2004-03-20 Anni Di Piombo

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LA REPUBBLICA 39 SABATO 20 MARZO 2004 (segue dalla prima pagina) S crivo della violenza che imper- versa, della Milano blindata, ma anche delle pistole facili. La sera stessa due cronisti di Repubblica in un bar di Porta Ticinese, fre- quentato dai «compa- gni che sbagliano», sentono che a un tavo- lo vicino si parla del mio articolo, del gioielliere borghese che ha ucciso un pro- letario, uno che faceva una rapina per l’auto- finanziamento della lotta armata. E tre giorni dopo Torregia- ni viene ucciso davan- ti al suo negozio, ferito anche il figlio che ri- mane paralizzato. Dopo Torregiani sarà giustiziato nel Veneto un macellaio colpevo- le di essersi opposto a una rapina e poi toccherà a una guar- dia carceraria colpevole di indossa- re una divisa. Per questi delitti Batti- sti ha avuto due ergastoli. Ma, dico- no gli intellettuali francesi che han- no voluto Battisti libero, l’Italia era in guerra. Non esattamente, non in una guerra dichiarata fra nemici ricono- scibili nelle opposte trincee, ma in un divampare incontenibile di vio- lenza e di morte, in una rete avvol- gente di violenza e di morte in cui chiunque, anche l’osservatore di- staccato, anche il cronista senza bandiere e senza passioni poteva in- cappare. La morte come la soluzione di tutte le contraddizioni dell’esi- stenza, come la mitica unione fra Te- seo e il Minotauro di cui ha scritto un brigatista, le due facce, i due nomi della stessa ferocia. E anche il terro- re come routine: le mogli dei gam- bizzabili che aspettano per uscire di esser fuori dalla fascia del terrore fra le sette e le otto e mezzo del mattino, il tempo in cui i «travet della tibia» fanno il loro lavoro. Il terrore come faccenda usuale, quotidiana, il killer di Prima linea che appena alzato ri- passa l’elenco delle vittime candida- te e sceglie: «questo no perché esce senza scorta il sabato e io il sabato devo andare a sciare, quest’altro neppure sta troppo lontano da casa mia, questo sì, esce di sera, va a spasso in corso Vin- zaglio dove passa il 24 e così, dopo, lo prendo e vado a cena dai miei». E c’è anche la routine del- le vittime, un ufficiale dei carabinieri mi rac- contava: «Un mattino arrivo sul luo- go dell’attentato cinque minuti do- po, il ferito ha già i lacci emostatici al- la gamba. «Dov’è il dottore?» chiedo. «Non c’è, dice, i lacci li porto sempre con me» . «Ogni cosa» si dice «ha la sua stel- la utopica nel sangue». In quegli an- ni nessuno sa bene se stia nascendo un mondo nuovo o se si affondi nel- l’antica barbarie, ma tutti sanno che è il tempo della morte e sono in mol- ti ad accontentarsi di questa rispo- sta: ci fu un tempo in cui arrivarono i giorni bui, i giorni del labirinto e poi quei giorni si dileguarono quel buio scomparve. Niente altro. Sì ma a qualcuno interessa capire che cosa c’è stato fra la parola prin- cipio e la parola fine. Battisti, il terrorista che la Francia ha liberato, è pronipote del martire trentino. Ho conosciuto un’altra della famiglia, la figlia del martire, una sera a Trieste, nel ‘72 in una trat- toria del porto assieme a un grande terrorista di cui era amica, Vittorio Vidali, il Carlos Contreras della guer- ra di Spagna. Lui portava il basco an- che a tavola e un maglione blu, lei una signora anziana, minuta, vesti- ta di nero, un passerotto vicina al ter- rorista di Stalin che aveva mandato i comunisti di Monfalcone a morire nei lager di Tito. Una strana coppia, di opposti, lei nella storia sacra ita- liana, lui nella Internazionale co- munista. Forse una storia arrivata fi- no al Battisti pronipote. Negli anni Settanta per il giornale cercavo di conoscere i giovani sovversivi come Battisti, rapidi incontri eccitanti e incomprensibili: le mogli dei briga- tisti che venivano in redazione in via Turati a chiederci notizie dei loro mariti imprigionati, giovani, anche belle fra i sorrisi e le minacce. La fau- na terrorista dai mille volti: il giova- ne che a una riunione al Politecnico mi si era avvicinato per dirmi: «Ma tu che vai cercando da ogni parte i bri- gatisti, guarda che ce li hai attorno, uno come me per esempio». Il confi- ne fra la normalità e la cospirazione terrorista era sottilissimo, spesso in- visibile. Uscivo di casa e vedevo il giovane con l’impermeabile grigio alla posta. Per annotare i miei orari o per aspettare una amorosa? La por- tinaia, una vecchia partigiana, lo te- neva d’occhio dalla sua finestra, era anche lei della partita, un giorno era corsa dietro per le scale a tre di quei giovani che forse erano, forse non erano, dei «travet della tibia» pronti a spararti come esame di ammissio- ne nelle Br. Il terrorismo onnipre- sente e sfuggente: quel mattino che sulla porta della redazione c’era uno che aveva appena messo nella buca delle lettere un volantino delle Br e tu lo seguivi per via Turati e lui si vol- tava di continuo a guardarti. Quel terrorismo che serpeggiava nel pra- to di casa. Un pomeriggio a un comi- zio di comunisti all’Alfa di Arese, la sala gremita di compagni ma su una pila alta di pneumatici si era arram- picato Celestino uno che distribuiva volantini delle Br e tutti lo sapevano, lo conoscevamo e dall’alto della sua pila Celestino interrompeva il com- pagno venuto da Roma e in sala un po’ si protestava e un po’ si rideva perché in fabbrica quelli della co- lonna Alasia tutti li conoscevano. O certe sere al circolo De Amicis di Al- do Aniasi che si parla- va di Carlo Casalegno colpito a Torino dalle Br e dal fondo della sa- la partiva una voce «non uno, ma cento Casalegno» e nasceva un tafferuglio, cerca- vano di fermarlo, ma finiva nel nulla, come se anche quel grido rientrasse nella nor- malità dei «compagni che sbagliano». In po- chi mesi era cambiata l’intera Milano come poi scriverà il brigati- sta Semeria: «Capim- mo sulla nostra pelle che metropoli non si- gnifica città più gran- de, ma un intreccio nuovo di rapporti so- ciali, una nuova pelle urbana di leopardo, in cui bisognava imparare un modo nuovo di vivere e di sopravvivere, co- me in una giungla o in un deserto. Spuntavano dovunque i super- market dei consumi, si spezzavano o si deformavano le vecchie relazioni» . Era la Milano dove i confini comu- nali sparivano con i vecchi dazi, do- ve si alzavano le barriere coralline dei casoni nei prati della periferia, le città dormitorio della migrazione in- terna, la metropoli nascente confusa tra gli studenti di Capanna che con- testavano la prima della Scala e il proletariato di Quarto Oggiaro che praticava le autoriduzioni nei servizi pubblici, fra nuovo riformismo e ri- voluzione nascente. Una sovversio- ne con pochi caratteri comuni: il ri- fiuto dei padri, della loro cultura in- vecchiata, delle loro certezze perdu- te, l’emergere degli angosciati degli spostati, operai, intellettuali, stu- denti che si sentono emarginati dal- la trasformazione e non si adattano, che come i loro omologhi squadristi diciannovisti non si rassegnano a campare nei retrobottega vogliono impadronirsi della città. C’è, e non può mancare la nuova «qualità fon- dativa» come la chiamano, il «mi muovo dunque sono» l’attivismo che si dice rosso ma che ripete il fu- turista, il fascista, i pas- saggi obbligati, la mira sovversiva sempre più alta che diventa strate- gia fra fughe in avanti, legnate, recuperi, i cor- tei rivoluzionari che ar- rivano in piazza Duo- mo, le occupazioni, gli scontri selvaggi in corso Traiano a Torino, i servizi d’ordine di Lotta continua o di Potere operaio e nella nebulosa della contestazio- ne quei nomi, quelle facce che pas- seranno da un bacino di raccolta al- l’altro fino alla sfida aperta allo Sta- to con il sequestro Moro. Il terrorista Battisti uno dei tanti che hanno vis- suto una storia confusa, ambigua e che con il passar degli anni l’hanno ricostruita e abbellita immaginan- dola come una guerra civile che in realtà non ci fu, che fu solo una ever- sione di parte, con nemici inventati che non sapevano neppure di esser- lo, come la maggior parte dei gam- bizzati od uccisi. Oggi ci si chiede quale parte eb- bero in questa violenza i casi perso- nali, le patologie personali. Che ci siano state è fuori discussione, è una constatazione medica, ogni cento persone c’è uno schizofreni- co che non sa avere un rapporto normale con la realtà, qualsiasi analista potrebbe trovare nella sin- drome del terrorismo i segni del- l’infantilismo schizofrenico, il ri- fiuto di misurarsi con il lavoro e con la società. Sì, certamente molti co- me Battisti sono entrati nel labirin- to per voglia di avventura, perché mancavano i tradizionali sfoghi della violenza, le guerre patriotti- che, le esplorazioni, le colonie. Ma si fa storia con queste sabbie mobi- li? E si fa storia oggi inventando, co- me attorno a Battisti, una storia che non c’è stata? Lanostraorribilestagionedisangue GIORGIO BOCCA GLI anni di piombo ebbero un prologo in cielo. Fu una festa ad annunciarli, un rito di passaggio e iniziazione. Via della casa del padre! Come accadde che la festa, nel giro di pochi anni, si fece tanto crudele? Fu colpa del fatale “combinato disposto” dell’ostinata re- sistenza dei padri e dell’infantile impotenza dei figli a di- scernere i propri sogni, per quanto balbettanti, dal puz- zo cadaverico delle feroci ideologie del secolo che tra- montava? Comunque sia, quegli anni si fecero di san- gue. Il “plumbeo” seguì; si apriva la transizione infinita; tristezza del declino e noia della ripetizione. Nel “plum- beo” tutto rimane come ingessato: nulla davvero viene ricordato – poiché ricordare significa saper elaborare e superare i propri lutti – e nulla davvero dimenticato. Né virtù della memoria né virtù dell’oblio (senza la quale sa- rebbe altrettanto impossibile vivere). Così questo paese, moralmente e culturalmente, tira avanti: “commemorando” la P38 e “governando” con la P2. MASSIMO CACCIARI ANNI DI PIOMBO. di Cosa è stato il terrorismo rosso Le pistole, gli agguati, le parole a volte più pesanti delle pallottole Quella storia non realizzò il paradiso né produsse la fine del capitalismo Ma generò soltanto morte e lutti DOPO IL CASO DEL TERRORISTA BATTISTI ANNI PIOMBO ANNI PIOMBO D IA R IO di

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LA REPUBBLICA 39SABATO 20 MARZO 2004

(segue dalla prima pagina)

Scrivo della violenza che imper-versa, della Milano blindata,ma anche delle

pistole facili. La serastessa due cronisti diRepubblica in un bardi Porta Ticinese, fre-quentato dai «compa-gni che sbagliano»,sentono che a un tavo-lo vicino si parla delmio articolo, delgioielliere borgheseche ha ucciso un pro-letario, uno che facevauna rapina per l’auto-finanziamento dellalotta armata. E tregiorni dopo Torregia-ni viene ucciso davan-ti al suo negozio, feritoanche il figlio che ri-mane paralizzato.Dopo Torregiani saràgiustiziato nel Venetoun macellaio colpevo-le di essersi opposto auna rapina e poi toccherà a una guar-dia carceraria colpevole di indossa-re una divisa. Per questi delitti Batti-sti ha avuto due ergastoli. Ma, dico-no gli intellettuali francesi che han-no voluto Battisti libero, l’Italia era inguerra. Non esattamente, non in unaguerra dichiarata fra nemici ricono-scibili nelle opposte trincee, ma inun divampare incontenibile di vio-lenza e di morte, in una rete avvol-gente di violenza e di morte in cuichiunque, anche l’osservatore di-staccato, anche il cronista senzabandiere e senza passioni poteva in-cappare. La morte come la soluzionedi tutte le contraddizioni dell’esi-stenza, come la mitica unione fra Te-seo e il Minotauro di cui ha scritto unbrigatista, le due facce, i due nomidella stessa ferocia. E anche il terro-re come routine: le mogli dei gam-bizzabili che aspettano per uscire diesser fuori dalla fascia del terrore frale sette e le otto e mezzo del mattino,il tempo in cui i «travet della tibia»fanno il loro lavoro. Il terrore comefaccenda usuale, quotidiana, il killerdi Prima linea che appena alzato ri-passa l’elenco delle vittime candida-te e sceglie: «questo no perché escesenza scorta il sabato e io il sabatodevo andare a sciare, quest’altroneppure sta troppolontano da casa mia,questo sì, esce di sera,va a spasso in corso Vin-zaglio dove passa il 24 ecosì, dopo, lo prendo evado a cena dai miei». Ec’è anche la routine del-le vittime, un ufficialedei carabinieri mi rac-contava: «Un mattino arrivo sul luo-go dell’attentato cinque minuti do-po, il ferito ha già i lacci emostatici al-la gamba. «Dov’è il dottore?» chiedo.«Non c’è, dice, i lacci li porto semprecon me» .

«Ogni cosa» si dice «ha la sua stel-la utopica nel sangue». In quegli an-ni nessuno sa bene se stia nascendoun mondo nuovo o se si affondi nel-l’antica barbarie, ma tutti sanno cheè il tempo della morte e sono in mol-ti ad accontentarsi di questa rispo-sta: ci fu un tempo in cui arrivaronoi giorni bui, i giorni del labirinto e poiquei giorni si dileguarono quel buioscomparve. Niente altro.

Sì ma a qualcuno interessa capireche cosa c’è stato fra la parola prin-cipio e la parola fine.

Battisti, il terrorista che la Franciaha liberato, è pronipote del martiretrentino. Ho conosciuto un’altradella famiglia, la figlia del martire,una sera a Trieste, nel ‘72 in una trat-toria del porto assieme a un grandeterrorista di cui era amica, VittorioVidali, il Carlos Contreras della guer-ra di Spagna. Lui portava il basco an-che a tavola e un maglione blu, leiuna signora anziana, minuta, vesti-ta di nero, un passerotto vicina al ter-rorista di Stalin che aveva mandato icomunisti di Monfalcone a morirenei lager di Tito. Una strana coppia,di opposti, lei nella storia sacra ita-liana, lui nella Internazionale co-munista. Forse una storia arrivata fi-no al Battisti pronipote. Negli anni

Settanta per il giornale cercavo diconoscere i giovani sovversivi comeBattisti, rapidi incontri eccitanti eincomprensibili: le mogli dei briga-tisti che venivano in redazione in viaTurati a chiederci notizie dei loromariti imprigionati, giovani, anchebelle fra i sorrisi e le minacce. La fau-na terrorista dai mille volti: il giova-ne che a una riunione al Politecnicomi si era avvicinato per dirmi: «Ma tu

che vai cercando da ogni parte i bri-gatisti, guarda che ce li hai attorno,uno come me per esempio». Il confi-ne fra la normalità e la cospirazioneterrorista era sottilissimo, spesso in-visibile. Uscivo di casa e vedevo ilgiovane con l’impermeabile grigioalla posta. Per annotare i miei orari oper aspettare una amorosa? La por-tinaia, una vecchia partigiana, lo te-neva d’occhio dalla sua finestra, era

anche lei della partita, un giorno eracorsa dietro per le scale a tre di queigiovani che forse erano, forse nonerano, dei «travet della tibia» prontia spararti come esame di ammissio-ne nelle Br. Il terrorismo onnipre-sente e sfuggente: quel mattino chesulla porta della redazione c’era unoche aveva appena messo nella bucadelle lettere un volantino delle Br etu lo seguivi per via Turati e lui si vol-

tava di continuo a guardarti. Quelterrorismo che serpeggiava nel pra-to di casa. Un pomeriggio a un comi-zio di comunisti all’Alfa di Arese, lasala gremita di compagni ma su unapila alta di pneumatici si era arram-picato Celestino uno che distribuivavolantini delle Br e tutti lo sapevano,lo conoscevamo e dall’alto della suapila Celestino interrompeva il com-pagno venuto da Roma e in sala un

po’ si protestava e un po’ si ridevaperché in fabbrica quelli della co-lonna Alasia tutti li conoscevano. Ocerte sere al circolo De Amicis di Al-

do Aniasi che si parla-va di Carlo Casalegnocolpito a Torino dalleBr e dal fondo della sa-la partiva una voce«non uno, ma centoCasalegno» e nascevaun tafferuglio, cerca-vano di fermarlo, mafiniva nel nulla, comese anche quel gridorientrasse nella nor-malità dei «compagniche sbagliano». In po-chi mesi era cambiatal’intera Milano comepoi scriverà il brigati-sta Semeria: «Capim-mo sulla nostra pelleche metropoli non si-gnifica città più gran-de, ma un intreccionuovo di rapporti so-ciali, una nuova pelleurbana di leopardo, in

cui bisognava imparare un modonuovo di vivere e di sopravvivere, co-me in una giungla o in un deserto.Spuntavano dovunque i super-market dei consumi, si spezzavano osi deformavano le vecchie relazioni» .

Era la Milano dove i confini comu-nali sparivano con i vecchi dazi, do-ve si alzavano le barriere coralline deicasoni nei prati della periferia, lecittà dormitorio della migrazione in-terna, la metropoli nascente confusatra gli studenti di Capanna che con-testavano la prima della Scala e ilproletariato di Quarto Oggiaro chepraticava le autoriduzioni nei servizipubblici, fra nuovo riformismo e ri-voluzione nascente. Una sovversio-ne con pochi caratteri comuni: il ri-fiuto dei padri, della loro cultura in-vecchiata, delle loro certezze perdu-te, l’emergere degli angosciati deglispostati, operai, intellettuali, stu-denti che si sentono emarginati dal-la trasformazione e non si adattano,che come i loro omologhi squadristidiciannovisti non si rassegnano acampare nei retrobottega voglionoimpadronirsi della città. C’è, e nonpuò mancare la nuova «qualità fon-dativa» come la chiamano, il «mimuovo dunque sono» l’attivismoche si dice rosso ma che ripete il fu-

turista, il fascista, i pas-saggi obbligati, la mirasovversiva sempre piùalta che diventa strate-gia fra fughe in avanti,legnate, recuperi, i cor-tei rivoluzionari che ar-rivano in piazza Duo-mo, le occupazioni, gliscontri selvaggi in corso

Traiano a Torino, i servizi d’ordinedi Lotta continua o di Potere operaioe nella nebulosa della contestazio-ne quei nomi, quelle facce che pas-seranno da un bacino di raccolta al-l’altro fino alla sfida aperta allo Sta-to con il sequestro Moro. Il terroristaBattisti uno dei tanti che hanno vis-suto una storia confusa, ambigua eche con il passar degli anni l’hannoricostruita e abbellita immaginan-dola come una guerra civile che inrealtà non ci fu, che fu solo una ever-sione di parte, con nemici inventatiche non sapevano neppure di esser-lo, come la maggior parte dei gam-bizzati od uccisi.

Oggi ci si chiede quale parte eb-bero in questa violenza i casi perso-nali, le patologie personali. Che cisiano state è fuori discussione, èuna constatazione medica, ognicento persone c’è uno schizofreni-co che non sa avere un rapportonormale con la realtà, qualsiasianalista potrebbe trovare nella sin-drome del terrorismo i segni del-l’infantilismo schizofrenico, il ri-fiuto di misurarsi con il lavoro e conla società. Sì, certamente molti co-me Battisti sono entrati nel labirin-to per voglia di avventura, perchémancavano i tradizionali sfoghidella violenza, le guerre patriotti-che, le esplorazioni, le colonie. Masi fa storia con queste sabbie mobi-li? E si fa storia oggi inventando, co-me attorno a Battisti, una storia chenon c’è stata?

La nostra orribile stagione di sangueGIORGIO BOCCA

GLI anni dipiombo ebberoun prologo in

cielo. Fu una festa ad annunciarli, un rito di passaggio einiziazione. Via della casa del padre! Come accadde chela festa, nel giro di pochi anni, si fece tanto crudele? Fucolpa del fatale “combinato disposto” dell’ostinata re-sistenza dei padri e dell’infantile impotenza dei figli a di-scernere i propri sogni, per quanto balbettanti, dal puz-zo cadaverico delle feroci ideologie del secolo che tra-montava? Comunque sia, quegli anni si fecero di san-gue. Il “plumbeo” seguì; si apriva la transizione infinita;tristezza del declino e noia della ripetizione. Nel “plum-beo” tutto rimane come ingessato: nulla davvero vienericordato – poiché ricordare significa saper elaborare esuperare i propri lutti – e nulla davvero dimenticato. Névirtù della memoria né virtù dell’oblio (senza la quale sa-rebbe altrettanto impossibile vivere). Così questopaese, moralmente e culturalmente, tira avanti:“commemorando” la P38 e “governando” con la P2.

MASSIMO CACCIARI

ANNI DI PIOMBO.

di

Cosa è statoil terrorismo

rossoLe pistole,

gli agguati,le parole a

volte piùpesanti delle

pallottole

Quella storianon realizzòil paradisoné produssela fine delcapitalismoMa generòsoltantomorte e lutti

DOPO IL CASO DEL TERRORISTA BATTISTI

ANNIPIOMBO

ANNIPIOMBO

DIARIOdi

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40 LA REPUBBLICA SABATO 20 MARZO 2004D I A R I O

LA PRIMA AZIONE 1970

I primi volantini firmati Brigate Rosseappaiono a Milano nella primavera 1970. Il17 settembre a Brescia due bidoni dibenzina esplodono contro il box auto diGiuseppe Leoni, dirigente Sit-Siemens

IL SEQUESTRO SOSSI 1974-1976

Il 18 aprile a Genova un nucleo brigatistarapisce il giudice Mario Sossi, rilasciatodopo 35 giorni di prigionia. L’8 giugno ‘76viene ucciso il magistrato FrancescoCoco. E’ l’attacco “al cuore dello Stato”

UNA CATENA DI OMICIDI ’77-’80

Il 28 aprile le Br freddano con cinque colpidi pistola Fulvio, il presidente dell’Ordineavvocati del Piemonte. E’ poi la volta delmagistrato Palma, del giudice Tartaglione,di Carlo Casalegno

I LIBRI

ROBERT

LUMLEY

Dal ’68 aglianni di piombo,Giunti 1998

NANNI

BALESTRINI

PRIMO

MORONI

L’orda d’oro(1968-1977. Lagrande ondatarivoluzionaria ecreativa,politica edesistenziale),Sugarco 1988

GIORGIO

BOCCA

Il terrorismoitaliano. 1970-1978, Rizzoli1978

WALTER

LAQUEUR

Storia delterrorismo,Rizzoli 1978

GIAMPAOLO

PANSA

Storie italianedi violenza eterrorismo,Laterza 1980

LEONARDO

SCIASCIA

L’affaire Moro,Adelphi 1994

CARLA

MOSCA

ROSSANA

ROSSANDA

Brigate rosse.Una storiaitaliana.Intervista aMario Moretti,BaldiniCastoldi Dalai1998

SERGIO

ZAVOLI

La notte dellaRepubblica,Mondadori1992

DANIELE

BIACCHESSI

Il delittoD’Antona.Indagine sullenuove BrigateRosse, Mursia2001

RAIMONDO

CATANZARO

LUIGI

MANCONI

(a cura di),Storie di lottaarmata, IlMulino 1995

LE TAPPE

PRINCIPALI

MOROLa celebre

immagine diAldo Moro

fu unoshock per

tutta l’Italia eper il mondo.

A sinistra, duemanifesti del

Pci deglianni ’70 cheinvitano alla

mobilitazionecontro il

terrosrismo

VIOLENZAUn manifesto

di gruppidell’estrema

sinistrache invita aimpedire la

“prima” dellaScala del ’77.

L’asciaè un simboloesplicito delrichiamo alla

violenza tipicodi quel

periodo

come scegliessero le persone dauccidere o da invalidare. Mai checapitasse nel mirino brigatista ilsuper-delinquente, il mafioso, iltruffatore, il tangentaro. Lo dicoper paradosso: sarebbe stato uncrimine anche in quel caso. Co-munque, a finire scannati eranofior di galantuomini, spesso pro-gressisti: manager, giudici, avvo-cati, politici, docenti universitari,giornalisti, capi operai, agenti ocarabinieri più proletari dei lorokiller.

Ammazzavano guardie comeSaponara, Dejana, Ciotta, Berar-di, Cotugno, Di Cataldo. Tu anda-vi nelle loro case, a Genova, a Tori-no, a Milano. E scoprivi la mode-stia di esistenze sacrificate. Nien-te mobili di lusso. Niente fuorise-rie in garage. Niente abiti griffati.Oggi sarebbero dei pensionati, ag-

LA LUNGA STRAGE

DEGLI UOMINI INNOCENTI

CHE COSA È STATO IL BRIGATISMO ROSSO E PERCHÉ È GIUSTO RICORDARE I SUOI MISFATTI

(segue dalla prima pagina)

Ci misero in sorveglianza, maal momento giusto non citrovarono. Così assassina-

rono Walter. A Milano, il 28 mag-gio 1980.

Adesso, un quarto di secolo do-po, mi dicono che dovrei chiederescusa a un altro killer, il CesareBattisti di Parigi. E ai killer uguali alui. Ma perché dovrei farlo? Stan-no ancora sulla piazza per com-piere un altro omicidio: quellodella nostra memo-ria. Preten-dono di farcidimenticareche cosa èstato il ven-tennio del ter-rorismo rosso.Le vittime. I ri-catti. La paura.L’odio fanatico.La devastazionepolitica. E so-prattutto l’in-cancellabile of-fesa che hannoarrecato agli esse-ri umani diventatile loro prede.

Invece no. Biso-gna tenere acceso ilricordo di queltempo. Le primeombre che rivedosono i fantasmi degli increduli.Dei tanti inchiodati alla convin-zione che anche il terrorismo ros-so fosse nero. Sono fascisti, strilla-vano. O agenti dei servizi segretideviati. Provocatori al soldo dellaCia americana o del Kgb sovietico.Golpisti reazionari. Burattini inmano alla P2. Quando si seppe diRenato Curcio, i giornali del Pci edel Psi scrissero che era un con-giurato di Ordine nuovo.

Ancora alla fine del 1977, a Tori-no la Cgil, la Cisl e la Uil, nel con-vocare la manifestazione per l’ag-guato a Carlo Casalegno, parlava-no sempre (ho di fronte a me il vo-lantino) di «terrorismo di stampofascista». Anche i covi delle Br aMilano erano ritenuti finti. Li alle-stiva la questura, per farli trovare aquell’ingenuone del sostitutoprocuratore Guido Viola.

Dall’incredulità si passò all’in-dulgenza. I brigatisti erano com-pagni che sbagliavano. O dei Ro-bin Hood male indirizzati. Guai achiamarli come meritavano. Labarriera lessicale rimase salda peranni. Nell’aprile 1982, all’aperturadel primo processo Moro, descris-si su Repubblica i capi e i gregari Brin quell’aula: una rimpatriata diallegri becchini, che sghignazza-vano in faccia ai familiari delle lo-ro vittime. Insorse il Manifesto,spiegando che sfogavo la mia de-bolezza contro dei fantocci. Ilquotidiano Lotta Continua scrisseche mancavo di distacco, che aiz-zavo, come aizzava il presidentedella Repubblica, Sandro Pertini.

Era vietato anche avere dubbisull’acume delle analisi brigatiste.Per la sinistra di panna, non si do-veva scrivere che la storia delle Brera soltanto la storia delle loro vit-time. Eppure, gli squadroni dellamorte con la stella a cinque puntenon avevano prodotto nulla. Nonil paradiso proletario. Non il crol-lo del mitico Sim, lo Stato imperia-lista delle multinazionali. Non lafine del capitalismo. Avevano sol-tanto mandato sotto terra degli es-seri umani, con una serie di delittimascherati da «campagne diguerriglia».

Mi sono sempre domandato

do delle «dipartite di un lavorato-re qualificato del Pci e di un ammi-nistratore equo della giustizia ca-pitalistica». Entrambi «impiegatidella macchina sociale di control-lo antiproletario», eliminati «indue azioni di combattimento».

Vedo che la diffamazione èun’abitudine dura a morire. Anco-ra in questi giorni (l’ha denuncia-to l’Unità) in un forum del sitoIndymedia, area no-global, Rossaviene sempre bollato come «infa-me sindacalista». O sputacchiato

così: «Mettiti in culoil nome diGuido Rossa,come quellodi tutti gli altriinfami chehanno vendu-to la vita deicompagni aglisbirri».

Alla terza uc-cisione provve-deva una ghi-gliottina verbale.La vittima venivaguardata con so-spetto cinico.Sentivi dire: se glihanno sparato,una ragione ci saràstata. Forse tor-mentava davverogli operai del suo re-parto. Forse incri-

minava davvero i proletari, senzamotivo. Forse scriveva davvero ar-ticoli forcaioli. Ecco un meccani-smo micidiale, che estendeva al-l’infinito la strategia del patibolo.E spesso iniziava ben prima delcosiddetto attacco armato, conl’imbrattamento della vittima de-signata.

Certo, furono anni di piombo.Ma anche di parole pesanti comepallottole.

Prima che dai proiettili del suokiller, il commissario Luigi Cala-bresi venne accoppato giorno do-po giorno dagli articoli, dalle vi-gnette, dai comizi, dagli spettaco-li teatrali, dalle voci, dai sussurri.Additandolo senza prove al di-sprezzo di mezza Italia come l’as-sassino dell’anarchico GiuseppePinelli, a Calabresi si applicò perdue anni e passa una tecnica di-struttiva tipica dei poteri autorita-ri. Lotta continua tracciò il solco,che poi gli aratri brigatisti ap-profondirono e moltiplicarono.

Il giorno che le Br uccisero Ca-salegno, nel novembre 1977, laghigliottina verbale funzionò adovere. Ero a Torino, quella sera. Edopo aver scritto il mio primo ser-vizio per Repubblica, andai in giroper la città. La conoscevo bene,Torino. Ci avevo studiato e poi la-vorato per dieci anni. Sapevo amemoria dove stavano certi puntidi ritrovo, certi bar, certe trattorie.

Vi trovai gente che rideva. E ghi-gnava, soddisfatta: se l’è voluta, iltuo Casalegno, speriamo che cre-pi, questo servo della Fiat. Riden-do anticipavano il volantino bri-gatista. Dove il vicedirettore dellaStampa sarebbe stato dipinto co-me «un agente della controguerri-glia attiva, prezzolato e coscientedel proprio ruolo svolto sul terre-no della guerra psicologica» .

Avevo amato Torino. Era stato illuogo della mia giovinezza, un’i-sola magica, dove tutto era lieve. Lìavevo incontrato i miei maestriuniversitari, lì avevo abbozzato iprimi progetti della mia vita. Ma inquel tempo la città mi faceva pau-ra. Era diventata uno dei mattatoidelle Br. E ogni volta che ci torna-vo, maledivo tutto e tutti. Per pri-

mo il mestiere del cronista, che siera ridotto a fare la conta dei mor-ti ammazzati.

La stessa cosa mi stava succe-dendo per Genova. Qui avevo vi-sto il mare per la prima volta, comei piemontesi di provincia nellacanzone di Paolo Conte.

C’ero stato mesi e mesi, a pre-parare la tesi di laurea. Ma dal1976, con l’assassinio del procura-tore generale Francesco Coco,avevo cominciato a temere anchequella città. Fui costretto a tornar-vi dopo l’agguato a Casalegno,perché il giorno successivo le Bravevano sparato a un dirigente

dell’Ansaldo, Carlo Castella-no.

Per lui erastata decisa lagambizzazio-ne. In via Cor-sica, alle sei emezzo della se-ra, un gruppo difuoco brigatistacominciò a fareil tiro a segno.

Castellano poimi raccontò quel-lo che Casalegnonon aveva più po-tuto descrivere. Iprimi dolori allegambe. Le urla di

chi lo inseguiva. Il succedersi deicolpi. «Ricordo gli occhi di chi misparava mentre ero già a terra. Oc-chi carichi di tanto odio, come seio fossi una preda a cui far male,per cui non ci doveva essere nes-suna pietà. Occhi dove ho vistouna sola cosa: la voglia di distrug-germi» .

Soltanto gambizzato. Era l’or-rendo neologismo del tempo. Conun seguito non detto: gli è andatabene, non ci ha rimesso la pelle.Ma per Castellano, come per tantialtri, il seguito vero fu un altro: do-dici interventi chirurgici, una tor-tura protratta per anni, dovercamminare ancora oggi con diffi-coltà.

Castellano e io siamo diventatiamici. E quando le Br hanno ripre-so a sparare, ammazzando primaMassimo D’Antona, quindi Mar-co Biagi, e poi l’agente di polizia

grediti dal fiscal drag e alle presecon il carovita. Eppure dovevanomorire. Perché, servendo lo Stato,cioè noi, erano diventati dei sot-touomini, come i nazisti dicevanodegli ebrei da gassare.

Tutti venivano uccisi tre volte.La prima con le rivoltelle, o le mi-tragliette. La seconda con il volan-tino di rivendicazione. Qui la figu-ra e la storia della vittima eranocancellate. E al loro posto venivaofferto al disprezzo un pupazzosconcio. In questa fase, al macel-laio brigatista si aggiungevano gliavvelenatori dei tanti fogli della si-nistra più estrema.

Quando nel gennaio 1979, a cin-que giorni uno dall’altro, Br e Pri-ma linea assassinarono l’operaioGuido Rossa e il magistrato EmilioAlessandrini, una rivista di Pado-va, Autonomia, li schernì. Scriven-

GIAMPAOLO PANSA

Nella persona di Moro, è lo Stato

vuoto, assente a essere preso in

ostaggio dai terroristi, anch’essi

clandestini e inafferrabili – l’uno

e gli altri mimano disperatamente

il potere e il contropotere

Le strategie fatali1983

JEAN BAUDRILLARD

Ero scandalizzato della violenza

verbale dei contestatori. Ma

allora ero lontanissimo dal

pensare che dalla violenza

verbale le frange estremiste

passassero alla violenza fisica

Autobiografia1997

NORBERTO BOBBIO

‘‘

,,

Non possiamo dimenticare che

cosa è stato il ventennio del

terrorismo rosso. Le vittime,

i ricatti, la paura, l’odio fanatico

e la devastazione della politica

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LA REPUBBLICA 41SABATO 20 MARZO 2004 D I A R I O

L’UCCISIONE DI BACHELET 1980Il 12 febbraio all’Università di Roma vieneucciso Vittorio Bachelet, professore didiritto amministrativo, vicepresidente delCsm. L’omicidio avviene davanti all’aula diScienze politiche intitolata a Moro

IL DELITTO TOBAGI 1980Walter Tobagi, inviato speciale del“Corriere della Sera” è freddato a pochipassi da casa, mentre stava andando inredazione. Il delitto è rivendicato dallaBrigata 28 Marzo

GIUSTIZIATO PECI 1981Le Br rapiscono e uccidono perrappresaglia Roberto Peci, fratello diPatrizio, il primo grande pentito. Ripresada una telecamera, l’esecuzioneraggiunge forme particolarmente efferate

LA SECONDAVOLTAA TorinoAlbertoSajevo,professoreuniversitario,incontra percaso LisaVenturi, laterrorista che12 anni primagli ha sparatoDi MimmoCalopresti(1995)

LA MIAGENERAZIONEBraccio,terroristadissociatocondannato a30 anni,viaggia versoMilano su unfurgoneblindato incompagniadei carabinieri.Il viaggio è inrealtà unatrappola perfarlocollaborareDi WilmaLabate(1996)

BUONGIORNO,NOTTEIl sequestro diAldo Moro dalpunto di vistadel rapportotra il leaderdella Dc e isuoisequestratoriDi MarcoBellocchio(2003)

LA MEGLIOGIOVENTÙLa storiadell’Italia, daglianni Sessantapassando peril terrorismo,fino ai giorninostriDi MarcoTullioGiordana(2002)

ANNI DIPIOMBOIspirato allavicenda dellesorelleChristiane eGudrun Esslin,una militantein un giornalefemminista,l’altraterrorista.Di Margarethevon Trotta (1981)

I FILM

Emanuele Petri, abbiamo comin-ciato a domandarci: «Come mail’Italia è l’unico paese d’Europadove si uccide ancora in nome delcomunismo?» .

Che risposta dobbiamo dare?Giro la domanda a chi starà leg-gendo queste parole. Io non la co-nosco, la risposta. La guerra delterrorismo, durata più di vent’an-ni, ci ha ammutoliti troppe volte.Mi sono scoperto con la lingua ta-gliata quando le Br ricattavano igiornali, dicendo: o pubblicate inostri documenti, o uccideremol’ostaggio che abbiamo preso. Ac-cadde così nel dicembre 1981, conil sequestro del giudice GiovanniD’Urso. Vennero in redazione iparenti del magistrato, la moglie ela figlia, mi pare. Ci imploravano.Ma dovevamo dire di no.

In quei momenti, mi sentivo an-

ch’io prigioniero in qualche car-cere del popolo. Come Aldo Moro.O come l’ingegner Giuseppe Ta-liercio, il direttore della Montefi-bre di Marghera, rapito il 20 mag-gio 1981. E giustiziato il 5 luglio,dopo un mese e mezzo di tormen-ti.

Adesso gli amici di Cesare Batti-sti ci chiedono di fare autocritica.E di essere garantisti. Qui una ri-sposta ce l’ho. La conosco dal gior-no che rividi Stella Tobagi e par-lammo dei suoi figli. Da allora nonli ho più incontrati. E mi dico chesiamo stati, sì, poco garantisti. Manon con chi ha sparato.

Siamo stati per niente garanti-sti, aridi di cuore, disumani, conchi è stato ucciso. E con i loro pa-dri, le madri, le mogli, i figli. Tuttidimenticati. Io mi sento colpevoledi nient’altro che di questo.

Parigi

Professor Lazar, la Franciapost-sessantottina non haconosciuto il terrorismo, se

non in forme sporadiche e isola-te: come mai?

«Alcuni gruppuscoli hannopensato alla lotta armata nei pri-mi anni Settanta. Gli ingredientic’erano tutti: l’ideologia, la criti-ca del Partito comunista, lo Statocome bersaglio. A volte sono pas-sati all’azione, come nel marzo1972, quando sequestrarono Ro-bert Nogrette, un dirigente dellaRenault, che poi sarà rilasciato.In quegli stessi mesi, in Italia sisusseguono il sequestro Mac-chiarini alla Sit Siemens, lamorte di Feltrinelli, l’omici-dio Calabresi. Da noi la re-pressione è durissima,non c’è nessun lassismo:lo Stato è intransigente,ma senza eccedere. Al-cuni gruppi sono statisubito sciolti, AlainGeismar, il leader del-la Gauche Proleta-rienne, è stato incar-cerato malgrado laprotesta di Sartre. Ilministro degli Interni,Raymond Marcellin,ha represso senza esita-zioni e la vecchia forzadello Stato repubblicanoha svolto un ruolo decisi-vo e ciò contribuisce a spie-gare perché l’ultrasinistranon è passata alla lotta arma-ta».

Eppure c’erano le premesse:dal libro di July, Geismar e Mora-ne, che nell’estate ’68 vedevanola Francia andare «verso la guer-ra civile», ai servizi d’ordine de-gli estremisti, sempre pronti alloscontro di piazza. Cosa evita, ol-tre alla repressione, lo scivola-mento progressivo verso la clan-destinità e il terrorismo?

«Ci furono pochi teorici dellaviolenza e non c’è stata la rivoltasociale di una parte della classeoperaia fuori dei sindacati. Piùimportante ancora: con la rifon-dazione del Partito socialista e ilprogramma comune della sini-stra affiora una soluzione politi-ca. Questo avvenimento crea unasperanza di cambiamento, di al-ternanza, mentre in Italia c’è ilcompromesso storico».

Come reagiscono i gauchisti aquesta novità?

«Prima delle elezioni del 1974,nelle quali Mitterrand fu sconfit-to da Giscard d’Estaing, una par-te dell’ultrasinistra si vedeva inuna situazione cilena: la sinistrava al potere e noi cercheremo diapprofittarne. Non solo: al mo-mento dell’accordo con i sociali-sti, il Pcf era ancora molto forte epoteva attirare militanti gauchi-sti. L’unione della sinistra controla destra ha limitato automatica-mente l’audience dell’estremasinistra. E infine non dimenti-chiamo che in Francia c’è una de-mocrazia con una storia, in cui lapratica del voto è tale che ricorre-re alle armi sarebbe infrangereun tabù».

Ma è stato il paese delle rivolu-zioni...

«Io direi che nel Novecento sia-mo il paese della guerra civile si-mulata. Ci piace minacciarci, maalmeno dopo la Comune, mal-grado momenti di grandi tensio-

di uccidere: lo fanno gli ex com-battenti della guerra di Spagna,gli stranieri perseguitati o gliebrei senza più alternative. Nonera nella cultura francese. In Ita-lia è stato diverso per ragioni sto-riche».

Chi pensava veramente allalotta armata negli anni Settanta?

«Essenzialmente i trotzkisti e imaoisti. I trotzkisti volevano gliscontri di piazza per abituarsi al-la violenza, ma senza una pro-spettiva di lotta armata. Pensava-no che il primo obiettivo fossequello di conquistare una partedella classe operaia e non voleva-

no fare una violenza avanguar-distica, staccata dal movi-

mento di massa. E poiché ilmovimento non è venuto,

hanno escluso il passag-gio alla lotta armata. Imaoisti, invece, hannopensato seriamentealla lotta armata. Par-lavano di nuovi parti-giani, hanno rapitoNogrette, hannocompiuto atti violen-ti nel nord, sono statiisolati e repressi inmaniera terribile. E idibattiti interni, le la-

cerazioni hanno impe-dito loro di andare più

avanti».E allora come mai oggi

gli intellettuali di sinistra,spesso ex gauchisti di quel

periodo, difendono in que-sto modo Cesare Battisti e sem-

brano trattare i nostri ex terrori-sti come degli eroi?

«Ci sono motivazioni diverse.Alcuni non si pronunciano suglianni Settanta, si limitano a direche c’è uno Stato di diritto e chebisogna rispettare la parola datada Mitterrand agli ex terroristiitaliani. E’ una posizione rispet-tabile, anche se alcuni giuristi latrovano discutibile. Poi c’è chiocculta gli anni Settanta, nonvuol giudicare, perché si senteestraneo. Infine, c’è un terzo at-teggiamento, tenuto spesso dagliex gauchisti, a quell’epoca tenta-ti dall’idea di passare alla lotta ar-mata: in qualche modo ammira-no gli italiani, perché hanno avu-to il coraggio di passare all’atto.Parlano di un’Italia degli anniSettanta vista attraverso lo sguar-do di questi ex terroristi italiani,proiettano sull’Italia una mitolo-gia, pensano che l’ultrasinistraitaliana abbia avuto un sostegnodi massa e arrivano perfino a par-lare di guerra civile, cosa comple-tamente falsa dal punto di vistastorico. Questo dimostra ancorauna volta la scarsa conoscenzadell’Italia».

Ma come si spiega la scelta diFrançois Hollande, il segretariodel Partito socialista, che è anda-to a trovare Battisti in carcere?Certo, domenica ci sono le ele-zioni, ma è una ragione suffi-ciente?

«Non cercano solo i voti dell’e-strema sinistra, pensano di doversterzare a sinistra e per loro sitratta anche di difendere Mitter-rand. Infine, questo atteggia-mento dimostra che non cono-scono l’Italia. Sono convinti chein quell’epoca ci fosse una ditta-tura con i tribunali speciali. C’èun problema di ignoranza: nonsanno nulla della vostra storia».

ni, non siamo passati all’atto.Molti protagonisti degli anni Set-tanta hanno raccontato di avercipensato, ma i maoisti della Gau-che Proletarienne si sono resiconto di essere isolati e di non es-sere seguiti dal mondo operaio,perché c’era una soluzione poli-tica. E ricordiamoci anche un’al-tra cosa: nel 1941, quando decidesu ordine di Mosca di entrare nel-la lotta armata, il Pcf ha difficoltàa trovare militanti che accettano

GABBIAAlcunibrigatistiprocessati aRoma nelmarzo1989: alcentroMaurizioSeghetti

QUEI GAUCHISTIBOCCIATI IN ITALIANO

PARLA MARC LAZAR: LA FRANCIA E LA DIFESA DEGLI EX TERRORISTI

GIAMPIERO MARTINOTTI

LE IMMAGINI

Le immagini pubblicate sono in qualchemodo fissate nella memoria collettiva. Piùdi ogni altra forma di comunicazione tra-smettono quel senso di angoscia e di tra-gedia che l’Italia visse in quegli anni. La fo-to di copertina ritrae un momento di con-testazione violenta milanese che un grup-po di autonomi scatenò in via De Amicis il14 maggio 1977. Durante quegli scontrimorì un agente di polizia che si chiamavaCustrà. La foto centrale del paginone mo-stra Aldo Moro sequestrato dalle Br.

GLI AUTORI

Massimo Cacciari è uno dei più noti fi-losofi italiani. Tra i suoi lavori un saggiosul Pensiero negativo risalente agli anniSettanta. Una produzione successivaannovera L’Angelo necessario, Dell’Ini-zio. È stato sindaco di Venezia ed è Pre-side della facoltà di filosofia dell’Uni-versità San Raffaele di Milano.

Marc Lazar insegna all’Institut d’Étu-des Politiques di Parigi è studioso dellasinistra francese ed europea, con parti-colare attenzione alle vicende italiane.

Il terrorismo di sinistra non può

raggiungere gli scopi che dichiara

di proporsi. Non riesce a

spostare di un millimetro la

società italiana verso la

rivoluzione di sinistra

Techne. Le radici dellaviolenza, 2002

EMANUELE SEVERINO

Le Brigate Rosse avranno

studiato ogni possibile manuale

di guerriglia, ma nella loro

organizzazione e nelle loro azioni

c’è qualcosa che appartiene al

manuale non scritto della mafia

L’affaire Moro1978

LEONARDO SCIASCIA

‘‘

,,

Da noi il mito della rivoluzione è

rimasto per lo più confinato alle

idee. Per questo alcuni hanno

stoltamente ammirato il passaggio

all’atto dei vostri brigasti

Page 4: 2004-03-20 Anni Di Piombo

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40320

CIDEDRDGDO SEDE: 00185 ROMA, Piazza Indipendenza 11/b, tel. 06/49821, Fax06/49822923. Spedizione abbonamento postale, articolo 2, comma 20/b,legge 662/96 - Roma.

PREZZI DI VENDITA ALL’ESTERO: Austria € 1,85; Belgio € 1,85; Canada $ 1; Danimarca Kr. 15; Finlandia € 2,00; Francia € 1,85; Germania € 1,85;Grecia € 1,60; Irlanda € 2,00; Lussemburgo € 1,85; Malta Cents 50;Monaco P. € 1,85; Norvegia Kr. 16; Olanda € 1,85; Portogallo € 1,20 (Isole

€ 1,40); Regno Unito Lst. 1,30; Rep. Ceca Kc 56; Slovenia Sit. 280; Spagna€ 1,20 (Canarie € 1,40); Svezia Kr. 15; Svizzera Fr. 2,80; Svizzera Tic. Fr.2,5 (con il Venerdì Fr. 2,80); Ungheria Ft. 350; U.S.A $ 1. Concessionaria di pubblicità: A. MANZONI & C. Milano - via Nervesa 21, tel. 02/574941

Fondatore Eugenio Scalfari Direttore Ezio Mauro

INTERNET

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Anno 29 - Numero 67 sabato 20 marzo 2004€ 1,20 in Italia (con CD - “LE RIVE DEL MISSISSIPPI” € 8,10)

dal nostro inviato

BERNARDO VALLI

BAGDAD

IFUOCHI ci sono stati. Nond’artificio. Veri. Il primo an-niversario dell’invasione

americana non è passato deltutto sotto silenzio. Era già datempo calata la sera quando cisono state le prime esplosioni.

I proiettili sono piovuti nella“zona verde”, la città blindatanel cuore della città ordinaria,dove vivono le autorità irache-

ne e america-ne, civili e mi-litari, ed an-che membriminori dellac o a l i z i o n e(compresi gliitaliani).

Si è subitosentito l’al-larme. L’urlodella sirena èseguito allee s p l o s i o n i

più o meno alla stessa ora in cuinella notte tra il 19 e il 20 marzo2003 le truppe angloamerica-ne varcavano i confini irache-ni. Il suono che ha sottolineatola ricorrenza non era partico-larmente trionfale. Né rassicu-rante. Rispecchiava l’atmosfe-ra che regna nel paese presi-diato da truppe straniere (sba-razzato da un dittatore ma oc-cupato da chi l’ha liberato). Unpaese percorso da azioni diguerriglia, e tormentato da at-tentati terroristici sempre piùfrequenti, dodici mesi dopo.

Mentre nella “zona verde”piovevano i razzi (che chi vivequi ha considerato rituali, per-ché quasi quotidiani), le im-magini di George W. Bush, chepronunciava il suo rassicuran-te discorso d’anniversario allaCasa Bianca, riempivano i tele-schermi, con i sottotitoli in ara-bo. E Colin Powell se ne era ap-pena andato. Era già ripartitoper il Kuwait.

SEGUE A PAGINA 7

REPORTAGE

Un anno dopo

tra i fantasmi

di Bagdad

Clausola di solidarietà tra i Paesi. Ciampi: a Madrid colpita l’Europa. Pakistan, continua la battaglia contro Al Qaeda

Ue, accordo antiterrorismoCommissario alla sicurezza, impronte per tutti, espulsi i sospetti

A Roma attese 300mila persone

Oggi sfilanel mondoil popolopacifista

A PAGINA 10

Controlli antiterrorismo rafforzati in tutta Europa DA PAGINA 2 A PAGINA 8

Un’alternativa

alla guerraROMANO PRODI

CARO direttore, tredicimesi fa, il 15 febbraio,le capitali di tutto il

mondo furono attraversatedal popolo della pace. Milio-ni di donne e di uomini dis-sero no alla guerra in Iraq.Un mese dopo è iniziataquesta guerra al di fuori del-l’Onu e del diritto interna-zionale, una guerra che nondoveva cominciare, che sag-gezza e lungimiranza politi-ca consigliavano di evitare eche oggi non è ancora con-clusa, lasciando l’Iraq den-tro un guado, il cui passaggiopuò avere esiti imprevedibi-li e pericolosi.

SEGUE A PAGINA 18

La politica

“preventiva”PIERO FASSINO

CARO direttore, l’ecoterrif icante del leesplosioni di Madrid

rimbomba ancora nelleorecchie, mentre il popolodella pace si appresta a ri-portare in piazza, a un annodallo scoppio della guerrairachena, le sue bandiere ar-cobaleno. Mi hanno sempreinfastidito coloro che sotto-valutano o irridono il movi-mento per la pace.

SEGUE A PAGINA 17

La relazione del perito

Non fu suicidio

Pantani ucciso

dalla cocaina

PAOLA CASCELLA A PAGINA 21

Vivere con la paura

come a GerusalemmeSANDRO VIOLA

GERUSALEMME

LE STRADE sono piene di uomini ar-mati. Ad una fermata sulla Jaffa road,sei o sette soldati aspettano l’auto-

bus col mitra a tracolla. Sulla Neviim, dovesi sta formando una lunga coda d’automo-bili, la polizia esegue dei controlli: due po-liziotti tengono le pistole mitragliatricipuntate sull’autista, altri due o tre rovista-no nel portabagagli. Canne di fucili spun-tano da dietro le mura ottomane della cittàvecchia, dalle terrazze intorno al Muro delpianto, dalle autoblindo che stazionanoall’ingresso degli edifici pubblici. Sulla so-glia dei caffè, dei ristoranti, delle banche,vigilanti col giubbetto antiproiettile egrosse rivoltelle al fianco frugano nelleborse degli avventori, scrutano i passantiper cogliere nel colore della pelle, in un’e-spressione febbricitante, nel gonfiore d’u-na giacca, il segno che riveli l’attentatoresuicida.

SEGUE A PAGINA 9

L’INCHIESTA

Ma sul sostegno ai club in crisi è scontro con la Lega. Casini lo ferma sui regolamenti parlamentari

Berlusconi promette aiuti al calcioIl premier: “Ho idee scandalose sul voto delle Camere”

ROMA – Il governo scenderàdi nuovo in campo diretta-mente per salvare il calcio ita-liano dalla bancarotta. A dirloè il presidente del ConsiglioSilvio Berlusconi che ai clubin crisi promette: «Stiamo di-scutendo, ma penso che do-vremo intervenire». Lineacondivisa da An, come spiegaFini («Abbiamo il dovere diaiutare il mondo del pallo-ne»), ma non dalla Lega che,con Maroni, va all’attacco.Berlusconi poi preannuncianovità nel regolamento delleCamere: «Ho idee scandalosesul voto». Il premier pensa aconteggi per “gruppi”. Ideache trova il netto rifiuto di Ca-sini: «Non è una priorità diquesto momento».

BIANCHI, JERKOV e ZUNINOALLE PAGINE 14 e 19

La lingua straniera era una delle tre “I”

del programma elettorale del Polo

Il governo conferma

“Con la riforma

dimezzate

le ore di inglese

nelle scuole medie”MARIO REGGIO

A PAGINA 24

I nostri anni di piombo

DIARIO

LE LETTERE

ALLE PAGINE

39, 40 e 41

Il partito della P38

GIORGIO BOCCA

BATTISTI, il terrorista che la Francia ha li-berato. Ma questo lo conosco, mi son det-to, è quello dell’assassinio Torreggiani, il

gioielliere di Milano, che quando lo disse la ra-dio, quel mattino mi sentii gelare. Le cose anda-rono così: un giorno in una pizzeria milanese diPorta Venezia che si chiamava Transatlanticofanno irruzione dei rapinatori, Torreggiani, cheè lì per il pranzo e ha comperato una pistola perdifendere il suo negozio, spara e uccide uno deidue. Il giornale mi chiede un commento.

SEGUE A PAGINA 39

La strage degli innocenti

GIAMPAOLO PANSA

LA SALETTA dei testimoni nell’aulabunker d’una Corte d’assise. Una giova-ne signora bionda, dall’aria dolce. Le pa-

role scambiate, sottovoce, tra di noi. Come staLuca? E Benedetta? Bene, cerco di farli cresceresenza odio per nessuno. Poi il senso di colpa chem’assale. Per non essere stato ucciso io, al postodel padre di quei due bambini, del marito diStella. Era Walter Tobagi. Nella lista stesa dallabanda di Marco Barbone, venivo per primo, ilsecondo era un altro giornalista, Marco Nozza.

SEGUE A PAGINA 40