a quello della conservazione del testo originale.

Sulla presunta necessità di una chiara distinzio-ne, nel linguaggio e nel trattamento dei materiali, tra testo e lacuna – caposaldo delle teorie del restau-ro architettonico, da Brandi alla Carta del Restauro di Venezia – vale l’esempio della libertà con cui in questi ultimi decenni si è operato per il trattamento delle lacune nel restauro artistico: “non c’è da spa-ventarsi, da arrendersi, davanti alla paura di ingan-nare il pubblico. Solamente nel nostro paese esiste questa estenuata preoccupazione nei confronti delle integrazioni analogiche: altrove, in tutto il mondo, nessuno se ne preoccupa … In pittura basta che ci sia una documentazione scritta e fotografica, acces-sibile attraverso un catalogo nell’archivio del museo, per salvaguardare chi deve esaminare il dipinto in maniera non occasionale”6.

La lacuna, in architettura, potrà dunque essere trattata liberamente, nell’orizzonte del restauro, co-me consapevole atto progettuale. Se ne potrà volu-tamente evitare la risarcitura, come deliberato atto di conservazione di una fonte di conoscenza, para-

dossalmente maggiore di quanto spesso non faccia la “lacuna” risarcita, e stimolo per la fantasia di un “restauro mentale”; sempre che questa scelta non arrechi degrado alle altre parti conservate, e sempre che questo atteggiamento sia esteso a tutti i materia-li della fabbrica, senza scegliere quelli ove didascali-camente esibire scelte di “conservazione integrale”. Allo stesso modo, senza pudori, la lacuna potrà esse-re integrata, utilizzando un linguaggio francamente moderno, operando nella distinzione, o all’opposto mimetico, analogico e persino imitativo, come si è fatto anche di recente, in circostanze peraltro ecce-zionali7. Il tutto pienamente consapevoli di quanto l’intervento possa aiutare o nuocere al maggiore ap-prezzamento dei molteplici “valori” del manufatto, ma nello stesso con la consapevolezza della possibi-le reversibilità dell’operazione, in quanto, obbliga-toriamente, l’intervento non potrà essere che in ag-giunta e non in sostituzione – questa sì creatrice di una “lacuna” – di quanto ci è pervenuto.

I casi che sono presentati in questa sede riguar-dano, più che il risarcimento di “lacune”, il rimon-taggio di elementi volutamente rimossi in un recen-te passato o parzialmente perduti a causa di even-ti traumatici. Si tratta di “lacune” definibili come tali poiché dimensionalmente limitate rispetto al-l’estensione del “monumento” in sé, non negative o pericolose per la conservazione delle architetture, ma comunque ridefinibili. Per tutti tre i casi la ri-chiesta di risarcitura, con le necessarie integrazioni, è venuta dalla proprietà del bene. La Soprintenden-za, giudicando ammissibile la reintegrazione, ope-razione che avrebbe consentito anche la rimessa in opera di elementi architettonici dispersi, ne ha se-guito da vicino il progetto.

Schede

Palazzo Martinengo della Motella8, a Brescia, tra le attuali vie Cairoli e via Pace, è un’imponente costruzione, frutto dell’ampliamento tardocinque-centesco di una fabbrica quattrocentesca ancora parzialmente esistente. L’ampliamento venne pro-mosso dal conte Camillo Martinengo (57-609); dopo il passaggio di proprietà alla famiglia Calini, nel 66, la dimora venne decorata e ristrutturata in-ternamente. Nel Settecento venne creato un nuovo piano con appartamenti “alla capuccina” ottenuti

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abbassando i solai lignei seicenteschi. Fu allora pro-mossa l’esecuzione di un nuovo apparato decora-tivo, che culminò all’inizio dell’Ottocento con la commissione, da parte di Teresa e Antonio Calini a Giuseppe Teosa prima e Luigi Basiletti poi, dei di-pinti che ancora adornano le sale del piano nobile.

All’esterno il palazzo aveva mantenuto inte-gralmente l’aspetto originario, databile agli anni a cavallo dei secoli xvi e xvii. Soprattutto il portale principale, col superbo portone ligneo intagliato, e la monumentale balconata d’angolo – soluzione presente in altri palazzi bresciani – caratterizzavano i due fronti. L’edificio fu inserito nel primo ristret-to gruppo di palazzi bresciani vincolati dal Mini-stero nel 92.

Il 5 marzo 95 una bomba alleata centrò in pieno l’angolata, causando un vasto squarcio nella muratura e danneggiando due locali adiacenti alla deliziosa alcova di Teresa Calini, affrescata dal Teo-sa. Il balcone non venne più ricomposto. Rimasero in opera solo alcune mensole, mentre i proprietari ricoverarono in giardino i frammenti della balau-stra. Già nel 96 il Soprintendente ai Monumenti di Milano, Guglielmo Pacchioni, avanzava al Mini-stero una richiesta di finanziamento per il restauro integrale della facciata e degli Interni; la spesa, di .500.000 lire, non venne mai approvata.

Il primo progetto organico di restauro, che pre-vedeva la trasformazione del palazzo in residenze con un vasto parcheggio sotterraneo, è stato pre-

sopra, Brescia, Palazzo Martinengo della Motella.

L’edificio dopo il bombardamento del 5 marzo 1945.

a sinistra, Brescia, Palazzo Martinengo della Motella.

Il palazzo prima dei lavori. Si notino in situ le sole

mensole della balconata.

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sentato nel 999 e approvato all’inizio del 200. Una revisione del progetto è stata richiesta nel 2002 al nuovo progettista, l’ingegner S. Conter. I lavori si sono conclusi nel 2006. Il progetto di ricomposi-zione della balconata è stato redatto tra il 2003 e il 200, e realizzato nel 2005. Per le integrazioni degli elementi strutturali mancanti si è scelto di utilizzare la pietra Botticino, per i balaustrini elementi in gra-niglia che ad una vista ravvicinata potessero essere identificati come di sostituzione.

La chiesa parrocchiale di Sant’Erasmo di Ca-stel Goffredo9 è uno dei più illustri esempi dell’ar-chitettura religiosa del secondo Cinquecento nel ducato gonzaghesco. Venne infatti eretta, o me-glio interamente ricostruita, tra il 588 e il 590, a quanto pare su disegno del giovane Girolamo Fac-ciotto (565-68), forse figlio del più celebre Ber-nardino, architetto dei Gonzaga. È un organismo di insolita purezza, a tre navate con transetto cu-polato, con la navata centrale a botte non unghiata e cappelle laterali quadrangolari. Unico elemento inconsueto, la coppia di ampie cappelle all’altezza della prima campata, con ogni probabilità previste ab origine (una lapide nella cappella di Sant’Anto-

nio reca la data 627), la cui presenza determina la larghezza della fronte. Questa era stata concepita come fondale della piazza del borgo feudale; il suo prolungamento laterale, con l’iterazione del parti-to architettonico sottolineato da un possente corni-cione, aveva la funzione di correggere la posizione del tempio antico, non in asse con il centro dello spazio pubblico. Un espediente scenografico, simi-le a quello che pochi anni prima era stato adottato alla Corte Ducale mantovana con la larga facciata della Basilica palatina di Santa Barbara.

La facciata originaria venne mutilata nel 90 delle due appendici laterali che ne costituivano la cifra stilistica, con l’esplicita approvazione della So-printendenza di Verona, allora competente sul ter-ritorio mantovano, paradossalmente proprio per ri-donare alla Chiesa le sue linee architettoniche del ’500 … la giusta armonia di proporzioni. Al posto delle campate estreme si eressero semplici pareti con fi-nestre termali. Gli elementi architettonici originali (lesene, obelischi, edicole) furono smontati e in par-te dispersi presso privati.

In occasione dei recenti lavori di manutenzio-ne della facciata0 è stata favorevolmente valutata la proposta di reimpiegare quanto era stato eliminato nel 90 e in seguito abbandonato. La riscoperta dei due obelischi laterali cinquecenteschi e di por-zioni consistenti del basamento di una delle lesene soppresse, insieme alla ricca documentazione foto-grafica d’archivio e alla presenza in loco delle tracce degli elementi architettonici eliminati ha permesso la parziale ricomposizione della facciata cinquecen-tesca. Solo per le edicole sommitali, in muratura intonacata di cui non rimaneva alcuna traccia si è proceduto alla riproposizione analogica, con l’ausi-lio delle sole fotografie e dei disegni d’archivio.

I lavori si sono svolti tra i mesi di aprile e otto-bre 2007.

Brescia, Palazzo

Martinengo della Motella.

L’angolata tra via Cairoli

e via Pace dopo i restauri.

Originali sono tutti i

pilastrini, una sola delle

balaustre, e alcuni tratti di

basamento e davanzale.

Castel Goffredo (Mantova),

chiesa prepositurale di

Sant’Erasmo. La facciata

nella prima metà del

Novecento.

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Castel Goffredo

(Mantova), chiesa

prepositurale di

Sant’Erasmo. La facciata

come si presentava dopo i

“restauri” del 1940.

sotto, la facciata della

chiesa oggi.

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Il sagrato della chiesa abbaziale di San Benedet-to Po è limitato da uno spazio recintato almeno dal xvi secolo. Questa delimitazione venne rinnovata alla fine del xvii secolo, o all’inizio del successivo, con la costruzione di una lunga balaustrata con le statue dei dodici Apostoli, raggruppate in due gruppi di sei, per lasciare un varco centrale. Diffi-cile pensare che tale balaustrata girasse a chiudere anche il lato corto del sagrato, poiché durante i re-centi lavori di ripavimentazione della piazza non si è trovata traccia di fondazioni. Ad ogni modo, es-sendo giudicato di scarso valore artistico, il recinto venne mutilato nei primi decenni del secolo scorso, in occasione della sistemazione della piazza. La me-tà occidentale venne smantellata e le statue rimosse

furono ricoverate all’interno dell’ex monastero.Nel 2002 la Regione Lombardia ha promosso

un Accordo di Programma quadro con altri sog-getti pubblici, tra cui il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in cui è inserito il recupero del complesso abbaziale di San Benedetto Po e che comprende la sistemazione degli spazi antistanti. A seguito di concorso di progettazione l’incarico per la piazza è stato affidato allo studio Zermani di Par-ma. Nel progetto definitivo (200) compare anche la ricomposizione del settore di balaustra asportata. Il progetto di restauro complessivo di questo ele-mento, dell’architetto G. Pavesi, è stato approntato all’inizio del 2008, contemporaneamente alla fine dei lavori di risistemazione della piazza.

San Benedetto Po (Mantova), complesso abbaziale di San Benedetto. La chiesa

all’inizio del Novecento, con la balaustra del sagrato integra (da R. Bellodi, Il

monastero di San Benedetto Polirone nella storia e nell’arte, 1905).

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San Benedetto Po

(Mantova), complesso

abbaziale di San

Benedetto. Chiesa

Abbaziale, sagrato.

Particolari del tratto di

recinzione superstite.

Sopravvivono i pilastri

d’ingresso del sagrato.

San Benedetto Po

(Mantova), complesso

abbaziale di San

Benedetto. Una delle

statue degli Apostoli

ricoverate in magazzino in

attesa di restauro.

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“Per restauro si intende l’intervento diretto sulla cosa volto a mantenere l’integrità materiale e ad assicurare la conservazione e la protezione dei suoi valori culturali”. La definizione di “conservazione” del Codice, come azione di prevenzione, manutenzione e restauro, nella sua puntuale articolazione ne precisa i termini entro un chiaro quadro di riferimento, anche normativo. Tra i numerosi commen-ti all’articolo, cfr. almeno il contributo di M. Guccione, in Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, a cura di M. Cammelli, Bologna 2007, pp. 77-8.2 Nel regolamento attuativo della Legge quadro in mate-ria di lavori pubblici (D.P.R. 55/999), al Titolo xiii, nel-la parte dedicata ai beni culturali, il restauro viene definito come una serie organica di “operazioni tecniche specifiche indirizzate alla tutela e valorizzazione dei caratteri storico-artistici dei beni culturali e alla conservazione della loro consistenza materiale” (art. 22), ove il solo riferimento al valore storico-artistico del bene costituisce, evidentemente, un limite culturale e interpretativo.3 La posizione oggi prevalente è illustrata da Giovanni Carbonara, Teoria e metodi del restauro, in Trattato di restauro Architettonico, a cura di G. Carbonara, Torino, UTET, 996, vol. , pp. 3-07. Si riprendono alcuni temi già svolti in L. Rinaldi, Teoria della conservazione e trattamento delle lacune, in Le lacune in architettura. Aspetti teorici e operativi, Atti del Convegno di Studi, Bressanone, - luglio 997, a cura di G. Biscontin, G. Driussi, Venezia-Marghera, Arcadia Ricerche, 997. 5 P. Mora, L. Mora, P. Philippot, La conservazione delle pitture murali, Bologna, Compositori, 200 (trad. it. di La conservation des peintures murales, Bologna, Compositori, 997). Cfr. specialmente il capitolo xi, pp. 37-363 nell’edi-zione francese.

6 A. Conti, Manuale di restauro, a c. di M. Romiti Conti, Torino, Einaudi, 996, p. 262.7 Almeno in Italia, gli “avvertimenti” di Brandi sul rischio di “falso estetico”, oltre che di “falso storico”, accompagna-ti dallo scarsissimo livello dei casi di integrazioni “a l’iden-tique” – si pensi alla ricostruzione della Fenice di Venezia – hanno sinora limitato l’impiego delle integrazioni stili-stiche.8 Sull’edificio e i restauri cfr. la pubblicazione Palazzo Mar-tinengo della Motella. La storia e l’intervento, a cura della Campana Costruzioni, Brescia 2006, dove si riportano ag-giornamenti rispetto all’illustrazione del palazzo presente in F. Lechi, Le dimore bresciane in cinque secoli di storia, V. Il Seicento, Brescia, Edizioni di storia bresciana, 976, pp. 20-26.9 Sull’edificio e le sue vicende cfr. C. Bonora Previdi, Chiesa della città e dei suoi santi. La prepositurale di San-t’Erasmo in Castel Goffredo, Castel Goffredo, Parrocchia di Sant’Erasmo, 2006, con ampia bibliografia.0 Ad opera dello Studio Inside, architetto D. Pincella. L’attribuzione dell’operato è controversa: si può attribuire forse già al 695, sotto la spinta dell’abate Stefano Bellinzani, recando questa data due delle statue di Apostoli, oppure agli anni 722-26, durante l’imponente campagna di lavori che portò al sopralzo del vestibolo giuliesco della facciata. Nel settembre 725 risultano pagati “li balaustri delle ringhiere del piazzale”, anche se non si specifica in quale punto. Cfr. P. Piva, San Benedetto a Polirone. L’abbazia, la storia, San Benedetto Po, Museo civico polironiano, 99, p. 57; Idem, Memoria storica e cancellazione del passato, in Storia di San Benedetto Polirone. L’età della soppressione, a c. di P. Piva, M.R. Simonelli, Bologna, Patron, 200, pp. 2-22.

Note

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Esempi di “sprezzatura” nell’arte edificatoria del xviii secolo in area bresciana

M a r c o F a s s e r

Nel secondo Bollettino della Soprintendenza sono stati presentati alcuni esempi di soluzioni tecnico-costruttive, riscontrabili in architetture settecentesche, atte a risolvere problemi architet-tonici. Ingegno ed esperienza applicati ma oppor-tunamente occultati, affinché il risultato apparisse assolutamente convenzionale o venisse percepito come semplice stravaganza, come nel caso dell’eli-minazione di una colonna nella sequenza di un porticato, col peduccio rimasto sospeso2.

In seguito all’evento sismico che ha colpito la Riviera di Salò e la bassa Valle Sabbia nel 200, la necessità di curare i danni e le cause del quadro fessurativo ha moltiplicato le attenzioni alle pa-tologie strutturali delle architetture storiche, an-che nei territori non direttamente interessati dal terremoto.

A seguito di tale circostanza è stato sottoposto all’attenzione della Soprintendenza bresciana il ca-so della chiesa parrocchiale della Natività di Ma-ria Vergine di Berlingo (Brescia)3. Anche in questo edificio è venuta alla luce un’invenzione costruttiva di notevole interesse, confinata nel sottotetto, al-l’estradosso delle volte.

La chiesa, edificata alla fine degli anni Ottanta del xviii secolo, venne terminata nel 798 ed è at-tribuita, con riserve, all’architetto Gaspare Turbi-ni. Si compone di un impianto convenzionale a navata unica, con cappelle laterali alternate a pieni cui corrispondono contrafforti quadrangolari, cavi per la quasi totalità della loro altezza. La spaziali-tà è definita dalla profondità del vano principale e dallo slancio verticale delle strutture, con una se-quenza di volte sferiche, prive delle consuete cate-

ne metalliche che avrebbero potuto disturbare la lettura del ritmo alternato degli archi e delle vele.

La volontà di evitare opere intradossali per il contenimento delle spinte orizzontali di archi e volte, al fine di non interferire con la percezione delle volte decorate, è un problema che ha assilla-to gli architetti fino dall’epoca rinascimentale e a cui si è tentato di dare soluzione con l’utilizzo del-le catene metalliche estradossali: soluzione che si è rilevata però inefficace per la deformabilità di tali presidi, come sinteticamente dimostrato da Giu-

Berlingo (Bs), chiesa

parrocchiale della

Natività di Maria Vergine.

Vista della volta verso il

presbiterio.

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seppe Valadier nel Trattato di architettura pratica 5. L’alternativa era costituita dal contrapporre alla spinta delle volte un’adeguata massa muraria, sul-l’esempio delle strutture classiche. In questo caso i costi e tempi di realizzazione si sarebbero inevi-tabilmente dilatati.

A Berlingo, la soluzione scelta sembra essere di quest’ultimo tipo. Si confidava nell’azione dei con-trafforti cavi alternati alle cappelle e in un sapien-te gioco di contrasto di archi di scarico che pare richiamare i saperi dei costruttori gotici d’Oltral-

pe. La fabbrica manifestava però un evidente qua-dro fessurativo, concentrato prevalentemente nelle strutture voltate, che denotava la difficoltà dell’im-pianto strutturale ad assorbire probabili assesta-menti differenziali delle fondazioni. Ciò che è sta-to rinvenuto nel sottotetto farebbe inoltre presup-porre che, già all’epoca dell’erezione del tempio, il progettista/costruttore nutrisse dei dubbi sulla rea-le efficacia del sistema statico prescelto, considera-te le proporzioni e il dimensionamento delle masse murarie. Egli infatti progettò e realizzò un sistema di contenimento estradossale delle spinte dell’arco trionfale, apportando una decisiva modifica allo schema strutturale già criticato da Valadier.

In corrispondenza dell’arco trionfale si riscon-tra l’appoggio di una capriata lignea, la cui catena, sovradimensionata, viene utilizzata per incastrar-vi tiranti obliqui, ancorati alle murature d’ambito con un capochiave a paletto completamente an-negato nella muratura. L’innovazione consiste nel rendere indeformabile l’elemento orizzontale del-la struttura a braga, che riceve ulteriore ausilio da altri due accorgimenti: la realizzazione di rinforzi a mensola alla estremità della catena, per ridurne la flessione, e il collegamento al monaco tramite una reggia metallica che, fasciando l’elemento li-

A) Berlingo (Bs), chiesa

parrocchiale. Vista

della volta verso la

controfacciata.

B) esempio di

comportamento delle

catene estradorsali

analizzato nell’Architettura

pratica di G. Valadier.

C) Berlingo (Bs), chiesa

parrocchiale. Schema

del funzionamento della

catena estradorsale a

braga rigida.

D) Schema strutturale

della capriata tipo e

posizione delle capriate.

A B

C D

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gneo, serve a contrastare l’eventuale cedimento al centro qualora i tiranti obliqui dovessero entrare in esercizio per effetto di spinte alle estremità del-l’arco. Molti decenni dopo una soluzione simile, con l’utilizzo però di carpenteria metallica, verrà proposta da G.A. Breymann nel suo Trattato gene-rale di costruzioni civili 6.

Allo stato attuale delle osservazioni, per ora so-lo visive, non si è in grado di determinare la lun-ghezza dei capochiave e appurare se siano collega-ti alla testa della catena lignea e se siano annegati

nella muratura d’ambito o in quella dei frenelli che comprimono il terzo medio dell’arco.

Questo elaborato presidio strutturale non vie-ne realizzato in corrispondenza di tutti gli arconi della volta. La motivazione potrebbe essere pura-mente economica, in quanto le particolari lavora-zioni, soprattutto la forgia degli elementi metal-lici, imponevano considerevoli costi aggiuntivi. Presupponendo infatti che il cantiere fosse iniziato dall’abside e dal presbiterio, come era nella tradi-zione, l’interruzione dell’utilizzo del sistema strut-turale di rinforzo potrebbe essere ascritta proprio a carenze finanziarie. L’incompletezza dell’interven-to, d’altro canto, offre oggi la possibilità di verifi-care l’efficienza del presidio, in quanto un vistoso quadro fessurativo è presente sulle vele e gli archi della volta, questi ultimi interessati da una o più cerniere. In realtà anche l’arco trionfale manifesta una lesione in chiave, ascrivibile però al trascorso degrado, per marcescenza, della mensola sinistra di sostegno della capriata, ripristinata solo recen-temente con protesi metallica.

Berlingo (Bs), chiesa

parrocchiale. Vista

dell’incastro fra tiranti

metallici inclinati e la

catena della capriata.

Vista dell’innesto del

tirante diagonale nel

frenello di contrasto

dell’arco.

Lesione in una delle

volte ellittiche.

Da G.A. Breymann, Trattato generale di costruzioni civili , 1853.

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Poco più a nord, a Borgonato di Cortefran-ca (Brescia), analogo presidio è stato rintraccia-to nella settecentesca chiesa di San Vitale7, ma con un’esecuzione molto meno efficace. La cate-na della capriata interseca l’estradosso dell’arco-ne sottostante, fonte di possibili trasmissioni di inadeguate pressioni in chiave di volta. È infatti presente sulla volta adiacente un quadro fessura-tivo con andamento ad arco di cerchio, rilevabile anche in estradosso, proprio sulla porzione di vela corrispondente al tratto di arco a contatto con la catena lignea.

Il presidio è stato realizzato anche in questo caso in corrispondenza di un solo arcone, sicché

l’impianto architettonico presenta analogie con il caso di Berlingo anche nelle deformazioni struttu-rali. Diversamente dal caso precedente, il presidio estradossale è stato progettato per essere applicato a tutti gli archi delle navate e del presbiterio. Lun-go i fianchi esterni della chiesa sono visibili infat-ti gli scassi verticali per l’alloggiamento dei lunghi capochiave, in corrispondenza dei grandi contraf-forti scatolari. Forse anche in questo caso l’opera non è stata portata a termine per motivi finanziari o per la fretta di concludere.

Il Secolo dei Lumi, se accuratamente indagato, continua a svelare un’incessante attività di ricerca e di sperimentazione nel campo dell’architettura, condotta non solo nell’invenzione estetico-com-positiva ma anche, sorprendentemente per un contesto periferico, nell’ideazione di nuove tecni-che costruttive.

Roberto Calasso, nel suo libro su Giambattista Tiepolo8, tratteggiando il profilo dell’artista vene-ziano e del secolo in cui visse, riprende un’espres-sione rinascimentale resa celebre da Baldassarre Castiglione: la Sprezzatura, quale arte che cela l’ar-te e fa apparire le cose come fatte con disinvoltura e senza fatica. La definizione calza non solo all’opera del Tiepolo, ma anche in molti casi alla produzio-ne architettonica del suo tempo.

La sprezzatura, però, non può essere pratica-ta senza essere unita ad una profonda conoscen-za dell’arte del fare e ad una acuta intelligenza. In questo senso l’architettura barocca, al di là delle stravaganze formali, si avvale della padronanza del-le modalità costruttive dei secoli precedenti, mai dimenticate, alla quale aggiunge nuove sperimen-tazioni strutturali.

Guarino Guarini, per realizzare la cupola della Cappella della Sacra Sindone a Torino, si reca in

Cortefranca, frazione

Borgonato (Bs), chiesa

di San Vitale. Vista

dell’incastro fra tiranti

metallici inclinati e la

catena della capriata.

a destra, vista del tirante

diagonale.

Cortefranca, frazione

Borgonato (Bs), chiesa

di San Vitale. Vista del

contrafforte esterno e

dell’alloggiamento del

capochiave non messo in

opera (a destra).

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Francia a studiare le tecniche costruttive degli edi-fici gotici, per carpire i segreti dell’arte degl’inca-stri tra le masse murarie e dello scarico delle forze tramite il contrasto degli archi.

Antonio Bibiena, nella chiesa di Sant’Antonio Abate di Villa Pasquali a Sabbioneta (Mantova), innalza nel presbiterio, nel transetto e nel tiburio leggere volte traforate utilizzando costoloni a con-trasto ed elementi architettonici speciali apposi-tamente sagomati. Collega inoltre fermamente le volte piene della navata centrale agli arconi di ri-partizione delle campate, tramite una regolare e robusta dentatura realizzata su tutta la circonfe-renza dell’arco. La chiesa, nonostante sia stata inte-ressata da significativi cedimenti differenziali delle fondazioni e da un preoccupante quadro fessurati-vo nell’elevato, dovuti al terreno di fondazione in-triso d’acqua, non ha mai subito un collasso delle strutture a volta, grazie anche ai robusti incatena-

menti intradossali, che hanno retto anche a prezzo di rilevanti deformazioni dei capochiave9.

Costruire con ardite snellezze, anche se coa-diuvate da ingegnosi presidi o ispirate a saperi empirici sperimentati in età gotica, può produrre sofferenze strutturali: gli esempi proposti lo dimo-strano, confermando quanto le polemiche che svi-luppatesi nel secoli xvi, xvii e xviii, riportate nei trattati d’architettura che riproponevano la validi-tà della firmitas romana, non fossero solo frutto di dispute accademiche.

sopra, Sabbioneta (Mn),

frazione Villa Pasquali,

chiesa di Sant’Antonio

Abate. Interno.

a destra, Sabbioneta

(Mn), frazione Villa

Pasquali, chiesa di

Sant’Antonio Abate.

Vista dell’estradosso

delle volte traforate.

sotto, Sabbioneta (Mn), frazione Villa Pasquali, chiesa di Sant’Antonio Abate.

Sistema d’ingranaggio fra le volte e gli arconi trasversali.

in basso a destra, uno dei capochiavi delle catene intradossali deformato dalle spinte

della volta.

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Un esempio particolarmente eloquente del-le problematiche illustrate è quello del consolida-mento, a seguito dei danni patiti per il sisma del 200, della parrocchiale di San Silvestro a Folzano, presso Brescia0.

La costruzione, iniziata da Giovanni Battista Galli nel 75 e terminata nel 753, si sviluppa su un impianto a pianta centrale allungata, con uno sche-ma strutturale imperniato sul sostegno dei quattro pilastri cavi che reggono la cupola principale. I pi-

loni sono fondati su una massicciata in pietrame e una fitta palificata di castagno e tutti i maschi mu-rari di collegamento fra i piloni trasmettono il loro peso ai piloni stessi tramite archi di scarico a sesto acuto. Le restanti murature di perimetro sono rin-forzate, in fondazione, con pali di minore profon-dità e frequenza. Nonostante le attenzioni profuse nella realizzazione delle fondazioni, già in fase di costruzione si dovettero verificare cedimenti diffe-renziali che provocarono lesioni alla struttura, così da imporre immediati correttivi. Furono inserite robuste catene intradossali di contrasto agli arconi trasversali, con evidente alloggiamento in rottura dei capochiave esterni. Lungo le pareti perimetra-li furono introdotte nello spessore della muratura, per quanto è stato possibile appurare, catene lignee con capochiavi metallici a partire dalla quota sot-tostante i finestroni fino oltre l’imposta delle volte. La volta presbiteriale nervata2, a base vagamente quadrangolare, scarica agli angoli tramite archeg-giature oblique e archetti di contrasto. Inoltre il collegamento alle murature laterali è realizzato sul piano trasversale con archi pseudo-rampanti, che, per la particolare disposizione dei laterizi, garanti-scono di non caricarle; le murature verticali hanno infatti potuto deformarsi, ruotando verso l’esterno, senza comprometterli.

L’impianto, nonostante nel tempo siano sta-te apportate cure marginali (semplici rinzeppatu-re delle lesioni, occultate poi da una reintonacatu-ra eseguita negli anni ottanta del secolo scorso), ha retto sinora sufficientemente. Si impone ora tutta-via un elaborato e complesso progetto di consoli-damento.

Brescia, frazione Folzano,

chiesa di San Silvestro.

Arco di scarico a sesto

acuto utilizzato nella

muratura di collegamento

fra i piloni di sostegno

della cupola centrale.

Brescia, frazione Folzano,

chiesa di San Silvestro.

Vista interna.

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Folzano (Bs), chiesa di

San Silvestro.

A) Vista di una delle

lesioni riscontrate nella

muratura d’ambito.

B) Capochiave a paletto

esterno messo in opera

in rottura.

C-D) Vista di una catena

lignea interna allo

spessore della muratura e

capochiave (sottotetto).

A B

C D

E F

E) Sistema costruttivo

del tamburo della volta

del presbiterio.

F) Sistema costruttivo

degli pseudo-archi

rampanti realizzati alla

base della volta del

presbiterio.

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M. Fasser, Un palazzo del Settecento e una sorprendente in-venzione, in Bollettino n. 2 (200-2005), Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Brescia, Cremona e Mantova, Brescia, Grafo, 2006, pp. 33-36. 2 È il caso di Palazzo Cigola a Brescia, piazza Tebaldo Bru-sato.3 Si ringrazia per la segnalazione l’architetto Roberto Rossini di Berlingo. Gaspare Turbini (728-802). Più verosimile appare l’at-tribuzione a Pier Antonio Cetti (70-8), capomastro e architetto, in parte vissuto e morto a Berlingo ove, nel Re-gistro dei Morti della Parrocchia, viene definito “ideatore” della chiesa.5 G. Valadier, L’architettura pratica, dettata nella scuola e cattedra dell’insigne Accademia di San Luca dal prof. sig. cav. Giuseppe Valadier: data alla luce dagli incisori d’architettura Giacomo Rocrue ed Eleuterio Catesi, Roma, Società tipografi-ca, 828-833.6 G.A. Breymann, Trattato generale di costruzioni civili, con cenni speciali intorno alle costruzioni grandiose, vol. 3: Costru-zioni metalliche. Costruzioni in ferro, ª edizione completa-mente rifatta da H. Lang, Milano, Vallardi, 853.

7 L’apparato decorativo interno della chiesa è stato realizzato nel 797. Si ringrazia per la segnalazione l’ingegner Nicola Ber-lucchi, che ha curato l’intervento di consolidamento statico.8 R. Calasso, Il rosa Tiepolo, Milano, Adelphi, 2006.9 A una ricognizione superficiale sono rilevabili successivi interventi di consolidamento, realizzati in diverse fasi nel secolo scorso, quali incatenamenti trasversali nel sottotetto databili ai primi decenni del xx secolo, palificazioni in fon-dazione (abside e presbiterio) realizzati dal Genio Civile di Mantova all’inizio degli anni Sessanta del xx secolo ma pro-gettati nel 935, presidi con strutture metalliche al tiburio della volta centrale tra gli anni Settanta e Ottanta del xx se-colo.0 Progettisti dell’intervento di ripristino dei danni da sisma e di miglioramento statico sono l’architetto C. Dusi e gli in-gegneri A. Dusi, P. Franzoni e E. Manzoni. Anche a Folzano è presente una falda acquifera molto su-perficiale.2 La volta centrale è percorsa diagonalmente da una impor-tante lesione (5-8 cm. di allontanamento dei lembi), che si è potuta osservare solo all’intradosso, in quanto la copertura del tiburio non è ancora stata rimossa.

Note

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I restauri della chiesaAntonio Mazzeri

Alla fine del mese di ottobre del 99 i locali al piano terra della ex chiesa di Santa Maria della Vit-toria in Mantova venivano abusivamente occupati da gruppi appartenenti al Coordinamento Spazi Autogestiti Mantovani, adibiti a sede di riunioni e manifestazioni di protesta: immediatamente il sindaco di Mantova disponeva lo sgombero, ottenendo in pochi giorni il rilascio spontaneo dell’immobile da parte degli occupanti.

L’episodio, per quanto di breve durata e senza ulteriori conseguenze, ebbe una discreta eco sulla stampa locale, consegnando alla memoria l’im-magine della fabbrica imbrattata dai graffiti sulle pareti esterne e sulle serrande di ingresso. Esso rappresenta, tra gli eventi recenti della chiesa, il culmine del progressivo degrado ed abbandono che ha caratterizzato l’ultimo secolo, ma anche l’inizio di un percorso di recupero materiale e di riqualificazione funzionale, portato infine a com-pimento grazie ai recenti interventi di restauro cu-rati dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Brescia .

L’occupazione da parte dei gruppi di giovani autogestiti rappresenta l’ultimo degli usi impropri della chiesa, che hanno lasciato nel corso del tem-po profonde ferite nella materia del costruito, ma, nello stesso tempo, il primo spontaneo momento di riappropriazione da parte della collettività di un importante monumento, straordinario spazio di pubblica fruizione, che i recenti interventi hanno portato a compiuta valorizzazione.

I restauri di Santa Maria della Vittoriaa Mantova

A n t o n i o M a z z e r i , L a u r a S a l a

Se per quanto riguarda le vicende storiche della chiesa le indagini documentarie e le ricerche degli ultimi anni hanno offerto contributi conoscitivi straordinari2, più sfumati appaiono i dati legati alle trasformazioni recenti dell’edificio. La campagna dei lavori di restauro promossa dalla Soprintenden-za ha avuto, in tal senso, la finalità di approfondire le conoscenze dirette sul manufatto, per colmare lacune e dubbi interpretativi con indagini rivolte alle componenti fisiche della costruzione e alle tracce materiali della sua storia.

Mantova, chiesa di Santa Maria della Vittoria. Facciata allo stato attuale.

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I recenti restauri rappresentano, come accenna-to, la fase conclusiva di una successione di interventi conservativi che la Soprintendenza ha condotto sull’edificio a partire dalla metà degli anni Novanta. Le campagne di intervento eseguite hanno avuto, negli anni, diverso significato e valenza, in rapporto al modificarsi delle istanze primarie di tutela della chiesa. Se i lavori degli anni Novanta3 hanno avuto come obiettivo l’urgente salvaguardia dell’integrità del manufatto e delle sue componenti materiche di pregio con particolare riferimento agli affreschi interni del piano terreno, la fase più recente è stata indirizzata alla valorizzazione e rifunzionalizzazione dell’edificio, finalmente reinserito nell’offerta cultu-rale e fruitiva della città.

In tale contesto operativo ha avuto un ruolo determinate la collaborazione attiva e costante del Comune di Mantova, proprietario dell’immobile, e dell’Associazione degli Amici di Palazzo Te e dei Musei Mantovani, che ha in gestione i locali dal 200, grazie ad una complementarietà di azioni ed interventi che hanno permesso di ottimizzare le risorse disponibili del Ministero e raggiungere un significativo risultato.

Risulta utile in questa sede accennare brevemen-te alle vicende costruttive della chiesa di Santa Maria della Vittoria. Voluta da Francesco Gonzaga, a capo della lega di Venezia, come ex voto per la vittoria di Fornovo sul Taro del 6 luglio 95 sulle truppe fran-cesi di Carlo viii, la chiesa venne edificata espressa-mente per ospitare la celebre tela della Madonna della Vittoria commissionata ad Andrea Mantegna. Per la realizzazione fu scelto il sito presso la chiesa dei Santi Simone e Giuda, occupato dall’abitazione dell’ebreo Daniele Norsa, un ricco banchiere, protagonista di una complessa vicissitudine giudiziaria a seguito del-l’asportazione ed eliminazione di un’immagine sacra presente sull’esterno dell’edificio. La vicenda si era conclusa con l’esproprio e la demolizione della casa, per lasciare il posto per la nuova chiesa, intitolata a santa Maria della Vittoria, inaugurata in occasione del primo anniversario della battaglia. La nuova chiesa, attribuita a Bernardino Ghisolfo, prefetto delle fabbriche dei Gonzaga, era costituita da un edificio ad aula rettangolare, con tre alte campate coperte da volte a crociera, sottolineato nel partito architettonico e decorativo da paraste murarie deco-rate con motivi di ispirazione mantegnesca.

Mantova, chiesa di

Santa Maria della

Vittoria. Pianta del piano

terreno, anno 1896).

Il portone su via Fernelli

nell’ottobre 1991,

dopo l’occupazione

dei gruppi aderenti al

Coordinamento Spazi

Autogestiti Mantovani.

Interno dell’aula prima

degli interventi del

1995. È evidente lo

stato di degrado e

abbandono in seguito

all’utilizzo dell’edificio

come carrozzeria e

quindi come laboratorio

di cromatura.

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3

Le vicende costruttive della chiesa permetto-no di ipotizzare il riutilizzo consistente di parti della precedente costruzione (fondazioni, sedime, materiali di recupero), secondo una modalità co-struttiva allora consueta.

I recenti lavori di restauro, con la realizzazio-ne della nuova pavimentazione, concepita come componente tecnologica per il passaggio degli impianti di riscaldamento e di climatizzazione dell’ambiente, hanno permesso di ampliare le operazioni di scavo fino a condurre alla completa

liberazione dei locali interrati, completamente riempiti di terreno e macerie. Ciò ha reso possibili nuove conoscenze sulle caratteristiche costruttive e sulle trasformazioni della fabbrica5, in particolare sulla fase costruttiva originaria, mentre la lettura comparata delle strutture interrate e della sopra-stante aula confermava quanto evidenziato dalle ricerche storiche.

Come detto, la preesistenza di abitazioni de-molite per la costruzione, in pochi mesi, della nuova chiesa porta a ipotizzare un importante riu-so e recupero delle strutture fondali e di materiali recuperati dalla demolizione. L’accorpamento ed il riutilizzo delle fondazioni dei diversi moduli edili-zi definiscono in particolare la metrica complessiva della chiesa, anche se esigenze di rigore geometrico hanno comportato una corrispondenza solo par-ziale tra le irregolari murature delle vecchie case e la rigorosa impostazione costruttiva del nuovo edificio. Le lesene che definiscono le tre campate dell’aula corrispondono infatti solo parzialmente a precedenti murature, andando a poggiare, in corrispondenza degli angoli dei vani interrati, su nuovi speroni di fondazione, mentre il muro del fronte occidentale, nel rispetto del modulo geometrico, è realizzato su fondazioni di nuovo impianto, circa due metri all’esterno del sedime delle vecchie case.

Lo scavo dei vani interrati ha permesso di do-cumentare i diversi utilizzi della chiesa nel corso del tempo. Si riconosce una prima fase di impiego come cripta, con una sepoltura terragna indivi-duale nel primo ambiente ad est, sotto l’altare6, e sepolture collettive con ripartizione in tombe-ossa-rio per i vani sotto la campata centrale. È probabile che durante tutto il periodo di utilizzo religioso dell’edificio, i locali interrati abbiano mantenuto le strutture voltate originarie – interrotte in corri-spondenza degli speroni di fondazione delle nuove lesene – sopravvissute nelle tracce di innesto delle volte a botte e a crociera e degli archi di scarico delle murature d’ambito.

Le indagini confermano l’uso dei locali in-terrati anche durante il periodo in cui la chiesa venne adibita a scopi militari – almeno per quanto riguarda il primo vano – come testimonia la pre-senza di numeri dipinti sui muri e la realizzazione della bonifica a calce del pavimento. Essi vennero demoliti, sfondando le volte, e riempiti di terreno

Mantova, chiesa di

Santa Maria della

Vittoria. Restauri. Vani

interrati.

Restauri. Vani interrati.

SI notino le cifre scritte

a calce sul muro,

risalenti all’Ottocento, al

periodo di utilizzo della

chiesa a scopi militari.

Fotopiano della facciata

verso via Fernelli dopo il

restauro.

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al fine di garantire una maggiore portata del pavi-mento dell’aula.

L’indagine archeologica è stata completata ed integrata con il rilievo delle strutture e dei materiali e con la misurazione e restituzione del-l’apparecchiatura muraria, rilevando a campione le caratteristiche geometriche dei mattoni e dei corsi di malta. La campagna di rilievo e la restitu-zione in pianta, sezione ed alzato, degli interrati, con riferimento alle soprastanti strutture edilizie e agli adiacenti vani cantinati, permette una let-tura comparata delle diverse parti dell’edificio ed una ricostruzione delle vicende edilizie e storiche attraverso la conoscenza diretta delle componenti fisiche della struttura.

Nell’Ottocento l’edificio è adibito a usi mili-tari, con conseguenti importanti trasformazioni, in particolare la realizzazione, nel 877, del solaio ligneo che divide il volume dell’aula e la conse-guente ridefinizione delle aperture verso via Fer-nelli, una manomissione ancora visibile in facciata dalla lettura degli ammorsamenti delle parti di muratura di tamponamento delle originarie mo-nofore verticali.

Lo studio della documentazione inedita in pos-sesso della Soprintendenza ha affiancato il lavoro di restauro e ha rivelato interessanti particolari sulle vicende costruttive dell’edificio nel Novecento, pe-riodo in cui consistenti sono state le manomissioni e gli usi impropri.

La chiesa della Vittoria, passata alla fine del-l’Ottocento all’Opera Pia Asili Infantili di Carità Strozzi e Valenti-Gonzaga, viene in parte messa a rendita, concedendo in locazione i locali del piano terreno ad attività di carattere artigianale.

Se l’atelier dello scultore Paganini lascia tracce che fanno assumere una nuova identità all’edificio, in particolare con l’apertura del portale sul lato di via Monteverdi7, il successivo insediamento di una officina meccanica, e quindi di un laboratorio di cromatura e nichelatura con bagni galvanici che si protrae fino al 986, deturpano l’edificio infiltran-do velenose percolazioni di cromo esavalente nelle murature e nel terreno.

Esternamente, l’edificio ha subito modifica-zioni del carattere e dell’immagine originaria. Un carteggio tra la Soprintendenza all’Arte Medievale e Moderna di Verona, competente per il territorio di Mantova, la Direzione di Palazzo Ducale e l’Opera Pia Strozzi e Valenti-Gonzaga (luglio-ottobre 9368) documenta l’asportazione meccanica, ripetuta due volte per un migliore risultato, dell’intonaco a calce di colore rosso che ricopriva originariamente la struttura9, eseguendo la stilatura dei giunti messi a nudo per una regolarizzazione del paramento murario (intervento ritenuto più opportuno ri-spetto alla stesura di nuovo intonaco). Nello stesso periodo vengono realizzati da parte dell’Opera Pia interventi di sottomurazione “con colature di cemento e poscia” e la nuova zoccolatura esterna in “cemento e ghiaia”.

Mantova, chiesa di Santa

Maria della Vittoria.

Vani interrati: fotopiano

della muratura verso via

Fernelli.

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L’intervento di restauro si è pertanto confronta-to con le tracce e le trasformazioni della storia più recente dell’edificio. Sono state eseguite la bonifica delle murature dal cromo0, documentando e recu-perando i lacerti dell’intonaco originale, e la puli-tura e conservazione delle superfici murarie esterne ed interne, rifacendo una zoccolatura “di sacrificio” in intonaco di calce, a sostituzione della precedente in malta cementizia, che causava permanente risali-ta di umidità all’interno delle murature.

Una parte consistente dell’intervento ha ri-guardato la rifunzionalizzazione dell’aula al piano terra con la realizzazione degli impianti tecnici, del nuovo pavimento in pianelle di cotto mantovano lavorato a mano, dei serramenti, dell’illuminazione e dei nuovi portoni di ingresso, pensati quali segni della relazione tra lo spazio urbano e le nuove fun-zioni collettive dell’interno riqualificato.

L’ultimo intervento è stato il restauro della “Cappella degli Stucchi”, che ha restituito ad una più coerente interpretazione, all’interno dell’ap-parato iconografico della chiesa, le decorazioni della cappella che ospitava un tempo l’altare di San

Michele, ornato da una pala del 609 del pittore mantovano Bernardino Malpizzi, ora scomparsa.

Resta aperto il tema del riutilizzo dell’aula su-periore, ancora di pertinenza dell’asilo comunale, e del collegamento con l’aula al piano terra. Se infatti la campagna di saggi e restauri delle deco-razioni delle volte ha portato alla scoperta di uno straordinario apparato decorativo ed iconografico2, restano ancora da individuare i modi e le forme di valorizzazione dell’intero complesso, integrando in un’unità funzionale e fruitiva l’ambiente al piano terra, lo spazio voltato al livello superiore, il chiostro ed i locali occupati dall’asilo.

Sembra infine da rimandare ad uno scenario di più ampia ed approfondita discussione l’ipotesi di demolizione del solaio ligneo tra i due ambienti3. La strada della conservazione meticolosa è quella che compiutamente esprime la tendenza più aggiornata nel campo del restauro architettonico. Appare dun-que evidente che l’ipotesi di rimozione del solaio, elemento di indiscutibile valore storico, tecnologico e documentario, deve opportunamente essere man-tenuta nel campo delle pure opzioni teoriche.

Mantova, chiesa di Santa

Maria della Vittoria.

Vani interrati: rilievo

geometrico e materico

del primo vano di camere

sepolcrali.

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Il recupero delle facciateLaura Sala

Le tracce dipinte: osservazioni e restauro

Nell’ambito dell’articolato programma di re-cupero della chiesa di Santa Maria della Vittoria si inserisce l’intervento di conservazione dei prospetti esterni, celati dalla presenza di depositi e concrezio-ni di natura organica ed inorganica e dalla diffusa presenza di integrazioni e stuccature non coerenti. L’esecuzione dell’intervento, limitato alla pulitura e al consolidamento di una situazione già molto compromessa dalle revisioni novecentesche5, poco ha aggiunto alla riqualificazione estetica dell’edifi-cio, così apprezzabilmente conseguita sulle super-fici interne in occasione di precedenti campagne di recupero6. L’operazione di restauro, per sua natura, presuppone però la lettura e la conservazione di tutti quei dati materiali che caratterizzano il ma-nufatto in quanto espressione dei valori culturali in esso contenuti. Cosicché l’intervento di recupero delle facciate della Vittoria, come atto di riconosci-

mento e valorizzazione della funzione che un’opera possiede, ha consentito di acquisire elementi utili all’identificazione di quei procedimenti di qualifi-cazione delle superfici in laterizio che connotano in così larga misura le architetture mantovane, testimonianza di una preferenza visiva e materiale che domina tutta l’area padana.

I paramenti esterni della chiesa presentano una cortina di mattoni ordinari, commessi da giun-ti stuccati e stilati, impreziosita da una cornice sottogronda decorata ad archetti pensili trilobati poggianti su piccole mensole modanate.

La tessitura muraria è definita da un andamento piuttosto irregolare, che non trova corrispondenza con le classiche tipologie delle apparecchiature a laterizi faccia a vista 7: il formato poco omogeneo degli elementi fittili impiegati, nonché lo sfalsa-mento e le irregolarità dello spessore dei giunti8, denotano scarsa attenzione per le qualità estetiche della muratura e presuppongono un rivestimento originario, realizzato con malte o pellicole pittori-che, che ne migliorava l’aspetto e occultava i difetti

sopra, Mantova, chiesa di Santa Maria della Vittoria. Pianta del piano terreno

con proiezione delle murature degli interrati.

a destra, sezione trasversale e sezione longitudinale.

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della muratura. Una discreta quantità di residui di pellicole dipinte e di impasti colorati rinvenuti sulle facciate della chiesa testimonia di fatto l’originaria presenza di una finitura a completamento della tessitura muraria. La natura delle tracce conservate risulta tuttavia, con tutta evidenza, qualitativa-mente eterogenea e attesta, nella stessa compagine muraria, la compresenza di cortine diversamente trattate.

Ai fini progettuali, per ottenere una lettura d’insieme che permettesse di stabilire la valenza e la probabile estensione dei trattamenti di finitura, le tracce individuate sono state rilevate e mappate sul rilievo grafico dei prospetti, e cinque campioni di impasto artificiale sono stati prelevati e sottoposti ad indagini chimico-stratigrafiche9.

Le tracce di finitura individuate possono essere distinte in quattro differenti tipologie:– pellicola di rasatura bianca– pellicola di rasatura bianca con strato pittorico

rosato – malta con strato pittorico color rosato– scialbo rosso.

Dagli indizi materiali riscontrabili dall’os-servazione diretta delle superfici, le pellicole di rasatura bianca, con e senza policromia rossa,

sembrerebbero appartenere a una fase decorativa non coeva all’edificazione della chiesa. Il riscontro visivo delle poche tracce riconosciute ne denuncia la presenza esclusivamente sulle superfici a vista dei laterizi. Nessun frammento di rasatura bianca è stato rinvenuto in corrispondenza dei giunti di allettamento. Le indagini della medesima rasatura, compreso il letto di malta su cui insiste, attestano caratteristiche mineralogiche ed estetiche diverse da quelle osservate nelle altre tracce dipinte, dalle quali si distingue per la presenza di un sottile scialbo di calce steso a pennello con soprastante coloritura a latte di calce rosso-mattone20. Tali considerazioni inducono a ipotizzare che si possa trattare di finiture apposte su elementi fittili di recupero, provenienti da fabbriche dismesse e quindi antecedenti al 95, forse appartenenti alla stessa casa del banchiere Norsa, demolita per far posto alla chiesa.

I restanti lacerti dipinti sono certamente origi-nari e coevi al cantiere quattrocentesco.

La maggior parte delle tracce corrispondono ad un trattamento che potremmo definire finitura a filari nascosti 2, tuttora distinguibile sulla facciata occidentale di via Fernelli, a destra del portone d’ingresso, dove uno strato di malta fine di colore cinereo, molto dilavato e con pochi residui di coloritura rossa a fresco22, è steso ad uniformare il paramento murario. Sull’impasto grezzo della finitura, distribuita con spessori eterogenei, il trat-tamento dei giunti è affidato a una leggera stilatura della superficie. L’aspetto finale conseguito risulta scabro, tuttavia l’occultamento delle commessure doveva rendere un’impressione di compattezza certamente premeditata.

Questa cortina corrugata e discontinua si con-trappone alla tessitura perfettamente omogenea del rosone posto ad ornamento della facciata prin-cipale. Qui la ghiera, definita da una cordonatura di elementi fittili dalla modanatura convessa, esi-bisce una superficie levigata realizzata con mattoni arrotati, commessi da giunti sottili e minutamente stilati, e una finitura a finto mattone, resa da uno scialbo rosso listato da lumeggiature bianche. Questo trattamento corrisponde a una tipologia di paramento tra le più diffuse e longeve in area padana, esemplata anche nella finitura dipinta sul prospetto della chiesa dei Santi Simone e Giuda, nell’antistante piazza omonima.

Il rosone della facciata

principale prima del

restauro.

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Le caratteristiche del trattamento superficiale dei rivestimenti di Santa Maria della Vittoria sembrano attestare la preferenza per una tipolo-gia di finitura che esprime solidità costruttiva ed utilizza accorgimenti tecnici atti a diversificare le superfici. La materia è stata lavorata ricercando effetti plastici prestabiliti avvalendosi dell’estrema duttilità del materiale fittile che, nella varietà degli espedienti tecnici adottabili, consente di dare corpo ad una inesauribile gamma di soluzioni formali. In questo senso il cantiere quattrocentesco di Santa Maria della Vittoria anticipa quel gusto per la qualificazione materiale delle partiture decorative che determinerà la fortuna delle cortine laterizie a vista, nella seconda metà del Cinquecento, e che si consoliderà più tardi, in età post Conciliare, col rinnovamento del repertorio artistico introdotto dalla riforma barocca23.

Gli unici episodi di commessura modellata presenti sulle superfici esterne della chiesa sono ri-

conducibili a un trattamento a lisciatura dei giunti, modellati a sottosquadro con la cazzuola, local-mente abbinato a un andamento marcatamente disomogeneo degli elementi fittili. La lavorazione dei giunti, eseguita per costipare la malta di allet-tamento, senza alcuna finalità estetica, rimarca le porzioni di muratura riprese in epoca più recente permettendoci di individuare l’estensione degli interventi di riassetto delle facciate.

Il restauro 2

La metodologia operativa adottata nel recupero dei paramenti esterni della chiesa di Santa Maria della Vittoria è stata impostata su criteri oggettivi, privilegiando atteggiamenti conservativi mirati a rimediare ai soli fattori degenerativi in atto, anche derivanti dall’incompatibilità di alcuni materiali aggiunti e dalla presenza di forme di alterazione dei materiali di deposito25.

Le operazioni di pulitura e consolidamento sono state calibrate al fine di non pregiudicare la conserva-zione dei materiali originari: l’intervento ha richiesto un puntuale fissaggio preliminare dei pochi fram-menti dipinti, dei residui di intonaco, delle com-messure e delle finiture che riportano quelle minute tracce della lavorazione e delle procedure operative in atto nel cantiere quattrocentesco della chiesa della Vittoria, utili a dedurne l’aspetto originario.

La pulitura è stata condotta in maniera gra-duale, solubilizzando i depositi di scarsa coerenza mediante l’ausilio di lavaggi con acqua atomizzata, rimuovendo i depositi più compatti, classificati come croste nere, con applicazioni di compresse di carbonato d’ammonio in soluzione e asportando a secco, per mezzo di bisturi e piccoli scalpelli, i riempimenti e le ricostruzioni realizzati con mate-riale non congruo.

A seguito di localizzate operazioni di ristabi-limento della coesione tramite applicazione di estere etilico dell’acido silicico in solvente organi-co, è stata eseguita la stuccatura nelle lacune dei giunti con malta di calce aerea e sabbia, accordata per colore e grammatura al materiale costitutivo, non dissimulandone le diverse forme di degrado. L’approccio prudente e “minimale” dell’intervento attuato ha cercato di garantire la conservazione di tutti i dati appartenenti alla storia della chiesa, le tecniche e i materiali originali applicati e le sue vicende materiali.

sopra, Mantova, chiesa di

Santa Maria della Vittoria.

Prospetto su via Fernelli

prima del restauro.

a destra, pellicole di crosta

nera superficiale.

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Mantova, chiesa di Santa Maria della Vittoria.

A) Residui di pellicola di rasatura bianca con tracce di strato pittorico rosato.

B-C) Trattamento superficiale dei paramenti ottenuto con una rasatura di malta

e sottile stilatura dei giunti.

D) Prospetto su via Fernelli. L’immagine evidenzia la distribuzione dei residui di

finitura originaria sul paramento.

E) Finitura a finto mattone nella ghiera del rosone.

F) Trattamento a lisciatura dei giunti.

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Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Brescia Cremona e Mantova, Lavori di restauro su pa-ramenti laterizi esterni, intonaci affrescati e scialbi, finiture varie interne, A.F. 2005, cap. 783.2 Si veda in particolare: U. Bazzotti, La chiesa di Santa Maria della Vittoria e la pala di Andrea Mantegna, in A casa di Andrea Mantegna. Cultura artistica a Mantova nel Quat-trocento, a cura di R. Signorini, con la collaborazione di D. Sogliani, Milano, Silvana Editoriale, 2006, pp. 20-29.3 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Brescia Cremona e Mantova, Lavori di restauro alla chiesa di Santa Maria della Vittoria in Mantova, A.F. 993, cap. 202. Comune di Mantova, Concessione in uso gratuito dei locali della ex chiesa di Santa Maria della Vittoria alla Asso-ciazione “Amici di Palazzo Te e dei Musei Mantovani”, prot. gen. 2067/3/200 del 3 settembre 200. Con l’occasione si ringraziano, per la collaborazione e per i fondamentali contributi durante tutte le fasi dei lavori di restauro, l’ing. Paolo Corbellani e l’arch. Speranza Galassi.5 I lavori di scavo sono stati condotti dalla ditta SAP – Società Archeologica s.r.l. di Mantova, con la Direzione Scientifica della dott. ssa Elena Menotti, Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, Nucleo Operativo di Mantova.6 L’indagine archeologica effettuata porta peraltro a sup-porre che lo strato di deposito superficiale all’interno del vano sia stato continuamente rimaneggiato per una discreta profondità per un uso piuttosto intensivo come area di sepolture, nel periodo compreso tra la fondazione della chiesa e la trasformazione ad usi militari.7 L’Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monu-menti di Milano scriveva, in data 2 giugno 900: “Non so come la commissione di ornato permise senza preventivi accordi con questo ufficio l’apertura di un vano in facciata e la collocazione di una indecente opera di rivestimento che arieggiando all’antico, disonora il luogo e il senso d’arte che a Mantova dovrebbe aversi, se non foss’altro per i modelli che ad ogni piè sospinto impressionano anche i non competenti”. Sull’argomento cfr. ancora il contributo di Bazzotti, La chiesa di Santa Maria della Vittoria.8 Archivio della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Brescia, Cremona e Mantova, Serie Man-tova. Chiese, busta 2: Mantova, Ex Chiesa di Santa Maria della Vittoria, via Fernelli.9 Si veda il contributo di Laura Sala in questo volume.0 Intervento di bonifica realizzato tra il 200 e il 2005 a cura dell’Associazione Amici di Palazzo Te con l’assistenza della Facoltà di Ingegneria dell’Ambiente, Università degli Studi di Pavia. L’altare di San Michele era ospitato nell’ultima cappella

sul lato sinistro della chiesa, come descritto in un inventario della chiesa redatto nel 67. Il dipinto raffigurava l’Assun-zione della Vergine, san Michele, san Ludovico di Francia e i dodici Apostoli. Oggi nulla rimane dell’altare in pietra e dei dipinti, mentre si conservano sulle pareti e sulla volta a botte della cappella gli ornati in stucco con testine di angeli, fregi e corolle floreali, originariamente con doratura.2 V. Gheroldi, La decorazione interna della chiesa di San-ta Maria della Vittoria a Mantova: indagini stratigrafiche, analisi chimiche, ricostruzioni tecniche, in A casa di Andrea Mantegna, pp. 220-229.3 L’ipotesi di demolizione del solaio riaffiora con frequenza nel dibattito culturale cittadino, non ultima nel giugno 2007, in occasione della visita dell’ispettore internazionale dell’Icomos, Alvaro Gomez Ferrer, nell’ambito della can-didatura di Mantova nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’Unesco. Questa fase di restauro ha visto impegnati: Stazione Appaltante: Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia. Progetto e Direzione Lavori: Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Brescia Cremona e Mantova, Soprintendente architetto Luca Rinaldi, Progettista e Direttore dei Lavori architetto Antonio G. Mazzeri, restauratore Laura Sala, geometra Rocco Bello. Scavi archeologici: Lavori di scavo Impresa Bottoli Arturo s.p.a, Mantova, operatore archeo-logico SAP società archeologica s.r.l., Mantova, rilievo metrico e architettonico Studio Pda, Mantova. Pavimenti: Comedil di Brighenti Francesco & C. s.n.c, Pegognaga MN, Cotto mantovano della Fornace Brioni, Gonzaga MN. Facciate: Baldis Restauri, Bergamo, Impianto Elettrico: Gabbioli Impianti Elettrici, Levata MN. Portoni: S.P.M. Serramenti, San Silvestro MN. Restauro della Cappelletta degli stucchi o di San Michele: Bonali e Fasser, Brescia. Fo-tografie: Superfoto, Mantova.5 A questo proposito si rimanda alle precedenti pagine di Antonio Mazzeri.6 I restauri all’apparato decorativo interno sono stati rea-lizzati dalla ditta BNB di Billoni & Negri s.d.f., negli anni 993-99, e dalla cooperativa Teche nel 995, su finanzia-mento del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.7 Solo nella porzione inferiore della facciata occidentale si può distinguere un’apparecchiatura più regolare, con filari che presentano alternanza di mattoni di faccia e di testa, pertinente alla struttura preesistente.8 I mattoni misurano 6 x 20/28 cm, i giunti hanno un’al-tezza che spazia dai 3 cm ai pochi mm. 9 La campagna di analisi su campioni prelevati dalle super-fici esterne della chiesa di Santa Maria della Vittoria è stata realizzata dalla ditta Pro Arte di Noventa Vicentina nell’ot-tobre 2008. I campioni sono stati sottoposti ad indagini

Note

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spettrofotometriche all’infrarosso e ad analisi microscopica in sezione lucida, allo scopo di determinare la composizione degli intonaci e delle coloriture presenti.20 Questa finitura è molto usuale negli esterni delle ar-chitetture padane del Cinquecento e testimoniata sin dal xiii secolo. La stratigrafia del campione mette in risalto i seguenti strati:– Strato n. : intonaco di colore nocciola chiaro a base di calce e sabbia fina di natura silicatica-carbonatica.– Strato n. 2: irregolare lisciatura bianca a base di sola calce carbonata poco adesa al supporto sottostante. Spessore 200-20 µm.– Strato n. 3: sottile strato pittorico di colore rosato (pittura alla calce) ottenuto, con ogni probabilità, da una mescola di carbonato di calcio e ocra rossa. Spessore 50-0 µm.2 Si veda la voce corrispondente nel Glossario a cura di D. Di Nicola Ciranca, V. Piccone-Italiano, G. Stefanucci, in Rilievo e analisi morfologico-descrittiva dei paramenti murari, a cura di C. Mezzetti, Roma, Ministero della Ricerca Scien-tifica e Tecnologica, 2003.22 Le indagini riconoscono la tecnica a fresco utilizzata per la coloritura della facciata e la natura silicatica degli impasti di rivestimento. Le tracce d’intonaco di maggior spessore sono localizzate in corrispondenza delle superfici maggiormente riparate, in contiguità con le archeggiature del sottogronda e, lungo il profilo della parasta, sotto il canale di scolo. Il dato trova riscontro nei dati documentari che ci informano di operazioni di scrostatura della facciata negli anni Trenta del Novecento (cfr. quanto riportato precedentemente da Antonio Mazzeri). Si riporta l’esito delle analisi eseguite sui campioni nn. 3 e 5 prelevati rispettivamente dal prospetto su via Fernelli e sulla facciata principale: – Malta di allettamento con tracce di colore rossoStrato n. : impasto di colore grigiastro ottenuto dalla mescola di calce aerea e sabbia fine di natura carbonatico-silicaticaStrato n. 2: irregolare strato pittorico costituito da minuti cristalli di colore rosso ben compenetrati con l’intona-co sottostante. L’analisi alla microsonda elettronica ha registrato la presenza di calcio, silicio, alluminio, zolfo, magnesio, ferro, potassio, carbonio e ossigeno. Sulla base

dei risultati analitici e dalle caratteristiche microscopiche dei costituenti si desume che si tratta di uno strato pitto-rico, probabilmente steso a fresco a base di sola ocra rossa. Spessore 5-00 µm– Frammento di intonaco con finitura rossaStrato n. : impasto di fondo di colore grigio chiaro a base di calce e sabbia fina di natura silicatica-carbonatica.Strato n. 2: irregolare strato pittorico costituito da minuti cristalli di colore rosso ben compenetrati con l’intonaco sottostante, del tutto simile a quello evidenziato nel caso del campione 3. Sulla base delle caratteristiche microsco-piche e cromatiche dei costituenti si ritiene che si possa trattare di uno strato pittorico, probabilmente steso a fresco a base di sola ocra rossa. Spessore 30-80 µm.23 Sull’argomento si veda L. Serafini, Erudizione, Virtuo-sismo, Razionalità delle cortine laterizie tra Cinquecento e Settecento, in Rilievo e analisi morfologico-descrittiva, pp. 8-00.2 L’intervento ai paramenti esterni è stato realizzato dalla ditta Silvia Baldis Restauri di Bergamo con Perizia di spesa n. 3 del 6 maggio 2006.25 Dall’analisi di un frammento d’impasto con crosta nera superficiale prelevato a destra della porta su via Fernelli, si riporta la descrizione dello strato insistente sulla malta di supporto: Strato n. 2: Irregolare strato di “crosta nera” superficiale costituita da un miscuglio di gesso, poco carbonato di cal-cio, particelle carboniose, particelle di colore rosso-bruno riconducibili ad ossido di ferro variante idratati e nitrati. Tale composizione è stata dedotta sulla base dei risultati dell’analisi all’FT/IR. Da sottolineare che nella matrice gessosa vi è la presenza di due diverse tipologie di particelle carboniose:– alcune sono minute, amorfe e talora di aspetto oleoso;– altre sono di forma rotondeggiante e molto porose.Queste ultime costituiscono il cosiddetto “carbone globu-lare poroso” derivante dalla incompleta combustione di oli minerali. Spessore 50-350 µm.

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Pizzighettone, mura.

A) Ricostruzione

planimetrica (anno 1133).

B) Cabrino Fondulo erige

il Rivellino e restaura le

fortificazioni (anni 1403-

1406).

C) Lavori eseguiti dai

Francesi (anni 1510-

1522).

A B

C

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Su incarico della Soprintendenza per i Beni Ar-chitettonici e Paesaggistici di Brescia, Cremona e Mantova è stata effettuata da chi scrive una ricer-ca sulle strutture fortificate di Pizzighettone e Gera (CR). Sono stati eseguiti un regesto bibliografico e un’indagine delle tecniche costruttive, con ipotesi di datazione relativa e assoluta della cinta muraria. Il lavoro di restituzione dell’analisi delle fonti indirette nonché di riscontro sulle fonti dirette è il risultato della cooperazione tra architetti e storici locali e del-l’impegno dell’attivo Gruppo Volontari delle Mura di Pizzighettone.

La ricerca storica non si è limitata agli aspetti della storiografia di tipo formale o genericamen-te figurativo, ma si è rivolta soprattutto alla cono-scenza del complesso, come espressione materiale ed economica di produzione di materiali e di uso di tecnologie costruttive. Le informazioni ricavate dalle fonti indirette sono state verificate mediante un riscontro diretto sul manufatto, effettuato nel corso di numerosi sopralluoghi e analisi visive. So-no state analizzate fonti di tipo bibliografico, archi-vistico e documentario, grafico e cartografico sto-rico e corrente, fotografico e iconografico; è stato eseguito un rilievo stratigrafico degli elevati, ovvia-mente limitato a porzioni ritenute rappresentative dell’impianto fortificato, vista l’estensione comples-siva dell’opera.

Si è redatta una relazione comprendente regesto cronologico delle opere di costruzione e modifica-zione dell’impianto della fortificazione, individua-zione delle metodologie e dei materiali costruttivi originari e delle successive trasformazioni generali, individuazione dell’assetto distributivo e funzionale

Le fortificazioni di Pizzighettone e GeraLettura delle fonti indirette e dirette. La Torre del Governatore

S i l v i a G a g g i o l i , F r a n c e s c o M a c a r i o

nella storia dell’abitato fortificato, indicazione de-gli elementi decorativi e artistici presenti e relativa ubicazione, evidenziazione delle lacune conoscitive riscontrate in seguito all’analisi storica.

La documentazione relativa all’analisi stratigra-fica eseguita sulla torre-porta attualmente denomi-nata “Torre del Governatore” ha comportato la re-dazione di schede (S.A.V.), schizzi e rilievi grafici (prospetti con disegno delle interfacce, numerazio-ne delle unità stratigrafiche individuate, simbolo-gia indicativa dei rapporti cronologici tra un’unità e quella adiacente, campitura delle singole porzioni di superficie riferita ad una specifica legenda crono-logica “di fase”), fotografie, diagramma o matrice di Harris, relazione esplicativa delle fasi individuate.

Designio de Crema et del

Cremascho (XV secolo;

Venezia, Museo Correr).

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Cronologia

Le fortificazioni di Pizzighettone si trovano sul-la riva sinistra del fiume Adda, in un punto facil-mente guadabile che pone in diretto collegamento la città di Cremona con il Lodigiano. La posizione era di particolare rilievo strategico e punto nevral-gico nel controllo dei transiti nei confronti di Mila-no, città storicamente antagonista a Cremona.

Per l’abitato, le notizie su preesistenze in situ so-no discordanti. La fortificazione realizzata dal co-mune di Cremona nel xii secolo comprende l’in-tero abitato ed è costituita da una doppia palizzata lignea, contenente un terrapieno, protetta all’ester-no da un fossato. La città di Cremona riconosce nel 69 l’abitato fortificato come borgo franco. Tutto il xiii secolo risulta caratterizzato da alterne vicen-de, in cui predominano diverse fazioni, determi-nando l’instaurarsi di precarie signorie. È solo nei primi decenni del xiv secolo che i Visconti, signori di Milano, rivolgono le loro attenzioni al contado cremonese. In particolare a Pizzighettone Azzone Visconti si premura di rinsaldare le fortificazioni, sostituendo la palizzata interna con un muro; an-cora nel 369, sotto Bernabò, sono ricordati lavori di edificazione e rafforzamento delle fortificazioni. Nella cinta difensiva si aprivano Porta Remello, a nord del Castello, Porta Crema, all’estremità del-l’attuale via Crema, Porta Cremona (vecchia), po-sta dietro la chiesa parrocchiale di San Bassiano; un’altra porta era in corrispondenza dell’attuale Porta del Soccorso.

Nel 27 i Visconti danno incarico a Guglielmo della Porta di rafforzare le fortificazioni esistenti. Il primo lotto prevede la realizzazione di 500 metri di muro verso Cremona con quattro torri. Un secon-do contratto, del 29, prevede la fortificazione in muratura di un rivellino posto nei pressi della roc-ca verso l’Adda, alla testa del ponte ligneo; una se-conda fortificazione, chiamata Rocchetta, doveva essere realizzata in corrispondenza della porta cre-monese. Un terzo contratto, dell’anno successivo, prevede l’erezione di nuove muraglie dal rivellino della Rocca sino alla Torre dei Bissoli, all’angolo nord est delle mura.

Nella Carta della Lombardia di Giovanni Pisa-to (0) l’abitato fortificato di Pizzighettone ri-sulta collegato con la sponda opposta del fiume da un ponte merlato, difeso verso Gera da una piccola rocca. A nord esisteva, fuori dalla Porta di Remello, un ponte chiamato Ramelli. Lungo le cortine sono testimoniate, nel 80, delle torri: viene anche fusa una campana da collocare sulla Torre del Bue, alla porta del rivellino.

Nel 66, sotto Bona di Savoia, le fortificazioni dovevano trovarsi in precario stato di conservazio-ne: il 9 febbraio di quell’anno i forti rovesci uniti alla vetustà del manufatto provocano la caduta di un rivellino della rocca, o forse solo una sua parte.

sotto, Planta

de Pizighiton di

Leonardo De Ferrari

(anno 1650).

a destra, Pianta

topografica delle

fortificazioni di

Pizzighettone e

Gera (anno 1707),

Sesti, Milano (Civica

raccolta Stampe

Bertarelli, Milano, vol.

R 5, tav. 20).

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Dopo la disfatta veneziana ad Agnadello (509) ad opera dell’esercito della Lega di Cambrai e i suc-cessivi assedio e resa della città, con l’uso ormai dif-fuso delle armi da fuoco si prende atto dell’inade-guatezza delle strutture fortificate di Pizzighettone. Si provvede quindi alla demolizione delle torrette e dei merli di difesa che rappresentavano un facile bersaglio per i colpi di cannone.

Nel 57 Francesco I di Francia inizia il restau-ro e l’ampliamento delle fortificazioni, creando i primi baluardi, mentre vengono confermati i pri-vilegi alla città.

Nel 66, sotto gli ordini del marchese di Cara-cena, iniziano i lavori per porre in stato di difesa la fortezza, secondo progetti già definiti all’inizio del secolo. Si provvede in sostanza a dotare Pizzighetto-ne di una seconda cerchia fortificata esterna eseguita in terra, teppa e fascine, secondo le più aggiornate tecniche militari mutuate dai Paesi Bassi.

Allo scoppio della Guerra di Successione Spa-gnola, nel 70, si rende necessario un nuovo inter-vento. Il comandante della Rocca riattiva e rinsalda le fortificazioni, in particolare davanti a Porta Re-mello, utilizzando per la prima volta le acque del fiume Serio per allagare i fossati. Nel 706 il gover-natore spagnolo, non sentendosi sicuro a Milano, si trasferisce a Pizzighettone; quando l’armata austro-piemontese si avvicina, abbandona la piazzaforte, prima che sia posta sotto assedio ( ottobre). Dopo venticinque giorni, con vittime e notevoli danni al borgo, la guarnigione spagnola si arrende.

Nel 730 gli Austriaci iniziano il totale rifaci-mento delle fortificazioni, cambiando l’impostazio-ne della fortezza, sino ad allora predisposta a fron-teggiare prevalentemente gli attacchi provenienti da oriente. Si rinforza ora il lato occidentale, quello di Gera, verso la pianura, da cui si accedeva ai valichi alpini che ponevano in comunicazione l’Italia con l’Impero. Pizzighettone risulta difeso da una falda di muro rafforzata all’esterno da dieci mezzelune, realizzate parte in muratura, parte in terra battuta, a loro volta difese da due fossati alimentati dal Se-rio. L’opera viene completata collocando sulle mura cento cannoni in bronzo.

Nel 796 Napoleone, al comando dell’armata d’Italia, varca il Po a Piacenza, sconfigge gli Austriaci e li insegue fino a Pizzighettone, la più importan-te roccaforte della Lombardia, presidiata da seimila militari. L’assedio francese porta, l’ maggio, alla resa della fortezza. I Francesi iniziano i lavori per

porre in stato di difesa la struttura, ma a causa del-la mancanza di uomini e di fondi l’intervento viene limitato a poche aree. Nel 797 Pizzighettone è inse-rito nel Dipartimento dell’Alto Po della Repubblica Cisalpina, di cui Cremona era capoluogo.

Tornata all’Austria nel 85, Pizzighettone viene considerata fortezza di terz’ordine, destinata a even-tuale punto d’appoggio per l’esercito che dal Ticino fosse costretto a ritirarsi sul Mincio tra le fortezze del Quadrilatero. Tra il 829 e il 80, con l’intento di fronteggiare un eventuale attacco piemontese, gli Austriaci realizzano nuove opere.

Dopo la battaglia di Magenta del giugno 859 Pizzighettone viene liberata e annessa, con tutta la Lombardia, al Regno del Piemonte. Si va così pro-gressivamente verso la smobilitazione della piazza-forte, che viene da allora adibita prevalentemente a deposito militare.

Il Castello e la “Torre del Governatore”

Nel contesto di Pizzighettone l’analisi storica ha evidenziato il particolare interesse dell’area del Ca-stello, o Rocca. Questa fortificazione, vero punto di controllo dell’intero abitato, viene probabilmente

Mura, prospetto ovest,

porzione settentrionale

(US 1038).

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realizzata ai tempi di Azzone Visconti (302-339) ed è nominata per la prima volta nel 35, quando un atto viene rogato “sopra il ponte dell’Adda sito pres-so la Rocca posta nel castello di Pizzighettone”2. Pro-babilmente la struttura difensiva è ulteriormente raf-forzata tra il 369 e il 370, sotto Bernabò Visconti3.

La Rocca era collocata in una posizione strategi-ca, a controllo di una delle porte di uscita dall’abita-to, verso nord e del vicino ponte sull’Adda. Nel 29 a nord viene edificato un rivellino a controllo del-la testa del ponte e contestualmente si adeguano le fortificazioni, realizzando bocche da bombarda nel terraglio del rivellino stesso. Ancora nel 3 i Mi-lanesi rafforzano la Rocca. Numerosi documenti di contabilità relativi ai carichi finanziari sostenuti dai Pavesi informano della presenza a Pizzighettone di Filippo degli Organi, impegnato allora anche nella fabbrica del Duomo di Milano.

Alla metà del Quattrocento il Castello era ri-tenuto inespugnabile e indistruttibile da qualsiasi

macchina o arnese da guerra. La Porta di Remello, posta presso il Castello, risulta dotata di ponte le-vatoio e di una torre difensiva, nel 7 già in sta-to di dissesto. Si deduce che la Rocca non fosse in ottime condizioni anche dal fatto che pochi anni prima, nel 67, gli Sforza avessero fatto accatastare all’interno della struttura il legname necessario a ri-parare il ponte sull’Adda e i ponti levatoi. Sempre in quell’anno, da Pizzighettone si informa la corte du-cale della precarietà in cui versavano le intere strut-ture (ponte, torretta e rivellino) minaccianti rovina, cosa che puntualmente avvenne il 9 febbraio. An-cora nel 7 il rivellino della Rocca che dava sulla terra crolla rovinosamente nel fossato; il castellano, informando il duca dell’evento, segnala le precarie condizioni in cui si trovavano un altro rivellino e gli stessi casamenti e solai della rocca. Nel frattem-po viene rinforzata la struttura mediante una nuova torre, denominata “del Guado” e successivamente “del Re”, opera che gli ingegneri segnalano subito a rischio, data la vicinanza del fiume, proponendo quindi il rafforzamento delle fondamenta tramite una palizzata.

La Rocca non era in quest’epoca l’unica forti-ficazione interna all’abitato: gli atti ricordano un altro fortilizio denominato “del Bissone”, posto a sud dell’abitato, in corrispondenza della porta “dei Sabbioni”, che nel 69 risultava in stato di abban-dono e “dirupata”. Ancora alla fine del secolo l’Ad-da erodeva le fondamenta della Rocca, obbligando gli abitanti a realizzare robuste palificate di quercia e di olmo5.

Dopo la Battaglia di Pavia del 2 febbraio 525, Francesco I di Francia viene incarcerato per set-tantanove giorni dagli Spagnoli nel Castello, allo-ra descritto come un misto di architetture antiche e moderne: un insieme non troppo gradevole e certamente non adeguato a reggere l’impatto delle nuove armi da fuoco, con le cannoniere poste sulle antiche, altissime torri.

Gli Spagnoli, alla fine del Cinquecento, inizia-no grandi lavori di adeguamento della Rocca, ormai obsoleta e sempre in pericolo di crollo a causa del-le esondazioni dell’Adda. Ciononostante, all’inizio del Seicento si prende atto che il Castello non può essere ulteriormente ampliato a causa dell’eccessiva vicinanza del fiume, che impediva la realizzazione di moderni baluardi o piattaforme; d’altra parte non si poteva pensare di arretrare il fronte lungo l’Ad-da, in quanto la maggior parte degli alloggiamenti

sopra, mura, prospetto

sud, porzione centrale

superiore. Dettaglio

delle tracce della porta

carrale e della posterla

pedonale.

a destra, mura,

prospetto sud, porzione

centrale inferiore.

Tracce delle spalle della

porta carrale e tracce

dei cardini di rotazione

del ponte levatoio

e delle sottostanti

mensole d’appoggio.

Apertura nuove finestre

(US 129, US 130).

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si trovava edificato sul quel lato. Si considera anche l’ipotesi di demolire la struttura, in quanto troppo esposta ai tiri d’artiglieria dall’altra riva dell’Adda.

La debolezza della Rocca porta gli ingegneri spagnoli a non fare troppo conto sulle sue difese, rafforzando invece le fortificazioni dell’intera piaz-zaforte, realizzando nuove mura esterne a quelle esistenti utilizzando sia mattoni a secco, sia terre e fascine6. La Rocca si riduce quindi progressivamen-te a semplice acquartieramento militare all’interno della piazzaforte. Nel 70 il comandante della Roc-ca rafforza le fortificazioni a nord, davanti alla Porta di Remello, prima che questa, negli anni Venti del secolo, venga demolita.

Nel 782 l’intera fortezza di Pizzighettone vie-ne declassata e l’imperatore Giuseppe II d’Austria ordina la riduzione del Castello a ospizio e casa di lavoro per i vagabondi della Lombardia7. Nel 80 un terribile incendio distrugge gran parte dell’antica Rocca. Le truppe francesi occupanti iniziano l’anno seguente la demolizione delle rovine e l’edificazione sulla stessa area di un mulino, a servizio della po-polazione in caso d’assedio. Sul lato occidentale del Castello si realizza una fila di casematte8. Entro il 80 gli Austriaci, frattanto rientrati in possesso del-la fortezza, completano la demolizione dei ruderi, conservando solo le mura a settentrione che servi-vano a completare il giro di bastioni, e la Torre “del Re” a sud-ovest, in considerazione della sua impor-tanza storica. Alla fine dell’Ottocento, nell’area su cui sorgeva il Castello viene realizzato un capanno-ne. Nel 907 la Torre del Re viene abbellita da nuo-vi merli a coda di rondine, prima di essere adibita, nel 98, a deposito dell’acqua potabile. Nel 960 l’area nordorientale del Castello viene ceduta a pri-vati; nel 969, demolito sciaguratamente il Capan-none Avena, si realizza sull’area spianata un nuovo edificio residenziale.

In conseguenza di queste vicende, del complesso della Rocca di Pizzighettone rimangono oggi solo due corpi edilizi: la Torre del Re, così denominata in seguito all’incarceramento di Francesco I di Fran-cia dopo la battaglia di Pavia, e la cosiddetta Torre del Governatore, un corpo edilizio posto tra l’area del Castello demolito e le mura esterne dell’abitato, giunto a noi allo stato di rudere.

Quest’ultima torre non è mai in antico denomi-nata così, e anche questo ha spinto a farla oggetto di studio. In realtà non si tratta di una torre, bensì di una porta carrale e pedonale in origine dotata di

ponti levatoi, aperta verso l’abitato e forse in origine sormontata da un torrione. Con ogni probabilità la torre si deve identificare con quella Porta di Remel-lo ampiamente citata dalle fonti. Questa porta, una di quelle originarie dell’abitato, doveva essere con-nessa, almeno nel xv secolo, con un rivellino posto a nord. Attraverso di esso si accedeva sia al Castel-lo sia al primo ponte stabile di passaggio dell’Adda. Allo sbocco occidentale del ponte un’altra struttura fortificata, detta la Rocchetta, controllava l’accesso al ponte.

Il complesso si configura quindi come un vero e proprio corridoio fortificato connesso al passaggio dell’Adda e deve essere certamente posto in relazio-ne con altre strutture viscontee similari quali i pon-ti fortificati di Vimercate e Valeggio sul Mincio e la strada pensile fortificata di Vigevano.

L’edificio ha avuto nei secoli una storia assai tra-vagliata. Presenta spiccati caratteri pluristratificati, con sequenze murarie ampie e ben osservabili che vanno dal xv al xix secolo, che documentano com-piutamente le fasi edilizie delle fortificazioni di Piz-zighettone.

Analisi stratigrafica*

Fase 1 (marrone)

Le murature di questa fase, le più antiche tra quelle oggi presenti, sono visibili nei prospetti ovest (PG ) ed est (PG 3).

Per quanto riguarda il prospetto est, i resti di una muratura (052) sono visibili in basso, al centro. Il muro è osservabile in larghezza; doveva sviluppar-si con andamento est-ovest e in altezza. Il muro ha subito una rotazione verso sud, forse a causa di un terrapieno di strutture adiacenti, a nord; questa ro-tazione, nella fase successiva, ha comportato una parziale demolizione e ricostruzione. Nel prospetto ovest lo stesso muro (03, 038) è conservato in al-tezza per circa 7 mt., dopo di che si rastrema a for-mare una sorta di parapetto. Il fronte sud è parzial-mente rivestito da una camicia di mattoni, di cui vi è traccia anche nel prospetto est. In alto si accosta un setto murario (039) con andamento nord-sud, pertinente a delle strutture addossate a nord, oggi scomparse.

* Per la stratigrafia cfr. l’inserto a colori, tavv. V-VII.

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Si può interpretare l’intera struttura come la ri-manenza di un muro che si sviluppava, con anda-mento est-ovest, parallelamente alle mura esterne. Considerando la rotazione rilevabile nel prospet-to est e il setto murario in alto nel prospetto ovest (039), si può ipotizzare la presenza di strutture con-tenute dal muro, forse un terrapieno percorribile e protetto in alto da un parapetto, corrispondente alla sommità del muro sul prospetto ovest (038).

Questa fase risale al xiv secolo.

Fase 2 (rosso)La porzione di muro della fase (052) che ave-

va subito la rotazione verso sud, viene parzialmente demolita (8) e ricostruita, con una muratura (053) oggi riscontrabile sul prospetto est in sezione.

Fase 3 (viola)In questa fase, propedeutica alla realizzazione

delle strutture della fase successiva, le murature a est appartenenti alle fasi precedenti vengono demo-lite (taglio 80).

Fase 4 (arancione scuro)Viene realizzata una grande struttura a pianta

rettangolare che ingloba i resti delle murature pree-sistenti. Il manufatto è in mattoni di grandi dimen-sioni (lunghezza circa 29 cm, altezza circa 7 cm) le-gati con malta di calce (035, 037, 05, 00, 026, 00, 0, 023, 028, 06) con fori pontai in fa-se. Nel prospetto ovest si osserva la presenza di una finestra con arco ribassato in laterizi ed inferriata (55). In fregio ai lati est e sud si notano, al di sopra di un rodendone, alcune piccole finestre con arco in laterizi ribassato (0, 3, 7), probabilmente utilizzate per l’uso di colubrine. Al centro del pro-spetto sud si riscontrano tracce di una porta carrale e di una pusterla pedonale, dotate di ponti levatoi, di cui sono ancora visibili gli alloggiamenti, doppio (35, 0) e singolo (0, 2), dei bolzoni di mano-vra. Al di sopra della porta carrale, tra gli alloggia-menti dei due bolzoni, si nota un arco di scarico (37), al di sotto di un redondone superiore (39, 09, 2), recante al di sotto una breccia di aspor-tazione, probabile alloggiamento di un elemento araldico asportato (08). Della porta carrale riman-gono anche l’elemento sommitale realizzato in pie-tra chiara (09) e parte della soglia (32, 2) con tracce dei cardini di rotazione del ponte levatoio

e delle sottostanti mensole d’appoggio (23, 3). Rimangono tracce significative anche della puster-la pedonale, come l’elemento sommitale in pietra (), la grande soglia lapidea con i cardini metallici del ponte levatoio (7) e le tracce delle due menso-le d’appoggio (9).

Sul lato est, staccata dalla struttura rettangolare di cui sopra, si trova un’analoga muratura (056) che in antico doveva evidentemente connettersi con il fronte est già descritto.

L’intera struttura è identificabile come la base di una torre portaia, dotata verso sud di un accesso pedonale e uno carrale e con ponti levatoi, fornita quindi di un fossato difensivo, oggi conservato so-lo in fregio al lato est. La presenza di aperture utili all’uso di piccole bocche da fuoco suggerisce la da-tazione di questa struttura tra la fine del xiv e l’ini-zio del xv secolo. La porta doveva essere connessa ad un recinto più ampio, che si sviluppava sia verso nord (056) sia verso ovest, riutilizzando in parte le murature preesistenti.

Fase 5 (arancione chiaro)In questa fase la torre portaia fu ridotta a sem-

plice torre, con occlusione della porta carrale (07), degli alloggiamenti dei bolzoni (020, 02), della pusterla (009) e del relativo alloggiamento del bol-zone (007). Nella realizzazione dei tamponamenti

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si dedica particolare attenzione a mantenere inal-terato l’aspetto della struttura muraria, ricreando, in corrispondenza del rodendone superiore, una continuità, e inserendo elementi che garantissero una continuità di lettura delle strutture preesisten-ti (3). Anche le tre piccole aperture per uso di ar-mi da fuoco preesistenti vengono tamponate (002, 027, 050); l’elemento araldico posto sopra la porta principale viene asportato e la breccia risarcita con una nuova muratura (022).

Questa fase riguarda la fine del xvii-inizio del xviii secolo.

Fase 6 (verde scuro)In questa fase, databile al xviii secolo, le struttu-

re inferiori della porta carrale vengono tagliate (22, 25, 27, 28, 33) per ricavare un’apertura, la cui po-sizione molto bassa si spiega con la permanenza, sul lato sud, del fossato. L’apertura poteva consistere in una finestra di areazione a locali interrati o in una porticina d’accesso a livello dell’acqua del fossato.

Fase 7 (verde)Si tratta di una fase rilevante, in cui la struttura

della porta viene interamente rivista. La torre portaia viene cimata e le parti sommita-

li parzialmente risarcite con nuove murature (005, 02, 07). Anche i piedi delle murature dei fronti

ovest e sud, forse erosi a causa dell’acqua del fossato, vengono ampiamente reintegrati (029, 00, 03). In corrispondenza dell’antica porta carrale, l’aper-tura realizzata precedentemente viene sostituita da due aperture (30, 29). L’intera struttura muraria è rivestita con un intonaco a calce, di cui restano am-pie tracce (008, 036, 032). La cortina accostata al-la torre verso nord viene parzialmente demolita e ri-costruita (09); le strutture antiche perpendicolari al fronte ovest con andamento est-ovest che si erano conservate vengono rimosse: i tagli di demolizione sono mascherati con uno strato di malta pertinente a questa fase (036).

Come dimostra l’altezza della finestrella in fregio al fronte sud (30), tutti questi lavori possono esere stati realizzati quando la struttura era circondata, sui lati ovest, sud ed est, dal fossato.

Fase 8 (verde chiaro)

Si tratta di una fase di sistemazioni parziali, par-ticolarmente estesa in corrispondenza del prospetto ovest, dove la parte superiore delle murature viene demolita e ricostruita (039, 00). Viene realizzato un grande arco di scarico in laterizio (57), parzial-mente sovrastato da due scanalature, probabile al-loggiamento di elementi lapidei (6). Al piano ter-ra viene realizzata una porta con architrave ligneo (66), il che fa supporre che sui fronti ovest e sud il fossato fosse stato definitivamente eliminato. Si consideri anche che in fregio al fronte sud la fine-stra inferiore (30) presente tra le due realizzate nella fase precedente viene tamponata (06). Sul fronte est, in corrispondenza della base dell’antica por-ta carrale, viene realizzata una nuova apertura con cornice in pietra ed inferriata (73), mentre in cor-rispondenza della precedente muratura nord-sud (09) vengono inserite due nuove aperture (8, 87) pertinenti a passerelle lignee che scavalcavano, verso est, la porzione di fossato ancora esistente. Le passerelle dovevano essere protette da una copertu-ra lignea di cui vi è traccia nelle murature (85, 88). Questa fase tratta di lavori di sistemazione databili al xviii secolo, pertinenti alla realizzazione dell’adia-cente Bagno Penale.

Fase 9 (giallo)

Nel Novecento vengono realizzate piccole mu-rature legate e coperte con malta cementizia (05, 08, 03, 030, 0, 02, 59, 67, 0).

a sinistra, Mura,

prospetto est, tracce del

fossato difensivo.

a destra, Mura, prospetto

est, tracce della

colubrina parzialmente

tamponata (US 174).

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Non esiste un testo che tratti complessivamente la sto-ria e la consistenza delle fortificazioni di Pizzighettone in relazione alle vicende storiche del borgo. Si faccia almeno riferimento a F. Bernocchi, Storia di Pizzighettone, ª edi-zione, a cura di S. Ghizzardi, Pizzighettone, Gruppo Volon-tari Mura, 2000 (ª edizione 973); D. Vicini, Documenti della prima metà del quattrocento dell’archivio storico civico di Pavia, in Castelli e mura fra Adda, Oglio e Serio, Atti del Convegno itinerante, 22-23-29 settembre 200, a cura di L. Roncai, Persico Dosimo (Cr), Delmiglio, 2003; D. Tolo-melli, Le mura di Pizzighettone nella descrizione delle fortez-ze di frontiera dello stato di Milano di Gabrio Busca, in Ca-stelli e mura; M. Migliorini, Il periodo napoleonico a Piz-zighettone 1796-1814, Soresina 990; R. Perelli Cippo, Le pergamene dell’archivio del Comune di Pizzighettone (1342-1529), Milano, Unicopli, 2003; M. Celada, M. Mann, Le

mura di Pizzighettone, Tesi di laurea, relatore Prof. Paolo Farina, Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura, a.a. 99-995; P. D’Argangelo, La terra di Pizzighettone nel se-condo quattrocento (1466-1480), Tesi di laurea, relatore Prof. Giorgio Chittolini, Facoltà di Lettere e Filosofia, Univer-sità Statale di Milano, Corso di laurea in Storia, a.a. 2005-2006.2 Perelli Cippo, Le pergamene, pp. 3-5.3 Bernocchi, Storia di Pizzighettone, pp. 35-37. Vicini, Documenti, pp. 35-38.5 D’Argangelo, La terra di Pizzighettone, pp. -2.6 Tolomelli, Le mura di Pizzighettone, pp. 39-0.7 Bernocchi, Storia di Pizzighettone, p. 0.8 Ibidem, p. 07.

Note

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C a r l o D u s i

Da gennaio a giugno 2008 Villa Obizza a Bot-taiano, frazione del comune di Ricengo (Cremo-na), è stata oggetto di un intervento a salvaguardia delle strutture superstiti, in attuazione di un pro-tocollo di intesa sottoscritto nel 2006 tra la Soprin-tendenza di Brescia e la Provincia di Cremona, che sanciva un’azione coordinata tra i due enti per l’at-tuazione di interventi urgenti su otto edifici a ri-schio del territorio provinciale.

La villa

Villa Obizza sorge poco a nord dell’abitato di Bottaiano, lungo la strada per Camisano, qualche decina di chilometri a nord della città di Crema.

Voluta da Giò Matteo Obizzi, consigliere della città, venne edificata tra fine del xvii e l’inizio del xviii secolo, a integrazione e parziale riforma di un precedente insediamento rurale. Due epigrafi poste sull’edificio a celebrare la conclusione dell’opera re-cano le date 70 e 702.

Villa Obizza tra emergenza e conoscenzaIl cantiere per le opere di salvaguardia delle strutture

sopra, planimetria del complesso – senza

campitura gli immobili acquistati dalla

Fondazione “Villa Obizza”.

sotto, sezione del complesso lungo l’asse

est-ovest.

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Il complesso è strutturato lungo un asse est-ovest, con la villa a definire due corti.

La corte ad occidente, in origine giardino, giun-ge sino alla strada, da cui la separa un semplice mu-ro di cinta interrotto dall’esedra e dal monumen-tale portale d’ingresso. Ad oriente si trova la corte rustica principale, giuntaci oggi profondamente al-terata: l’emiciclo che la cingeva è scomparso, sosti-tuito da una moderna stalla. La corte conserva sul lato nord il corpo rustico di maggior pregio, fortu-natamente meno manomesso anche se in condizio-ni di conservazione decisamente precarie.

Oltre a questo nucleo centrale, in origine il complesso comprendeva altre due corti, poste a sud e a nord, entrambe in fregio alla strada.

La corte meridionale, tuttora esistente, ingloba nell’angolo sud-ovest l’antico oratorio di San Mi-chele, ricostruito intorno al 578 per volontà di Isa-bella Vimercati Sanseverino, proprietaria del fon-do. La corte settentrionale, che comprendeva una “casa di villeggiatura”, venne demolita nella prima metà del xix secolo.

In origine la villa era completamente isolata, come risulta evidente, a livello di stratigrafia, nel contatto con le due ali basse a nord e a sud. Ai primi due decenni dell’Ottocento, a quanto pare, vanno ricondotti alcuni piccoli adattamenti al pia-no rialzato.

L’assetto attuale, con la villa al centro di corpi rustici bassi e lineari, è con tutta probabilità il ri-sultato, incompiuto, dell’ispirazione ad insigni mo-delli architettonici.

La villa vera e propria, la “casa”, è composta da un blocco parallelepipedo elevato di tre piani, con una copertura a quattro falde, dalla quale emerge un corpo centrale con fronti a timpano. La com-posizione dell’edificio è incentrata sui due saloni principali, sovrapposti, che hanno un’altezza supe-riore a quella dei rispettivi piani; quello inferiore comprende il mezzanino, quello superiore occu-pa il volume che emerge dalla copertura. Ai fian-chi nord e sud del salone si sviluppano tre stanze per lato; nell’angolo sud-ovest si trova lo scalone; ad ovest dei saloni, in asse e di larghezza uguali a questi, vi è su ogni piano un ambiente che funge da atrio, sul quale affaccia la scala. Nulla all’ester-no dell’edificio lascia intendere questo complesso gioco di incastri, reso possibile dall’interposizione, tipologicamente anomala, del mezzanino tra i due piani principali.

Il disegno delle facciate, vero e proprio con-trappunto, occulta, più che svelare, l’articolazione interna: se le scalinate ed i portali di ingresso sui fronti est e ovest, uniche concessioni a un decoro ricco e raffinato, confermano la gerarchia assiale de-gli spazi interni, essa è visivamente annullata dalla continuità del massiccio cornicione, retto da men-sole binate, che conclude il corpo parallelepipedo e dalla scansione ritmica delle finestre.

Il carattere degli interni è estremamente misura-to: del tutto assenti le decorazioni parietali2, poche quelle architettoniche. Il carattere degli ambienti è tutto legato alla qualità della costruzione che, a sua volta, trovava le espressioni più complesse e raffi-nate nelle volte e negli impalcati lignei. Le stanze al piano rialzato sono tutte coperte da volte, come pure le rampe dello scalone; volte a padiglione si trovano negli ambienti minori e una volta “pseu-do-planteriana”3 copre il salone.

Ai piani superiori tutti gli orizzontamenti erano costituiti da solai in legno di rovere, non particolar-mente elaborati ma di ottima fattura. Questa scel-ta sistematica definiva il vero carattere degli spazi, purtroppo oggi completamente perduto.

Ignoto è l’autore della villa, che si può con buo-na probabilità identificare con un maestro locale. Le numerose incertezze compositive e distributi-ve suggeriscono l’ipotesi della traduzione in fab-brica di un modello o il riferimento diretto ad un esempio.

Il cantiere

Costituita la Fondazione Villa Obizza che nel luglio 2007 ha acquistato la villa e parte delle per-tinenze rustiche, si è dato avvio al cantiere, finan-ziato dal Ministero per i Beni le Attività Culturali e condotto dalla Soprintendenza di Brescia.

Dopo decenni di completo abbandono, come accade a molti, troppi, complessi rurali, cascine o residenze nobiliari sparsi nei piccoli centri e nella campagna, dove ancora il valore della rendita im-mobiliare non arriva ad accelerarne per altre vie la distruzione, la villa e le parti del complesso di Vil-la Obizza non più funzionali alla conduzione del fondo agricolo erano giunte a uno stato prossimo alla rovina.

Dopo il crollo di una parte del tetto nel 988,

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non più ricostruita, il degrado si è propagato con una progressione esponenziale a tutta la fabbrica, con la caduta di gran parte delle coperture, dei so-lai lignei dei piani superiori e l’innesco di una serie di dissesti delle murature.

Si è trattato di un intervento inevitabilmente invasivo, non senza difficoltà operative, dovendo in primis assicurare l’incolumità degli operatori e, in subordine, ridurre al minimo le perdite materiali.

Smontate le parti pericolanti, rimosse ordinata-mente le macerie del tetto e dei solai lignei dei pia-ni superiori crollati che gravavano sulle volte sotto-stanti, si sono accantonati i materiali riutilizzabili. I pochi elementi amovibili ancora integri (porte interne, balaustrini, banderuole ed altre parti in pietra o ferro), i frammenti con un valore testimo-niale utile al futuro restauro (modanature in stucco o in legno, elementi lapidei) sono stati catalogati, rimossi e ricoverati in magazzino. Si è infine prov-veduto a realizzare opere di presidio e di sostegno,

con ponteggi e puntelli metallici di tutte le parti della fabbrica, volte, solai e pareti a rischio di crol-lo; alle stesse strutture tubolari sono stati ancorati teli in materiale plastico che formano la copertura provvisionale.

I caratteri costruttivi

Lo stato di rovina che ha reso necessario l’in-tervento e quella sorta di dissezione anatomica in cui esso si è concretizzato hanno consentito di os-servare parti della fabbrica che in situazioni meno drammatiche sarebbero rimaste celate.

Una condizione non certo auspicabile ha con-sentito un esercizio utile e ne è derivata la possibi-lità di una lettura della fabbrica attraverso i suoi caratteri costruttivi, una disamina non limitata a singole parti, come più frequentemente accade, ma estesa all’intero organismo; un organismo uni-

a sinistra, fronte est, anno 1988.

in basso, vista dall’alto dopo la rimozione delle macerie.

sotto, dettaglio delle opere provvisionali.

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tariamente concepito, unitariamente costruito e sostanzialmente rimasto inalterato, quindi parti-colarmente rappresentativo dell’arte del costruire nell’area cremasca alla fine del xvii secolo.

Non essendo possibile in questa sede una trat-tazione esaustiva dell’argomento, ci si limiterà alla descrizione di alcuni aspetti salienti della costru-zione, in particolare delle strutture in muratura e del rapporto tra queste e le strutture lignee, illu-strando alcune soluzioni puntuali particolarmente significative.

Le murature sono tutte composte da mattoni e malta d’argilla, come di consuetudine in tutta l’area cremonese e cremasca. Sono state realizzate con la stessa tecnica anche le volte, dove era invece comu-ne l’uso della malta di calce. Interessante osservare come l’apparecchio delle murature, sia nelle pareti che nelle volte, sia stato accuratamente predisposto per assicurare alle strutture un’adeguata resistenza anche nelle situazioni di maggiore sollecitazione5, sino a giungere all’impiego di mattoni di dimen-sioni non comuni, appositamente prodotti6: è il caso della volta del salone al piano rialzato e del cornicione.

La volta del salone copre un vano di dimensio-ni ragguardevoli: 7 metri di larghezza per di lun-

ghezza. All’intradosso appare come un intreccio di archi molto ribassati, alternati da campi pratica-mente orizzontali, a completare le maglie generate dall’intreccio.

Vista aerea del

complesso al termine

dell’intervento di

salvaguardia delle

strutture.

a destra, dall’alto,

copertura provvisionale

(dettaglio); volta del

salone, anno 1988.

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La figura in sé ha una discreta diffusione in am-bito cremonese e bresciano, anche se non si può escludere che sotto un’apparente analogia formale si celino concezioni statiche completamente diver-se. In questo caso, ad esempio, la struttura è affatto diversa da quanto si potesse supporre; non vi sono infatti nervature portanti e riempienti portati, ma la volta è geometricamente e costruttivamente una volta a carena puntualmente irrigidita all’estadosso da coppie di frenelli, costituiti da tratti di muri di due teste con i corsi di mattoni disposti orizzontal-mente, regolarmente distribuite lungo il perimetro, in cui le porzioni di fuso comprese sono state sosti-tuite da vele sferiche, esattamente funzionali come le altre parti alla stabilità dell’intera volta.

È necessario tuttavia analizzare in dettaglio la geometria e l’apparecchio murario della volta per comprenderne tutta la complessità.

La generatrice della volta è un arco policentri-co molto ribassato, tanto che la parte centrale ri-sulta praticamente piana; i quattro fusi della volta sono apparecchiati con i mattoni di dimensioni di 7x26x32 cm paralleli alla direttrice, posti di punta nella parte centrale, indicativamente quella com-presa tra le reni, e disposti di coltello nel tratto ri-manente tra l’imposta e le reni; la variazione della disposizione coincide con buona approssimazione del cambio di curvatura della generatrice. Questo apparente controsenso, rispetto alla teoria e alle regole dell’arte che prescrivono una diminuzione dello spessore dalle reni verso la chiave, trova la sua spiegazione nella volontà di migliorare il collega-mento tra la volta ed i frenelli. I costruttori hanno dunque lavorato diversificando intenzionalmen-te la rigidità della volta, in modo da ottenere una struttura modellabile per risolvere problemi statici e funzionali: il controllo delle spinte e la lumino-sità del salone.

Altrettanto inatteso appare il sistema di sup-porto del pavimento all’estradosso: contrariamente alle volte delle stanze laterali, i cui rinfianchi sono riempiti di argilla e il pavimento è posato sul riem-pimento, i rinfianchi non sono stati riempiti ma il pavimento è portato da un complesso sistema di muricci disposti parallelamente ai lati minori della sala, ad un interasse di 5 cm, corrispondente alla lunghezza delle tavelle su cui è posato il pavimen-to vero e proprio.

Dovendo assecondare le diverse curvature del-l’estradosso, i muricci poggiano in parte diretta-mente sulla volta, nella parte centrale e in corri-spondenza delle vele e dei frenelli, e in parte su travetti di legno, nelle zone comprese tra i frenel-

A) Solaio del salone

superiore dopo il crollo

parziale della copertura,

anno 1988 (dettaglio).

B) Volta del salone,

apparecchio murario

(dettaglio). Sono visibili

la variazione di spessore

del guscio ottenuta con

la diversa disposizione

dello stesso mattone di

dimensioni cm 32x26x7,

il frenello e la muratura

a spina di pesce della

vela sferica.

C) Volta del salone,

sistema di muricci che

sostengono il pavimento

(dettaglio).

D) Volta del salone,

sistema di muricci che

sostengono il pavimento

(dettaglio). Si noti il

travetto di legno su cui

appoggia il muriccio tra

una coppia di frenelli.

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li, dove la curvatura è molto accentuata. Chiaro appare l’intento di non appesantire ulteriormen-te una struttura già di per sé decisamente greve. Nell’intercapedine tra l’estradosso della volta e il pavimento sono state poste in opera due catene estradossali con lo scopo, non raggiunto, di con-tenere il ribaltamento della facciata est, unico pie-dritto non stabilizzato da altri elementi.

Degne di nota sono anche le soluzioni adotta-te nella costruzione dei cornicioni, sia quello del blocco cubico sia quello del sovralzo. Il primo, molto più imponente e massiccio, è costituito da una teoria di mensole binate che reggono uno sporto molto accentuato (76 cm dal filo della mu-ratura), con una complessa modanatura; il secon-do è formato più semplicemente da una semplice guscia. In entrambi i casi non si tratta di elemen-ti in qualche modo giustapposti – come normal-mente si interpretata la decorazione in architettu-ra – ma parti integranti della muratura, ancorché sagomate e modellate. L’apparecchio della mura-tura, che in questi tratti è una successione di late-rizi di diverso spessore, funzionali alla realizzazio-ne delle modanature, è esteso a tutto lo spessore della parete sino al paramento interno.

Colpisce l’analogia con alcune illustrazioni del trattato di Alessandro Capra Geometria Fa-migliare7, che riproducono lo stesso schema di apparecchio murario, a conferma della diffusio-ne del sapere costruttivo e delle diverse forme della sua diffusione, dalla pratica di cantiere alla trattatistica.

Si noti in particolare la presenza di un corso di mattoni di dimensioni molto superiori a quelle consuete, che ha l’evidente funzione di stabilizzare l’intera cresta muraria, migliorando l’ammorsatura e fungendo da ripartitore dei carichi puntuali tra-smessi dalle travi del tetto. Non va infatti dimen-ticato che alla stabilità della parte sommitale del-la parete era programmaticamente affidato il peso del tetto, necessario a bilanciare l’eccentricità dello sporto, tanto che la sua mancanza, nel caso di Vil-la Obizza, ha causato e sta causando preoccupan-ti dissesti.

Altro esempio di interazione tra le parti del-la fabbrica è fornito dall’impiego dei solai in le-gno. Nella scelta della tipologia strutturale devo-no aver senz’altro influito tanto ragioni formali quanto economiche8, ma indubbiamente devono essere state determinanti anche motivazioni di or-dine statico.

Le proporzioni dell’edificio e delle sue parti, la foratura delle pareti, che le riducono dal punto di vista strutturale a una serie di pilastri molto snel-li (nella parte corrispondente al sopralzo centrale le pareti raggiungono un’altezza di oltre 7 metri), devono aver posto in modo ineludibile il problema del peso degli orizzontamenti e del contenimento

sotto, volta del salone,

catena estradossale

(dettaglio).

a destra, dettaglio del

cornicione con mensole.

Si noti l’uso di mattoni

di diverse dimensioni

per realizzare le

modanature.

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delle spinte delle volte e delle coperture; si è potu-to puntualmente verificare che le travi principali degli impalcati del piano superiore e quelle del tet-to sono state usate sistematicamente come catene. Durante i lavori è stata rilevata una serie articolata di protesi di ferro – arpioni, bandelle – fissate alle travi per realizzare il collegamento con la muratura, con le diverse forme delle protesi e dei fissaggi alle travi in funzione delle puntuali esigenze statiche e dei problemi di cantiere9.

La collaborazione tra strutture in legno e mu-ratura è uno degli aspetti ancora meno conosciuti dell’architettura storica, nonostante abbia rappre-

e) Illustrazione tratta dalla Geometria Famigliare di Alessandro Capra. La costruzione della parte sommitale del muro e delle relative modanature presenta forti analogie con le tecniche utilizzate dai costruttori di Villa Obizza. Da notare la presenza di un corso di mattoni di dimensioni molto superiori alla norma.

F) Dettaglio della cresta di una muratura perimetrale. Sono ben visibili due corsi di mattoni di dimensione quasi doppia (cm 50x22x8).

G) Dettaglio di una delle travi di solaio rimosse. In evidenza la reggia metallica di collegamento con la muratura.

H) Dettaglio della parete del corpo centrale. Sono ben evidenti la tessitura muraria e un arpione in ferro rimasto ancorato alla muratura dopo il crollo della trave.

I) Dettaglio dell’ancoraggio di un arpione alla trave.

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G I

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sentato una delle risorse più sfruttate per la riso-luzione dei problemi complessi legati alla stabilità delle strutture.

Non manca in Villa Obizza un episodio ecla-tante: la realizzazione in falso della parete meridio-nale del sovralzo centrale, in corrispondenza del-l’atrio del piano superiore. Originata dall’esigenza, o meglio dalla volontà, di creare un unico ambiente – un unico solaio ligneo copriva infatti sia l’atrio che il vano occupato dallo scalone – la parete è por-tata da una trave di legno. Per rendere stabile un simile azzardo la parete è impostata su un arco di tre teste che riporta il peso della struttura e tutti i carichi su di essa gravanti sulle estremità incastrate della trave, lasciando la parte centrale gravata “solo” dal peso del tamponamento dell’arco e dal carico della porzione di falda trasmesso dalle due terzere. Le estremità della trave sono inoltre presidiate e rinforzate da quattro tiranti di ferro verticali – due per lato – collegati a una catena longitudinale in-terna alla muratura posta al di sopra dell’estrados-so dell’arco.

Le ricerche tuttora in corso potranno spiegare le tante singolarità della villa o quantomeno con-sentire di formulare ipotesi motivate.

Se infatti la villa in può ben essere interpretata, come ha chiaramente messo in evidenza Carlo Pe-rogalli0, come una delle tante permutazioni attor-

a destra, arpione di ferro che univa uno degli spigoli dell’edificio con il

corrispondente cantonale del tetto.

dall’alto:

Dettaglio del frontone del corpo centrale. All’interno della muratura è visibile

l’arpione d’angolo che collegava la parete alla retrostante capriata.

Parete in falso del corpo centrale in corrispondenza dell’atrio al secondo

piano. È chiaramente visibile l’arco appoggiato alla trave su cui è impostata la

muratura.

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no al tipo dell’edificio cubico organizzato attorno al fulcro del salone, nel territorio cremasco e in quelli limitrofi di Milano, Bergamo e Cremona manca il corrispondente tipo di edificio rurale dal quale Pe-rogalli ipotizza un rapporto di discendenza, né esi-stono esempi talmente significativi che consentano di parlare di una linea evolutiva locale.

Rimane quale possibile linea interpretativa, co-

me accennato in precedenza, il riferimento a un modello, difficile stabilire se teorico o reale; di-venta oltremodo importante comprendere come il modello sia stato interpretato, “metabolizzato” nel passaggio attraverso la cultura degli autori – proget-tisti e committenti – e quali siano state le necessità funzionali, le condizionanti tecniche tecnologiche ed economiche che l’hanno generata.

Interno, scalone al piano nobile prima dei lavori.

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Il Protocollo d’Intesa per la mezza in sicurezza, la conserva-zione e il restauro di alcuni complessi monumentali di rilevan-te valore culturale in cattivo stato di conservazione, approva-to dalla Giunta provinciale di Cremona con deliberazione 30 del 2 gennaio 2006 e sottoscritto in data 0 febbraio 2006 individuava, oltre a Villa Obizza, il Podere Molino a Spinadesco; l’ex Convento di Santa Monica, poi Caserma Goito, a Cremona; la Sinagoga a Ostiano; Villa Zanetti di San Lorenzo Aroldo a Solarolo Rainerio; Villa Medici del Vascello a San Giovanni in Croce e altri due siti in fase di studio, il Lazzaretto di Stagno Lombardo e gli edifici pro-spicienti la piazza di Isola Dovarese. Cfr. il testo integrale del Protocollo in questo volume, p. 22.2 Non ve n’è traccia, sembra che non siano mai stati rea-lizzati apparati decorativi a ornamento delle pareti.3 La definizione è di Floriana Petracco, autrice di uno stu-dio sul cantiere storico a Cremona nei secc. xvi-xvii, utile riferimento per quanto riguarda le questioni relative alla cultura costruttiva locale. F. Petracco, L’arte del costruire a Cremona: maestranze, materiali e tecniche nei secoli xvi-xvii, tesi di dottorato di ricerca in Conservazione dei Beni Ar-chitettonici, Politecnico di Milano, Università degli studi di Cagliari, Università degli Studi di Genova, Università degli Studi di Reggio Calabria, Milano 998. Nel 2007 si è costituita la Fondazione Villa Obizza, par-tecipata da soggetti pubblici e privati (la Provincia di Cre-mona, diverse amministrazioni comunali del territorio e soggetti privati esponenti dell’imprenditorialità locale), con l’espressa finalità di restaurare e valorizzare il comples-so. Nel 2007, oltre all’acquisizione degli immobili, la Fon-dazione ha provveduto a iniziative di sensibilizzazione e informazione, predisposizione di studi preliminari, ricerca delle risorse economiche, rapporti con le istituzioni, tutte attività propedeutiche al lavoro di recupero architettonico e funzionale di Villa Obizza.

5 La malta di argilla garantisce, come è noto, una buona resistenza agli sforzi di compressione, molto meno a quelli di taglio.6 Non si dispone di informazioni sulle dimensioni dei late-rizi storicamente prodotti in area cremasca. Le dimensioni ricorrenti utilizzate nella fabbrica di Villa Obizza sono di cm 7xx32 per il mattone comune, cm 7x26x32 per la vol-ta del salone, cm 7x22x50 per il cornicione e le creste delle murature, cm 3,5x6x3 per le pianelle.7 A. Capra, Geometria famigliare, et instruttione pratica d’Alessandro Capra architetto cremonese. Per gl’edificij nuo-ui, e vecchij, … diuisa in tre parti, con l’indice de capi, e lo-ro argomenti. Dedicata agl’illustrissimi signori decurioni del-la citta di Cremona, Cremona, Gio. Pietro Zanni, 67. Si confrontino anche le edizioni successive del trattato.8 Il tema dei costi del cantiere storico è stato ampiamente trattato da F. Petracco, al cui lavoro si rimanda.9 Per una trattazione esaustiva del tema cfr. S. Della Torre, Alcune osservazioni sull’uso di incatenamenti lignei in edifici lombardi dei secoli xvi-xvii, in Il modo di costruire, Atti del I Seminario internazionale, a c. di M. Casciato, S. Mornati, C.P. Scavizzi, Roma, Edilstampa, 990, e biblio-grafia.0 C. Perogalli, M. G. Sandri, L. Roncai, Ville delle Pro-vince di Cremona e Mantova, Milano, Rusconi, 973. Le uniche analogie, anche se parziali, con altri edifici del territorio cremasco e cremonese riguardano villa Schinchi-nelli a Castelverde per la distribuzione e le proporzioni del-la fabbrica; villa Visconti di Modrone a Corte de’ Cortesi per la sola parte centrale, che presenta una distribuzione analoga e il sopralzo centrale; villa albera a Salvirola che, unico altro caso, ha il mezzanino interposto tra i due piani principali.

Note

a destra, Tremosine (Bs), nuovo villaggio turistico

presso Pieve, a picco sul lago (foto F. Bianchi).

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T u t e l a d e l p a e s a g g i o

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Giunge in questi mesi a termine il lun-go cammino, iniziato più di due anni fa, che ha portato le città di Mantova e Sabbioneta all’iscrizione nella Li-sta del Patrimonio del-l’Umanità dell’Unesco.

È l’anno 2005 quan-do le Amministrazioni Comunali di Mantova e Sabbioneta fanno richiesta al Ministero per i Beni e le Attività Culturali di avviare il procedimento, puntando sulla cultura quale principio guida delle future strategie di crescita e sviluppo dei tessuti ur-bani e del territorio circostante. Nel gennaio 2007 viene presentato al Comitato Unesco il Dossier di Candidatura, nel quale vengono identificati nello specifico i beni interessati, precisandone l’inqua-dramento urbanistico e normativo (il sistema cioè dei vincoli di tutela ambientale e paesistica esisten-ti), la storia e lo sviluppo degli ambiti in oggetto e delle principali emergenze architettoniche e arti-stiche. Costituisce parte integrante di questo docu-mento la proposta di Dichiarazione di Valore Uni-versale Eccezionale che verrà sottoposta al giudizio del Comitato Unesco, nella quale vengono eviden-ziati i requisiti che giustificano la candidatura.

Mantova è stata coinvolta nel Novecento in complesse vicende urbanistiche, tra le quali le irra-gionevoli demolizioni, avvenute nella prima metà del secolo, di importanti testimonianze architetto-niche (le porte medievali, la Palazzina della Paleo-

Sabbioneta. Da città idealea Patrimonio dell’Umanità

L u c a R i n a l d i , S e r e n a T r i v i n i B e l l i n i

loga, il Ghetto ebrai-co), culminate con le pesanti distruzioni bel-liche (la chiesa dei Fi-lippini, il convento di San Francesco…) e con gli errori della ricostru-zione degli anni Cin-quanta che, portando avanti le politiche di trasformazione conte-nute nel Piano Regola-

tore di massima relativo alla Città Vecchia (92) e nel Piano parziale di ricostruzione della città e di Cittadella (950), si concretizza con la demolizio-ne di alcuni isolati e con la copertura parziale del Rio, tra le attuali piazza Cavallotti e piazza Martiri di Belfiore. Questi fatti sono già stati oggetto di ri-flessioni e critiche, mentre della vicenda di Sabbio-neta, del suo salvataggio e della sua rinascita, poco si è trattato. Il presente contributo intende riper-correre sinteticamente le vicende urbanistiche della cittadina nel corso del xx secolo, sino alla definitiva consacrazione a città d’arte, unicum da salvaguar-dare come monumento intimamente connesso col suo contesto paesaggistico.

Nel 55 Vespasiano Gonzaga (53-9) inizia a trasformare il borgo di Sabbioneta, capitale del feudo pertinente a un ramo cadetto della famiglia Gonzaga, nella piccola “città ideale” del Rinasci-mento che oggi ammiriamo. Sotto l’impulso di Vespasiano numerose opere architettoniche e ur-banistiche proseguono alacremente, per essere in-terrotte di colpo alla sua morte.

Sabbioneta (Mn).

Strada Sabbionetana,

cartellone che

pubblicizza il paese,

anni 1950-1965.

Mantova, Biblioteca

Mediateca Gino

Baratta, fondo

Azienda Promozione

Turistica, APT_1483,

tratta da internet,

(URL: http://www.

lombardiabeniculturali.

it/fotografie/schede/

IMM-2s010-0001483/).

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Lo spazio urbano, diviso in trentaquattro isolati regolari attestati su un asse mediano di attraversa-mento, viene delimitato tra il 560 e il 570 da una cinta muraria stellata, l’elemento che più di altri ha mantenuto una forza evocativa. Il centro politico, religioso e amministrativo del borgo è Piazza Duca-le, su cui si affacciano il Palazzo Ducale e la chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta. Poco distan-te, sulla Piazza d’Armi, vengono eretti il Palazzo del Giardino (588) e la Galleria degli Antichi (583-58), casino ducale e edificio destinato ad ospitare le collezioni d’arte della famiglia Gonzaga. Questi ultimi edifici fronteggiavano la Rocca, della quale è rimasta traccia solo nelle mappe storiche: la struttu-ra venne atterrata nel 786 ad opera del proprieta-

rio, un bottegaio che l’aveva acquistata dalla Regia Camera Austriaca. Nell’abitato, caratterizzato da vie porticate, si trovano altri famosi monumenti: il Teatro Olimpico, costruito “all’antica” da Vincenzo Scamozzi tra il 588 e il 590, e la Chiesa dell’Inco-ronata, che diverrà il Pantheon del Duca.

Se si esclude la Rocca, il borgo di Sabbioneta è rimasto praticamente intatto dall’età di Vespasia-no all’inizio del Novecento, quando i primi timidi sentori della modernità spingono gli amministrato-ri a favorire l’attraversamento della cittadina, sino allora regolato dalle porte gonzaghesche, aprendo due nuovi varchi nelle mura, uno a nord (920) e uno a sud (928), proprio all’altezza delle nuove scuole sorte sul sedime della Rocca. Già dal 9 si discuteva della demolizione completa delle mura2, argomento causa di divergenze tra l’amministrazio-ne comunale e la Soprintendenza ai Monumenti veronese, divise sulle ipotesi di trasformazione del borgo, tra necessità di sviluppo del centro urbano ed esigenze di tutela di un patrimonio storico co-sì rilevante.

Il 7 novembre 9 la Giunta Comunale di Sabbioneta aveva proposto all’approvazione del Consiglio Comunale un preciso documento sulla necessità di abbattimento delle mura:

Il risanamento di Sabbioneta, formando parte pre-cipua del nostro programma d’azione, la Giunta, appena insediata, si è subito data cura di rialzare le sorti di questa povera Cittadina facendo allestire dall’Egregio Ingegnere Comunale Signor Beduschi Cavour il progetto dell’abbattimento delle mura che

Sabbioneta in una

mappa del XVIII secolo.

Si vedono la cinta

muraria ancora integra

e la rocca (Mantova,

Archivio di Stato,

Catasto Teresiano).

a destra, Sabbioneta nel

1944 in una foto aerea

della RAF (Roma, Istituto

Centrale per il Catalogo

e la Documentazione,

Aerofototeca Nazionale).

sotto, Sabbioneta oggi,

vista da nord est, con il

regolare reticolo dei lotti

edilizi.

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cingono, a ridosso dell’abitato cittadino, soffocando-ne ogni possibilità di proficua espansione, di incre-mento economico e costituendo esse una ragione di insalubrità.

Di fronte al pronunciamento di Alessandro Da Lisca, Soprintendente ai Monumenti, che il 20 ottobre 9 aveva dichiarato che “le mura costi-tuiscono ancora, salvo lievi modificazioni, la cinta creata da Vespasiano, hanno notevolissimo interes-se storico e sono uno degli elementi essenziali del carattere che la singolarissima Città Gonzaghesca può ancora serbare”, si finiva per ammettere che, benché “la demolizione del castello che costituiva, senza alcuna incertezza, la parte veramente storica e artistica delle fortificazioni, ha tolto il vero carat-tere delle nostra mura e ne ha reso possibile un più ampio atterramento […] anziché tutte le mura, basterebbe, per ora, abbatterne un settore, quello settentrionale. Così verrebbe salvato il carattere alla Città e nel medesimo tempo aperta una nuova arte-ria alla sua vita avvenire”. Ci si era dunque limitati, nel 920, al sacrificio di un tratto di circa duecento metri nella porzione settentrionale della cinta, al-l’altezza del nuovo varco verso Mantova.

Sabbioneta giunge quindi pigramente sino al-l’ultimo conflitto modiale, quando viene immor-talata, ancora interamente racchiusa nelle mura, in una celebre foto aerea della RAF3.

Gli anni Sessanta portano i primi sconvolgi-menti al tessuto urbano e al territorio circostante. Sabbioneta non è ancora dotata di un Piano Rego-latore e nemmeno di un semplice Piano di Fabbri-cazione. Dalla metà degli anni Sessanta una nuova strada di circonvallazione permette finalmente alla statale Mantova-Parma di evitare il borgo monu-mentale, mentre una caotica congerie di condo-mini, villette e piccoli insediamenti commerciali e artigianali sorge lungo i principali assi di comu-

Sabbioneta, PRG

del 1975. Previsioni

di piano per le aree

esterne al centro

storico.

a destra, Sabbioneta,

PRG del 2000.

Indicazione delle

possibili trasformazioni

all’interno della città

murata.

sotto, Sabbioneta, Piano

Particolareggiato Centro

Storico del 1999. Rilievo

dei lotti adiacenti a

piazza Ducale.

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nicazione che escono dall’abitato. La stagnazione economica, la crisi irreversibile dell’agricoltura e il conseguente fenomeno migratorio dalla cittadina verso i principali centri industriali lombardi limi-tano fortunatamente l’ampiezza dei fenomeni di trasformazione.

Nel 965-66 Piero Gazzola, Soprintendente ai Monumenti delle Province di Verona, Mantova e Cremona, propone Sabbioneta come caso di studio all’interno del corso postuniversitario del Centro In-ternazionale di Studi per la Conservazione e il Restau-ro dei Beni Culturali (ICCROM). La pubblicazione che ne consegue costituisce una delle più avanzate riflessioni della cultura urbanistica italiana di que-gli anni sulla salvaguardia delle piccole città d’arte5. Sottolineando gli errori più riprovevoli che hanno interessato Sabbioneta nella prima metà del secolo, “ispirati a un malinteso spirito di ammodernamen-to”, Gazzola rileva contestualmente l’inadeguatezza degli strumenti di controllo e gestione delle trasfor-mazioni delle emergenze storiche vigenti in quel pe-riodo, a fronte di uno sviluppo della tecnica e delle esigenze di una società in trasformazione. La So-printendenza si era impegnata sin dal Dopoguerra per “il restauro e la rianimazione degli edifici mo-numentali”: il Palazzo del Giardino con la Galleria degli Antichi, il Teatro Olimpico, trasformato in cinematografo (!), la chiesa dell’Assunta e la chiesa dell’Incoronata, le mura, per ultimo Palazzo Du-cale, adibito a Municipio e ad abitazioni6. Gazzola rivendica però all’Ente di Tutela non più una mera difesa conservativa dei monumenti. “È inderogabile trasformare – afferma – da repressiva in propulsiva l’azione della Soprintendenza, da passivo in attivo il vincolo”7.

Nel suo studio Gazzola ribadisce le tesi a lui ca-re, che aveva portato da protagonista all’interno dei lavori per la redazione della Carta di Venezia del 96: il centro antico considerato come unico mo-numento, amalgama di emergenze e tessuto mino-re; l’ambiente circostante come ambito di salvaguar-dia; uno sviluppo economico non più legato alla sola agricoltura e nemmeno all’industrializzazione forzata, piuttosto al turismo culturale, perseguito col recupero del tessuto urbano.

Con Gazzola viene attuata la prima schedatura analitica degli edifici sabbionetani. Il “piano delle regole” viene esteso per la prima volta dalle singole emergenze all’intero tessuto del centro storico. Ven-gono definite le classi di intervento, graduate secon-

Sabbioneta, Piano

Particolareggiato

Centro Storico del

1999 Indicazione

delle possibili

trasformazioni. Isolato

n. 19, via Gherardo

da Sabbioneta, via

Rodolfini, via Galleria.

Piante e prospetti.

Sabbioneta, Piano

Particolareggiato

Centro Storico del

1999. Indicazione delle

possibili trasformazioni.

Isolato n. 16 via Dondi,

via Albertoni, via De

Giovanni, via B.Campi.

Prospetti. Si noti la

prescrizione di demolire

l’unico edificio di

archeologia industriale

del primo Novecento

che si trova all’interno

del Borgo.

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in alto a destra,

Sabbioneta, PGT del

2007. Indicazione delle

possibili trasformazioni

all’interno della città

murata.

in alto a sinistra,

Sabbioneta, PGT del

2007. Previsioni di

piano per le aree

esterne al centro

storico.

sotto, proposta

di inserimento di

Sabbioneta nella Lista

del Patrimonio UNESCO.

Indicazione della Buffer

Zone (2008).

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do l’importanza e lo stato di conservazione degli immobili, e le funzioni compatibili per ciascuno, con alcune stimolanti proposte quali il recupero del centro come albergo-diffuso, lo studio dell’arredo urbano, il controllo del traffico privato.

Gazzola attribuisce alla pianificazione territo-riale il compito di tradurre in pratica le sue indica-zioni. Negli ultimi anni del suo mandato a Verona sollecita e segue direttamente la redazione del primo piano urbanistico comunale, preparato negli anni 972-97 e approvato nel 975, prodotto dallo stu-dio mantovano Bassani-Caprini-Galdi-Poltronieri e approntato per le aree monumentali da Alfonso Galdi, Ispettore Onorario della Soprintendenza, nei termini di rigida difesa del centro storico sulla base dell’analisi puntuale dei singoli edifici. Per la zona

A – il centro storico – viene introdotto l’obbligo di preventivo nulla osta da parte della Soprintendenza per tutte le opere necessitanti licenza di costruzio-ne, se pur “non vincolante ai fini dell’autorizzazio-ne comunale che può comunque essere negata”. Si rimanda inoltre la possibilità di estese trasformazio-ni a piani esecutivi (o Piani Particolareggiati) estesi almeno all’isolato, di iniziativa pubblica o privata, in mancanza dei quali sono ammessi di fatto i soli interventi di manutenzione.

All’esterno delle mura viene disegnata un’area stellata, il cui perimetro risulta dalla combinazione del disegno della cinta e degli assi visuali preferen-ziali della città murata, definiti dalle strade prin-cipali d’accesso; le aree comprese in queste zone territoriali omogenee di tipo “R” vengono quindi vincolate dalle Norme Tecniche di Attuazione del piano all’inedificabilità e all’obbligo di manteni-mento a verde; si permettono inoltre i soli inter-venti di restauro e manutenzione, senza aumento di volume, per gli edifici già esistenti. Per garantire in quest’area un combinato controllo da parte della Soprintendenza si appongono anche vincoli paesi-stici. Nel 975 si decreta il vincolo sulla fascia ester-na delle mura8.

L’impalcatura col tempo regge benissimo. Le trasformazioni sono di fatto bloccate nel centro, mentre all’esterno il residuo sviluppo dell’abitato viene incanalato in ambiti non di rilevanza ambien-tale. Sabbioneta è ormai salva.

Tra il 998 e il 2000 lo strumento urbanistico viene aggiornato attraverso una variante (progetto architetto Angelo Tenca) che rimanda per il Cen-tro Storico ancora alla redazione di un Piano Par-ticolareggiato di Interesse Sovracomunale (P.P.I.S.) con allegate Schede Operative: questa volta il piano viene approvato. Affidato nel 996 al Dipartimento di Scienze del Territorio del Politecnico di Milano (responsabili Maria Cristina Treu, Alberto Mioni), è approntato nel 998 e adottato l’anno seguente, se pur con parere negativo da parte della Soprin-tendenza di Brescia9 che rileva diverse criticità rela-tivamente sia alla pianificazione urbana in proget-to che alle trasformazioni previste sugli edifici del centro storico0.

Nel piano infatti si percepisce la preponderante influenza della cultura urbanistica rispetto a quel-la storico-critica e di restauro conservativo. Le clas-sificazioni degli immobili del centro rimandano ai vecchi schemi di restauro tipologico, con una gra-

sotto, Sabbioneta.

I Bastioni nel tratto

meridionale e in quello

nord-occidentale,

presso Porta della

Vittoria, con l’area di

rispetto.

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Sabbioneta. I valori

ambientali del centro

storico.

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dazione cromatica nelle tavole che va dal blu scuro dei monumenti al giallo degli edifici senz’altro “da eliminare”. Ben quattro sono le categorie che per-mettono interventi drastici: gli “elementi inadegua-ti”, gli “edifici scadenti da ristrutturare”, i “picco-li volumi da recuperare con sostituzione edilizia”, e gli edifici “da eliminare”. Al Piano sono allegate una Guida Tecnica, comprensiva delle prescrizioni relative a finiture e tipologia di elementi caratteriz-zanti sia gli edifici del nucleo urbano storico, sia le aree cortive di pertinenza, quali pavimentazioni, re-cinzioni, verde, strutture portanti, aperture, infissi etc., e le schede operative per gli interventi in cen-tro storico, con rappresentazioni schematiche del “prima” e del “dopo”, con pianta e prospetto, degli edifici. Non solo devono essere rimosse le super-fetazioni, ma i prospetti vanno riformati secondo criteri di congruenza intrinseca alla tipologia edi-lizia. Esemplare in questo senso la tassativa indica-zione di rimuovere tutte le ampie vetrine di foggia quadrangolare, “elementi non congrui da miglio-rare”, per ripristinare, peraltro del tutto arbitraria-mente, nuove aperture arcuate in “sintonia” con lo stile dell’edificio.

Il ruolo della Soprintendenza in questo orizzon-te viene un poco a mancare. Gli Uffici di Brescia erano stati per tutti gli anni Novanta impegnati con la gestione degli importanti fondi FIO (Fondi In-vestimento ed Occupazione), che avevano permes-so una ripresa dei lavori sui principali monumenti e l’avvio di altri su immobili e complessi sino allora

trascurati, come Palazzo Forti e le Mura. Lo sblocco del Piano del centro storico e la ripresa dell’inizia-tiva economica permettono di avviare i primi can-tieri di recupero edilizio, che riflettono la fastidiosa propensione a correggere l’edilizia più semplice in edifici “in stile”.

Nel luglio 2007 viene firmato il Protocollo d’In-tesa tra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Sabbioneta. I valori

ambientali del centro

storico.

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e il Comune di Sabbioneta per il vincolo sulla città antica e l’estensione del vincolo alla Buffer Zone in-dividuata per la candidatura Unesco. Contempora-neamente viene redatto il nuovo P.G.T. del Comune, affidato a Edoardo Marini con la consulenza del Di-partimento di Architettura e Pianificazione del Po-litecnico di Milano. Per la Città murata viene ripre-so lo schema del P.P.I.S. del 999 con la definizione di categorie quadro di intervento. Rispetto al piano precedente, viene attenuata l’impostazione ripristi-natoria: si riducono ad esempio gli edifici scadenti o inadeguati sostituiti da “altri edifici civili”, anche se l’impostazione è la medesima, provenendo dal me-desimo settore disciplinare; viene inoltre mantenuta l’impostazione di massima delle zone “R” del primo P.R.G., dalla riconoscibile conformazione a stella ori-ginata dai coni visuali ideali che si hanno dalle prin-cipali vie di accesso a Sabbioneta, ma il perimetro viene qui rivisitato facendo riferimento alla divisione effettiva delle proprietà sul territorio.

La novità è piuttosto un’altra. All’interno del co-siddetto Piano delle Regole del P.G.T. viene inserito, come parte integrante delle Norme Tecniche di At-tuazione, un Manuale Urbanistico Edilizio, che per la prima volta scende nel dettaglio degli interventi. La filosofia pare essere ancora una volta quella di una manutenzione “correttiva” del tessuto edilizio mino-re del borgo. Si prevede l’eliminazione progressiva degli elementi dissonanti esposti alla pubblica vista (serramenti non in legno, intonaci non a base di cal-ce, impianti esterni, che vanno occultati) e, nelle ri-strutturazioni, degli elementi architettonici che non si ritengono compatibili (ad esempio i solai in ce-

mento armato, che devono senz’altro essere sostituiti con solai in legno). Le indicazioni potrebbero essere genericamente condivisibili, ma essendo svincolate da un serio studio preventivo dell’evoluzione storica di ciascuna particella catastale, rischiano di divenire non il viatico per un’effettiva conservazione del patri-monio edilizio come storicamente stratificatosi, ben-sì una ricetta generica, buona per appagare la vista, con la creazione di scenari credibili per il turista.

La vicenda della candidatura di Sabbioneta in-sieme a Mantova per la lista del Patrimonio Unesco sta ora contribuendo ad approfondire ulteriormente queste riflessioni. Già Gazzola, che ne era consulente, citava nel suo studio le proposizioni dell’Unesco sul-la necessità di determinare “in quale misura la con-servazione del patrimonio monumentale … diventa uno dei fattori dello sviluppo economico di un pae-se”. Mentre l’apparato vincolistico costruito negli ultimi trent’anni appare ancor valido e pienamente rispondente ai criteri indicati dall’Unesco, va perfe-zionato il cosiddetto “Piano di Gestione”, che serve a definire come questo ambìto riconoscimento possa portare alla valorizzazione delle risorse culturali e allo sviluppo economico del sito.

Da parte della Soprintendenza di Brescia, accan-to all’impegno di proseguire nella tradizionale ope-ra di restauro dei monumenti della cittadina (è del 2008 l’impegno per il Palazzo del Cavalleggero, di proprietà statale) e specialmente negli interventi sui complessi prestigiosi non ancora pienamente riscat-tati quali il Palazzo del Giardino, si dovrà porre at-tenzione al perfezionamento degli strumenti di pun-tuale tutela del borgo.

Sabbioneta. Edifici

recentemente restaurati

“in stile” secondo le

indicazioni del PRG del

1999.

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Cfr. a proposito di questi fatti R.M. Rombolà, Mantova. Piani 1883-2004, Milano, Cleup, 2006.2 Le notizie e i brani riportati di seguito sono tratti da C. Uggetti, Per l’abbattimento delle mura di Sabbioneta: ap-punti storico-critici, Mantova, Stabilimento Lito-Tipografi-co F. Apollonio, 95.3 Si ringrazia per la ricerca e la riproduzione della fotogra-fia l’Aerofototeca dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione e la direttrice, dottoressa Elizabeth J. She-pherd. La figura dell’architetto piacentino Piero Gazzola (908-979), esperto Unesco, primo presidente dell’International Council of Monuments and sites (Icomos), tra i fondatori dell’Iccrom, promotore della Carta di Venezia del 96, verrà affrontata nella giornata di studio promossa a Verona il 28-29 novembre 2008, in occasione del centenario del-la nascita, con un convegno intitolato Piero Gazzola, una strategia per i beni architettonici nel secondo Novecento. Co-noscenza, tutela e valorizzazione nel contesto italiano e inter-nazionale. Per un profilo dell’architetto cfr. anche M. Mor-gante, Omaggio a Piero Gazzola (1908-1979), “Ananke” 50-5, gennaio-maggio 2007, pp. -. 5 P. Gazzola, Sabbioneta. Proposta per la rinascita della città, “Civiltà Mantovana”, s. II anno 7, gennaio-febbraio 967, pp. -38.6 Questo sarà l’ultimo grande cantiere di Gazzola, conti-nuato anche dopo il suo ritiro e connotato da una volontà di ripristino dell’aspetto cinquecentesco, con la demolizio-ne dell’imponente scalone elicoidale seicentesco.7 Gazzola, Sabbioneta, p. 5.8 Decreto Ministeriale 3 luglio 975, Dichiarazione di no-tevole interesse pubblico di una zona in Comune di Sabbio-neta. Il decreto è relativo alle “zone esterne alle mura”, co-me “punto di belvedere dal quale si può godere la visuale dell’antica città”. La Commissione Provinciale di Mantova per la protezione delle Bellezze Naturali ne aveva proposto il vincolo nella seduta del 0 maggio 973.9 Cfr. il parere emesso dalla Soprintendenza ai Beni Archi-tettonici di Brescia il 28 marzo 2000 dall’architetto Marco Fasser. “) … Si richiede che nelle norme di piano venga inserito il disposto che gli edifici tutelati ai sensi D. L.vo

Note

90/99 artt. 2, 5, 6, 8, 9, sono soggetti alle sole indicazioni metodologiche e prescrittive impartite, caso per caso, dagli organi periferici del Ministero …, nonché all’ovvio rila-scio dell’autorizzazione prevista dall’art. 23 D. L.vo 90/99. Questo al fine di non creare inevitabili conflitti fra quanto viene approvato da questo Ufficio e quanto contenuto nella normativa di piano … 2) Non si condivide la scelta proget-tuale di proporre una alberatura e coronamento degli spalti cinquecenteschi … questo nonostante si condivida la valu-tazione che tale presenza è storicamente documentata … 3) Aree di parcheggio: non si ritiene attuabile la trasformazio-ne in parcheggio attrezzato dell’area sottostante il Baluardo di San Nicola … Si ritengono realizzabili: il parcheggio sul retro dell’edificio scolastico che affaccia su Piazza d’Armi a condizione che sia ulteriormente distanziato dallo stesso, e quello individuato con lettera “E” sulla tavola 6 del piano, a condizione che sia schermato con siepi sempreverdi lungo il perimetro e che non si realizzi il sistema di risalita nella Torre del Castello. ) Non si concorda con la soluzione via-bilistica proposta per la “nuova Porta” e “Terminal Turisti-co”… 5) Non si concorda con il prolungamento di Vicolo Rodomonte … 6) Si esprimono forti perplessità alla previ-sione di “completamenti” del costruito su lotti liberi … Si esclude da questa osservazione il comparto indicato con il n° 5 tavola 5 del piano. 7) Si rileva un disinteresse nella va-lutazione delle valenze storico – culturali dell’unico edificio di “Archeologia Industriale” presente in via De Giovanni, (ex Calzificio) di cui si prevede la totale trasformazione. 8) L’ipotesi di ricollocare, nel luogo originario, le colonne presenti in Piazza Ducale e in Piazza D’Armi non può es-sere assentita … Si rileva infine una eccessiva rigidità nelle minute indicazioni sulle trasformazioni di “facciata” che si basano, di massima, esclusivamente su una valutazione di tipo estetico. Per quanto sopra esposto si esprime, nel com-plesso, un parere negativo al piano in questione …”.0 Tra queste problematiche un caso esemplare è quello dell’edificio di “archeologia industriale” dell’ex Calzificio di via De Giovanni, risalente ai primi decenni del xx seco-lo, del quale è prevista nel P.P.I.S. la totale trasformazione, con contestuale cambio d’uso, e riproposizione di facciate con “ornamenti” di ispirazione classicista (cfr. nota prece-dente). Gazzola, Sabbioneta, p. 2.

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Quale futuro per i centri storici?Un convegno sull’intervento contemporaneo nei centri storici lombardi

A l b e r t o L i n i

Venerdì 3 febbraio 2006 Palazzo Gambara, se-de dell’Istituto Paolo VI di Brescia, ha ospitato il convegno Quale futuro per i centri storici?, giorna-ta di lavoro promossa dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Brescia, Cremona e Mantova e dalla Consulta per l’Ambiente del Comune di Brescia, organiz-zata dalla sezione bresciana di Italia Nostra.

Si è partiti dalla considerazione che sono mol-ti gli architetti, anche espressione del mondo ac-cademico, i critici d’arte e di architettura che, sulle pagine di giornali e riviste, denunciano co-me la situazione italiana sia troppo caratterizzata dall’imposizione, nelle trasformazioni dei cen-tri storici, di un approccio rigidamente filologi-co-conservativo. I casi di inserimento di nuove

strutture con linguaggi non legati alla tradizione costituiscono assolute eccezioni. D’altro canto in molti casi, intervenendo a modificare la scena ur-bana, chi ha rivendicato la legittimità di adottare un linguaggio architettonico moderno anche nel tessuto storico ha spesso prodotto un’architettura decontestualizzata, pura proiezione di una pro-pria personalità.

Si sono succeduti al convegno contributi di docenti, architetti e ingegneri, che hanno ali-mentato il dibattito attraverso l’illustrazione del-le proprie esperienze professionali, talvolta con toni accesi, dando vita così a una tavola rotonda ricca di spunti e riflessioni.

La scelta di Brescia come sede di questo in-contro è risultata particolarmente appropriata, dato che la città è tra quelle che sentono più vivo il problema del centro storico. In essa convivono due anime: a quella produttiva, di sviluppo tec-nologico ed economico, si è di recente affiancata quella di città d’arte di grande attrattiva.

La giornata di studio si è svolta in due parti. Al mattino, dopo i saluti di Carlo Colosini, rap-presentante della Consulta per l’Ambiente del Comune di Brescia, e di Emma Corselli, presi-dente del Consiglio regionale lombardo di Ita-lia Nostra), gli interventi dei relatori sono stati coordinati da Rossana Bettinelli, presidente del-la sezione bresciana di Italia Nostra e vicepresi-dente nazionale.

Diversi i contributi che hanno testimoniato il forte impegno di Italia Nostra, sin dalla na-scita negli anni Cinquanta, a favore della tutela

Mantova, Cittadella.

Edificio della Società

Canottieri Mincio

(Mario Pavesi, 1960),

di fianco al bastione

gonzaghesco.

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dei centri storici italiani: in questo senso hanno parlato Alberto Ferruzzi e Carlo Ripa di Meana, presidente nazionale dell’associazione, che ha poi concluso il dibattito nel tardo pomeriggio. Anche Guglielmo Monti, Soprintendente ai Beni Archi-tettonici e Paesaggistici per le province di Venezia, Padova, Belluno e Treviso ha ricordato a proposi-to le tesi di Antonio Cederna, che considerava il centro storico come un unico monumento. Egli

ha però sottolineato che la fisionomia dei centri storici è frutto delle molteplici riforme otto-nove-centesche e che non ha alcun senso una nostalgica ripresa di forme e linguaggi del passato, o peggio del com’era e dov’era.

Sono poi intervenuti Mario Venturini e Ste-fano Sardella, in rappresentanza del Comune di Brescia, ad illustrare il nuovo piano della mobilità del centro, pensato e rivolto al potenziamento del-l’utilizzo del trasporto pubblico urbano.

Leonardo Benevolo, infine, ha impostato il suo intervento partendo dal rifiuto della nozione ristretta di “centro storico” a favore della consi-derazione della più vasta problematica della“città storica” – non una banale questione nominalisti-ca – come elemento della città moderna multipo-lare. Egli ha rammentato come la “difesa tattica” del tessuto storico si possa realizzare solo attraver-so una sua integrale e rigida conservazione della struttura tipologica, dove il linguaggio contempo-raneo non può che essere messo in subordine.

Nella sessione pomeridiana, coordinata da Lu-ca Rinaldi, Soprintendente per i Beni Architetto-nici e Paesaggistici di Brescia, queste affermazioni sono stare più volte riprese e liberamente discusse dai professionisti invitati.

sopra, Cremona, piazza

Stradivari, ex Casa di

Bianco, progetto (Mario

Cucinella, 2005).

a destra, Cremona,

piazza Stradivari,

ex Casa di Bianco,

realizzazione (Mario

Cucinella, 2005).

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Poggio Rusco (Mn).

Sullo sfondo del

fancelliano Palazzo

Gonzaga, oggi

Municipio, ampliamento

dell’Istituto Alberghiero

e nuovo Teatro (Aldo

Rossi, Arassociati,

1996).

Soncino (Cr), ex Filanda

Meroni. Recupero a

centro civico (Studio

Bigozzi-Celada, 2002;

parzialmente realizzato).

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Crema (Cr), quartiere Porta Nova (Studio Spadolini, architetti Dossena e Bettinelli, 2000).

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Alberto Ferlenga ha stigmatizzato la posizione sostenuta da Benevolo, ricordando le esperienze della nuova generazione di architetti, che, grazie anche alle esperienze Erasmus e alle collabora-zioni presso studi stranieri, hanno elaborato in questo settore punti di vista differenti e realizzato progetti capaci di dialogare con il contesto stori-co attraverso un’architettura non viziata da pre-concetti o vincoli ideologici. Gli stessi concetti sono stati ribaditi da Mario Cucinella anche at-traverso l’illustrazione dei suoi lavori, non ultimo la riforma dell’ex Casa di Bianco nella centralis-sima piazza Stradivari a Cremona.

A riaffermare con decisione la tesi di Leonar-do Benevolo nel rifiuto delle “impronte contem-poranee”, è stato invece Pierluigi Cervellati, che ha ribadito la necessità di estendere il restauro-ri-pristino dai centri antichi alle periferie, sino alla campagna. Questa, ormai drasticamente ridotta dalla progressiva e incontrollata dilatazione dei centri urbani, rimane l’unico argine alla distru-zione dell’immagine storica del territorio italia-no. Riprendendo questa visione negativa delle trasformazioni delle città, si è poi toccato il tema della mercificazione globalizzatrice e dell’abuso a

fini privati rappresentato dalla pubblicità, come sintomo dell’incapacità delle città italiane attuali di pianificare il proprio futuro e quindi di deci-dere il proprio ruolo.

La posizione del Ministero dei Beni Culturali è stata illustrata in primo luogo da Carlo Birroz-zi, della Direzione generale per l’Arte e l’Archi-tettura Contemporanea, che ha ribadito l’utilità del concorso pubblico come mezzo privilegiato per perseguire le scelte di trasformazione dei cen-tri antichi attraverso architetture di qualità.

Luca Rinaldi, in conclusione, ha proposto la necessità del rispetto a priori delle architetture del passato, straordinaria ricchezza delle nostre città e risorsa culturale, espressione dell’identità delle comunità e possibile risorsa economica. La particolare complessità di questi spazi stratificati richiede nella loro trasformazione, ammissibile solo per le lacune urbane – e non sostituendo il tessuto esistente – un approccio colto, che rac-colga le suggestioni della storia e utilizzi un nuo-vo linguaggio, dove all’arroganza delle griffes dei progettisti alla moda si sostituisca un intervento timido e rispettoso, che pur rifiutando l’approc-cio stilistico tenda a ricucire il tessuto slabbrato

a sinistra Castiglione delle Stiviere (Mn), via Ripa Castello, piazza Dallò.

Riqualificazione (Studio NaoMi-Ferlenga, Gozzi, Ruatti, De Maio, Vanore, 2006-

2007).

sotto, Brescia, Teatro Romano. Progetto di ricostruzione (Giorgio Grassi 1996-

2002; non realizzato).

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Cremona, Palazzo

dell’Arte (C. Cocchia,

1941), con il progetto

di addizione e

trasformazione a Museo

del Calcio (Palù e

Bianchi, 2004-2006; non

realizzato).

Tremosine (Bs), frazione

Campione del Garda.

Piano di recupero

(Boris Podrecca, 2005;

modificato, in corso di

realizzazione).

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del centro storico. Esemplare di questo ascolto della storia che precede e prelude al progetto, la testimonianza di Paolo Zermani, che si pone in termini di assoluto rispetto nei confronti di qualsiasi intervento di trasformazione, e solo do-po una lettura critica del luogo e una riflessione profonda, talvolta introspettiva, propone il suo segno di aggiunta. Riportiamo la parte introdut-tiva del suo intervento.

Già nel 968 Pasolini spostava il campo di rile-vamento delle misure delle cose ambientando il suo mai realizzato film su san Paolo in un baci-no che dal Mediterraneo si trasferisce all’Ocea-no Atlantico, sostituendo Roma con New York, Antiochia con Parigi, Costantinopoli con Lon-dra.Nel dialogo surreale tra due prigionieri, il roma-no Publio e il barbaro Tullio, ambientato due se-coli dopo il nostro tempo, Josif Brodskij rivede la classicità e la sua erosione dall’alto di una torre astratta, vertiginosa e tecnologica, collocata nel-

lo spazio ad un’altezza di un chilometro sopra la quota di Roma. Soltanto una colonna centra-le che contiene l’ascensore collega con la terra: tutto ciò che appare e scompare sulla scena nel luogo della rappresentazione, appare e scompare attraverso un’apertura nella colonna, “un incro-cio tra un calapranzi e un condotto per la spaz-zatura”. La cella, asettica, è abitata, oltre che dai due prigionieri, dalle teste marmoree dei poeti latini. La torre non è di marmo, come i busti dei classici, ma di ferro. “Ai posteri ormai non ci pensa più nessuno. Prendi la torre. Una volta deciso andava fatta in marmo. Questo acciaio cromato invece, quanto vuoi che duri?”.E, ancora, Publio si fa sostituire la cassettiera, ma la rimpiange “proprio perché è quadrata. Guardati un pò intorno. Tutto rotondo. Sferico. Aerodinamico. Se penso a come hanno conciato Roma i modernisti … Mentre nel quadrato c’è qualcosa che ispira fìducia. Fa un po’ vecchio re-gime. Una somma di angoli. L’idea della fedeltà. Della solidità. Qualcosa a cui aggrapparsi ...” . “Tutto ciò che non innalza il tono è arte. Tutto

Brescia, nuova torre del Giornale di Brescia (D. Libeskind, 2007). Il progetto è stato criticato dalla Soprintendenza poiché si trova a ridosso del centro storico, in un’area di grande impatto paesaggistico.

Brescia. Domus

dell’Ortaglia, presso il

Museo di Santa Giulia.

Sistemazione dell’area

museale (Tortelli e

Frassoni, 2002-2003).

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Brescia. Domus dell’Ortaglia, presso il Museo di Santa Giulia. Sistemazione dell’area museale (Tortelli e Frassoni, 2002-2003).

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ciò che non imita la vita, ma fa tic-tac … Tutto ciò che è monotono … che non canta come un gallo. Quanto più una cosa è monotona, tanto più è simile alla verità”. Questo sostiene il roma-no, ma poi, ferito al ginocchio, si lascia uscire il sangue “così almeno si vede che non sono una statua, che non sono di marmo. Che non sono un classico”.La macabra ilarità di Brodskij disegna la sostan-za di una eredità in cui ogni volta il disegno fini-to della classicità occidentale e italiana sa di non poter fare a meno di un passaggio nella cultura materiale per avverarsi. Dalla torre l’Italia non è che una prigione “di speranze legate alla traspa-renza. L’azzurro … la lontananza … i colli … l’Umbria. Le Alpi. Soprattutto col bel tempo. E tanto più in primavera. Azzurro oltremare e via dicendo” e i busti dei classici vi saranno infine, tranne alcuni, gettati dall’alto.In “Nostalghia”, del 977, Eugenij Tarkowskij mostra i protagonisti (Gorcaciov, un intellet-tuale russo alla ricerca delle tracce di un suo avo musicista e la giovane Eugenia, interprete che lo accompagna) in un Grand Tour a cer-care nel tempo e nello spazio italiano la verità. Tarkowskij, si sa, quando visitava gli Uffizi, si limitava alle prime quattro sale, perché temeva di essere corrotto dalla pittura Rinascimentale. Una preoccupazione quest’ultima non dissimile da quella di David Caspar Friedrich, il grande paesaggista tedesco che, nella sua inesausta ricer-ca dell’infinito, si rifiutò sempre di vedere l’Italia e i cieli blu della sua pittura.La visita di Gorcaciov ed Eugenia nella Cappel-la della Madonna del Parto di Piero della Fran-cesca a Monterchi è in tal senso emblematica. Giunti di fronte alla Cappella, che il regista rus-so ha ricostruito come una cripta arcaica, l’uo-mo si rifiuta di entrare: “Non voglio più niente solo per me” dice “Sono stanco di queste bel-lezze eccessive”. Eugenia, una giovane Domi-ziana Giordano, voluta dai riccioli d’oro come le Madonne rinascimentali italiane, entra da sola della cripta. Tarkowskij non le mostra, e non mostra a noi, la Madonna del Parto, che resta avvolta dalla penombra mentre un grup-po di donne del popolo sta celebrando un rito mariano di devozione per la Madonna in le-gno posta a fianco dell’immagine pierfrance-scana. Eugenia non capisce. Soltanto quando

il rito popolare è terminato e compiuto e un volo di colombi si leva uscendo dal petto della statua in legno, disperdendosi tra le arcate del-la cripta, la luce delle candele si alza e consen-te di vedere la Madonna di Piero. La ragazza, troppo prossima al mito del maestro toscano per comprenderne la sostanza oltre l’immagine, continuerà a non capire. Gorcaciov trova inve-ce nell’incontro con Domenico, “folle di Dio” emarginato dalla società, ai bordi della piscina d’acqua calda in cui si immergono ignari i tu-risti, la comprensione di ciò che, provocando la divaricazione tra spirito e materia, il Novecen-to ha precluso. La separazione restituisce una incompiutezza, rilevata proprio sul paesaggio italiano, fondo e matrice per un itinerario di rovine a cielo aperto o interiori. È questo il no-stro presente. Il viaggio italiano appare necessa-rio a Tarkowskij per fissare i contrasti e renderli prossimi alla fertilità.Proprio Caspar Friedrich descrive, dipingendo il Duomo di Meissen, il valore prolifico delle rovine: “Sto di nuovo lavorando a un grande dipinto, il più grande che abbia mai eseguito […] esso raffigura l’interno di una chiesa in ro-vina, e come modello ho utilizzato lo splendido Duomo di Meissen […]. Dalle imponenti rovi-ne di cui è popolato lo spazio interno si ergono possenti pilastri e delicate, esili colonne, che in parte sostengono ancora la volta a tutto sesto. È svanito il tempo della magnificenza dell’edificio sacro e dei suoi ministri, e dall’insieme in rovi-na è come sorta un’altra epoca e un’altra neces-sità di chiarezza e verità. Tra le rovine sono cre-sciuti alti, esili abeti”. Il nostro tempo non pro-durrà più rovine – secondo Marc Augè – non ne ha il tempo. Ma il campo di rovine è sotto i nostri occhi, dietro ogni bivio, fuori dal nostro finestrino. È davanti a noi una colossale dilata-zione di scala. Possiamo considerare il paesag-gio italiano una grande rovina. Se la rovina è un insieme costituito da due mancanze, l’originale distrutto o disperso da una parte, ciò che non sappiamo dall’altra, si può nuovamente leggere il Grand Tour come attraversamento delle ro-vine. Non edifici, ma città, non colonne, ma unità scomposte di paesaggio costruito. Attra-versiamo, dalle Alpi alla Sicilia, una immensa grande rovina a scala territoriale che si fran-tuma ogni giorno in mille piccoli frammenti,

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P. Zermani, Il tempo puro delle rovine, in G. Chiara-monte, P. Zermani, Contemporaneità delle rovine. Misure del paesaggio occidentale, Colorno (Pr), Tielleci, 2007, pp. 6-8. Per i contributi della giornata si rimanda a Quale fu-turo per i centri storici? Giornata di lavoro dedicata ai centri storici, Atti del convegno, Brescia, Istituto Paolo VI, Palaz-zo Gambara, 3 febbraio 2006, a cura di R. Bettinelli, Italia Nostra, Sezione di Brescia, 2007.

che disperde ogni momento qualche relazione tra le sue parti costitutive, che è costantemente aggredita e resa irriconoscibile rispetto al suo iniziale esistere e apparire. Noi produciamo og-gi quasi soltanto macerie. Ma lo scarto tra due incompiutezze che le rovine rappresentano non può essere confuso con le macerie.L’arte è una promessa di rovina e contiene un tempo puro, non inquinabile, in cui continuità e discontinuità sono portate a fondersi e in cui anche al classico si possono scoprire occhi col-mi di angoscia. Nella incompiutezza delle rovi-ne possiamo ancora individuare una precisione

se, come la soglia del tempio chiuso nella città romana di Vienne – per Roth – contiene l’atte-sa. In questo stare si compie l’unità del tempo architettonico che non troveremmo se varcassi-mo la soglia. Oltre “l’enorme edificio del ricordo” assumere uno stato di sospensione può consentire quanto è negato all’originale, ormai trasformato, ed è invece contenuto nella rovina. L’architettura non può essere una eccentrica attitudine tesa ad affermare il valore di qualsiasi atto personalizzato. La nuova, riconoscibile rovina costituita dal pae-saggio italiano sfuggirà al rischio di diventare solo maceria se noi continueremo a misurarla.

Note

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Tavole a colori

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TAVOLA I.

TAVOLA I_1. Mantova, Santa Maria della Vittoria. La facciata prima del restauro. È riconoscibile il degrado materico degli elementi fittili e l’accumulo di depositi carboniosi sulla superficie non protetta dalla zoccolatura.

TAVOLA I_2. Mantova, Santa Maria della Vittoria. Rinvenimento della pellicola di rasatura bianca sulle superfici a vista dei laterizi.

TAVOLA I_3. Mantova, Santa Maria della Vittoria. Pellicola di rasatura bianca con presenza di tracce di strato pittorico rosato a calce.

TAVOLA I_4. Mantova, Santa Maria della Vittoria. Finitura a filari nascosti con tracce di coloritura rossa a fresco.

TAVOLA I_5. Mantova, Santa Maria della Vittoria. Tracce di coloritura rossa presente sulle commessure e sui laterizi.

TAVOLA I_6. Mantova, Santa Maria della Vittoria. Residui del trattamento a finto mattone nella ghiera del rosone.

TAVOLA II. Mantova, Chiesa di Santa Maria della Vittoria. Mappatura delle tracce di finitura originali (a cura di Laura Sala, disegno Rocco Bello).

TAVOLA III. Mantova, Santa Maria della Vittoria. Interno dopo i restauri.

TAVOLA IV. Mantova, Santa Maria della Vittoria. Ricostruzione virtuale dell’aula, senza il soffitto ottocentesco (elaborazione di Guido Bazzotti).

TAVOLA V. Pizzighettone, Mura. Torre del Governatore. Stratigrafia dell’elevato. Diagramma di Harris.

TAVOLA VI. Pizzighettone, Mura. Torre del Governatore, prospetto sud. Rilievo stratigrafico.

TAVOLA VII. Pizzighettone, Mura. Torre del Governatore, prospetto sud. Raddrizzamento fotografico con U.S.

TAVOLA VIII. Ricengo (Cr), frazione Bottaiano. Villa Obizza. Vista aerea del complesso prima dell’intervento di salvaguardia delle strutture.

TAVOLA IX. Ricengo (Cr), frazione Bottaiano. Villa Obizza. Vista dall’alto durante i lavori, dopo la rimozione delle macerie.

TAVOLA X. Cremona, Duomo. Progetto di consolidamento delle coperture (Jurina, Fasser, 2007).

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TAVOLA XI. Cremona, Duomo. Estradosso delle volte (foto M. Fasser).

TAVOLA XII. Sabbioneta (Mn). Vista da nord.

TAVOLA XIII. Sabbioneta (Mn), PGT anno 2007. Previsioni di piano per le aree esterne al centro storico.

TAVOLA XIV. Sabbioneta (Mn). La prima proposta di Piano Particolareggiato per il Centro Storico (P. Gazzola, 1966).

TAVOLA XV. Pianta del Lago Garda sud-occidentale. Utilizzo del suolo al 2003: in verde le residenze, in rosso le strutture di accoglienza e svago (Fonte: Provincia di Brescia).

TAVOLA XVI-XVII. Pianta del Lago Garda sud-occidentale. Urbanizzazione. Soglie storiche: in rosso sino al 1975, altri colori 1975-1994 (Fonte: Provincia di Brescia).

TAVOLA XVIII. Moniga (Bs). L’area vincolata sulla collina del castello.

TAVOLA XIX. Padenghe (Bs). L’area tutelata del castello aggredita dalle recenti lottizzazioni.

TAVOLA XX. Valtrompia. La completa occupazione del fondovalle, da Ponte Zanano a Brescia.

TAVOLA XXI. Carpenedolo, frazione Taglie, Pieve romanica di Santa Maria del Carpino (BAMSPhoto - Basilio Rodella).

TAVOLA XXII. Manerba (Bs). Manerba del Garda (Bs). Esempio della recente espansione dell’abitato, tra Montinelle e Pieve Vecchia, tra residence e villette unifamiliari.

TAVOLA XXIII. Paesaggi lombardi. Cascina Donati, alle Fornaci di Brescia. Sullo sfondo, Roncadelle (BAMSPhoto - Basilio Rodella).

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tavola iv

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tavola vi

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a destra, Mantova, chiesa dei Santi Simone e Giuda. Adorazione dei Magi, frammento dell’affresco

duecentesco, riportato a massello, riemerso sotto la settecentesca Madonna col Bambino (restauro 2007).

(foto L. Rinaldi)

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Vincoli 2006-2007L’attività di verifica dell’interesse culturale sul territoriodi Brescia, Cremona e Mantova

L’elenco che segue riporta in forma schematica, sud-divisi per province, notizia degli immobili di pro-prietà pubblica e privata nel territorio di competenza della Soprintendenza, sottoposti nel biennio 2006-2007 alla dichiarazione di interesse culturale, di vinco-lo e di revoca del vincolo, ai sensi degli articoli 0-3 del D. L.vo 2/200, Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.

Anno 2006

Brescia

Dichiarazione di interesse D. L.vo 42/2004 artt. 10-12– Ex Ospedale Pediatrico Umberto i, via V.

Emanuele ii, via Gramsci, via xx Settembre, Contrada del Cavalletto

– Ex Villa Paradiso con pertinenze e giardino, via della Ziziola

– Fabbricato, via del Carmine 5– Immobile, via Borgondio 9-– Istituto Tecnico Agrario “Pastori”, viale Bornata 0– Località Verziano, Cascina Agricola Verziano

Provincia di Brescia

Dichiarazione di interesse D. L.vo 42/2004 artt. 10-13– Angolo Terme, Ex Casa Parrocchiale Santa

Giulia, via Contini 0– Azzano Mella, Cascina Bonifica– Azzano Mella, Cascina Colombera– Azzano Mella, Cascina Fenilnuovo– Azzano Mella, località Castello, Cascina Castello,

Strada vicinale delle bonifiche di Torbole– Azzano Mella, località Pontegatello, Cascina

Mirandola Mattina, Strada provinciale Quinzano-Brescia

– Azzano Mella, località Pontegatello, Cascina Mirandola Sera, Strada provinciale Quinzano-Brescia

– Azzano Mella, località Pontegatello, Chiesa e Cappellania, Strada provinciale Quinzano-Brescia

– Azzano Mella, località Pontegatello, Osteria con corte, stanze di pertinenza del gestore, Strada provinciale Quinzano-Brescia

– Bovezzo, Asilo “Passerini”, via Asilo 2/A– Coccaglio, Cascina Valenca Nuova– Coccaglio, Cascina Valenca Rigata, via Valenca 8– Cologne, località Parco Gnecchi, Villa Gnecchi

con pertinenze, giardino e parco– Cologne, Villa Santa Maria, via Fabbrica – Comezzano Cizzago, Cascina Possessione di

Sotto, via Mameli 2– Comezzano Cizzago, Cascina Possessione di

Sopra, via Mameli 5– Corte Franca, località Nigoline, Cascina, via De

Gasperi– Desenzano, Ex Cascinale di Villa de Asmundis,

via Agello 33– Lonato, Immobile, via Gerardi– Lumezzane, Fontana Buccelleni, piazza Fontana– Lumezzane, località Villaggio Gnutti, Scuola

Elementare “Gnutti”, via Cavaliere del Lavoro U. Gnutti

– Manerbio, Farmacia, via iv novembre – Manerbio, Palestra, piazza Aldo Moro 5– Manerbio, Torre civica, vicolo Coro 2– Monno, Orto della Casa parrocchiale dei Santi

Pietro e Paolo, via iv Novembre 6– Ospitaletto, Cascina Cattafame, via Seriola 62– Padenghe del Garda, Palazzo Barbieri

(Municipio), via Barbieri 3– Ponte di Legno, Immobile, via Veneroccolo– Pontevico, località Campazzo, Fabbricato, via

Campazzo

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– Roé Volciano, Immobile, via Ligasacchi 2– Serle, Località Castello, Canonica della

Parrocchia di San Gaetano da Thiene, via Castello 99-0

Decreto di Vincolo– Breno, Immobili tra via Tonolini e via Torre

Superiore– Cellatica, Palazzo Pulusella con giardino e Brolo,

via Montebello– Gussago, Palazzo Fornoni Giordani con giardino,

brolo e annessi, via Acquafredda, via Sale, via Trieste

– Piancogno, Immobile, via V. Veneto 8– Pisogne, Ex Villa Damioli, immobili ubicati tra

piazza vescovo Corna Pellegrini, via Dei Monti, via Torrazzo

Cremona

Dichiarazione di interesse D. L.vo 42/2004 artt. 10-13– Chiesa dei Santi Donnino e Carlo, via Bissolati 33– Palazzo Fondulo, via Ceresole

Provincia di Cremona

Dichiarazione di interesse D. L.vo 42/2004 artt. 10-13– Castelleone, Palazzina Garibaldi, via Garibaldi – Crema, Mercato Coperto, via Verdi– Ostiano, Cascina Colombarotto, Strada

provinciale Ostiano-Volongo– Spino d’Adda, Molino Lombardo, via Manzoni 2-

Decreto di vincolo– Pescarolo e Uniti, frazione Pieve Terzagni,

Immobili, piazza Martiri della Libertà– Trigolo, Immobile, via Canevari

Mantova

Dichiarazione di interesse D. L.vo 42/2004 artt. 10-13– Ex Ospedale Neuropsichiatrico, via Toscani – Immobile del Dipartimento provinciale A.R.P.A,

viale Risorgimento 3

Decreto di revoca del vincolo– Immobile, via Cappello 5

Provincia di Mantova

Dichiarazione di interesse D. L.vo 42/2004 artt. 10-13– Curtatone, località Montanara, Rocca d’Osone,

strada vicinale Rocca– Guidizzolo, Ex Finanza, via F. Filzi– Moglia, Ex Pesa Pubblica, piazza Don Ghidini – Monzambano, Scuola media “Melchiori”, vicolo

Balilla 6

– Ostiglia, Canonica parrocchiale, via Arnarolo 2– Ostiglia, Casa a corte, via Vittorio Veneto 2/A– Poggio Rusco, Ex Scuola Alberghiera, via Trento

e Trieste– Quingentole, Parrocchia di San Lorenzo Diacono

e Martire– San Benedetto Po, Cascina La Bariola, via Zovo 2

Decreto di vincolo– Roverbella, località Castiglione Mantovano,

Castello e aree pertinenziali

Anno 2007

Brescia

Dichiarazione di interesse D. L.vo 42/2004 artt. 10-12– Casa Daniele Bonicelli, Rua Confettora 29-3– Casa di via Paitone, via V. Paitone 5-57– Casa Rizzotti Scalvini, vicolo San Clemente 25– Cascina Fenil Luigi, via Buffalora 52– Case Camillo Pulusella, via C. Pulusella -– Immobile, piazza Vittoria– Istituto Magistrale Statale “V. Gambara”, via V.

Gambara 3– Liceo Scientifico Statale “A. Calini”, via Monte

Suello 2

Decreto di Vincolo– Località Caionvico, Mulino della Borgognina o

delle Marinelle, via Salodiana Provincia di Brescia

Dichiarazione di interesse D. L.vo 42/2004 artt. 10-12– Borgo San Giacomo, località Farfengo, Cascina

Maggi, via Casa di Dio– Borno, Ex Sanatorio, via Croce di Salven– Castel Mella, Cascina Soarda, via Case Sparse 6– Chiari, Oratorio di Sant’Agape, viale Cadeo 5– Chiari, Oasi Sant’Angela Merici, via Morcelli 6– Gargnano, località Muslone, Ex Canonica di

Muslone– Manerbio, Cimitero Comunale, Strada

Provinciale 63– Milzano, Ex Ricovero Vecchi Sacra Famiglia di

Milzano, via Goffredo Mameli 36– Padenghe sul Garda, Ex Municipio, piazza

Matteotti 6– Padenghe sul Garda, Santella di Muralto, via A.

Gramsci– Pontevico, via Chiesuola 2– Pozzolengo, Villa Albertini, via Garibaldi– Rodengo Saiano, Santella della Febbre, Strada

vicinale

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7

– Salò, Immobile, via San Bernardino 26– San Paolo, Chiesetta di Nostra Signora del Sacro

Cuore, via Vittorio Veneto– Sarezzo, Immobile, via Vivaldi, via Avogadro– Urago d’Oglio, Casa Canonica, via San Lorenzo 7

Decreto di vincolo– Castrezzato, Edificio, via Gatti -6– Darfo Boario Terme, frazione Gorzone, Castello,

via Castello– Moniga del Garda, frazione Roccolo, Castello

Medievale - zona di rispetto

Cremona

Dichiarazione di interesse D. L.vo 42/2004 artt. 10-12– Scuola Primaria, via Trento e Trieste 7

Provincia di Cremona

Dichiarazione di interesse D. L.vo 42/2004 artt. 10-12– Cappella Cantone, località Oscadale, Cascina, via

Mazzini– Casalmaggiore, Immobile, via Romani 22– Casalmaggiore, Ex Scuola Elementare “G.

Marconi”, via Vaghi 0

– Credera Rubbiano, Ex Podere Convento, via Roma

– Crema, Immobile via Dante 2 ang. via Mazzini 5

Decreto di vincolo– Casale Cremasco, frazione Vidolasco, Villa Ex

Tadini ora Stringa, via Minore

Mantova

Dichiarazione di interesse D. L.vo 42/2004 artt. 10-12– Palazzo Banca d’Italia, via B. Castiglioni 3– Caserma Curtatone e Montanara, Ex Convento

di San Sebastiano, Largo xxiv Maggio 2-

Provincia di Mantova

Dichiarazione di interesse D. L.vo 42/2004 artt. 10-12– Roncoferraro, Immobili Fondo Pontalto, strada

Provinciale Mantova-Roncoferraro– Ostiglia, Ex complesso Ospedaliero, via Belfanti,

Largo Monicelli, via Verrara, via Po– Viadana, località Salina, Ex Scuola Elementare,

via Palazzo– Viadana, Palazzo Ex ECA, via Mazzini 2

Diana Vecchio

Per una panoramica sull’attività vincolistica della So-printendenza, la normativa, l’illustrazione di alcuni casi di particolare rilevanza storico-artistica si faccia riferimento a M.G. Mori, Vincoli monumentali e tutela del territorio: un triennio di attività (2000-2003), in Bollettino n. 1 (2002-2003), Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio

Note

di Brescia, Cremona e Mantova, Brescia, Grafo, 200, pp. 85-95 e Id., I vincoli del territorio. Esiti del processo di veri-fica dell’interesse culturale, in Bollettino n. 2 (200-2005), Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Brescia, Cremona e Mantova, Brescia, Grafo, 2006, pp. 5-55.

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Il concorso economico dello Stato per la conservazione ed il restauro dei beni culturali immobili

Contributi erogatinell’annualità 2006-2007

La tutela e la valorizzazione dei beni culturali, indipendentemente dalla loro appartenenza al privato oppure allo Stato ed agli enti pub-blici, costituiscono un interesse per la collettività.

Nelle disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, l’articolo (Principi) e l’articolo 30 (Obblighi conservativi) prevedono di fatto che il soggetto pubblico – Stato, Regioni, Comuni… – assi-curi e sostenga la conservazione dei beni culturali, favorendone la frui-zione pubblica e la valorizzazione. Il privato proprietario, possessore o detentore, come pure l’ente eccle-siastico civilmente riconosciuto, è tenuto analogamente a garantire la conservazione dei beni apparte-nenti al patrimonio culturale. Le attività intraprese da questi sog-getti, finalizzate alla conservazione e valorizzazione devono essere svol-te naturalmente in conformità alla normativa di tutela.

A fronte dei doveri conservativi espressamente previsti, la vigente disciplina di tutela non contempla solamente oneri ed obblighi. In re-lazione alla notevole incidenza del-le spese necessarie per intraprende-re le opere di conservazione, a volte obbligatorie, lo Stato contribuisce con alcune misure che possono es-sere definite di promozione diret-ta (sostegno finanziario, contribu-to…) o di promozione indiretta, da intendersi come benefici fiscali, il tutto in un quadro generale che tende a favorire le iniziative di tu-tela e conservazione del bene cul-turale.

Il Legislatore già negli anni Ses-santa del secolo scorso prevedeva il sostegno economico dello Sta-to con l’erogazione di contributi a fondo perduto per interventi con-servativi volontari su beni sotto-posti alle disposizioni della L. 089 del 939. In tempi più recenti, la L. 8 ottobre 997, n. 352, Disposizio-ni sui beni culturali, integrava il di-sposto dell’articolo 3 della L. 2 di-

cembre 96, n. 552, introducendo la novità del contributo in conto interessi, che lo Stato può conce-dere sui mutui accordati da istituti di credito ai proprietari, possessori o detentori degli immobili sotto-posti alle disposizioni di tutela, per la realizzazione di interventi di re-stauro, conservazione e manuten-zione, approvati dalla competente Soprintendenza.

Allo stato attuale, la parte re-lativa ai finanziamenti pubblici per gli interventi conservativi vo-lontari posti in essere dal privato è regolata dagli articoli 35, 36 e 37 del Codice.

L’articolo 35 introduce quelli che sono i presupposti fondamen-tali per l’intervento finanziario del Ministero, mentre il successivo ar-ticolo 36 detta le modalità e, natu-ralmente, le limitazioni all’eroga-zione dei contributi ministeriali. L’articolo 37, infine, disciplina la concessione di contributi in con-to interessi sui mutui concessi da istituti di credito per la realizza-zione di interventi conservativi volontari.

Come appare evidente rimane confermata la regola della contri-buzione pubblica introdotta con la L. 552 del 96. La normativa vigente introduce tuttavia alcune novità di rilievo: l’articolo 35 dianzi citato, in combinato disposto con l’articolo 3, comma ), disciplina la tipologia d’interventi per i quali è ammesso l’intervento finanziario dello Stato:

Il Ministero ha facoltà di concorrere alla spesa sostenuta dal proprietario, possessore e detentore del bene cul-turale per l’esecuzione degli inter-venti previsti dall’art. 3, comma , per un ammontare non superiore al-la metà della stessa…” (art. 35, c. );Il restauro e gli altri interventi con-servativi su beni culturali ad inizia-tiva del proprietario, possessore e detentore a qualsiasi titolo sono au-torizzati ai sensi dell’art. 2… (art. 3, c. ).

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Appare evidente che gli inter-venti conservativi cui si riferisce la normativa spaziano dalla semplice prevenzione per arrivare al restau-ro, la cui definizione è disciplinata (ampiamente) nell’articolo 29, con particolare riferimento ai commi 2, 3 e . Si può pertanto legitti-mamente affermare che l’attuale disposto legislativo ha considere-volmente ampliato la gamma degli interventi volontari, ad iniziativa privata, finanziabili, che la norma-tiva previgente aveva residuato ai soli interventi di restauro.

Analogamente, il Legislatore ha previsto l’estensione dei sogget-ti (privati) che possono chiedere il sostegno economico dello Stato. Di fatto, la normativa previgente (articolo del Testo unico) legit-timava il solo proprietario del bene culturale quale soggetto titolato al-la richiesta di contributo. Di con-tro il nuovo Codice, prevedendo la responsabilità della conservazione in capo non solo al proprietario, ma anche al possessore e al detentore del bene (articolo 30, comma 3), ha esteso anche a questi soggetti – obbligati alla conservazione – il beneficio derivante dall’interven-to economico dello Stato, il tutto nell’ottica di rafforzamento della sensibilità verso la conservazione dei beni culturali tutelati, in capo a soggetti diversi da chi detiene il titolo di proprietà.

Oltre alle novità relative ai sog-getti e agli interventi potenzial-mente beneficiari dei contributi, l’articolo 35, comma ), integra in modo significativo il disposto del-l’articolo della disciplina pre-vigente:

…Se gli interventi sono di parti-colare rilevanza o riguardano beni in uso o godimento pubblico, il Ministero può concorrere alla spe-sa fino al suo intero ammontare.

Ciò significa che se gli inter-venti conservativi volontari, in

vigenza del Testo unico, poteva-no beneficiare del sostegno eco-nomico dello Stato fino alla me-tà del loro ammontare, la nuova disposizione legislativa riconosce la possibilità che il Ministero con-corra integralmente alla spesa so-stenuta dal privato per l’interven-to conservativo sul bene culturale tutelato, laddove ricorra la doppia condizione alternativa, vale a di-re la particolare rilevanza, ovvero l’uso o il godimento pubblico. Se la novità appare fortemente in-centivante, almeno sotto il profi-lo teorico, la mancanza di crite-ri e parametri applicativi, omessi dal Legislatore, oltre all’endemica mancanza di fondi, pone di fron-te ad una generale inapplicabilità del secondo periodo dell’articolo 35, comma ).

Il concorso economico dello Stato non deve tuttavia tradursi in un arricchimento indebito del soggetto autorizzato all’intervento conservativo per il quale ha chie-sto il contributo. Sebbene il Legi-slatore non abbia, di fatto, impo-sto il divieto di concorso di forme diverse di sostegno, l’articolo 35, comma 3), dispone che il Mini-stero, per il tramite delle Soprin-tendenze, tenga conto della sussi-stenza di altre forme contributive pubbliche (es. i cosiddetti “fondi di rotazione” della Regione) e pri-vate (laddove siano stati ottenuti i benefici fiscali di legge) per de-terminare la somma che il Mini-stero è disposto a concedere quale concorso alla spesa sostenuta dal privato.

Uno degli aspetti più signifi-cativi della normativa riguarda le modalità di erogazione dei contri-buti per gli interventi conservati-vi intrapresi dal privato. L’articolo 36 del Codice detta condizioni e limitazioni all’erogazione del con-tributo dello Stato: “Il contributo è concesso dal Ministero a lavo-ri ultimati e collaudati sulla spesa effettivamente sostenuta dal be-

neficiario…”, cita testualmente il comma ). Alle due condizioni cui è subordinata l’erogazione del contributo (lavori ultimati e col-laudati) già previste nella norma del 96, il Testo unico ha intro-dotto il requisito della effettività della spesa sostenuta dal privato, condizione confermata nel Codi-ce. Appare evidente il nesso con il disposto dell’articolo 35, comma 3) e l’orientamento del Legislatore tendente a limitare la possibilità di accedere a più contributi pubblici e quindi ad evitare un ingiustifi-cato arricchimento del soggetto che ha posto in essere l’intervento conservativo.

La verifica delle condizioni ri-chieste sono rimesse al generale potere ispettivo del Ministero pre-visto dall’articolo 9 del Codice.

L’articolo 36 prevede tuttavia una sorta di eccezione alla regola generale sull’erogazione dei con-tributi a lavori ultimati: “Posso-no essere erogati acconti sulla ba-se degli stati di avanzamento dei lavori regolarmente certificati…” cita testualmente il comma 2). In-trodotto dalle leggi dei primi anni Novanta, con l’intento di rende-re maggiormente incisivo il ruolo dello Stato per la tutela dei beni culturali, l’acconto sul finanzia-mento del Ministero è stato rece-pito nell’articolo 2, comma 2) del Testo unico, limitando però tale facoltà solamente agli interven-ti imposti al proprietario del be-ne. Il disposto legislativo vigente ammette l’anticipazione del con-tributo – fermo restando quanto previsto dall’articolo 35 in ordine all’entità dello stesso – in tutte le ipotesi di concorso economico del Ministero per le opere di conser-vazione poste in essere dal proprie-tario, possessore e detentore del bene culturale, anche nel caso del-l’intervento volontario che la nor-mativa previgente aveva escluso.

L’erogazione degli acconti è subordinata alla certificazione de-

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gli stati di avanzamento dei lavo-ri, previo accertamento ispettivo del Ministero. Appare evidente che l’esecuzione di un intervento non regolarmente eseguito (anche parzialmente), pone il beneficiario nella condizione di dover restituire gli acconti percepiti, ovvero lo Sta-to nella condizione di potere recu-perare coattivamente la somma re-lativa (articolo 36, comma 3).

Gli interventi conservativi vo-lontari posti in essere dal proprieta-rio, possessore o detentore del bene culturale possono ottenere anche la contribuzione in conto interessi (con un tetto massimo di sei pun-ti percentuali sul capitale erogato), su mutui concessi al beneficiario a cui il bene culturale appartiene a vario titolo. Il contributo in conto interessi, disciplinato dall’artico-lo 37 del Codice, a differenza del contributo in conto capitale di cui all’articolo 35 e fatta eccezione per gli acconti previsti dal comma 2) dell’articolo 36, è di tipo preventivo rispetto all’intervento conservativo che il beneficiario intende realizzare e coincide, in genere, con la stipula del contratto di mutuo.

Pur riprendendo per buona parte l’articolo 3 del Testo Uni-co, la normativa vigente (articolo 37, comma ) amplia significativa-mente la gamma degli interventi conservativi ammessi a contribu-zione in conto interessi, compren-

dendo – analogamente alle altre forme contributive già viste – oltre al restauro anche interventi di pre-venzione e manutenzione, avvici-nandosi così alla normativa origi-naria, nota come legge Veltroni (L. 8 ottobre 997, n. 352).

La novità più importante del-l’articolo 37 è sicuramente deter-minata dall’estensione delle forme di contribuzione dello Stato anche all’architettura contemporanea, per opere cioè di autore vivente, ovvero, qualora deceduto, realizza-te da meno di cinquanta anni e per le quali il Ministero abbia dichia-rato, su richiesta del proprietario, il particolare valore artistico.

In calce a questo contribu-to vengono riportati gli elenchi dei beni, presenti nel territorio di competenza di questo Ufficio, che hanno beneficiato dei contri-buti previsti dalla legge negli anni 2006 e 2007. È appena il caso di rilevare che, anche grazie all’effi-cienza della struttura organizzati-va dell’Ufficio, i beni architetto-nici restaurati nel territorio delle Province di Brescia, Cremona e Mantova hanno potuto ottenere in questo biennio, in rapporto al-la dotazione finanziaria complessi-va regionale, un assai significativo riconoscimento.

Alberto Ruggeri

Bibliografia di riferimento

G.N. Carugno, W. Mazzitti, G. Zucchelli, Codice dei beni culturali, Mila-no, Giuffrè, 99.

La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, a cura di M. Cammelli, Bolo-gna, Il Mulino, 2000.

T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano, Giuffrè, 200.

I. Pepe, Compendio di Legislazione dei Beni Culturali, Napoli, Simone, 2003.

A. Coppola, M.C. Spena, La Legislazione sui Beni Culturali e del Paesaggio, Na-poli, Simone, 2005.

Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. Sandulli, Milano, Giuf-frè, 2006.

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2

Comune Ente Beneficiario

Orzinuovi (Bs) Castello ex Martinengo, frazione Barco privato

Rezzato (Bs) Convento di San Pietro Apostolo privato

Salò (Bs) Porta del Carmine privato

Salò (Bs) Cascina Valene, frazione Cunettone privato

Castelcovati (bs) Torre Campanaria ente pubblico

Pozzolengo (Bs) Chiesa di San Lorenzo ente ecclesiastico

Mantova Palazzo Bonacolsi ex Cadenazzi Risi privato

Bozzolo (Mn) Palazzo Casalini privato

Rivarolo Mantovano (Mn) Chiesa di Santa Maria Annunziata ente ecclesiastico

Motteggiana (Mn) Chiesa di San Benedetto, frazione Torricella ente ecclesiastico

Montodine (Cr) Chiesa di Santa Maria Penitente ente ecclesiastico

anno 2006

TOTALE SBAP Brescia (2006) 837.208,13

TOTALE Lombardia (2006) 1.194.736,42

Comune Ente Beneficiario

Cazzago San Martino (Bs) Palazzo Piccolo Maggi, frazione Calino privato

Rezzato (Bs) Villa Fenaroli privato

Brescia Casa di Riposo San GiuseppeVilla Martinengo Cesaresco ente ecclesiastico

Brescia Convento delle Figlie del Sacro Cuore ente ecclesiastico

Seniga (Bs) Chiesa di Sant’ Apollonio ente ecclesiastico

Mantova Edificio piazza Marconi 13-14 privato

Mantova Casa del Mercante Boniforte privato

Mantova Palazzo Cadenazzi privato

Mantova Chiesa di Santa Teresa ente ecclesiastico

Quistello (Mn) Chiesa di San Fiorentino, frazione Nuvolato ente ecclesiastico

Marcaria (Mn) Chiesa di San Benedetto (Antonio), frazione Cesole ente ecclesiastico

Soncino (Cr) Rocca Sforzesca ente pubblico

Quintano (Cr) Oratorio di Sant’ Ippolito ente ecclesiastico

Soresina (Cr) Chiesa di San Siro ente ecclesiastico

Solarolo Rainerio (Cr) Chiesa di Santo Stefano ente ecclesiastico

anno 2007

TOTALE SBAP Brescia (2007) 867.990,46

TOTALE Lombardia (2007) 1.711.254,23

Contributi in conto capitale erogati a cura della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggisticidi Brescia, Cremona e Mantova nel biennio 2006-2007

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premesso

– che la Provincia di Cremona ha constatato che alcuni complessi monumentali del proprio territorio versano in grave stato di degrado ed abbandono, e che tali complessi co-stituiscono notevoli esempi di rile-vanza architettonica, storica, e am-bientale del territorio provinciale;– che i complessi monumentali di cui sopra sono di proprietà priva-ta e/o pubblica e che si intendono avviare le procedure per acquisirle con atti appositi nella disponibili-tà della proprietà pubblica;– che da contatti avuti tra la Pro-vincia e la Soprintendenza si è ri-scontrata un interesse a collabora-re per la messa in sicurezza degli immobili onde evitare rischi di crollo e danneggiamento e per av-viare i successivi restauri.

atteso

– che si sono individuati i seguen-ti complessi immobiliari (come da schede allegate):. Villa Obizza a Bottaiano di Ri-

cengo;2. Podere Molino di Spinadesco;3. ex Convento di Santa Monica

(Caserma Goito) a Cremona;. Sinagoga di Ostiano;5. Villa Zanetti di San Lorenzo

Aroldo a Solarolo Rainerio;6. Villa Medici del Vascello a San

Giovanni in Crocee i due ulteriori seguenti siti in fa-se di studio:

7. Lazzaretto di Stagno Lombardo8. edifici prospicienti la piazza di

Isola Dovarese– che con riferimento ai comples-si immobiliari sopra evidenziati e considerato lo stato di estremo de-grado degli stessi, soggetti a possi-bilità di crolli e danneggiamenti, si rendono necessari due tipi di intervento: una prima fase di in-tervento costituita da interventi urgenti di messa in sicurezza degli edifici con opportuni lavori per evitare eventi dannosi e una secon-da fase che preveda la conservazio-ne, il restauro e la valorizzazione degli stessi con usi compatibili e concordati fra le parti.

i soggetti interessatisi impegnano

. La Provincia di Cremona, a veri-ficare le proprietà dei complessi immobiliari concordati con la Soprintendenza, al fine di va-lutare l’acquisizione degli stessi alla proprietà o alla disponibilità pubblica anche attraverso il so-stegno di Fondazioni e Associa-zioni, tramite opportuni accordi con le proprietà attuali.

2. La Provincia di Cremona, di concerto con i soggetti interes-sati, si impegna altresì ad asse-gnare incarichi per la progetta-zione di massima degli interven-ti e la quantificazione degli oneri necessari al recupero degli stessi con la possibilità di progettazio-

ne definitiva, esecutiva e direzio-ne dei lavori.

3. La Soprintendenza per i Beni Ar-chitettonici e Paesaggistici per le province di Brescia, Cremona e Mantova si impegna a dare indi-cazioni per la predisposizione di linee-guida utili per la conserva-zione e per il recupero degli im-mobili, ad attivarsi in forma di-retta per il reperimento dei fon-di necessari per la prima fase di messa in sicurezza di detti immo-bili con opportuni interventi e a collaborare con la Provincia alle successive fasi di progettazione.

. La Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Brescia, Cremona e Mantova e l’Amministrazio-ne Provinciale si occuperanno del coordinamento dei sogget-ti pubblici e privati per il recu-pero degli immobili: Regione Lombardia, Comuni interessati, Fondazioni, privati, società etc. e a costituire un tavolo territoriale con tutti i soggetti interessati.

5. Le parti si impegnano a istituire a livello provinciale una raccol-ta delle situazioni di emergenza. Tale monitoraggio verrà aggior-nato almeno una volta l’anno e successivamente verrà promos-sa la divulgazione della raccol-ta con pubblicazioni, mostre e convegni.

Cremona, 10 febbraio 2006

Protocollo di intesaProvincia di Cremona – Soprintendenza per i Beni Architettonicie Paesaggistici per le province di Brescia, Cremona e Mantovaper la messa in sicurezza, la conservazione e il restauro di alcuni complessi monumentalidi rilevante valore culturale in cattivo stato di conservazione

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A) Isola Dovarese (Cr), portici della piazza.

B) Cremona, ex Convento di Santa Monica, già Caserma Goito. La quattrocentesca chiesa tramezzata.

C) Cremona, ex Convento di Santa Monica, già Caserma Goito. Scorcio del chiostro maggiore.

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San Giovanni in Croce (Cr), Villa Medici del Vascello. La facciata puntellata.

San Giovanni in Croce (Cr), Villa Medici del Vascello. Tempio di Flora.

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Indice

5 Vecchi e nuovi scenari Luca Rinaldi

Tutela del patrimonio architettonico

25 Restauro, aggiunta, rimozione Luca Rinaldi

33 Esempi di “sprezzatura” nell’arte edificatoria del XVIII secolo in area bresciana Marco Fasser

I restauri di Santa Maria della Vittoria a Mantova I restauri della chiesa Antonio Mazzeri Il recupero delle facciate Laura Sala

53 Le fortificazioni di Pizzighettone e Gera Lettura delle fonti indirette e dirette. La Torre del Governatore Silvia Gaggioli, Francesco Macario

6 Villa Obizza tra emergenza e conoscenza Il cantiere per le opere di salvaguardia delle strutture Carlo Dusi

Tutela del paesaggio e dei centri storici

73 Sabbioneta. Da città ideale a Patrimonio dell’Umanità Luca Rinaldi, Serena Trivini Bellini

83 Quale futuro per i centri storici? Un convegno sull’intervento contemporaneo nei centri storici lombardi Alberto Lini

93 t a v o l e a c o l o r i

Comunicazioni

5 Vincoli 2006-2007 L’attività di verifica dell’interesse culturale sul territorio di Brescia, Cremona e Mantova

8 Il concorso economico dello Stato per la conservazione ed il restauro dei beni culturali immobili Contributi erogati nell’annualità 2006-2007

22 Protocollo di intesa Provincia di Cremona – Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Brescia, Cremona e Mantova per la messa in sicurezza, la conservazione e il restauro di alcuni complessi monumentali di rilevante valore culturale in cattivo stato di conservazione

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Stampato da Officine Grafiche Staged, San Zeno Naviglio, Bs

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Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici

per le Province di Brescia, Cremona e Mantova

33

isbn

88

7385

813

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Bollettino 2006 2007