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IL GIRO D’ITALIA È COMINCIATO IN DANIMARCA. UNA SCELTA DI MARKETING, interessi molto concreti, commerci, turismo… Qualcuno spiegherà che si tratta di fratellanza continentale: si contribuireb- be a fare l’Europa, che la crisi pare stia smontan- do. Non credo invece che esista in corsa un cam- pione danese in grado di vincere e a cui rendere così preventivamente omaggio. Conosco Rasmus- sen, che mi ricorda un esploratore polare più che un candidato alla maglia rosa. Spero che l’omag- gio sia a tutti i danesi, pedalatori tra casa e ufficio, scuola e supermercato. Si sono contati i chilome- tri: ogni cittadino danese ne percorre ogni anno in media più di mille. Fanno il paio con gli olande- si. Il numero delle biciclette supererebbe quello degli abitanti. Una flotta che si muove lungo piste ciclabili, a Copenhagen o ad Amsterdam, tra viot- toli e strade silenziose che si inoltrano in una cam- pagna verde smeraldo, come le telecronache ci stanno mostrando. Sono Paesi che assomigliano a quell’ideale che Ivan Illich, in un saggio intitola- to Elogio della bicicletta, contrappose al Paese che ben conosciamo e che mette assieme Roma e Mi- lano e Napoli, code, ingorghi, autostrade, strade e rotonde e naturalmente appalti per queste e per quelle... Sosteneva Illich, ma ne siamo convinti anche noi, che l’industria avesse determinato il modo di muoversi dell’uomo, imponendo i suoi modelli di mobilità, trasporto individuale e motorizzato, in- fischiandose degli altissimi costi ambientali, ener- getici e quindi sociali, trasformando gli individui in «schiavi energetici», inasprendo i caratteri di classe della società, divisa secondo la «disponibili- tà energetica» di ciascuno. Illich lo scriveva nel 1973, quarant’anni fa, con una precisa idea del futuro. MODELLI DI MOBILITÀ L’auto aveva promesso velocità e libertà, ci ha regalato lentezza, sporcizia, il paesaggio deturpa- to, la feroce eterna lotta per il parcheggio. Scrive- va Illich: «Per por+tare quarantamila persone al di là di un ponte in un'ora, ci vogliono tre corsie se si usano i treni, quattro se ci si serve di autobus, dodici se si ricorre alle automobili, solo due se le quarantamila persone vanno da un capo all'altro pedalando in bicicletta». Elogio della bicicletta, silenziosa, semplice, pu- lita. Mezzo meccanico tanto perfetto mai è stato creato: tubi una volta di ferro, poi di acciaio, poi di alluminio, ora di carbonio e titanio insieme in unica lega, per il telaio, due ruote, le gomme, la catena, le pedivelle, il manubrio, il movimento centrale. La si può arricchire di cambi, campanel- li, luci, sacche con gli attrezzi per riparare la gom- ma bucata. («È nuova, una Wolsit: col fanalino elettrico, la borsetta dei ferri, la pompa…», come scriveva Giorgio Bassani nel Giardinodei FinziCon- tini, a Ferrara, la città più pedalata d’Italia). Per muoversi in bicicletta, basta spingere sui pedali con delicatezza e con regolarità e rotondi- tà. Si può andare ovunque: la bicicletta è «la liber- tà di andare dove voglio», semplicemente vincen- do l’“attrito volvente”, che pesa sulle ruote con- tro il muro dello spazio davanti a noi. Non c’è al- tro: nell’infinita gamma dei perfezionamenti tec- nici, il disegno della bicicletta è rimasto immuta- to da decenni. Una bicicletta di mezzo secolo fa potrebbe ancora servire degnamente, senza chie- dere nulla: un po’ di attenzione per l’umidità, un attimo di pulizia, perché la polvere della strada non solidifichi nel grasso del lubrificante e non danneggi gli ingranaggi. La bicicletta è popolare, in senso politico, e aiu- ta nelle giuste cause. Alla fine dell’Ottocento, du- rante i moti operai di Milano, Bava Beccaris, il generale che faceva sparare sui manifestanti, ne vietò l’uso. I nazisti presero esempio: proibito an- dare in bicicletta, perché la bicicletta era un mez- zo di trasporto comune tra i combattenti antifasci- sti. Ma la usavano anche gli operai delle fabbri- che e ci si accorse che la proibizione avrebbe bloc- cato la produzione industriale. Così la bicicletta tornò a far da staffetta partigiana. Gino Bartali trasportava messaggi occultandoli nei tubi del te- laio, come raccontano Franco Giannantoni e Ibio Paolucci in un libro che è l’esaltazione in chiave democratica del velocipede: La bicicletta nella Resi- stenza . Basterebbe questo per una medaglia d’oro all’esistenza. Nel dopoguerra divenne simbolo di rinascita: fu, ancora per molto, il tramite tra l’ope- raio e la fabbrica e al fischio della sirena le tute blu diventavano una marea semovente a velocità costante. C’era chi la bicicletta la conduceva con sé, una mano sul manubrio, l’altra a stringere quella della fidanzata, come si vede in una foto famosissima dolcissima e orgogliosa: sono tre at- tori, l’operaio, al donna, la bicicletta, di una stes- sa speranza, verso il “sol dell’avvenire”. Poi arriverà lo scooter, ancora qualche anno e si passerà alla Seicento, che cominciò a rinchiude- re persone, parole e pensieri in una scatola che poteva comunicare con le altre “scatole” solo a BELL’ITALIA «Ma dove vai bellezza in bicicletta?». Con Brigitte Bardot e Marilyn Monroe ORESTE PIVETTA MILANO L’auto ci aveva promesso velocità e libertà, ci ha regalato lentezza, sporcizia, il paesaggio deturpato, la feroce eterna lotta per il parcheggio. E allora ritorniamo a pedalare ... Appena uscito è «No bici» il libro di Alberto Fiorillo che critica i ciclisti di tendenza e gli snob delle due ruote ... «Amolabici.tv» è la web tv dedicata agli appassionati con speciali su tutte le gare che si disputano in Italia Elogio della bici macchina perfetta È etica, ecologica, anticrisi. Ha storia, stile e grinta. E non passa mai di moda U: 20 domenica 13, maggio, 2012

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IL GIRO D’ITALIA È COMINCIATO IN DANIMARCA. UNASCELTA DI MARKETING, interessi molto concreti,commerci, turismo… Qualcuno spiegherà che sitratta di fratellanza continentale: si contribuireb-be a fare l’Europa, che la crisi pare stia smontan-do. Non credo invece che esista in corsa un cam-

pione danese in grado di vincere e a cui renderecosì preventivamente omaggio. Conosco Rasmus-sen, che mi ricorda un esploratore polare più cheun candidato alla maglia rosa. Spero che l’omag-gio sia a tutti i danesi, pedalatori tra casa e ufficio,scuola e supermercato. Si sono contati i chilome-tri: ogni cittadino danese ne percorre ogni annoin media più di mille. Fanno il paio con gli olande-si. Il numero delle biciclette supererebbe quellodegli abitanti. Una flotta che si muove lungo pisteciclabili, a Copenhagen o ad Amsterdam, tra viot-toli e strade silenziose che si inoltrano in una cam-pagna verde smeraldo, come le telecronache cistanno mostrando. Sono Paesi che assomiglianoa quell’ideale che Ivan Illich, in un saggio intitola-to Elogio della bicicletta, contrappose al Paese cheben conosciamo e che mette assieme Roma e Mi-lano e Napoli, code, ingorghi, autostrade, stradee rotonde e naturalmente appalti per queste e perquelle...

Sosteneva Illich, ma ne siamo convinti anchenoi, che l’industria avesse determinato il modo dimuoversi dell’uomo, imponendo i suoi modelli di

mobilità, trasporto individuale e motorizzato, in-fischiandose degli altissimi costi ambientali, ener-getici e quindi sociali, trasformando gli individuiin «schiavi energetici», inasprendo i caratteri diclasse della società, divisa secondo la «disponibili-tà energetica» di ciascuno. Illich lo scriveva nel1973, quarant’anni fa, con una precisa idea delfuturo.

MODELLIDIMOBILITÀL’auto aveva promesso velocità e libertà, ci haregalato lentezza, sporcizia, il paesaggio deturpa-to, la feroce eterna lotta per il parcheggio. Scrive-va Illich: «Per por+tare quarantamila persone aldi là di un ponte in un'ora, ci vogliono tre corsie sesi usano i treni, quattro se ci si serve di autobus,dodici se si ricorre alle automobili, solo due se lequarantamila persone vanno da un capo all'altropedalando in bicicletta».

Elogio della bicicletta, silenziosa, semplice, pu-lita. Mezzo meccanico tanto perfetto mai è statocreato: tubi una volta di ferro, poi di acciaio, poidi alluminio, ora di carbonio e titanio insieme in

unica lega, per il telaio, due ruote, le gomme, lacatena, le pedivelle, il manubrio, il movimentocentrale. La si può arricchire di cambi, campanel-li, luci, sacche con gli attrezzi per riparare la gom-ma bucata. («È nuova, una Wolsit: col fanalinoelettrico, la borsetta dei ferri, la pompa…», comescriveva Giorgio Bassani nel GiardinodeiFinziCon-tini, a Ferrara, la città più pedalata d’Italia).

Per muoversi in bicicletta, basta spingere suipedali con delicatezza e con regolarità e rotondi-tà. Si può andare ovunque: la bicicletta è «la liber-tà di andare dove voglio», semplicemente vincen-do l’“attrito volvente”, che pesa sulle ruote con-tro il muro dello spazio davanti a noi. Non c’è al-tro: nell’infinita gamma dei perfezionamenti tec-nici, il disegno della bicicletta è rimasto immuta-to da decenni. Una bicicletta di mezzo secolo fapotrebbe ancora servire degnamente, senza chie-dere nulla: un po’ di attenzione per l’umidità, unattimo di pulizia, perché la polvere della stradanon solidifichi nel grasso del lubrificante e nondanneggi gli ingranaggi.

La bicicletta è popolare, in senso politico, e aiu-ta nelle giuste cause. Alla fine dell’Ottocento, du-rante i moti operai di Milano, Bava Beccaris, ilgenerale che faceva sparare sui manifestanti, nevietò l’uso. I nazisti presero esempio: proibito an-dare in bicicletta, perché la bicicletta era un mez-zo di trasporto comune tra i combattenti antifasci-sti. Ma la usavano anche gli operai delle fabbri-che e ci si accorse che la proibizione avrebbe bloc-cato la produzione industriale. Così la biciclettatornò a far da staffetta partigiana. Gino Bartalitrasportava messaggi occultandoli nei tubi del te-laio, come raccontano Franco Giannantoni e IbioPaolucci in un libro che è l’esaltazione in chiavedemocratica del velocipede: La bicicletta nella Resi-stenza. Basterebbe questo per una medaglia d’oroall’esistenza. Nel dopoguerra divenne simbolo dirinascita: fu, ancora per molto, il tramite tra l’ope-raio e la fabbrica e al fischio della sirena le tuteblu diventavano una marea semovente a velocitàcostante. C’era chi la bicicletta la conduceva consé, una mano sul manubrio, l’altra a stringerequella della fidanzata, come si vede in una fotofamosissima dolcissima e orgogliosa: sono tre at-tori, l’operaio, al donna, la bicicletta, di una stes-sa speranza, verso il “sol dell’avvenire”.

Poi arriverà lo scooter, ancora qualche anno esi passerà alla Seicento, che cominciò a rinchiude-re persone, parole e pensieri in una scatola chepoteva comunicare con le altre “scatole” solo a

BELL’ITALIA

«Ma dove vai bellezzain bicicletta?». ConBrigitte Bardote Marilyn Monroe

ORESTEPIVETTAMILANO

L’autociavevapromessovelocitàe libertà,ciharegalato lentezza, sporcizia,ilpaesaggiodeturpato, laferoceeterna lottaper ilparcheggio.Ealloraritorniamoapedalare

...Appenauscitoè«Nobici»il librodiAlbertoFiorillochecritica iciclistidi tendenzaegli snobdelledueruote

...«Amolabici.tv»è lawebtvdedicataagliappassionaticonspeciali sututte legarechesidisputano in Italia

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U:20 domenica 13, maggio, 2012

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colpi di clacson o a gestacci. Un ‘altra rivoluzionecominciava, ma la bicicletta sopravvisse. Di que-sti tempi è tornata a risplendere, ringiovanita.Dapprima per ragioni ecologiste e salutiste, quin-di per utilità economica: è risparmio allo statopuro, un sistema energetico dai vantaggi insupe-rabili. I costi sono altri, d’altro genere: si muorein bicicletta, straziati dal solito automobilista“disattento”, abbattuti dalla vettura che stringein curva, che ti corre al fianco senza rispetto perla tua fragilità. La devastante incultura del nostropaese si legge nella maleducazione che affliggel’automobilista e condanna ad un’esistenza dipaure il ciclista. Mancano le piste ciclabili e nep-pure le sanno realizzare. A Milano, in una via delcentro, gli ultimi giorni della Moratti, la pistal’hanno semplicemente “disegnata” come se unastriscia gialla sull’asfalto nero fosse un deterren-te sufficiente. In provincia, dove si potrebbero al-lestire percorsi di chilometri e chilometri, utiliz-zando magari strade rurali semi abbandonate,ogni comune è una testa diversa: così se ne trac-cia un pezzo qui, un altro là, un altro ancora qual-che chilometro dopo. Senza considerare che la“connessione” darebbe un senso ad ogni isolataciclabile, trasformandola in un “romanzo”.

Tornare alla bicicletta è un’utopia espressa daqualche movimento di ciclisti organizzati. Pur-troppo la politica non ascolta e per giunta siamoun Paese in miseria e senza lungimiranza (unavolta, ai tempi del primo centrosinistra, si diceva:senza programmazione): non ci sono soldi da in-vestire, trascurando il valore di una pista ciclabile(un risparmio, ma potrebbe essere anche un ri-chiamo per il turismo, come succede in tanti pae-si d’Europa). Miseramente si è arrivati alla conte-sa tra pedoni e ciclisti per l’uso del marciapiede(già occupato dalle macchine in sosta).

La novità è stata il cosiddetto bike-sharing: labicicletta noleggiata dal Comune e collocata inapposite rastrelliere. Peccato che la periferia siastata dimenticata, eppure è nel tratto tra perife-ria e centro che la bicicletta rimarrebbe più utile.

Non ci sarà rimedio, se chi amministra nonmetterà da parte una certa sudditanza alle neces-sità dell’auto. Noi dicevamo, senza bisogno di Illi-ch, che era la Fiat a obbligarci ad usare l’auto el’autostrada. La Fiat, praticamente, non l’abbia-mo più. Forse si potrebbe immaginare qualcosadi diverso, non caritatevole, non marginale, nonhobbystico, ma strategico. Forse ci penserà il ca-ro benzina a mostrarci la rotta.

MARGHERITAANDÒINBICIDATRIESTEAGRADOEPOIATRIESTEANCORA.Margherita è un’astrofisica di no-vant’anni. Margherita pensa che la bici sia l’ener-gia buona.

Alfredo correva con Coppi e Bartali. Una vol-ta, ai Mondiali danesi del ’49, in allenamento conla squadra, nei dintorni di Copenaghen, il giorno

prima della gara vennero bloccati della Munici-pale: «Dove andate?» intimarono in tedesco. «Sia-mo i campioni del mondo! Quello è Coppi, quelloè Bartali e io sono Martini» fece Alfredo. «E quinoi abbiamo le ciclabili - risposero i danesi - pre-go, allenatevi là sopra!». E noi, 63 anni dopo, inItalia, siamo scesi in strada con Salvaciclisti perchiedere percorsi protetti. Alfredo ha novant’an-ni e crede che la bici sia l’energia sicura.

Alfonsina fece il Giro d’Italia coi maschi, era il’24, l’ anno di Matteotti, la femmina era strettatra giubbotti e calzerotti nel Paese dei pregiudi-zi, i giornali ironizzavano su un culo di donna chedondolava sulla sella. Concluse il suo Giro fra lostupore delle malelingue. Alfonsina non era bel-la, Alfonsina ha 150 anni e corre ancora. È con-vinta che la bici sia l’energia che dura.

Al Giro del Burkina Faso, tale Kulibali alzò lebraccia al traguardo della polvere, un giro primadell’arrivo vero, in una volata solitaria. Batté dischianto il suo sorriso, poi si mise a bere e strema-to, allontanatosi un poco dall’arrivo, si sdraiò sot-to una pianta a riposare. Attese così tanto che siaddormentò e quando lo trovarono erano già tut-ti arrivati e finì fuori tempo massimo. Ai cronistiKulibali rispose che la bicicletta è l’energia cheillumina la fatica.

Gavino portava Andrea sulla canna della suabici nera. Andavano da Elia a prendere il latteogni mattina, il contadino a mezzadria che avevala casa rosa con la stalla e le mucche tra le quercein fondo alla grande via. Ormai Gavino non è piùuomo di questa terra, ma Andrea ricorda il brac-cio grande che gli circondava il petto e lo proteg-geva e le parole del buongiorno sussurrate pianosulla canna della bici nera. È così lontana quell’al-ba fresca e viva. Andrea crede che la bicicletta sial’energia che dondola a memoria.

Sul passo dello Stelvio due non campioni, unospagnolo e uno italiano, Galdos e Bertoglio si sfi-darono per il Giro d’Italia. In quel tempo sospesoche si chiama curva, un tornante dopo l’altro, lavita batte e la paura imprigiona l’ansia. Un saltodi catena, una crisi di fame, una sbandata, unacaduta, il giorno che non può tornare e dove tut-to può finire. Bertoglio, che era molto più grega-rio, restò agganciato alla ruota posteriore dellospagnolo e vinse il Giro. Bertoglio crede che bici-cletta sia la fiducia che dà forza.

LEVARELEROTELLEAlla Martin Luther King, una scuola elementarealla periferia di Roma, nell’ultimo giorno primadelle vacanze, i bambini delle «quinte», insegne-ranno ai più piccini ad andare in bicicletta levan-do le rotelle. Succederà nel cortile, è previsto ilsole. È tutto l’anno che le maestre raccontano dibici, del giro delle ruote, del raggio del manu-brio, di catene e freni e ora ecco il saggio di fineanno. I bambini della Martin Luther King capi-ranno che la bicicletta è la libertà che ti fa gran-de.

In tv, sempre più spesso, una bicicletta compa-re sullo sfondo, anche dove si parla solo di ban-che, di interessi, mutui e percentuali e soldi dalavare. La buona bici, in trasparenza, dietro ilmarchio da piazzare, è così utile, fa così bene allavista che la sfruttano pure quelli che non glienefrega niente. La bicicletta è l’energia che superase stessa.

Un visionario credeva che pedalando si potes-se accendere un palco di luci e di suoni e farci unconcerto di canzoni, di disegni e di parole. Quelpazzo mise in croce i suoi amici, gli artigiani, gliingegneri, gli impresari, i musicisti, i fonici e ifacchini. Una sera il palco si accese veramente ea pedalare per produrre quella energia vennetanta gente.

Ingrid andava felice in riva al mare, accaldataentrò in un bar a bere, «Cosa fai?» le chiesero albancone. «Amo la bici, non lo vedi?» rispose leisorridendo. Allora un vecchio alzò gli occhi daltressette: «Ma come fai? Non vedi che è un mon-do di drogati? E poi voi intasate le strade e poisiete pure comunisti o peggio anarchici e teppi-sti». Ingrid sciolse i capelli lunghi fino alle cavi-glie e pedalando entrò nel mare: la bicicletta sanuotare.

IN25CITTÀ

La mia bicicletta ha dieci vitiOtto sul cambio, due sul sellinoLa mia bicicletta ha dieci viteFanno quattro più di un felino

La prima vita è stata in giroCon una donna in pantaloniAlfonsina che corse il GiroD’Italia al fianco dei campioni

La seconda è stata in montagnaPortava il pane e le maglie di lanaLa seconda è stata compagnadi una staffetta partigiana

La terza vita è stata nell’ortoCon l’aratro di un contadinoChe faticava senza diportoPer far studiare il suo bambino

La quarta vita è stata in cantiereInsieme a Carmine, pendolareChe da un ponteggio finì per cadereE finì di pendolare

La quinta vita è stata in Bovisafuori ai cancelli in attesa di GinoChe lasciata al paese la sposabaciava la foto sul comodino

La sesta vita è scesa in piazzaMentre la celere suonava la trombaE la rivolta scoppiava in piazzaMentre in piazza scoppiava la bomba

La settima vita è stata in questuraInsieme a Mario che aveva pagatoDue bistecche e della verduraCon lo stipendio da disoccupato

L’ottava vita è stata in cantinaMentre una macchina andava più in frettaE non costava così la benzinaNel medioevo della bicletta

La nona vita è stata di AbdulChe lavorava al nero di giornoPer mandare i soldi a KabulSenza permesso di soggiorno

La decima vita coi raggi rottiL’hanno portata in ciclofficinaLì torna nuova con due cerottiE ricomincia dalla prima.

Ec’è ilGirettod’ItaliadovecontasolopartecipareÈpartita la secondaedizionedel«Girettod’Italia», il campionatonazionaledella ciclabilitàurbanaorganizzato in25 città italiane daicomunipartecipanti insiemeaLegambiente,Fiab eCittà inBici.Oggi siconosceranno i risultatidellacompetizionedovenoncontaandareveloci maessere in tantiascegliere la bicicletta comemezzoperspostarsi incittà. Scopo dellagaraèquello di contare quanti incittàscelgono la bicicletta per ipropri spostamenti (comeadesempioquelli casa-scuolaocasa-lavoro)per verificare quanto labici sia un mezzodi trasportoa tuttigli effettinell’ambienteurbano.

LaciclicaodedellabiciclettaFRANCESCAFORNARIO

LastoriadiAlfonsinachechilometrodopochilometroabbattérecordepregiudizinel 1924.EquelladiGavino,diAlfredoediunasignoradi90annichefa l’astrofisica

... .Perglialunnidiunascuoladiperiferiachehannostudiatoruote,manubrieraggi, significa libertà

PedalandoenergiaAbbiamoacceso le luci suunpalco,scalatomontagneefattocrescere ibambini

ANDREASATTAMUSICISTAESCRITTORE

domenica 13, maggio, 2012 21