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AMANI Porta il tuo cuore in Africa Anno IV, n. 1 - Aprile 2004 Spedizione in A.P. Art. 2 comma 20/C legge 662/96, Milano Un marchio di infamia da cancellare www.amaniforafrica.org Di Renato Kizito Sesana * Genocidaire. Genocidari. Così un neo- logismo francese di recente inven- zione cataloga i ruandesi che hanno preso parte al genocidio dei tutsi di cui quest’anno ricordiamo il decimo anniversario. Un marchio d’infamia che rischia di essere attribuito a tut- ti i ruandesi, che perpetua l’incom- prensione di ciò che è accaduto (evi- tando di ricordare che i genocidari hanno potuto agire così grazie alla connivenza e il silenzio di troppi) e di- vide in maniera manichea un popo- lo intero fra colpevoli e innocenti. Sono genocidari i rifugiati ruandesi che in un angolo di Kivuli lavorano tutto il giorno facendo bellissime scul- ture in legno? I prodotti che escono dalle loro mani, specialmente i cro- cifissi e i presepi, trasmettono pace e serenità. Possibile che gli autori nascondano nel cuore responsabilità di massacri? Certo tutto è possibile quando si tratta di persone umane. Sono genocidari i rifugiati ruandesi che a Nairobi stanno cercando di av- viare una università bilingue? In al- cune povere aule imprestate da una parrocchia, professori e studenti, tut- ti profughi, si ritrovano la sera e si applicano per ore allo studio, con una incredibile voglia di uscire dalla si- tuazione di miseria ed emarginazio- ne in cui si trovano. Ho parlato ad al- cuni rappresentanti di ambasciate europee, per vedere se fosse possibi- le (dopo aver verificato la qualità del- l’insegnamento) dar loro la possibi- lità di sostenere esami riconosciuti da università europee. Le risposte ri- cevute sono state tutte variazioni sul tema: “Sì, li conosciamo, è un espe- rimento interessante, ma è politica- mente pericoloso anche solo andarli a visitare, perché c’è la possibilità che fra di loro si nascondano dei ge- nocidari”. E cosi non si fa niente. Se da una parte l’applicare una rigo- rosa forma di giustizia è importante, dall’altra le difficoltà di applicarla e le possibilità di errori, a dieci anni di distanza, sono cosi grandi da farne un compito quasi impossibile. Si invoca l’esempio della “Truth and Reconciliation Commission” del Su- dafrica, presieduta dall’arcivescovo anglicano e Premio Nobel Desmond Tutu. Ma la Commissione sudafri- cana è stata criticata perché non ave- va potere di amministrare la giusti- zia, e si era deciso che pentimento e contrizione non fossero un requisito per l’amnistia. Moltissimi furono am- nistiati senza aver ammesso di aver sbagliato. La Commissione puntò sul- la forza del perdono. In molti casi con successo. Lo scorso novembre mi è capitato di andare in Sudafrica per partecipare ad un incontro di giornalisti. Insie- me siamo andati in visita alla pri- gione di Robben Island, dove anche Nelson Mandela spese diversi anni. La guida del nostro gruppo era un ex- prigioniero, un omaccione africano che era stato deportato a Robben Is- land ancora diciassettenne e ne era uscito ad oltre trent’anni. a pag. 2 Maledetto oro nero Di Daniele Parolini pag 2 Lo spunto Sinodo africano: un’occasione perduta Di Renato Kizito Sesana pag 4 News Mandela, Madiba Di Pietro Veronese pag 5 News Le magnifiche sette Mthunzi Center e ... Da Kivuli Adozioni pag 6/7 © Richard Kalvar/Magnum Photos/Contrasto 1994-2004 Nelson Mandela Il genocidio di Ruanda, l’elezione di Mandela e il Sinodo africano, dopo 10 anni per ricordare tre grandi eventi africani pag 3-4-5 AMANI n4-aprile 2004 OK 24-03-2004 16:32 Pagina 1

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pag 5 News pag 4 News Porta il tuo cuore in Africa Adozioni Di Pietro Veronese Di Renato Kizito Sesana Di Daniele Parolini www.amaniforafrica.org Di Renato Kizito Sesana* pag 3-4-5 pag 6/7 Spedizione in A.P. Art.2 comma 20/C legge 662/96, Milano Anno IV,n.1 - Aprile 2004 AMANI n4-aprile 2004 OK 24-03-2004 16:32 Pagina 1 a pag. 2 Nelson Mandela © Richard Kalvar/Magnum Photos/Contrasto

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AMANIPorta il tuo cuore in Africa

Anno IV, n. 1 - Aprile 2004Spedizione in A.P.

Art. 2 comma 20/C legge 662/96, Milano

Un marchio di infamiada cancellare

www.amaniforafrica.org

Di Renato Kizito Sesana*

Genocidaire. Genocidari. Così un neo-logismo francese di recente inven-zione cataloga i ruandesi che hannopreso parte al genocidio dei tutsi dicui quest’anno ricordiamo il decimoanniversario. Un marchio d’infamiache rischia di essere attribuito a tut-ti i ruandesi, che perpetua l’incom-prensione di ciò che è accaduto (evi-tando di ricordare che i genocidarihanno potuto agire così grazie allaconnivenza e il silenzio di troppi) e di-vide in maniera manichea un popo-lo intero fra colpevoli e innocenti.Sono genocidari i rifugiati ruandesiche in un angolo di Kivuli lavoranotutto il giorno facendo bellissime scul-ture in legno? I prodotti che esconodalle loro mani, specialmente i cro-cifissi e i presepi, trasmettono pacee serenità. Possibile che gli autorinascondano nel cuore responsabilitàdi massacri? Certo tutto è possibilequando si tratta di persone umane.Sono genocidari i rifugiati ruandesiche a Nairobi stanno cercando di av-viare una università bilingue? In al-cune povere aule imprestate da unaparrocchia, professori e studenti, tut-ti profughi, si ritrovano la sera e siapplicano per ore allo studio, con unaincredibile voglia di uscire dalla si-tuazione di miseria ed emarginazio-ne in cui si trovano. Ho parlato ad al-cuni rappresentanti di ambasciateeuropee, per vedere se fosse possibi-le (dopo aver verificato la qualità del-l’insegnamento) dar loro la possibi-lità di sostenere esami riconosciutida università europee. Le risposte ri-cevute sono state tutte variazioni sultema: “Sì, li conosciamo, è un espe-rimento interessante, ma è politica-mente pericoloso anche solo andarlia visitare, perché c’è la possibilitàche fra di loro si nascondano dei ge-nocidari”. E cosi non si fa niente.Se da una parte l’applicare una rigo-rosa forma di giustizia è importante,dall’altra le difficoltà di applicarla ele possibilità di errori, a dieci anni didistanza, sono cosi grandi da farne uncompito quasi impossibile.Si invoca l’esempio della “Truth andReconciliation Commission” del Su-dafrica, presieduta dall’arcivescovoanglicano e Premio Nobel DesmondTutu. Ma la Commissione sudafri-cana è stata criticata perché non ave-va potere di amministrare la giusti-zia, e si era deciso che pentimento econtrizione non fossero un requisitoper l’amnistia. Moltissimi furono am-nistiati senza aver ammesso di aversbagliato. La Commissione puntò sul-la forza del perdono. In molti casicon successo.Lo scorso novembre mi è capitato diandare in Sudafrica per parteciparead un incontro di giornalisti. Insie-me siamo andati in visita alla pri-gione di Robben Island, dove ancheNelson Mandela spese diversi anni.La guida del nostro gruppo era un ex-prigioniero, un omaccione africanoche era stato deportato a Robben Is-land ancora diciassettenne e ne erauscito ad oltre trent’anni.

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Maledettooro neroDi Daniele Parolini

pag 2 Lo spunto

Sinodo africano:un’occasione perdutaDi Renato Kizito Sesana

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Il genocidio di Ruanda, l’elezione di Mandela e il Sinodo africano, dopo 10 anni per ricordare tre grandi eventi africani pag 3-4-5

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Un marchio d’infamia da cancellare

Come la visita procedeva e la nostragiuda raccontava le sue esperienzepersonali di tortura, il gruppo si fa-ceva sempre più silenzioso. Tuttavia le ultime parole della guidafurono di perdono e di speranza: di co-me dovette superare anche lui un pro-cesso di guarigione prima di ritrova-re il suo equilibrio interiore e averela forza di incontrare i suoi carcerie-ri, stringere loro la mano, e guar-dandoli negli occhi dire: “è tutto finito,non parliamone più”. Dopo averciraccontato questo, aggiunse sottovo-ce: “Io non ho una gran fede. Ho fat-to quel passo perché me lo ha impo-sto mia nonna, che invece va in chie-sa tutte le mattine. Dopo ho capito cheaveva ragione lei, perché nel perdo-no c’è una forza che ti rigenera”.E’ l’approccio cristiano. Come cri-stiani noi siamo consapevoli e rico-noscenti al Signore perché siamo sta-ti liberamente inondati dall’amoredi Dio “mentre ancora gli eravamo ne-mici” come scrive San Paolo nellalettera ai Romani. Lui ci ha accolti eperdonati, e continua a farlo, senzanessun nostro merito. Lui si è fattocarico di tutto il nostro male, senzache glielo avessimo chiesto, e da luiabbiamo capito che solo chi sa per-donare sa prendere su di sé il doloredegli altri. Gesù non dice “converti-ti e poi io allevio il tuo dolore, la tuafame e il tuo peccato”, ma prima tiguarisce, ti sfama, ti perdona, fidu-cioso che così provocherà una tra-sformazione nella tua vita.Come fare giustizia in Ruanda?Un’amnistia indiscriminata, comequella sudafricana, rischia di pre-miare i responsabili all’incitamentodel genocidio e di archiviare le im-mense responsabilità dei governi oc-cidentali, prima di tutto quello bel-ga e francese. D’altro canto il perse-guimento a tempo indeterminato diuna giustizia umana (che la situa-zione storica attuale renderebbe tral’altro molto discutibile) potrebbe fo-mentare instabilità e nuovi risenti-menti, creando le premesse per unanuova esplosione di odio e vendetta.John Reader conclude un suo recen-te libro sull’Africa citando il teologocattolico ruandese Laurien Ntezi-mana. Intervistato da un giornali-sta, Ntezimana ha detto che il geno-cidio pianificato e perpetrato dai suoiconnazionali lo ha scosso, ma nonpiù di tanto. La gente, ha detto, vivenascosta dietro una maschera cheoccasionalmente i venti della storiafanno cadere. Solo chi è troppo inge-nuo può esserne sorpreso. Ha ag-giunto poi Ntezimana: “Non abbia-mo ancora capito chi è l’uomo. Nel-la sua grandezza o nella sua miseriapuò sempre sorprenderci.”E’ assolutamente irragionevole spe-rare che la prossima volta i ruande-si ci sorprenderanno per la loro gran-dezza?

Lo spunto

Maledetto oro nero(qualcosa però sta cambiando)

Non lo rimpiangeremo. No, lo ringrazieremo per l'aiuto dato allo svilup-po, ma non ne avremo nostalgia. Anzi, molti di noi sperano che arrivi pre-sto il momento in cui nuove tecnologie, come l'auto a idrogeno, manderannoin pensione il petrolio, il maledetto oro nero che arricchisce pochi fortu-nati e provoca guai immensi alla maggioranza degli abitanti di questa ter-ra, guai come le guerre che si fanno per colpa sua.

Il petrolio condiziona poi pesantemente la nostra vita con il dilagante pro-blema dell'inquinamento. L'oro nero spesso ignora,o se ne frega delle leg-gi di mercato. Sale il dollaro, sale il prezzo della benzina. Cala il dollaro, ilprezzo rimane uguale. E allora?Le cifre le fanno loro, governi e petrolieri. C'é poco da protestare. Anni faavevano addirittura lanciato il grido d'allarme "le riserve di petrolio stan-no esaurendosi". Oggi, i dati sono della compagnia British Petroleum, leriserve mondiali sono di 1048 miliardi di barili (fine 2002) contro 677 mi-liardi di fine 1982. E allora?Finito questo sfogo, veniamo alla notizia bella. Il Ciad, dove il reddito in-dividuale é sotto i 200 dollari annui (l'Italia sfiora i 20mila) a partire daquest'anno vedrà arrivare qualche migliaio di miliardi di vecchie lire gra-zie all'oro nero.Ebbene, il presidente Deby, che non é proprio uno stinco di santo, ha ac-cettato di destinare l'80% dei guadagni petroliferi alla sanità, alla scuola,all'agricoltura e alle infrastrutture,soprattutto strade. Inoltre un 10% sa-rà versato su un conto estero bloccato e destinato alle generazioni future,un 5% andrà alle regioni petrolifere. Al governo rimarrà un 5%.Reggerà questo accordo? Speriamo di si, anche perché nei giorni scorsi èvenuto a galla l'ennesimo "ammanco" petrolifero. Un "buco" di 2 miliardidi dollari (circa 4000 miliardi di vecchie lire) negli introiti petroliferi del-l'Angola. Saranno volati in qualche banca europea o americana: é il lorodestino da sempre.La speranza nata in Ciad, cresce se consideriamo che Olusegun Obasanjo,presidente delle Nigeria, paese primo produttore africano di petrolio, hadichiarato che renderà pubblici gli introiti derivanti dall'oro nero. Fra il1973 e il 2002 la Nigeria ha incassato 340 miliardi di dollari. Fate voi il con-to, quanti sono 340 miliardi di dollari, ma ricordate anche che gli abitan-ti della Nigeria sono più poveri ora di 30 anni fa, che la maggioranza degliscolari manca di libri e matite, che negli ospedali i malati devono portarebende e medicine. Infine, un paradosso farsesco per un paese che produceoltre 2 milioni di barili al giorno, sovente manca la benzina!Finora in Africa il maledetto oro nero é servito ad arricchire un pugno didirigenti ed a finanziare le guerre civili che da anni bloccano l'evoluzionedel continente nero. Da Ciad e Nigeria sembra sorgere un'alba nuova.

*Daniele Parolini, 67 anni, cremonese e milanese d’adozione, è stato per 28 anni gior-nalista del Corriere della Sera nella redazione sportiva, in quella scientifica ed infine nel-le cronache italiane. Dal primo all’ultimo numero è stato direttore di Africanews e per mol-ti anni collaboratore del mensile dei missionari comboniani Nigrizia. Per tutti gli appas-sionati di sport va ricordato che Daniele Parolini ha disputato 130 partite con la magliadella U.S. Cremonese Calcio.

Di Daniele Parolini*

Progetti

Amani sostiene

“Kivuli Street Children Project” è un progetto educativo nato dall’inizia-tiva dei giovani della comunità di Koinonia che a Nairobi accoglie e sostienei bambini di strada di due grandi baraccopoli della capitale. Il Centro Kivuli accoglie in forma residenziale 60 bambini di strada cu-randone la crescita e l’educazione, copre le spese scolastiche di altri 70bambini ed è aperto con vari progetti animativi a tutti i bambini delquartiere. Kivuli è diventato un punto di riferimento per i giovani e per gli adulti, conun progetto di microcredito, laboratori artigianali di avviamento professionale,una biblioteca, un dispensario medico, un progetto sportivo, un laborato-rio teatrale, una sartoria, un pozzo che vende acqua a prezzi calmierati euno spazio sede di varie associazioni e aperto a momenti di dibattito e con-fronto per i giovani del quartiere.

“Casa di Anita” è una casa di accoglienza sorta a N’gong (piccolo centroagricolo a 30 Km da Nairobi), curata da tre famiglie Keniane, inauguratanell’agosto 1999. La “Casa di Anita” accoglie 24 bambine di strada, alcune orfane e altre fi-glie di famiglie poverissime, vittime di abusi sessuali, e 3 bambini Nuba,inserendoli in una struttura familiare e protetta, permettendo una crescitaaffettivamente tranquilla e sicura.

“Mthunzi Center” è un progetto educativo realizzato dalle famiglie del-la comunità di Koinonia di Lusaka (Zambia) a favore dei bambini di strada. Il Centro Mthunzi oltre ad accogliere 60 bambini di strada in forma resi-denziale curandone la crescita e l’educazione, è un punto di riferimento perla popolazione locale con il suo dispensario medico e con i suoi laborato-ri di falegnameria di avviamento professionale.

Un progetto di emergenza a favore della popolazione delle montagne Nu-ba e del Southern Blue Nile, provate dalla guerra e da quindici anni di iso-lamento, che consiste nell’invio di aiuti (sale, medicinali, attrezzi da lavo-ro, materiale scolastico, vestiti e sementi) per la sopravvivenza della po-polazione locale e nell’accoglienza di rifugiati a Nairobi.

Due “scuole primarie” sui monti Nuba che garantiscono l’educazione dibase (l’equivalente della formazione elementare e media in Italia) ai bam-bini della zona circostante, in assenza di altre strutture scolastiche. At-tualmente ognuna delle scuole ha circa 500 alunni. Il progetto prevedeanche una “scuola magistrale” per selezionare e formare giovani inse-gnanti nuba (circa 30 ogni anno) in modo da riattivare la rete scolasticaautogestita dalle popolazioni della zona.

“News from Africa”, un’agenzia di informazione mensile redatta interamenteda giovani scrittori e giornalisti africani, che raccoglie notizie e articoli diapprofondimento provenienti dai paesi dell’Africa sub-sahariana per poi dif-fonderle in tutto il mondo per via telematica e cartacea.

“Africa Peace Point”, organizzazione laica e apolitica che si prefigge la rea-lizzazione di iniziative popolari per la costruzione e la diffusione di una cul-tura di pace nelle comunità africane; la sede è a Nairobi dove APP si è do-tata di un centro di documentazione e ha creato uno spazio in grado di ospi-tare forum, sessioni di formazione sulla pace e incontri tra gruppi di base.

“Amani People Theatre”, una compagnia di giovani attori, che lavoranoper una cultura di pace utilizzando il teatro per la mediazione di conflitticon performance e rappresentazioni nei campi profughi del Kenya e nellecomunità di base.

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N’Djamena, Ciad, 1998. Pompa manuale di benzina

* Renato KizitoSesana, giornali-sta e padre combo-niano è socio fon-datore di Amani.E’ stato direttoredel mensile Nigri-zia, titolare per 4anni di una rubricasul Sunday Nation,fondatore di NewPeople e ha dato vi-ta ad News from

Africa, agenzia di stampa di “africani cheraccontano l’Africa”. Continua un’inten-sa attività pubblicistica con varie testateitaliane e non. Attualmente padre Kizitovive a Nairobi, in Kenya, presso il Centrodi Kivuli. E’inoltre fondatore e direttoredi radio Waumini, emittente cattolica vo-luta dalla Conferenza Episcopale keniana. Dal 1995 si reca regolarmente tra i Nubadel Sudan realizzando con loro progetti diaiuto alle popolazioni locali.

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ingrazio l’assistente se-gretario Bushnell. Primadi passare ad altre que-stioni, voglio tornare suun argomento di cui ulti-mamente si è parlato mol-to: Schindler’s List. Il di-

partimento di stato deplora i ten-tativi di alcuni governi stranieri diimpedire la distribuzione dell’ope-ra di Steven Spielberg, premiatacon l’Oscar, sull’olocausto nazista.Questo film ritrae in modo toccan-te, in un modo accessibile ad ognicultura, la più orribile catastrofedel XX secolo. E mostra che persi-no in mezzo al genocidio una per-sona può fare la differenza".Sono alcune battute da una confe-renza stampa tenuta dal portavocedel dipartimento di stato Usa,

McCurry. Era l’8 aprile 1994. Pru-dence Bushnell, vice del segretariodi stato agli affari africani, GeorgeMoose, aveva appena informato sul-l’evacuazione degli americani dalRuanda. Due giorni prima vi erastato ucciso il capo dello stato (equello burundese), da qualche mis-sile che aveva abbattuto il suo ae-reo in fase di atterraggio (attenta-to che una inchiesta francese ha direcente concluso essere opera diPaul Kagame, allora leader dellaribellione tutsi e attuale presiden-te ruandese). Subito si erano sca-tenate le uccisioni, a cominciare daquella del primo ministro (una del-le primissime donne capo di gover-no in Africa) e di dieci caschi blu bel-gi che, disarmati, la proteggevano.Sulle prime sembrò trattarsi di ber-sagli eccellenti, soprattutto “hutumoderati” come la signora AgatheUwingiliyimana, ma bastarono po-che ore per rendersi conto che la fu-ria dei massacratori era soprattut-to diretta ai tutsi (i "watussi" dellafamosa canzone). Fra questi e glihutu, il bilancio finale (in realtà so-lo una stima) è di ottocentomila vit-time: un decimo dell’intera popo-lazione."Il modo più efficace per evitare ilripetersi della tragedia del genoci-dio è assicurare che i passati atti digenocidio non siano mai dimenti-cati", così concludeva la sua brevedichiarazione ufficiale MichaelMcCurry. E nessuno dei giornalistiche lo investirono di domande avan-zò il dubbio che fosse in corso il re-play di un nuovo olocausto.Dieci anni sono passati da quell’e-catombe, davanti alla quale riesceancora difficile capire veramente.Ma abbiamo sufficienti informa-

zioni per tirare almeno un paio dichiare, definitive lezioni.La prima è che non si è trattato diuna delle “solite”, anche se parti-colarmente selvaggia, carneficineafricane, quelle che tanti si ostina-no a chiamare guerre “tribali” o, conaffettata correttezza, “etniche”. Avoler essere precisi, hutu e tutsinon sono nemmeno due etnie, o perlo meno bisognerebbe intendersibene su questo termine, giacché re-ligione, lingua, tradizioni, persinoi clan, sono i medesimi nei due grup-pi. Certo le differenze ci sono, fisi-che (anche queste abbastanza re-lative), ma soprattutto quelle de-terminate dal censo e dallo statussociale, tant’è vero che il passaggiodall’una all’altra classe poteva es-sere determinato dal numero di vac-

che possedute, e tant’è vero chequando, alla vigilia dell’indipen-denza, gli hutu si ribellarono allatradizionale preminenza dei mino-ritari tutsi, quella si chiamò “la ri-voluzione sociale” del 1959. Il chepresuppone dunque che in effettidue gruppi ben differenziati esi-stevano, e fin da prima dell’appa-rizione del colono; le mutue rela-zioni erano allora regolate da unpatto, chiamato ubuhake, che nonsarà stato un capolavoro di equitàma almeno consentiva una pacifi-ca coabitazione (fino al 1959 non siha notizia di eccidi nella storia delpaese). "Né inferno “feudale” néparadiso “africano”", commenta Gé-rard Prunier, lo storico francese chetempestivamente e meglio di altriha saputo interpretare il caso ruan-dese.La “razzializzazione” dei due grup-pi venne poi fomentata dall’ammi-nistrazione belga (in Europa stavasorgendo la stella di Hitler), che frale altre trovate introdusse la men-zione dell’etnia nella carta d’iden-tità. Dapprima favoriti da Bruxel-les, gli “intelligenti” tutsi si videropreferire, all’avvicinarsi dell’indi-pendenza, i più “docili” hutu; i rap-porti di forza vennero così capo-volti, ma non era con una premes-sa di questo tipo che si potevasperare nell’avvento della giustiziasociale… Da quando, negli anni ’70, Parigi -regnante Giscard d’Estaing (e saràla stessa cosa con Mitterrand) -stringe un’amicizia militare con ilRuanda a spese di Bruxelles, nellasua neocoloniale soddisfazione diaver allargato la sua riserva di cac-cia africana, manterrà gli occhichiusi sul regime di Juvénal Hab-

yarimana, sulla sua non-democra-zia, sulle violazioni dei diritti uma-ni, sul valzer di promesse e volta-faccia inscenato ai negoziati di Arus-ha con la controparte, i ribelli tutsidell’Fpr di Paul Kagame in guerradal 1990. E, quel che è peggio, laFrancia ignorerà deliberatamentele informazioni sui preparativi delgenocidio sempre più evidenti: listedi nomi, le allusioni a un "grandegiorno di pulizia", l’attività di Ra-dio Mille Colline, l’importazionemassiccia di armi nonché di tanti,troppi machete, gli addestramentiostentati delle milizie sulle pubbli-che vie… Il genocidio infatti nonavrà i caratteri, almeno inizial-mente, dell’esplosione di una vi-scerale violenza di massa, ma tut-ti gli stigmi di un’azione pianifica-

ta. E sappiamo anche da chi,relativamente poche persone (il Tri-bunale internazionale per il Ruan-da sta processando in questi giorniil numero uno dei genocidari, il di-rettore del ministero della difesa, co-lonnello Théoneste Bagosora).Diciamo Francia, abbiamo dettoStati Uniti. Voci dall’inferno, da cuiabbiamo desunto la citata confe-renza stampa, è una iperdocumen-tata requisitoria di Samantha Po-wer sulla politica dello struzzo cheWashington ha adottato nei con-fronti di tutti i genocidi del XX se-colo. Ma dobbiamo dire anche Na-zioni Unite (il povero Roméo Dal-laire, comandante militaredell’operazione Onu in Ruanda, ciha rimesso l’integrità psichica, peril muro di gomma alzato dai supe-riori davanti ai suoi allarmi e ri-chieste di aiuto). E dobbiamo direEuropa, Italia (non erano quelli igiorni del trionfo di Berlusconi?)…tutti. Ci sono stati, sì, anche inRuanda, degli Schindler, dei Perla-sca, come Paul Rusesabagina, maî-tre d’hotel (sul quale si sta girandoun film), o come il console italianoPierantonio Costa, ma le istituzio-ni internazionali, quelle che qual-cosa potevano fare, dov’erano? Mo-rire per Kigali… questo no.Il 21 aprile 1994, dinanzi allo scem-pio di vite (già l’equivalente di al-meno trenta Torri gemelle), il Con-siglio di sicurezza decide “corag-giosamente” di ridimensionare lamissione Onu, da 2.500 uomini a270. "In mezzo al genocidio una per-sona può fare la differenza".

* Pier Maria Mazzola è giornalista, giàcaporedattore di Nigrizia.

Dossier

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Di Pier Maria Mazzola* “R1994-2004

Tutticolpevoli

Le istituzioniinternazionali e i governi

occidentali: tutticorresponsabili del

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Ruanda 2002 - Contadina hutu di 70 anni che, durante la guerra civile, ha salvato 35 tutsi nascondendoli nella sua casa

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News from Africa

Molti in Africa avrebbero voluto unConcilio e non un Sinodo. La primarichiesta pubblica in questo sensovenne fatta a un incontro organizzatoda Presence Africaine ad Abidjan nel1977. Un Concilio avrebbe avuto lapossibilità di far emergere la Chiesaafricana con un suo volto e di pro-porre percorsi di crescita della in-culturazione. Il sogno, per vescovicome Malula, Sarpong, Sanon, Hur-ley, Sastre, Kalilombe e Mwoleka eper teologi come Ela, Boulaga,Mveng, Magesa, Waliggo, Bujo, soloper citarne alcuni, era di un Conci-lio che incamminasse la Chiesa afri-cana verso la realizzazione della vi-sione che Paolo VI aveva davanti agliocchi quando aveva gridato: "Afri-cani, voi siete ormai i missionari divoi stessi" e "Africa, nova patria Chri-sti". Quando, invece che un Concilio,fu convocato un Sinodo, la delusio-ne fu grande, ma fu superata dallasperanza che si sarebbe comunquetrattato di un grande passo avanti.Così non fu. Le forze curiali preseroprogressivamente uno stretto con-trollo sulla preparazione e sullo svol-gimento del Sinodo.Ricordo che durante la fase prepa-ratoria incontrai un teologo africa-no di una certa fama. Qualche tem-

po prima aveva diretto un incontrodi riflessione su matrimonio cristia-no e matrimonio africano per i mis-sionari operanti nel suo paese. Ave-va avanzato ipotesi considerate trop-po "audaci" e il suo nome era statopermanentemente depennato dallalista dei candidati vescovi. Mi disse:"Voi missionari dovete darci una ma-no. Ci stanno imbavagliando, e nonabbiamo la forza di reagire. Voi ita-liani che avete convissuto col Vati-cano per duemila anni sapete comeaggirare questi intrighi".Ma i vescovi preferirono non com-promettersi, i missionari guardaro-no dall’altra parte, i teologi pensa-rono alla carriera. Chi non tacque fupunito. Tra i firmatari di un piccoloma prezioso documento propositivo,Cast Away Fear, pubblicato pochimesi prima del Sinodo e recapitatoa tutti i Padri sinodali, nessuno hafatto alcun tipo di carriera ecclesia-stica.I teologi africani più significativi, mache non davano garanzie di strettaubbidienza, furono progressivamenteesclusi dalla preparazione del Sino-do. Nessuno di loro partecipò comeesperto. Personalità come il teologoe artista gesuita Engelbert Mveng,che certamente un giorno sarà con-

siderato tra i padri fondatori dellaChiesa africana, furono messe in dis-parte e addirittura sconfessati neicorridoi del Sinodo come pericolosicospiratori. New People, la rivistadei comboniani di Nairobi che ave-va giocato un ruolo importante perdiffondere la conoscenza del Sinodoe nel fare proposte nuove, ma nonparticolarmente progressiste, fu de-capitata. Il messaggio era chiaro, e fu capitoda una Chiesa che fra le tante fragi-lità della sua giovinezza manca dirobuste scuole teologiche ed è eco-nomicamente dipendente.Ciononostante il Sinodo è riuscitoin qualche modo ad esprimere i te-mi che si agitavano fino a quegli an-ni nella Chiesa africana, come l’im-pegno per la giustizia sociale (temadella maggior parte degli interventidei Padri) e la inculturazione, uffi-cialmente approvata nel documentofinale. Dopo il Sinodo, tuttavia, ognidibattito e sperimentazione si sonospenti.I grandi vescovi sono scomparsi osostituiti da una schiera di bravi fun-zionari, magari personalmente in-namorati di Cristo e del Vangelo, masenza grande carisma e leadership.Le energie di molti di loro, come di

tanto clero, più che verso nuovi cam-mini di evangelizzazione si sono in-dirizzate verso le opere sociali. L’in-culturazione è un mito del passato.Le piccole comunità, scelta pastora-le fondamentale dei vescovi dell’A-frica dell’est negli anni settanta, so-no state archiviate come una pas-seggera sbandata verso la teologiadella liberazione. Ora tutto è ritor-nato sotto controllo. Il Concilio Vaticano II ci aveva aper-to una prospettiva di Chiesa in cam-mino. Ci sentivamo persone che, suisentieri dell’Africa, si avvicinano aifratelli e sorelle dialogando con lorodi Dio. Il Sinodo africano ci ha fattotornare a un approccio magisterialee dogmatico. Per questo resto con-vinto che il Sinodo sia stata un’oc-casione persa.A dieci anni di distanza il segno piùdrammatico della distanza tra la vi-ta reale dell’Africa e un certo mododi intendere la Chiesa, è che l’iniziodel Sinodo coincise quasi esattamentecon l’inizio del genocidio in Ruanda,eppure ciò non costituì allora occa-sione di particolare riflessione per ipadri sinodali. Ancora oggi la Chie-sa non ha affrontato con franchez-za il problemi posti dal genocidioruandese.

Ciò non vuol dire che la Chiesa inAfrica non sia progredita dal 1994 aoggi. Nella Chiesa ci sono vescovi, cle-ro e teologi, tutti con una loro fun-zione, ma la Chiesa è soprattutto lacomunità di coloro che si sentonoamati dal Padre e che si lasciano gui-dare dallo Spirito per conformare laloro vita a Cristo e al suo Vangelo. Sela Chiesa ha un futuro in Africa nonè certamente per i documenti sino-dali. È perché tanta gente vive quo-tidianamente in fedeltà al Vangelo,perché tanti hanno versato, in sem-plicità e umiltà, il loro sangue per Cri-sto.In questa prospettiva forse possiamoleggere questo momento di stasi co-me una situazione provvidenziale.È il tempo in cui, senza esporsi esenza fare tanto rumore, la vera for-za della Chiesa africana, il laicato, stalavorando e crescendo. È come se labarca di Pietro, avvicinatasi troppoalla riva alla ricerca di sicurezze, ab-bia perso contatto con il forte ventod’alto mare e si ritrovi con le vele flo-sce. Ma nella stiva i marinai sempli-ci lavorano a ripararle, così che quan-do saranno di nuovo gonfiate dalvento si potrà riprendere il largo conrinnovata sicurezza, verso orizzon-ti mai osati.

Sinodo africano: un’occasione perdutaDi Renato Kizito Sesana

Algeria

Ghana

CostaD’Avorio

Liberia

Sierra Leone

GuineaGuineaBissau Benin

Togo

LibiaEgitto

Sudan

Rep.Centrafricana

Etiopia

Eritrea

Gibuti

RwandaBurundiR.D.Congo

Gabon

Camerun

Nigeria

Niger

Guinea Equatoriale

Congo

Sao Tomé e Principe

Tanzania

Uganda

Malawi

Swaziland

LesothoSudafrica

Zambia

Botswana

Namibia

AngolaMozambico

Madagascar

Comore

Seicelle

Zimbabwe

Kenya

MauritaniaMali

Marocco

Ciad

Somalia

Tunisia

SenegalGambia

Capo Verde

La bambola Barbie diventa musulmana

Tutto fa brodo. La cosa importante é ven-dere, vendere, vendere. Anche la religio-ne musulmana può diventare un busi-ness. Lo dimostrano due iniziative com-merciali. La prima riguarda le bibite. Dopola Mecca-Cola é stata lanciata in Francia,poco prima dell'ultimo Ramadan, la Sa-lam-Cola. Salam vuol dire pace e i fab-bricanti suggeriscono ai clienti che be-vendo Salam-Cola ci si disseta, ma si di-mostra anche il proprio impegno sociale!Nessun commento.Pure la famosa bambolina Barbie é en-trata nella spirale dello sfruttamento re-ligioso. La Barbie occidentale ha fattoscalpore perché i suoi produttori l'han-no "separata" dal suo compagno Ken: se-gno dei tempi. Ma c'é chi é andato oltreed ha creato “Razanne, the Muslim doll”cioè Razanne, la bambola musulmana.Razanne é una copia perfetta di Barbie sol-tanto che indossa una lunga veste e por-ta, naturalmente, il velo. Razanne esisteanche nelle versioni di studentessa, pro-fessoressa, dottoressa e astronauta. Na-ta, pensate un po’, negli Stati Uniti, ver-rà presto commercializzata in Arabia e nel-l'Africa del nord.

In Breve

1994-2004

Parità uomo-donna:Ruanda batte Svezia

Si é sempre detto che uno dei maggioridifetti delle democrazie occidentali fos-se la disparità fra gli eletti maschi e le elet-te femmine. Si é sempre lodato e indica-to ad esempio alcuni paesi del Nord Eu-ropa, dove il rapporto fra maschi efemmine nei vari parlamenti era quasiparitario. Speriamo che questo apprez-zamento e questi elogi permangano an-che se il primato della "parità" è passatoal Ruanda. Ebbene, sì. Il paese africanovanta il 49% di elette e batte quindi la Sve-zia che era in testa con il 45% di donnepresente nel suo Parlamento. L'esattasuddivisione in Ruanda é la seguente:all'Assemblea nazionale su 80 deputatiben 39 sono donne, mentre in Senato ilrapporto é di 6 su 20 membri.Un titolo di merito dunque per il Ruandache nel 2004 vive il decennale del geno-cidio avvenuto appunto nel 1994 (e di cuiparliamo in altra parte della nostra pub-blicazione). Ma soprattutto un buon au-spicio per il futuro.

Sono i più vecchi prigionieri di guerra

Non c'é mai fine al peggio, dice, più o me-no, un proverbio e la vicenda dei prigionierimarocchini in mano al Fronte di Liberazio-ne del Sahara occidentale, lo dimostra. FraMarocco e ribelli del Polisario c'é stata unaguerra fra il 1975 e il 1991 quando è inter-venuto l'Onu con i caschi blu e con l'im-pegno di far svolgere un referendum cheviene rinviato da 13 anni.In mano al Polisario c'erano circa 3000soldati marocchini definiti "i più vecchi pri-gionieri di guerra nel mondo”. Un record po-co invidiabile che adesso riguarda pocopiù di 600 militari, dato che i separatisti sa-rawi ogni tanto ne mollano qualche grup-petto. Un ex pilota rilasciato recentementeha detto:"Sono stato nell'inferno per 21 an-ni subendo torture fisiche e morali e ora mibasta un bicchiere di acqua fresca per far-mi felice".Ventun anni, e magari fra i 600 ultimi di-sperati c'é chi è prigioniero da molti di più.Ma avete mai sentito parlare sulla stampao alla Tv di questi disgraziati o delle legit-time rivendicazioni dei sarawi?

AMANI n4-aprile 2004 OK 24-03-2004 16:32 Pagina 4

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5AMANI

Spesso leggendo un giornale, mi chiedo chi siano le persone che lavo-rano per la sua realizzazione. Mi immagino coraggiosi reporters che det-tano i loro pezzi al telefono da zone al limite del mondo conosciuto, dis-cussioni infiammate di giornalisti e redattori sulla linea editoriale daadottare e tipografi sudati tra rotative notturne. Poi penso ad “Amani”.Le prime cose che mi vengono in mente sono gli articoli sobri di DanieleParolini scritti a macchina e corretti a mano e io che in bicicletta pas-so a prenderli a casa sua per riportarli su computer. Mi vengono in men-te le vulcaniche riunioni con Gian Marco all’apertura dei lavori di unnuovo numero davanti a un piatto di spaghetti nella cucina della sededi Amani. Poi le chiacchiere con Federico, le e-mail del Gruppo adozio-ni e i suggerimenti di Ilario.Ritorno col pensiero al quotidiano nazionale e i contorni di questo mioideale mondo della stampa mi appaiono più sfumati, sopraffatti dalprofumo della tavola imbandita intorno a cui abbiamo deciso la lineaeditoriale dell’ultimo “Amani”. Tutto, anche gli uffici immaginati, delceleberrimo quotidiano in questione si ridimensiona acquisendo una di-mensione più umana e conviviale.Così se dietro a ogni giornale, ci sono persone in carne ed ossa che si in-gegnano su come imbrattare di inchiostro tutte le pagine a loro dispo-sizione, dietro al giornale “Amani” ci siamo noi. C’è Daniele tutto pra-ticità e nessun fronzolo inutile, il vulcanico Gian Marco, l’entusiasmodi Federico, la misura di Ilario, lo stile inconfondibile dei grafici, Bep-pe e Laura e, infine io che pedalo da uno all’altro capo di Milano.Queste otto pagine stampate che avete in mano sono il prodotto del mi-scuglio dei nostri caratteri, dei nostri diversi modi di lavorare e di ve-dere le cose. Un equilibrio qualche volta difficile da ottenere, ma un equi-librio vivo, in costante movimento e fonte continua di soddisfazioni.Per questo abbiamo pensato di aprire dal prossimo numero uno spazioin cui dialoghiamo con voi che ci leggete.Perché “Amani” è nato come un giornale in cui la dimensione umana ècentrale e in cui gli stimoli esterni, il confronto, gli spunti sono la sualinfa vitale.Per questo chi volesse contattarci per domande, consigli o curiosità puòmandare una mail ad [email protected] o scriverci a AmaniOnlus-Ong, via Gonin 8, 20147 Milano. Dal prossimo “Amani” pubblicheremo le lettere più significative con lerelative risposte in un apposito spazio.

*Lorenzo Chiodo Grandi, dopo aver lavorato nell’ufficio di Milano di Amani, è ora ilcoordinatore della redazione di questo giornale. Laureato in Storia moderna, cartoonistper lavoro e passione, frequenta attualmente un Master in Scienze del lavoro a Milano.

Volete scriverci?RedazioneNews from Africa

Di Pietro Veronese*

Nelson Mandela è uno dei massimi lea-der di tutti i tempi. Di certo il maggio-re del ventesimo secolo, il quale ha con-segnato alla storia molti spaventosi dit-tatori, ma ben poche figure di grandecarisma democratico. Se pensiamo aGandhi, a Churchill e Roosevelt o aLech Walesa o a Vaclav Havel, Mande-la spicca su tutti per molti motivi.Innanzi tutto dobbiamo affermare cheMandela è speciale perché è africano.Negli ultimi decenni l’Africa è stataluogo di innumerevoli speranze ma an-che di infinite delusioni per chi crede-va nelle sue capacità di sviluppo, di ri-scatto, di rinnovamento. E una delledelusioni più cocenti sono stati propriogli uomini politici. Ci sono state ecce-zioni notevoli, ma nel loro insieme ileader africani sono stati un disastro.Molti hanno dato prova di un’incom-petenza disarmante e pochissimi sonosfuggiti alla tentazione dell’arricchi-mento personale, del nepotismo, del-l’esercizio dispotico del potere. Per nondire della più sanguinaria tirannia. Inquesto contesto la figura di Madiba, co-me lo chiamano affettuosamente i su-dafricani, brilla di una luce ancora piùfulgida. La sua saggezza e la forza d’a-nimo, la capacità di riconciliare, il ri-spetto assoluto delle regole democrati-che con cui ha esercitato il quinquen-nio di presidenza per poi ritirarsi dallavita politica, costituiscono un esempiostraordinario per l’intera classe diri-gente continentale.Ci sono poi motivi biografici. Prima divenir liberato di prigione in una lumi-nosa domenica del febbraio 1990, il ca-po dell’African National Congress eragià il detenuto politico più famoso del mondo. A questo contribuivano nu-merosi elementi di fatto, mancando ancora quell’elemento di imponde-rabile soggettività, quel fascino personale che si trasforma in spontaneaautorità morale, che chiamiamo appunto carisma. Mandela si trovava die-tro le sbarre dal 1963: ventisette anni imprigionato per motivi politici,un record assoluto. Inoltre il regolamento carcerario del Sudafrica del-l’apartheid impediva che i detenuti venissero fotografati, cosicché le ul-time foto conosciute del prigioniero risalivano a oltre un quarto di seco-lo prima. Nella nostra epoca dell’immagine, in cui basta digitare un no-me su Google per trovare una valanga di ritratti di chiunque, è difficileimmaginare la spasmodica attesa che c’era quel giorno soltanto per ve-dere la faccia di colui che sarebbe presto diventato Madiba. I settimana-li americani avevano addirittura pubblicato elaborazioni elettronichedelle sue rare, vecchie foto, invecchiandone i tratti col ritocco e incanu-tendone i capelli, tanto per farsi un’idea. Appena tornata visibile, la fac-cia di Mandela divenne una delle più fotografate al mondo e quell’atte-sa è stata dimenticata in fretta. Ma di certo il mistero della reclusionecontribuì ad accrescere il mito.Subito dopo questo primissimo effetto, che fu più che altro di suggestio-ne ma ebbe ovviamente grande importanza in quelle ore di ritorno allalibertà, venne il messaggio politico di Mandela e qui sta la radice dellasua vera grandezza. Malgrado una vita passata dietro le sbarre e un’e-sistenza devastata sul piano privato, il leader sudafricano parlò imme-diatamente di riconciliazione e di convivenza. Nei mesi e negli anni tra-scorsi dalla sua liberazione nel febbraio 1990 alla trionfale elezione nel1994, incontrò tutti, parlò con tutti, tese la mano a tutti inclusi i movi-menti più oltranzisti del razzismo afrikaner. Mise fine alla mini-guerracivile che opponeva gli zulu ai xhosa (e che era costata numerose migliaiadi morti). E’ fin troppo facile fare il confronto con un’altra personalitàche gli è stata successivamente paragonata. Il nazionalista kosovaroAdem Demaci venne chiamato “il Mandela dei Balcani” per aver passa-to anch’egli una vita in prigione. Ma quando uscì dopo 19 anni era asse-tato di rivalsa e di vendetta e lanciò i suoi connazionali in una sfida san-guinosa al potere jugoslavo. Mandela si comportò invece come il re del-le favole che salito sul trono perdona tutti affinché vivano felici e contenti.Il nostro pianeta di inizio secolo non è un libro di fiabe e il Sudafrica nonfa eccezione. Mandela ottantacinquenne non è un vecchio senza difetti:qualche vezzo mondano, qualche vanità senile. Ma lo straordinario idea-lismo che lo ha sorretto negli infiniti anni del carcere e gli ha dato la ca-pacità di voltare pagina e guardare avanti quando ne è uscito, a 72 anniquasi compiuti, ha fatto di lui un gigante. Ha superato prove terribili:prove alle quali facilmente si soccombe. Oppure, se si è capaci, se ne esceancora più grandi.

*Pietro Veronese (Roma, 1952), è diventato giornalista dopo una laurea in Filosofia a Ro-ma e studi di specializzazione a Parigi. Da diversi anni è inviato speciale del quotidiano laRepubblica. E’ forse il giornalista italiano che più ha viaggiato in Africa negli ultimi ventianni. Ha pubblicato Africa-reportages, Laterza 1999.

Di Lorenzo Chiodo Grandi*

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Aspettando il passaggio di Mandela

Daniele Parolini e i suoi piccoli amici africani.

Mandela, Madiba1994-2004

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6 AMANI

Il Centro di Mthunzi è gestito dalla comunità di Koi-nonia di Lusaka, che è una Organizzazione non go-vernativa collegata alla Koinonia di Nairobi. Il centro è situato a Kasupe, un’area rurale a cir-ca 15 Km da Lusaka, la capitale dello Zambia edil suo nome, Mthunzi, come nel caso di Kivuli a Nai-robi, significa nella lingua locale, il cinyanja, “om-bra”, “riparo”.Nel gennaio 2000 abbiamo deciso di iniziare ad oc-cuparci attraverso progetti strutturati dei bambi-ni di strada di Lusaka e dei bambini in difficoltàche vivono con le loro famiglie nei villaggi vicini.Attualmente ospitiamo in forma residenziale 60 ra-gazzini, prevalentemente di età compresa tra i 6 ei 12 anni, con un piccolo gruppo di più grandi, aiquali si aggiungono i 50 bambini che abitano conle loro famiglie nei villaggi della zona. A loro ga-rantiamo il sostegno per le spese scolastiche e quel-le sanitarie. Il sabato sono nostri ospiti con le lo-ro famiglie e in questa occasione è possibile seguirneil rendimento scolastico e parlare coi genitori.La nostra comunità è composta da 7 famiglie.Ognuno ha i suoi ruoli nell’economia generale: al-cuni si occupano dell’aspetto agricolo, lavorandonei campi, due sono guardiani, perché in passatosiamo stati vittime di furti e c’è anche un maestrofalegname che insegna ai ragazzi più grandi a la-vorare nella carpenteria. Non posso poi non sot-tolineare l’apporto fondamentale alla vita comu-nitaria delle donne, centrali nell’organizzare tut-te le faccende domestiche e nel cucinare.Grazie all’impegno di tutti noi, ma in particolar mo-do di due educatori, Joseph e Raphael, i bambinivivono in un ambiente sereno e protetto, dove ri-cevono affetto e cure, lontani dal degrado della cit-tà: possono contare su una casa, un’educazioneadeguata e un aiuto certo in ogni momento dellaloro crescita. I bambini e i ragazzi del Mthunzi, frequentano lescuole dei villaggi vicini con entusiasmo. Moltospesso hanno dato prova di grande capacità e de-dizione allo studio. Per loro lo studio è una occa-sione importante da non perdere per uscire dallaloro condizione svantaggiata. Noi li seguiamo nel-lo svolgimento dei compiti, e li coinvolgiamo in di-verse attività ricreative e formative.Ci sono poi io, Oscar “Special” Mtonga, il respon-sabile del progetto, che gestisco le questioni buro-cratiche e amministrative del centro e Justine,l’infermiera, che ogni giorno deve curare non so-lo i piccoli ospiti, ma anche chi si ammala dei 5-6.000abitanti dei villaggi circostanti. In questi ultimi tempi stiamo lavorando alla ma-nutenzione e al rinnovamento della rete idrica,ormai vecchia di vent’anni, nonché al suo poten-ziamento, per assicurare ai bambini e alle nostrefamiglie la presenza costante dell’acqua, bene pri-mario e indispensabile nella vita quotidiana, inspecial modo in una fattoria: attualmente, infatti,riusciamo a coltivare solo una minima parte dellanostra terra.Dal 2000 abbiamo avviato una scuola di falegna-meria aperta a 15-16 ragazzi che hanno interrot-to gli studi. I giovani allievi provengono dai villaggivicini e ricevono colazione e pranzo presso il cen-tro. L’accesso alla scuola è gratuito e al superamentodell’esame finale viene consegnato il diploma di car-pentiere riconosciuto dal Governo.È inoltre operativo un dispensario farmaceutico au-torizzato, ben attrezzato e rifornito, nel quale unmedico e Justine, l’infermiera, danno un’assistenzasanitaria di base ai bambini e agli abitanti più bi-sognosi dei villaggi circostanti di Cicondano, Ma-looni e Tubalanghe. Nel primo anno di attività ipazienti visitati sono stati oltre mille, ma il numerosta crescendo perché non vi sono nelle vicinanze

alternative che offrano servizi di pari qualità e ac-cessibili anche agli indigenti.Per questo motivo è stata avviata la costruzione diuna nuova clinica con possibilità di garantire an-che il ricovero dei pazienti. Stiamo anche offrendo corsi di formazione per in-segnare a cucire e confezionare abiti alle mammedei bimbi seguiti a casa. Quest’anno si sono diplo-mate 15 mamme alle quali sono state affidate 5macchine da cucire ora possono lavorare in completaautonomia. Inoltre abbiamo avviato con loro un’at-tività per la realizzazione di borse e grembiuli, davendere anche in Italia per garantire il finanziamentodel corso e l’acquisto di altre macchine da cucire.In chiusura volevo ringraziare in modo particola-re gli amici di Amani che hanno partecipato alCampo di incontro dell’estate 2003. Lo scorso an-no infatti abbiamo accolto 41 bimbi oltre a quelliche già ospitavamo in adesione a un programmacongiunto Governo dello Zambia/Unicef, anche sela struttura non era ancora adeguata. Grazie ai no-stri amici italiani siamo riusciti a superare la fasedi emergenza con l’acquisto dei materiali per la co-struzione dei letti. Ora tutti i bimbi hanno un let-to, lenzuola e coperte e possono dormire sereni.

* Oscar papà di sette bambine e un maschietto è il coordinatoredi Mthunzi Center.

Mthunzi Center

A d o z i o n i

Le magnifiche setteEccoci a Lusaka,Zambia

Il centro di Mthunzi, il progettodi bambini di strada in Zambia èil più recente e, forse, il meno co-nosciuto dei progetti sostenuti at-traverso il programma di adozio-ni a distanza di Amani.Così abbiamo pensato di farvelopresentare direttamente dal re-sponsabile, Oscar, che vi offriràuna panoramica generale sulleattività promosse da Koinonia diLusaka.E’ un progetto che sta crescendoe si sta rafforzando dopo le nor-mali difficoltà dei primi anni, so-stenuto dall’energia e dalla pas-sione di Oscar, di Justine, di Ra-phael e di tutti coloro che ci vivonoe lavorano. Per crescere Mthun-zi, ha bisogno di essere conosciu-to, aiutato e sostenuto. Queste poche righe di Oscar pos-sono essere l’inizio di un legamepiù stretto e duraturo. Chi voles-se maggiori informazioni, puòcontattarci e saremo ben lieti difornirvi maggiori spiegazioni sullavoro dei nostri amici zambianie sui loro piccoli ospiti attraver-so le testimonianze dei nostri ami-ci italiani che hanno respirato l’a-ria di Kasupe nelle ultime dueestati durante l’iniziativa pro-mossa da Amani dei campi d’in-contro.Troverete poi un po’ di novità daKivuli e dalla Casa di Anita. Mary e Charles ci tengono sem-pre aggiornati sull’andamento deiprogetti e su come stanno i nostripiccoli amici. Sembra che tutto proceda per ilmeglio. Nuovi arrivi alla Casa diAnita e nuove partenze. Si di-venta grandi e si ha bisogno dinuovi spazi e di nuovi progettiper esprimersi al meglio. Così aKivuli i ragazzi dello Yassets apri-ranno un nuovo ristorante: c’è daaugurasi che cucinino bene comegiocano a calcio, visti i risultati!

Un abbraccio a tutti

Benedetta, Pier Luigi e Luigi.

Mthunzi Center e i suoi progetti

Mthunzi Center, che in cinyanjasignifica "ombra", è una fattoriache sorge a circa 15 km. da Lu-saka. Qui vivono 7 famiglie di zambia-ni membri di Koinonia che han-no accolto in forma residenzialecirca 60 bambini di strada, pro-venienti da Lusaka e dalle pove-rissime zone agricole circostan-ti, si occupano del loro sostenta-mento e della loro educazione e nesostengono le spese scolastiche.L'attività principale della comu-nità si basa sulla produzione agri-cola e sull'allevamento.

“Home based”Mthunzi funge inoltre da centrodiurno per i bambini del luogo,dando loro la possibilità di par-tecipare ad attività educative edi animazione.A 50 bambini, particolarmentebisognosi, che vivono nelle propriefamiglie sono garantite le spesescolastiche e le cure mediche.

DispensarioE’ a disposizione degli abitantidei villaggi vicini un dispensariomedico per le cure di base conuna infermiera e un medico chesi occupano dei malati indigentiche altrimenti non avrebbero mo-do di ricevere assistenza medica.Il Mthunzi si sta organizzandoper ingrandire questo progettoper venire incontro alle sempremaggiori richieste della popola-zione residente.

Corsi di formazione professionaleE’ attiva una scuola di falegna-meria per l’avviamento profes-sionale, frequentata dai ragazzi distrada più grandi, che non avreb-bero altrimenti prospettive lavo-rative.Da un anno è stato sviluppato uncorso professionale di taglio e cu-cito per le donne dei villaggi cir-costanti.

Di Oscar “Special” Mtonga*

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Mthunzi, prima della partita di pallone.Alle foci dello Zambesi: le cascate Vittoria.

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Mentre i piccoli vanno a scuola…L’anno scorso cinque ragazzi di Kivuli hanno finito le scuole prima-rie: i tre che hanno avuto dei buoni voti hanno continuato gli studi,mentre gli altri due ora frequentano istituti di formazione professio-nale.In novembre e dicembre circa quindici piccoli ospiti di Kivuli sono tor-nati presso le proprie famiglie. Continuiamo a seguire la loro crescitasostenendone le spese scolastiche, coinvolgendoli nelle nostre attivitàe avendo colloqui frequenti con loro e i loro genitori, come facciamogià per circa ottanta bambini che non vivono da noi. Attualmente, quin-di, Kivuli accoglie in maniera residenziale cinquantacinque bambini,di cui cinquanta vanno a scuola, mentre cinque stanno frequentandoun corso di pre-scuola.In questi mesi inoltre è stato riorganizzato lo staff di educatori di Ki-vuli per portare nuove energie e idee alla vita del Centro.

…i più grandi imparano un mestiere e …Recentemente abbiamo organizzato alcuni corsi di elettrotecnica peri ragazzi di Kivuli e del quartiere. Pensiamo di iniziarli ad aprile. Ab-biamo intenzione di organizzare in futuro anche corsi di meccanica.Infatti le professioni di meccanici ed elettrauto sono abbastanza richiestein Kenya e piacciono molto ai ragazzi.

…si allenano!Lo Yassets football club ha risultati sempre migliori nel campionato dicalcio keniota. Con l’aiuto di alcuni amici italiani i ragazzi del club stan-no sistemando un edificio che sarà adibito a ristorante. I guadagni diquesta nuova attività speriamo permettano alla squadra di autofi-nanziarsi.

Kivuli, un punto di riferimento importante anche per gli adultiFr. Valentino, insieme a tre amici ha svolto a Kivuli un seminario diuna settimana sul tema della “Costruzione di pace” e della “Riconci-liazione”, che è stato frequentato da una cinquantina di persone. Ab-biamo pensato di organizzare questo seminario per rispondere a unaesigenza diffusa: la società keniota è infatti composta da diverse etnie,religioni e culture e questo può causare spesso conflitti. Abbiamo lanciato in questi mesi un progetto di assistenza delle per-sone affette dall’Aids. Garantiamo cure e consulenza a circa centoquindici

malati. Inoltre abbiamo creato un gruppo di supporto di circa quarantapersone sieropositive, ma non malate di Aids.In questi anni Kivuli è diventato un punto di riferimento importanteper il quartiere, ma non solo: recentemente abbiamo avviato un pro-getto di collaborazione tra le organizzazioni che lavorano in tutto il Ken-ya con i bambini di strada e Kivuli ospita l’ufficio di coordinamento diquesto progetto.

* Charles dal novembre 1997 al 1° marzo 2004 è stato il coordinatore del centro di Kivuli. Da questa data il nuovo coordinatore è Pius Muriithi.

A d o z i o n i

Appunti

7AMANI

Dalla Casa di AnitaDi Mary Wabwire*

Tutte a scuola!Molte bambine a Nairobi o nei quartieri limitrofi vivono con i non-ni senza i loro genitori. I nonni non possono permettersi di pagarele spese scolastiche perché molti di loro non hanno più un lavoro osono troppo malati e vecchi per riuscire a lavorare. Questo è il mo-tivo per cui cerchiamo di individuare i casi peggiori, le famiglie piùpovere: li aiutiamo a pagare la scuola per le loro nipotine cosicchépossano continuare gli studi. Cerchiamo di aiutare le famiglie nel-l’interesse delle bambine, sperando che un giorno le bimbe, diven-tate grandi, possano essere in grado di mantenersi con un buon la-voro.

Aggiungi un posto a tavolaNel mese di febbraio sono arrivate 5 nuove bambine ad Anita. Pri-ma di arrivare qui hanno vissuto per qualche tempo in un centro chesi chiama Rescue Dada. Rescue Dada è una comunità di prima accoglienza per le piccole cheprovengono dalla strada o da famiglie molto povere. Qui possono tro-vare le prime cure: un posto sicuro dove dormire, pranzi regolari euna prima assistenza psicologica. Poi alcune di loro vengono accoltealla Casa di Anita, altre in altre comunità. I primi giorni sono stati forse un po’ duri per le nuove arrivate perle numerose novità. Dopo un poco però, quando si sono abituate alnuovo posto, hanno cominciato a fare amicizia e a stare bene. Lo sivede dai loro occhi sorridenti!

Si diventa grandiUna delle bambine, Rose, che vive alla Casa di Anita da qualche an-no, ha ora iniziato la scuola secondaria. Per tutte le bimbe questo èstato un vero e proprio evento.Vi ricordate di Paolino e Farid, i due bambini ospiti della Casa di Ani-ta, fuggiti da piccoli dalla guerra sui monti Nuba? Sono passati un

po’ di anni dal loro arrivo qui, loro intanto sono cresciuti e sono or-mai dei ragazzi: così hanno lasciato la Casa di Anita per andare allaKoinonia House dove vivranno con altri giovani che come loro van-no a scuola e lavorano. Speriamo si possano trovare bene là, comesono stati qui. Il giorno prima del loro trasloco abbiamo fatto una fe-sta di saluto tutti assieme: è stato molto commovente.

Imparare cose nuoveAbbiamo iniziato un corso di formazione aperto anche alle giovanibisognose della baraccopoli vicina. Sono ragazze che per qualche mo-tivo, per povertà o perché già mamme, non hanno potuto completa-re gli studi. Ora possono imparare nuove attività come cucire, farela maglia e tessere. Speriamo col tempo di riuscire a sviluppare que-sto progetto che può essere di vero aiuto per le ragazze in difficoltà.Una settimana fa, anche con l’aiuto di “DKA Austria” abbiamo ac-quistato due macchine da cucire e due macchine per fare la maglia,così durante la settimana, vengono una decina di ragazze e si eser-citano nel taglio e nel cucito.

JeanettIl 1° di febbraio abbiamo accolto Jeanett Dusi Hansen, una studen-tessa danese, che rimarrà con noi per circa sei mesi. E’ venuta quiper aiutarci e allo stesso tempo vedere come lavoriamo con le bam-bine, come le aiutiamo ad “andarsene” dalla strada, accogliendole quialla Casa di Anita. Insieme abbiamo fatto molte visite in giro per N’Gong, cercando di identificare le bambine più bisognose che vivo-no nella baraccopoli. Vorremmo infatti accogliere altre 8 bambine al-la Casa di Anita.

*Mary, sposata con Daniel e mamma di due bambine è la coordina-trice della Casa di Anita.

Da KivuliDi Charles Otieno*

Adozioni a distanza

Perché tutti insieme L'adozione proposta da Amani nonè individuale, cioè di un solo bambi-no, ma è rivolta all'intero progetto diKivuli, della Casa di Anita o di Mthun-zi. In questo modo nessuno di loro cor-rerà il rischio di rimanere escluso. In-somma "adottare" il progetto di Ama-ni vuol dire adottare un gruppo dibambini, garantendo loro la possi-bilità di mangiare, studiare e farescelte costruttive per il futuro, spe-rimentando la sicurezza e l'affetto diun adulto. E soprattutto adottare unintero progetto vuol dire consentir-ci di non limitare l’aiuto ai bambiniche vivono nel centro di Kivuli, del-la Casa di Anita o del Mthunzi, ma diestenderlo anche ad altri piccoli chechiedono aiuto, o a famiglie in diffi-coltà e di spezzare così il percorso cheporta i bambini a diventare “streetchildren”. Abbiamo, infatti, sperimentato chea volte anche un piccolo sostegnoeconomico (pagando la retta scola-stica, ad esempio) permette ai geni-tori di continuare a far crescere i pic-coli nell’ambiente più adatto, e cioèla famiglia di origine.In questo modo, inoltre, rispettiamola privacy dei bambini accolti evi-tando di diffondere informazioni trop-po personali sulla storia, a volte ter-ribile, dei nostri piccoli ospiti. Per-tanto, all'atto dell'adozione, noninviamo materiale al sostenitore re-lativo ad un solo bambino, ma ma-teriale stampato o video relativo atutti i bambini del progetto che si èscelto di sostenere. Vi ricordiamo che una caratteristicadi Amani è quella di affidare ogniprogetto ed ogni iniziativa sul terri-torio africano solo ed esclusivamentea persone del luogo.Per questo i responsabili dei tre Cen-tri di Amani in favore dei bambini distrada sono kenyani e zambiani.Con l'aiuto di chi sostiene il proget-to delle Adozioni a distanza, annual-mente riusciamo a coprire le spesedi gestione, pagando la scuola, i ve-stiti, gli alimenti e le cure mediche atutti i bambini.

Come aiutarciPuoi "adottare" i progetti realizzati daAmani con una somma di 26 euro almese (312 euro all'anno): contribui-rai al mantenimento e la cura di tutti iragazzi accolti da Kivuli, dalla Casa diAnita o dal Mthunzi. Per effettuare un'adozione a distanzabasta versare una somma sul c/c postale n. 37799202 intestato adAmani Onlus - Ong, via Gonin 8 -20147 Milanoo sul c/c bancario n. 000000503010 Banca Popolare Etica CIN G - ABI 05018 - CAB 12100.Ti ricordiamo di indicare, oltre il tuonome e indirizzo, la causale del ver-samento "adozione a distanza". Ci consentirai così di poterti inviareil materiale informativo.

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Mthunzi, un bambino.

AMANI n4-aprile 2004 OK 24-03-2004 16:33 Pagina 7

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Chi siamoAmani che in kiswahili vuol dire pace è una associazione laica e unaOrganizzazione non governativa riconosciuta dal Ministero degli Af-fari Esteri. Amani si impegna particolarmente a favore delle popolazioni afri-cane seguendo queste due regole fondamentali:1. curare lo sviluppo di un numero ristretto di progetti, in modo dapoter mantenere la sua azione su base prevalentemente volontariaper contenere i costi a carico dei donatori. 2. affidare ogni progetto ed ogni iniziativa sul territorio africano so-lo ed esclusivamente a persone del luogo. A conferma di questo mol-ti degli interventi di Amani sono stati ispirati da un gruppo di gio-vani africani riuniti nella comunità di Koinonia. Le principali attività di Amani sono le due case di accoglienza per ibambini e le bambine di strada di Nairobi, Kivuli e la Casa di Anita;la difesa del popolo Nuba in Sudan, vittima di un vero e proprio ge-nocidio e News from Africa un'agenzia di stampa redatta interamen-te da giovani giornalisti e scrittori africani. Inoltre, Amani sostienein Zambia Mthunzi Centre, un progetto per i bambini di strada di Lu-saka, una piccola scuola in Kenya nel poverissimo quartiere di Kibe-ra, e una compagnia di giovani attori che lavorano per una cultura dipace attraverso la mediazione dei conflitti: l'Amani People Theatre.

Come contattarciAmani Onlus - Ong (Organizzazione non lucrativa di utilità socia-le e Organizzazione non governativa)via Gonin, 8 - 20147 Milano - ItalyTel. 02-48951149 - 02-4121011 - Fax. 02-45495237e-mail: [email protected] sito web: www.amaniforafrica.org

Come aiutare Kivuli, la Casa di Anita, il Mthunzi e il popolo NubaBasta versare una somma sul c/c postale n. 37799202 intestato adAmani Onlus - Ong, via Gonin 8 - 20147 Milano o sul c/c bancarion. 000000503010 Banca Popolare Etica CIN G - ABI 05018 - CAB12100. Ricordiamo inoltre di scrivere sempre la causale del versa-mento e il vostro indirizzo completo.Nel caso dell'adozione a distanza è necessario versare 26 euro men-silmente almeno per un anno. È importante indicare in entrambi icasi la causale del versamento.

Le offerte ad Amani sono deducibiliI benefici fiscali per erogazioni a favore di Amani possono essere con-seguiti con due possibilità alternative:1. Deducibilità ai sensi del DPR 917/86 a favore di ONG per dona-zioni destinate a Paesi in via di sviluppo. Deduzione nella misuramassima del 2% del reddito imponibile sia per le imprese che per lepersone fisiche.2. Oneri deducibili ai sensi del DL 460/97 per erogazioni liberali afavore di ONLUS.Per le imprese per un importo massimo di euro 2.065,83 o del 2%del reddito di impresa dichiarato.Per le persone fisiche detraibile nella misura del 19% per un importocomplessivo non superiore a euro 2.065,83.Ai fini della dichiarazione fiscale è necessario scrivere sempre ON-LUS o ONG dopo Amani nell’intestazione e conservare:1. per i versamenti con bollettino postale: ricevuta di versamento;2. per i bonifici o assegni bancari: estratto conto della banca ed even-tuali note contabili.

Incontri di padre Kizito in Italia

Riportiamo qui il calendario de-gli incontri pubblici e delle con-ferenze a cui padre Kizito par-teciperà nel periodo in cui saràin Italia. Ricordiamo che il pre-sente calendario è in via di de-finizione e soggetto a modifi-che. Siamo a vostra disposizio-ne per ogni chiarimento edulteriori informazioni.

15 maggio: Matera

22-23 maggio: Caserta

24 maggio: Porto San Giorgio(Ascoli Piceno)

28 maggio: Cologno Monzese(Milano)

29 maggio: Monticello Brian-za (Como)

1 giugno: Udine

3 giugno: Genova Pegli

7 giugno: Vignale Monferra-to (Alessandria)

Chi fosse interessato a parteci-pare agli incontri di padre Ki-zito previsti in Italia può con-tattare la sede di Amani.

“Il vaso magico” di Mela Tomaselli

Favole e leggende dei Giriama del Kenya

I primi Giriama che abbiamoincontrato erano bambini. Ab-biamo chiesto loro: "Ci raccon-tate una favola?", ma conosce-vano solo quelle che avevanoimparato a scuola, che non era-no del loro paese. Allora siamoandati dai genitori perché ciraccontassero delle favole gi-riama, ma non se le ricordava-no, perché era passato troppotempo da quando erano statibambini. Siamo andati poi acercare i nonni, e purtroppomolti erano morti. Quei pochiche abbiamo avuto la fortuna diincontrare, ci hanno racconta-to quello che ricordavano, ma

soprattutto ci hanno indicatola via: "Andate a cercare in unvillaggio sperduto, dove nontutti i bambini vanno a scuola".Alcune delle storie raccolte inquesto libro le abbiamo trova-te lì, e ce le ha raccontate unabambina che si chiama Furaha.Il suo nome significa "felicità".

Il libro “Il vaso magico” di Me-la Tomaselli edito da EMI èdisponibile presso la sede diAmani.

“Sognando e Dintorni” di Marco Milani

“La grande particolarità diquesto intarsio di narrazioni èproprio quella di prendere permano il lettore avvicinandoload un autore che scende dalpiedistallo di ‘mostro sacro’ sucui molti amano arroccarsi.Per questi ed altri motivi, que-sto libro è stato per me un mo-tivo di speranza, che porta neldeserto della devastazione cul-turale una boccata d’aria e unpo’ di respiro per dire che nonè tutto perduto, e cose prezio-se come i libri e i racconti pos-sono ancora ritagliarsi deglispazi di libertà fuori dalle lo-giche di mercato, stimolandola nascita di nuove voci” (dal-la presentazione del libro diCarlo Giubitosa)

Il libro “Sognando e Dintorni”di Marco Dilani edito da Pro-spettiva Editrice è disponibilepresso la sede di Amani. L'au-tore, in collaborazione con Pea-celink - telematica per la Pace,devolve tutti i proventi e i di-ritti di questo libro ad Amaniper aiutare il centro di Kivuli.

Artigianato africano

Sono disponibili su ordinazio-ne presso la sede di Amani og-getti di ottima qualità prodot-ti nei laboratori di avviamen-to professionale del Centro diKivuli. Tra questi oggetti incuoio, palloni da calcio, calcet-to e pallamano, tamburi in le-gno, giochi per bambini, pro-dotti dai ragazzi più grandi diKivuli per finanziarsi gli stu-di. Una menzione particolaremeritano i batik, caratteristi-ci tessuti di origine indiana di-pinti a mano, ottimi comebomboniere per matrimoni ebattesimi. I ragazzi che li pro-ducono, dopo aver appreso latecnica da un maestro, pren-dono spunto per i soggetti datemi iconografici della tradi-zione africana o dalla loro li-bera vena creativa, illustrandoin questo modo aspetti con-nessi alla vita dei giovani diuna grande metropoli comeNairobi.

Chi volesse avere maggioriinformazioni, può contattarci ai tel. 02 48951149 / 02 4121011 e all'e-mail [email protected].

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Iniziative

Editore: Associazione Amani Onlus-Ong, via Gonin 8, 20147 MilanoDirettore responsabile: Daniele ParoliniCoordinatore: Lorenzo Chiodo GrandiProgetto grafico: Ergonarte, MilanoStampato presso: Grafiche Riga srl, via Repubblica 9, 23841 Annone Brianza (LC)Registrazione presso la Cancelleria del Tribunale Civile e Penale di Milanon. 596 in data 22.10.2001

Porta il tuo cuore in AfricaAMANI

La copertina del libro favole di Mela Tomaselli.

Si è conclusa la quarta edizione del premio letterarioEnergheia, sezione africana Africa Teller, organizzatadall’associazione culturale Energheia di Matera in col-laborazione con Amani. La cerimonia di consegna del premio avrà luogo nel-la splendida Matera sabato 15 maggio alle ore 19.30presso la sala Carlo Levi di palazzo Lanfranchi, in viaRidola.Presiederanno alla consegna del premio i membri del-la giuria: Nicoletta Dentico (MSF), Raffaele Masto(Radio Popolare) e Anna Vanzan (Afriche&Orienti). Al-l’incontro interverranno anche padre Kizito Sesana eGian Marco Elia.L’assegnatario del premio è una giovane donna keniota,Fanis Odhiambo, con il racconto “Love conquers”. Siete tutti invitati ad assistere alla premiazione. Peri dettagli organizzativi potete contattare le segreteriedi Energheia (0835 330750) o Amani.

Premio letterario Energheia - Africa Teller4a edizione

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