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1 SANTA MARIA MAGGIORE SOMMARIO- I. Dati storici e titoli della basilica mariana. II. Itinerario catechetico mariano. III. Itinerario liturgico mariano. IV. L’icona della Vergine «Salus Populi Romani». V. Santi e Papi in Santa Maria Maggiore. VI. Processo storico d’inculturazione mariologica: 1. Inculturazione secondo le epoche; 2. Dimensioni del processo d’inculturazione. I – Dati storici e titoli della basilica mariana La basilica di Santa Maria Maggiore mantiene ancora le strutture originali paleocristiane del tempo di papa Sisto III (430-440). Simultaneamente, durante più di quindici secoli, ha acquistato altre espressioni mariologiche culturali e liturgiche con qualche riferimento storico alla precedente basilica di papa Liberio (352-366). Nella basilica si è sviluppato un processo storico permanente del tema mariano, annunciato, celebrato e vissuto, di gran portata teologica, pastorale e spirituale. È il primo tempio dell’Occidente dedicato a Maria “Vergine” e “Madre di Dio” (“Theotokos”). 1 I dati architettonici e artistici lasciano intravedere la presenza attiva e materna di Maria in mezzo al popolo credente durante un lungo periodo storico (secoli IV/V-XXI). Agli inizi della costruzione della basilica, il luogo era uno dei quartieri più popolati di Roma, l’Esquilino, in gran maggioranza di provenienza straniera e militare, in mezzo ai colli Oppio, Fagutal e Cespio. La basilica dedicata alla Vergine fu edificata sulla collina Cespio. Santa Maria Maggiore è un “santuario” che può essere qualificato come la “cattedrale” della catechesi mariana primitiva e medievale, amalgamata da liturgia e arte. Basta osservare l’atrio e la “Loggia” superiore adornata di mosaici (sec. XIII), la navata centrale con venti colonne per ogni lato e con mosaici dell’Antico Testamento (sec. V), l’arco trionfale (sec. V) e l’abside (sec. XIII) pure con mosaici e affreschi del Nuovo Testamento. Nell’insieme è una dinamica

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SANTA MARIA MAGGIORE

Sommario- I. Dati storici e titoli della basilica mariana. II. Itinerario catechetico mariano.

III. Itinerario liturgico mariano. IV. L’icona della Vergine «Salus Populi Romani». V. Santi e Papi in Santa Maria Maggiore. VI. Processo storico d’inculturazione mariologica: 1. Inculturazione secondo le epoche; 2. Dimensioni del processo d’inculturazione.

I – Dati storici e titoli della basilica mariana

La basilica di Santa Maria Maggiore mantiene ancora le strutture originali paleocristiane del tempo di papa Sisto III (430-440). Simultaneamente, durante più di quindici secoli, ha acquistato altre espressioni mariologiche culturali e liturgiche con qualche riferimento storico alla precedente basilica di papa Liberio (352-366).

Nella basilica si è sviluppato un processo storico permanente del tema mariano, annunciato, celebrato e vissuto, di gran portata teologica, pastorale e spirituale. È il primo tempio dell’Occidente dedicato a Maria “Vergine” e “Madre di Dio” (“Theotokos”).

I dati architettonici e artistici lasciano intravedere la presenza attiva e materna di Maria in mezzo al popolo credente durante un lungo periodo storico (secoli IV/V-XXI). Agli inizi della costruzione della basilica, il luogo era uno dei quartieri più popolati di Roma, l’Esquilino, in gran maggioranza di provenienza straniera e militare, in mezzo ai colli Oppio, Fagutal e Cespio. La basilica dedicata alla Vergine fu edificata sulla collina Cespio.

Santa Maria Maggiore è un “santuario” che può essere qualificato come la “cattedrale” della catechesi mariana primitiva e medievale, amalgamata da liturgia e arte. Basta osservare l’atrio e la “Loggia” superiore adornata di mosaici (sec. XIII), la navata centrale con venti colonne per ogni lato e con mosaici dell’Antico Testamento (sec. V), l’arco trionfale (sec. V) e l’abside (sec. XIII) pure con mosaici e affreschi del Nuovo Testamento. Nell’insieme è una dinamica artistica che conduce a Cristo, Figlio di Dio, nato da Maria.

Rimangono due iscrizioni della stessa epoca in cui fu dedicata la basilica alla Vergine, al tempo di papa Sisto III (432-440). Una di queste iscrizioni si trova ancora nell’arco trionfale: «Xistus Episcopus Pebli Dei». L’iscrizione che riguarda Maria si trovava nell’interno della facciata principale. Il testo è sparito nel secolo XVI, quando fu restaurata la facciata con il portico, ma si è conservato integro nei “sillogi” medievali: «Vergine Maria, io Sisto Ti ho dedicato il nuovo edificio degno dono al Tuo ventre Portatore di Salvezza. Tu Genitrice ignara di uomo, avendo alfine partorito, dalle intatte viscere si è prodotto la nostra Salvezza».

Il testo dell’iscrizione nella facciata mette in risalto i termini: “Vergine”, “Madre”, “salvezza”. Il titolo di Madre, unito a quello di Vergine (per opera dello Spirito Santo), oltre ad indicare la natura umana di Gesù, manifesta anche la maternità divina di Maria. La Vergine, per il fatto di collaborare all’opera salvifica di Cristo, è la “salus” del popolo credente.

I mosaici paleocristiani del secolo V, nell’arco trionfale primitivo, indicano la divinità di Gesù e quindi la maternità divina di Maria. La basilica della “Vergine” è la basilica della “Madre di Dio” (“Theotokos”, ”Dei Genitrix”).

Il titolo di “Vergine”, accanto all’espressione “Madre” (Genitrix), in rapporto a Gesù, nel contesto storico ecclesiale e nell’insieme architettonico dei mosaici primitivi, portano a questa conclusione: «Sembra quindi ovvia l’interpretazione della basilica mariana sull’Esquilino come un monumento alla glorificazione della Madonna come Madre di Dio».

Per poter capire questo stretto rapporto della basilica col titolo mariano di “Madre di Dio” (“Theotokos”), bisogna ricordare che la basilica fu costruita immediatamente dopo il concilio di Efeso (431), celebrato sotto il pontificato di Celestino I (422-432). Il suo successore, papa Sisto III (432-440), dedicò il tempio alla “Vergine”. Ancora diacono di Papa Celestino, era stato inviato al concilio efesino. E’ anche da ricordare che prima del concilio di Efeso, già nel sinodo romano del 430, era stata affermata la maternità divina di Maria.

Papa Leone Magno (440-461), che convocò il concilio di Calcedonia (451), era stato diacono di Celestino I e di Sisto III. La sua dottrina, contenuta nel Tomus ad Flavianum, indica l’analogia del titolo mariano di “Vergine” col titolo di “Madre di Dio”. In riferimento al Verbo Incarnato afferma che «la sua natività dalla carne dimostra l’origine della sua natura umana, ma il parto della Vergine è segno della sua onnipotenza divina».

L’iscrizione che ancora si trova nell’arco trionfale ha questa stesura: «Xistus Episcopus Plebi Dei». Nel contesto dei mosaici, che indicano l’itinerario verso Cristo nato da Maria, l’iscrizione afferma che il vescovo di Roma guida il suo popolo verso il giudizio finale della storia, indipendentemente dall’autorità civile. Infatti la basilica mariana fu costruita per volontà di Papa Sisto III, senza una decisione dell’Imperatore.

Il carisma di Pietro, attuato nella persona di Sisto III, guida verso Cristo le pecore che aspettano presso le porte delle due città, Betlemme (dove Gesù è nato) e Gerusalemme (dove Gesù è morto e risorto). La Madre di Dio, con la sua presenza e la sua discreta intercessione, accompagna i credenti nel cammino verso Cristo. Il carisma mariano e il carisma petrino sono in stretto rapporto nella dimensione cristologica ed ecclesiologica.

Dai tempi di Sisto III (secolo V), la basilica aveva il nome di “Santa Maria”. Il titolo è prevalso fino la metà del secolo VII. A questo titolo (“Santa Maria”) si aggiungeva il titolo di “Dei Genitrix” (“Theotokos”, Madre di Dio). Posteriormente si diceva anche “Santa Maria Maggiore”, accennando ad una qualche priorità riguardo ad altre chiese dell’Urbe dedicate a Maria.

Il titolo di Santa Maria ad Praesepe appare nel tempo di papa Teodoro I (642-649), secondo il Liber Pontificalis (I, p.331ss). Tra tutti i titoli, questo era il preferito dai fedeli, come consta dalle donazioni in favore della basilica. Il titolo ricorda l’esistenza di un oratorio dedicato al “Presepio”. La basilica, anche per questo titolo, diventava il centro mariano della comunità ecclesiale.

Il papa Sergio II (844-847) fece decorare l’oratorio del Presepio del Signore. La cronaca su questo fatto unisce al titolo del presepio gli altri titoli di “Madre di Dio” e Santa Maria “Maggiore” (Liber Pontificalis, II, p.92).

Basilica Liberiana è anche il titolo che ha continuato ad essere utilizzato durante secoli. Il nome di “Liberiana” deriva dal papa Liberio (352-366), che, secondo il Liber Pontificalis, fece costruire la basilica presso il “mercato” chiamato «Macellum Liviae».

Il titolo di “Liberiana” è unito a quello di Santa Maria delle Nevi (ad nives). Secondo una “tradizione” di molti secoli, papa Liberio fece costruire la basilica a seguito di un’apparizione della Vergine, rivolta simultaneamente durante il sogno, sia a papa Liberio che ad un patrizio romano, Giovanni, insieme alla sua sposa, con conferma del miracolo della nevicata susseguente nell’inizio del mese d’agosto. Il titolo della “neve” ha avuto un grande successo nel suscitare altri santuari dedicati alla Vergine delle Nevi.

Il titolo di «Salus Populi Romani» è legato alla traslazione dell’immagine della Madonna nella cappella paolina (secolo XVII) e alla festa susseguente. Il titolo non appare esplicitamente prima del secolo XIX, ma è armonico con la tradizione multisecolare favorita dai Pontefici. In effetti, l’espressione «nostra salus» si trova già nell’iscrizione di Sisto III (secolo V), che abbiamo sopra citato.

II - Itinerario catechetico mariano

E’ ricco di contenuti mariani l’itinerario dei mosaici paleocristiani del secolo V, come pure quelli medievali del secolo XIII. La dinamica cristologica, mariologica ed ecclesiale è esplicitamente escatologica. La presentazione metodologica è molto pedagogica e ampliamente teologica e biblica. E`l’itinerario della Chiesa pellegrina verso Cristo Re e Giudice universale, sotto la protezione di Maria già glorificata dal Signore risorto. Maria è inserita nel mistero di Cristo e della Chiesa.

I mosaici veterotestamentari della navata centrale ricordano Maria Figlia di Sion. Sono del secolo V, contemporanei alla fondazione della basilica. Alcuni mosaici sono stati restaurati o anche rifatti posteriormente.

L’orientamento eucaristico verso l’altare maggiore è rinforzato dai sacrifici offerti da Melchisedec e da Abramo. Nella parte superiore del primo mosaico appare tra le nubi il volto di Cristo, per mettere in rilievo il compimento di questi sacrifici nel sacrificio eucaristico. L’itinerario è accompagnato dalla promessa fatta a Giacobbe e a Giosuè, sempre verso Cristo nato da Maria.

Gli episodi evangelici su Gesù e Maria vengono spiegati nell’insieme dei mosaici dell’arco trionfale, anche del secolo V. I mosaici di destra e di sinistra sono in rapporto tra di loro, sempre per sottolineare la divinità di Gesù nato da Maria.

E’ una catechesi inculturata in cui appaiono valori e contenuti evangelici, culturali, storici, apocrifi, ecc. Comparando i mosaci di destra con quelli di sinistra, si ottine una catechesi cristologica e mariologica basilare. I mosaici riassumono l’infanzia di Gesù con riferimento ai dati dei vangeli autentici e anche degli apocrifi: Annunciazione, presentazione del bambino al tempio, adorazione dei Magi, esilio in Egitto... Tutto è orientato alla seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi. Il trono vuoto di Cristo è incima dell’arco, all’interno di un circolo (il “solisterium”), al di sopra dell’iscrizione papale («Xistus Episcopus Plebi Dei») circondata dagli apostoli Pietro e Paolo. Il papa Sisto III, in questo itinerario, conduce la Chiesa (rappresentata dalle due città) verso Cristo Re.

In ambedue i lati dell’arco, nella parte inferiore, viene rappresentata la città di Betlemme (a destra) dove è accaduta la nascita o prima epifania (parusia) di Gesù; la città di Gerusalemme (a sinistra) ricorda il luogo della morte e risurrezione del Signore. Le pecore significano i fedeli che entrano nella Chiesa madre, il cui modello di maternità è la Vergine Madre di Gesù.

Al tempo di papa Nicolò IV (1288-1292) è stato costruito l’abside attuale. Si fece abbattere una grande parte dell’arco primitivo del secolo V, creando uno spazio per il coro, in cui vennero dipinti affreschi della scuola di Cavallini. I mosaici dell’abside sono firmati da Giacomo Torriti (1295).

I mosaici dell’abside attuale rappresentano, nella parte centrale, l’incoronazione della Vergine. Gesù, seduto nello stesso trono con Maria, corona sua madre con la mano sinistra (gesto orientale) e mostra con la destra sostiene una iscrizione che indica la regalità: «Veni electa mea et ponam te in tronum meum». L’iscrizione vicino ai piedi riguarda l’Assunzione: «Maria Virgo assumpta est ad aethereum thalamum, in quo Rex regum stellato sedet solio. Exaltata est sancta Dei Genitrix super coros angelorum ad celestia regna». Le vergini Agnese, Cecilia, Lucia e Caterina, ricordano che Maria è tipo della Chiesa sposa verginale. A sinistra ritroviamo Pietro e Paolo, e anche san Francesco.

La Dormizione di Maria è descritta nel mosaico centrale sotto l’incoronazione. Maria è stesa su di un letto, circondata dagli Apostoli. Gli angeli sono in atteggiamento di trasportare il corpo della Vergine, mentre Gesù Cristo accoglie la sua anima.

I mosaici posti sotto la Domizione di Maria riproducono gli episodi dell’infanzia di Gesù, in modo simile a quello dell’arco trionfale: Annunciazione, adorazione dei Magi presentazione di Gesù nel tempio. Vengono rappresentati anche san Girolamo che spiega le Scritture e san Matteo che predica ai giudei.

Attualmente, sotto la Dormizione di Maria, al centro e in modo molto evidenziato, per volontà di Benedetto XIV, si trova la Natività di Gesù con l’adorazione dei pastori, dipinto da Francesco Mancini (1750).

Proveniente dal portico del secolo XII (di papa Eugenio III) è l’iscrizione (attualmente nel cortile esterno della cappella “sistina”) in cui Maria viene invocata come colei che intercede, «Madre di Cristo», ornata di «perpetua verginità», strumento di «vita e salvezza per il mondo intero».

Anche i mosaici della facciata (del secolo XIII) sono parte dell’itinerario catechetico, cristologico e mariano. Si trovano sul portico e sono dell’epoca di papa Nicola IV (morto nel 1292). Nella loro composizione centrale sono firmati da Filippo Rusuti, discepolo di Torriti e di Pietro Cavallini. Il mosaico più antico del complesso, di stile bizantino, posto sulla parte superiore, rappresenta Cristo Pantocratore, con l’iscrizione: «Ego sum lux mundi».

I mosaici sono suddivisi in quattro sezioni e raffigurano l’apparizione della Vergine il 5 agosto del 358 (“nonis augusti”) a papa Liberio e al patrizio Giovanni accompagnato dalla moglie. Gesù e Maria fanno scendere dall’alto la neve miracolosa. Il patrizio Giovanni è inginocchiato davanti il papa, accompagnato da una grande moltitudine di fedeli. Il papa traccia sulla neve il perimetro della basilica. L’iscrizione latina riassume il messaggio della Vergine a papa Liberio: «Fac mihi ecclesiam in monte Superagio sicut nix indicat».

Nei mosaici della tomba del cardinale Gonzalvo Rodríguez, arcivescovo di Toledo e successivamente cardinale-vescovo di Albano, morto nel 1299, si trova l’iscrizione in greco «Madre di Dio». I mosaici hanno la peculiarità di rappresentare Maria come colei che intercede presso il Signore.

Gli affreschi della navata centrale e delle sacristie completano l’itinerario catechistico, cristologico e mariano. Tra la fine del secolo XVI (anno 1593) e l’inizio del secolo XVII, il numero delle finestre venni dimezzato per poter dipingere ventiquattro affreschi con episodi del Nuovo Testamento sulla vita di Maria. Sono opera di parecchi artisti, con il patrocinio del cardinale Domenico Pinelli.

La catechesi di Santa Maria Maggiore non termina con i mosaici e gli affreschi menzionati, ma continua anche largamente nelle cappelle laterali, nelle sacrestie e nel battistero. La sacrestia maggiore dei canonici è una catechesi abbondante degli episodi mariani del vangelo e della tradizione, quasi come un parallelo degli altri dipinti mariani, dall’Annunciazione fino alla Pentecoste e al transito o Assunzione di Maria. Eccelle nell’insieme, nella lunetta, la coronazione della Vergine. La sacrestia, patrocinata da Paolo V (1605-1621) è opera dell’architetto Flaminio Ponzio (1559-1613). Gli affreschi sono di Domenico Cresti (detto il Passignano, 1560-1636).

Il tema dell’Immacolata viene ricordato alcune volte nella basilica, come accade nella cupola della cappella “paolina”, dove viene rappresentata Maria simultaneamente come Immacolata (con la luna sotto i piedi) e come Assunta e Regina (con lo scettro tra le mani).

Il tema dell’Assunzione è più frequente, come si può vedere nei mosaici dell’abside, dove emerge la “Dormizione” e l’incoronazione. Il tono prevalente è quello scatologico, poiché i mosaici dell’arco trionfale, dell’abside e della facciata mostrano un’ itinerario, con Maria, verso Cristo Re e Giudice della storia.

La cappella “Sforza” (voluta dai cardinali Guido Ascanio e suo fratello Alessandro Sforza) è dedicata all’Assunzione di Maria. Il progetto è di Michelangelo Buonarroti. L’Assunta della pala dell’altare maggiore è dipinta da Girolamo Siciolante, detto il Sermoneta (1521-1580). La Vergine incoronata è dipinta sulla pala, nelle lunette, in atteggiamento d’intercessione (opera di Cesare Nebbia, 1534-1614). L’affresco centrale dell’attuale battistero rappresenta l’Assunta tra profeti e dottori, opera di Domenico Cresti detto il Passignano.

Il cassettonato dorato sopra la navata centrale illumina l’itinerario catechetico mariano verso l’incontro con Cristo nato da Maria, raffigurato nell’arco trionfale e celebrato nell’Eucaristia.

La statua della Madonna col Bambino, situata nella piazza davanti alla basilica, è parte dell’itinerario catechistico. L’immagine, per volontà di Paolo V, fu modellata da Guillermo Berthélot nel 1614. La colonna proviene dalla basilica di Massenzio nel foro romano.

In questo itinerario catechistico si collocano l’oratorio del Presepio, le reliquie della Culla (attualmente sotto l’altare maggiore) e il Presepio di Arnolfo di Cambio (1245-1302) sotto l’altare della cappella “sistina” (di Sisto V).

I riferimenti storici e letterari indicano che papa Sisto III (432-440) istituì presso la basilica una “grotta della Natività” del Signore, per celebrare la “memoria” del mistero di Betlemme. Perciò la basilica prese anche il titolo di “Santa Maria in Presepio” verso la metà del secolo VII o forse anche prima.

La devozione alla cappella del Presepio è in stretto rapporto alla festa del Natale e ha una chiara dimensione cristologica e mariana. Il papa celebrava la Messa di Mezzanotte. Nel 1590, la cappella chiamata “sistina” prese il posto del Presepio. Papa Sisto V affidò la costruzione della cappella all’architetto Domenico Fontana.

La cappella “sistina” aveva come obiettivo di custodire il Santissimo Sacramento e, nella cripta sotto l’altare, le reliquie del Presepio e le figure arnolfiane. Presepio ed Eucaristia sono in stretto rapporto. Nell’altare sono raffigurati alcuni episodi del Natale.

La Vergine col Bambino (nel complesso arnolfiano) non è l’immagine originale del secolo XIII (che è stata distrutta), ma una del secolo XVI di P. Olivieri.

Tenendo conto dell’insieme delle figure rimaste e guardando ai mosaici dell’abside, nella figura primitiva la Madonna sarebbe stata sdraiata e inclinata verso il Bambino che giasce nel Presepio. Questo viene corroborato dalla figura di san Giuseppe, in silenzio, che invita a pregare e adorare con umiltà, e che ha le spalle un poco chinate.

Nella cappella chiamata “sistina” (opera dell’architetto Domenico Fontana, nel tempo di Sisto V) tutto è incentrato nell’Eucaristia conservata nel tabernacolo monumentale. In questo ambiente artistico si può osservare una catechesi fortemente cristologica e mariana. I dipinti, opera di molti artisti, sono una continuazione logica dei mosaici dell’arco trionfale (del secolo V) e dell’abside (secolo XIII). Sono un invito a conoscere, imitare e domandare l’intercessione di Maria Madre di Gesù.

Durante i lavori di restauro della Basilica nel secolo XVIII (opera di Ferdinando Fuga) nell’arco davanti alla cappella “sistina”, venne collocato l’affresco della Natività della Vergine (di Aureliano Miliani, anno 1742).

Le “reliquie” della Culla hanno un grande valore mariano, per il fatto di essere “memoria” della verginità materna di Maria: «lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo» (Lc 2,7). In Palestina, le culle potevano essere di terra cotta, appoggiate su un cavalletto di quattro assicelle o anche sulla terra. Di un oggetto simile ne parla Origene (anno 248): «In Betlemme esiste ancora la spelonca in cui nacque, e nella spelonca la mangiatoia, dove fu avvolto nelle fasce».

San Girolamo, in un’omelia del Natale, afferma che il presepio all’origine era di argilla («presepe fangoso»), ma che posteriormente fu sostituito da un’altro di argento. Il santo si lamenta del cambiamento, però ne riconosce e ringrazia la devozione dei fedeli.

Le “reliquie” della Culla sono documentate a Roma soltanto dal secolo XII in poi, anche se l’oratorio del “Presepe” esisteva sin dagli inizi della basilica mariana.

Alcuni studiosi dicono che le reliquie della Culla potevano essere state inviate da san Sofronio di Gerusalemme al papa Teodoro I (642-649), di origine orientale, come conseguenza delle difficoltà durante l’invasione musulmana. Fu in quel momento quando la basilica venne chiamata «Sancta Maria ad Praesepe». Questa ipotesi fu diffusa largamente sin dal Medioevo e attestata da Prospero Lambertini, papa Benedetto XIV (1740-1758). Nel museo esiste l’autografo di Pio VII (1800-1823) sull’autenticità delle reliquie della Culla (anno 1803). La cappella della confessione (ipogeo), sotto l’altare papale, fu rinnovata al tempo del beato Pio IX (1845-1878). Attualmente nell’urna della Culla ci sono cinque assicelle di legno, in posizione orizzontale (una non è autentica).

La devozione alla Culla è stata una lunga tradizione sin dai primi secoli, ed esprime il desiderio di imitare l’umiltà di Gesù Cristo e di manifestare il proprio amore, come nel caso dei santi che hanno avuto un grande rapporto con la basilica di Santa Maria Maggiore: san Carlo Borromeo, sant’Ignazio di Loyola e san Gaetano da Thiene.

La devozione all’umanità di Cristo viene dunque sottolineata nella basilica della “Thetokos”, Madre di Dio, dove gli episodi evangelici della vita di Gesù e Maria sono descritti per confessare, celebrare e vivere la realtà di Cristo, perfetto Dio e perfetto uomo, e quindi unico Salvatore.

III - Itinerario liturgico mariano

Sin da San Gregorio Magno (590-640), sono documentate le “processioni” organizzate che concludevano in Santa Maria Maggiore. Nella basilica mariana, come punto d’arrivo, si celebrava l’Eucaristia, presieduta dal papa, accompagnato della Curia, dai chierici e dai fedeli delle chiese da dove passava la processione.

Tra le “stazioni” celebrate in Santa Maria Maggiore, oltre a quelle di significato penitenziale, sono da sottolineare quelle che avevano significato mariano, cioè, la vigilia e la notte di Natale, l’ottava del Natale, il giorno di Pasqua, la vigilia dell’Assunzione e le quattro feste mariane peculiari della basilica: Purificazione di Maria o Presentazione del bambino Gesù (2 febbraio), Annunciazione (25 marzo), Assunzione (15 agosto), Natività di Maria (8 settembre).

Le quattro feste mariane iniziavano con una processione dei fedeli, riuniti in sant’Adriano nel Foro, passando dalla “curia Hostilia” per arrivare a Santa Maria (cfr. Liber Pontificalis, I, p.376).

I testi liturgici delle feste mariane, celebrate in Santa Maria Maggiore, mettono in rilievo la centralità di Cristo e, al tempo stesso, il posto materno e tipologico esemplare di Maria riguardo alla Chiesa. Alcuni testi manifestano un influsso orientale, ma hanno pure avuto un influsso decisivo nella Chiesa universale di rito latino.

La celebrazione del Natale e dell’Ottava (1 gennaio) in Santa Maria aveva un chiaro senso mariano. La preghiera eucaristica della Messa della Mezzanotte fa un riferimento speciale a Maria. L’Ordo Romanus L (verso gli anni 960 e seguenti) descrive la processione notturna della vigilia dell’Assunzione. L’otto dicembre dell’anno 1330, festa dell’Immacolata, in Santa Maria Maggiore la preghiera liturgica utilizzava la terminologia di “santificazione”, in modo da poter esprimere una posizione equilibrata tra le due tendenze dell’epoca (francescani e domenicani).

La festa della Dedicazione (Santa Maria delle Nevi) gode di una tradizione di molti secoli e ha avuto influsso universale. C’è da distinguere tra l’evento miracoloso della neve, e la festa della dedicazione della basilica quando si celebra la festa della Vergine delle Nevi.

La prima citazione ufficiale che fa riferimento alla nevicata miracolosa sull’Esquilino, si trova nelle Bolle dei papi del secolo XIII, quando parlano della festa della dedicazione della basilica. Nelle letture liturgiche si racconta il miracolo dell’anno 358 (5 agosto) in tempo di papa Liberio, in rapporto alla costruzione della basilica. Gli stessi contenuti si trovano ancora nei testi liturgici attuali, approvati il primo marzo 1964 (da Paolo VI).

Grazie alla narrazione di Bartolomeo di Trento (1244) e alla Bolla di papa Nicolo IV (1288), la leggenda del miracolo si è diffusa largamente a partire dal secolo XIII.

Prescindendo dal fondamento storico dell’evento miracoloso, è importante far attenzione al significato pastorale della festa, che è largamente celebrata in tanti santuari mariani dedicati alla Madonna delle Nevi. Si tratta di contenuti della pietà popolare importanti a livello liturgico, pastorale e spirituale, anche se sono da ridimensionare con una catechesi più approfondita. Al tempo di papa Benedetto XIV (1740-1758) venne rinnovato il breviario, ma rimase l’ufficio della Vergine delle Nevi in Santa Maria Maggiore, dove aveva avuto origine questa devozione. Attualmente ha il significato eucaristico e mariano della festa della dedicazione della basilica e del suo altare maggiore.

IV - L’icona della Vergine, «Salus Populi Romani»

L’immagine o icona della Vergine nella basilica di Santa Maria Maggiore è considerata tradizionalmente come dipinto eseguito da san Luca. E’ nello stile iconografico orientale dell’Odigitria (colei che indica la via). Tecnicamente viene considerato di pittore anonimo.

Dai primi tempi della basilica, è ben radicata la devozione popolare a questa immagine. Il dipinto è stato modificato parecchie volte nel passato. Gli ultimi ritocchi, anche con elementi aggiunti per la conservazione del quadro, sono dell’anno 1931. I tratti originali del dipinto potrebbero rimanere nascosti sotto i ritocchi posteriori. La pittura attuale del mantello di porpora del Bambino non è anteriore al secolo XII.

Alcuni papi del primo millennio (Gregorio III, 731-741; Stefano II, 752-757; Pasquale I, 817-824) offrirono alla basilica alcune immagini della Madonna, però non consta che queste immagini corrispondano all’attuale icona.

L’icona era custodita in un ciborio offerto dal Senato di Roma, forse prima dell’anno 1211. La devozione all’immagine era favorita dalla Confraternita dei «Raccomandati di Santa Maria», approvata da papa Urbano IV nel 1264. Più avanti, unita ad altre associazioni, diventerà la «Confraternita del Gonfalone».

Clemente VIII (1592-1605) l’incoronò solennemente nel 1597, festa della Visitazione, quando l’immagine ancora si trovava nella navata centrale. Il papa la visitava frequentemente, venendo dal Quirinale e a volte salendo la scala inginocchiato o aspettando pazientemente l’apertura della porta.

Al tempo di Paolo V l’immagine fu trasferita alla cappella “paolina” (chiamata anche “borghese”) il 27 gennaio 1613. Da allora, venne celebrata la festa della traslazione con testo liturgico proprio, l’ultimo sabato di gennaio, col titolo di Santa Maria Vergine, «Salus Populi Romani». Nell’ufficio delle letture si fa un riassunto della storia della «vetustissima Deiparae Virginis imago».

Tra le feste proprie di Santa Maria Maggiore, approvate nel 1964 dalla Congregazione dei Riti, ci sono le feste della Beata Vergine Maria «Salus Populi Romani» (l’ultimo sabato di gennaio) e della Dedicazione della basilica della Beata Maria “Ad Nives” (il giorno 5 agosto). Continuando l’antica tradizione (sin da 1624), il Comune di Roma offre un calice alla Madonna nella festa della Traslazione.

La cappella che accoglie l’immagine della vergine fu costruita per disposizione di Paolo V (1605-1621). Nel bassorilievo del frontespizio dell’altare (opera di Stefano Maderno) viene rappresentato il papa Liberio con la sua Curia, che traccia sulla neve il perimetro della basilica, assieme al patrizio Giovanni con sua moglie e un gruppo di fedeli.

La cappella è arricchita da numerose immagini mariane e dalle figure bibliche e storiche che hanno qualche rapporto con la Vergine. L’insieme della cappella sembra essere orientato verso lo sguardo materno che Maria rivolge ai fedeli. All’esterno della cappella si trova adesso l’affresco del Transito della Vergine (di Baldassarre Croce, 1611-1612). Altri affreschi della cappella raffigurano Maria Mediatrice con riferimento ad alcuni miracoli attribuiti a lei.

V - Santi e Papi in Santa Maria Maggiore

Dalla fondazione della basilica (secoli IV-V) al tempo dei papi Liberio e Sisto III, fino all’esilio in Avignone (secolo XIV) la basilica fu dimora abituale dei papi, in modo speciale durante le feste mariane e la festa del Natale con l’Ottava. «Era la cattedrale del loro cuore».

I santi Cirillo e Metodio furono ricevuti dal papa Adriano II (867-872), che aveva come dimora Santa Maria Maggiore. Il papa approvò i libri paleo-slavi, che furono deposti sull’altare maggiore, dove si celebrò la liturgia nell’idioma slavo (cfr. Liber Pontificalis, II, 178).

San Gregorio VII (1073-1085) celebrava la liturgia del Natale in Santa Maria Maggiore, per ricordare la maternità di Maria con i primi vespri, la Messa di mezzanotte e quella del giorno. Il beato Eugenio III (1145-1153), cistercense, che fu guidato spiritualmente da san Bernardo di Chiaravalle, fece mettere nel portico una iscrizione (che adesso si trova nella parete esterna della cappella “sistina”), dove si parla della «perpetua verginità» di Maria, «Madre di Cristo... cammino, vita e salvezza del mondo intero».

Un caso peculiare è la figura di san Gaetano da Thiene (1480-1547), fondatore dei chierici teatini. La sua immagine si trova presso l’altare della cappella “sistina” (dal 1694), che ricorda la sua esperienza mistica durante la notte di Natale del 1517: la Madonna pose sulle sue braccia il bambino Gesù. Lo stesso santo lo racconta in una sua lettera alla serva di Dio Laura Magnani.

E’ anche ben nota la devozione di sant’ Ignazio di Loyola (1491-1556). Fu ordinato sacerdote a Venezia (1537) e desiderava celebrare la prima Messa in Terra Santa. Nell’impossibilità di intraprendere questo viaggio, si preparò per un anno a celebrare la prima Messa nella cappella del Presepio, la notte di Natale del 1538.

San Francesco di Borja (1510-1572), terzo successore di sant’Ignazio, riuscì ad ottenere da san Carlo Borromeo (arciprete della basilica) e da san Pio V, il permesso di riprodurre una copia dell’immagine della Vergine (che si considerava dipinta da san Luca) per consegnarla al beato Ignazio Azevedo in cammino verso la missione del Brasile. Ora la copia si trova nel Quirinale.

San Carlo Borromeo (1538-1584) fu ordinato sacerdote in Santa Maria Maggiore nella festa dell’Assunzione del 1563. Dal 1564, per otto anni, fu arciprete della basilica. Frequentemente saliva la scala in ginocchio.

San Filippo Neri (1515-1595), quando era studente a Roma, si sedeva frequentemente sui gradini della basilica per le sue letture. Vi entrava a scopo di domandare la sua conversione e la santità della Chiesa.

San Pio V (1566-1572), domenicano, istituì stabilmente il Collegio dei Penitenzieri (domenicani). Era presente alla recita dell’ufficio divino e celebrava la Messa nella cappella del Presepio. E’ sepolto nella cappella “paolina”.

Come nei primi secoli, anche in tempi moderni i papi organizzarono incontri e processioni di preghiera per domandare o ringraziare la fine delle peste. Così ancora nel 1831, il papa Gregorio XVI (1831-1846), stabilì una processione attraverso la città di Roma. Lo stesso pontefice coronò nuovamente l’immagine della Vergine col bambino, il 15 agosto 1838, poiché la corona precedente era stata rubata.

Il papa dell’Immacolata, il beato Pio IX (1846-1878), volle la ristrutturazione della cripta sotto l’altare maggiore, per custodire le reliquie della Culla. Visitò la basilica (16 dicembre 1854) pochi giorni dopo la definizione dogmatica e stabilì delle preghiere speciali per sconfiggere un’epidemia di peste. La sua ultima visita fu il 16 agosto 1870, prima di considerarsi come «prigioniero volontario» entro le mura vaticane (20 settembre 1870).

Benedetto XV (1914-1922) fece installare un’immagine di «Nostra Signora della Pace» nella navata sinistra e stabilì delle preghiere per ottenere la pace in occasione della prima guerra mondiale.

Pio XI (1922-1939), a seguito dei Patti Lateranensi (1929), fece una prima visita fuori del Vaticano in Santa Maria Maggiore. Di nuovo visitò la basilica in occasione del XV centenario del concilio di Efeso (431-1931).

Pio XII (1939-1958) aveva celebrato la sua prima Messa nella cappella della «Salus Populi Romani« (3 aprile 1899). Eletto papa, volle celebrare nella cappella il suo 40º di sacerdozio (8 dicembre 1939), pronunciando un’ allocuzione sul significato della basilica mariana.

Nel 1948, Pio XII affidò alla «Salus Populi Romani» la protezione di Roma, facendo portare l’immagine in piazza san Pietro. Nell’Anno Santo del 1950, l’otto dicembre, l’immagine mariana fu di nuovo trasferita in san Pietro. Nell’enciclica Fulgens Corona (8 settembre 1953), in occasione del centenario della definizione dell’Immacolata, il Santo Padre annunciò la celebrazione di un anno mariano straordinario. Nell’enciclica fa riferimento ai mosaici della basilica e alla sua immagine mariana, invitando i fedeli a visitarla.

L’8 dicembre 1953, papa Pio XII inaugurò l’anno mariano in Santa Maria Maggiore. Durante quest’anno dedicato a Maria (1 novembre 1954), il papa rinnovò in piazza san Pietro l’incoronazione dell’immagine con una corona donata dai fedeli di tutto il mondo. Nell’enciclica Ad coeli Reginam il Papa ricorda che durante l’anno mariano molti fedeli visitarono la basilica liberiana.

Il beato Giovanni XXIII (1958-1963) visitava frequentemente la basilica. Impartì la benedizione papale dalla Loggia l’8 dicembre 1958. Il 15 febbraio 1959 visitò nuovamente la basilica in occasione della chiusura dell’anno centenario delle apparizioni della Madonna a Lourdes.

Paolo VI (1963-1978) un mese dopo la sua elezione a papa, visitò la basilica (5 agosto 1963). Durante questo stesso anno, l’11 ottobre fece la visita con i Padri del concilio Vaticano II, in occasione dell’anniversario dell’inizio del concilio e commemorando l’anniversario del concilio di Efeso.

Al termine della terza sessione del concilio Vaticano II (21 novembre 1964), festa della Presentazione di Maria, Paolo VI, assieme ai Padri conciliari, nel mattino promulgò in S. Pietro la Costituzione Lumen Gentium. Nel pomeriggio, in Santa Maria Maggiore, proclamò Maria «Madre della Chiesa», «Madre di tutto il Popolo di Dio, dei fedeli e dei Pastori». Paolo VI visitava con frequenza la basilica, in modo speciale nelle feste dell’Immacolata e dell’Assunzione.

Le visite e allocuzioni di papa Giovanni Paolo II (1978-2005) furono così frequenti e cariche di significato, tanto da meritare alla basilica il titolo di “Santa Maria Maggiore, stazione mariana di Giovanni Paolo II”. Oltre alla visita annuale nella festa dell’Immacolata (8 dicembre), egli volle celebrare nella basilica mariana alcuni grandi eventi della Chiesa postconciliare.

L’eredità mariana e liberiana trasmessa dai papi sin dai secoli IV/V, fu assunta decisamente da papa Giovanni Paolo II, in modo speciale durante la sua visita annuale, con preghiere e allocuzioni, nella festa dell’Immacolata. Questa visita tradizionale è diventata un’esperienza mariana vissuta e comunicata alla Chiesa universale, in armonia con i contenuti del magistero mariano del papa e con gli eventi mariani della Chiesa universale.

Papa Giovanni Paolo II, come afferma lui stesso, si sentiva invitato a continuare la tradizione dei suoi predecessori nella cattedra di Pietro: «Mi invitano qui tutti i miei Predecessori nella cattedra di S. Pietro. Essi sembrano dire: Va', e da testimonianza a Cristo nostro Salvatore, figlio di Maria!» (16 ottobre 1978).

Le omelie annuali dell’ 8 dicembre sono un commento biblico e liturgico della festa dell’Immacolata. Mettono in stretto rapporto l’Immacolata e la maternità divina di Maria, nell’ambito della basilica dedica alla “Theotokos”. Il Santo Padre considera la basilica come «il cuore mariano di Roma» (8 dicembre 1997).

Benedetto XVI (2005-), il 7 maggio 2005, pochi giorni dopo l’inizio del suo pontificato, visitò Santa Maria Maggore e pregò davanti all’icona della «Salus Populi Romani». Continuando l’abitudine dei suoi predecessori, presiedette la processione eucaristica del “Corpus Domini”, da San Giovanni in Laterano fino a Santa Maria Maggiore (26 maggio 2005 e 15 giugno 2006). Nell’omelia del Corpus Domini dell’anno 2005, spiegò il significato della processione verso la basilica mariana: «La nostra processione finisce davanti alla Basilica di Santa Maria Maggiore, nell'incontro con la Madonna, chiamata dal caro Papa Giovanni Paolo II "Donna eucaristica". Davvero Maria, la Madre del Signore, ci insegna che cosa sia entrare in comunione con Cristo».

VI - Processo storico d’inculturazione mariologica

Nella basilica liberiana è sempre messo in evidenza un itinerario permanente d’inculturazione del tema mariano. Grazie elle celebrazioni liturgiche e alle espressioni artistiche, Maria diventa “memoria” del mistero di Cristo e della Chiesa. Nello svolgersi dei secoli, Santa Maria Maggiore ha attuato un processo di apertura costante alle nuove espressioni mariane di ogni epoca.

Gli adattamenti che sono stati fatti sono dovuti ai cambiamenti liturgici, devozionali e culturali. I frequenti restauri rispecchiano le diverse epoche senza perdere i dati basilari dell’inizio, come è accaduto nell’itinerario catechetico e liturgico dei mosaici paleocristiani (del secolo V) e medioevali (del secolo XIII).

La figura di Gesù in Santa Maria è centrale, ma non astratta. Appare sempre in rapporto a Maria sua Madre, figura della Chiesa. La comunità ecclesiale, con atteggiamento filiale, esprime la sua fede vissuta e celebrata, nella dimensione biblica, liturgica e di pietà popolare.

Gli inizi della basilica mostrano un itinerario mariano che inizia col titolo di “Vergine” e “Madre di Dio” nel secolo V (al tempo del concilio di Efeso), e si concretizza sempre più nel titolo di “Madre” riguardo alla Chiesa, cioè “Madre della Chiesa” (Paolo VI e i contenuti della Lumen Gentium del concilio Vaticano II). Si tratta dunque di una “mariologia narrativa”, vissuta dal popolo fedele nelle celebrazioni liturgiche e negli eventi storici della Chiesa.

La presenza attiva e materna di Maria ha lasciato le sue tracce in una storia millenaria e pluriculturale, che ha valore permanente nel processo di inculturazione, nelle espressioni liturgiche, nella pietà popolare, nell’arte (iconografia, architettura, musica). Le varie espressioni, secondo le epoche, trasmettono lo stesso messaggio evangelico, prolungando e attuando nel tempo il testamento di Gesù: «Ecco tua madre» (Gv 19,27).

Le espressioni mariane dell’arte in Santa Maria, giungono da Oriente e da Occidente. Maria è Madre universale, sia nell’ambito geografico che in quello culturale. E’ un pellegrinaggio della Chiesa universale verso Cristo nato da Maria.

1. Inculturazione secondo le epoche

Nella Chiesa primitiva, Maria è figura della Chiesa nella sua fedeltà e cooperazione all’opera salvifica di Cristo. Nella basilica mariana ciò appare in forma di simboli e in un metodo narrativo cromatico, caratteristico dei mosaici paleocristiani. Questi mosaici, quando vengono paragonati parallelamente, mostrano la divinità di Cristo nato da Maria, e mettono in evidenza il metodo catechistico e pedagogico dei primi secoli della Chiesa.

Nel Medioevo, come è evidente nei mosaici del secolo XIII, la figura centrale è Cristo, Re e “Pantocratore”, che glorifica sua Madre come figura della Chiesa. Le altre figure pittoriche mostrano anche i progressi della riflessione teologica. In quest’epoca, la basilica mariana era un grande e attivo centro di culto, specialmente durante il Natale e le feste mariane, quando le processioni si concludevano con la celebrazione eucaristica in Santa Maria Maggiore.

L’epoca moderna (dal secolo XVI in poi) fu di grande fioritura artistica, nelle espressioni dell’architettura, della scultura e della pittura, con un forte tono umanista e rinascimentale. Il tono di fantasia e di vivacità appare specialmente nel secolo XVII con il barocco. Le forme architettoniche del secoli XVIII mostrano il rapporto tra fede e ragione. Il romanticismo, con i suoi sentimenti forti, lascia le sue tracce nel secolo XIX All’avvicinarsi dal secolo XX e fino alla fine del secondo millennio, si possono osservare alcuni cenni di umanesimo personalista e di libertà personale.

I grandi artisti d’ogni epoca sono stati veri catechisti nel saper illustrare la storia della liturgia e della pietà popolare. Tutti hanno voluto evidenziare che la bellezza delle opere di Dio si riassume e quasi si personifica in Maria, Madre di Dio e Madre nostra.

La basilica continua ad essere la “memoria” di una civiltà cristiana in dimensione mariana, per più di quindici secoli. Quello che la basilica liberiana ricevette dalla chiesa primitiva e dalle altre epoche e culture, si è concretizzato nei testi liturgici mariani con un influsso nella Chiesa universale.

2. Dimensioni del processo d’inculturazione

In questo processo permanente di inculturazione attraverso tutti i periodi storici, si possono intravedere alcune dimensioni fondamentali dei contenuti mariani di Santa Maria Maggiore.

La dimensione biblica dell’inculturazione affiora in tutti i mosaici, affreschi e dipinti. Il “catechismo mariano” della basilica si radica principalmente negli episodi e figure bibliche. Bisogna utilizzare un’ermeneutica adeguata per saper leggere gli episodi biblici dell’arco trionfale, dove emerge l’armonia della fede e della rivelazione. Le feste mariane, con i loro testi biblici, additano il percorso di questa dimensione, che è anche eminentemente catechistica. I testi biblici, proclamati nelle feste liturgiche mariane, hanno la stessa prospettiva.

L’inculturazione nella sua dimensione cristologica si manifesta nella centralità e trascendenza di Cristo nell’arco trionfale, nell’abside e nei mosaici della facciata (nella Loggia). E’ sempre Cristo risorto, Re dell’universo, che presiede e dirige la storia. I diversi momenti della vita di Maria vengono descritti sempre in questa dimensione cristocentrica. La glorificazione della Vergine è frutto del trionfo di Cristo risorto.

Cristo, l’Agnello immolato e vittorioso, che rende presente la sua oblazione nell’Eucaristia, è il fondamento della dimensione liturgica. Le feste mariane, con le processioni che terminavano in Santa Maria, indicavano che la Madonna guida i suoi figli verso il sacrificio redentore. Attualmente la processione del Corpus Domini inizia nella basilica lateranense e finisce in Santa Maria. Questa celebrazione è una realtà liturgica significativa come “memoria” attualizzata e sintetica delle processioni del passato. L’itinerario battesimale, evidente nella basilica mariana, addita la centralità di Cristo presente nelle celebrazioni liturgiche.

La dimensione spirituale e caritativa della basilica è una conseguenza delle altre dimensioni (biblica, cristocentrica, liturgica). Le feste liturgiche si svolgono in armonia con le espressioni della devozione popolare: processioni, novene, immagini, reliquie, ecc. La spiritualità cammina accanto alle espressioni liturgiche e devozionali d’ogni epoca.

Questa dimensione spirituale è strettamente connessa all’immagine della Vergine, tradizionalmente attribuita a san Luca. Il titolo di “Madonna delle Nevi”, che inizia a comparire nei documenti del medioevo, è di grande portata pastorale per il fatto di estendersi ai numerosi santuari mariani in tutti i continenti.

La dimensione spirituale e devozionale sbocciò nell’ambito pratico della carità assistenziale e promozionale. In Santa Maria Maggiore si sono stabilite parecchie confraternite durante la storia, come è stata quella dei «Raccomandati di Santa Maria», approvata nel 1264, dedicata al riscatto di schiavi e sequestrati; posteriormente, unita ad altre associazioni, diventerà la «Confraternita del Gonfalone» e verrà messa in relazione con la «cappella del Crocifisso». Attualmente esiste la fraternità «Mater Dei et Mater Ecclesiae» (approvata al tempo di Paolo VI), i cui membri si consacrano alla Madre di Dio e Madre della Chiesa, seguendo gli indirizzi monfortani («ad Iesum per Mariam»), a scopo di suscitare la propria santificazione e la cooperazione spirituale e caritativa della basilica.

La dimensione ecumenica dell’inculturazione appare nel rapporto di Santa Maria Maggiore con le chiese orientali, che hanno avuto influsso nelle feste mariane e nelle espressioni artistiche. Le chiese orientali, sin dai primi secoli, hanno avuto un forte rapporto con la basilica liberiana. I libri liturgici paleoslavi dei santi Cirillo e Metodio, collocati sull’altare maggiore, sono stati approvati da papa Adriano II (867-872), che aveva la sua dimora in Santa Maria. Il Patriarca di Costantinopoli, Atenagora, nella sua visita alla basilica (1969) offrì una lampada votiva come simbolo di questo rapporto fraterno. Nel pomeriggio del 23 novembre 2006, il primate anglicano Rev. Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury, volle visitare e pregare nella cappella della Vergine.

Bibl. - G. Bianchini, Historia Basilicae Liberianae S. Mariae Maioris (10 vol. manoscritti, archivio Santa Maria Maggiore) - P. De Angelis, Descriptio Basilicae S. Mariae Majoris de Urbe a Liberio Papa usque ad Paulum V P.M. descriptio et delineatio, B. Zanetti, Roma 1621- J. Esquerda Bifet, Giovanni Paolo II pellegrino in Santa Maria Maggiore, Centro di Cultura Mariana, Roma 2001 - M. Jagosz, Guida al Museo della Patriarcale Basilica di Santa Maria Maggiore, Città del Vaticano 2003 - Liber Pontificalis, in BHL (Bibliotheca Hagiographica Latina, Novum Supplementum, “Subsidia Hagiographica” 70, Bruxelles 1986). Edizione di L. Duchesne: Le “liber Pontificalis”. Texte, introduction et commentaire, t. I-II (Paris, Éd. De Boccard, 1981), t.III (C. Vogel, 1958) - R. Luciani (edit.), Santa Maria Maggiore e Roma, Edit. Fratelli Palombini, Roma 1996 - C. Pietrangeli - G. Andreotti (edit.), Santa Maria Maggiore a Roma, Edit. Nardin, Roma 1988 - P. Riccitelli, G. Limardi, Guida alla Basilica di Santa Maria Maggiore, Città del Vaticano 2005 - V. Saxer, Sainte-Marie-Majeure une basilique de Rome dans l'histoire de la ville et de son Église, École Française, Rome, 2001 - E. Venier, Santa Maria Maggiore, la Betlemme di Roma, Roma 1999 - Idem, Gli Anni Santi a Santa Maria Maggiore, Roma 1988 - Idem, Sotto il manto della stessa Madre. I santuari mariani del mondo spiritualmente uniti a Santa Maria Maggiore, Roma 2003- G. Wolf, Salus Populi Romani. Die Geschichte römischer Kultbilder. Ein Ort und seine Bilder in S. Maria Maggiore zu Rom, in Arte Medievale, ser. II, V (1991), n.1, 117-153.

Juan Esquerda Bifet

� L’esistenza della chiesa di Efeso (431) dedicata a «Santa Maria, Madre di Dio», è documentata da s. Cirillo d’Alessandria, Homilia 4, PG 77, 991-996.

� L. Sperduti, L’antichità romana, in R. Luciani (edit.) Santa Maria Maggiore e Roma, o.c., 62. Testo latino completo in J. Fernández Alonso, Storia della Basilica, in C. Pietrangeli – G. Andreotti (edit.) Santa Maria Maggiore a Roma, o.c. 20.

� J. Fernández, o.c. 28. Cfr. J. Wilpert, La proclamazione efesina e i mosaici di S. Maria Maggiore, in Analecta Sacra Tarraconensia 7 (1931) 197-213. Anche i mosaici del secolo XIII nell’abside indicano la maternità divina.

� S. Leone Magno, Lettera 28, Ad Flavianum, TMPM 3, 509; PL 54, 755-771. Cfr. S. De Fiores, Maria sintesi di valori, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, IV, 96-107 (La "Theotokos" nel concilio di Efeso).

� Cfr. Lettera di papa Adriano I (772-795) a Carlo Magno, in J. D. Mansi, Sacrorum Conciliorum amplissima collectio, XIII, Venezia 1767, 801 B.

� Un documento di donazione, di Flavia Xantippa (secoli VI-VII), dice: «Basilica Sanctae Genitricis quae appellatur ad Praesepe». Cfr. J. Fernández, o.c., 23. Anche in: V. Saxer, Sainte Marie Majeure, o.c., 98-107.

� Cfr. Liber Pontificalis, I, 245. Cfr. M. Mª Cecchelli, Santa Maria Maggiore e la Basilica Liberiana: considerazioni preliminari di una ricerca in atto, in R. Luciani (edit.) Santa Maria Maggiore e Roma, o.c., 31-38. Non si sono trovate tracce della basilica liberiana; cfr. V. Saxer, Sainte Marie Majeure, o.c., 24-29.

� Sono 21 mosaici per ogni lato. Cfr. V Saxer, Sainte Marie Majeure, o.c., 45-48. Vedi una descrizione accurata in: F. Gandolfo, La Basilica Sistina, i mosaici della navata e dell’arco trionfale, in C. Pietrangeli – G. Andreotti (edit.), Santa Maria Maggiore a Roma, o.c., 85-123.

� Vedere i dati concreti e il significato di ogni mosaico, in: L. Sperduti, La Basilica paleocristiana, in R. Luciani (edit.) Santa Maria Maggiore e Roma, o.c., 49-72.

� Vedere la descrizione di ogni mosaico in: M. Righetti Tosti-Croce, La Basilica tra due e trecento, in C. Pietrangeli – G. Andreotti (edit.), Santa Maria Maggiore a Roma, o.c., 138-155.

� Cfr. D. Paolini Sperduti, La Basilica nel basso Medioevo, in C. Pietrangeli – G. Andreotti (edit.) Santa Maria Maggiore a Roma, o.c., 136.

� Il cassettonato fu decorato al tempo di Alessandro VI con oro offerto dai Reali di Spagna, Ferdinando ed Elisabetta. Cfr. J. Fernández, o.c., 31; G. Bianchini, Historia Basiliae Liberianae S. Mariae Maioris, o.c., vol.VI, 368.

� Per la prima volta il titolo appare nella biografia di papa Teodoro (642-649). Cfr. Liber Pontificalis, I, 331). Anche nella narrazione dell’attentato contro papa Martino I (649-653) durante la notte di Natale (cfr. ibidem, 500-511).

� A.M. Romanini, Il Presepio di Arnolfo da Cambio, in C. Pietrangeli – G. Andreotti (edit.), Santa Maria Maggiore a Roma, o.c., 171-181.

� Origene, Contra Celso, I, 51, PG 11, 756; SC 132. 214-215.

� Cfr. Homilia de nativitate Domini, PLS 2, 183; CCL 78, 524-527; TMPM 3, 290.

� Il primo documento sull’esistenza della Culla in Santa Maria Maggiore è di Giovanni Diacono nel Liber de ecclesia lateranensi (ca. 1180), PL 194, 1557: De Ecclesia Sanctae Mariae Maioris (dove anche si afferma che la culla era venerata). Cfr. J. Fernández, o.c, 24.

� Cfr. E. Venier, Santa Maria Maggiore, la Betlemme di Roma, o.c., 106 e 125. Documenti: ibidem, 4ª parte.

� Sulle celebrazioni liturgiche a Roma e in Santa Maria Maggiore: V. Saxer, Sainte Marie Majeure, o.c., IV; Idem, La Basilica dalla fine dell’Antichità al Medioevo, in R. Luciani (edit.) Santa Maria Maggiore e Roma, o.c., 85-91.

� I formulari delle quattro feste mariane sono dei secoli XII-XIII. Codice 52 e incunabolo 105, in: V. Saxer, La basilica dalla fine dell’Antichità al Medioevo, o.c., 112. Cfr. Liber Pontificalis, I, 381, n.43.

� Cfr. Messale 55, fol.150v, citato in: V. Saxer, La Basilica dalla fine dell’Antichità al Medioevo, o.c., 112-113.

� Il miracolo era già noto ad Alfonso X “il Sapiente” (1221-1284): “Cantigas de Santa María” (Cantiga 309). Cfr. Bartolomeo da Trento, Liber Epilogorum in gesta Sanctorum, 1244 (in Biblioteca universitaria di Bologna, n.1794, col.159). Anche in Liber miraculorum Beatae Mariae Virginis; cfr. J. Fernández, o.c., p.29.

� Cfr. Liber Pontificalis, I, pp.418, 443, 453; II, 61, 67). J. Fernández, o.c., 25-26; M. Andaloro, L’icona della Vergine “Salus Populi Romani”, in C. Pietrangeli – G. Andreotti (edit.), Santa Maria Maggiore a Roma, o.c., 127.

� V. Saxer, Sainte Marie Majeure, o.c., 146. Per quanto riguarda tutto l’argomento, vedere tutto questo tema, vedere: E. Venier, Santi, papi, cardinali, arcipreti e artisti in Santa Maria Maggiore, in R. Luciani (edit.), Santa Maria Maggiore e Roma, o.c., 219-287 (santi: 219-244; papi: 145-268); F.Mª Amato, I fatti e i personaggi dalle origini ad oggi, ibidem., 307-332.

� Cfr. E. Venier, Santi, papi..., o.c., 227-228.

� Il papa Leone XIII (1878-1903) fece erigere nella confessione sotto l’altare maggiore, una statua orante di Pio IX (opera di Ignazio Jacometti). Nel 1893 dispose una perizia scientifica sulle reliquie del Presepio.

� Cfr. Allocuzione Magna tibi (8 dicembre 1939), AAS 31, 1939, 706; anche in Discorsi e Radiomessaggi di SS.Pio XII, Tip. Poligotta Vaticana, vol. I, 425-427.

� Enciclica Fulgens Corona, AAS 45 (1953) 577-592; EV 6, 973.

� Cfr. Enc. Ad Coeli Reginam, AAS 46 (1954) 625-640; EV 6, 1124.

� Cfr. Discorsi, Messaggi, Colloqui del Santo Padre Giovani XXIII, vol.I (1959), 145-150. La visita dell’ 8 dicembre 1960, con benedizione eucaristica e allocuzione: ibidem, vol.III (1960) 71-80.

� Insegnamenti di Paolo VI, vol. I (1963) 205-208. Nel discorso il Santo Padre fa riferimento all’antichità della basilica, ai mosaici di Sisto III e all’icona della «Salus Populi Romani». Una nuova visita l’8 dicembre 1963, con allocuzione: ibidem, 642-644.

� AAS (1964) 1007-118. EV 315; Insegnamenti, vol.II (1964) 666-678.

� Cfr. Insegnamenti, vol.IV (1966) 627-628; vol.VII (1969) 685-688; vol.XIII (1975) 1501-1504.

� Vedere documenti completi e dati più importanti, in: J. Esquerda Bifet, Giovanni Paolo II pellegrino in Santa Maria Maggiore, Centro di Cultura Mariana, Roma 2001.

� L’Osservatore Romano, 27 maggio 2005, 6-7. Papa Benedetto XVI visitò e pregò nella cappella della “Salus Populi Romani” in occasione della festa dell’Immacolata (8 dicembre 2006), dopo la consueta preghiera in Piazza di Spagna.

� Cfr. J. Fernández, o.c., 28-30 (La devozione alla Madonna. Le leggende di Santa Maria Maggiore).

� Cfr. S. De Fiores, Maria sintesi di valori, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, 539-548. Alcuni aspetti pastorali e catechetici in: G. Tavanti, Santa Maria Maggiore nel cammino della fede, in R. Luciani (edit.) Santa Maria Maggiore e Roma, o.c., 289-304.