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2. STRATIGRAFIA E TETTONICA Le rocce che costituiscono la crosta terrestre portano scritta al loro interno la storia della regione in cui si trovano. La stratigrafia e la tettonica forniscono le chiavi di lettura di questa storia e attraverso questi strumenti è possibile risalire al tipo di ambiente presente in una certa regione in epoche passate. 1) LA STRATIGRAFIA E I PRINCIPI DI STENONE La crosta terrestre appare costituita da un insieme di corpi rocciosi dotati di caratteristiche litologiche diverse. Viene definita formazione geologica un corpo roccioso con caratteristiche litologiche uniformi e ben distinguibili da quelle delle formazioni con cui si trova a contatto. Queste caratteristiche sono indicative di un ben definito ambiente di formazione e la presenza in una stessa regione di formazioni di natura diversa testimonia l’avvicendamento in quella regione di condizioni ambientali differenti. La stratigrafia si occupa di stabilire l’ordine di formazione dei diversi corpi rocciosi effettuandone una datazione relativa e in tal modo può giungere a ricostruire la storia di una certa regione del pianeta. A seconda della natura della roccia, si distinguono formazioni ignee, metamorfiche, o sedimentarie. Le formazioni sedimentarie, in particolare, possono presentarsi come ammassi unici oppure suddivise in strati, ognuno dei quali riconducibile a un preciso ambiente di formazione e separato dagli altri da piani di stratificazione. L’insieme delle caratteristiche litologiche e paleontologiche (cioè relative ai resti fossili eventualmente presenti) di una formazione si indica col termine facies e per le formazioni sedimentarie se ne distinguono tre tipologie fondamentali: continentali, di transizione e marine. Nell’ambito delle facies continentali, caratteristiche delle formazioni che si originano in ambiente subaereo, si distinguono, a loro volta, facies moreniche (ammassi detritici lasciati dai ghiacciai), fluviali e alluvionali, desertiche. Le facies di transizione sono tipiche di zone di passaggio tra il mare e le terre emerse e tra queste vi sono facies palustri, lagunari, di estuario e di delta. Tra le facies marine, infine, si distinguono quelle litorali, nefritiche (tipiche del mare aperto) e pelagiche (caratteristiche dell’oceano). Potendo effettuare una datazione relativa delle formazioni geologiche, si può ricostruire, di fatto, la storia della regione in cui si trovano. A tale scopo sono indispensabili i principi della stratigrafia che forniscono le regole attraverso le quali leggere la storia scritta nelle formazioni rocciose. Alcuni di essi furono enunciati nel corso del Seicento dal naturalista danese Niccolò Stenone (1638-1686), al quale si devono: — il principio di orizzontalità originaria, il quale, deducibile dall’osservazione di processi di sedimentazione in atto, afferma che i sedimenti si accumulano in strati più o meno orizzontali. Quindi, se una formazione mostra strati con giacitura diversa da quella orizzontale, evidentemente deve aver subito uno spostamento in un tempo successivo alla sua formazione; — il principio di sovrapposizione stratigrafica, secondo il quale in una formazione sedimentaria ogni strato è più recente di quelli sottostanti e più antico di quelli soprastanti. Si deve, invece, al geologo scozzese Charles Lyell (1797-1875) l’elaborazione del principio di intersezione, secondo il quale un evento, come un’intrusione di magma, una faglia o una discordanza angolare, che interrompe una formazione rocciosa tagliandola trasversalmente è necessariamente più giovane di questa. Attraverso l’analisi degli strati che compongono una formazione rocciosa si può mettere in evidenza come una certa regione sia stata più volte sommersa dal mare. Il ritiro del mare da un’area sommersa è detto regressione e avviene frequentemente in seguito al sollevamento della regione; la regressione può essere di piccola o grande entità e può durare per un lasso di tempo ampiamente variabile. Viceversa, si dice ingressione l’avanzata del mare su un’area emersa. Entrambi i processi lasciano segni vistosi nelle formazioni rocciose, sia per la diversità degli ambienti di formazione riscontrabile nei vari strati, sia perché i movimenti crostali sono spesso accompagnati da un cambiamento nella giacitura delle rocce e quindi da una deviazione dall’orizzontalità degli strati. Può avvenire, infatti, che la regressione del mare dovuta al sollevamento della regione porti allo scoperto i sedimenti marini. Questi subiscono erosione durante il periodo di emersione e la successiva ingressione del mare determina la ripresa della deposizione sedimentaria. Se nel sollevamento gli strati più antichi subiscono una deformazione o modificano la loro giacitura, tra questi jwb elli di nuova formazione si osserva una discordanza angolare, ossia una diversa orientazione degli strati di sedimento, accompagnata da una lacuna di sedimentazione, dovuta all’erosione e alla mancata deposizione di sedimenti in tutto il periodo di emersione della terra (fig. 1).

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2. STRATIGRAFIA E TETTONICA Le rocce che costituiscono la crosta terrestre portano scritta al loro interno la storia della regione in cui si trovano. La stratigrafia e la tettonica forniscono le chiavi di lettura di questa storia e attraverso questi strumenti è possibile risalire al tipo di ambiente presente in una certa regione in epoche passate. 1) LA STRATIGRAFIA E I PRINCIPI DI STENONE La crosta terrestre appare costituita da un insieme di corpi rocciosi dotati di caratteristiche litologiche diverse. Viene definita formazione geologica un corpo roccioso con caratteristiche litologiche uniformi e ben distinguibili da quelle delle formazioni con cui si trova a contatto. Queste caratteristiche sono indicative di un ben definito ambiente di formazione e la presenza in una stessa regione di formazioni di natura diversa testimonia l’avvicendamento in quella regione di condizioni ambientali differenti. La stratigrafia si occupa di stabilire l’ordine di formazione dei diversi corpi rocciosi effettuandone una datazione relativa e in tal modo può giungere a ricostruire la storia di una certa regione del pianeta. A seconda della natura della roccia, si distinguono formazioni ignee, metamorfiche, o sedimentarie. Le formazioni sedimentarie, in particolare, possono presentarsi come ammassi unici oppure suddivise in strati, ognuno dei quali riconducibile a un preciso ambiente di formazione e separato dagli altri da piani di stratificazione. L’insieme delle caratteristiche litologiche e paleontologiche (cioè relative ai resti fossili eventualmente presenti) di una formazione si indica col termine facies e per le formazioni sedimentarie se ne distinguono tre tipologie fondamentali: continentali, di transizione e marine. Nell’ambito delle facies continentali, caratteristiche delle formazioni che si originano in ambiente subaereo, si distinguono, a loro volta, facies moreniche (ammassi detritici lasciati dai ghiacciai), fluviali e alluvionali, desertiche. Le facies di transizione sono tipiche di zone di passaggio tra il mare e le terre emerse e tra queste vi sono facies palustri, lagunari, di estuario e di delta. Tra le facies marine, infine, si distinguono quelle litorali, nefritiche (tipiche del mare aperto) e pelagiche (caratteristiche dell’oceano). Potendo effettuare una datazione relativa delle formazioni geologiche, si può ricostruire, di fatto, la storia della regione in cui si trovano. A tale scopo sono indispensabili i principi della stratigrafia che forniscono le regole attraverso le quali leggere la storia scritta nelle formazioni rocciose. Alcuni di essi furono enunciati nel corso del Seicento dal naturalista danese Niccolò Stenone (1638-1686), al quale si devono: — il principio di orizzontalità originaria, il quale, deducibile dall’osservazione di processi di sedimentazione in atto, afferma che i sedimenti si accumulano in strati più o meno orizzontali. Quindi, se una formazione mostra strati con giacitura diversa da quella orizzontale, evidentemente deve aver subito uno spostamento in un tempo successivo alla sua formazione; — il principio di sovrapposizione stratigrafica, secondo il quale in una formazione sedimentaria ogni strato è più recente di quelli sottostanti e più antico di quelli soprastanti. Si deve, invece, al geologo scozzese Charles Lyell (1797-1875) l’elaborazione del principio di intersezione, secondo il quale un evento, come un’intrusione di magma, una faglia o una discordanza angolare, che interrompe una formazione rocciosa tagliandola trasversalmente è necessariamente più giovane di questa. Attraverso l’analisi degli strati che compongono una formazione rocciosa si può mettere in evidenza come una certa regione sia stata più volte sommersa dal mare. Il ritiro del mare da un’area sommersa è detto regressione e avviene frequentemente in seguito al sollevamento della regione; la regressione può essere di piccola o grande entità e può durare per un lasso di tempo ampiamente variabile. Viceversa, si dice ingressione l’avanzata del mare su un’area emersa. Entrambi i processi lasciano segni vistosi nelle formazioni rocciose, sia per la diversità degli ambienti di formazione riscontrabile nei vari strati, sia perché i movimenti crostali sono spesso accompagnati da un cambiamento nella giacitura delle rocce e quindi da una deviazione dall’orizzontalità degli strati. Può avvenire, infatti, che la regressione del mare dovuta al sollevamento della regione porti allo scoperto i sedimenti marini. Questi subiscono erosione durante il periodo di emersione e la successiva ingressione del mare determina la ripresa della deposizione sedimentaria. Se nel sollevamento gli strati più antichi subiscono una deformazione o modificano la loro giacitura, tra questi jwb elli di nuova formazione si osserva una discordanza angolare, ossia una diversa orientazione degli strati di sedimento, accompagnata da una lacuna di sedimentazione, dovuta all’erosione e alla mancata deposizione di sedimenti in tutto il periodo di emersione della terra (fig. 1).

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Se invece il sollevamento della regione avviene lungo la verticale, senza alterare l’orizzontalità degli strati, si osserva solo una lacuna di sedimentazione, documentata dall’irregolarità della superficie di confine tra i sedimenti più antichi, sottoposti all’erosione, e quelli più recenti. In questo caso si parla di paraconcordanza (fig. 2).

2) ELEMENTI DI MECCANICA DELLE ROCCE Oltre a documentare l’esistenza di ben definiti ambienti di formazione, i corpi rocciosi testimoniano la presenza di forze agenti all’interno del nostro pianeta di entità tale da provocare la deformazione e lo spostamento di grandi masse. Infatti, gli strati di sedimenti che, in base ai principi di stratigrafia, dovrebbero presentarsi orizzontalmente, spesso risultano disposti obliquamente o verticalmente, oppure evidenziano vistose deformazioni, o addirittura, in alcuni casi, sono spezzati e le due parti appaiono spostate una rispetto all’altra. La risposta delle rocce alle sollecitazioni subite dipende da numerosi fattori, fra i quali fondamentali sono la natura della roccia e le condizioni di pressione e temperatura a cui essa è sottoposta. Il comportamento di un corpo elastico ideale è descritto dalla legge di Hooke, in base alla quale la deformazione subita da un corpo è direttamente proporzionale alla forza che la determina e, cessata la sollecitazione, questo riacquista la forma iniziale. I solidi reali, come mostrato in fig. 3, obbediscono alla legge di Hooke solo in un campo limitato della forza applicata, mentre, superato un certo valore, detto limite di elasticità, vengono permanentemente deformati: in questo caso il comportamento del corpo è detto plastico.

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Aumentando ulteriormente l’entità della sollecitazione, il corpo si rompe ed evidenzia un nuovo limite, detto carico di rottura. I corpi reali dotati di un limite di elasticità molto elevato sono detti elastici, corpi che mostrano un basso limite di elasticità e un ampio intervallo di plasticità vengono denominati plastici, mentre corpi che si rompono prima di evidenziare un limite di elasticità si dicono fragili. Le rocce rispondono alle sollecitazioni in modo diverso a seconda delle condizioni a cui sono sottoposte: in fig. 4 è mostrato il comportamento di una roccia al variare della pressione, della temperatura e del grado di umidità.

Si osserva che al crescere della pressione l’intervallo di plasticità aumenta: ciò lascia supporre che in profondità nella crosta terrestre, dove sono sottoposte ad un’elevata pressione litostatica, le rocce possano subire deformazioni di maggiore entità. Analogamente, la presenza di fluidi e l’aumento della temperatura diminuiscono il limite di elasticità e favoriscono il comportamento plastico. Anche la velocità della sollecitazione è un parametro di grande importanza: infatti, una forza modesta, anche notevolmente inferiore al limite di elasticità, se applicata per lunghi periodi può determinare deformazioni permanenti. Ciò giustifica l’osservazione di vistose deformazioni in rocce dal comportamento notoriamente rigido. 3) LA TETTONICA Col termine «tettonica» si indica la branca della geologia che studia sia i fenomeni di trasporto, che comportano lo spostamento di grandi blocchi di roccia per lunghe distanze, sia i fenomeni di deformazione, come i vistosi corrugamenti o le modificazioni di giacitura spesso osservabili nelle rocce superficiali. In base a quanto detto riguardo al comportamento delle rocce, appare evidente che le forze agenti all’interno del pianeta sono in grado di determinare effetti molto diversi: ad elevate profondità nella crosta terrestre, sotto l’azione di alte temperature e di forti pressioni litostatiche, le rocce possono subire notevoli deformazioni e successivamente può verificarsi l’affioramento di corpi rocciosi vistosamente deformati per effetto del sollevamento e dell’erosione. Più in superficie, a temperature e pressioni di carico inferiori, le rocce mostrano più frequentemente un comportamento rigido, deformandosi per rottura. Quando due settori contigui di crosta vengono sollecitati in modo differenziale oppure rispondono diversamente alla stessa sollecitazione, tra i due può verificarsi una rottura; se la frattura determina lo spostamento di un lembo di crosta rispetto all’altro allora si genera una faglia. La superficie di separazione dei due settori è denominata piano di faglia e l’entità dello spostamento lungo il piano di faglia è detto rigetto. Le faglie vengono distinte in base allo spostamento subìto dai due settori di crosta rispetto al piano di faglia (fig. 5): se questi tendono ad allontanarsi la faglia si dice diretta ed è il risultato di una tettonica distensiva, mentre se tendono ad avvicinarsi la faglia è detta inversa ed è frutto di una tettonica compressiva. Infine, se i due settori si spostano orizzontalmente rispetto al piano di faglia, questa è detta trascorrente.

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Le faglie si trovano spesso associate in fasci paralleli e lo scivolamento dei settori di crosta uno rispetto all’altro genera una sorta di gradinata. Quando più fasci si trovano affiancati il settore di crosta interposto risulta sprofondato: ne deriva una depressione denominata fossa tettonica o rift valley. Spesso più fosse tettoniche si presentano affiancate, dando origine ad una successione di fosse e pilastri (fig. 6).

Rocce tenere, come le argille, o rocce molto stratificate possono mostrare già in superficie un comportamento sufficientemente plastico da subire deformazioni in seguito all’azione di forze compressive. Nella maggior parte dei casi queste si presentano come successioni di pieghe, dette sinclinali e anticlinali (fig. 7). I sinclinali sono pieghe conformate ad arco concavo, in cui gli strati interni sono di più recente formazione rispetto a quelli esterni; viceversa, gli anticlinali sono pieghe ad arco convesso, in cui gli strati più antichi si trovano all’interno di quelli più recenti.

Le pieghe hanno sempre direzione ortogonale alla forza che le determina e possono avere ampiezze variabili da poche decine fino a migliaia di metri. Il persistere delle forze di compressione può determinare il rovesciamento di una piega su un pacco litoide contiguo o l’accavallamento di una piega sull’altra. Quando un fenomeno analogo ha luogo in corrispondenza di una faglia inversa si assiste ad un sovrascorrimento, ossia alla sovrapposizione di un settore di crosta sull’altro. Una serie di strutture di sovrascorrimento danno origine a una struttura a falde (fig. 8).

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In alcuni casi i sovrascorrimenti possono assumere proporzioni regionali, tanto da condurre i terreni sovrascorsi in ambienti totalmente diversi da quelli di formazione; per questo i terreni sovrascorsi vengono indicati come alloctoni, mentre i sottostanti sono detti autoctoni. Simili fenomeni possono essere messi in evidenza qualora sia possibile osservare la successione verticale degli strati fino ad una profondità sufficiente, come nel caso di valli che permettano l’osservazione degli strati sottostanti a quelli sovrascorsi; in questi casi si osservano strati più antichi al di sotto di strati più recenti. 4) IL CICLO GEOLOGICO Le rocce più antiche della crosta terrestre risalgono a circa quattro miliardi di anni fa e documentano la storia del nostro pianeta in quel lasso di tempo. Attraverso lo studio della successione verticale degli strati di roccia è possibile distinguere diverse formazioni geologiche e ricostruirne la successione temporale, risalendo ai rispettivi ambienti di formazione e alla storia geologica di una certa regione. Tali successioni, dette serie stratigrafiche, evidenziano il ripetersi ciclico di eventi quali la formazione di rocce, la loro deformazione a causa di movimenti crostali, l’erosione delle strutture generate dalla deformazione e, successivamente, la formazione di nuove rocce sulle superfici erose. Questi cicli successivi sembrano aver scandito ovunque l’evoluzione del nostro pianeta. Proprio sulla base di queste osservazioni, James Hutton (1726-1789), considerato uno dei padri fondatori della geologia moderna, introdusse l’idea dell’esistenza di un ciclo geologico che si ripete incessantemente e che, come egli stesso sottolineò, sembra essersi ripetuto nella storia del nostro pianeta «senza traccia di un inizio, né prospettiva di una fine».