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AICQ-ci 1994-2004: DIECI ANNI DI IMPEGNO DELLA QUALITÀ PER LA COMPETITIVITÀ E L’ECCELLENZA a cura di Sergio BINI con la collaborazione di Valentina PROIETTI CAFI Editore - Roma

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AICQ-ci 1994-2004:

DIECI ANNI DI IMPEGNO DELLA QUALITÀ

PER LA COMPETITIVITÀ E L’ECCELLENZA

a cura di Sergio BINI

con la collaborazione di Valentina PROIETTI

CAFI Editore - Roma

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SOMMARIO

presentazione 3

DIECI ANNI FA … Elio COLUCCI 5

CON LA QUALITA’ VERSO IL FUTURO:

ovvero le aziende devono tornare a crescere Massimo TRONCI 7

LA PRESENTAZIONE DELL’AICQ-CI Francesco DE LUCA Valentina PROIETTI

9

1. EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI QUALITA’ Sergio BINI 11

2. I SISTEMI DI GESTIONE PER LA QUALITA’ E

LA NORMA INTERNAZIONALE UNI EN ISO 9000:2000 Ennio NICOLOSO 19

3. L’ECCELLENZA NELLE ORGANIZZAZIONI:

modelli e premi Massimo TRONCI 29

4. DALLA QUALITA’ ALL’ECCELLENZA:

il percorso EFQM Sergio BINI 35

5.

L’EVOLUZIONE DELLA CERTIFICAZIONE DEI

SISTEMI DI GESTIONE AMBIENTALE:

percorsi e vantaggi.

Marco GENTILINI 39

6.

IL SISTEMA DI GESTIONE PER

LA SALUTE E LA SICUREZZA:

evoluzione e applicazione

Lorenzo FEDELE Massimo CONCETTI

45

7. CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY

E SA 8000:1999 Marco LA MANNA 57

8. I SISTEMI DI GESTIONE INTEGRATI

E RISK MANAGEMENT Lucio LUCONI 59

9.

CONSIDERAZIONI SULLE NORME ISO

PER LA QUALITÀ DEL SOFTWARE

E SULLA LORO APPLICAZIONE

Mario CISLAGHI 63

10. IL MIGLIORAMENTO CONTINUO

ED I SETTE STRUMENTI Giuseppe BARATTO 73

11. LE PERSONE DELL’ORGANIZZAZIONE:

motivazione, coinvolgimento, formazione, leadership Giorgio NEGLIA 81

12. LA MISURAZIONE Francesco CARROZZINI 85

13. IL RUOLO DELLA SODDISFAZIONE

NEL PERCORSO VERSO LA QUALITÀ E L’ECCELLENZA Sergio BINI 91

14. IL RUOLO DEL BENCHMARKING

NEL PERCORSO VERSO LA QUALITA’ E L’ECCELLENZA Salvatore LA ROSA 97

15. I LINK CON IL MONDO DELLA QUALITÀ Valentina PROIETTI 103

GLI AUTORI 105

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presentazione

A. Parasuraman teorizzava che “la Qualità è un lungo viaggio, non una destinazione; più si ottengono risultati, più occorrono miglioramenti”, ricordando un antico detto popolare orientale: “un lungo viaggio inizia sempre con un primo passo”. Per l’AICQ-ci questo primo passo è stato compiuto, dieci anni fa, a Roma da un gruppo di romantici appassionati della Qualità, quando hanno deciso di (ri)dare vita ad una “federata” dell’AICQ -che allora era denominata Associazione Italiana per la Qualità-. Il sogno comune era quello di dare vita ad un punto di aggregazione tra gli studiosi, gli appassionati ed i professionisti della Qualità -e delle tematiche collaterali- “residenti” nelle regioni dell’Italia Centro-Insulare. Il nuovo “soggetto” è stato fondato su alcuni principi base che guidano ancora oggi l’esperienza associativa: la passione, l’etica, lo studio e l’impegno verso il miglioramento continuo delle conoscenze e delle competenze individuali e collettive al fine di collaborare alla diffusione concreta della cultura della Qualità. Oggi, quel manipolo di appassionati si è centuplicato! Ci si augura che, progressivamente, la schiera possa allargarsi ulteriormente, con la speranza di arrivare sino a numeri a quattro-cinque cifre. Questo più che un auspicio è la speranza di chi ha a cuore la crescita della competitività del Sistema-Paese-Italia e, quindi, l’avvenire delle future generazioni. Con la stessa passione di dieci anni fa alcuni Soci hanno voluto regalare a tutti gli altri Associati il proprio tempo, le proprie conoscenze e le proprie competenze sotto forma di capitoli di questa piccola pubblicazione che è dedicata a tutti quelli che credono nella Qualità e si impegnano nelle azioni della vita quotidiana e/o lavorativa per mutuarne principi, tecniche e metodologie. Nell’illustrare (all’interno dei diversi capitoli) le principali aree di interesse della Associazione, gli Autori hanno voluto, in qualche modo, rappresentare coralmente tutti i Soci dell’AICQ-ci che sono i veri genitori della presente pubblicazione. Con l’occasione si vuole esternare uno dei grandi “sogni” che hanno i Soci di AICQ-ci: vedere l’adesione all’Associazione di tutti i “rappresentanti della Direzione” delle Organizzazioni certificate UNI EN ISO 9001 e UNI EN ISO 14001. Ma questo “sogno” è anche la grande “sfida” dei prossimi anni. Sarà un vero salto culturale, perché vorrà dire che, finalmente, anche questi Colleghi si sentiranno di far parte, soprattutto a titolo personale, della comunità dei “professionisti della Qualità”.

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A. Parasuraman:

“… la Qualità è un lungo viaggio,

non una destinazione;

più si raggiungono risultati,

più servono miglioramenti …”

AICQ-CI

Via San Vito, n. 17 – 00185 ROMA tel. 06.4464132 - fax 06.4464145

www.aicqci.it

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DIECI ANNI FA …

di Elio COLUCCI primo Presidente dell’Associazione Italiana Cultura per la Qualità – centro-insulare AICQ-ci

Cari amici, una rievocazione non consiste nel fare un riassunto dettagliato di un decennio di attività, perché sarebbe una operazione difficile, specie se si vuole evitare di cadere nel retorico e nel banale. Preferisco fare soltanto alcune sintetiche considerazioni sul nostro decennio che è trascorso velocemente, individuare una trasformazione critica nel nostro Sistema Qualità, rifletterci e proporre il taglio giusto da suggerire ai nostri Soci per trovare nuove energie per la ripresa della nostra AICQ. L’idea, recepita con entusiasmo dal Consiglio, di preparare una pubblicazione raccogliendo in essa i pensieri, le valutazioni e le esperienze dei colleghi sulle principali tematiche, nelle quali si articolano le attività della nostra Associazione, mi è sembrato il modo migliore per ricordare un periodo avvincente, fecondo e produttivo di questi dieci anni di vita della Centro Insulare e per tracciare anche le aspettative dei Soci per il futuro. Indubbiamente la nostra AICQ Centro Insulare è stata costituita dieci anni fa, ma sarebbe più esatto dire che è “risorta” per merito di un gruppo di volenterosi entusiasti, che mi ha coinvolto nella avventura; infatti, la preesistente federata dell’AICQ era stata azzerata, L’iniziativa è stata veramente coraggiosa ed ha avuto esito favorevole grazie all’immediato consenso di tante persone, di aziende e di istituzioni. Il che ci ha consentito di partire subito e di crescere in breve tempo. Ai Soci fondatori va rivolto un riconoscimento per la loro appassionata spinta creativa. Ritengo doveroso ricordare il particolare ruolo svolto dal CESI S.p.A., di cui all’epoca ero Presidente; il CESI ci ha fornito un disinteressato supporto logistico e funzionale nella fase iniziale delle attività sino a quando l’AICQ-ci non ha creato una sua organizzazione e, soprattutto, le condizioni per poter operare in assoluta autonomia. Cosa si è fatto in questo decennio? Con l’entusiasmo di un ristretto gruppo di volontari -durante i primi due mandati della mia Presidenza e poi in quello successivo di Massimo Tronci- sono state sviluppate tutte le attività costituenti il fulcro della nostra “federata” AICQ, quale supporto continuo alle esigenze della qualità dei Soci, realizzando quasi duecento manifestazioni culturali, corsi di formazione di base e specialistici, con oltre seimila partecipanti, promozione ai soci nelle cinque Regioni di competenza, supporto logistico-economico ai Settori/Comitati che si sono appoggiati alla Centro Insulare. Devo ricordare anche la partecipazione attiva di nostre rappresentanze presso la AICQ nazionale nella Vice-Presidenza, nella Giunta Esecutiva e nel Consiglio; nonostante tutte le difficoltà è stato possibile garantire un bilancio economico positivo.

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Peraltro è noto che agli iniziali anni migliori, purtroppo, ha fatto seguito una progressiva “stanchezza” nell’attenzione -sia a livello individuale, sia sul piano aziendale- alle tematiche della Qualità. Questa situazione nazionale non è risultata in sintonia con quanto accaduto nel resto del mondo; è stata posta grande attenzione al recepimento delle logiche che hanno guidato l’evoluzione normativa internazionale relativa ai Sistemi di Gestione per la Qualità, grazie alla approvazione delle UNI EN ISO 9000:2000, le cosiddette Vision 2000. Purtroppo, criteri meramente economici hanno indotto la stragrande maggioranza delle aziende nazionali -dai grossi gruppi industriali, sino alle medie e piccole industrie- a tagliare gli investimenti (insieme con le risorse e le attenzioni) anche nel settore strategico nella Qualità. Ma c’è da chiedersi se questa scelta sia lungimirante o miope. Ci sono buone probabilità che questa scelta possa trasformarsi in un boomerang, generando indirettamente una minore competitività delle Aziende. La letteratura e le esperienze vincenti confermano che i nuovi paradigmi gestionali vincenti prevedono che la Qualità sia un passaggio propedeutico necessario per pervenire alla Eccellenza. Sono convinto che debba fare carico a tutti i Soci della nostra Associazione l’impegno per favorire la realizzazione delle condizioni necessarie perché sia realizzato un ripensamento delle scelte contingenti strategiche e/o gestionali che potrebbero risultare sciagurate per le future generazioni. Sarà necessario far riemergere negli scenari gestionali di tutte le “organizzazioni” la necessità di assegnare la giusta attenzione alla Qualità nelle realtà produttive degli operatori del sistema produttivo della Azienda Italia. Siamo tutti chiamati a proporci come interlocutori affidabili per ridare vita ad una preparazione aziendale verso la migliore conoscenza dei vantaggi che una organizzazione può riavere vivendo in “qualità”. Credo che questo sia il nostro obiettivo ed il messaggio che l’Associazione AICQ-ci, con il suo entusiasta e dinamico Presidente Massimo Tronci, sappia portare in tutte le sedi istituzionali e del lavoro, con le quali ha già attuato vincoli di reciproca stima. Il presente “ volumetto” vuole essere appunto una testimonianza di cosa sappia fare AICQ-ci e un idoneo viatico per una ripresa culturale e di coscienza per il miglioramento nella Qualità nel nostro Paese. In fondo, come sottolinea Tito Conti nel suo ultimo libro, “… ci vuole costanza e determinazione; perché anche le montagne si scalano, passo dopo passo, per raggiungere la vetta …” Da parte, desidero completare queste poche righe con l’esortazione a considerare la Qualità e la efficienza non solo come necessarie, ma indispensabili per accrescere la competitività del Paese. Buon compleanno ai Soci della AICQ-Centro Insulare e tanti auguri a tutti!

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CON LA QUALITA’ VERSO IL FUTURO:

ovvero le aziende devono tornare a crescere

di Massimo TRONCI Presidente dell’Associazione Italiana Cultura per la Qualità – centro-insulare AICQ-ci

Qualità e cambiamento sono indissolubilmente legati. La Qualità è miglioramento continuo ed il miglioramento implica, necessariamente, un cambiamento e, soprattutto, la volontà e la capacità di attuarlo. L’attuale fase di incertezza politica e di stagnazione economica, ormai diffusa a livello internazionale, sembra peraltro rallentare quella pulsione al cambiamento che, con la New Economy, aveva caratterizzato gli ultimi anni del secolo scorso. Il senso di disorientamento che ne consegue trova sempre maggiori riscontri anche nell’operatività delle organizzazioni, sia pubbliche che private, dove, sempre più spesso, si vive nell’attesa di tempi migliori perdendo così l’opportunità di utilizzare questa fase di rallentamento dell’economia come un’opportunità di riflessione e riorganizzazione per progettare e gestire la ripresa tanto auspicata. Anche il tema della Qualità risente pesantemente di questa situazione: il grande sforzo normativo che ha reso disponibili nuove norme adeguate alle sfide del terzo millennio, il numero elevato di certificazioni, i modelli di Total Quality, il lancio del Premio Qualità Italia, l’ampio confronto che ne è scaturito sembrano essere già lontani. Lo scenario di business è però caratterizzato da forti sfide e da una competizione a scala mondiale che impongono alle imprese di abbandonare gli approcci tradizionali, spesso ancora rigidamente ancorati alle logiche di riduzione dei costi, e di confrontarsi su tematiche quali crescita, reattività, flessibilità e sviluppo delle risorse umane. L’obiettivo primario non può che essere quello di tornare a crescere utilizzando la leva dell’innovazione (da perseguire sia sul piano tecnologico, sia su quello gestionale) e promuovendo uno sviluppo sostenibile nel tempo. Questo significa acquisire e mantenere la capacità di rispondere ai bisogni del mercato, conoscendolo a fondo per poter sviluppare nuovi prodotti e servizi meglio e prima dei concorrenti, reagendo in modo rapido e flessibile alle variazioni delle caratteristiche del business. Ma la velocità con cui un’azienda può realizzare la trasformazione in tale direzione è legata alla Qualità sia dei modelli organizzativi adottati, sia delle risorse umane che rappresentano il centro nevralgico delle relazioni con i clienti, con i fornitori, con le diverse aree aziendali. La sfida del cambiamento si gioca pertanto all’interno delle organizzazioni e la Qualità può rappresentare una leva significativa.

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La convinzione che un coordinamento di impegni rivolti sullo stesso versante possa portare risultati più incisivi, deve spingere allo sviluppo di una vera e propria cultura della Qualità non solo a livello di impresa ma anche di Pubblica Amministrazione e di Sistema Paese. Rimane, comunque, da rilevare come un'enfasi esagerata sulla certificazione piuttosto che sul miglioramento continuo e sull’innovazione proprio dei Modelli di Eccellenza (Malcom Baldrige, EFQM), potrebbe determinare un ritardo di dieci anni dell’Italia e, più in generale dell’Europa, rispetto alla concorrenza in termini di Qualità. Un sistema di riferimento non solo europeo ma internazionale, quale quello della certificazione secondo le norme UNI EN ISO 9000, rappresenta senza dubbio una buona base di partenza, sulla quale costruire però strategie di coinvolgimento totale di tutti gli attori, allo scopo di incrementare efficienza e competitività delle imprese, della Pubblica Amministrazione e, soprattutto, la qualità della vita. La Qualità non è solo tecnicismo e tecnicalità è, soprattutto, metodo di lavoro, modello di gestione e di governance. In un momento in cui la ricerca di “facili vie di uscita” dalla crisi è sempre più spesso individuata nella competizione tra aree territoriali e tra imprese, il tema della Qualità deve diventare centrale nelle scelte non solo di governo ma di tutta la Pubblica Amministrazione al fine di creare le condizioni affinché possa finalmente decollare quel Sistema Qualità Italia che rappresenta la condizione necessaria per lo sviluppo economico e sociale del Paese. In questo contesto si inserisce l’attività dell’AICQ Centro-Insulare che, nell’ambito della Federazione AICQ, opera per diffondere tra gli operatori la cultura della Qualità e per promuovere, a livello istituzionale, la consapevolezza della necessità di adottare una seria ed articolata politica di promozione della Qualità con una “visione strategica” della Qualità in cui:

- i cittadini, i consumatori ed i clienti sono soddisfatti;

- le risorse umane sviluppano il proprio potenziale;

- le imprese vengono efficientemente gestite;

- l'ambiente è rispettato;

- le risorse disponibili sono adeguatamente utilizzate;

- la crescita economica e l'occupazione sono rafforzate sulla base di competitività, innovazione e creatività.

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LA PRESENTAZIONE DELL’AICQ-CI

di Francesco DE LUCA e Valentina PROIETTI

Nel panorama degli Enti, delle Associazioni e delle Istituzioni che operano nell’ambito della “Qualità” si inserisce l’Associazione Italiana Cultura per la Qualità – Centro Insulare (AICQ-ci) che svolge, sin dal 1994, come federata dell’Associazione Italiana Cultura per la Qualità (AICQ), le sue attività nelle regioni Lazio, Umbria, Abruzzo, Molise, Sicilia e Sardegna. L’Associazione ha coagulato attorno a sé -in qualità di Soci- una popolazione di settecento persone tra studiosi, appassionati e professionisti della Qualità. Lo scopo fortemente voluto e perseguito dall’Associazione sin dalla sua nascita è stato quello di poter rappresentare un punto di riferimento valido e riconosciuto per tutti coloro che hanno bisogno di formazione ed informazioni in un comparto come quello della Qualità pieno di norme ma poco regolamentato. L’Associazione opera attraverso la promozione di iniziative di diverso genere che coinvolgono tutti i Socie e che sono destinate a favorire lo scambio culturale, la diffusione della conoscenza, il progresso della ricerca ed anche, perché no, accesi dibattiti sull’applicazione e l’interpretazione della normativa tecnica. Vengono periodicamente realizzate manifestazioni come Convegni, Seminari e Workshop, Incontri Culturali e Conferenze, organizzate anche e soprattutto, in funzione delle esigenze dei soci, ai quali sono richiesti contributi di idee, collaborazioni e partecipazioni con relazioni ed interventi. Le iniziative sono figlie di un impegno decennale guidato anche dalla esigenza di tener fede a quel codice etico che è stato volutamente posto a base dello Statuto dall’Associazione, per forte convinzione e non per pura formalità. Ciò che la caratterizza è infatti proprio quella obiettività che le consente di produrre e diffondere informazioni a tutto campo sul mondo della Qualità valorizzando le persone e gli strumenti che questi dovranno gestire. Utilizzando una metafora, l’AICQ-ci può essere considerata una bussola che orienta, sostiene, rende consapevoli del percorso che l’azienda o il professionista scelgono di intraprendere.

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Tutto questo rende l’AICQ-ci un interlocutore ideale per l’attività di formazione, proposta ogni anno, tramite la società di servizi Progetto Qualità 2000 S.r.l., con un apposito Piano Formativo. L’attività formativa si collega strettamente alle figure professionali dello schema EOQ (European Organisation for Quality) e abbraccia una vasta gamma di tipologie di corsi: dal livello base ai livelli più avanzati. I corsi si propongono di fornire una panoramica ampia ed articolata sia dei moderni approcci manageriali alla progettazione ed alla gestione per la Qualità, sia delle metodologie e delle tecniche applicative per il controllo e l’assicurazione della Qualità. L’offerta formativa, con gli anni, si è arricchita di nuove forme di corsi, di nuovi temi e di nuove collaborazioni che hanno permesso la realizzazione di interventi formativi che richiedono un alto grado di specializzazione. Tutto ciò si è reso possibile grazie all’Associazione, alla forma associativa che consente l’incontro di persone e di idee, lo scambio di conoscenze, il mantenimento e l’istituzione di contatti personali. In questa direzione, l’Associazione in questi primi dieci anni si è prefissato l’obiettivo di migliorare e ricercare nuovi canali comunicativi che le permettano di inserirsi sempre più efficacemente ed efficientemente tra una varietà sconfinata di informazioni e le esigenze dei Soci. I contributi di seguito raccolti vogliono testimoniare questo impegno e rappresentano un altro piccolo passo nella direzione che l’Associazione si è data: coinvolgere e proporre riflessioni su tematiche d’attualità, permettendo nello stesso tempo ad ogni socio e lettore la libertà di formarsi e di scegliere la propria strada, proprio come una bussola …

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1.

EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI QUALITÀ

di Sergio BINI

1.1. Premesse Non si cambia solo perché si compra una nuova attrezzatura, si progetta un nuovo prodotto/servizio o si lancia una nuova campagna pubblicitaria; né un’azienda che deve garantire servizi di utilità collettiva appare migliore agli occhi del cittadino/cliente solo perché migliorano i suoi conti. Bisogna fare di più ! Occorre calare le scelte di fondo in comportamenti collettivi governati dalla continua attenzione alle attese delle diverse famiglie di clienti/utenti/utilizzatori/ cittadini che interloquiscono con l’organizzazione stessa; queste diventano sempre più esigenti e sempre meno disposte ad accettare supinamente operazioni di semplice cosmesi. Qualità è appunto questo: saper rispondere tempestivamente alle attese della propria clientela. Diversi anni fa, ad un importante convegno dell’imprenditoria nazionale, un ospite citò una parola giapponese che colse tutti di sorpresa: “Kyosei”. Disse che “Kyosei” voleva dire “insieme”, “lavorare insieme”, e che il termine l’aveva tratto dall'opera del prof. Kaku, un economista nipponico. Bene, lavorare insieme è esattamente quello che devono fare tutti quelli che operano in una organizzazione di “qualità”. E lavorare bene, in modo coordinato, perché il buon lavoro dell’uno non venga mortificato o annullato dal cattivo lavoro dell’altro. Purtroppo, però, da molto tempo di Qualità se ne parla molto di più, rispetto a quanta se ne faccia concretamente e correttamente. La norma UNI EN ISO 9000:2000 fornisce una nuova definizione “ufficiale” della Qualità, più sintetica e più flessibile: “la Qualità è il grado in cui un insieme di caratteristiche (elementi distintivi) intrinseche soddisfa i requisiti (esigenze o aspettative che possono essere espresse, generalmente implicite o cogenti)”. Ma, il “concetto” può essere sintetizzato anche con altre parole più essenziali: Qualità è fare bene le cose giuste la prima volta; oppure: Qualità è la capacità globale sviluppata da una impresa nell’orientare il proprio sistema

aziendale -strategia, strutture, uomini e meccanismi organizzativi- ai reali bisogni dei suoi clienti, al fine di soddisfare le loro aspettative, le loro esigenze ed i loro bisogni.

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Gli appartenenti al popolo della Qualità, per evidenziare le difficoltà che incontrano nel lavoro quotidiano, citano spesso un antico detto cinese "purtroppo vi sono più uomini che costruiscono muri, che uomini che costruiscono ponti". Il ponte è, sicuramente più di altri, il "simbolo" che dà l'idea del collegamento con altri territori, con altre realtà e con altri uomini. Esso riesce a visualizzare meglio di altre metafore il superamento di ostacoli e di difficoltà; quasi fosse un “processo” che supera i “confini” tra le funzioni aziendali. Purtroppo, sono molteplici gli ostacoli che si frappongono ad un corretta ed ampia diffusione/applicazione delle tecniche e delle metodologie della Qualità nelle diverse realtà organizzative e produttive. Sono, invece, molti i “ponti” da costruire, tra organizzazione e clientela ed in particolare tra le diverse realtà/processi della medesima organizzazione. Infatti, occorre tener presente che il cliente finale quotidianamente “consuma” beni e servizi senza conoscere (e/o senza interessarsi di) cosa realmente accada all’interno di quelle “scatole nere” che sono le diverse imprese/organizzazioni. Il cliente si aspetta solo di incontrare le migliori risposte e le più idonee soluzioni all'insieme delle aspettative, dei bisogni e dei desideri che costituiscono il proprio personale modello di attese, possibilmente al minor costo possibile. E' questa una immensa e complessa catena fornitore/cliente che si snoda attraverso una miriade di processi articolati e di relazioni non facili; sembra quasi un labirinto che si frappone al conseguimento dell’obiettivo di vedere soddisfatti i desideri dei clienti di una qualsiasi impresa.

1.2. Il concetto di Qualità Quasi un secolo fa, John Ruskin1 teorizzava che: "la Qualità non è mai un caso. Essa è sempre il risultato di uno sforzo intelligente". E' fondamentale, cioè, la necessità di affrontare le tematiche della Qualità con azioni pianificate, progettate e coordinate in una logica sistemica, al fine di conseguire risultati realmente "di Qualità". Invece, nel nostro Paese, purtroppo, non sono poche le persone che ritengono che la Qualità di un prodotto o di un servizio possa ottenersi improvvisando soluzioni, o attivando iniziative approsimative e/o emotive, oppure attraverso operazioni di semplice cosmesi (anche solo comunicazionale). Nel contempo, sono ancora numerose le persone che ritengono la Qualità esclusivamente un costo, dimenticando che gli interventi per la Qualità (applicata in modo corretto e scientifico) sono veri e propri investimenti. I costi più significativi che incontra una organizzazione sono quelli generati dalla propria non-Qualità, che possono arrivare anche al 35 % del fatturato. L'esperienza conferma che: la Qualità di un prodotto o di un servizio non può essere mai superiore alla Qualità dell'impresa che lo produce. 2

1 John Ruskin (1819-1900) critico d'arte e sociologo inglese; come sociologo, ricercò nella legge morale la soluzione dei problemi

economici e svolse una intensa opera di apostolato sociale. 2 Sergio Bini, Aforismi per la Qualità, Metrotipo, autunno 1996.

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Lo stesso Richard Normann, in un suo famoso libro, sottolinea che: "l'importanza della Qualità è riconosciuta ovunque; ma il concetto andrà riferito ad aree diverse: la Qualità del prodotto (l'output); la Qualità del processo; la Qualità del sistema di produzione o di erogazione; la Qualità come cultura generale che permea l'intera organizzazione" 3 Sono indistintamente tutte le persone che lavorano in una impresa -come tutti i cittadini per una società civile-, con il loro lavoro, il loro impegno, la loro intelligenza ed il loro sistema relazionale, i principali responsabili dei livelli qualitativi e quantitativi dei risultati finali conseguiti. "La qualità è un oggetto vago e indistinto. Spesso, confusa con aggettivi imprecisi quali bontà, o lusso, o splendore, o peso, la qualità e i suoi requisiti non sono chiaramente identificati dai consumatori. La spiegazione e la misura della qualità presentano dei problemi anche per i ricercatori i quali spesso evitano definizioni e impiegano misure unidimensionali e personali per spiegare il concetto. Anche se non sono forse ancora stati ben definiti la sostanza ed i fattori determinanti della qualità, produttori e consumatori ne hanno capito la fondamentale importanza. La ricerca ha dimostrato i benefici strategici della qualità per guadagnare quote di mercato e ritorni sugli investimenti, per ridurre i costi di produzione e migliorare la produttività. Si può affermare che negli anni ottanta la tendenza di base del consumatore sia stata la ricerca della qualità, mai come adesso infatti si cerca il prodotto (ed un servizio) di qualità..." 4 Con queste parole il prof. Parasuraman, uno dei grandi guru della Qualità dei servizi, introduce il fondamentale studio elaborato con due suoi colleghi relativo al "modello concettuale di Qualità dei servizi". Richard Normann è ancora più concreto quando teorizza che: "la Qualità non è un profumo; la Qualità non la puoi spruzzare su qualcosa e farla odorare, mentre magari prima non aveva un buon odore".

1.3. Evoluzione del concetto di Qualità A. Parasuraman, in occasione di una intervista di qualche anno fa, aveva affermato che “la Qualità è un viaggio, non una destinazione; più si ottengono risultati, più servono miglioramenti”.5 In questa logica si comprende come e perché il concetto stesso di Qualità abbia assunto, nel tempo, diversi significati e diversi valori. Con le prime forme di mercato nasce il problema della “Qualità” e si materializza proprio nell'istante in cui si confrontano il produttore/venditore e l'acquirente/usufruitore. Agli albori dell'impresa, l'artigiano (in una impresa con una dimensione praticamente individuale) gestisce personalmente e direttamente i contatti sia con i clienti, sia con i fornitori.

3 Richard Norman, La gestione strategica dei servizi, ETAS LIBRI, Milano, 1985. 4 A. Parasuraman, Valarie Zeithaml, Leonard L. Berry, A conceptual Model of Service Quality and its implications for

future research, in "Journal of Marketing", vol. 49, autumn 1985. 5 Sergio Bini, La qualità è un lungo viaggio, in “Linea Diretta”, rivista delle Ferrovie dello Stato, n. 11-novembre 1993.

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Il prodotto è praticamente un numero unico, quasi un'opera d'arte, che viene realizzata dallo stesso artigiano che ne controlla ogni fase e ne esegue il collaudo finale, prima della consegna al cliente. Ma, quando la produzione inizia ad essere di serie -essenzialmente a partire dagli inizi del ventesimo secolo- si iniziano a separare le due fase che erano vissute insieme, quasi in simbiosi: la produzione ed il controllo/collaudo. Con buona approssimazione si può, quindi, addebitare a questa fase la creazione della frattura tra qualità e quantità. In questo stesso periodo, infatti, vengono proposti dal Taylor 6 alcuni importanti principi organizzativi: individuazione degli elementi per la standardizzazione del lavoro di fabbrica; selezione "scientifica" degli operai"; spirito di cooperazione tra direzione ed operai; suddivisione del lavoro tra direttivo ed operativo, per dar luogo ad una struttura di tipo

funzionale. La "standardizzazione" e la "specializzazione" degli addetti progressivamente allontana la produzione dal cliente, che deve in qualche modo subire le scelte degli imprenditori, soprattutto perché la domanda è ancora scarsa e non esistono margini di scelta. In questo modello produttivo, quindi, le operazioni di controllo vengono concentrate nell'operazione finale del "collaudo". In conseguenza dell'aumento della complessità dei processi produttivi e dei prodotti vengono inseriti "controlli intermedi", in corrispondenza dei punti critici della filiera produttiva. La produzione bellica, alla fine degli anni trenta evidenzia l'esigenza che vengano garantiti due aspetti fondamentali per i prodotti:

l'affidabilità (l'attitudine di un oggetto -bene, processo, impianto, e così via- ad adempiere alle funzioni richieste sotto determinate sollecitazioni e per un periodo di tempo prefissato) e

la manutenibilità (la facilità e la tempestività con cui su un prodotto possono essere effettuate operazioni di manutenzione e riparazione).

L'imperativo di porre l'enfasi su questi due fondamentali requisiti fa rientrare anche "i progettisti" tra gli uomini della Qualità, in quanto devono progettare i prodotti tenendo presente delle condizioni di utilizzazione e di manutenzione dei prodotti (armamenti) in condizioni disagevoli e soprattutto a distanze notevoli dai luoghi di produzione. Questa linea si conferma e si rafforza per tutta le Seconda Guerra Mondiale. Nel dopoguerra, con la ricostruzione si rimette in moto l'economia; da una parte si registra un accrescimento dei consumi e, dall'altra, una forte lievitazione della produzione industriale con una offerta nettamente superiore alla domanda.

6 Frederick Winslow Taylor, The Principles of scientific management, 1911.

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Quindi, alla fine degli anni cinquanta, le imprese devono iniziare a fare i conti con "le esigenze dei potenziali clienti" la cui conoscenza è indispensabile per realizzare prodotti che li soddisfino. In questo periodo prende sempre più corpo l'esigenza di estendere a tutte le strutture aziendali le regole del "Controllo Qualità". Cioè viene posta l'esigenza che ciascuna attività, separatamente, sviluppi forme di filtraggio al termine del processo di propria pertinenza per rimuovere la produzione non conforme. In questo scenario si perviene -grazie a prescrizioni del Ministero della Difesa USA per l'industria bellica, per il settore aerospaziale e per il settore nucleare- ad una metodologia che viene denominata Garanzia della Qualità o Quality Assurance, che viene definita come un insieme di "azioni sistematiche e pianificate, atte a fornire un adeguato grado di confidenza che un impianto e le sue parti diano le prestazioni richieste nelle varie condizioni operative per essi previste" (normativa del settore nucleare UNI 8450). La Garanzia della Qualità diviene così il risultato di una integrazione di tutte le funzioni aziendali. Il regolamento federale USA "10CFR50" rendendo obbligatoria l'applicazione della Garanzia della Qualità nel settore nucleare ne ha garantito una spinta significativa alla diffusione. I principali elementi della metodologia sono costituiti da: organizzazione; programma di Garanzia della Qualità; progettazione; documenti di approvvigionamento; procedure gestionali e tecniche; gestione documenti; approvvigionamento di parti d'impianto e servizi; identificazione e gestione delle parti d'impianto; procedimenti operativi; ispezioni; prove; apparecchiature di misura e prova; movimentazione, immagazzinamento e trasporto; situazione delle ispezioni, prove ed operabilità; parti d'impianto non conformi; azioni correttive; documentazione di Garanzia della Qualità; verifiche ispettive. In tale logica, assume notevole importanza la definizione di una struttura organizzativa dell’azienda, nella quale vengano individuate soprattutto: autorità e responsabilità nell’assunzione delle decisioni; le linee di comunicazione interne ed esterne nell’impresa; chi occupa la Funzione di Garanzia della Qualità e la relativa collocazione organizzativa. La Garanzia della Qualità porta con sé diverse positive innovazioni strumentali al raggiungimento della Qualità, in particolare di “estrema rilevanza risulta l’approccio integrato da parte di tutte le funzioni aziendali e quindi il fatto che non si parli più di ognuna di esse separatamente, ma delle loro interrelazioni organizzative e quindi di azienda nel suo complesso”. 7 Con gli anni ottanta prende progressivamente corpo la Qualità Totale. Nel meccanismo di evoluzione progressiva del concetto di Qualità alla “Qualità Totale” si perviene arricchendo i principi della Garanzia della Qualità ed estendendoli a tutte le persone dell’impresa, perché per conseguire risultati significativi è indispensabile la collaborazione attiva di tutti. La Qualità Totale ha un macro percorso così definito: marketing (per tradurre le aspettative dei clienti in prodotti/servizi vendibili); progettazione (trasformazione

7 Lucia Bonechi, Evoluzione del concetto di Qualità - G. Giappichelli Ed.Torino, 1996.

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del tipo di prodotto/servizio in specifiche di prodotto/servizio, specifiche di realizzazione del prodotto/servizio, specifiche di controllo della Qualità); produzione; distribuzione; assistenza post-vendita; ascolto della voce, del parere e dei giudizi dei clienti. Per l'approccio alla Qualità Totale si diffondono maggiormente due percorsi metodologici:

uno occidentale: il Total Quality Control, teorizzato attorno al 1950 da Feigenbaum;

uno orientale: il Company Wide Quality Control. Il guru giapponese Kaouru Ishikawa individuava tra le due metodologie alcune differenze:

- Il TQM è “un sistema per integrare le tecnologie della qualità in tutte le funzioni aziendali per raggiungere la soddisfazione del cliente";

- Il CWQC è “un sistema per fornire buoni prodotti a basso costo dividendo i benefici tra consumatori, addetti ed azionisti per aumentare la qualità della vita degli uomini”.

Per Feigenbaum la Qualità viene influenzata da nove fattori (le "9 emme"): markets (impegno dell'impresa a soddisfare tempestivamente le richieste dei mercati); money (il profitto); management (perché in una azienda non si possono sviluppare progetti per la Qualità se le direttive non vengono impartite dal vertice, che deve dimostrare concretamente di credere nella Qualità); men (le persone che lavorano devono essere poste al centro dei processi di miglioramento e dei sistemi Qualità aziendali); motivation (le persone perché operino al meglio nello sviluppo del proprio lavoro devono essere motivate, oltre che preparate e formate); materials (per avere prodotti e servizi di Qualità è indispensabile disporre di materie prime buone prodotte da fornitori seri ed affidabili); machines and mechanization (attenzione ai processi produttivi ed all’adeguatezza dei supporti meccanici assegnati in dotazione alle persone); modern information methods (il coordinamento delle diverse strutture organizzative/funzionali deve essere garantito da un efficiente sistema informativo aziendale); mounting product requirements (i requisiti e le caratteristiche dei prodotti/servizi devono essere modificati tempestivamente in sintonia con i rapidi e mutevoli mutamenti delle aspettative della clientela). 8 Il CWQC, tenendo conto della cultura orientale, pone grande enfasi:

sulle persone che costituiscono la principale risorsa di una impresa (soprattutto se i dipendenti sono motivati, coinvolti ed incentivati, nonché se si identificano con l’organizzazione e ne condividono la vision);

sul processo di miglioramento continuo, che si consegue applicando il cosiddetto ciclo di Deming PDCA: plan (pianificare), do (fare), check (verificare), Act (agire di conseguenza).

8 Roberto Mirandola, M. Tuccoli, S. Vaglini, Piero De Risi, Sistemi Qualità, ETS Editrice Pisa, 1989.

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Con la naturale evoluzione dei principi e delle teorie di direzione aziendale dal TQC e dal CWQC si è pervenuti più recentemente al Total Quality Management (Gestione Totale per la Qualità). “Il Total Quality Management può essere descritto come una filosofia di direzione che intende guidare il sistema verso la soddisfazione totale del cliente e la massima razionalizzazione delle risorse interne attraverso il continuo miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza della organizzazione e dei suoi processi. La sua applicazione richiede un duplice sforzo: da un lato un cambiamento culturale all’interno dell’organizzazione che porti ad una modifica dei rapporti con i dipendenti, con i fornitori e con i clienti; dall’altro, l’adozione e la diffusione di nuove tecniche, come quelle della comunicazione, del problem solving, della pianificazione, del miglioramento e così via. L’applicazione del Total Quality Management può avere esito positivo solo e soltanto se avviene in un contesto che è stato gradualmente ed accuratamente preparato, ove la Qualità abita già da tempo, magari sotto forma di un Sistema di Gestione per la Qualità, implementato nel rispetto dei requisiti della norma internazionale della famiglia ISO 9000”.9 * * * * * Per sintetizzare questa rapida carrellata sulla evoluzione del concetto di "Qualità", si vuole riportare una riflessione di Giovanni Mattana -uno dei massimi esperti italiani del settore-: “se consideriamo il sapere come una rete di modelli, una rete multidimensionale ... la Qualità si configura come un nodo attraversato da numerosissime connessioni: Q e produttività; Q e costi dell'intero ciclo di vita (life cycle costs); Q e certificazione; Q e responsabilità legale da prodotto; Q e affidabilità, disponibilità, sicurezza; Q e motivazione al lavoro; Q e circoli della Qualità; Q e addestramento/formazione; Q e stili di direzione; Q e organizzazione del lavoro; Q e innovazione; Q e nuove risorse. ...interessa recuperare il concetto di Qualità come valore, per i singoli, per le organizzazioni, per le istituzioni. E in quest'ultima accezione la Qualità si configura come una rinnovata tensione creatrice verso l'eccellenza”. 10

* * * * * E già da oggi, anche per la Qualità “il futuro non sarà più quello di una volta”, come teorizzava Arthur C. Clarke.

9 Lucia Bonechi, Evoluzione del concetto di qualità, G. Giappichelli Ed. Torino, 1996. 10 Giovanni Mattana, Qualità, Affidabilità, Certificazione, Franco Angeli Editore, Milano, 1997.

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Confucio:

“… se lo guidi con le leggi

e lo regoli con le pene,

il popolo mirerà ad evitarle,

e sarà senza vergogna.

Se lo guidi con la virtù

e lo regoli con i riti,

conoscerà la vergogna

ed arriverà a migliorarsi …”

AICQ-CI

Via San Vito, n. 17 – 00185 ROMA

tel. 06.4464132 - fax 06.4464145 www.aicqci.it

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2.

I SISTEMI DI GESTIONE PER LA QUALITA’ E

LA NORMA INTERNAZIONALE UNI EN ISO 9000:2000

di Ennio NICOLOSO

2.1. Premessa Dieci anni fa, quasi in concomitanza con la costituzione dell’AICQ-ci, usciva la seconda edizione delle norme serie ISO 9000, quella articolata ancora nelle tre varianti 9001, 9002 e 9003, ora sostituite da un unico documento, la 9001:2000, croce e delizia di quelle organizzazioni che sono passate ad essa entro il 15 dicembre 2003. Doppiata la scadenza del periodo transitorio per il passaggio alla nuova norma, più che ripercorrere le peraltro sue significative novità può essere opportuno fare alcune riflessioni sui SGQ, sul loro attuale stato d’applicazione, sui problemi da risolvere, sui possibili miglioramenti e su auspicabili sviluppi futuri. Premessa nella premessa: lo spirito che anima queste note è quello di chi auspica un’ampia diffusione dei SGQ a sostegno della razionalizzazione della gestione e delle prestazioni delle organizzazioni.

2.2. Come sono sorti i SGQ? Sono ormai più di 40 anni che è iniziato l’utilizzo di questo tipo d’impostazione gestionale, con una progressiva sua evoluzione che trova riscontro anche nei nomi che le sono stati via via dati, da Programmi di AQ, ad Assicurazione Qualità o Garanzia Qualità, a Sistemi Qualità, sino appunto all’ultima sua formulazione “Sistemi Gestione Qualità”. I motivi alla base della sua origine vanno ricercati, sulla spinta di innovatori quali Deming e Juran, nella evoluzione del concetto di “Qualità”, che non può esser vista unicamente per i suoi aspetti tecnici (dei controlli e delle prove), ma va inquadrata in un ambito gestionale che sistemizzi la sua adozione da parte delle organizzazioni. Una significativa diffusione di questa impostazione si è avuta principalmente quando essa è stata imposta contrattualmente ai propri fornitori, da parte di grossi acquirenti americani, che pretendevano una maggior assunzione di responsabilità dei fornitori stessi per la qualità dei prodotti forniti, anche con l’obiettivo di ridurre l’incidenza dei controlli e prove di parte seconda. Queste impostazioni iniziali hanno poi subito una evoluzione quando, sull’esempio dei giapponesi, si è compreso che la Qualità poteva essere un elemento determinante per il successo delle aziende, oltre che essere una risposta alle esigenze dei clienti.

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E’ ormai riconosciuto che l’importanza di un SGQ riguarda almeno due aspetti principali.

- Il primo, in ottica esterna, è quello di rispondere, appunto, alle aspettative ed esigenze dei clienti in termini di qualità ed affidabilità dei prodotti, di sicurezza degli impianti, di protezione degli investimenti.

- Il secondo, stimolato anche dalla ultima versione delle norme ISO serie 9000, come visione interna, orientata a valorizzare efficacia ed efficienza del modo di operare dell’organizzazione, in linea con i più recenti orientamenti organizzativo-gestionali (questo secondo aspetto mette in luce la sempre maggior aderenza dei SGQ con le esigenze e le logiche di una gestione aziendale tout court).

2.3. Perché si adotta un SGQ? Lo stretto legame che si è venuto creando nel tempo tra SGQ e certificazioni non permette di conoscere quante sono le organizzazioni che hanno adottato un SGQ come scelta autonoma, ai soli fini interni di migliorare il proprio modo di operare (prescindendo cioè, almeno all’inizio, dalla esigenza di arrivare ad una certificazione del SGQ). Da un raffronto con la situazione relativa ad altre norme gestionali (quelle ambientali in particolare) e con l’andamento dei premi per l’eccellenza, è però possibile dedurre che questo approccio interno non abbia trovato molti estimatori. La principale ragione di questa situazione va ricercata nel fatto che un SGQ è adottato essenzialmente perché “imposto” (dai clienti, da alcune leggi, dal mercato, dalla concorrenza, da motivi di immagine, e così via). E’ più facile, infatti, che per migliorare la propria efficacia ed efficienza operativa un’organizzazione si appoggi ad un consulente in organizzazione aziendale, anziché prendere a riferimento una norma, di cui forse neppure conosce l’esistenza. Pur riconoscendo che l’adozione di un SGQ costituisce comunque un passo nella giusta direzione (se non altro perché fa almeno conoscere l’esistenza stessa di questo approccio), occorre prendere atto che se una decisione (come qualsiasi decisione) è presa perché costretti è raro che ne siano apprezzate (almeno all’inizio) le finalità e le possibili ricadute positive. In questa situazione è difficile persino che un’organizzazione conosca la stessa esistenza di due norme sui SGQ, la ISO 9001 e 9004:2000, e sia in grado di utilizzarle congiuntamente per meglio rispondere alla sua mission, alla sua vision ed alle sue specifiche esigenze. A giudicare dal numero di copie vendute della 9004:2000, ben pochi l’hanno infatti utilizzata come supporto alla adozione del SGQ.

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2.4. Quali i problemi? Le cause per questa situazione, che non è solo italiana, sono diverse. Una delle prime, e forse la più importante, va ricercata nello scarso interesse per i SGQ di gran parte dei vertici delle organizzazioni, disinteresse a sua volta non casuale ma legato essenzialmente alla mancanza di una vera e propria cultura di base sulla qualità, sui suoi significati, sulle sue ricadute positive, e quindi sui SGQ. Spesso l’adozione di un SGQ è vista solo in rapporto ad esigenze “esterne”, quelle per cui è necessario “far vedere” agli altri (ai clienti, ai concorrenti, al mercato, e così via) di aver fatto qualcosa, dove prevale cioè la logica dell’apparire più che quella dell’essere, in contrasto con le responsabilità di un vertice che dovrebbero essere primariamente quelle di una buona gestione della propria organizzazione anche in rapporto alle esigenze interne di efficacia ed efficienza. Un indice di questo scarso interesse lo si può cogliere nel fatto che molte volte la responsabilità della adozione e gestione del SGQ non è assunta dal vertice dell’organizzazione, che ritiene di aver altre cose più importanti di cui occuparsi e delega pertanto questo “fastidio” a qualche figura di second’ordine, (forse involontariamente favorito in questo dalla stessa norma, che prevede la figura del “rappresentante della direzione”). Anche il “riesame della direzione”, uno dei requisiti caratterizzanti della norma, nato anche per “forzare” un coinvolgimento nel SGQ degli stessi vertici, è visto spesso da questi ultimi più come un disturbo che come una opportunità, ammesso che sia effettivamente svolto. Un’altra causa va ricercata nel modo con cui un’organizzazione si rapporta ai requisiti della norma di riferimento. Per ottenere ritorni positivi da un SGQ non è infatti sufficiente conoscere ed ottemperare ai requisiti della norma. Occorre saperne cogliere finalità, significati e motivazioni, in modo da poter dare loro il giusto peso e la giusta estensione in relazione alla specificità dell’organizzazione. Questo perché la voluta genericità dei requisiti normativi (condizione per assicurare, in un mondo sempre più globalizzato, la necessaria unitarietà di base della norma) richiede di fatto anche la capacità di saperne adattare l’applicazione alle effettive esigenze. I “princìpi di gestione della Qualità”, emessi dall’ISO per dare un riferimento guida agli estensori della norma, rappresentano al riguardo uno strumento importante anche per chi vuole capire il perché della norma, dei suoi requisiti, dei SGQ. Una situazione, per certi versi specifica del nostro Paese, che contribuisce alle difficoltà per una corretta applicazione della norma è quella delle dimensioni aziendali.

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Una situazione tipicamente italiana è proprio il prevalere di aziende di dimensione medio-piccola, situazione non certo favorevole per una serie di motivi: - l’origine di molte piccole imprese, nate spesso da brillanti iniziative personali, non

favorisce la crescita di una cultura della Qualità (almeno di quella che trascende gli aspetti prettamente tecnici) e di una cultura sistemica, basi necessarie per comprendere il significato di un SGQ;

- i vertici sono spesso presi nella gestione day by day e troppo coinvolti nelle attività operative per dedicare attenzione ad aspetti gestionali;

- la norma stessa, concepita formalmente per qualsiasi dimensione organizzativa, risulta di fatto certamente più adatta alle grandi organizzazioni (nell’ottica che il grande contiene anche il piccolo).

Vengono in mente, tra le possibili cause, anche alcune peculiarità specifiche italiane e/o degli italiani, frutto di un certo tipo di cultura, di mentalità, di (dis)valori (quali la furbizia /o l’arte dell’arrangiarsi), di scarsa fiducia nelle istituzioni. A quest’ultimo riguardo viene in mente anche il caso, più unico che raro, dei SGQ (e quali SGQ!) imposti per decreto (Merloni insegna). Non tragga in inganno, dopo queste osservazioni, l’ampia diffusione dei SGQ in Italia (primo paese europeo per numero di certificati rilasciati). La diffusa prassi regionale di finanziare l’adozione di SGQ (come pure di altri sistemi gestionali), come strumento per una crescita culturale, gestionale e tecnologica delle PMI spesso si risolve non a loro favore, che ne sarebbero le destinatarie, ma a favore dei loro consulenti cui è dirottata normalmente (con il benestare tacito delle PMI, spesso ben liete di non essere “disturbate” nelle loro attività) una fetta rilevante dei finanziamenti erogati.

2.5. Che fare? Il problema del miglioramento va visto in due ottiche diverse, quella a medio-lungo e quella a breve termine. Nel primo caso si tratta di creare le condizioni per la diffusione di una cultura di base sui significati della Qualità, soprattutto nella sua accezione più ampia, quella che sconfina e si identifica con la capacità di saper gestire una organizzazione (ma anche la società e, perché no, la propria vita). Non meraviglia forse scoprire che, in Giappone, i concetti di Qualità siano impartiti, ovviamente al livello adeguato, sin dalle scuole elementari. Colpisce di più sapere che questi concetti siano divulgati anche nelle scuole elementari di diversi paesi sudamericani. Da noi solo da pochi anni è stata inserita, direttamente o indirettamente, la Qualità nei piani di studio universitari o come argomento di Master post-laurea. A breve termine si tratta invece di intervenire a supporto della adozione dei SGQ. L’ISO stessa ha predisposto dei documenti di carattere generale per una migliore

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comprensione dei requisiti normativi. (I testi di questi documenti - confrontare il riquadro - sono scaricabili, nella loro traduzione italiana, dal sito dell’AICQ).

Documenti guida sono stati predisposti anche, da ISO ed IAF, sulle modalità e tecniche di audit. In ambito ISO è inoltre operante un apposito Gruppo di Lavoro che fornisce, su richiesta, le interpretazioni ufficiali dei requisiti della ISO 9001:2000. Ma un supporto più diretto è quello fornito da apposite Guide Settoriali che contemperino il rispetto dei requisiti normativi con le esigenze e le caratteristiche delle attività, dei processi, dei prodotti/servizi tipici di ciascun settore operativo. Guide di questo tipo sono state elaborate sia in ambito ISO (la più nota è la TS 16949 per il settore autoveicolistico) sia a livello nazionale dall’AICQ, dall’UNI e da alcuni altri organismi rappresentativi. (Condizione necessaria per la validità di queste Guide è che siano state elaborate congiuntamente da veri conoscitori di SGQ e da esperti dello specifico settore).

Importante ovviamente anche il contributo fornito da AICQ, e da AICQ-ci in particolare, in termini di corsi di addestramento, generali ed aziendali, di convegni, di seminari, di incontri culturali, di testimonianze.

2.6. Sviluppi in prospettiva? La UNI EN ISO 9001:2000 è previsto (come ogni altra norma ISO) che sia periodicamente rivista. E’ stato già stabilito che la prossima edizione non si discosterà dalla attuale se non per qualche affinamento, conseguenza dei ritorni ricevuti al riguardo da parte degli utilizzatori della norma. (L’ISO ha predisposto, al riguardo, anche un apposito questionario, disponibile sul sito dell’ISO/TC 176 ed a breve, nella versione italiana, anche su quello AICQ). Questa previsione di lievi modifiche alla ISO 9001:2000 non contrasta con l’esigenza, sentita, di introdurre nuovi elementi per valorizzare l’adozione dei SGQ.

GUIDE ISO TC 176

DI SUPPORTO ALLA APPLICAZIONE:

ISO/TC176/N 595 – Princìpi di Gestione Qualità ISO/TC176/SC2 N 524 R2 – Le esclusioni ammesse ISO/TC176/SC2 N 525 R – La documentazione ISO/TC176/SC2 N 526 R – La terminologia ISO/TC176/SC2 N 544 R2 – Approccio per processi ISO/TC176/SC2 N 620 R2 – Outsourcing

GUIDE ISO/IAF

ATTINENTI GLI AUDIT SUI SGQ :

- Identificazione dei processi - Comprendere l’approccio per processi - Quando un processo è “appropriato” - Esigenza di audit a due stadi - Audit sui requisiti “quando appropriato” - Dimostrare la conformità alla norma - Visione generale di un audit - Miglioramento continuo - L’audit su un SGQ con poca documentazione - L’audit sull’alta direzione - Liste di riscontro - Campi di applicazione - Audit con valore aggiunto - Audit su “competenza” ed ”azioni intraprese”

LA TRADUZIONE ITALIANA DI QUESTE GUIDE, CURATA DAL COMITATO SGQ DI AICQ, E’ SCARICABILE DAL SITO www.aicq.it/vision2000/index.html

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Si tratta di elementi importanti, sia sul piano concettuale che su quello operativo, quali: - Qualità e gestione. Far avanzare le logiche del SGQ dalla sola “Qualità” a

strumento di gestione di tutta l’organizzazione. (E non c’è proprio da preoccuparsi se perderemo per strada la parola”Qualità”. In fondo l’unica volta che questa parola compare nei “Princìpi di Gestione Qualità” è solo in questo loro titolo …);

- Rapporti con l’esterno. Rivalutare significativamente, come metro di misura delle prestazioni dell’organizzazione, la soddisfazione dei clienti e curare maggiormente il rapporto con la comunità;

- Innovazione. Puntare, oltre che al miglioramento, anche all’innovazione, sia tecnica che organizzativa;

- Apprendimento. Valorizzare l’apprendimento, sia a livello personale sia come organizzazione, come strumento di partecipazione e di sviluppo;

- Autovalutazione. Diffondere l’utilizzazione sistematica, da parte dei vertici, della autovalutazione come strumento di supporto alla gestione.

- Prodotti. Prestare più attenzione alla Qualità dei prodotti e servizi, che è uno dei due obiettivi principali di un SGQ, a volte troppo appiattito sul solo aspetto gestionale e sistemico;

- Ampliamento di spettro. Introdurre elementi quali il marketing, la ricerca e sviluppo, la valutazione dei rischi, nel quadro di una maggiore dinamicità dell’organizzazione;

Molti di questi elementi, ed anche altri, sono già stati incorporati su una Norma-guida giapponese che prevede un SGQ innovativo, adeguatamente flessibile e mirato espressamente a sostenere una crescita sostenibile delle organizzazioni nei contesti dinamici in cui esse si trovano ad operare. Di questi sviluppi, miglioramenti, valorizzazioni sarà forse la futura ISO 9004:2000 ad occuparsene. E chissà che, prima o poi, la “Qualità” non sia destinata a scomparire (come funzione organizzativa) in quanto entrata a far parte integrante del modo di pensare e di operare di tutto il personale di una organizzazione.

2.7. La Certificazione dei Sistemi di Gestione per la Qualità 2.7.1. Perché la certificazione? La certificazione è uno strumento ormai ampiamente utilizzato in tutto il mondo quando si vuole attestare la rispondenza di un prodotto, di una persona, di un sistema, e così via a prestabiliti requisiti. Condizione essenziale per valorizzare questo strumento è, ovviamente, l’obiettività, la competenza e l’imparzialità (sinteticamente la “credibilità”) di chi rilascia le certificazioni.

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Inizialmente le certificazioni hanno riguardato i prodotti e la loro rispondenza a caratteristiche stabilite, normalmente, da apposite normative tecniche elaborate congiuntamente da esperti dei prodotti stessi e da altre parti interessate (utilizzatori, legislatori, e così via). Queste normative tecniche sono caratterizzate spesso da requisiti espressi in forma numerica o di confronto, per cui i riscontri di rispondenza di un prodotto, normalmente svolti in laboratorio, sono del tipo “on-off”, del tipo “passa-non passa” circoscrivendo sensibilmente l’ambito di possibili diversità interpretative. Nel caso di normative di sistema (e dei Sistemi Qualità in particolare), la “genericità” dei requisiti, frutto dell’aspetto gestionale e sistemico della materia, ha comportato dei criteri di valutazione basati su riscontri più difficili, più soggettivi , più legati a diversità interpretative ed applicative e di conseguenza meno “certi”. Questo ha comportato l’esigenza di una regolamentazione più rigorosa, ma pur sempre generica vista la materia, sulle modalità di verifica (gli audit), sulle caratteristiche degli auditor, sulle modalità del rilascio delle certificazioni, e via di seguito. 2.7.2. Evoluzione e concorrenza Ma riandando brevemente all’origine dei Sistemi Qualità, va rilevato che le relative certificazioni erano nate per motivazioni economico-contrattuali tra clienti e fornitori, per ridurre in pratica gli oneri (che gravavano su entrambi, chi per fare chi per subire) per la qualificazione dei fornitori. Il tutto affidandosi ad una parte terza indipendente da entrambi. La certificazione del SGQ ha però poi acquisito una sua valenza autonoma, non necessariamente legata ad un rapporto contrattuale diretto, dove all’esigenza di veder riconosciuta la validità del proprio SGQ si è aggiunto, ed ha preso spesso piede, il desiderio di ottenere (per non dire “lucrare”) il certificato in quanto tale, come “bollino” da esibire al cliente, al pubblico, alla concorrenza. Quest’ultimo desiderio ha a sua volta contribuito alla proliferazione degli Organismi di Certificazione (solo in Italia ve ne sono oltre una cinquantina), introducendo una logica di business e di concorrenza reciproca. A differenza di quanto avviene normalmente in un libero mercato, questa concorrenza, anziché premiare i migliori Organismi ha generato un abbassamento della qualità media delle certificazioni e, conseguentemente, del loro livello di credibilità. Il calo delle certificazioni SGQ (inizialmente superiore al 10 %) riscontrato nel passaggio alla nuova norma 9001:2000 è probabilmente imputabile alla percezione della minor valenza delle certificazioni (da parte dei clienti) ed al riscontro di mancati ritorni economici (da parte delle organizzazioni certificate). Alcuni grossi committenti preferiscono richiedere ai propri fornitori la sola adozione di un SGQ, riservandosi, qualora sia loro esibita una certificazione, di

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tenerla in maggior o minor conto, anche in relazione all’Organismo di Certificazione che l’ha rilasciata. Ridare maggiore credibilità alle certificazioni dei Sistemi Qualità è ormai considerato un passo necessario sia e principalmente per valorizzare effettivamente i contenuti dei SGQ ed una loro applicazione efficace e pagante, sia per la valenza che esse rappresentano nell’ambito di una economia nazionale e transnazionale. In tutto il mondo sono state rilasciate sino ad ora ben oltre mezzo milione di certificazioni e l’Italia è attualmente il primo Paese europeo per numero di certificati, ed il secondo, a livello mondiale, preceduto solo dalla Cina. Purtroppo, non vi sono molti motivi per rallegrarsi di questo primato italiano, alla luce delle precedenti considerazioni e del fatto che un non trascurabile aumento delle certificazioni è legato, caso più unico che raro, a certificazioni richieste per via legislativa, legge Merloni in testa. Va anche ricordato che questa esigenza di maggiore credibilità delle certificazioni è emersa ed è sentita anche in ambito ISO TC 176, che ha creato un apposito osservatorio al riguardo.

2.7.3. Dove intervenire? Alcuni aspetti che andrebbero presi in esame ed affrontati al riguardo sono: - La competenza degli auditor.

La conduzione di audit significativi richiede, tra le altre cose, auditor con adeguata esperienza manageriale, con sufficiente background tecnico-settoriale, e con buona conoscenza dei processi realizzativi (caratteristiche queste che non è sempre facile trovare visti gli emolumenti attualmente riconosciuti agli auditor).

- Il “business” dei servizi di certificazione. Gli interessi economici connessi al rilascio delle certificazioni stimolano la … fidelizzazione delle organizzazioni certificate, che rappresentano una fonte di guadagno assicurata nel tempo, ma che purtroppo possono far abbassare l’asticciola del passa e non passa in fase di audit, sia certificativi che di sorveglianza.

- I consulenti e le certificazioni. La vivace concorrenza tra OdC ha favorito la creazione di un asse improprio tra alcuni OdC (peraltro secondari) ed i consulenti (…loro associati), sostanzialmente garanti della certificazione. Oltre all’aspetto eticamente deprecabile e scorretto, questa situazione ha dei risvolti economici, con il rilascio di certificazioni a buon mercato (non disprezzate da molte organizzazioni certificande).

- La durata degli audit. Le innovazioni introdotte dalla 9001:2000 in termini di efficacia (e non solo conformità) del SGQ, di approccio per processi, di coinvolgimento del vertice aziendale, di gestione delle risorse, e così via richiederebbero, per essere

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verificabili, tempi di verifica ben maggiori di quelli attualmente adottati dagli OdC.

- Certificazione e prodotti. Per diversi motivi (non ultimo quello delle competenze degli auditor) le certificazioni si sono tendenzialmente orientate verso gli aspetti “gestionali” del SGQ, a scapito di quelle componenti di un SGQ che riguardano la qualità dei prodotti forniti e dei servizi erogati (che è poi quella di maggior interesse per i clienti).

- La “graduazione” delle certificazioni. Il rilascio di una certificazione attesta solamente il superamento, da parte del SGQ, dell’asticciola del 6/10 scolastico (o del 18/30 universitario), appiattendo in tal modo il valore delle certificazioni e togliendo ai clienti la possibilità di conoscere (ed alle organizzazioni certificate di veder riconosciuto) la maggior o minor validità del SGQ adottato. Sarebbe opportuno poter valorizzare i SGQ dando loro dei punteggi, anche sulla scorta di alcune iniziative di OdC e di richieste di alcune normative settoriali. Questo approccio, oltre che stimolare un sano desiderio di emulazione, avrebbe il vantaggio di far meglio conoscere il proprio impegno ai clienti, fornendo loro uno strumento più affinato per una miglior valutazione e selezione dei fornitori.

La credibilità delle certificazioni dei SGQ è una condizione della loro sopravvivenza e va quindi doverosamente assicurata, anche se questo può comportare innovazioni e interventi da parte degli Organismi cui spetta assicurare la serietà delle certificazioni, come il SINCERT per l’Italia e l’IAF sul piano internazionale. Ma pur se le certificazioni dei SGQ non sono (in genere) un obbligo è giusto che possano essere viste da un’organizzazione come un meritato riconoscimento al proprio modo di gestire ed operare, analogamente a quello che può rappresentare l’ottenimento di un premio per l’eccellenza, in ambito italiano o europeo. I due traguardi, della certificazione e dei premi, sono consequenziali, potendo essere il primo propedeutico al secondo, ma pur entrambi richiedendo la stessa forma mentis di base, più legata alla esigenza di una gestione efficace ed efficiente che ai relativi riconoscimenti. Può essere opportuno richiamare l’attenzione, a questo riguardo, sulla già citata ISO 9004:2000, ed ancora più sulla sua futura edizione, come utile ed importante ponte di collegamento tra l’approccio SGQ e quello dell’eccellenza (anche se e proprio perché la 9004 non è utilizzabile per riconoscimenti e certificazioni).

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Richard Normann:

“… la Qualità non è un profumo.

La Qualità non la si può spruzzare

su qualcosa e farla odorare,

mentre magari prima

non aveva un buon odore …”

AICQ-CI

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3.

L’ECCELLENZA NELLE ORGANIZZAZIONI: modelli e premi

di Massimo TRONCI

3.1. I Modelli di Eccellenza ed i relativi Premi Lo sviluppo della Qualità Totale o meglio del Total Quality Management (TQM), come approccio manageriale per il raggiungimento dell’eccellenza, è stato da lungo tempo incentivato in molti dei paesi industrializzati sia attraverso specifiche campagne o piani nazionali, sia attraverso la promozione di Modelli di Eccellenza. I modelli aziendali in questione costituiscono degli schemi di autovalutazione di validità generale utilizzati per l’assegnazione di prestigiosi Premi a carattere internazionale dei quali i più noti sono:

il Deming Prize per il Giappone;

il Malcolm Baldrige National Quality Award (MBNQA) per gli Stati Uniti;

l’European Quality Award (EQA) per l’Europa sulla base del Modello per l’Eccellenza sviluppato dall’European Foundation for Quality Management (EFQM).

Lo scopo istitutivo dei Premi è generalmente quello di:

promuovere la consapevolezza alla Qualità, facilitandone la diffusione e la valorizzazione;

migliorare la competitività in una determinata area (geografica e/o merceologica) delle aziende che vi aderiscono;

dare un riconoscimento visibile a chi consegue i migliori risultati costituendo in tal modo un significativo elemento promozionale nei confronti dei consumatori.

Questo focus esterno è stato largamente condiviso da un gran numero di paesi in tutto il mondo: attualmente oltre trenta nazioni hanno istituito Premi nazionali sulla Qualità, adottando modelli e metodologie simili a quelli sopra citati; in tabella 3.1 sono ricordati gli esempi più significativi con riferimento al modello utilizzato.

In Italia, su iniziativa dell’Associazione Premio Qualità Italia (APQI), è stato lanciato, nel 1997, il Premio Qualità Italia per le Piccole e Medie Imprese basato sul Modello EFQM per le PMI.

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Tabella n. 3.1 – Premi Nazionali per la Qualità

Premi Nazionali Europei basati sul Modello EFQM

Premi Nazionali basati sul

Modello MBNQA

Premi Nazionali (EQA e

MBNQA)

Austria

Belgio

Danimarca

EIRE

Francia

Finlandia

Galles

Germania

Irlanda del Nord

Italia

Norvegia

Olanda

Polonia

Portogallo

Regno Unito

Repubblica Ceca

Russia

Scozia

Slovenia

Spagna

Svezia

Svizzera

Turchia

Ucraina

Ungheria

Australia

Argentina

Brasile

Canada

Nuova Zelanda

Sudafrica

I principali vantaggi derivanti dall’istituzione di tali riconoscimenti si possono così riassumere:

lo sviluppo di un linguaggio comune a tutto il settore economico;

la creazione di un modello di riferimento condiviso;

lo stimolo ad introdurre in azienda le logiche del TQM;

la diffusione dell’autovalutazione sulla base di un Modello di Eccellenza;

la diffusione di casi aziendali di successo che siano di esempio ad altre aziende: l’azienda vincitrice si rende disponibile ad essere visitata e a fornire informazioni sui propri processi e sui miglioramenti effettuati nell’ambito della Qualità, per verificare come gli approcci seguiti dal vincitore possano essere applicati ad altre imprese, eventualmente adattandoli alle proprie esigenze;

un riconoscimento pubblico al carattere strategico della Qualità per la competitività e la sensibilizzazione circa l’importanza di questo tema in tutti i comparti della vita economica di un Paese;

il miglioramento della competitività delle organizzazioni pubbliche o private di un paese attraverso l’adozione di un modello di eccellenza consolidato e riconosciuto in tutto il mondo.

Tra i fattori enunciati, il merito maggiore dei Premi è stato certamente l’aver facilitato la diffusione dell’autovalutazione, presupposto questo importante per garantire a tutti i livelli e in tutte le funzioni una capacità di diagnosi finalizzata al miglioramento continuo delle prestazioni aziendali. I Premi, o meglio i Modelli sui quali questi si basano, costituiscono, di fatto, potenti strumenti di diagnosi che aiutano l’organizzazione a capire se stessa e ad applicare i concetti del TQM per la Qualità in tutte le aree ed i processi aziendali pertinenti.

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Il successo ottenuto dai Premi va oltre il numero delle aziende che annualmente prendono parte al Premio stesso: infatti a fronte di alcune centinaia di aziende che ogni anno vi concorrono, ormai migliaia di imprese si misurano con i criteri dei premi ai fini dell’autovalutazione, per verificare il progresso raggiunto nel lungo cammino verso la Qualità Totale ed il proprio tasso di crescita verso tale traguardo. Un Premio presuppone sia un modello di riferimento per la valutazione interna e per quella esterna da parte di valutatori qualificati, sia la messa a punto di un’organizzazione per l’attuazione dell’autovalutazione stessa. Le aziende si misurano rispetto ai criteri del modello ricavandone dei punteggi, utilizzati non solo come fotografia dello stato dell’arte, ma anche come riferimento per individuare obiettivi, misurare risultati di miglioramento e confrontarsi con i concorrenti e con le aziende di successo. Concorrere al Premio significa inoltre mobilitare l’intera struttura organizzativa in una competizione che possiede un elevato potere di motivazione e di coinvolgimento di gran parte dei dipendenti ed un impiego non trascurabile di risorse, fattori chiaramente indispensabili per garantire un ambiente favorevole all’apprendimento delle problematiche inerenti il TQM e al rafforzamento dell’impegno e della propria concentrazione verso tali aspetti. Sono inoltre molto significativi, in tal senso, i vari premi interni istituiti dalle singole aziende, per valutare sulla base di uno strumento comune le prassi e i risultati ottenuti dalle singole Business Unit e/o dipartimenti dell’azienda stessa: la conoscenza, la consapevolezza, l’emulazione, vengono fortemente rinforzate e stimolate. In tal senso vale qui la pena ricordare che, per l’autovalutazione, alcune aziende utilizzano sistematicamente i Modelli EFQM o Malcom Baldrige senza modifica alcuna, mentre altre aziende hanno sviluppato modelli autonomi anche se sulla falsariga di quelli internazionalmente riconosciuti; tra i tanti si possono qui ricordare il Signature for Quality (SOQ) e l’Eaton Quality Award utilizzati rispettivamente dal Gruppo Johnson & Johnson e dall’Eaton Corporation sulla base del Modello del MBNQA e che vedono la competizione degli stabilimenti produttivi dei rispettivi gruppi.

3.2. Autovalutazione e valutazione finalizzata ai Premi L’autovalutazione rappresenta non solo un momento fondamentale nel processo di pianificazione del miglioramento in ottica Qualità Totale, ma anche una condizione essenziale per la partecipazione ai vari Premi Qualità che con il tempo sono diventati, in particolare il Malcolm Baldrige e quello Europeo, i principali “fornitori” dei modelli e dei criteri per l’autovalutazione stessa. Ma se da una parte si ritiene giusto riconoscere il ruolo svolto dai Premi nella diffusione della pratica dell’autovalutazione, dall’altra è necessaria un’analisi critica in considerazione dei diversi obiettivi esistenti tra l’autovalutazione vera e propria e quella finalizzata alla partecipazione ad un Premio: la pianificazione del

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miglioramento nel primo caso, il riconoscimento esterno del raggiungimento di un livello di eccellenza raggiunto nel secondo. Nel caso dell’autovalutazione finalizzata al miglioramento, di tipo diagnostico, si punta più alla ricerca dei punti di debolezza, mentre l’interesse a vincere il Premio porta ad evidenziare i punti di forza. Le differenze che caratterizzano tali obiettivi si ripercuotono ovviamente nella struttura dei modelli di riferimento e, soprattutto, nelle modalità di approccio ai vari elementi dei modelli stessi. Negli ultimi anni in particolare si è poi assistito al grosso sforzo di rinnovamento dei modelli di riferimento: tra il 1997 ed 2003 sono stati aggiornati sia i modelli dei Premi (MBNQA e EFQM), sia i Modelli degli standard di Qualità. In particolare l’ISO ha, con l’ultima revisione delle norme della serie ISO 9000, dato un forte impulso all’evoluzione normativa in chiave TQM proponendo, all’interno della norma ISO 9004:2000, uno schema per l’autovalutazione. Il grande sforzo profuso sembra però più rispondere ad una esigenza di competizione/concorrenza tra i diversi attori internazionali che ad una effettiva esigenza delle aziende che li possono/devono utilizzare. La grande varietà di modelli disponibili, se da un lato contribuisce ad un maggiore confronto sui temi del TQM ed alla diffusione della cultura dell’autovalutazione, dall’altro rischia di creare non poca confusione in un momento in cui le aziende hanno appena terminato la non facile transizione dal modello ISO 9001:1994 (rivolto alla dimostrazione della conformità), al più evoluto modello Vision 2000 capace, almeno sulla carta, di dimostrare conformità ed efficacia. La norma ISO 9004:2000, in questo contesto, si potrebbe porre (nella realtà sta già avvenendo) come modello per l’autovalutazione alternativo e non sinergico rispetto ai modelli dei premi internazionali sulla spinta della più facile ed immediata integrabilità con il modello ISO 9001:2000, con il rischio di “normare” anche la strada verso il miglioramento e la competitività di un’azienda come troppo spesso è accaduto nel passato per i Sistemi Qualità aziendali. Se il fine dell’autovalutazione è la partecipazione ad un Premio o ad un momento di confronto (Autovalutazione Comparativa), attraverso per esempio il benchmarking, il ricorso ad un modello standardizzato diventa essenziale, mentre meno evidente risulta la necessità di continuo aggiornamento del modello stesso che può risultare peraltro dannosa quando il vero obiettivo è quello di promuovere la crescita di settori produttivi attraverso il confronto e la competizione. In questo caso lo sforzo delle organizzazioni che gestiscono i premi deve essere indirizzato alla diffusione della conoscenza del Modello ed alla sua comprensione da parte delle imprese soprattutto quando si parla di modelli per la piccola e media industria. In questo senso lo sforzo deve essere incentrato più sulle Guide per l’Autovalutazione che sul modello stesso; questo consentirebbe di offrire alle aziende una lettura approfondita ma allo stesso tempo semplice del modello e comunque riferita agli standard di conformità ed efficacia come le ISO 9001 o meglio ancora alla guida all’autovalutazione della ISO9004:2000 e permetterebbe di “scongiurare”, da

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subito, qualsiasi nuova “indebita contrapposizione” tra standard ISO e Modelli dei Premi come quella che, partita nella seconda metà degli anni ’80 con l’uscita delle ISO e del MBNQA, sembrava avviarsi ad una “composizione” grazie all’emissione delle Vision 2000 fortemente indirizzate al TQM. Se il fine dell’autovalutazione è quello del miglioramento aziendale (Autovalutazione Diagnostica) il confronto è prima di tutto con se stessi; in tal senso il modello, generalmente di “origine esterna”, può opportunamente essere modificato per soddisfare esigenze interne di valutazione attraverso una maggiore apertura all’innovazione ed alla variazione dei pesi del modello originario con la consapevolezza che però non si può modificare e/o integrare ciò che non si conosce a fondo; è quindi consigliabile, in una prima fase, utilizzare il modello di riferimento senza procedere a modifiche al fine di acquisirne la padronanza e di poter operare confronti con gli altri per poi passare ad una personalizzazione indirizzata ad obiettivi chiari e coerenti con le politiche e le strategie aziendali.

3.3. L’Autovalutazione Diagnostica Con riferimento a quanto precedentemente illustrato di un certo interesse sono alcuni esempi che, nel contesto italiano, possono costituire un modello di riferimento per chi si vuole cimentare nei diversi percorsi di autovalutazione diagnostica e/o comparativa. Tra i più significativi si sono voluti qui ricordare i casi di Alenia Marconi Systems spa (AMS) e delle Aziende per i Servizi Pubblici Locali del Comune di Torino. Il caso AMS rappresenta un esempio significativo di Autovalutazione Diagnostica caratterizzata peraltro anche da un momento di Valutazione Comparativa interna tra Business Units. L’AMS, con il supporto dell’Associazione Italiana Cultura Qualità-Centro Insulare (AICQ-CI), è impegnata, dal 1999, nell'applicazione in tutte le sue Divisioni del modello EFQM. Sin dal primo anno di introduzione, AMS ha identificato e messo in essere un processo interno unico ed unitario che vede come momenti caratterizzanti:

lo svolgimento di un Quick Assessment per il rilevamento, tramite questionario, della percezione dell'Azienda da parte dei collaboratori in base ai nove criteri del modello;

l'effettuazione dell'autovalutazione da parte di team divisionali e la stesura di un rapporto finale;

la partecipazione di ogni Divisione ad un Evidenced Assessment secondo l’”Approccio Premio” di EFQM;

la formazione rivolta a tutto il personale tramite seminari culturali sui principi fondamentali del TQM, sul modello BEM e sul processo interno;

la formazione e l’addestramento di assessor TQM interni;

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la definizione e l'inserimento dei progetti di miglioramento derivanti dal processo nei budget divisionali.

In questo caso la scelta aziendale è stata quella di adottare un Modello internazionalmente riconosciuto senza apportarvi modifiche sia per la convinzione che è necessario padroneggiare uno strumento prima di apportarvi delle modifiche, sia per rendere praticabile un immediato confronto interno con il ramo inglese dell’azienda ed un possibile futuro confronto esterno attraverso la partecipazione al Premio Europeo. L'impegno che AMS S.p.A. sta profondendo trova riscontro nei seguenti risultati:

il 20% del personale viene coinvolto ogni anno nella partecipazione al Quick Assessment;

circa 150 persone, tra cui quasi tutti i top manager divisionali, prendono parte alla fase di autovalutazione;

il 40% del personale ha partecipato fino ad ora ai seminari culturali;

sono stati formati circa 70 assessor TQM tra i quali vengono selezionati quanti effettuano gli Evidenced Assessment interni;

a partire dal 2001, AMS spa mette a disposizione alcuni dei suoi assessor all'Associazione Premio Qualità Italia per la valutazione delle Aziende partecipanti al Premio Qualità Italia.

Un’interessante iniziativa di Autovalutazione Diagnostica con forte valenza comparativa sul territorio, è quella recentemente promossa dall’Agenzia per i Servizi Pubblici Locali del Comune di Torino con il supporto dell’Associazione Italiana Cultura Qualità (AICQ) e che vede impegnate le Aziende dei Servizi Pubblici Locali (ASPL) di Torino, ossia le grandi aziende – oggi partecipate dal Comune di Torino - che sovrintendono all’erogazione dei servizi fondamentali di una estesa area metropolitana: erogazione e depurazione dell’acqua (SMAT), fornitura di energia elettrica (AEM), fornitura di gas (Italgas Più), trasporto pubblico urbano ed extraurbano (GTT), raccolta e smaltimento rifiuti (AMIAT). L’elemento catalizzatore del progetto è rappresentato dall’Agenzia per i Servizi Pubblici Locali del Comune di Torino, nel duplice ruolo che le è stato assegnato dal Consiglio Comunale: - di strumento per il presidio e lo sviluppo della Qualità presso le Aziende dei

Servizi pubblici, - di promotore di iniziative a favore delle Aziende, nell’ottica di un miglioramento

continuo della Qualità del servizio da esse erogato. L’impostazione che è stata adottata è quella di un’autovalutazione condotta, secondo l’“Approccio con schede” di EFQM, da un gruppo di esperti che ha costituito per l’Azienda il documento di base per la pianificazione del miglioramento sviluppato secondo l’approccio del Committed to Excellence che è stato conseguito da AEM, GTT, Italgas , Smat .

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4.

DALLA QUALITA’ ALL’ECCELLENZA: il percorso EFQM

di Sergio BINI

4.1. Premesse Nell’ottobre 2001 è stato istituito lo Schema di Riconoscimento EFQM dei “Levels of Excellence” che costituisce una metodologia di riconoscimento, con modalità coerenti a livello europeo, nei confronti delle organizzazioni impegnate in un percorso di crescita secondo il Total Quality Management (TQM, o business excellence), con livelli di riconoscimento dei meriti commisurati al livello di maturità raggiunto. Si parla qui di “organizzazioni” in senso lato, intendendo fare riferimento a piccole/medie imprese, a grandi imprese, ad enti, sia privati che pubblici, a aziende commerciali e ad operatori del volontariato. Il lancio in Italia è avvenuto nel Dicembre 2002 Nella presentazione grafica dello Schema, i cinque livelli di eccellenza sono rappresentati da altrettanti gradini in una struttura piramidale: i primi due gradini precedono e, volendo, preparano la partecipazione ai Premi della Qualità (“Committed to Excellence” e “Recognized for Excellence”), mentre gli ultimi tre gradini corrispondono alle tre categorie già attualmente riconosciute nell'ambito dello European Quality Award (“Finalist”, “Prize Winner”, “Award Winner”). Sono quindi i primi due livelli che costituiscono la novità sostanziale del nuovo Schema di Riconoscimento.

4.2. il “Committed to Excellence” Il livello “Committed to Excellence” (C2E) è stato pensato per organizzazioni che si trovano all'inizio del loro percorso nel TQM. Viene quindi posto l'accento sull'esigenza di far capire dove ci si colloca rispetto al Modello EFQM, onde stabilire le priorità di miglioramento. All'organizzazione che intende ottenere questo riconoscimento viene proposto di seguire un processo in due stadi.

Il primo stadio prevede che venga effettuata un'autovalutazione di primo livello, utilizzando un questionario basato sui 9 Criteri del Modello EFQM. E’ così possibile ricavare un quadro complessivo delle proprie performance rispetto al Modello di riferimento, e individuare di conseguenza le aree su cui intervenire, impostando un piano di miglioramento.

Nel secondo stadio l'azienda è tenuta a dimostrare di avere sviluppato le azioni

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contenute nel piano di miglioramento scaturito dall'autovalutazione. La "validazione" di questo processo – che si sviluppa nell’arco temporale di 6-9 mesi - viene affidata alla figura di un valutatore appositamente addestrato (“Validator”), che svolgerà i necessari accertamenti nel corso di una visita in loco. L'esito positivo della validazione porta al riconoscimento formale con un attestato, nonché un logo che potrà essere utilizzato nella documentazione commerciale e nelle iniziative promozionali dell'azienda. Soltanto se si entra veramente nella logica del miglioramento continuo è possibile ottenere risultati via via più importanti, che - da un certo livello in poi e soltanto allora - sia significativo collegare (ed eventualmente pubblicizzare) con uno specifico punteggio. Questo è il senso del “Committed to Excellence”, un riconoscimento che viene dato all'intero processo, dalla autovalutazione iniziale alla validazione finale, passando attraverso un programma di miglioramento strutturato. Il primo dei “Levels of Excellence” intende dunque dare riconoscimento dell'impegno ad avere imboccato il nuovo percorso di crescita, avvalendosi di nuove metodologie, e affrancandosi dalla polarizzazione sul punteggio, una sindrome indesiderata spesso presente nella sotto-cultura della certificazione.

4.3. il “Recognized for Excellence” Il livello “Recognized for Excellence” (R4E) si rivolge a organizzazioni che abbiano già maturato una buona esperienza di utilizzo del Modello per l’Eccellenza. Ai partecipanti viene offerto il valore di un approccio ben strutturato nell'identificazione dei punti di forza dell’organizzazione e delle aree suscettibili di miglioramento. L'approccio seguito è del tutto simile a quello dello European Quality Award, a parte una certa semplificazione nella documentazione che deve essere preparata dall'azienda. È previsto l'esame individuale e di gruppo di tale documentazione da parte di un Team di valutazione, che raccoglierà inoltre opportuni riscontri in sede di visita sul posto. Al termine del processo viene consegnato un Rapporto di valutazione, con l'indicazione di possibili percorsi per ulteriori miglioramenti, mentre la specificazione del profilo di punteggio consentirà all’azienda di confrontarsi con altre organizzazioni. Il riconoscimento formale (con certificato e logo) viene assegnato alle aziende che superano la soglia di 400 punti.

4.4. I tre livelli dell'European Quality Award Per i livelli “Finalist”, “Prize Winner”, “Award Winner” vale il processo rigoroso dello European Quality Award, ampiamente collaudato a partire dall'inizio degli anni novanta.

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Gli esatti livelli di punteggio assegnati ai tre riconoscimenti vengono fissati dalla Giuria di anno in anno: storicamente, e a titolo indicativo, si può fare riferimento a soglie di 500-550 per il “Finalist”, 600-650 per il “Prize Winner”, 700-750 per “Award Winner”, rispettivamente.

4.5. Lo Schema EFQM costituisce una linea di sviluppo naturale alle ISO 9000

Le Norme ISO 9000:2000 hanno incorporato diversi elementi del TQM, che erano inizialmente presenti soltanto nel Modello EFQM (il monitoraggio della soddisfazione dei clienti, la visione per processi, il coinvolgimento del personale sugli obiettivi, e così via; inoltre la stessa Norma ISO 9004:2000, proponendo lo strumento dell’autovalutazione, stimola di fatto il passaggio alla nuova logica del miglioramento continuo. D'altronde, da parte delle aziende più preparate era da tempo percepita l'esigenza di andare al di là delle ISO 9000, alla ricerca di strumenti di valutazione capaci di accompagnarle nel percorso di crescita, e di procurare eventuali riconoscimenti formali ai traguardi conseguiti: di fatto, con i livelli di diffusione raggiunti, il certificato ISO 9001, pur rappresentando un prerequisito per stare sul mercato, ha perso la connotazione iniziale di vantaggio competitivo per l'azienda che l'ha ottenuto.

Figura 4.1 – il percorso verso l’Eccellenza, secondo EFQM.

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Tom Peters:

“… il cliente percepisce il servizio

nei termini che gli sono propri,

ovvero unici, caratteristici,

umani, emozionali,

estremi, umorali …”

AICQ-CI

Via San Vito, n. 17 – 00185 ROMA

tel. 06.4464132 - fax 06.4464145 www.aicqci.it

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5.

L’EVOLUZIONE DELLA CERTIFICAZIONE DEI SISTEMI DI

GESTIONE AMBIENTALE: percorsi e vantaggi

di Marco GENTILINI

5.1. L’evoluzione Negli ultimi cinque anni il fenomeno legato alla certificazione dei sistemi di gestione aziendali si è notevolmente sviluppato in Italia, più che nelle altre realtà europee. Ad oggi, nell’ambito ISO 9000:2000, nel nostro Paese risulta emesso un numero di certificati secondo (in valore assoluto) solo alla Cina. Analoga tendenza a quella riscontrata nel settore della Qualità è possibile rilevarla nell’ambito dei sistemi di gestione ambientali, con le dovute proporzioni, in quanto il fenomeno è ancora nella prima fase evolutiva. La norma ISO 14001:1996 è stata infatti emessa nel 1996 quando già, in Italia, si contavano quasi 10.000 certificazioni nel settore Qualità. A fronte di questo sviluppo in corso, appare interessante analizzare analogie e differenze tra i due modelli normativi e tra i due processi di diffusione nel tessuto imprenditoriale italiano.

ISO 14000

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 (*)

N° Certificazioni

ISO 9000

0

10000

20000

30000

40000

50000

60000

70000

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 (*)

N° Certificazioni

Figura 5.1 – andamento delle Certificazioni.

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5.2. I modelli gestionali di riferimento. Come tutti i modelli gestionali, quelli contenuti all’interno delle suddette norme sono caratterizzati da alcuni aspetti basilari comuni: il continuo riferimento al PDCA (o Ciclo di Deming). In effetti per entrambi sono presenti requisiti che definiscono aspetti relativi alla pianificazione, all’operatività, al controllo ed alle azioni di miglioramento sul sistema produttivo cui sono applicate. Il ciclo virtuoso è probabilmente più visibile nello schema normativo della ISO 14001, dove è possibile evidenziare quasi un’associazione biunivoca tra requisiti normativi ed elementi del modello gestionale di Deming:

MACRO – REQUISITI DELLA ISO 14001 PDCA

4.1 Requisiti generali

4.2 Politica ambientale (P)

4.3 Pianificazione P

4.4 Attuazione e funzionamento D

4.5 Controlli e azioni correttive C

4.6 Riesame della direzione A

Tabella 5.1 - Requisiti della norma ISO 14001.

Anche all’interno della norma ISO 1400111 (come pure nella ISO 9001) viene inserito uno schema di riferimento per esplicitare la sequenzialità e la progressione delle azioni previste dai requisiti. (Figura n. 5.2)

Figura 5.2 – il ciclo del miglioramento continuo della norma ISO 14001:1996.

E’ possibile pertanto concludere che a meno della parte attuativa del Sistema (capitolo 4.4. della ISO 14001:1996 e capitolo 7 della ISO 9001:2000), tutti i requisiti di entrambi gli schemi sono perfettamente integrabili con la sola

11 Si ricorda che la norma ISO 14001:1996 è in corso di revisione e l’uscita del testo approvato è prevista nei prossimi mesi, anche

se l’impianto fondamentale non subirà variazioni di rilievo rispetto all’attuale impostazione.

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considerazione di tenere sempre ben presenti i principali stakeholders a cui ciascuno dei due schemi si rivolge. (Tabella n. 5.2)

MODELLO STAKEHOLDERS PRINCIPALI

ISO 9001:2000 Clienti Collaboratori e dipendenti Fornitori Azionisti e Finanziatori

ISO 14001:1996 Collettività Collaboratori e dipendenti Azionisti e Finanziatori

Tabella 5.2 - Gli Stakeholders per le norme ISO 9001 e ISO 14001.

In effetti la principale differenza tra i due modelli gestionali, non è tanto da ricercarsi negli strumenti adottati, quanto invece negli obiettivi che ciascuno dei due permette di perseguire. Se da un lato (Qualità) abbiamo lo sviluppo dell’impresa per mezzo della soddisfazione del cliente, dall’altro (ambiente) abbiamo la ricerca di uno sviluppo sostenibile, il rispetto e la salvaguardia dell’ecosistema quale bene, oramai prezioso, per la collettività. Anche i metodi utilizzati per la progettazione e l’implementazione del sistema (analisi del sistema produttivo, definizione di procedure e documenti di riferimento, formazione del personale, verifiche interne e riesame del sistema) sono del tutto analoghi nella loro forma anche se, per quanto detto in precedenza, variano i contenuti. Lo schema che segue può essere pertanto adottato indifferentemente per ciascuno dei due ambiti di applicazione. (Figura n. 5.3)

Figura 5.3.

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All’atto pratico della realizzazione e della certificazione si riscontrano poi ulteriori similitudini e differenze che possono essere schematicamente presentate seguendo il percorso evolutivo di un sistema di gestione ambientale fino alla sua certificazione Nella prima fase di analisi del sistema produttivo, nei Sistemi Qualità è d’uopo la realizzazione di una attenta e puntuale analisi per processi e per funzioni per arrivare alla mappatura completa dell’azienda da un punto di vista organizzativo ed operativo. Nello sviluppo di un sistema di gestione ambientale, a quest’attività, deve necessariamente essere affiancata quella relativa ad un’analisi ambientale iniziale mirata a conoscere il livello di conformità normativa e di performance ambientale delle attività dell’organizzazione.

Figura 5.4.

Altra analogia è rappresentata dalle attività di certificazione che seguono sostanzialmente gli stessi procedimenti adottati per la ISO 9001. La principale differenza è costituita dal “doppio audit” necessario per la valutazione di conformità12; per la ISO 14001 infatti è previsto di svolgere una prima verifica “on site” (il cosiddetto: stage 1) per valutare il grado di rispetto delle normative in materia ambientale da parte dell’organizzazione ed un secondo audit (il cosiddetto stage 2) riferito al Sistema di Gestione vero e proprio (analogo alla visita di certificazione per la ISO 9001).

12 Su questo e sulle altre peculiarità della certificazione ambientale si veda anche il documento Sincert RT-09: “Prescrizioni

integrative per l’accreditamento delle certificazioni dei sistemi di gestione ambientale (SGA)”, disponibile su sito http:\\www.sincert.it

Esempio di articolazione delle fasi di sviluppo dell’Analisi Ambientale Iniziale (AAI)

1. PIANIFICAZIONE E PREPARAZIONE DELL’ANALISI AMBIENTALE

2. ACQUISIZIONE DEI DATI E DELLE INFORMAZIONI

3. ESECUZIONE DELL’ANALISI AMBIENTALE a. Inquadramento generale del sito b. Descrizione delle attività, dei prodotti e dei servizi c. Bilanci di massa e di risorse d. Identificazione e descrizione degli aspetti ambientali e. Censimento degli obblighi e delle prescrizioni legislative f. Analisi delle modalità organizzative e gestionali g. Valutazione della significatività degli impatti ambientali

4. PREDISPOSIZIONE DEL RAPPORTO FINALE

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5.3. Vantaggi della certificazione ambientale. Anche in quest’ambito rispetto ai Sistemi Qualità si riscontrano sicuramente gli stessi risultati positivi in termini di ottimizzazione della gestione interna e di maggiore soddisfazione del cliente, intesa qui come soddisfacimento dei suoi requisiti relativamente alla sensibilità ambientale nel preferire prodotti “meno inquinanti”. Se fosse solo per questo risultato probabilmente non varrebbe la pena di spendere risorse per la progettazione e lo sviluppo di un sistema secondo ISO 14001. In realtà esistono ritorni ben più ampi e concreti che portano oggi le aziende ad intraprendere il cammino della certificazione ambientale (o quanto meno dell’introduzione di un sistema di gestione ambientale). Un’organizzazione che abbia ad oggi intrapreso un percorso verso l’implementazione di un sistema di gestione ambientale (indipendentemente dalla sua certificazione) ha sul mercato un valore intrinseco più elevato dovuto ad una serie di fattori specifici. L’ottenimento della certificazione ambientale rappresenta oggi l’attestazione quanto meno della piena legalità dell’organizzazione rispetto alla normativa specifica, con conseguente aumento del valore dell’impresa e ciò, ad esempio, fornisce maggiori garanzie in caso di acquisto di un’azienda o di tutela per gli amministratori. Inoltre “gestire l’ambiente” significa anche avere sotto controllo una serie di rischi e di problematiche che spesso, al di là degli aspetti di mercato o gestionali dell’azienda, portano al collasso un’impresa. Solo per citare alcuni esempi, la mancanza di un’autorizzazione può comportare anche la chiusura dell’impianto da parte dell’autorità con conseguente danno economico facilmente calcolabile (rischio legislativo). L’insorgere di incidenti legati a cattiva gestione o manutenzione degli impianti può portare al danneggiamento dei macchinari e al fermo (totale o parziale) della produzione oltre ai costi derivanti dal ripristino; senza arrivare a considerare i ben più gravi danni che possono occorrere alle persone, dipendenti ed esterni all’azienda (rischi di sicurezza). Al di là della coscienza ambientale che dovrebbe oggi pervadere le azioni di ogni cittadino e quindi di ogni imprenditori, per restare nel campo della mera convenienza economica, si capisce facilmente come non convenga trascurare le problematiche ambientali, se arriviamo a considerare tutte le conseguenze legate a fattori quali la trascuratezza, l’ignoranza e la superficialità.

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Figura 5.5.

Nella formula

Profitto = Ricavo – Costi

si può sostenere che l’implementazione di un sistema di gestione ambientale interviene soprattutto dal lato del contenimento dei costi in quanto porta ad una maggiore efficienza del sistema produttivo (riduzione di scarti, materie prime, energia e risorse impiegate, e così via) e ad una sua minore esposizione a rischi che normalmente si ripercuotono nella gestione operativa con aumento delle spese (sanzioni amministrative, fermata degli impianti, risarcimenti in denaro, e così via). Senza poi considerare gli aspetti legati a sanzioni penali (con pene che arrivano fino all’arresto) che spesso si accompagnano, nella legislazione ambientale, al mancato rispetto delle prescrizioni emanate dalle autorità.

Rischi derivanti da un’errata o carente gestione ambientale

Rischi legislativi

Rischi di sicurezza

Rischi ecologici

Rischi di immagine

Rischi tecnici

Rischi di mercato

Rischi per opportunità non sfruttate

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6.

I SISTEMI DI GESTIONE PER LA SICUREZZA E LA SALUTE:

evoluzione e applicazione

di Lorenzo FEDELE e Massimo CONCETTI

6.1. Premessa Le norme UNI EN ISO 9000 e l'implementazione dei Sistemi di Gestione per la Qualità hanno contribuito in modo decisivo, in particolare nell'ultimo decennio, alla diffusione di una nuova visone della gestione aziendale. La gestione sistematica dei processi, intesa come "combinazione, di qualsivoglia livello di complessità, di personale, risorse, politiche e procedure le cui componenti interagiscono in modo organizzato per realizzare un determinato traguardo od ottenere o mantenere uno specifico risultato", ha portato nel panorama delle attività produttive ad una maggiore attenzione verso i concetti di efficacia, efficienza e miglioramento. Tali temi negli ultimi tempi si sono trasformati in un must delle grandi organizzazioni e in maniera decisamente più faticosa si stanno diffondendo anche nelle piccole e medie realtà aziendali. Questa logica gestionale, basata sul modello Plan-Do-Check-Act (PDCA) e inizialmente implementata al fine di garantire la Qualità dei processi dell'organizzazione, sta diventando sempre più parte della cultura organizzativa delle aziende, che ne hanno sposato da tempo i principi. Si è evidentemente all'inizio di un processo complesso di riorganizzazione delle attività produttive. Il concetto di Sistema di Gestione, anche attraverso la pubblicazione delle norme sulla gestione ambientale e di quelle sulla gestione della sicurezza, si sta diffondendo sempre più. L'orientamento prevalente è quello della gestione integrata delle attività, volta al miglioramento delle prestazioni delle organizzazioni in termini di Qualità, ambiente e sicurezza, ove l’attenzione ai costi e alla soddisfazione delle parti interessate diviene il focus centrale. Sulla scia dei successi ottenuti attraverso l'adozione dei Sistemi di Gestione per la Qualità e per l'ambiente, anche in termini economici e di ritorno di immagine, e nell'ottica dell'integrazione di tali aspetti, le organizzazioni possono trovare nei modelli gestionali uno strumento efficace e relativamente semplice da utilizzare per l’attuazione delle necessarie condizioni di sicurezza, ove si faccia riferimento ai criteri che si espongono nel seguito. La salute dei lavoratori e la sicurezza degli ambienti di lavoro è un principio etico irrinunciabile per ogni datore di lavoro e le istituzioni nel corso degli anni hanno elaborato e pubblicato un numero cospicuo di norme, che costituiscono un panorama legislativo complesso ed articolato.

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Il recepimento da parte degli stati membri delle Direttive emanate dalla Unione Europea, inoltre, ha contribuito in maniera significativa al determinarsi di una nuova concezione della sicurezza, in forza della quale le responsabilità civili e penali hanno trovato una più appropriata attribuzione e gli approcci da adottarsi, che esaltano - fra l’altro – il carattere anzitutto gestionale delle attività per la sicurezza, appaiono più sistematici e tecnicamente e scientificamente sostenibili.

6.2. Modelli gestionali di riferimento per la salute e la sicurezza 6.2.1 Generalità L'adozione di un Sistema di Gestione per la Sicurezza (SGS) richiede il soddisfacimento delle norme cogenti e dei requisiti volontari propri di un sistema di gestione riferito ai temi della salute e della sicurezza. La definizione di tali requisiti è stata oggetto di attività di normazione, in principio da parte del British Standards Institution (BSI), e in seguito, almeno a livello di linee guida, da parte degli altri enti nazionali di normazione. La norma tecnica BS 8800:1996 "Guida ai sistemi di gestione della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro" costituisce una guida ai sistemi di gestione per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro, e tratta dei principi generali di buona gestione per il conseguimento di appropriate condizioni di salute e di sicurezza allo scopo di attuare, tra l’altro, l’auspicabile miglioramento continuo. La mancanza di uno strumento unico per la gestione della salute e della sicurezza dei lavoratori anche per la eventuale certificazione, ha spinto il BSI, nel 1998, a creare un gruppo di lavoro rappresentativo delle parti interessate e appositamente dedicato alle tematiche dei sistemi di gestione per la salute e la sicurezza. Scartata l'ipotesi di modificare opportunamente la linea guida BS 8800, il risultato è stato la creazione:

della OHSAS13 18001:1999 "Specifica per un sistema di gestione della sicurezza e salute nei luoghi di lavoro" e

della linea guida OHSAS 18002:2000 per l'interpretazione dello standard e per la sua implementazione.

Anche l'UNI e l’INAIL, con il contributo di vari enti e soggetti interessati, tra i quali ISPESL, CNA, Confindustria, Confartigianato, Confapi, Confcommercio, CIGL, CISL e UIL, hanno operato al fine di produrre una linea guida per l'implementazione di un sistema di gestione per la sicurezza, non tanto al fine di un riconoscimento di parte terza, bensì, essenzialmente, allo scopo di fornire chiarimenti ed indicazioni per attuare una gestione sistematica dei processi che coinvolgono la sicurezza sui luoghi di lavoro, in particolare nelle piccole e medie imprese italiane.

13 OHSAS è l’acronimo di Occupational Health & Safety Assessment Series.

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I modelli relativi all'istituzione e all'implementazione dei sistemi di gestione per la Qualità e per l’ambiente possono comunque costituire un valido riferimento per la gestione degli aspetti legati alla sicurezza. In effetti, i tre Sistemi di Gestione utilizzano in realtà la stessa metodologia organizzativa fondata sulla definizione di politiche aziendali, sul coinvolgimento del management aziendale o dell'imprenditore, sull'analisi preliminare degli aspetti salienti (audit preliminare), sulla definizione di manuali di gestione, sulla definizione di procedure gestionali e di istruzioni operative, sulla formazione dei propri lavoratori, sulle verifiche periodiche, sull'organizzazione di risorse e di mezzi e, più in generale, sul concetto fondamentale di miglioramento continuo. 6.2.2 Analisi dei rischi – Documento di Analisi e Valutazione dei Rischi Le leggi in materia di sicurezza - in particolare il D.Lgs. 626 del 1994 e le successive modifiche e integrazioni – impongono alle organizzazioni la costante valutazione dei rischi al fine di individuare i pericoli per i lavoratori che derivano dalle lavorazioni inerenti al ciclo produttivo. Le stesse normative prevedono che le organizzazioni attuino misure di prevenzione adeguate e pianifichino gli interventi di miglioramento nel campo della sicurezza. In relazione a tali obblighi il primo passo consiste nella progettazione e realizzazione del Documento di Analisi e Valutazione dei Rischi. Tale documento, che costituisce uno dei documenti fondamentali per il sistema di gestione per la sicurezza e la salute, deve essere necessariamente gestito in maniera dinamica per renderlo uno strumento operativo rispondente al dettato legislativo e adatto a favorire il reale miglioramento delle condizioni di sicurezza e salute in tutta l’organizzazione. I principi alla base del Documento di Analisi e Valutazione dei Rischi dovrebbero essere: 1. la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro sono un diritto e un dovere di tutto il

personale dell’organizzazione; 2. la sicurezza e la salute sono ``affari di tutti``, tutti se ne devono occupare in un

quadro organizzativo trasparente, non ha senso demandare a pochi la sicurezza e la salute di tutti;

3. il Documento di Analisi e Valutazione dei Rischi deve essere uno strumento progettato, realizzato e aggiornato in modo da poter essere utilizzato correntemente da tutto il personale, grazie alla sua facilità di consultazione, sinteticità e completezza.

L’applicazione di questi tre principi deve portare a progettare il Documento di Analisi e Valutazione dei Rischi coinvolgendo nelle fasi di redazione e di successiva gestione tutto il personale dell’organizzazione. Si prevedono le seguenti fasi operative: 1. attivazione di un gruppo di lavoro finalizzato alla progettazione del Documento

di Analisi e Valutazione dei Rischi, alla implementazione dello stesso in tutta l’organizzazione e al successivo monitoraggio;

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2. progettazione della struttura del Documento di Analisi e Valutazione dei Rischi che sarà costituito da una parte generale unica per tutta l’organizzazione e da tre parti specifiche: i fascicoli di struttura, di reparto e di ambiente;

3. realizzazione di una Guida per la compilazione e l’aggiornamento delle varie parti;

4. attribuzione delle responsabilità per la compilazione e l’aggiornamento di tutte le parti con un coinvolgimento diretto di tutte le figure interessate;

5. formazione e supporto di tutti i soggetti coinvolti nella gestione del Documento di Analisi e Valutazione dei Rischi;

6. monitoraggio dei risultati, riesame e miglioramento del Documento di Analisi e Valutazione dei Rischi.

Le fasi quattro e cinque prevedono il coinvolgimento di tutto il personale dell’organizzazione, a cominciare dai datori di lavoro e dai dirigenti, passando attraverso i preposti, per arrivare a tutti i lavoratori con l’obiettivo di coinvolgere tutti. 6.2.3 Il decreto legislativo n. 626 del 1994 e la norma UNI EN ISO 9001:2000 Il decreto legislativo n. 626 del 1994, nonostante sia una norma cogente, costituisce, in virtù del nuovo approccio, un valido modello per la definizione di un Sistema di Gestione per la Sicurezza. In particolare, attraverso la rilettura del testo e della sua struttura, è possibile ricostruire una corrispondenza tra i requisiti elencati dalla UNI EN ISO 9001, che può essere considerato come riferimento per la definizione di un Sistema di Gestione, e gli articoli del decreto stesso. Nella tabella n. 6.1 si è cercato di evidenziare, seppure non sempre sia stato possibile individuare una corrispondenza diretta, tale correlazione.

Tabella 6.1 (a)- Requisiti essenziali richiamati nella OHSAS 18001.

Capitoli della UNI EN ISO 9001:2000

Articoli del D.Lgs. 626/94 e s.m.i.

1. SCOPO E CAMPO DI APPLICAZIONE

Art. 1 - Campo di applicazione; Art. 47 - Campo di applicazione; Art. 50 - Campo di applicazione; Art. 60 - Campo di applicazione; Art. 73 - Campo di applicazione; Art. 88 bis - Campo di applicazione.

3. TERMINI E DEFINIZIONI

Art. 2 – Definizioni; Art. 30 – Definizioni; Art. 34 – Definizioni; Art. 40 – Definizioni; Art. 47 - Campo di applicazione; Art. 51 - Campo di applicazione; Art. 61 – Definizioni; Art. 72 ter – Definizioni; Art. 74 – Definizioni; Art. 88 ter – Definizioni.

4. SISTEMA DI GESTIONE PER LA QUALITÀ

Art. 3 - Misure generali di tutela; Art. 31 - Requisiti di sicurezza e di salute; Art. 33 - Adeguamenti di norme; Art. 42 - Requisiti dei DPI; Art. 58 - Adeguamenti di norme; Art. 72 quinques - Misure e principi generali per la prevenzione dei rischi; Art. 72 sixses - Misure specifiche di protezione e di prevenzione; Art. 80 - Misure igieniche; Art. 81 - Misure specifiche per le strutture sanitarie e veterinarie; Art. 82 - Misure specifiche per i laboratori e gli tabulari; Art. 83 - Misure specifiche per i processi industriali; Art. 84 - Misure di emergenza; Art. 70 - Registro di esposizione e cartelle sanitarie; Art. 71 - Registrazione dei tumori; Art. 72 undecies - Cartelle sanitarie e di rischio; Art. 87 - Registri degli esposti e degli eventi accidentali; Art. 88 - Registro dei casi di malattia e decessi.

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5. RESPONSABILITÀ DELLA DIREZIONE

Art. 4 - Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto; Art. 12 - Disposizioni generali; Art. 32 - Obblighi del datore di lavoro; Art. 35 - Obblighi del datore di lavoro; Art. 43 - Obblighi del datore di lavoro; Art. 48 - Obblighi del datore di lavoro; Art. 52 - Obblighi del datore di lavoro; Art. 5 - Obblighi dei lavoratori; Art. 6 - Obblighi dei progettisti, dei fabbricanti, dei fornitori e degli installatori; Art. 9 - Compiti del servizio di prevenzione e protezione; Art. 10 - Svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi; Art. 17 - Il medico competente; Art. 18 - Rappresentante per la sicurezza Attribuzioni del rappresentante per la sicurezza; Art. 39 - Obblighi dei lavoratori; Art. 44 - Obblighi dei lavoratori; Art. 76 – Comunicazione; Art. 11 - Riunione periodica di prevenzione e protezione dai rischi

6. GESTIONE DELLE RISORSE

Art. 8 - Servizio di prevenzione e protezione; Art. 8 bis - Capacità e requisiti professionali degli addetti e dei responsabili del servizio di prevenzione e protezione interni o esterni; Art. 21 - Informazione dei lavoratori; Art. 22 - Formazione dei lavoratori; Art. 37 – Informazione; Art. 38 - Formazione ed addestramento; Art. 49 - Informazione e formazione; Art. 56 - Informazione e formazione; Art. 57 - Consultazione e partecipazione dei lavoratori; Art. 66 - Informazione e formazione; Art. 2 octies - Informazione e formazione per i lavoratori; Art. 72 duodecies - Consultazione e partecipazione dei lavoratori; Art. 85 - Informazione e formazione.

7. REALIZZAZIONE DEL PRODOTTO

Art. 53 - Organizzazione del lavoro; Art. 63 - Valutazione del rischio; Art. 72 quarter - Valutazione del rischio; Art. 72 septies - Disposizioni in caso di incendi o di emergenze; Art. 75 - Classificazione degli ambienti biologici; Art. 78 - Valutazione del rischio; Art. 14 - Diritti dei lavoratori in caso di pericolo grave ed immediato; Art. 16 - Contenuto della sorveglianza sanitaria; Art. 68 - Operazioni lavorative particolari; Art. 63 - Valutazione del rischio; Art. 72 quarter - Valutazione del rischio; Art. 7 - Contratto di appalto o contratto d’opera; Art. 13 – Prevenzione incendi; Art. 14 - Pronto soccorso; Art. 54 - Svolgimento quotidiano del lavoro; Art. 62 - Sostituzione e riduzione; Art. 64 - Misure tecniche, organizzative e procedurali; Art. 65 - Misure tecniche; Art. 72 novies – Divieti; Art. 79 - Misure tecniche, organizzative e procedurali; Art. 36 - Disposizioni concernenti le attrezzature di lavoro

8. ANALISI MISURAZIONE E MIGLIORAMENTO

Art. 29 - Statistiche degli infortuni e delle malattie professionali; Art. 55 - Sorveglianza sanitaria; Art. 69 - Accertamenti sanitari e norme preventive e protettive specifiche; Art. 72 decies - Sorveglianza sanitaria; Art. 86 - Prevenzione e controllo; Art. 67 - Esposizione non prevedibile; Art. 86 - Prevenzione e controllo; Art. 3 - Misure generali di tutela; Art. 62 - Sostituzione e riduzione; Art. 72 - Adeguamenti normativi; Art. 72 ter decies - Adeguamenti normativi.

Tabella 6.1 (b) – Correlazione tra i Capitoli della UNI EN ISO 9001 e il D.Lgs. 626/94.

Analizzando il testo del D.Lgs. 626/94 e la tabella risulta evidente l’orientamento agli aspetti gestionali della problematica sicurezza e salute dei lavoratori. 6.2.4. Il modello OHSAS 18001 La norma OHSAS 18001 contiene un insieme di requisiti, relativi alla gestione sistematica delle problematiche legate alla salute e alla sicurezza, utili al fine di tenere sotto controllo i rischi e a migliorare i risultati dell’organizzazione in materia di sicurezza, attraverso l’analisi delle dinamiche e dei processi aziendali, la definizione della politica per la sicurezza con obiettivi misurabili e l’individuazione di nuovi modelli di comportamento.

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Come il D.Lgs. 626 anche la norma OHSAS 18001, trattandosi di un modello gestionale, presenta molti punti corrispondenti a quelli riportati nella UNI EN ISO 9001. Per utilità del lettore si riportano nella Tabella 6.2 i requisiti essenziali richiamati nella OHSAS 18001 e una loro breve descrizione.

Tabella 6.2 (a) - Requisiti essenziali richiamati nella OHSAS 18001.

REQUISITI Breve Descrizione

4.1 REQUISITI GENERALI

L’organizzazione dovrebbe effettuare una analisi iniziale volta ad: - identificare le prescrizioni legislative e regolamentari, - i rischi significativi delle proprie attività, prodotti o servizi e - i controlli da attuarsi.

4.2 POLITICA

DELLA SALUTE E SICUREZZA

L’alta direzione dovrebbe definire ed approvare una politica per la salute e la sicurezza. Tale politica dovrebbe essere documentata e comunicata a tutto il personale ed essere disponibile all’esterno. La politica dovrebbe: - essere adottata ed appropriata all’attività, ai prodotti e ai servizi dell’organizzazione, - fissare gli obiettivi per la salute e la sicurezza, - incoraggiare lo sviluppo e l’uso di indicatori di prestazioni della sicurezza, - spingere l’organizzazione a ricercare appropriate tecnologie e prassi di gestione, - mirare al miglioramento continuo delle prestazioni, - essere conforme alla legislazione vigente e alla regolamentazione applicabile.

4.3 PIANIFICAZIONE

4.3.1 Analisi dei rischi

L’organizzazione dovrebbe definire ed applicare un sistema di procedure atte ad individuare, esaminare e controllare i rischi significativi da tenere sotto controllo (in rapporto alla probabilità, gravità, estensione e frequenza). Tutti i rischi significativi dovrebbero essere registrati e catalogati, la relativa documentazione dovrebbe essere tenuta aggiornata. L’organizzazione, inoltre, dovrebbe definire ed applicare una procedura per valutare i rischi significativi dei nuovi progetti o per valutarli in caso di guasto di un processo o di incidente o di situazione di emergenza.

4.3.2 Prescrizioni di legge ed altre

L’organizzazione dovrebbe definire ed applicare un sistema di procedure per l’identificazione, l’aggiornamento e l’accesso alla legislazione in materia di salute e sicurezza. I dipendenti dovrebbero essere tempestivamente informati sulle prescrizioni di legge vigenti o sulle altre normative applicabili. L’organizzazione dovrebbe sviluppare criteri di prestazione interni nel caso la normativa esterna non corrisponda alle necessità dell’organizzazione o non caso non esista.

4.3.3 Obiettivi L’organizzazione dovrebbe stabilire e comunicare alle funzioni interessate obiettivi specifici e misurabili. Tali obiettivi dovrebbero essere rivisti e aggiornati regolarmente coinvolgendo nel riesame le funzioni interessate. Gli obiettivi stabiliti dovrebbero essere coerenti con la politica dell’organizzazione e con i rischi significativi legati alle attività, prodotti o servizi; prendendo in considerazione le prescrizioni di legge e similari, gli aspetti essenziali, le alternative tecnologiche, le necessità finanziarie, operative e di mercato.

4.3.4 Programma/i di gestione della salute e sicurezza

L’organizzazione dovrebbe strutturare un programma/i di gestione della salute e sicurezza in maniera tale che siano identificabili gli obiettivi, le scadenze temporali, le risorse e le responsabilità per ciascuna attività. L’organizzazione dovrebbe mettere a disposizione le risorse, il tempo e i fondi per lo sviluppo e il miglioramento dei programmi di gestione della salute e sicurezza. I programmi dovrebbero essere riesaminati periodicamente; i risultati di tali riesami dovrebbero essere valutati e i programmi dovrebbero essere mantenuti aggiornati rispetto alla politica e alle attività di pianificazione generali. Il programma dovrebbe includere un’analisi dei rischi riferita alle nuove attività o alle attività modificate in misura significativa.

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Tabella 6.2 (b) - Requisiti essenziali richiamati nella OHSAS 18001.

REQUISITI Breve Descrizione

4.4 ATTUAZIONE E FUNZIONAMENTO

4.4.1 Struttura e responsabilità

La direzione dovrebbe esaminare periodicamente la necessità e mettere a disposizione le risorse umane, fisiche (siti, macchine e apparecchiature), finanziarie e tecnologiche per attuare e controllare il sistema di gestione. Dovrebbero essere definite e documentate le responsabilità, i ruoli, le autorità relative al sistema, e tutti ne dovrebbero essere a conoscenza nell’organizzazione. In particolare dovrebbe essere nominato il rappresentate della direzione ed il responsabile delle emergenze. Il rappresentante della direzione dovrebbe verificare periodicamente il recepimento e l’applicazione del sistema di gestione della salute e sicurezza da parte del personale direttamente coinvolto al fine di poterlo sempre migliorare. L’organizzazione dovrebbe definire ed applicare costantemente delle procedure per la determinazione dei costi e dei benefici delle attività per la salute e a sicurezza.

4.4.2 Formazione, Sensibilizza-zione, Competenza

L’organizzazione dovrebbe pianificare e programmare corsi di addestramento che ricoprano tutti gli aspetti delle operazioni. Tali corsi dovrebbero essere mantenuti aggiornati in funzione della dinamicità del sistema. L’organizzazione dovrebbe pianificare e programmare corsi di formazione, la cui attuazione dovrebbe essere registrata e di cui dovrebbe essere verificata l’efficacia. Tutto il personale le cui attività comportano rischi significativi (anche il personale impiegato temporaneamente e i sub-appaltatori) dovrebbe ricevere adeguato addestramento e formazione; anche i fornitori esterni dovrebbero essere sensibilizzati e coinvolti nel miglioramento delle prestazioni di salute e sicurezza. L’organizzazione dovrebbe definire i criteri minimi di addestramento del personale che ha diretta influenza sulla salute e sicurezza e del personale che gestisce le situazioni di emergenza. Il programma di addestramento dovrebbe prevedere che le funzioni interessate siano sensibilizzate sulla politica e sulle procedure da rispettare, caratterizzate da obiettivi, sulla risposta alle emergenze, sui ruoli e sulle responsabilità. In particolare il personale responsabile dovrebbe essere coinvolto nella ricerca di soluzioni ai problemi della salute e sicurezza e nella verifica della loro attuazione, dovrebbe incoraggiare inoltre le azioni e le iniziative volontarie del personale sottoposto.

4.4.3 Comunica-zione

L’organizzazione dovrebbe definire le procedure per la gestione delle comunicazioni interne all’organizzazione, in particolare per considerare e rispondere ai rilievi del personale, per comunicare la politica e le prestazioni, per rendere noti i risultati degli audit e dei riesami dell’SGS. L’organizzazione dovrebbe definire le procedure per la gestione delle comunicazioni esterne all’organizzazione, in particolare per rendere nota la politica e gli obiettivi di miglioramento. L’organizzazione dovrebbe prevedere le necessarie comunicazioni con le pubbliche amministrazioni, riguardo alla pianificazione delle misure di emergenza e ad altre rilevanti questioni. L’organizzazione dovrebbe definire le procedure per rispondere alle richieste provenienti dall’esterno.

4.4.4 Documenta-zione del SGS

L’organizzazione dovrebbe predisporre la documentazione per descrivere in modo completo ed esauriente gli elementi del sistema di gestione della salute e sicurezza e le loro interazioni (manuale di gestione della salute e sicurezza, le procedure gestionali, le istruzioni operative e i documenti di supporto) L’organizzazione dovrebbe definire una procedura per la definizione delle modalità di gestione della documentazione correlata.

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Tabella 6.2 (c) - Requisiti essenziali richiamati nella OHSAS 18001.

REQUISITI Breve Descrizione

4.4.5 Controllo della

Documenta-zione

L’organizzazione dovrebbe definire procedure documentate per la gestione dei documenti (in particolare, il tempo di conservazione dei diversi documenti). L’organizzazione dovrebbe definire procedure per la gestione delle copie superate dei documenti. L’organizzazione dovrebbe definire procedure che stabiliscono come avviene la distribuzione e/o l’accesso alla documentazione necessaria, nonché come procedere alla sua archiviazione in luoghi adeguati. I documenti dovrebbero essere periodicamente riesaminati, eventualmente revisionati ed approvati da personale autorizzato; sui documenti sono evidenziate le responsabilità di emissione, verifica, approvazione. I documenti sono identificati e riportano la data di ultima revisione. Le copie superate sono tempestivamente identificate, ritirate e segregate. I disegni sono trattati analogamente ai documenti di cui sopra.

4.4.6 Controllo operativo

L’organizzazione dovrebbe chiaramente identificare e pianificare le operazioni e le attività legate ai rischi significativi; in particolare i controlli per la prevenzione dei rischi. L’organizzazione dovrebbe definire procedure documentate ed aggiornate relative alle attività di gestione quotidiana; tali procedure dovrebbero definire i criteri operativi e i controlli, identificare i beni e i servizi utilizzabili; dovrebbero essere redatte con l’ausilio del personale coinvolto nella loro applicazione. Le procedure dovrebbero essere distribuite anche ai fornitori e ai subappaltatori per quanto di loro pertinenza. L’organizzazione dovrebbe definire le modalità sia di gestione delle attività destinate a prevenire i rischi nei nuovi progetti; sia di progettazione, uso e manutenzione degli impianti legati ai rischi significativi; sia anche di progettazione, di distribuzione, installazione e assistenza post vendita dei prodotti.

4.4.7 Preparazione alle Emergenze

L’organizzazione dovrebbe definire le procedure che individuano i potenziali rischi, le situazioni di emergenza e le risposte alle emergenze; tali procedure dovrebbero essere aggiornate periodicamente. L’organizzazione dovrebbe definire un piano di emergenza che considera tutti i potenziali rischi legati alle normali condizioni operative, alle condizioni operative anormali, alle potenziali condizioni di emergenza. Tale piano dovrebbe comprendere organizzazione e responsabilità, lista del personale indispensabile, individuazione dei servizi di emergenza, piani di comunicazione interna ed esterna, azioni da intraprendere. Tale piano dovrebbe essere aggiornato periodicamente. L’organizzazione dovrebbe definire un piano di evacuazione dell’azienda mantenuto attivo con simulazioni periodiche pianificate di addestramento alle emergenze. A seguito di eventuali incidenti ed emergenze occorsi, questi dovrebbero essere documentati e riesaminati; le procedure vengono eventualmente revisionate.

4.5 CONTROLLI E AZIONI CORRETTIVE

4.5.1 Sorveglianza e Misurazioni

L’organizzazione dovrebbe definire procedure per sorvegliare le caratteristiche delle attività che hanno influenza sulla salute e sicurezza; dovrebbero essere stabiliti degli intervalli di misurazione delle caratteristiche (pianificazione e programmazione); le misurazioni dovrebbero essere registrate. Dovrebbe essere eseguita una valutazione periodica della conformità rispetto agli obiettivi e ai traguardi dell’organizzazione; i risultati dovrebbero essere utilizzati per individuare i punti di successo e le attività da correggere o da migliorare. Tali procedure dovrebbero definire i compiti e le responsabilità delle funzioni coinvolte. L’organizzazione dovrebbe definire una procedura di valutazione della conformità alla legislazione e ai regolamenti vigenti. Gli strumenti e le apparecchiature dovrebbero essere identificati, controllati periodicamente e/o tarati e mantenuti; gli hardware e i software dovrebbero essere campionati. Tali operazioni dovrebbero essere registrate e conservate secondo modalità stabilite.

Tabella 6.2 (d) - Requisiti essenziali richiamati nella OHSAS 18001.

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REQUISITI Breve Descrizione

4.5.2 NC, Azioni

Correttive e Preventive

L’organizzazione dovrebbe definire procedure indicanti compiti, responsabilità e autorità per trattare le NC o per sviluppare AC ed AP. Nel trattamento delle NC o nello sviluppo delle azioni correttive bisognerebbe: individuare le cause, identificare ed attuare le azioni conseguenti verificandone tempestività ed efficacia, evitare il ripetersi delle NC modificando, eventualmente, gli indicatori ed i controlli. Nello sviluppo delle azioni preventive dovrebbero essere identificate ed attuate le azioni di possibile miglioramento, dovrebbe essere verificata la loro efficacia, dovrebbero essere modificati eventualmente gli indicatori ed i controlli al fine di prevenire il verificarsi di NC. Il loro trattamento o il loro sviluppo dovrebbe essere registrato.

4.5.3 Registrazioni L’organizzazione dovrebbe definire una procedura che specifica le modalità di identificazione, conservazione, archiviazione, ricerca, messa a disposizione ed eliminazione delle registrazioni. Le registrazioni dovrebbero essere identificabili e riconducibili all’attività, al prodotto o al servizio cui si riferiscono.

4.5.4 Audit del SGS L’organizzazione dovrebbe definire una procedura per la conduzione degli audit. Gli audit dovrebbero essere condotti da personale indipendente ed addestrato. L’organizzazione dovrebbe definire un piano degli audit che tiene conto della criticità dell’attività verso la salute e sicurezza ed i risultati degli audit precedenti. Il rapporto di audit dovrebbe essere accuratamente registrato e messo a conoscenza del responsabile intervistato.

4.6 RIESAME

DELLA DIREZIONE

L’alta direzione dovrebbe fare un riesame del sistema di gestione della salute e sicurezza secondo una periodicità stabilita. Il riesame del sistema di gestione della salute e sicurezza dovrebbe includere almeno un’analisi della politica, degli obiettivi, e delle prestazioni; un confronto fra gli elementi sopra elencati ed i risultati ottenuti; nonché un esame dei verbali degli audit precedenti. Il riesame del sistema di gestione della salute e sicurezza dovrebbe spingere l’organizzazione al miglioramento continuo, identificando le aree di possibile miglioramento, le modalità di analisi delle NC o delle insufficienze, lo sviluppo del loro trattamento o l’attuazione di piani di AC o AP, e la loro efficacia. Il riesame, i provvedimenti a seguito del riesame stesso ed i cambiamenti nelle procedure dovrebbero essere registrati. Le parti interessate dovrebbero essere coinvolte nell’attività di riesame e nelle azioni conseguenti; i loro punti di vista dovrebbero essere tenuti in debito conto.

6.3. L’adozione del Sistema di Gestione per la Salute e la Sicurezza: uno strumento per il controllo degli infortuni, l’ottimizzazione dei costi e dei costi evitabili per la sicurezza e la crescita culturale dell’organizzazione

Sulla base delle considerazioni sopra esposte relative ai modelli gestionali, risulta evidente l’opportunità di fondere ed integrare gli aspetti cogenti legati alla salute e alla sicurezza degli ambienti di lavoro, in una struttura organizzata e gestita nel rispetto dei requisiti elencati dal D.Lgs. 626/94, della UNI EN ISO 9001 e della OHSAS 18001. I principi che stanno alla base della progettazione e della realizzazione del sistema di gestione sono gli stessi che sono alla base del Documento di Analisi e Valutazione dei Rischi e si traducono in un profondo coinvolgimento di tutto il personale. Le fasi operative possono essere sintetizzate in: 1. analisi iniziale delle dinamiche e dei processi aziendali;

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2. analisi iniziale per definire punti forti, maggiori criticità e opportunità di miglioramento;

3. definizione della politica e degli obiettivi del SGS da parte della Direzione; 4. definizione delle autorità e delle responsabilità per tutta la struttura; 5. analisi e miglioramento dei processi con definizione delle procedure

documentate; 6. progettazione e realizzazione dei momenti di formazione del personale e di

comunicazione interna ed esterna all’organizzazione; 7. revisione e realizzazione della documentazione di supporto al SGS; 8. definizione delle forme di controllo del sistema, delle misurazioni, dei

monitoraggi e degli audit; 9. avvio del riesame sistematico della direzione e delle attività di miglioramento. I tempi previsti per il completamento delle varie fasi dell’implementazione di un SGS dipendono fortemente dall’impatto sul personale e dalla sua risposta all’iniziativa di progettazione e realizzazione del Documento di Analisi e Valutazione dei Rischi. L’adeguamento alla legge e la riduzione degli infortuni costituiscono i fattori motivanti per l’adozione di un sistema di gestione per la salute e la sicurezza. Risulta opportuno, però, sottolineare i benefici per l’organizzazione, non sempre facilmente percepibili, in termini di azione commerciale, efficienza e risultati economici. In effetti, un SGS costituisce un valido strumento per il controllo degli infortuni, l’ottimizzazione dei costi e dei costi evitabili per la sicurezza14 e la crescita culturale dell’organizzazione, consentendo di ottenere vantaggi in termini di: a. migliore organizzazione nella gestione della sicurezza e della salute; b. maggiore chiarezza nella definizione delle responsabilità e delle autorità; c. maggior efficacia ed efficienza dei processi nel raggiungimento degli obiettivi

stabiliti; d. definizione di un chiaro sistema di controllo, riesame e miglioramento; e. garanzia documentata alla Direzione dell’efficacia e dell’efficienza del sistema; f. ritorno di immagine per la Direzione e per tutta l’organizzazione legato

all’eventuale conseguimento della certificazione OHSAS 18001; g. assicurazione per la Direzione, per i clienti e per le società di assicurazioni che i

requisiti legislativi sono tenuti sotto controllo e rispettati; h. miglioramento dei rapporti con il personale; i. maggiore efficienza che si traduce nel miglioramento complessivo

dell'organizzazione e del suo business; l. diminuzione dei giorni di assenza per malattie e infortuni; m. miglioramento delle condizioni psico-fisiche dei lavoratori;

14 Con il termine “costi evitabili per la sicurezza” si indicano generalmente le spese evitate, come ad esempio: assenza

di personale dovuta ad incidenti, interruzione della produzione o del servizio, riduzione dei costi assicurativi, e così via.

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n. miglioramento del clima aziendale; o. aumento indiretto della produttività.

6.4. Conclusioni Nell’ultimo decennio si è assistito ad una rapida diffusione dell’adozione di sistemi di gestione. Tale fenomeno evidenzia la crescente attenzione, ed i crescenti investimenti, delle organizzazioni in tema di miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dei propri processi produttivi. Purtroppo, però, le statistiche riguardanti gli infortuni negli ambienti di lavoro ed il rispetto delle disposizioni previste dalle Direttive Comunitarie in materia di sicurezza dei lavoratori denunciano una insufficiente attenzione ai problemi legati alla sicurezza dei lavoratori. Tali affermazioni, lungi dal voler condannare l’operato dei Datori di Lavoro, tendono a sottolineare l’importanza di intraprendere, in maniera continuativa, azioni volte a gestire in maniera metodica i rischi connessi alle attività lavorative e a evidenziare i vantaggi, anche in termini economici, che tale modus operandi può comportare. Se, infatti, è noto che l’adozione di un Sistema di Gestione per la Sicurezza possa garantire una riduzione degli incidenti e degli infortuni sul lavoro, non è altrettanto evidente come tale fenomeno possa ripercuotersi positivamente sui costi di produzione aziendale. E’ invece possibile affermare che, nell’ottica della continua ricerca di minimizzazione dei rischi, la gestione sistematica della sicurezza, nel quadro di riferimento proposto dalle norme UNI EN ISO 9000, OHSAS 18001 e D.Lgs. 626/94, consente notevoli vantaggi di natura tecnico-gestionale con conseguenti benefici di tipo economico. Risulta quindi auspicabile l’attuazione, da parte dei Datori di Lavoro, di una gestione integrata degli aspetti produttivi e degli adempimenti previsti dalla legge in termini di salute e sicurezza. Per favorire ed incoraggiare tale attuazione un ruolo fondamentale spetta alle istituzioni e a tutti gli organismi tecnici istituzionali preposti allo studio e alla ricerca nel campo della salute e sicurezza del lavoro, attraverso la diffusione delle pratiche di buona tecnica e l’avvio di studi finalizzati alla elaborazione di Linee Guida e documenti di supporto per i Datori di Lavoro. A tal proposito è da segnalare il lavoro svolto negli ultimi anni da parte di alcuni organismi istituzionali che hanno elaborato studi e documenti al servizio dei Datori di Lavoro, come ad esempio le Linee Guida per l’applicazione del D.Lgs. 626 in diversi settori di attività produttive, elaborate dall’ISPESL, e le attività di ricerca, promosse dal CNIM, finalizzate ad approfondire il legame intimo tra i problemi della sicurezza e le attività di manutenzione. Il CNIM inoltre, avendo individuato, a seguito di detti studi, il fattore umano quale causa principale degli incidenti sul lavoro, ha avviato un lungo progetto di ricerca

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finalizzato alla costituzione di un sistema nazionale ed internazionale di qualificazione del personale operante in ambito manutentivo.

6.5. Bibliografia Biondi V., Frey M., Verso integrazione tra EHS e Qualità, “Qualità, Ambiente e

Sicurezza”, inserto speciale al n. 3/95 della rivista Qualità, AICQ, 1995. Giannandrea G., Scipioni A., I sistemi di gestione integrata Ambiente, Qualità e

Sicurezza: nuove opportunità di sviluppo per le imprese, Qualità, Ambiente e Sicurezza”, inserto speciale al n. 3/95 della rivista Qualità, AICQ, 1995.

Ielasi R., Ambiente, Qualità, Sicurezza: un approccio integrato, ”Qualità, Ambiente e Sicurezza”, inserto speciale al n. 3/95 della rivista Qualità, AICQ, 1995.

Ishikawa K., Che cos'è la Qualità totale - Il modello giapponese, Il Sole 24 Ore, 1996.

I.S.P.E.S.L., Valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, Vol. I, 1994.

Mazzeranghi A., Alcune considerazioni sull'applicazione del D.Lgs. 626/94, articolo tratto dalla rivista De Qualitate del settembre 2000.

Silvestri E., Genco M., Parametri di misura del rischio negli impianti potenzialmente pericolosi - Considerazioni sui limiti di accettabilità dei rischi, in "Impiantistica italiana", anno II, n. 3, marzo 1989.

Tronci M., (1996), I Sistemi di Gestione della Qualità, dell'Ambiente e della Sicurezza: prospettive e strumenti per un'integrazione, Atti del Convegno "Qualità, Ambiente, Sicurezza: verso l'integrazione dei sistemi gestionali" organizzato da Ferrovie dello Stato e AICQ-CI, Cagliari, 10 dicembre 1996.

Volta G. (1990a), Le tecniche di valutazione del rischio, in "Impiantistica italiana", anno III, n. 9, pp. 734-739, settembre 1990.

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7.

CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY E SA8000:1999

di Marco LA MANNA

Nello scenario attuale, caratterizzato da un mercato sempre più globale, la responsabilità sociale dell’impresa o Corporate Social Responsibility (CSR) è sicuramente uno dei temi della Qualità più interessanti e ricchi di contributi da parte di molteplici entità. Il dibattito e le iniziative vedono, infatti, coinvolte non solo le aziende, che trovano nel CSR un nuovo strumento di competitività, ma anche tutti gli stakeholder, che, più o meno direttamente, possono facilitare o ostacolare il raggiungimento degli obiettivi strategici dell’impresa. In particolare, si vuole a questo proposito sottolineare il ruolo che istituzioni nazionali e sovranazionali (Nazioni Unite, Comunità Europea, Enti di Normazione, Ministeri, e così via) stanno avendo in questi aspetti che si situano ai confini tra la politica e lo sviluppo economico. Molto interessante è, ad esempio, l’iniziativa promossa nel 1999 dalle Nazioni Unite con la creazione del “Global Compact” (www.unglobalcompact.org), inteso come network di attori diversi (governi, aziende, sindacati e organizzazioni civili non governative) con l’obiettivo di diffondere i nove principi generali del Compact, relativi ai diritti umani, alle condizioni di lavoro e all’ambiente, integrandoli nelle strategie di business delle imprese. Sullo stesso piano sono le iniziative intraprese dalla Comunità Europea che, tramite la pubblicazione nel 2001 del “Libro Verde” e l’istituzione di un “award” per le imprese che si distinguono per il loro impegno in materia di responsabilità sociale, ha dato un forte impulso all’attenzione a queste tematiche. In Italia, il Ministero del Welfare ha varato nel 2002 il progetto “CSR – SC”, in collaborazione con l’Università Bocconi, con lo scopo principale di fare chiarezza nei diversi approcci possibili, dando un modello di riferimento condiviso cui le imprese italiane possono ispirarsi. Data la crescente importanza che questi temi stanno avendo, nuove forme di comunicazione sono impostate ed adottate dalle aziende allo scopo di rendere visibile il proprio comportamento sociale ed etico, giungendo fino alla redazione del Bilancio Sociale.

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Tale documento, di carattere volontario, si affianca ora spesso al bilancio di esercizio, con l’intento di comunicare in modo strutturato, organico e, soprattutto, trasparente tutta una serie di informazioni volte a dimostrare come l’azienda si pone eticamente e moralmente nei confronti dei propri stakeholder. Anche dal punto di vista degli enti di standardizzazione non si è stati a guardare, giungendo, già nel 1997, all’emissione da parte del SAI (Social Accountability International) della norma SA 8000 (Social Accountability). Tale norma è il primo standard, riconosciuto a livello internazionale, in grado di consentire la misurazione dell’eticità e della responsabilità sociale, rendendo quindi possibile la certificazione etica dell’azienda. Le statistiche ufficiali (www.cepaa.org) indicano che, al 20 febbraio 2004, nel mondo erano certificate SA 8000 354 aziende, in 39 paesi (l’Italia figura al primo posto con 75 aziende certificate). Anche in ambito finanziario, partendo dalla constatazione generalmente condivisa che esiste una correlazione tra il comportamento sociale dell’impresa e le buone prestazioni economico-finanziarie, si è venuto affermando il concetto di Investimento socialmente responsabile (ISR). Questa forma di investimento implica la scelta, all’interno di determinati settori economici e aree geografiche, di imprese che lavorano meglio anche in un’ottica di responsabilità sociale, utilizzando una serie di indicatori. Tali criteri consentono, tra l’altro, di dare un contributo concreto all’interpretazione del patrimonio immateriale dell’azienda. Si sono addirittura venuti a creare degli indici dedicati che, basandosi su metodi di assessment formalizzati, comprendono aziende con una dimostrata politica di CSR. Esempi di tali indici sono i Dow Jones Sustainability Indexes (DJSI) (www.sustainability-index.com) e gli indici FTSE4Good (www.ftse4good.com). Un ruolo analogo è, infine, svolto dalla classifica elaborata, secondo precisi indicatori sulla trasparenza, la governance e la brand identity, da SustainAbility (www.sustainability.com) e dall’ONU e pubblicata nel report Trust Us. Autostrade, ENEL, Generali, Monte dei Paschi di Siena, Pirelli, Seat Pagine Gialle, Telecom Italia, TIM e Uni Credito Italiano sono solo alcune delle aziende italiane rappresentate in questi indici.

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8.

I SISTEMI DI GESTIONE INTEGRATI E RISK MANAGEMENT.

di Lucio LUCONI

Fino ad oggi le tematiche inerenti alla Qualità sono state spesso trattate in maniera non organica rispetto ai principi propri del Risk Management. Ciò se da un lato ha consentito alle aziende di sfruttare i benefici propri del Quality Management, in termini di orientamento della struttura verso il cliente, dall’altro ha rappresentato una significativa perdita di opportunità legata all’ampliamento ed al completamento di un Sistema di Controllo Interno aziendale. In realtà negli ultimi anni si è avvertito, sempre con maggior forza, il problema di come gli Amministratori e l’Alta Direzione possano far fronte alle proprie responsabilità nei confronti degli stakeholders15 in termini di correttezza gestionale, trasparenza informativa, controllo, efficacia ed efficienza dei processi e Qualità del prodotto/servizio offerto al Cliente. Inoltre, i recenti accadimenti in campo economico e finanziario (come, ad esempio, il caso Parmalat) hanno accentuato la sensibilità dell’opinione pubblica, del mercato e degli organi di vigilanza nei confronti dei temi inerenti alla gestione ed al controllo aziendale. La revisione contabile di legge ed i relativi giudizi espressi non sono più sufficienti da soli per verificare gli standard di governo e controllo delle Società, ma è necessario individuare altre forme di supervisione e valutazioni del Sistema di Controllo Interno aziendale. Le aziende quindi dovranno trovare nel prossimo futuro il modo per rassicurare gli stakeholders circa la capacità di gestire i rischi di business ed i potenziali conflitti di interesse, prevedendo adeguate ripartizioni di responsabilità e poteri e un idoneo equilibrio tra gestione e controllo. Una delle possibili strade da intraprendere è rappresentata dallo sviluppo di un Sistema di gestione aziendale che faccia propri i principi sia del Risk che del Quality Management. La progettazione e lo sviluppo, all’interno dell’Organizzazione, di un Sistema di Gestione per la Qualità attraverso metodologie di Risk Management dovrebbe, quindi, consentire all’azienda di realizzare un Sistema di controllo interno realmente

15 Parti interessate quali clienti, fornitori, dipendenti, azionisti, creditori, autorità legislative, organi di vigilanza ed il

pubblico in generale.

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efficace ed efficiente attraverso l’individuazione delle contromisure da adottare per la riduzione dei rischi di “business” ad un livello accettabile. In effetti la norma ISO 9001:2000 per la realizzazione dei Sistemi di Gestione per la Qualità ha definitivamente stabilito come l’obiettivo primario di una Organizzazione -che operi “in Qualità”- debba essere il miglioramento continuo dei processi aziendali al fine di poter migliorare il servizio erogato al Cliente attraverso i processi stessi. Abbandonando il concetto di “conformità ai requisiti”, quale percorso potrebbe garantire il raggiungimento dei risultati attesi da un Sistema di Gestione Integrato con i principi del Risk Management ? Si è dell’avviso che risulta necessario partire dal disegno e dall’analisi di tutti i processi aziendali identificando tra questi quelli che presentano rischi particolarmente significativi per il business e/o ad alta probabilità di accadimento. Per questi processi particolarmente critici, deve essere poi valutato il disegno e l’operatività dei controlli in essere. I controlli che risultino non adeguati devono essere sottoposti a revisione provvedendo a pianificare interventi migliorativi sugli stessi attraverso la realizzazione di un Sistema di Gestione aziendale. Contestualmente, devono essere definiti un insieme di obiettivi “di Qualità” ad integrazione di quelli “istituzionali” dell’Organizzazione: l’unione di questi, erroneamente distinti nelle due citate classi, rappresentano effettivamente gli “obiettivi” dell’Azienda. La misurazione del grado di raggiungimento di tali obiettivi deve poi avvenire periodicamente attraverso un sistema di indicatori “ad hoc” che fungono da cruscotto di controllo della efficacia ed efficienza dei processi e del grado di mitigazione dei rischi individuati. In tal senso il Sistema di Controllo Interno ed il Sistema di Gestione per la Qualità, agendo sui processi in maniera integrata, sarebbero in grado di garantire, da un lato il raggiungimento degli obiettivi connessi con affidabilità ed integrità delle informazioni, attendibilità dei rendiconti finanziari e conformità a leggi e regolamenti applicabili e, dall’altro, l’attuazione delle strategie aziendali connesse ad obiettivi di efficacia delle prestazioni, soddisfazione del Cliente e degli stakeholders. E’ ovviamente essenziale che l’Alta Direzione garantisca che il Sistema di Gestione per la Qualità ed il Sistema di Controllo Interno siano effettivamente soggetti a verifica sia da parte dei competenti livelli manageriali interni (in quanto responsabili della valutazione circa la Qualità e l’effettiva operatività dei controlli introdotti), sia da parte di eventuali Organismi Esterni indipendenti.

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* * * * *

Si ritiene, pertanto, che la progettazione di un Sistema di Gestione per la Qualità debba prevedere una integrazione all’interno del Sistema di Controllo Interno, utilizzando e facendo proprie le caratteristiche comuni mutuate dalle metodologie di Risk Management. Se l’integrazione di questi elementi verrà interpretata dalle aziende come un’occasione di sviluppo piuttosto che come un insieme di procedure da rispettare o come un modello da applicare con il minimo impegno, le organizzazioni potranno ottenere notevoli benefici quali ad esempio:

migliorare l’organizzazione dei processi ed effettuare un attento e puntuale monitoraggio degli stessi al fine di mitigare i rischi di business e verificare il raggiungimento degli obiettivi di Qualità dell’Organizzazione verso i propri clienti;

realizzare un efficace sistema di controlli interni volto a garantire la conformità dei processi alle leggi, normative di vigilanza, politiche e regolamenti in vigore;

massimizzare il valore per gli azionisti innescando un circolo virtuoso che può ripercuotersi positivamente anche sugli altri stakeholders;

costruire un modello di organizzazione societaria adeguato a gestire con corrette modalità l’erogazione del servizio, i rischi di impresa e i potenziali conflitti d'interesse;

attuare le strategie aziendali e perseguire, con successo, obiettivi di efficacia e di efficienza delle prestazioni, soddisfazione del Cliente e degli stakeholders;

assicurare l’affidabilità e l’integrità delle informazioni;

garantire l’utilizzo efficace ed economico delle risorse;

attuare un processo di miglioramento continuo. E’ importante osservare che, come in tutte le iniziative che coinvolgono organizzazioni più o meno complesse (ossia il Sistema Azienda), il conseguimento dei risultati e dei relativi benefici è sicuramente vincolato al “Commitment dell’Alta Direzione” ed al “coinvolgimento di tutto il personale”.

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Marcel Proust:

“… il vero viaggio

verso la scoperta

non consiste nell’andare

alla ricerca di nuove terre,

ma nel vedere

con occhi nuovi…”

AICQ-CI

Via San Vito, n. 17 – 00185 ROMA

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9.

CONSIDERAZIONI SULLE NORME ISO

PER LA QUALITÀ DEL SOFTWARE E SULLA LORO APPLICAZIONE

di Mario CISLAGHI

9.1. Premessa In questo capitolo si vogliono riassumere alcune parti e raccoglie le conclusioni della pubblicazione “Le norme ISO per la Qualità del software: contenuti, applicabilità ed alcune considerazioni” dello stesso autore e che sarà resa disponibile a breve dall’AICQ-ci. La pubblicazione raccoglie le stesse conclusioni ma descrive commentandoli i contenuti delle principali norme per la Qualità del software. 9.2. Il quadro normativo complessivo per il settore IT Da poco tempo il quadro normativo sulla Qualità nello sviluppo del software si è completato con la pubblicazione della “ISO/IEC 90003:2004 – Software engineering — Guidelines for the application of ISO 9001:2000 to computer software”. Al momento la nuova guida è disponibile solo in Inglese ma presto dovrebbe essere emessa in versione UNI in italiano. La ISO/IEC 90003:2004 completa un quadro normativo sulla Qualità del software assai ricco ma che, senza la nuova guida, risultava incompleto. La figura 9.1. riassume il quadro normativo oggi disponibile. Si noti che l’elenco di figura 9.1 è una selezione di quelle che sono le norme più significative. Il quadro completo delle norme relative al settore IT è talmente vasto che, in alcuni casi, mette in imbarazzo chi deve ricercare e scegliere le norme di riferimento più opportune per il proprio uso specifico. Dall’elenco si può vedere che il quadro normativo comprende norme e guide su diversi aspetti relativi alla Qualità del software. Si richiamano ora, in sintesi, alcune categorie di norme disponibili. Figura 9.1 – Le principali norme per la Qualità del software

• ISO/IEC 90003:2004, Software and system engineering – Guidelines for the application of ISO 9001:2000 to computer software

• ISO/IEC 12207:1995, Information technology – Software life cycle processes

• ISO/IEC 12207:1995/Amd.1:2002 Information technology — Software life cycle processes —Amendment 1

• ISO/IEC TR 15271:1998, Information technology — Guide for ISO/IEC 12207 (Software Life Cycle Process)

• ISO/IEC TR 16326:1999, Software engineering — Guide for the application of ISO/IEC 12207 to project management

• ISO/IEC 6592:2000, Information technology — Guidelines for the documentation of computer-based application systems

• ISO/IEC 12119:1994, Information technology — Software packages — Quality requirements and testing

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• ISO/IEC 14102:1995, Information technology — Guideline for the evaluation and selection of CASE tools

• ISO/IEC TR 14759:1999, Software engineering — Mock up and prototype — A categorization of software mock up and prototype models and their use

• ISO/IEC TR 15271: Information technology – Guide to ISO/IEC 12207 (Software life cycle processes)

• ISO/IEC 15288: Systems Engineering – Systems Life Cycle Processes

• ISO/IEC 14764:1999, Information Technology – Software Maintenance

• ISO/IEC 15026:1998, Information technology — System and software integrity levels

• ISO/IEC TR 15846:1998, Information technology – Software life cycle processes – Configuration Management

• ISO/IEC 15910:1999 Information technology – Software user documentation process

• ISO/IEC 15939:2002 Information technology – Software measurement process

• ISO/IEC TR 16326: Software engineering – Guide for the application of ISO/IEC 12207 to project management

• ISO/IEC 15939:2002, Software engineering — Software measurement process

• ISO/IEC TR 16326:1999, Software engineering — Guide for the application of ISO/IEC 12207 to project management

• ISO/IEC 19761:2003, Software engineering — COSMIC-FFP — A functional size measurement method

• ISO/IEC 20926:2003, Software engineering — IFPUG 4.1 Unadjusted functional size measurement method — Counting practices manual

• ISO/IEC 20968:2002, Software engineering — Mk II Function Point Analysis — Counting Practices Manual

• ISO/IEC 14598 :

• ISO/IEC 14598-1 Information technology – Software product evaluation – Part 1: General overview

• ISO/IEC 14598-2 Software engineering – Product evaluation – Part 2: Planning and Management

• ISO/IEC 14598-3 Information technology – Software product evaluation – Part 3: Process for Developers

• ISO/IEC 14598-4: Software engineering – Product evaluation – Part 4: Process for acquirers

• ISO/IEC 14598-5: Information technology – Software product evaluation – Part 5: Process for evaluators

• ISO/IEC 14598-6 Software engineering – Product evaluation – Part 6: Documentation of Evaluation Modules

• ISO/IEC 9126:

• ISO/IEC 9126-1:2001 Software engineering – Product quality Part 1: Quality model

• ISO/IEC TR 9126-2:2002 Software engineering – Product quality Part 2: External metrics

• ISO/IEC TR 9126-3:2002 Software engineering – Product quality Part 3: Internal metrics

• ISO/IEC TR9126-4:Software engineering – Product quality Part 4: Quality in use metrics

• ISO/IEC 15504:

• ISO/IEC TR 15504-1: Information technology – Software process assessment – Part 1: Concepts and introductory guide

• ISO/IEC TR 15504-2: Information technology – Software process assessment – Part 2: A reference model for processes and process capability

• ISO/IEC TR 15504-3: Information technology – Software process assessment – Part 3: Performing an assessment

• ISO/IEC TR 15504-4: Information technology – Software process assessment – Part 4: Guide to performing assessments

• ISO/IEC TR 15504-5: Information technology – Software Process Assessment – Part 5: An assessment model and indicator guidance

9.3. Norme sui Cicli di Vita e sui suoi processi Questo gruppo di norme tratta dei processi e più in generale del ciclo di vita del software. Particolarmente significativa è la ISO/IEC 12207 che, pur essendo stata pubblicata da diversi anni16, ha il merito di aver definito un modello base per i

16 La ISO/IEC12207 è stata recentemente tradotta in italiano ed è disponibile come norma UNI CEI ISO/IEC

12207:2003 Tecnologia dell'informazione - Processi del ciclo di vita del software.

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processi del ciclo di vita del software anticipando quindi l’approccio della ISO 9001:2000 sulla necessità di definire un modello dei processi. La ISO/IEC 12207 si applica alla:

acquisizione di sistemi, prodotti software e servizi,

fornitura, sviluppo, gestione operativa e manutenzione di prodotti software e di firmware.

E’ da utilizzare nel rapporto tra 2 parti (anche nell’ambito della stessa organizzazione oppure può essere utilizzata da una singola parte come scelta autonoma). L’applicazione della norma deve essere personalizzata al caso specifico (ad esempio specificando nel contratto gli elementi di applicabilità). Infatti la norma tratta il modello dei processi in modo esaustivo e di conseguenza in pochi casi risultano applicabili interamente l’insieme dei requisiti normativi.

9.4. Norme sulla Qualità dei prodotti Di questa categoria sono particolarmente significative la ISO/IEC 9126-1 e le ISO/IEC TR 9126-2, 3, 4. La ISO/IEC 9126-1 definisce il modello per la Qualità dei prodotti software. Le altre tre guide, avendo come riferimento il modello della ISO/IEC 9126-1, definiscono le caratteristiche e le relative metriche per la Qualità “esterna”, Qualità “interna” e Qualità “nell’uso” Il modello della ISO/IEC 9126-1 definisce 6 caratteristiche tipiche dei prodotti software. Le 6 caratteristiche sono: Functionality>>Funzionalità; Reliability>> Affidabilità; Usability>>Usabilità; Efficiency >> Efficienza; Maintainability >> Mantenibilità; Portability >> Portabilità. Per ogni caratteristica sono definite delle sotto-caratteristiche (attributi) che permettono di prendere in considerazione tutti gli elementi che compongono il profilo di ciascuna delle 6 caratteristiche. L’insieme di queste caratteristiche e dei loro attributi costituisce il modello per la Qualità esterna e interna del prodotto. Le ISO/IEC TR 9126-2, 3, 4. definiscono, per ogni caratteristica/sotto-caratteristica le metriche applicabili per misurare la Qualità “Esterna”, “Interna” e “In uso”.

9.5. Norme di riferimento per l’interpretazione dei requisiti della ISO 9001:2000 Recentemente è stata completamente rivista la guida interpretativa dei requisiti della ISO 9001. Si tratta della “ISO/IEC 90003:2004, Software and system engineering – Guidelines for the application of ISO 9001:2000 to computer software” di cui ci si aspetta a breve l’edizione italiana emessa dall’UNI. Questa guida sostituisce la ISO 9000-3 che era allineata alla vecchia versione (edizione 1994) della ISO 9001.

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La guida ISO/IEC 90003 fornisce gli elementi interpretativi dei requisiti della UNI EN ISO 9001. E’ strutturata con gli stessi paragrafi ed indice della ISO 9001. La guida non è stata realizzata per essere utilizzata come criterio di valutazione in audit di certificazione e si applica al software: fornito nell’ambito di un contratto, acquistato sul mercato, utilizzato internamente per supportare i processi della propria organizzazione, embedded in prodotti hardware, relativo a servizi informatici. E’ molto utile in quanto le interpretazioni fornite sono specifiche per il settore del software e “traducono in pratica” in un linguaggio per “gli addetti ai lavori” e in modo “concreto” i requisiti generali della ISO 9001 togliendo ogni dubbio interpretativo. 9.6. Alcune considerazioni e conclusioni sulla situazione attuale nelle Organizzazioni del settore IT Il panorama normativo fornisce ampi e validi riferimenti. Le Organizzazioni che vogliono realizzare prodotti software attraverso un sistema e dei processi che garantiscano il risultato finale in termini di Qualità e di caratteristiche che soddisfino le esigenze del cliente hanno ora tutti i riferimenti e le guide normative necessarie. E’ perciò sufficiente costruire il proprio Sistema di Gestione per la Qualità utilizzando adeguatamente le guide e le norme citate come modello di riferimento. Viene a questo punto spontaneo domandarsi se l’opportunità offerta, dalla disponibilità di norme e guide che forniscono adeguati riferimenti ed utili indicazioni pratiche e che sono di stimolo a realizzare ed applicare un valido sistema di gestione per la Qualità, è realmente utilizzata. Per rispondere a questa domanda si vuole fare il punto sulla situazione in Italia.

9.7. La situazione delle certificazioni in Italia La tabella 9.1 riassume l’andamento delle certificazioni del Settore ICT in Italia rispetto al totale. I dati sono presi dal sito del SINCERT www.sincert.it e riguardano perciò le certificazioni emesse da Enti accreditati in Italia dal SINCERT stesso. Si tratta in pratica della stragrande maggioranza delle certificazioni in Italia. Tabella 9.1 – andamento Certificazioni del Settore ICT in Italia.

12/1999 12/2000 12/2002 12/2003 5/2004

Totale siti certificati 27329 39411 62214 64120 74664

Siti certificati settore EA 33 906 1217 1769 1858 2164

% siti certificati settore EA 33 sul totale

3,32 3,09 2,84 3,05 2,90

La tabella indica che la percentuale di certificazioni di Organizzazioni del settore ICT rispetto al totale si mantiene negli anni intorno al 3%.

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Questo valore è sicuramente basso. Pur non disponendo di statistiche ufficiali recenti, si può presumere che la quantità di aziende di informatica rispetto al totale delle aziende italiane sia maggiore del 3%. Ciò significa che la penetrazione della Certificazione in Italia in aziende del settore ICT è ancora bassa. Va considerato che il numero di 2.164 certificazioni si riferisce ai siti certificati e non alla quantità di Aziende che è sicuramente inferiore (in diversi casi le Aziende hanno più di una località certificata). Inoltre il settore EA 33 e’ relativo alla “Tecnologia dell'informazione” e riguarda aziende che appartengono ai seguenti settori di attività:

- fornitura di software e servizi connessi;

- manutenzione e riparazione macchine per ufficio ed elaboratori elettronici. Ciò significa che il numero di Aziende certificate che sviluppano software è ancora più basso. Andrebbe anche considerato che non tutte le Aziende certificate sono realmente interessate ad applicare un Sistema di Gestione per la Qualità che rappresenti uno strumento per governare efficacemente l’Azienda e per soddisfare il cliente. Purtroppo sono ancora troppe le Aziende che impostano un Sistema di Gestione per la Qualità unicamente finalizzato ad ottenere la certificazione intesa come “bollino blu” da utilizzare verso l’esterno in occasione di gare o altre trattative commerciali. E’ chiaro che in questo caso l’Azienda investe per realizzare gestire e mantenere un Sistema di Gestione per la Qualità che sicuramente ha dei costi significativi ma che non è orientato a dare ritorni in termini di efficacia ed efficienza. Non è comunque in questa sede che si vuole trattare questo problema; l’esistenza di questo tipo di certificazioni (anche se non sappiamo in che percentuale sul totale) ci permette di affermare che il numero di Aziende certificate che applicano un valido Sistema di Gestione per la Qualità è ancora più basso. In conclusione, il numero di Aziende certificate per lo sviluppo software e con un valido Sistema di Gestione per la Qualità è sicuramente di gran lunga inferiore ai 2.164 siti certificati dichiarati ed è molto basso rispetto alla quantità di aziende del settore ICT esistenti.

9.8. L’evoluzione dei sistemi informatici e del processo di sviluppo software Si è potuto riscontrare quanto sia basso il numero di Aziende certificate e con un valido Sistema di Gestione per la Qualità. Si vuole, ora, analizzare l’evoluzione dei sistemi informatici e del processo di sviluppo software per capire quanto i processi si sono evoluti ed industrializzati e quali sono le opportunità offerte oggi dalle tecnologie.

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Per far questo, si ritiene opportuno riprendere gran parte del testo pubblicato nella prefazione del “Quaderno AICQ-CI n°13 Linee guida per la scelta e l’applicazione di cicli di vita del software”. L’utilizzo di sistemi informatici era finalizzato, in passato, al supporto delle tipiche attività gestionali delle aziende; il sistema informativo aziendale era orientato alla gestione di attività quali la contabilità, gli ordini, la fatturazione, il magazzino, la produzione, ed altre simili. I calcolatori utilizzati erano i così detti "main-frame" ed i centri di elaborazione erano strutture complesse che richiedevano un'organizzazione sofisticata con operatori esperti dedicati alla conduzione delle attività operative ed alla erogazione del servizio. Lo sviluppo del software applicativo era complesso; inizialmente era stato affrontato dai gruppi di sviluppo con i criteri tipici di un'attività artigianale. Il processo non era definito "a priori" ma "inventato" e deciso in corso d'opera. La qualità dei prodotti dipendeva principalmente dalla capacità degli sviluppatori di “interpretare” e talvolta “inventarsi” i requisiti del cliente. I tempi di realizzazione erano lunghi ed i clienti erano rassegnati a ricevere i prodotti richiesti dopo diversi mesi o anni. In seguito le organizzazioni di sviluppo software riuscirono a consolidare modelli di processo ripetibili, principalmente basati su un ciclo di vita a “cascata”, controllabili e che garantissero:

la coerenza tra le funzionalità del prodotto finale ed i requisiti iniziali,

il rispetto dei tempi di realizzazione preventivati,

il rispetto dei costi previsti. In pratica lo sviluppo del software si era trasformato in un processo industriale e la qualità dei prodotti era migliorata. Rimanevano alcuni problemi aperti:

I tempi di realizzazione erano troppo lunghi. Il prodotto finale era rappresentativo dei requisiti iniziali ma era fornito quando ormai le esigenze del mercato e dei clienti erano cambiate; di conseguenza il prodotto era fuori mercato ancora prima di essere rilasciato.

La realizzazione del prodotto era complessa. Si richiedevano risorse di elevata competenza capaci di “interpretare” correttamente i requisiti e di realizzarli nel prodotto. Molto era basato sulla “capacità” interpretativa degli sviluppatori. Il cliente aveva la possibilità di vedere come erano stati “interpretati” i suoi requisiti solo alla fine del ciclo realizzativo e pertanto le conseguenze determinate da un eventuale errore di interpretazione erano gravi e difficilmente rimediabili.

I prodotti erano “rigidi”. Erano strutturati in modo da imporre, all’utilizzatore, il processo e le modalità operative. Se l'azienda aveva necessità di modificare i propri processi operativi era necessario intervenire pesantemente sul prodotto. I prodotti erano poco flessibili, poco estensibili, scarsamente personalizzabili e incapaci di sostenere l'evoluzione dinamica dei processi aziendali.

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Nell'ultimo periodo la situazione è cambiata radicalmente. I principali eventi che hanno innescato i cambiamenti sono:

l'introduzione di nuove architetture,

l'espansione delle reti aperte e pubbliche,

il successo dei personal computer,

l'introduzione di nuove metodologie di analisi e sviluppo, di nuovi linguaggi, di nuove piattaforme, di nuovi sistemi operativi.

Questi eventi hanno portato ad estendere l'informatizzazione:

a tutti i processi aziendali,

a tutte le organizzazioni di qualunque settore (pubblico, privato, industria, commercio, e così via),

a nuove aree di utenza. E' diventato conveniente informatizzare qualunque attività o processo (dall'informatizzazione dei processi gestionali si è passati all'informatizzazione di tutti i processi ed attività dell'organizzazione). L'informatizzazione si è estesa, non solo alle organizzazioni, ma alle attività individuali di ogni persona (casa, attività personale, e così via). Con un'informatizzazione così globale le caratteristiche che i prodotti software devono avere sono ben diverse. Le prestazioni delle organizzazioni oggi sono molto dipendenti dal sistema informativo. Le modalità operative ed i processi devono evolvere continuamente in funzione dei cambiamenti delle esigenze del mercato. Gli utilizzatori (organizzazione ed individui) hanno bisogno di prodotti informatici:

pronti o disponibili in tempi brevi,

personalizzabili di volta in volta sulla base di esigenze specifiche,

estensibili nel tempo per far fronte all'evoluzione delle esigenze e del mercato,

che non impongano un processo rigido, ma permettano di svolgere il processo che l'utilizzatore intende seguire.

I prodotti devono avere un'elevata qualità intrinseca, come ad esempio:

alta affidabilità, cioè assenza o quasi di errori. Anche per il software che non è "safety critical" ogni errore causa interruzioni, perdita di dati e di tempo; gli utilizzatori attuali non possono permettersi di perdere neppure pochi minuti del proprio lavoro in quanto svolgono le proprie attività in tempi stretti e con scarso margine di ricupero;

facilità di avviamento, di utilizzo e di apprendimento. L'utilizzatore pretende che i prodotti siano facili da installare, da apprendere e da utilizzare e che la loro interfaccia sia "amichevole" ed intuitiva. Non vuole essere costretto a diventare “un esperto informatico”, solo perché deve installare e utilizzare un prodotto.

Inoltre, i prodotti devono avere tutte le altre caratteristiche qualitative indicate dalla norma ISO 9126 alla quale rimandiamo per un quadro più completo.

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Gli aspetti qualitativi del prodotto devono, infine, integrarsi con quelli del servizio richiesto dall’utilizzatore. E' molto importante disporre di una adeguata assistenza per la gestione dei problemi e per evolvere ed aggiornare il prodotto. Come si pongono i produttori di fronte a queste esigenze? Le nuove piattaforme e tecnologie permettono di sviluppare rapidamente i prodotti soddisfacendo quindi l'esigenza dell'utilizzatore di disporre del prodotto in tempi brevi. Il software può essere sviluppato applicando nuovi modelli di ciclo di vita, ad esempio "cicli incrementali rapidi", generando vari prototipi in successione. Ciò fornisce la possibilità di confrontarsi più volte con l'utilizzatore per valutare se si stanno interpretando correttamente i requisiti. I tipi di interfaccia forniti dalle nuove piattaforme, favoriscono lo sviluppo di un'interfaccia amichevole e di facile utilizzo. Le tecnologie utilizzate e gli attuali strumenti di sviluppo dovrebbero permettere di commettere meno errori e di ottenere un prodotto più affidabile. E' ora possibile sviluppare dei prodotti con un'architettura modulare facilitando i successivi interventi di modifica (per correggere problemi, effettuare personalizzazioni, aggiungere nuove funzionalità). I personal computer e le reti aperte e pubbliche hanno permesso di creare una notevole indipendenza degli utilizzatori dalle elaborazioni effettuate nei grossi centri di elaborazione. I dati e le informazioni sono, in molti casi, immediatamente disponibili e le elaborazioni sono eseguite dall'utilizzatore stesso nel momento in cui ne ha bisogno. Ora è possibile progettare prodotti flessibili che non impongono all’utilizzatore, un processo "rigido", ma che lo supportano nello svolgimento del processo da lui stesso determinato secondo le necessità del momento. Analizzando questi fatti sembrerebbe che ogni problema sia risolto. La realtà è purtroppo diversa. Le possibilità offerte hanno, in alcuni casi, determinato i seguenti fatti:

i tempi di sviluppo sono compressi oltre ogni limite ragionevole, su pressione del cliente e per accondiscendenza del produttore;

la possibilità di lavorare per prototipi è utilizzata per cominciare a "realizzare qualche cosa" da far vedere al cliente senza effettuare un adeguato investimento iniziale per capire le sue necessità, definire i requisiti, dimensionare il progetto, scegliere il processo ed il ciclo di vita più adatto. L'approccio in questi casi è del tipo "realizziamo qualche cosa e cominciamo a farlo vedere al cliente poi lo modifichiamo man mano che lui individua le sue necessità";

si confonde il prototipo finale con il prodotto. Non sono effettuate tutte le fasi di ingegnerizzazione del prototipo per trasformarlo in prodotto e per collaudarlo adeguatamente. L'affidabilità di ciò che è consegnato al cliente non è sufficientemente elevata per soddisfare le sue esigenze;

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la possibilità di costruire l'interfaccia, confrontandosi continuamente con l'utilizzatore, è scarsamente utilizzata. L'interfaccia è costruita dal progettista in base a ciò che lui ritiene sia facilmente usabile per l'utilizzatore. Inoltre è data scarsa attenzione alla presenza di altri elementi quali: manuali utente, help on-line, e così via;

la scelta del processo da seguire e del ciclo di vita, non è fatta su basi “razionali” (esempio: tipo di prodotto, di attività, di tecnologia, di risorse, di cultura, di cliente, e così via) ma è dettata solo dalla “fretta” oppure da “scelte personali” dei progettisti;

la possibilità di sviluppare per cicli incrementali favorisce una scarsa pianificazione delle fasi del processo. La sequenza delle fasi e delle attività non è predefinita ma "inventata in corso d'opera". Analogamente si pone scarsa attenzione al processo di verifica, controllo, validazione e collaudo che è gestito in modo "informale". In pratica il processo seguito non è di tipo "industriale" e non è adeguatamente controllato e monitorato;

all'utilizzatore, che installa i prodotti e gestisce le proprie elaborazioni autonomamente, è richiesta una competenza informatica che non dovrebbe far parte del suo bagaglio culturale.

Questi fatti portano alle seguenti considerazioni:

siamo ritornati ad un processo di sviluppo non industrializzato. Le possibilità determinate dalle tecnologie e piattaforme disponibili per utilizzare i processi più adatti ed applicare vari modelli di cicli di vita in funzione dell’esigenze e della necessità di garantire un prodotto adeguato alle esigenze del cliente sono malamente utilizzate;

i prodotti potrebbero avere una qualità migliore di quella attuale e potrebbero soddisfare meglio le esigenze degli utilizzatori.

Non si vuole sostenere che le conclusioni sopra riportate si applichino sempre ed in ogni caso: esistono anche ottimi prodotti ed ottimi produttori. Si vuole però indicare una linea di tendenza che si ritiene rischiosa. In un momento in cui l'informatizzazione è estesa a tutti e la dipendenza dai prodotti informatici è pressoché totale, ci potremmo trovare con prodotti non del tutto adeguati per soddisfare le necessità.

9.9. L’opportunità da cogliere Sono stati individuato alcuni elementi positivi: A) il panorama normativo è assai completo ed offre adeguate indicazioni e

riferimenti per realizzare un valido Sistema di Gestione per la Qualità; B) le tecnologie disponibili oggi sono valide e se utilizzate correttamente,

permettono di realizzare del software qualitativamente molto valido. Sono stati riscontrati anche alcuni elementi negativi: A) il basso numero di aziende certificate e con un valido Sistema di

Gestione per la Qualità;

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B) un uso “improprio” delle tecnologie disponibili che ha riportato “indietro nel tempo” il livello di industrializzazione del processo di sviluppo software;

C) una relazione cliente fornitore “distorta” orientata “a fare le cose in fretta” anche a scapito della qualità.

E’ chiaro che occorre cambiare questa situazione. E' necessario, da parte di tutti, effettuare un “salto culturale” relativamente al concetto di Qualità e ritornare ad un processo “industriale” per lo sviluppo del software. Per quanto riguarda la relazione cliente fornitore e l’utilizzo di tecnologie appropriate, è necessario che i clienti migliorino il bilanciamento tra costi, tempi e qualità nel momento in cui scelgono i prodotti (e il produttore) dando il giusto peso alla qualità e non solo al "prezzo" e che i produttori non rinuncino all’opportunità di sviluppare prodotti qualitativamente validi ottenuti attraverso processi di tipo "industriale", tali da garantire l'efficacia dei risultati (prodotti validi e clienti soddisfatti) e l'efficienza interna (costi e ricavi adeguati, soddisfazione delle altre parti interessate). Per quanto riguarda le norme, i produttori dovrebbero meglio prendere in considerazione la normativa esistente. Si è visto che il panorama normativo è completo e valido per cui offre tutti gli elementi per realizzare ed applicare un adeguato Sistema di Gestione per la Qualità. I costi iniziali di realizzazione e quelli di mantenimento del sistema si dovrebbero ripagare ampiamente tramite i risultati e il miglioramento continuo dell’efficacia ed efficienza del sistema stesso. Recentemente il passaggio dalle norme ISO 9000 edizione 1994 a quelle edizione 2000 (vision) ha offerto la possibilità di un “salto culturale” e di rivisitare e riprogettare il proprio sistema in ottica di efficacia. Esistono pareri diversi sui risultati di questo passaggio. Alcuni sostengono che i risultati sono stati positivi, alcuni invece sostengono che tale passaggio è stata un’occasione persa. Chi scrive, personalmente, non concorda né con la visione ottimistica, né con quella pessimistica. Per alcune Organizzazioni il passaggio ha dato risultati positivi ed in altri casi negativi. Non è però ancora il momento di trarre le conclusioni. C’è ancora tempo per “cogliere l’occasione offerta”. Per le Aziende informatiche è ora disponibile un validissimo aiuto interpretativo della ISO 9001 (rif. nuova ISO/IEC 90003). Ciò rappresenta un forte stimolo ed una nuova opportunità per rivedere il proprio sistema ed i propri processi puntando sulla Qualità come uno degli elementi fondamentali per soddisfare i clienti e ed affrontare il mercato con successo. Non perdiamo questa occasione!

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10.

IL MIGLIORAMENTO CONTINUO ED I SETTE STRUMENTI

di Giuseppe BARATTO

10.1. Premessa Avevo da poco finito una avventura, quella della Qualità Fornitori dell’Alfa Romeo con Coletsos, Vice di Feighenbaum, quando il Direttore della Divisione Prodotti Diversificati della Pirelli chiese alla Alfa Romeo, agli inizi degli anni 80 -la correttezza era ancora un valore-, il permesso di contattarmi per un ambizioso Progetto di TQM che mi portò a stretto contatto con il prof. Juran e il Juran Institute. La mia nuova avventura cominciò con un programma di visite all’industria della gomma Giapponese, oggi diremmo più enfaticamente con un Benchmarking, che mi catapultò nel mondo spettacolare dell’industria Giapponese in pieno regime di “breaktrhough”. Mr. Noguchi, Chairman del J.U.S.E. (Japanese Union of Scientists and Engineers) mi accolse con entusiasmo e organizzò una serie di visite all’industria giapponese della Gomma tracciando un percorso che mi consentì di visitare piccole, medie e grandi aziende tutte eccellenti. Il filo di Arianna che legava tra di loro tutte le aziende, anche se con diverse modalità e approcci molto personalizzati, era una applicazione intensa e totale delle logiche della Qualità Totale come strumento di gestione della competitività a tutti i livelli. In Bridgestone tutta l’azienda era focalizzata al miglioramento. I Giapponesi hanno un alto senso della grafica ed entrando in mensa si poteva ammirare un murales di rara bellezza, che partiva dagli abissi (pavimento) dove albergavano i mostri marini e andava incontro prima agli squali, poi a pesci più belli, per andare in superficie dove c’erano isolette e navi, fino a raggiungere il cielo azzurro dove volavano gli aerei e nella stratosfera i satelliti. Su questo sfondo erano collocati alle varie altezze i simboli dei gruppi di miglioramento la cui posizione raffigurava il raggiungimento degli obiettivi dei progetti di miglioramento in una sorta di classifica. In ogni angolo della fabbrica principale un manifesto raffigurava una auto di F1 e un gallo (loro simbolo) con una zampa in Giappone e l’altra sospesa in aria che tendeva a poggiarsi in Europa e più propriamente in Francia. Se oggi guardiamo la Formula 1 quel simbolo, a distanza di venti anni, dimostra come strategie, politiche, valori, missione di quel programma sono stati perseguiti. A quell’epoca in formula uno i pneumatici erano forniti da Pirelli, Goodyear, Michelin, Dunlop e

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la pubblicità di queste case campeggiava in maniera visibile su tutti i circuiti;. oggi da sole due case Bridgestone e Michelin e la Bridgestone è campione del mondo con la Ferrari. In Tokay Rubber Industry invece il programma di miglioramento era indicato con una stele di marmo al centro del piazzale principale dove in rilievo e in verticale campeggiava la scritta SCRUM 3.30, che stava ad indicare l’obiettivo di miglioramento di tutti gli indicatori di performance del 30% in 3 anni. I manifesti invece raffiguravano un cerchio, quello del PDCA con i riferimenti ai sette strumenti, in una cornice con le scritte P (Productivity), S (Security & Safety), Q (Quality), L (Logistic), C (Customer Satisfaction), F (Finance), E (Employement), M (Maintenance). L’incontro con il management, dopo la visita, mi lasciò un ulteriore segnale, infatti ebbi la ventura di chiedere per la realizzazione dello SCRUM 3.30 quale era il Budget di investimenti destinati all’impresa . La risposta fu categorica: “Budget what does it means” only if we improve all performances we can grow. In poche parole a cosa serve il budget noi dobbiamo solo migliorare tutte le performance se vogliamo crescere. Più tardi scoprii cosa volesse dire perché in Tokay non era possibile investire se gli investimenti non erano legati ad un preciso obiettivo di miglioramento e se il tempo di ritorno degli investimenti non era compatibile con la politica dei miglioramenti annuali. La cosa più interessante fu la scuola di formazione dei Foreman i famosi operai esperti che aiutavano gli altri ad acquisire le tecniche del miglioramento. Un professore universitario, con precedenti militari e una esperienza forte nelle tecniche di sopravvivenza, dava un problema a 7 team di 5 aspiranti foreman. I team avevano a disposizione 5 giorni ed ognuno era libero di scegliersi il percorso e di elaborarlo per la presentazione finale, usando ogni forma di presentazione grafica con riprese di filmati e foto. Alla fine il professore con il percorso ottimale che prevedeva l’uso dei sette strumenti dava la soluzione e aiutava i gruppi a capire dove e perché il loro lavoro aveva dei buchi. Nelle successive visite alla Toyota Gosei e ad altri piccoli fornitori ognuno mostrò una personale interpretazione della metodologia, ma tutti indistintamente erano eccellenti e utilizzavano il metodo PDCA, con un percorso di problem solving rispettandone le fasi in sequenza e utilizzando gli strumenti che è prassi chiamare sette strumenti della Qualità Totale. Questo avveniva sia che i problemi affrontati rientrassero nelle tecniche Kaizen (piccoli passi) che in quelle Kairyo ( grandi miglioramenti). Quindi era facile dedurre che metodo, percorso, fasi e sette strumenti erano la costante e il fattore di successo dei programmi di miglioramento. L’esperienza mi permise anche di approfondire il significato di alcuni termini misteriosi come Committment, Empowerment, Awereness che mi diventarono chiari e familiari. Quando, ad esempio, un mio collaboratore in un pranzo di lavoro,

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alzando con le bacchette un gamberetto della sua tempura (uno dei tre piatti della cucina giapponese, insieme al sushi e allo shabu-shabu), si permise di dire che l’applicazione del miglioramento continuo con successo era possibile solo perché le loro religioni hanno nel Karma la cultura del miglioramento, mentre in occidente esiste la cultura del peccato (cosa non fare per non sbagliare), il Presidente della Tokay gli rispose “What religion are you talking about, these is the third World war, is an economical war and We are winning”.

10.2. Il ruolo dei “sette strumenti” nel miglioramento continuo La reazione più usuale del mondo occidentale, in particolare di quello latino geniale e disordinato, è il rifiuto dalla potenzialità di metodi, strumenti e percorsi del miglioramento continuo come opportunità per l’accrescimento della competitività. Si è portati a credere che l’esperienza Giapponese non sia applicabile e che sia fortemente legata alla loro cultura. La mia esperienza, che nasce dall’applicazione del “continuous improvement” per più di venti anni, mi ha permesso di verificare in maniera inconfutabile che il 100% delle applicazioni delle tecniche di miglioramento è fattibile (in Giappone come in qualsiasi parte del mondo) non ha controindicazioni, produce effetti insperati eliminando i danni provocati dalla consuetudine e dalla endemicità dei Problemi. Ogni attività produttiva e di servizio produce risultati che dipendono da molte funzioni a loro volta soggette a grande variabilità, spesso i fenomeni sono osservati e metabolizzati dagli operatori. I sette strumenti essendo facili da utilizzare, alla portata di tutti hanno avuto il ruolo di aiutare gli operatori a percorrere il problem solving con metodo e hanno giocato un ruolo di grande rilievo nella crescita della cultura del miglioramento, quello che giocano gli utensili nelle macchine. Uno dei principi fondamentali della Qualità è quello della misura: I can’t manage what I can’t measure, partendo da questo sano principio per gestire occorre partire da “dati e fatti”, raccoglierli in modo strutturato, relazionarli con gli effetti prodotti e individuare le cause che li producono per agire su di esse. Le cure così prestate saranno conseguenti ad una diagnosi e conoscendo i dati di partenza, dopo aver applicato le azioni correttive si potrà controllare se le cure prestate in funzione della diagnosi hanno prodotto un cambiamento. Per fare la fotografia della situazione di partenza bisogna disporre di una grossa quantità di dati spesso dispersi e di difficile collocazione. La misura nella tecnica risponde alla complessa disciplina della metrologia e per avviare qualsiasi misura bisogna raccogliere i dati e ordinarli in modo che siano indicativi dei fenomeni che vogliamo esaminare.

10.3. La raccolta dati Il primo dei sette strumenti è la “Raccolta dati”; non a caso Kaoru Ishikawa gli dedicò il primo capitolo della sua “Guide to quality control”. La raccolta deve

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fornire le garanzie di chiarezza e facilità di interpretazione che si ottiene solo avendo ben chiaro l’utilizzo a cui i dati sono destinati; uno schema idoneo a dare subito un riscontro visivo diminuisce i tempi di analisi dei dati che segue solitamente la raccolta. Una cosa è dire che vogliamo dipingere un oggetto in grigio chiaro o grigio scuro, un’altra è, per una produzione di serie, dire che l’oggetto sarà dipinto in grigio N°XYZ sulla scala dei grigi. L’una darà una classe di colori l’altra individuerà un colore precisato da uno standard e quindi ripetibile e misurabile. Esempi del genere se ne possono fare all’infinito, i Guru della Qualità da Deming a Feighembaum, da Juran a Ishikawa, da Shigeo Shingo a Shinin, da Thaguci a Keki Bothe indicano lo strumento della raccolta dati come quello necessario per far raccogliere agli operativi quei dati della propria attività che definiscono, individuano e misurano i problemi generati per risolverli. In particolare, l’educazione di massa alla Qualità totale e all’uso del problem solving parte sempre, qualunque sia il fine, dalla raccolta dei dati che i fatti reali producono. Una raccolta dati deve essere costruita in maniera tale da avere tutte le indicazioni sulla provenienza, sulla ricorrenza, sulla parametrizzazione, sui tempi di riferimento, sugli aggiornamenti, sulla identità del compilatore, sulla finalità. La strutturazione della raccolta dati è anche il primo atto per un corretto allineamento del linguaggio dei gruppi di lavoro in quanto consente di fissare i punti cardine del problema di cui ci si occupa e facilita lo scambio di opinione tra i componenti, consente inoltre di individuare i punti di attenzione per la registrazione di dati in evoluzione o di studiare i fenomeni come sono evoluti se si tratta di raccogliere dati storici. Un elemento da non trascurare è il contributo alla conoscenza dei fenomeni che lo studio dei dati consente, in quanto per avere indicazioni rapide bisogna fare in modo che i dati raccolti diventino parlanti. L’evoluzione dell’ICT, la comunicazione e l’informatica hanno reso sempre più evidente la fondamentale importanza della raccolta dei dati, non esiste applicativo al mondo che possa funzionare e dare risultati se i dati non sono raccolti e strutturati in maniera idonea. Nei sistemi informativi, nel tempo, si è passati dalla gestione per dati singoli alla gestione per tabelle (che sono strutturate secondo le logiche della raccolta dati) ed i linguaggi di programmazione hanno subito una grande evoluzione.

10.4. L’istogramma La lettura di una tabella è un’arte e pochi adusi al loro utilizzo ne sanno trarre degli spunti, ma i sette strumenti hanno avuto come missione prioritaria quella di allargare al massimo la base della conoscenza consentendo l’approccio alla statistica a tutti con l’utilizzo di strumenti semplici. I dati anche ben raccolti devono essere interpretati per assumere il valore di analisi dei fenomeni. Se vogliamo sapere facilmente come sono distribuiti, con quale

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dispersione, se secondo intervalli predefiniti sono distribuiti regolarmente, occorre raccoglierli in istogrammi per classi entro la dispersione/escursione massima per conoscerne la frequenza. Ad esempio, se vogliamo costruire l’istogramma della popolazione per classi di età, tipicamente faremo ricorso per le classi ai decenni, ventenni, trentenni, e così via fermandoci ai centenari, come limite massimo dell’escursione. In questo modo trasferendo da una tabella (raccolta dati) costruita per classi, ad un grafico in cui sull’asse delle ordinate sono riportate le “frequenze” e sull’asse delle ascisse le “classi” si otterranno delle figure a forma di campana che forniranno la rappresentazione della popolazione in maniera visibile. Anche in questo caso si sostituiscono formule matematiche con figure semplici di facile interpretazione da parte di tutti. Infatti, la sola forma è indicativa della dispersione: se la campana tende ad appiattirsi è facile intuire che non ci sono classi che prevalgono sulle altre, se la gobba è spostata a destra prevale la classe degli anziani, se a sinistra quella dei giovani, se esistono due gobbe anziani e giovani la classe intermedia è carente. Un dato di discontinuità come questo ultimo, riferito ad una popolazione omogenea, potrebbe indicare un forte fenomeno di emigrazione o la popolazione residua a fronte di una guerra. Questo banale esempio dimostra che un istogramma non è una semplice rappresentazione di dati ma può diventare uno strumento di analisi efficace.

10.5. Il diagramma di Pareto Se si prende un istogramma e si ordinano le classi in ordine crescente o decrescente della frequenza rilevata diventa immediata la visibilità delle classi di dati che prevalgono sulle altre. Se la rilevazione serve a fare una diagnosi sui problemi, si individuano facilmente i problemi/difetti più ricorrenti, o l’intervallo di tempo in cui avvengono con maggiore frequenza degli errori, o l’operazione nella quale si addensano il maggior numero di errori o i problemi che generano il maggior impegno economico. Questo tipo di analisi visiva permette di isolare le aree più critiche e fornisce indicazioni sulle priorità di intervento e di utilizzo delle risorse disponibili. L’esperienza porta spesso a verificare che i fenomeni prevalenti sono diversi da quelli che si immaginavano intuitivamente e che l’80% dei problemi si possono eliminare agendo sul 20% dei parametri. Facilità di elaborazione e di lettura sono comunque, insieme all’effetto visivo, il requisito più importante dello strumento. Il diagramma di Pareto, una volta elaborato in fase iniziale, potrà essere utilizzato per confronto con il Pareto risultante dopo aver agito sulle cause dei fenomeni per rilevarne l’evoluzione.

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10.6. Diagrammi causa effetto Il diagramma causa effetto è uno strumento di grande aiuto per la risoluzione dei problemi. Con una semplice rappresentazione grafica si fissa l’attenzione sulle cause che originano i problemi mantenendo sotto controllo gli effetti da esse prodotti utilizzando le logiche della stratificazione, della analisi statistica, delle analisi probabilistiche, del rischio potenziale. La fantasia dei metodologi si è sfrenata inventando molte tecniche di rappresentazione del causa-effetto partendo dalla tecnica delle 4-M al DRW. La prassi più utilizzata è quella di raccogliere le possibili cause che provocano un effetto indesiderato secondo quattro possibili origini: Men (gli uomini), Materials (i materiali), Methods (i metodi), Machines (le macchine). La forza di questi strumenti è la visualizzazione dei fenomeni, infatti a tutti è noto che il diagramma assume spesso l’aspetto di una lisca di pesce. Dalla coda alla testa una freccia indica il percorso che porta all’effetto in studio, mentre le quattro M raggruppano le possibili cause stratificate, classificate in funzione della probabilità e pesate. Ancora una volta con metodo lo strumento rende una materia complessa come statistica, correlazione analisi di varianza alla portata di tutti. In questo modo, i gruppi di lavoro possono fissare su uno strumento di visualizzazione manuale oppure elettronico tutti gli elementi in elaborazione e possono eliminare le cause che risultano ininfluenti o che sono rese tali da un intervento correttivo fino alla risoluzione del problema in esame.

10.7. Stratificazione Una delle maggiori difficoltà per la risoluzione di un problema è l’abitudine dell’uomo a nascondere le proprie conoscenze o il timore di sbagliare e dell’immagine di sé che si trasmette per un errata di interpretazione. Il cervello è uno degli organi più complessi; una parte di esso agisce sulla sfera emotiva creando barriere all’espressione sia facendo scattare il senso del ridicolo che la paura di incorrere in errore, se a questo aggiungiamo il condizionamento dell’up-down, meccanismo secondo il quale ogni essere umano tende a prevalere sugli altri, ne consegue una grande difficoltà nel mettere a patrimonio comune le esperienze nel lavoro di gruppo. Gli esperti della comunicazione e del lavoro di gruppo fanno precedere ogni approccio da una analisi approfondita dei normotipi di caratteri che vi possono confluire. Il Brainstorming, “cervello in tempesta”, è una tecnica che permette di liberare il cervello dai condizionamenti i maniera tale che tutti possano contribuire in maniera guidata con la propria esperienza espressa liberamente. Queste facili tecniche generano la necessità di razionalizzare i dati acquisiti sia dalla raccolta, dati sia nella analisi di Pareto che nell’analisi degli istogrammi e diagrammi di correlazione. Ad esempio, i difetti in una raccolta potremo raccoglierli per tipo,

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per peso, per luogo di provenienza, per turni di lavoro e ogni volta saranno funzionali alla attività a cui la raccolta è diretta. L’obiettivo sarà quindi quello di inquadrare il fenomeno da più punti di vista, quindi anche la decisione sulla variabile da inquadrare per la raccolta dati è fondamentale e la stratificazione è lo strumento per scegliere nel mazzo i dati omogenei secondo una classifica predefinita.

10.8. La correlazione La semplice parola già spaventa gli addetti ai lavori della Qualità, infatti statisticamente l’analisi di varianza di più variabili che partecipano all’evoluzione di un fenomeno ha occupato un ruolo molto pesante. Le scuole di pensiero sono tante; la creazione di tabelle di analisi di varianza ANOVA è stata la base per gli studi di Taguchi che con semplificazioni e osservazioni ha introdotto la funzione perdita per isolare le funzioni che interagendo tra di loro controllano il fenomeno in studio. Per semplificare lo studio dei problemi con tecniche semplici i team di miglioramento utilizzano come strumento di correlazione dei semplici diagrammi. I diagrammi sono costruiti rilevando a due a due il comportamento di una variabile al variare dell’altra nelle condizioni in cui si realizza il processo oggetto di studi. L’effetto visivo è semplice come per tutti i sette strumenti per cui se la nube dei dati assume una forma che può seguire l’andamento di una retta inclinata, quando l’inclinazione è prossima ai 45° la correlazione è massima. Quando i dati sono fortemente dispersi non è possibile capire come il comportamento di un dato dipende dall’altro, se l’inclinazione è di 0° o 90° al variare dell’una l’altra non varia (situazione che raramente si verifica se non imposta come le isobare e le isoterme nei processi chimici).

10.9. Le carte di controllo Le carte di controllo sono lo strumento fondamentale per verificare l’andamento della variabilità nel tempo. Come si costruiscono e si compilano è descritto anche nei più semplici manuali della Qualità. Le carte di controllo si utilizzano per verificare come le caratteristiche più importanti si comportano rispetto ai limiti imposti e rispetto al valore medio, oppure fungono da campanello di allarme quando un dato rilavato esce al di fuori delle tolleranze imposte dai limiti. L’interpretazione della variabilità aiuta a fare le diagnosi dei fenomeni in osservazione visivamente. L’interpretazione delle carte di controllo può essere finalizzata alla definizione della ampiezza della variabilità delle caratteristiche di un prodotto-servizio e ad attribuire i limiti alle caratteristiche del processo che le produce: “nessun prodotto può essere migliore del processo che lo produce”.

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In questi casi è opportuno fare degli studi di tolleranza naturale dei processi valutando la variabilità in tempi brevi tali da escludere l’intervento di variabili esterne al processo.Nel miglioramento continuo i gruppi di lavoro possono creare schemi colorati per la gestione a vista per anticipare e prevenire i problemi ed effettuare analisi per la loro risoluzione.

10.10. Conclusioni Il ruolo dei sette strumenti nella diffusione della cultura della Qualità è stato quello di aver reso semplice l’approccio a temi in passato ad uso dei soli specialisti della Qualità. Questo passaggio è stato importante in quanto la Qualità è il risultato dell’attività di chi produce i prodotti o eroga i servizi, mentre chi controlla svolge una attività a non valore aggiunto. La competenza si conquista facendo come diceva lo stesso Confucio: “vedo e dimentico, ascolto e ricordo, faccio e imparo”, per cui dare strumenti semplici agli addetti ai lavori ha consentito di passare dalla teoria ai fatti nell’applicazione di problem solving operativi. I sette strumenti dei foreman sono stati una pietra miliare nel difficile cammino della applicazione della Qualità totale per la competitività. Recentemente il past President dell’AICQ ha presentato un libro “Qualità Totale un’occasione perduta?” che vuole analizzare il fenomeno della mancata raccolta del vantaggio competitivo da parte delle nostre imprese. Un proverbio cinese dice “Talk doesn’t cook rice”. Il prof. Juran in un intervento per il mio progetto alla Bicocca inviò una specifica del posizionamento degli strumenti audiovisivi, del tipo di lavagna luminosa a lui necessaria, della disposizione dell’uditorio, delle caratteristiche dell’impianto di illuminazione. Il professore più che ottantenne, ormai mito e guru della Qualità, si presentò trenta minuti prima del convegno e verificò personalmente distanze, visibilità delle proiezioni tono e udibilità del sonoro. Quanti manager lanciano obiettivi e ne verificano la fattibilità, la comprensibilità e provano i percorsi che hanno immaginato e si sporcano le mani entrando nei gruppi di lavoro e dando l’esempio ? Forse la risposta al quesito di Conti è tutto qui.

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11.

LE PERSONE DELL’ORGANIZZAZIONE:

motivazione, coinvolgimento, formazione, leadership

di Giorgio NEGLIA

11.1. Le persone al centro della competitività Complessità, turbolenza, innovazione tecnologica e dematerializzazione delle attività produttive sono tra le principali peculiarità dei sistemi economici dei paesi più industrializzati. In questi sistemi, la conoscenza è il principale fattore critico di successo nella competizione tra imprese – non a caso si parla di knowledge economy – e, allo stesso tempo, risorsa alla base della crescita personale e professionale per i lavoratori, fonte primaria di sicurezza per affrontare un mercato del lavoro sempre più esigente e flessibile. È, quindi, importante disporre di sistemi di gestione per la Qualità, che valorizzino la centralità del capitale umano, contribuendo alla crescita professionale delle persone e delle competitività delle organizzazioni. I principi di gestione per la Qualità, internazionalmente riconosciuti e fondamento delle norme della famiglia ISO 9000, forniscono al management una valida guida per migliorare in modo stabile le prestazioni delle organizzazioni. Alcuni principi, come la leadership, il coinvolgimento del personale ed il miglioramento continuo, enfatizzano il ruolo delle persone quale driver della Qualità e della competitività delle organizzazioni.

Figura 11.1 – La centralità delle risorse umane nei principi di gestione per la Qualità

Uno dei principali obiettivi che si cerca di perseguire con la gestione per la Qualità è quello del miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia dell’organizzazione, per il

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raggiungimento/mantenimento della competitività. Per farlo è indispensabile che i vertici dell’organizzazione rappresentino il primo promotore di questa modalità di azione organizzativa. La leadership è una caratteristica del management necessaria affinché si stabiliscano unità di intenti e di indirizzo dell’organizzazione, creando e mantenendo un ambiente interno, che coinvolga pienamente il personale nel perseguimento degli obiettivi. In termini operativi, ciò porta a: tener conto delle esigenze di tutte le parti interessate; stabilire una chiara visione del futuro dell’organizzazione; fissare obiettivi e traguardi stimolanti; creare e sostenere valori comuni e modelli di regole etiche e di correttezza a tutti i livelli dell’organizzazione; creare fiducia e dissipare timori; fornire al personale le necessarie risorse, la formazione e la libertà per agire con responsabilità; stimolare, incoraggiare e riconoscere i contributi forniti dal personale. In termini di benefici, ciò porta il personale a: comprendere ed essere motivato nel perseguimento degli obiettivi e dei traguardi dell’organizzazione; a valutare le attività, rendendole coerenti e mettendole in atto in modo unificato; ridurre i gap di comunicazione tra i diversi livelli. Le persone, a tutti i livelli, costituiscono l’essenza di un’organizzazione ed il loro diretto coinvolgimento nella gestione permette valorizzare capacità e competenze, indirizzandole al raggiungimento della mission e degli obiettivi istituzionali. In tal modo, il personale: comprende l’importanza del proprio contributo e ruolo, individuando vincoli, accettando incarichi e responsabilità nella risoluzione di problemi; valuta le prestazioni a fronte di obiettivi e traguardi; ricerca occasioni per sviluppare le proprie competenze; condivide conoscenze ed esperienze; discute apertamente di problemi e situazioni. I benefici principali derivanti dall’applicazione di questo principio: un aumento della motivazione e, quindi, dell’innovazione e della creatività nel raggiungimento degli obiettivi; una maggiore responsabilizzazione e produttività del personale. Il miglioramento continuo di prodotti, processi e sistemi dovrebbe essere un obiettivo permanente dell’organizzazione. Si sostanzia: nell’adozione di un approccio organizzativo coerente; nella relativa formazione permanente del personale su metodi e strumenti del miglioramento; nel fissare obiettivi e valutare tutto il personale dell’organizzazione. I benefici riguardano: il miglioramento delle potenzialità organizzative e delle prestazioni; la razionalizzazione delle attività per perseguire gli obiettivi strategici; la flessibilità nel rispondere tempestivamente alle opportunità ed alle sfide ambientali.

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11.2. Un modello per lo sviluppo del personale nelle organizzazioni L’importanza della valorizzazione delle risorse umane per la competitività dell’impresa, ha portato ad elaborare specifici modelli sulle buone prassi della formazione e sviluppo del personale per il raggiungimento degli obiettivi di business. Il modello che si è affermato a livello internazionale come lo standard di riferimento, basato sui principi di gestione per la Qualità sopra descritti, è Investors in People (vedasi www.iipuk.co.uk). Sviluppato in Inghilterra negli anni novanta, il modello pone al centro dell’agire delle organizzazioni le risorse umane, offrendo al management standard e strumenti per il miglioramento della performance e della competitività. L’approccio è basato sulla programmazione e comunicazione degli obiettivi dell’organizzazione e su un costante sviluppo del personale realizzato in coerenza con gli obiettivi.

Figura 11.2 - Il Modello “INVESTORS IN PEOPLE”.

Il processo proposto, ciclico e volto a generare una cultura del miglioramento continuo, è focalizzato su quattro fattori principali:

commitment dell’investimento nelle risorse umane per il raggiungimento degli obiettivi di business;

pianificazione delle modalità di sviluppo delle competenze del personale per il raggiungimento degli obiettivi;

azioni concrete di sviluppo ed uso delle skill necessarie in un programma definito e continuativo connesso agli obiettivi;

valutazione degli outcome della formazione e dello sviluppo individuale ed organizzativo rispetto agli obiettivi fissati ed ai fabbisogni futuri.

Tali principi sono suddivisi in una serie indicatori ed elementi di verifica che dovrebbero caratterizzare la gestione e sui quali le organizzazioni che intendano essere denominate “investors in people” possono essere valutate da una serie di centri accreditati attivi in Europa e nel mondo. Investors in People non esclude altri standard e modelli di Gestione per la Qualità: molte organizzazioni lo hanno usato con successo come “piattaforma” per ottenere altre “certificazioni” come quelle ISO ed EFQM (European Foundation for Quality Management).

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Mariott:

“… motivateli, formateli,

prendetevi cura di loro,

trasformateli in vincenti.

Se trattate i vostri dipendenti

Nel modo migliore,

loro tratteranno i clienti

nel modo migliore.

Se i clienti sono trattati

Nel modo migliore,

siate sicuri …

essi torneranno …”

AICQ-CI

Via San Vito, n. 17 – 00185 ROMA

tel. 06.4464132 - fax 06.4464145

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12.

LA MISURAZIONE

di Francesco CARROZZINI

È noto che Archimede di Siracusa fu lo scopritore del principio idrostatico. Due proposizioni, nel trattato Sui galleggianti, affermano che: a) ogni solido più leggero (meno denso) di un fluido, posto nel fluido, si

immergerà in misura tale che il suo peso uguaglierà il peso del fluido spostato (I, 5) e

b) ogni solido più pesante (più denso) di un fluido, posto nel fluido, affonderà; se si misurerà il peso del solido nel fluido il solido risulterà più leggero del suo vero peso, la differenza essendo uguale al peso del fluido spostato (I, 7).

Si sa anche, o forse è solo una leggenda, che Archimede si servì di tale principio per verificare l’onestà di un artigiano sospettato di aver fabbricato una corona, destinata al tiranno siracusano Gerone, usando non dell’oro, come gli era stato commissionato, ma una più volgare lega di argento. Non c’è dubbio che la frode avrebbe potuto essere svelata ricorrendo al metodo più semplice di confrontare la densità dell’oro con quella della corona misurando gli spostamenti d’acqua che si ottengono immergendo uno alla volta la corona e una quantità di oro del medesimo peso della corona stessa. Nel trattato latino De ponderibus et mensuris (anonimo, ca. 500 d.C.) si sostiene che Archimede s’è servito del principio idrostatico mentre Vitruvio gli attribuisce il metodo del confronto delle densità (vedasi www.provincia.venezia.it/mfosc/ studenti/ archimede/matematica/idrostatica.htm). Sta di fatto che al povero orefice, trovato con le mani nella marmellata, fu tagliata la testa mentre Gerone dovette contentarsi della corona, fasulla sì ma probabilmente di ottima fattura, ottenuta, d’altra parte, senza sborsare nemmeno uno spicciolo. A noi invece cosa resta di questa storia di oltre 2200 anni fa? Ci restano un po’ di concetti su cui fare qualche considerazione, utile, se non ad alleggerire le nostre attività quotidiane di operatori della Qualità, sicuramente a confortarci del fatto che il nostro lavoro poggia su basi sicure e condivise. Non è difficile individuare un cliente (Gerone), un fornitore (l’artigiano) ed un operatore della Qualità (Archimede) che agiscono perché è in essere un contratto fra Gerone e l’artigiano (la fornitura di una corona d’oro).

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È anche facile concordare sul fatto che il problema consiste nella verifica della conformità della fornitura e cioè nel confronto fra quanto fornito e quanto specificato (nel contratto). Questo confronto avviene all’interno di un processo di misurazione durante il quale, impiegando un’opportuna metodologia, si effettua la misura di qualcosa (per esempio il volume di acqua spostato oppure il peso della corona) usando strumenti calibrati (per esempio una quantità di oro di peso uguale al peso della corona) per stabilire se una caratteristica di Qualità della fornitura (l’essere la corona di oro e non d’argento) è stata garantita così come l’artigiano ha promesso accettando il contratto. Non c’è bisogno di far notare che il corsivo è stato usato con l’intenzione di sottolineare quanti e quali concetti chiave si possono ritrovare in quello che forse è solo un semplice aneddoto. Naturalmente va al di là degli scopi di questa semplice chiacchierata la pretesa di voler esaminare questi concetti uno per uno: non si potrebbe fare neppure per una parte di essi. Poiché non c’è evidenza che l’artigiano abbia condotto inchieste nella sua bottega per verificare “come stava messo”, non si dirà nemmeno alcunché in merito all’audit: in quanto misuratore delle reali condizioni del sistema di management aziendale merita senz’altro una discussione separata. Perciò può essere più utile fare una considerazione e poi, alla luce di questa e come logica conseguenza, esaminare il concetto di misurazione. Il raccontino sembra indirizzare l’attenzione soprattutto alla circostanza che sono state effettuate delle misure, nella logica di una particolare metodologia, per stabilire la conformità di un prodotto sulla base delle caratteristiche specificate nel contratto: questo può essere riguardato come un’attività di collaudo di accettazione fatta dal cliente. In realtà si può fare una riflessione più profonda: la misura in questione potrebbe benissimo essere effettuata dall’artigiano (e cioè dal fornitore, all’interno del suo Sistema Qualità e a cura della funzione preposta allo scopo) per evitare la consegna del prodotto fasullo che comporta, con lo scarto della fornitura, la perdita economica (cioè la testa dell’orefice). Da entrambi i punti di vista la misurazione appare più che altro come un controllo fatto su un prodotto. La considerazione è la seguente: dal punto di vista del fornitore si può fare qualcosa di più e di meglio che non fare misure col solo scopo di controllare il proprio prodotto e magari di sobbarcarsi i costi degli scarti?

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È possibile applicare il processo di misurazione a qualcosa che sta al di sopra del prodotto stesso, in un approccio che mette la Qualità al primo posto come mezzo per ottenere la sopravvivenza a lungo termine e la crescita dell’azienda? Un tale approccio è il Total Quality Management (TQM) in cui nell’ottica del “lavoro di squadra” (teamwork) si punta a migliorare i processi usati da un’organizzazione che fornisce prodotti e servizi. La risposta è che il processo di misurazione va applicato a (tutti) i processi aziendali con l’obiettivo del miglioramento continuo degli stessi. Si stima che circa il 25% dei costi operativi di un’azienda manifatturiera (rif. Rome Laboratory Reliability Engineer’s Toolkit) se ne va in riparazioni e scarti; le organizzazioni che forniscono servizi pagano un costo altrettanto elevato per non essere capaci di fornire le cose giuste la prima volta. La riduzione di tali costi è una fonte potenziale di profitto e perciò le organizzazioni che operano in TQM cercano di migliorare costantemente i loro processi: istituiscono un team i cui membri provengono da tutti gli uffici coinvolti nel processo che è sotto il riflettore e che comprende anche tutti quelli che materialmente fanno lavorare il processo. Il punto chiave è che bisogna misurare la Qualità in modo che il miglioramento possa essere identificato e naturalmente ogni processo avrà una qualche definizione operativa di Qualità che dovrà essere misurata, cioè ogni processo aziendale richiede strumenti e metodologie di misura appropriati. Per esempio: a) nell’area progettazione si potrebbero fare misurazioni in quanto al numero di

modifiche richieste, valutate ed eseguite su progetto o su tutti i progetti in corso, nell’unità di tempo (un mese, un trimestre, e così via);

b) nell’area vendite in quanto ai tempi di risposta alle chiamate dei clienti; c) nell’area acquisti in quanto alla percentuale degli ordini non evasi nel tempo

utile; d) nell’area amministrazione in merito al numero di giorni di ritardo nei pagamenti; e) nell’area fabbricazione circa l’entità degli scarti dovuti ad un cattivo set-up delle

macchine; f) e via di seguito. Il progresso globale dell’azienda può essere calcolato misurando il “costo della Qualità”: denaro speso per la prevenzione dei difetti o per le rilavorazioni, denaro perduto a causa degli scarti, e così via. Tipicamente se si spende più denaro nella prevenzione dei difetti si riduce comunque il costo globale della Qualità a causa del maggior risparmio dovuto alla riduzione degli scarti e delle rilavorazioni.

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Il processo di misurazione in sé non aggiungerebbe valore ai processi aziendali (e perciò a rigore dovrebbe essere eliminato) se non facesse parte di un qualche meccanismo che permette di ottenere il miglioramento. Ecco allora che le aziende che lavorano in TQM riguardano la misurazione, ottenuta con qualsivoglia strumento e metodologia opportuni, come un elemento del ciclo creato originariamente da Walter A. Shewhart, noto come ciclo PDCA. (figura n. 12.1) Il ciclo PDCA, applicato ad un processo aziendale per il quale si rende necessario un intervento correttivo o migliorativo, comincia con la fase di pianificazione (Plan, P sulla carta): viene definito correttamente il particolare problema; si pensa ad una soluzione possibile studiando le relazioni causa-effetto,

ricercando le cause più importanti e il modo di eliminarle; si decide quali dati sono necessari e si stabilisce come ottenere questi dati (la

misurazione iniziale è fondamentale perché, come si suol dire, se non si sa dove si è non si sa neppure dove si sta andando);

si elabora una strategia, sulla base di dati ottenuti attraverso misurazioni, che deve essere provata per mezzo di ulteriori misurazioni.

Dopo la pianificazione è necessario fare qualcosa (Do, D sulla carta) e cioè, per esempio, ottenere i dati ritenuti necessari tramite misure opportune, effettuare un test e registrare i risultati, apportare un cambiamento, e così via. In questa fase la strategia è sottoposta a prove i cui risultati dovranno confermare, oppure no, che l’approccio alla soluzione è corretto.

Figura 12.1 - carta rappresentativa del Ciclo di SHEWHART

P

D C

A ACT PLAN

DO CHECK

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Il passo successivo è il controllo dei risultati (Check, C sulla carta): il risultato delle prove viene confrontato con quanto si è previsto di ottenere dalla strategia scelta: se la verifica (confronto di dati ottenuti con misure) conferma che la soluzione

progettata è quella giusta allora si passa alla fase successiva nella quale si agisce (Act, A sulla carta): la soluzione viene standardizzata e vengono stabilite le condizioni per mantenerla;

se il risultato delle prove non ha confermato le ipotesi di soluzione, allora si dovrà ricominciare con un altro ciclo utilizzando l’esperienza passata e partendo da una nuova fase di pianificazione.

Due considerazioni, per concludere: la prima è che attraverso misurazioni stiamo valutando la correttezza di

soluzioni; la seconda è che oltre a questo, aiutati dalle misurazioni, stiamo agendo

globalmente su un processo che è stato individuato come inefficace o inefficiente con lo scopo di correggerlo o migliorarlo.

Però lo spirito del TQM va al di là; lo spirito del miglioramento continuo richiede non tanto, o perlomeno non solo, che la misurazione faccia parte di una particolare attività di correzione o miglioramento: richiede che anche i processi che attualmente lavorano bene siano sottoposti a critica, valutando i dati che le misurazioni ci rendono disponibili, perché lavorino meglio. Quello che conta non è soltanto fare bene le cose, dato che questo ci garantisce soltanto di soddisfare le aspettative dei clienti in termini di Qualità richiesta. Per essere competitivi è necessario fare non come ma meglio, in modo da garantirci anche dal punto di vista del soddisfacimento della Qualità latente, che il cliente apprezza con piacere perché per lui è inaspettata e può convincerlo a scegliere come fornitore noi e non il nostro competitore.

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Sun Tzu:

“La migliore strategia

è quella che permette di

raggiungere gli obiettivi

senza bisogno di battersi”

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13.

IL RUOLO DELLA SODDISFAZIONE

NEL PERCORSO VERSO LA QUALITÀ E L’ECCELLENZA

di Sergio BINI

13.1. Premesse La centralità dei clienti -e, spesso, più in generale, delle parti interessate, i cosiddetti stakeholder- gioca un ruolo cruciale e vitale nei modelli di gestione per la Qualità e l’Eccellenza. “In una situazione di crescente saturazione dei mercati, di aumento dell’intensità concorrenziale e di progressiva standardizzazione dei prodotti, la capacità di soddisfare o, addirittura, superare le aspettative dei clienti, è oggi divenuto il fattore competitivo”. Al riguardo, si può ricordare che il primo degli otto principi di Gestione per la Qualità -definiti dalla norma internazionale UNI EN ISO 9000:2000- è dedicato proprio all’ORIENTAMENTO AL CLIENTE; esso evidenzia che: “le organizzazioni dipendono dai propri clienti e dovrebbero, pertanto, capire le loro esigenze presenti e future, soddisfare i loro requisiti e mirare a superare le loro stesse aspettative”. Ma anche il secondo degli otto “concetti fondamentali dell’Eccellenza” -definito dal modello europeo di Eccellenza EFQM (European Foundation for Quality Management)- è dedicato alla ATTENZIONE RIVOLTA AL CLIENTE (Customer focus). Nel concetto si evidenzia che “il cliente è l’arbitro ultimo della Qualità dei prodotto e del servizio: l’ottimizzazione di fattori quali la fedeltà del cliente e l’ampliamento della quota di mercato passa invariabilmente attraverso una chiara messa a fuoco delle esigenze dei clienti attuale e potenziali”. In qualche modo i principali modelli di gestione per la Qualità/Eccellenza registrano il cambiamento del potere contrattuale assunto dai clienti, che hanno catturato e tengono saldamente in mano il “telecomando” delle scelte divenendo i padroni del mercato. Attraverso una sorta di continuo zapping decidono la sorte delle Organizzazioni.

13.2. Il cliente e la Vision 2000 Il punto 2.1 della norma internazionale UNI EN ISO 9000:2000 evidenzia che: “… è il cliente che, in definitiva, determina l’accettabilità del prodotto …”. Ma forse prima di ogni altra cosa è la definizione stessa di Qualità che chiarisce le dinamiche fornitore-organizzazione-cliente e, soprattutto, la centralità di quest’ultimo.

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La Qualità è definita come il grado in cui un insieme di caratteristiche (elementi distintivi) intrinseche soddisfa i requisiti (esigenze o aspettative che possono essere espresse, generalmente implicite o cogenti). Mentre, per Soddisfazione del Cliente la norma UNI EN ISO 9000:2000 (punto 3.1.4.) definisce la “percezione del cliente su quanto i suoi requisiti siano stati soddisfatti”; come si può notare il concetto è strettamente legato alla definizione di Qualità. Nella nota alla definizione si precisa che “i reclami del cliente sono un indice comune di scarsa soddisfazione (del cliente), ma la loro assenza non implica necessariamente che il cliente sia molto soddisfatto. Anche quando i requisiti del cliente sono stati concordati con il cliente stesso e sono stati soddisfatti, ciò non implica necessariamente che il cliente sia rimasto molto soddisfatto”. figura n. 13.1

… è il cliente che, in definitiva, determina l’accettabilità del prodotto … dato che le esigenze e le aspettative del cliente si modificano nel tempo ed in presenta di crescenti pressioni sia della concorrenza, sia del progresso tecnico, le organizzazioni sono spinte a migliorare continuamente i loro prodotti ed i loro processi (2.1). L’approccio suggerito dai Sistemi di Gestione per la Qualità incoraggia le organizzazioni:

- ad analizzare i requisiti del cliente;

- ad analizzare i requisiti del cliente; - a definire i processi che contribuiscono ad ottenere un prodotto accettabile per il

cliente;

- a tenere questi processi sotto controllo. L’approccio per sviluppare ed attuare un Sistema di Gestione per la Qualità implica diverse fasi (punto 2.3) tra le quali:

- determinare le esigenze e le aspettative dei clienti e delle altre parti interessate;

- stabilire la politica e gli obiettivi per la qualità dell’organizzazione;

- determinare i processi e le responsabilità necessari per conseguire gli obiettivi per la Qualità;

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- determinare e fornire le risorse necessarie per conseguire gli obiettivi per la Qualità;

- stabilire metodi per misurare l’efficacia e l’efficienza di ciascun processo;

- mettere in atto queste misure per determinare efficacia ed efficienza di ciascun processo;

- determinare i mezzi per prevenire le non conformità ed eliminare le cause;

- stabilire ed applicare un processo per il miglioramento continuo del Sistema di Gestione per la Qualità.

Il punto 2.6. della UNI EN ISO 9000:2000, relativamente al “ruolo dell’alta direzione”, evidenzia che i principi di gestione per la Qualità possono essere utilizzati dall’alta Direzione come “fondamento del proprio ruolo”, che consiste, tra gli altri, nel“fare in modo che l’attenzione di tutti i livelli dell’organizzazione sia focalizzata sui requisiti del cliente”.

13.3. La misura della soddisfazione del cliente. Per avere un quadro sufficientemente completo della tematica, merita di ricordare, infine, il punto 8.2.1. della norma UNI EN ISO 9001.2000 -specificamente dedicato alla soddisfazione del cliente- con il quale viene stabilito che “l’organizzazione deve monitorare le informazioni relative alla percezione del cliente su quanto l’organizzazione stessa abbia soddisfatto i requisiti del cliente medesimo, rappresentando questo monitoraggio come una delle misure delle prestazioni del sistema di gestione per la Qualità. Devono essere stabiliti i metodi per ottenere e utilizzare tali informazioni”. Quindi la misura dell’efficacia di una organizzazione è data dal livello di soddisfazione manifestato dai suoi clienti. Ma la misura del grado di “soddisfazione del cliente” (conosciuta normalmente come Customer Satisfaction) è una operazione non facile e non può essere realizzata in modo sbrigativo e/o affrettato. E’ importante rifarsi a quei modelli teorici universalmente riconosciuti17, che riescono a rappresentare le modalità con le quali il “cliente” si pone in relazione nei confronti di un qualsiasi “fornitore”, sia nella fase di definizione delle proprie aspettative (Qualità attesa - requisiti), sia nella fase della costruzione del giudizio finale, dopo aver consumato il servizio e/o il prodotto (Qualità percepita - valore percepito). La misura della soddisfazione del cliente è, infatti, essenzialmente data dal rapporto

CS = Vp/Va

17 In particolare i “modelli” di A. Parasuraman, L. Berry e A. Zeithaml; Richard Normann; Noriaki Kano; A. H.

Maslow (per la gerarchia dei bisogni umani).

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tra “valore percepito” ed il “valore atteso” del servizio/prodotto acquistato; dove:

valore percepito: è quello apprezzato dal cliente, che lo stima in relazione alla valutazione della performance percepita che lo stesso confronta sia con il prezzo corrisposto, sia con il modello di prodotto/servizio desiderato prima della scelta dell’acquisto;

valore atteso: è quello che il cliente si è costruito in relazione alle proprie informazioni ed esperienze, nonché in base alle proprie motivazioni di acquisto ed ai propri stili di vita.

Per assicurare il corretto sviluppo delle indagini per la misurazione della Customer Satisfaction è necessario seguire un preciso iter, che prevede lo svolgimento delle seguenti principali fasi: a. preparazione: definizione degli obiettivi e delle finalità dell’indagine;

definizione delle scelte metodologiche (segmenti di mercato che si vogliono investigare; fasi di svolgimento della indagine; tecniche di raccolta delle informazioni; campioni da utilizzare per le indagini qualitative e per le indagini quantitative); pianificazione della organizzazione dell’indagine;

b. comprensione delle aspettative dei clienti: elaborazione degli strumenti per

raccogliere gli elementi necessari per la definizione del modello di aspettative dei clienti; svolgimento fasi attuative; analisi e sintesi dei risultati di questa fase preliminare;

c. indagine per la misurazione della soddisfazione dei clienti: elaborazione

del questionario; test del questionario; realizzazione della indagine (somministrazione dei questionari); elaborazione statistica dei risultati della somministrazione dei questionari; analisi e sintesi dei risultati dell’indagine;

d. comunicazione dei risultati: predisporre i risultati in modo da poterli

presentare all’interno della organizzazione, ai clienti, agli stakeholder, ai mezzi di comunicazione.18

Del più complesso insieme di tematiche affrontate per illustrare la materia Customer Satisfaction si ritiene opportuno evidenziare, in questa sede, alcuni ulteriori aspetti che si ritengono critici: la definizione del cliente, il questionario, la scala di misurazione, la rappresentazione dei risultati.

Il cliente da prendere in considerazione è “una organizzazione o una persona che riceve un prodotto (o un servizio)”. Un cliente può essere, per esempio, un consumatore, un committente, un utilizzatore finale, un dettagliante, un

18 Millot Sophie, L’ENQUETE DE SATISFACTION, AFNOR Editeur, 2001

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beneficiario o un acquirente. Inoltre, un cliente può essere sia interno, che esterno alla organizzazione [UNI EN ISO 9000:2000]. Pertanto, è indispensabile chiarire quale sia il cliente (o meglio quale tipologia di clientela) che deve essere oggetto della misurazione.

Un ruolo fondamentale è svolto dal Questionario e dalla modalità prescelta per la sua somministrazione ai clienti; particolare importanza hanno la sua struttura, la formulazione delle domande e la loro successione. In relazione alle peculiarità dell’universo di riferimento, nonché alla disponibilità di budget occorre scegliere la modalità attraverso la quale drenare il giudizio della clientela: la modalità di compilazione/somministrazione (intervista face to face; intervista telefonica; questionario autosomministrato; questionario postale; questionario via internet).

Il dimensionamento del campione. Per le aziende che hanno segmentato la loro clientela in gruppi omogenei e/o che intendono sondare le opinioni di un segmento specifico è necessario provvedere a dimensionare il “campione rappresentativo” in relazione alla entita della popolazione omogenea dei clienti che si vogliono intervistare (target).

John LEPPARD e Liz MIYNEUX, COME CONTROLLARE E MIGLIORARE IL VOSTRO SERVIZIO AL CLIENTE, Franco Angeli ed.1995

Raccomandazione dell’A.M.A. (American Marketing Association)

popolazione target dimensione campione popolazione target dimensione campione

100 80 152 152

100 < n 250 145 152 < n 500 218

250 < n 500 210

500 < n 1.000 285 500 < n 1.000 278

1.000 < n 2.000 335 1.000 < n 2.000 323

2.000 < n 4.000 360

> 2.000 385 4.000 < n 10.000 365

10.000 < n 20.000 370

> 20.000 400

La scala di misurazione. Misurare degli eventi significa trasformarli in numeri in grado di rappresentarli, cioè si cerca di individuare una corrispondenza biunivoca tra “eventi” e “numeri”. La scala di misura è la funzione di relazione che viene stabilita tra il “sistema empirico degli eventi” e quello “numerico”(o, meglio, dei numeri). Quando non si devono misurare delle grandezze evidenti (lunghezza, altezza, peso, volume, sesso, temperatura, e così via) ma delle variabili non direttamente osservabili (opinioni, atteggiamenti, o stati d’animo/aspetti che caratterizzano il vissuto degli individui) la problematica diviene più complessa.

- Scala decimale: valori da 1 a 10 (oppure da 0 a 10); - Scala di Likert: scala a 7 punti, così strutturata: 1 (molto scadente/

insoddisfatto); 2 (scarso); 3 (piuttosto scarso); 4 (neutro); 5 (abbastanza buono); 6 (buono); 7 (molto buono/soddisfatto). Spesso si utilizzano delle varianti con scale a 3 punti (scarso, buono, ottimo), con scale a 4 punti (peggiore, talvolta migliore, migliore, molto migliore) oppure con scale a 5

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punti (carente/molto inferiore alle attese; mediocre/inferiore alle attese; neutro/soddisfatte le attese; buono/oltre le attese; ottimo/molto superiore alle attese),

- Scala della Norma ISO 10014: insoddisfatto, soddisfatto, deliziato.19

La rappresentazione dei risultati costituisce la fase finale della indagine e consente di rendere accessibili i dati e le analisi dei risultati ottenuti, nonché la adozione delle necessarie conseguenti azioni di miglioramento.

13.4. I Reclami Il quadro normativo delineato dalle norme della serie UNI EN ISO 9000:2000 fa giustizia di un obsoleto luogo comune, sul quale sono scivolati anche i più importanti manager nazionali: il numero dei reclami non può essere utilizzato come ulteriore indicatore da utilizzare per la misurazione della soddisfazione dei clienti. Infatti, la nota 1 della definizione 3.1.4. della norma UNI EN ISO 9000:2000 evidenzia che “i reclami del cliente sono un indice comune di scarsa soddisfazione (del cliente), ma la loro assenza non implica necessariamente che il cliente sia rimasto molto soddisfatto”. Pertanto, la gestione dei reclami merita un ruolo importante nel Sistema di Gestione per la Qualità, ma deve essere differenziato e non confuso con le misurazioni di soddisfazione della clientela. L’analisi fenomenologia dei reclami consente, invece, di attivare processi di miglioramento e di rimuovere le cause che sono a monte dei disservizi.

19 Sergio BINI, LA CUSTOMER SATISFACTION, logica, teorie, tecniche e misure – dispensa dell’AICQ-ci, Roma, 2003.

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DIECI ANNI DI IMPEGNO DELLA QUALITÀ PER LA COMPETITIVITÀ E L’ECCELLENZA

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14

IL RUOLO DEL BENCHMARKING

NEL PERCORSO VERSO LA QUALITA’ E L’ECCELLENZA

di Salvatore LA ROSA

14.1. Premesse La diffusione della cultura della Qualità e la configurazione di livelli diversi di misura e di valutazione, sia dal punto di vista delle organizzazioni (Qualità progettata e Qualità erogata) che dal punto di vista dei fruitori (Qualità attesa e Qualità percepita), hanno posto l’esigenza di introdurre specifiche modalità di confronto (Qualità paragonata) per facilitare il percorso verso il miglioramento continuo e l’eccellenza. Si è cioè compreso che è indispensabile colmare i “differenziali di Qualità” tra le organizzazioni ricorrendo a tecniche e metodi che consentano di riconoscere le best practices, adoperandosi di adottarle allo scopo di far crescere la Customer Satisfaction interna e quella esterna. La tecnica di confronto più conosciuta al riguardo è quella che va sotto la denominazione di benchmarking, termine con il quale, nella sua più generale accezione, si intende: “la misurazione della performance aziendale attraverso un confronto continuo con i punti di forza sia delle imprese concorrenti leader del settore, sia di imprese di altri settori che si distinguono sul mercato per l’applicazione di best practices in alcuni specifici processi aziendali.” L’ultimo decennio ha visto crescere esponenzialmente l’interesse verso l’impiego delle tecniche di benchmarking sia nel settore privato che in quello pubblico. Nel primo caso per fronteggiare una competitività sempre più agguerrita, in gran parte effetto del processo di globalizzazione in atto (benchmarking competitivo). Sono stati al riguardo costituite vere e proprie banche dati e Repertori delle Imprese Eccellenti allo scopo di fornire alle imprese, specie quelle piccole e medie, un sistema di confronto e di riferimento costante rispetto alle esperienze aziendali riconosciute più avanzate, così da facilitare l’implementazione di processi di miglioramento continuo delle performance aziendali. E’ quasi superfluo sottolineare al riguardo che se è relativamente agevole riconoscere chi ha raggiunto i migliori risultati, certamente più complesso è conoscere come questi siano stati ottenuti prescindendo peraltro dal fatto che non tutte le best practices sono direttamente trasferibili. Ma ciò che differenzia il benchmarking competitivo dal semplice confronto con la concorrenza è lo studio sulle cause dei diversi livelli ( gap) di performance. L’oggetto del confronto non è tanto la prestazione in se stessa quanto la

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metodologia utilizzata, il processo cioè capace di generare il differenziale competitivo. Nel secondo caso, quello del benchmarking nel settore pubblico, si è probabilmente più agevolati dal fatto che trattandosi di organizzazioni facenti capo ad istituzioni pubbliche o ad Enti Locali - Regione, Province e Comuni - o trattandosi di enti il cui compito è quello di erogare servizi di pubblica utilità alla persona, vi è un interesse diffuso verso l’attenuazione dei differenziali di Qualità e di performance tra organismi ed enti che hanno analoghi modelli organizzativi e che si pongono medesimi obiettivi.

14.2. Il benchmarking nei servizi di pubblica utilità alla persona: istruzione e sanità. I cambiamenti e le innovazioni nelle Amministrazioni Pubbliche

Si pensi ad esempio al servizio scolastico: la messa in rete delle migliori prassi seguite dagli istituti scolastici del Paese e la diffusione delle esperienze di miglioramento effettuate nelle scuole di ogni ordine e grado, hanno innescato un processo virtuoso di emulazione i cui risultati stanno consentendo di abbandonare definitivamente la tradizionale autoreferenzialità dei diversi segmenti del sistema scolastico avviando processi di autovalutazione e di autoanalisi, premesse indispensabili per il raggiungimento di migliori performance in vista ad esempio della certificazione della Qualità. Restando ancora in ambito scolastico, il termine benchmarking ha recentemente trovato un significativo riscontro nell’analisi dei livelli di competenze raggiunti dagli allievi delle scuole di ogni ordine e grado. Da questo punto di vista l’espressione benchmarking è intesa quale sinonimo di standard e l’approccio è del tipo “outward looking”; si assume cioè che esistono standard esterni con i quali è utile comunque confrontarsi. Nel Report dell’Unione Europea sugli indicatori di Qualità (Benchmarking the quality of education, December 2002) si legge: “It is through graphical portrayal of similarities and differences between countries that indicators and benchmarks truly come into their own. This allows countries to learn form one another through comparison of both common interests and shared differences. The aim of benchmarks is not to set standards or targets, but rather to provide policy makers with reference points. Benchmarks are used to identify issues which need to be investigated further, and to suggest alternative routes to policy goals”. Anche il settore della sanità da tempo utilizza i principi e le tecniche del benchmarking per la definizioni di modelli ottimi di gestione laddove il principio di accessibilità al servizio e di eguaglianza vincola le aziende a fornire strutture e servizi di “uguale” qualità su tutto il territorio di competenza.

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Il processo di regionalizzazione - che ha attribuito alle Regioni ampi poteri e responsabilità nel presidio dei livelli di assistenza in ragione delle risorse disponibili, nell’individuazione delle politiche strategico-organizzative e nello svolgimento delle funzioni amministrative e gestionali - congiuntamente al processo di aziendalizzazione- che ha condotto le strutture sanitarie verso l’acquisizione di personalità giuridica pubblica e di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica, con responsabilizzazione dei dirigenti sui risultati ottenuti - ha innovato profondamente i modelli tradizionali della sanità pubblica. Ad una responsabilità di politica sanitaria, è stata contrapposta una responsabilità economica sull’andamento gestionale e sui livelli di assistenza; all’attività ispettiva sono stati contrapposti l’accreditamento delle strutture e il controllo di Qualità; al controllo sugli atti si è sostituito il controllo di gestione; alla contabilità finanziaria si è affiancata la contabilità economico-patrimoniale. Tali innovazioni hanno indotto a confrontare modelli organizzativi differenti, metodi diversi di allocazione delle risorse, criteri nuovi di valutazione e di misura dei risultati gestionali e più in generale di valutazione della Qualità delle prestazioni del servizio sanitario regionale. Una recentissima indagine condotta in Sicilia (Diste: Report Sanità, Palermo 2004) ha evidenziato che è cresciuto il peso medio dei DGR in termini di consumo di risorse necessarie durante il ricovero, ad indicare una migliorata capacità di descrivere il trattamento prestato durante il ricovero nella scheda di dimissione ospedaliera e una possibile tendenza a ricorrere al ricovero per i casi relativamente più complessi. L’andamento e la variabilità della spesa ospedaliera riflettono tuttavia, per quanto riguarda la componente relativa ai ricoveri erogati negli ospedali pubblici, il costo mediamente sostenuto per ciascun dimesso, standardizzato rispetto alla complessità del trattamento ricevuto. Vale la pena osservare a questo proposito che mentre le differenze in termini di stato di salute risultano decisamente limitate tra le regioni italiane e si potrebbero considerare fisiologiche rispetto ad una naturale articolazione delle condizioni di vita e di salute delle popolazioni presenti su territori differenziati, sono ancora molto marcate le disparità dal punto di vista delle capacità di offerta e di risposta alla domanda possedute dalle diverse regioni italiane. La strada da percorrere nell’ambito del processo di devolution per tentare di avvicinarsi progressivamente all’obiettivo della salvaguardia di pari diritti dal punto di vista della tutela della salute e delle cure sanitarie per i cittadini di tutte le regioni italiane è ancora in salita. A livello più generale la Pubblica Amministrazione ha da qualche tempo adottato processi di benchmarking allo scopo di indurre, i singoli enti ed organizzazioni, ad introdurre innovazioni durature nella direzione della Qualità e dell’eccellenza.

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L’annuale appuntamento del Forum della Pubblica Amministrazione, giunto alla quindicesima edizione, consente di evidenziare come stanno cambiando le amministrazioni pubbliche anche in considerazione del loro ruolo per il recupero di competitività del Paese nel quadro europeo. Un confronto tra i risultati raggiunti da un campione di amministrazioni pubbliche che hanno aderito alla seconda edizione dei “Successi dei Cantieri” ha tentato di individuare i nodi critici relativi a tre ambiti di grande rilevanza per il cambiamento organizzativo nelle pubbliche amministrazioni:

l’azione sulla struttura organizzativa, vale a dire tutte quelle iniziative volte ad introdurre e consolidare gli interventi di innovazione quali, le esperienze di esternalizzazione (outsourcing), l’attivazione della certificazione ISO 9000, l’istituzione del controllo di gestione, le dotazione tecnologiche per l’office automation, i servizi offerti dal sito web di ciascun ente, gli acquisti in e-procurement;

la creazione di valore pubblico, cioè la capacità di governare la complessità del territorio attraverso la formulazione di politiche pubbliche che rispondano ai bisogni della collettività e la loro corretta attuazione e valutazione; sono stai presi in considerazione al riguardo i seguenti item: l’adozione di un piano strategico, l’analisi delle esigenze provenienti dal territorio di riferimento, il monitoraggio e la valutazione degli interventi;

le relazioni con i cittadini e le imprese, intese come le strategie, gli strumenti, gli approcci e le azioni in grado di venire incontro, se possibile anticipandole, alle esigenze e alla domanda di servizi espressi dal territorio attraverso l’uso di indicatori quali: la presenza degli Uffici Relazioni con il Pubblico e lo svolgimento della funzione di gestione dei reclami, l’utilizzo della mail come prassi costante di comunicazione tra ente e cittadinanza, l’attuazione di indagini di Customer Satisfaction, gli ambiti di istituzione della carta dei servizi, la capacità di relazionarsi con gli attori del territorio di riferimento.

14.3. I principi ed i metodi del benchmarking I principi essenziali sui quali si basano le analisi di benchmarking sono quelli della reciprocità secondo il quale occorre instaurare un efficace rapporto bilaterale sulla condivisione e sullo scambio di informazioni; solo il rispetto delle regole da parte di tutti i partner garantisce infatti la Qualità dei risultati dello studio di benchmarking; il principio dell’analogia, abbastanza intuitivo, sostiene che affinché il processo di benchmarking sia valido è fondamentale che i processi operativi confrontati siano analoghi; occorre assicurarsi cioè che le organizzazioni e le funzioni siano adeguatamente confrontabili, che i processi siano sufficientemente omogenei prima di procedere alla raccolta dei dati e successivamente al loro confronto. Essendo il benchmarking un confronto tra le performance di due organizzazioni, i metodi e gli strumenti di misurazione devono garantire la comparazione fra i dati delle organizzazioni dei partner. Solo fenomeni e processi misurabili garantiscono

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l’oggettività dell’analisi obbligando i partner ad usare gli stessi sistemi di misurazione ed interpretazione dei dati. Anche la scelta dei partner deve essere effettuata in maniera adeguata evitando di confrontarsi con partner che godono di un livello di performance troppo elevato o eccessivamente vicino al proprio. Per garantire una corretta adozione e sviluppo del processo di benchmarking l’International Benchmarking Clearinghouse ha definito un codice di comportamento individuando alcune regole specifiche per governare e garantire i rapporti tra i partner. Così il principio della legalità indica che occorre astenersi dall’acquisizione di informazioni segrete, che le informazioni scambiate non devono uscire dall’ambito delle organizzazioni interessate senza la preventiva autorizzazione di tutti i partner, che le informazioni ottenute attraverso il benchmarking possono essere utilizzate solo per il miglioramento dei processi e nell’ambito delle organizzazioni che partecipano all’analisi. Le tecniche di benchmarking, nelle diverse accezioni e modalità di applicazione-quali benchmarking interno, benchmarking esterno, benchmarking competitivo, benchmarking funzionale,- associate all’impiego di efficaci strumenti statistici quali, ad esempio, i modelli multilivello, costituiscono un’efficace metodologia di analisi per comprendere quali sono gli iniziali punti di debolezza della propria organizzazione e quali le azioni da intraprendere per ridurre i differenziali di performance nel percorso verso il miglioramento continuo e l’eccellenza. Come efficacemente sostiene G.H.Watson “il benchmarking non è semplicemente sfruttare idee prese da altre aziende quanto piuttosto creare un armonico impegno nazionale verso il miglioramento continuo. Nell’analisi dei fattori che influenzano le loro specifiche realtà competitive, molte aziende hanno finito per riconoscere che il successo a lungo termine dipende da due fattori esterni: il mercato globale e lo sviluppo della produttività nazionale. Le imprese non possono più limitare la loro prospettiva al mercato locale o anche nazionale. Questa pratica ormai superata conduce alla miopia di mercato e al fallimento economico, come è stato dimostrato da un certo numero di aziende che, prive d’una prospettiva globale sui loro mercati potenziali, non hanno saputo resistere agli attacchi internazionali portati ai loro mercati.” Nel quadro della competitività globale e della produttività nazionale, il benchmarking emerge allora come un veicolo di promozione e di diffusione del principio del libero mercato. Lo scambio delle informazioni sul miglioramento dei processi aiuta ad evitare la ridondanza che può nascere in un sistema economico nazionale. “Quando ciascuna azienda è lasciata sola con le sue risorse, sostiene ancora G. Watson, le opzioni per il miglioramento dei processi sono limitate alle esperienze individuali. E’ vero che le singole aziende possono scoprire al loro interno i modi per migliorare i loro processi, che possono arrivare a imperfette imitazioni dei processi già adottati da altre aziende; o che addirittura possono

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creare e sviluppare processi propri; ma nessuno di questi approcci può incorporare l’apprendimento collettivo e la conoscenza del processo acquisiti attraverso le esperienze e le pratiche condivise di una comunità di aziende”. Si tratta allora di implementare un ampio e diffuso processo di learning organization che consenta di far fronte alla rapidità dei mutamenti e dei cambiamenti strutturali che caratterizzano tanto le organizzazioni private quanto quelle pubbliche. I processi di apprendimento che si svolgono all’interno di una organizzazione consentono di trasformare le risorse disponibili in competenze distintive; sono queste che differenziano strategicamente un’impresa da un’altra, forniscono i vantaggi competitivi o precisano e qualificano la funzione sociale di una struttura pubblica. La learning organization è infatti l’espressione che identifica realtà produttive nelle quali l’apprendimento è istituzionalizzato, realtà produttive fondate cioè su una idea manageriale ed organizzativa che fa leva principalmente sull’incremento della conoscenza nelle sue varie forme e su un processo di riflessione e riconsiderazione critica dell’esperienza. In sintesi, l’enfasi è posta sul primato dell’apprendimento organizzativo rispetto a quello individuale, sul concetto di apprendimento come fenomeno diffuso piuttosto che elitario, sulla preferenza accordata a forme di fertilizzazione incrociata delle conoscenze anziché alla creazione di “oasi di apprendimento” all’interno delle organizzazioni, sul principio che le conoscenze acquisite nel presente sono la base per lo sviluppo delle capacità future.

14.4. Bibliografia Conti T. Qualità: un’occasione perduta? Etas, Milano 2004

Formez -Dipartimento della Funzione Pubblica, Forum PA “I Successi di Cantieri” 2a edizione 2003-2004

La Rosa S. “Le processus de benchmarking pour l’amelioration de la qualitè du systeme scolaire. 53a Session of International Statistical Institute, Seoul, Republic of Korea, 2001

La Rosa S. (a cura) Metodi e tecniche di gestione della Qualità, Corso di Alta Formazione in Cultura e Gestione della Qualità, Quaderno n. 10, Università degli Studi di Bari , Gennaio 2002

La Rosa S. Lo Franco E. I fabbisogni di formazione per la qualità nelle piccole e medie imprese, Deinde Cagliari 2003

Papa L. (a cura) Contributi del Corso di Perfezionamento in “Controllo della Qualità”, Università degli Studi di Bari, 2002

Watson G.W. Il benchmarking, F. Angeli 1995

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15.

I LINK CON IL MONDO DELLA QUALITA’

di Valentina PROIETTI

ISO – International Organization for Standardization http://www.iso.ch/

ASQ – American Society for Quality USA http://www.asq.org/

NQI – National Quality Institute Canada http://nqi.ca/

CANADIAN MOVEMENT FOR QUALITY Canada http://www.qualite.qc.ca/

AUSTRALIAN ORGANIZATION FOR QUALITY (SA) Australia http://www.aoq.asn.au/

AUSTRALIAN ORGANIZATION FOR QUALITY (QEENSLAND)

Australia http://www.aoq.org.au/

IAF – International Accreditation Forum http://www.iaf.nu/

EOQ – European Organization for Quality EU http://www.eoq.org/

CEN - Comité Européen de Normalisation EU http://www.cenorm.be/cenorm/index.htm

EFQM European Foundation for Quality Management

EU http://www.efqm.org/

EOTC – European Organisation for Conformity Assessment

EU http://www.eotc.be/AboutUs/

EUROPA - AMBIENTE EU http://europa.eu.int/pol/env/index_it.htm

BSI – British Standard Institute UK http://www.bsi-global.com/index.xalter

CEI – Comitato Elettrotecnico Italiano Italia http://www.ceiuni.it

UNI – Ente Nazionale Italiano di Unificazione Italia http://www.uni.com/it/

SINCERT – Accreditamento organismi di Certificazione

Italia http://www.sincert.it/

SINAL – Sistema Italiano per l’accreditamento dei laboratori di prova

Italia http://www.sinal.it

AICQ – Associazione Italiana Cultura Qualità Italia http://www.aicq.it/

APQI – Associazione Premio Qualità Italia Italia http://www.apqi.it/APQI.asp

QUALITAL – Consorzio Universitario in Ingegneria della Qualità di Pisa

Italia http://www.consorzioqualital.it/pubbli.html

ANNUARIO UFFICIALE DEL SISTEMA ITALIANO PER LA QUALITA’

Italia http://www.annuarioqualita.it/

DE QUALITATE Italia http://www.nstecna.com/

QUALITA’ E COMPETITIVITA’ Italia http://www.qec.it/home.asp

SICUREZZA, QUALITA’ E AMBIENTE Italia http://www.sicurezzaequalita.it/

QUALITALY Italia http://www.qualitaly.com/

SIX SIGMA USA http://www.isixsigma.com/

JURAN INSTITUTE USA http://www.juran.com/

THE W. EDWARDS DEMING INSTITUTE USA http://www.deming.org/

THE DEMING COOPERATIVE USA http://www.deming.edu/demingcoop.html

INSIDER QUALITY - RIVISTA USA http://www.insidequality.com/

QUALITY MAGAZINE USA http://www.qualitymag.com/

QUALITY DIGEST USA http://www.qualitydigest.com/

KANO MODEL USA http://www.servqual.com/kano.html

MALCOM BALDRIGE AWARD USA http://www.BaldrigePlus.com

COUNCIL ON ECONOMIC AND PRIORITIES (Ente di Accreditamento SA 8000)

USA http://www.cepaa.org

BANCA DATI LEGISLAZIONE COMUNITARIA EU http://www.europa.eu.int/eur-lex/it/search.html

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J. M. Juran:

“Oh Signore dacci

la SERENITA’

di accettare quelle cose che non

possiamo cambiare;

il CORAGGIO

di cambiare le cose

che possono essere cambiate;

la SAGGEZZA

di distinguere la differenza”

AICQ-CI

Via San Vito, n. 17 – 00185 ROMA

tel. 06.4464132 - fax 06.4464145 www.aicqci.it

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Note sugli autori Pagina

Giuseppe BARATTO ingegnere, consigliere AICQ-ci

73

Sergio BINI ingegnere, dirigente d’azienda, vice presidente AICQ-ci

11, 35,91

Francesco CARROZZINI dottore, responsabile RAMS e Qualità R&D Oerlikon Contraves, vice presidente AICQ-ci, presidente Comitato Metodologie di Assicurazione della Qualità

85

Mario CISLAGHI Valutatore Sistemi di gestione per la Qualità e Consulente, vice presidente e consigliere AICQ-CI; vice presidente Comitato AICQ Qualità del software; Coordinatore Sottocomitato AICQ-CI Qualità del software

63

Elio COLUCCI ingegnere, ex dirigente d’azienda, ex vice presidente AICQ, primo presidente dell’AICQ-ci

5

Massimo CONCETTI ingegnere, responsabile Area Ricerca e Sviluppo del Comitato Nazionale Italiano per la Manutenzione (CNIM)

45

Francesco DE LUCA ingegnere, ex dirigente d’azienda, presidente Progetto Qualità 2000 s.r.l., Segretario AICQ-ci

9

Lorenzo FEDELE Professore di “Sicurezza Impianti Industriali” Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma La Sapienza; Segretario generale del Comitato Nazionale Italiano per la Manutenzione (CNIM)

45

Marco GENTILINI ingegnere, Valutatore Sistemi di Gestione per la Qualità, consulente, coordinatore Nucleo Ambiente AICQ-ci

39

Marco LA MANNA ingegnere, responsabile Qualità Telecom Italia Information Tedchnology, consigliere AICQ-ci

57

Salvatore LA ROSA Professore ordinario di “Controllo Statistico della Qualità”, presidente del Corso di Laurea in Scienze Statistiche nell’Università degli Studi di Palermo, consigliere AICQ-ci

97

Lucio LUCONI ingegnere, consigliere AICQ-ci, e AICQ nazionale, dirigente responsabile Segreteria Tecnica Assitalia – Gruppo Generali

59

Giorgio NEGLIA dottore, coordinatore attività di ricerca e formazione manageriale FONDIRIGENTI

81

Ennio NICOLOSO ingegnere, capo Delegazione italiana ai lavori ISO TC 176, consigliere AICQ-ci

19

Valentina PROIETTI Dottoressa in Economia, responsabile Formazione AICQ-ci, direttore Progetto Qualità 2000 s.r.l.

9, 103

Massimo TRONCI Professore ordinario di “Impianti Industriali Meccanici” e direttore del Master in Ingegneria e Gestione della Qualità - Facoltà di Ingegneria Università di Roma La Sapienza, ingegnere, vice presidente AICQ, presidente dell’AICQ-ci

7, 29

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Pubblicazione curata da Sergio BINI, con la collaborazione di Valentina PROIETTI.

CAFI Editore. Via Giolitti n. 60 – 00185 ROMA (marzo 2005)

John Ruskin:

“la Qualità non è mai un caso,

essa è sempre il frutto

di un lavoro intelligente”

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