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35 2. LA DINAMICA DELLA PRODUTTIVITÀ Nel dibattito sulla bassa crescita dell’economia europea e in quello, ad esso collegato, sul declino dell’economia italiana – temi ai quali abbiamo dedicato un approfondimento di Osservatorio Monetario un anno fa – occupa un posto di rilievo l’analisi dell’andamento della produttività del lavoro. Negli anni novanta si è verificato un rallenta- mento della produttività in Europa che, a fronte dell’impennata di quella statunitense, è in larga misura responsabile dell’arresto del processo di convergenza dell’Europa rispetto agli USA. Nel caso italiano, il rallentamento (e talvolta il vero e proprio declino) della produttività è consi- derato uno dei motivi della riduzione della quota dell’export italiano sul commercio mondiale verificatasi nell’ultimo decennio, poiché influisce negativamente sul costo del lavoro per unità di prodotto. Se il tasso di cambio nominale non si muove in direzione opposta, l’aumento del costo del lavoro si traduce in un apprezzamento del tasso di cambio reale effettivo e quindi in una perdita di competitività delle merci nazionali. La FIG. 2.1 fornisce un’illustrazione di immediato impatto visivo di queste affermazioni con riferi- mento al quindicennio più recente. L’andamento della produttività negli USA, che non si era discostato significativamente da quello registrato nei principali paesi dell’Europa continentale per circa un decennio, conosce, sul finire del secolo scorso, una sensibile accelerazione. Nel periodo considerato, la produttività USA è aumentata di un terzo, quella di Francia e Germania del 20%, quella dell’Italia del 15%. Con riferimento al nostro paese, inoltre, si segnala la flessione avvenuta sul finire degli anni ‘90 e l’appiatti- mento successivo. FIG. 2.1: Indice della produttività del lavoro per i principali paesi europei e per gli USA Fonte: nostre elaborazioni su dati tratti da Datastream. Nota: Indice base 1991 = 100. In questo approfondimento concentreremo l’attenzione sulle determinanti del rallentamento della produttività, alla ricerca di indicazioni utili a contrastare la preoccupante tendenza alla stagnazione dell’economia europea e al declino di quella italiana. Anche il perseguimento dell’ambizioso obiettivo, formulato al Consiglio Europeo di Lisbona (marzo 2000), di trasformare l’Europa nell’economia knowledge based più competitiva e dinamica del mondo – peraltro certamente irraggiungibile per il 2010 come nelle intenzioni originarie – richiede un rafforzamento della produttività. 1 Nel primo paragrafo descriviamo brevemente le tendenze della produttività del lavoro intesa come prodotto (PIL) per addetto, esaminando in parallelo gli andamenti delle due componenti del tasso di crescita della produttività, ossia la dinamica del PIL e quella dell’occupazione. Facendo riferimento all’esperienza dei principali 1 Sulle questioni associate all’Agenda di Lisbona rinviamo a AA.VV., Europa, un’agenda per la crescita. Rapporto Sapir, Bologna, Il Mulino, 2004. In Osservatorio Monetario n.1-2005 si discutono criticamente i capisaldi dell’analisi presentata nel rapporto Sapir. 2005 2006 100 105 110 115 120 125 130 135 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 Italia Germania Francia Spagna USA

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2. LA DINAMICA DELLA PRODUTTIVITÀ

Nel dibattito sulla bassa crescita dell’economiaeuropea e in quello, ad esso collegato, sul declinodell’economia italiana – temi ai quali abbiamodedicato un approfondimento di OsservatorioMonetario un anno fa – occupa un posto dirilievo l’analisi dell’andamento della produttivitàdel lavoro.Negli anni novanta si è verificato un rallenta-mento della produttività in Europa che, a frontedell’impennata di quella statunitense, è in largamisura responsabile dell’arresto del processo diconvergenza dell’Europa rispetto agli USA.Nel caso italiano, il rallentamento (e talvolta ilvero e proprio declino) della produttività è consi-derato uno dei motivi della riduzione della quotadell’export italiano sul commercio mondialeverificatasi nell’ultimo decennio, poiché influiscenegativamente sul costo del lavoro per unità diprodotto. Se il tasso di cambio nominale non simuove in direzione opposta, l’aumento del costodel lavoro si traduce in un apprezzamento deltasso di cambio reale effettivo e quindi in unaperdita di competitività delle merci nazionali.La FIG. 2.1 fornisce un’illustrazione di immediatoimpatto visivo di queste affermazioni con riferi-mento al quindicennio più recente. L’andamentodella produttività negli USA, che non si eradiscostato significativamente da quello registratonei principali paesi dell’Europa continentale percirca un decennio, conosce, sul finire del secoloscorso, una sensibile accelerazione. Nel periodoconsiderato, la produttività USA è aumentata diun terzo, quella di Francia e Germania del 20%,quella dell’Italia del 15%. Con riferimento alnostro paese, inoltre, si segnala la flessioneavvenuta sul finire degli anni ‘90 e l’appiatti-mento successivo.

FIG. 2.1: Indice della produttività del lavoro per i principali paesi europei e per gli USA

Fonte: nostre elaborazioni su dati tratti da Datastream.Nota: Indice base 1991 = 100.

In questo approfondimento concentreremol’attenzione sulle determinanti del rallentamentodella produttività, alla ricerca di indicazioni utilia contrastare la preoccupante tendenza allastagnazione dell’economia europea e al declinodi quella italiana. Anche il perseguimentodell’ambizioso obiettivo, formulato al ConsiglioEuropeo di Lisbona (marzo 2000), di trasformarel’Europa nell’economia knowledge based piùcompetitiva e dinamica del mondo – peraltrocertamente irraggiungibile per il 2010 come nelleintenzioni originarie – richiede un rafforzamentodella produttività.1

Nel primo paragrafo descriviamo brevemente letendenze della produttività del lavoro intesacome prodotto (PIL) per addetto, esaminando inparallelo gli andamenti delle due componenti deltasso di crescita della produttività, ossia ladinamica del PIL e quella dell’occupazione.Facendo riferimento all’esperienza dei principali 1 Sulle questioni associate all’Agenda di Lisbonarinviamo a AA.VV., Europa, un’agenda per lacrescita. Rapporto Sapir, Bologna, Il Mulino, 2004.In Osservatorio Monetario n.1-2005 si discutonocriticamente i capisaldi dell’analisi presentata nelrapporto Sapir.

2005 2006100

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1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004

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paesi industrializzati, mostreremo che ladinamica della produttività è decisamente pro-ciclica, ossia fortemente correlata all’andamentodel PIL. L’andamento dell’occupazione, invece,è solo debolmente pro-ciclico. Non stupiscequindi che un periodo di crescita modesta o distagnazione come quella che il nostro paese havissuto nel primo lustro del nuovo secolo siaccompagni alla stasi o addirittura al declino dellaproduttività.Nei paragrafi successivi presentiamo i risultati diquattro modi di scomporre la produttività. Nelsecondo paragrafo consideriamo il PIL peraddetto come il prodotto del PIL per ora lavorata(ossia la produttività oraria) per le ore lavorateda ciascun occupato. Su un arco temporale dilungo periodo (diciamo trent’anni), la produt-tività oraria europea ha percorso un sentiero diprogressiva consistente convergenza con gli USA.D’altro canto sullo stesso arco temporale si èverificata una continua riduzione dell’orario dilavoro in Europa e un continuo allungamentodelle ore lavorate in USA. Le tendenze appenadescritte hanno esercitato un’influenza di segnoopposto sulla dinamica della produttività peraddetto. A conti fatti, tuttavia, è risultato che lacrescita della produttività oraria ha prevalsosulla riduzione dell’orario di lavoro di modo chesi è realizzata convergenza anche in termini diproduttività per addetto.Sul finire degli anni ‘90, il processo di conver-genza si arresta. Continua la riduzionedell’orario di lavoro in Europa mentre si allungaquello statunitense. Inoltre la produttività orariadecelera in Europa mentre accelera negli USA.Di conseguenza, per entrambi i motivi si invertela convergenza della produttività per addetto.Nel terzo paragrafo la produttività del lavoroviene messa in relazione alla produttività totaledei fattori (Total Factor Productivity o TFP) ealla “intensità di capitale” della tecnologia, ossia

al rapporto capitale/lavoro. Ciò ci consente diattribuire il rallentamento della produttivitàoraria in Europa in parte alla decelerazione dellaTFP e in parte all’indebolimento della tendenzaalla sostituzione di lavoro con capitale. La primatendenza si spiega generalmente con la minoreintensità di Information and CommunicationTechnology (ICT) dei processi produttivi inEuropa rispetto agli USA. La moderazionesalariale degli anni novanta è consideratageneralmente invece la principale determinantedella seconda tendenza.Nel quarto paragrafo la produttività del lavoro èconcepita come la media ponderata delleproduttività registrate nei diversi settori con pesipari alle quote dei settori sull’occupazionecomplessiva. Questo punto di vista consente dipresentare e discutere gli effetti sullaproduttività della dinamica strutturale, ossiadell’evoluzione della composizione per settoriproduttivi dell’economia. In linea di principio unpaese caratterizzato da una tendenza accentuataalla terziarizzazione e deindustrializzazione tendea sperimentare anche una dinamica decrescentedella produttività. 2

Nel quinto paragrafo, infine, la produttività dellavoro è definita come la media ponderata delleproduttività registrate nelle diverse classi dimen-sionali d’impresa con pesi pari alle quote delleclassi dimensionali sull’occupazione complessiva.Possiamo pertanto discutere gli effetti sullaproduttività aggregata della dinamica industriale,ossia della nati-mortalità e della crescita delleimprese. Un paese come il nostro caratterizzatoda una dimensione media d’impresa piccola edecrescente tende a sperimentare anche unadecelerazione della produttività.

2 Sulle questioni connesse alla tendenza alla terzia-rizzazione e deindustrializzazione ci siamo soffermatinel precedente numero di Osservatorio Monetario.

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1. Produttività e ciclo economico

Per definizione, la produttività (media) di unfattore produttivo è il rapporto tra il prodottocomplessivo e l’impiego di quel fattore. Ovvia-mente di fattori produttivi ce ne sono diversi manella letteratura economica si concentra l’atten-zione in buona sostanza su tre: lavoro, capitale erisorse naturali (“terra”). Il terzo fattore vienespesso (colpevolmente) ignorato anche nellaletteratura teorica, che generalmente considerasoltanto lavoro e capitale. Sul capitale esistonoproblemi rilevanti di definizione e di misurazionetempestiva. Pertanto quasi per necessità, laproduttività di cui si parla quasi sempre nelleanalisi di breve-medio periodo è la produttivitàdel lavoro.

FIG. 2.2: PIL, produttività e occupazione in Italia (variazioni %)

Fonte: nostre elaborazioni su dati tratti da Datastream.

Nel caso del fattore produttivo lavoro la produt-tività è pari al prodotto per occupato. A livelloaggregato la dinamica (misurata dalla variazionepercentuale) della produttività è la differenza trala dinamica dell’output aggregato (il PIL intermini reali) e quella dell’occupazione. Laproduttività è altamente volatile e la suavolatilità è legata a quella del PIL, ossia al cicloeconomico. Nella FIG. 2.2 abbiamo riportato la

variazione percentuale del PIL (linea continua),della produttività (linea tratteggiata) e dell’occu-pazione (istogrammi) per l’Italia negli ultimi 15anni.Dalla FIG. 2.2 emerge chiaramente una elevatacorrelazione tra prodotto totale e produttività:accelerazioni e decelerazioni di produttività,infatti, tendenzialmente si manifestano in paral-lelo a quelle del prodotto complessivo. Vice-versa, la correlazione tra prodotto e occupazioneè bassa nel senso che le dinamiche delle duevariabili sono spesso disgiunte.

FIG. 2.3: Correlazione tra PIL e produttività Italia; 1960-2006

Fonte: nostre elaborazioni su dati tratti da Datastream.

L’elevata correlazione tra andamento dellaproduttività e andamento del prodotto nel casoitaliano emerge chiaramente della FIG. 2.3, cheriporta il diagramma di dispersione della varia-zione percentuale del PIL (misurata sull’asseorizzontale) e della variazione percentuale dellaproduttività (sull’asse verticale) nel periodo1960-2006. Ogni punto rappresenta un anno. Ipunti in alto a destra del grafico, caratterizzati datassi di crescita del PIL e della produttivitàattorno al 6-7% si riferiscono agli anni sessanta.I punti in basso a sinistra, con tassi di crescita

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del PIL e della produttività attorno allo zero oaddirittura negativi rappresentano gli anninovanta e i primi anni del nuovo secolo.Nel grafico è riportata anche la “linea ditendenza” ossia la retta interpolante. La nube dipunti è chiaramente orientata in senso crescenteed è raccolta attorno alla retta, il che segnala chela dinamica della produttività è fortementecorrelata a quella del PIL. Infatti il coefficientedi correlazione, il cui campo di variazione ècompreso tra -1 (massima correlazione negativa)e +1 (massima correlazione positiva) è pari, nelcaso della correlazione tra PIL e produttività, a0,9. L’elasticità è (pressoché) unitaria ossia iltasso di crescita della produttività è (quasi) inrapporto di 1 a 1 rispetto a quello del PIL. 3

Mettendo su un diagramma di dispersione lavariazione percentuale del PIL e quelladell’occupazione si ottiene una nube di punti(che non riportiamo) priva di un orientamentochiaramente definito. In altri termini lacorrelazione è molto bassa.L’immagine cambia, tuttavia, se si mette inrelazione la variazione percentuale dell’occu-pazione con la variazione percentuale del PILregistrata nell’anno precedente, come si puònotare dalla FIG. 2.4.Ciascun punto della FIG. 2.4 ha per ordinata lavariazione percentuale dell’occupazione registratain un certo anno e per ascissa la variazionepercentuale del PIL verificatasi nell’annoprecedente. In questo caso la nube dei punti èchiaramente orientata in senso positivo edabbastanza vicina alla retta interpolante (ilcoefficiente di correlazione è quasi 0,5).

3 Si tratta dell’elasticità marginale, ossia dellapendenza della retta di regressione relativa allarelazione tra variazioni percentuali della produttivitàe variazioni percentuali del PIL reale. L’elasticitàmarginale è costante ma l’elasticità totale dipende daltasso di crescita dell’output.

Ricapitolando: sia la produttività che l’occupa-zione sono positivamente correlate col PIL equindi sono pro-cicliche ma la correlazione èdecisamente più alta per la produttività. Inoltrela produttività è coincidente nel senso che lacorrelazione più alta si verifica tra la produttivitàe il PIL dello stesso periodo. L’occupazioneinvece è ritardata nel senso che la correlazionepiù alta si verifica tra la produttività e il PIL delperiodo precedente. 4

4 L’analisi condotta nel testo utilizza indicatori eprocedimenti piuttosto semplici e per certi versirozzi, ma le indicazioni che ne emergono sonoconvergenti con quelle che si traggono da analisistatisticamente più sofisticate. Per valutare in modoappropriato la relazione tra dinamica di una certavariabile e ciclo economico occorre togliere dalleserie storiche della variabile considerata e del PILreale la componente erratica e quella di fondo (trend)in modo da isolare la componente ciclica. Calcolarele variazioni percentuali di una serie di dati, come sifa nel testo, è il modo più semplice di togliere iltrend. Nelle analisi del ciclo più sofisticate, si“filtrano i dati” con opportune procedure statisticheche prendono il nome, per l’appunto, di filtri. Sicalcola quindi la correlazione tra le serie storichefiltrate della variabile considerata e del PIL peresplorare la natura dei co-movimenti delle due serie.Utilizzando dati OCSE trimestrali relativi all’Italiasul periodo 1960-1995 filtrati mediante la proceduradi Hodrick-Prescott, Gallegati e Stanca trovano chel’occupazione raggiunge il massimo dellacorrelazione (+0,6) col PIL ritardato di un trimestre,mentre la produttività raggiunge il massimo dellacorrelazione (+0,8) col PIL contemporaneo (M.Gallegati e L. Stanca, Le fluttuazioni economiche inItalia, 1861-1995, Torino, Giappichelli, 1998). Da unesercizio recente fatto da M. Napoletano usando ilfiltro di Baxter e King su dati OCSE trimestrali per ilperiodo 1970-2005, emerge che in Italial’occupazione raggiunge il massimo dellacorrelazione (+0,5) col PIL ritardato di due trimestri,mentre la produttività raggiunge il massimo dellacorrelazione (+0,9) col PIL contemporaneo (M.Napoletano, Essays on Heterogeneity inMacroeconomic Dynamics, Tesi di dottorato, ScuolaSuperiore S. Anna di Pisa, febbraio 2006).

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FIG. 2.4: Correlazione tra PIL (ritardato diun anno) e occupazione nel periodo 1960-2006

(variazioni %)

Fonte: nostre elaborazioni su dati tratti da Datastream

E’ interessante notare che si ottengonoindicazioni sostanzialmente simili anche dalladinamica di produzione, occupazione eproduttività degli altri paesi industrializzati. Daesse si può concludere, pur con tutte le cauteledel caso, che una variazione del PIL avvienesimultaneamente ad una variazione – appros-simativamente di entità analoga – della produt-tività mentre l’occupazione reagisce nella stessadirezione ma in misura più limitata e con uncerto ritardo temporale.

La correlazione tra PIL e produttività non è unindicatore di relazione causale. In linea diprincipio potrebbe essere la dinamica del PIL atrainare quella della produttività oppure quelladella produttività a generare l’andamento delPIL. La direzione del nesso di causalità deveessere ricercata nella teoria economica. A questoproposito si possono citare tre chiavi interpretative.La prima chiave istituisce una relazione causaledalla dinamica del PIL a quella della produttivitàin base all’idea che in una fase di espansioneciclica le imprese – in particolare quelle delsettore manifatturiero – sfruttano economie di

scala e accrescono la produttività. Il fondamentoteorico di questa chiave è la legge di Kaldor-Verdoorn, che fa dipendere (linearmente) lavariazione percentuale della produttività dallavariazione percentuale del valore aggiunto,innanzitutto nel settore manifatturiero.5 L’incre-mento di produttività poi stimola la crescita delPIL in un processo di causazione cumulativa.La seconda chiave di lettura si basa sull’idea chele imprese debbano sostenere costi sia perassumere che per licenziare lavoratori (hiringand firing costs) e pertanto siano riluttanti amodificare l’impiego di lavoro (labourhoarding). Pertanto in una fase di espansioneciclica un ampliamento della base produttivapuò avvenire solo mediante un incremento diproduttività. Il fondamento teorico di questaseconda chiave è la legge di Okun.Si osservi che anche la seconda chiave di letturafinisce per istituire una relazione causale dalladinamica PIL a quella della produttività.La terza chiave di lettura, infine, rovescia ilnesso di causalità, attribuendo alle variazioni diproduttività il ruolo di motore della crescita.La prociclicità della produttività è un fattoaccertato nel lungo periodo, ossia su unorizzonte temporale pluridecennale. Nel breveperiodo, ossia per ogni singolo episodiocongiunturale, ovviamente, l’andamento dellaproduttività può essere anche anticiclico. Adesempio, nel 1993 il PIL è diminuito dell’1%circa per effetto delle conseguenze ritardatedella crisi sistemica dello SME e per la manovradi riequilibrio della finanza pubblica intrapresa 5 La legge di Verdoorn si riferisce in origine al settoremanifatturiero. Kaldor sostiene che i rendimenti discala sono crescenti nel settore manifatturiero mentresono generalmente costanti o decrescenti negli altrisettori. Comunque, se i rendimenti crescenti sonodiffusi a tutti i settori oppure sono particolarmenteintensi nel settore manifatturiero, si verifica unarelazione di tipo legge di Verdoorn anche perl’economia nel suo complesso.

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dal governo Amato. In quella occasione laflessione dell’occupazione è stata rilevante, dicirca il 3%, e quindi la produttività ha avuto unandamento anticiclico, aumentando del 2%.In occasione della recessione del 1975, dovuta inbuona sostanza all’effetto ritardato della primacrisi petrolifera, si è manifestata con unacontrazione del PIL del 2% mentre l’occu-pazione è rimasta praticamente invariata, moltoprobabilmente anche per la legislazione diprotezione del lavoro e le pratiche di labourhoarding delle imprese. Pertanto la produttivitàè diminuita di poco più del 2% ossia in linea conla contrazione del PIL. In questo caso ladinamica pro-ciclica della produttività puòessere interpretata come l’effetto della dinamicaanticiclica dell’occupazione.In corrispondenza dello sforzo di stabilizzazionemacroeconomica in vista dell’ingresso nell’UME enei primi anni di vita di quest’ultima, il PILitaliano ha rallentato decisamente. La semi-stagnazione che ha caratterizzato l’economiaitaliana in apertura del nuovo secolo non haimpedito un significativo incremento dell’occu-pazione, anche se spesso di carattere atipico e/odovuto all’emersione di lavoro nero e clandestino.Ne è derivato prima un rallentamento e poi unacontrazione della produttività.Come nel caso dell’episodio recessivo del 1975,il recente declino della produttività a livelloaggregato può essere interpretato come l’effettodi un andamento anticiclico dell’occupazione afronte del fiacco andamento congiunturaledell’economia italiana.Se si guarda alla produttività in aggregato,quindi, e si considerano separatamente ledinamiche delle sue componenti, PIL e occupa-zione, è azzardato inferire da questi episodi unariduzione strutturale della capacità di crescita

dell’economia. In altre parole, è discutibileaffermare che il PIL cresce poco perché laproduttività ristagna. E’ molto più facile, se siaccetta un principio di parsimonia nellaspiegazione causale, individuare nella dinamica dibreve periodo del PIL la determinante principaledella dinamica della produttività. Detto altrimenti,la produttività ristagna perché il PIL cresce poco.Ciò non significa, ovviamente, che una riduzionedella capacità di crescita dell’economia italiananon sia effettivamente avvenuta. In questa sede eper il momento si vuole soltanto ribadire che unainferenza del genere non è accettabile sulla basedei soli dati aggregati. Bisogna andare a fondo estudiare le dinamiche dei settori industriali odelle classi dimensionali d’impresa, come si farànei successivi paragrafi 4 e 5.Per corroborare ulteriormente il punto espressopoco sopra, guardiamo alle esperienza di altridue paesi europei, Germania e Spagna, partico-larmente significative per contrapposizione conil caso italiano. In entrambi i casi, con riferimentoalla dinamica recente (anni novanta e primi annidel nuovo secolo) osserviamo dinamiche dellaproduttività diverse da quelle del prodotto,almeno per significativi episodi congiunturali.

FIG. 2.5: PIL, produttività e occupazione in Germania (variazioni %)

Fonte: nostre elaborazioni su dati tratti da Datastream.-2

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Tuttavia l’inferenza di cui sopra secondo laquale la dinamica del PIL deriva da quella dellaproduttività è semplicemente smentita dai fatti.Nella FIG. 2.5 è riportato l’andamento del PIL,della produttività e dell’occupazione inGermania, sempre a partire dagli anni ‘90. Sinota un sostanziale parallelismo tra andamentodella produttività e dinamica del PIL.

FIG. 2.6: PIL, produttività e occupazione in Spagna (variazioni %)

Fonte: nostre elaborazioni su dati tratti da Datastream.

Tuttavia tra il 2000 e il 2003 il PIL rallentadrasticamente e poi si contrae mentrel’occupazione ha un andamento ancor piùaccentuato nella stessa direzione di modo che laproduttività finisce per crescere più rapidamentedel PIL. In questa fase congiunturale quindi laproduttività è anticiclica. Quella tedesca, quindi,è l’esperienza di un paese che cresce poco oaddirittura sperimenta una recessione nonostantela produttività aumenti. Si tratta di un’esperienzasignificativamente diversa da quella italiana incui la produttività ristagna o si contrae come ilPIL.Vale la pena soffermarsi brevemente inoltre sulcaso spagnolo (FIG. 2.6). Se guardiamo all’espe-rienza recente, la dinamica del PIL segue da vicinoquella dell’occupazione mentre l’andamento della

produttività è stagnante.6 Il caso spagnolo ha incomune con quello italiano una bassa dinamicadella produttività ma, mentre nel caso italiano lastagnazione o addirittura la contrazione dellaproduttività è dovuta alla fiacchezza congiun-turale della produzione a fronte della qualel’occupazione cresce, nel caso spagnolo lastagnazione della produttività è dovuta ad unadinamica vivace sia dell’output che della produ-zione complessiva. Quella spagnola, quindi, èl’esperienza di un paese che cresce moltononostante la produttività ristagni.

2. Produttività e ore di lavoro

La produttività per addetto si può concepirecome il prodotto della produttività oraria dellavoro per le ore di lavoro di ciascun occupato.Pertanto il tasso di crescita della produttività peraddetto è la somma del tasso di crescita dellaproduttività per ora lavorata e della variazionepercentuale delle ore di lavoro per occupato.

TAB. 2.1: PIL per occupato, produttività oraria eore lavorate in UE e Italia (USA=100)

UE Italia1970 2000 1970 2000

PIL per occupato 65,5 77,6 73,1 90,5Produttività oraria 64,8 90,7 74,7 104,0Ore lavorate 101,0 85,6 97,9 87,0

Fonte: Rapporto Sapir.

Al fine di studiare le tendenze di lungo periodo,nella TAB. 2.1, sono riportati i livelli dellevariabili appena presentate per l’UnioneEuropea e per l’Italia in rapporto ai livellicorrispondenti relativi agli USA, nel 1970 e nel2000. Dalla tabella emerge:

6 La situazione era molto diversa negli anni sessanta esettanta in cui la dinamica del PIL era molto correlataa quella della produttività.

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Var. % Produttività

Var. % PILVar. % Occupazione

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- un incremento (relativo) rilevante dellaproduttività oraria (circa il 40% sia per la UEche per l’Italia);

- una diminuzione (relativa) delle ore lavorateper addetto (-16% per la UE, -11% per l’Italia).

La seconda tendenza è stata meno rilevante dellaprima, ragion per cui:- in termini di prodotto per occupato c’è

convergenza con gli USA, sia per l’UE che perl’Italia. La produttività aumenta (sempre intermini relativi) del 18% per la UE, del 24%per l’Italia.

- l’Italia parte meglio dell’UE e converge piùrapidamente. Alle soglie del nuovo millennio ilgap per l’Italia si è ridotto al 10%, per l’UE èancora di un quarto.

Se guardiamo alla dinamica più recente nell’areaEuro, sintetizzata nella TAB. 2.2, le tendenzeappena individuate sono confermate fino a tuttigli anni ottanta. Negli anni novanta, invece, si èverificata una decelerazione della produttivitàsia in termini di produttività oraria (da 2,3%negli anni ‘80 a 1,4% negli anni ‘90) sia in terminidi produttività per addetto (da 1,7% a 1,1%). Ladecelerazione è ancor più rilevante nella secondametà del decennio scorso, proprio quando laproduttività accelerava negli USA: il tasso diincremento della produttività oraria nel periodo1996-2003 scende a 1,2% contro 1,9% negliUSA mentre quello della produttività per addettocala a 0,8% a fronte del 2,1% degli USA.Se si applicano al dato del 2000 i tassi di crescitaverificatisi nel periodo 1996-2003 per avereun’idea approssimativa dell’andamento dellaconvergenza, si giunge alla conclusione che ilprocesso si è invertito. Il rapporto percentualetra la produttività oraria europea e quellastatunitense dovrebbe essere sceso nel primolustro del nuovo secolo approssimativamente da

91 a 88 mentre quello tra la produttività peraddetto europea e quella statunitense dovrebbeessere sceso approssimativamente da 77 a 73.Comunque in Europa la produttività orariaaumenta ad un tasso sempre maggiore dellaproduttività per addetto. Negli Stati Uniti accadeil contrario. La produttività per addetto accelerae quella oraria è sistematicamente inferiore aquella europea. Ciò si spiega anche col fatto chein Europa le ore lavorate diminuisconocontinuamente mentre in USA aumentano.

TAB. 2.2: Variazioni % del prodotto peroccupato, della produttività oraria e delle orelavorate in USA e nell’Area euro

1981-93 1993-03 1996-03USA

PIL per occupato 1,6 1,8 2,1Produttività oraria 1,6 1,4 1,9Ore lavorate 0,0 0,4 0,2

Area EuroPIL per occupato 1,7 1,1 0,1Produttività oraria 2,3 1,4 1,2Ore lavorate -0,6 -0,3 -0,4

Fonte: “Andamenti della produttività del lavoro nell’area Euro:tendenze aggregate e andamenti settoriali”, BCE, Bollettino mensile,luglio 2004.

Alcuni economisti7 hanno attirato l’attenzionesul secondo fenomeno, interpretandolo comeuna manifestazione della “preferenza per iltempo libero” dei lavoratori europei (rispetto aquelli americani). Di conseguenza, l’arresto delprocesso di catching up rispetto agli USAsarebbe dovuta a un cambiamento delle preferenzedegli europei in favore del tempo libero.La riduzione delle ore lavorate potrebbe riflettereinvece almeno in parte un vincolo dal lato delladomanda di lavoro. Secondo gli stessi estensoridel rapporto Sapir, ad esempio, la diminuzione

7 Blanchard O. “The Economic Future of Europe”,Journal of economic Perspectives, 4, 2004; PrescottE. “Why do Americans work so much more thanEuropeans?”,Federal Reserve Bank of Minneapolis,Research Department Staff report, n.321, 2003

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delle ore lavorate è dovuta a una tendenzaall’aumento del part-time, più che agli effetti divacanze più lunghe.8 In una fase ciclica difficile,poi, la riduzione dell’orario di lavoro potrebbeessere uno strumento per flessibilizzare l’impiegodi lavoro in presenza di vincoli alla riduzione delnumero di occupati.

3. Produttività, capitale e TFP

Un secondo modo di scomporre la produttivitàdel lavoro deriva dalla cosiddetta “contabilità dellacrescita”. Supponiamo che l’attività produttivadelle imprese possa essere rappresentataattraverso una funzione di produzione i cui“ingredienti” sono lavoro, capitale fisico e statodella tecnologia o produttività totale dei fattori(Total Factor Productivity: TFP). In questocontesto, supponendo che la funzione di produ-zione sia, come dicono gli economisti, “benconformata” e caratterizzata da rendimenti discala costanti, si può dimostrare la seguenterelazione:

Tasso di crescita della produttività del lavoro= tasso di crescita della produttività totale dei fattori + α (Tasso di crescita del rapporto capitale/lavoro)

dove α è un coefficiente, compreso tra zero euno, che misura la quota del reddito cheaffluisce al capitale.Pertanto la produttività del lavoro cresce neltempo per due motivi:- il miglioramento dello stato della tecnologia

catturato dal tasso di crescita della produttivitàtotale dei fattori;

8 “In conclusione parrebbe che le notevoli differenzeriscontrate nel numero di ore lavorate sianoriconducibili non già a una scelta, ma piuttosto allepossibilità esistenti di occupazione a tempo pieno”(Rapporto Sapir, p. 49). Su questi temi si invia aOsservatorio Monetario, n. 1-2005.

- l’aumento della cosiddetta intensitàcapitalistica della tecnica di produzione ossiadel rapporto tra capitale e lavoro.

Un aumento della produttività del lavoro, quindi,potrebbe riflettere l’accresciuta dotazione dicapitale fisico per lavoratore e/o unmiglioramento della qualità della tecnologia insenso stretto.La produttività del lavoro di cui si parla comevariabile dipendente della relazione di cui soprapuò essere intesa sia come produttività peraddetto che come produttività per ora lavorata.Nella TAB. 2.3 sono riportati i tassi di crescitadella produttività oraria, della TFP edell’intensità capitalistica in Europa negli anniottanta e novanta.

TAB. 2.3: Scomposizione del tasso di crescitadella produttività del lavoro nell’Area Euro

1981-93 1993-2003Produttività oraria 2,3 1,4 - TFP 1,0 0,6 - intensità capitalistica 1,3 0,8

Fonte: Andamenti della produttività del lavoro nell’area dell’Euro: tendenzeaggregate e andamenti settoriali, BCE, Bollettino mensile, luglio 2004.

Il decremento del tasso di crescita dellaproduttività oraria del lavoro tra gli anni ottantae gli anni novanta è attribuibile a una flessionedel tasso di crescita sia della TFP chedell’intensità capitalistica, approssimativamentedi entità analoga.La flessione della intensità capitalistica vienesolitamente ricondotta alla moderazione salarialeche ha contraddistinto gli anni novanta rispettoagli anni ottanta. E’ cambiato quindi il costorelativo degli input nel senso che è diminuito ilcosto relativo del lavoro cosicché lo stimolo allasostituzione di lavoro con capitale si è attenuato.E’ stata favorita anche la creazione di nuovaoccupazione. Di qui la compressione anche dellacrescita della produttività per addetto. La

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dinamica del PIL reale è stata prossima al 2% sututto l’arco temporale considerato (2,2% neglianni ottanta e 2% negli anni ‘90), ma la produt-tività è scesa dall’1,7% all’1,1% per cento ossiala occupazione ha accelerato dallo 0,3% allo0,9%. E’ aumentato quindi il contenuto di occu-pazione della crescita. E’ lampante la differenzacon gli USA che hanno sperimentato una fortecrescita sia della occupazione che della produtti-vità, come si vede dalla FIG. 2.7.

FIG. 2.7: PIL, produttività e occupazione negli USA (variazioni %)

Fonte: nostre elaborazioni su dati tratti da Datastream.

Per quanto riguarda la flessione del tasso dicrescita della TFP, premesso che i dati vannointerpretati con un po’ di cautela perché lamisurazione della TFP è in qualche misuraimprecisa, è opinione diffusa che la diversadinamica della produttività tra le due spondedell’Atlantico rifletta la diversa intensitànell’utilizzo dell’Information e CommunicationTechnology (ICT).

4. Produttività e dinamica strutturale

La produttività del lavoro può essere concepitacome una media delle produttività dei diversisettori industriali ponderata con il peso checiascun settore industriale ha sul totaledell’occupazione. Ne consegue che il tasso di

crescita della produttività aggregata dipende daitassi di crescita della produttività nei diversisettori e dal cambiamento della composizionedell’economia per settori industriali, ossia dalladinamica strutturale.Questa scomposizione consente di stabilire se ilrallentamento della produttività è un fenomenogeneralizzato o se vi sono alcuni compartiindustriali che più hanno contribuito alladecelerazione della produttività aggregata.

Nella TAB. 2.4 sono riportati i tassi di crescitadella produttività (per addetto) aggregata e persettore nell’area dell’euro tratti da un articolonon firmato comparso sul numero di luglio 2004del Bollettino della BCE. Come ci si potevaattendere, l’industria in senso stretto9 è piùdinamica, dal punto di vista della produttività,del settore delle costruzioni e del terziario. Ildato più interessante ai nostri fini è il fatto chenell’edilizia e nel settore dei servizi finanziari ealle imprese10 si è verificata una contrazionedella produttività mentre nell’industria in sensostretto e nei servizi non finanziari (commercio etrasporti)11 il ritmo di incremento dellaproduttività è lievemente aumentato negli anninovanta rispetto agli anni ottanta. Se si considerail periodo 1996-2003, il quadro peggiora ancheper l’industria e i servizi non finanziari.

9 L’industria in senso stretto è composta dall’indu-stria manifatturiera, dall’industria estrattiva e dalcomparto della produzione e distribuzione di energia,gas ed acqua. L’industria in senso lato (o industriatout court) comprende l’industria in senso stretto e lecostruzioni.10 Il settore dei servizi finanziari e alle impresecomprende oltre all’intermediazione finanziaria ilsettore dei servizi immobiliari e di locazione.11 Indichiamo con il termine di servizi non finanziaril’insieme del settore degli esercizi commercialiall’ingrosso e al dettaglio (compresi alberghi eristoranti) e di quello dei trasporti e comunicazioni.

-2

-1

0

1

2

3

4

5

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006

Var. % PIL

Var. % Produttività

Var. % Occupaz.

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TAB. 2.4: Tasso di crescita della produttivitàper occupato per settori nell’Area Euro

1981-93 1993-03 1996-03 Industria 2,4 2,6 1,9 Costruzioni 1,3 -0,2 -0,4 Commercio (e trasporti) 1,3 1,5 1,4 Servizi finanziari 0,2 -0,9 -1,1 Totale 1,9 1,3 0,9

Fonte: Andamenti della produttività del lavoro nell’area dell’Euro: tendenzeaggregate e andamenti settoriali, BCE, Bollettino mensile, luglio 2004.

E’ la dinamica dell’occupazione che differenziaquesti settori, perché nell’industria è continuatal’espulsione di manodopera occupata mentre ilterziario ha continuato ad assorbire forze di lavoro.La dinamica della produttività oraria è piùvivace per tutti i comparti considerati perché lariduzione dell’orario di lavoro in Europa è unfenomeno generalizzato a tutti i settori. Tuttavia,la differenza tra il tasso di crescita dellaproduttività oraria e quello della produttività peraddetto è maggiore per i comparti del terziario.Ad esempio, il tasso di crescita della produttivitàoraria nei servizi non finanziari per il periodo1993-2003 è pari al 2% circa a fronte dell’1,5%registrato dalla produttività per addetto.L’incre-mento del tasso di crescita passandodalla produttività per addetto a quella per oralavorata è di un terzo. Il tasso di crescita dellaproduttività oraria nell’industria in senso strettoper il periodo 1993-2003 è pari invece al 3%circa a fronte dell’2,6% registrato dallaproduttività per addetto. L’incremento del tassodi crescita è del 10% circa. Questa differenza èdovuta soprattutto al fatto che l’occupazionepart-time, già diffusa molto più nel terziario chenell’industria, è cresciuta molto più rapidamentenei servizi che nel comparto industriale, come sinota dalla TAB. 2.5.In ultima analisi, quindi, il rallentamento dellaproduttività, sotto il profilo settoriale, si può

TAB. 2.5: Quota % dell’occupazione part-timesull’occupazione totale per settori nell’area Euro

1995 2003 Industria 5,7 6,7 Servizi finanziari 14,8 17,8 Totale 13,5 16,5Fonte: Andamenti della produttività del lavoro nell’areadell’Euro: tendenze aggregate e andamenti settoriali, BCE,Bollettino mensile, luglio 2004.

ricondurre alla flessione della produttività nellecostruzioni e nei servizi finanziari e alle imprese.Quest’ultimo comparto, d’altro canto, è composito emostra andamenti differenziati della produt-tivitànei diversi sub-settori. In particolare la dinamicadella produttività si è indebolita in misura limitatanei servizi finanziari in senso stretto, ossia inbuona sostanza nel settore dell’intermediazionefinanziaria, è rallentata decisamente o declinatanei servizi immobiliari e negli “altri servizi alleimprese”.Come si è detto sopra, la variazione percentualedella produttività del lavoro in aggregato èdeterminata dai tassi di incremento dellaproduttività nei diversi settori e dalla evoluzionedella struttura dell’economia. Gli estensoridell’articolo del bollettino della BCE attribuisconometà del rallentamento agli andamenti settoriali emetà alla ricomposizione dell’occupazione indirezione dei servizi – ossia alla terziarizzazione.Nei servizi, come è noto, la produttività del lavoroè più bassa e cresce meno rapidamente chenell’industria.Guardiamo ora al caso italiano. Considerandol’orizzonte temporale 1970-2004, la quotadell’industria in senso stretto sul PIL è scesa dalmassimo del 36% raggiunto nel 1976 al minimodel 23% verificatosi nel 2004. Nello stessoperiodo la quota del terziario (privato) èaumentata dal 60 al 74%. Poiché la quotadell’agricoltura è ormai trascurabile, sostanzial-mente il PIL italiano oggi è imputabile per unquarto all’industria e per tre quarti al terziario.

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1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004

Industria SS

Serv.Privati

Serv. Pub.

Economia

TAB. 2.6: Tasso di crescita della produttività peroccupato per settori in Italia

1971-80 1981-90 1991-00 1996-04 Industria 2,6 1,7 1,5 0,5 Servizi privati 1,8 0,7 1,1 0,1 Servizi pubblici 0,7 -0,4 0,3 0,8

Fonte: nostre elaborazioni su dati di contabilità nazionale.

Come si nota dalla TAB. 2.6, la decelerazionedella produttività è un fenomeno di lunga durataper l’economia italiana.Essa si manifesta già nel decennio degli anniottanta, col tasso di crescita che si riduce da 2,6a 1,7 medio annuo rispetto agli anni settanta. Laflessione del tasso di crescita è attribuibileinteramente al terziario, poiché l’industriasperimenta invece una accelerazione.Il rallentamento successivo, se valutato su basedecennale, risulta più contenuto. Negli anninovanta, infatti, il tasso di crescita medio annuodella produttività si riduce solo di un paio didecimi di punto. In questo caso, contribuisce alrallentamento soprattutto l’industria, mentre ilterziario si riprende seppure in misura modesta.Si osservi tuttavia, che la decelerazione è piùaccentuata a partire dalla metà degli anninovanta. Sul periodo 1996-2004 la produttivitàaggregata cresce solo dello 0,5% medio annuo.La frenata è generalizzata. Si veda a questoproposito la FIG. 2.8.Il rallentamento rilevante della produttivitàdell’industria in senso stretto pone interrogatividi fondo sulla capacità competitiva dell’eco-nomia italiana. E’ l’industria, infatti, a generareil flusso più rilevante di beni esportabili, dalmomento che il terziario produce e vendeprevalentemente sul mercato interno.La produttività dell’industria è altamente correlataal valore aggiunto dell’industria e al PIL.

FIG. 2.8: Indice della produttività per settore in Italia

Fonte: nostre elaborazioni su dati di contabilità nazionale (nuova serie).Note: indice base 1990= 100.

L’elevata correlazione tra andamento dellaproduttività dell’industria in senso stretto eandamento del valore aggiunto industriale (lalegge di Verdoorn nella formulazione originaria)emerge chiaramente della FIG. 2.9, che riporta ildiagramma di dispersione della variazionepercentuale del valore aggiunto nell’industria insenso stretto (misurata sull’asse orizzontale) edella variazione percentuale della produttivitànello stesso comparto (sull’asse verticale) nelperiodo 1970-2004. Nel grafico è riportata anchela “linea di tendenza”. Il coefficiente dicorrelazione è oltre 0,8. Anche la correlazionetra dinamica della produttività industriale edinamica del PIL ossia del valore aggiuntogenerato nell’intera economia è molto alta. Nediscende che un lungo periodo di dinamicacongiunturale fiacca si ripercuote negativamenteanche sulla produttività dell’industria e perquesta via sulla competitività delle mercinazionali.

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FIG. 2.9: Correlazione tra produttività e valoreaggiunto nell’industria in senso stretto in Italia

Fonte: nostre elaborazioni su dati di contabilità nazionale.

5. Produttività e dimensione d’impresa

La produttività del lavoro può essere concepitainfine come una media delle produttivitàregistrate nelle diverse classi dimensionalid’impresa ponderata con il peso che ciascunaclasse ha sul totale dell’occupazione. Ne consegueche il tasso di crescita della produttività inaggregato dipende dai tassi di crescita dellaproduttività nelle diverse classi e dal cambiamentodella composizione dell’economia per classidimensionali, ossia dalla dinamica industrialeintesa come mobilità delle imprese tra classidimensionali e come demografia industrialeossia nati-mortalità delle imprese.Nella letteratura di economia industrialegeneralmente si concorda su due regolaritàempiriche di immediato interesse ai nostri fini:- la distribuzione dimensionale delle imprese è

fortemente asimmetrica. La stragrandemaggioranza delle imprese è infatti di piccole epiccolissime dimensioni mentre la quota dellegrandi e grandissime imprese sul numero totaledi imprese è molto bassa;

- la produttività del lavoro è crescente nelladimensione d’impresa. Pertanto un apparatoproduttivo caratterizzato dalle piccoledimensioni è tendenzialmente meno produttivodi uno contraddistinto dalle grandi dimensioni.

La prima regolarità è così diffusa nei paesiindustrializzati da essere considerata un “fattostilizzato”. In questo quadro, tuttavia, il casoitaliano si contraddistingue per un peso parti-colarmente elevato delle piccole dimensioni eparticolarmente basso delle grandi dimensioni.Secondo il censimento del 2001, circa il 60% dei4 milioni di imprese ha un solo addetto; leimprese fino a 5 addetti costituiscono il 90% deltotale mentre le grandi imprese (oltre 100addetti) rappresentano il 25 per mille (0,25%)del totale.12

TAB. 2.7: Dimensione media delle impreseitaliane (n. di addetti) alle date dei censimenti,quota sul totale degli addetti delle imprese“grandi” (oltre 500 addetti)

1981 1991 2001Dimensione media 4,5 4,5 3,7Grandi imprese - manifatturiero 19,6% 12,9% 9,6%

- trasporti e comunicaz. 22,0% 18,3% 14,1Fonte: P. Potestio, “L’occupazione in Italia dal 1970 al 2003”, Rivista diPolitica Economica, 2005.

12 A seconda del campione di imprese utilizzato perstudiarla, la distribuzione dimensionale delle impresesi caratterizza come distribuzione log-normale ocome legge di potenza (power law) sia nellefrequenze assolute (numero di imprese) sia nellefrequenze relative (quota percentuale delle imprese).Entrambe le distribuzioni sono caratterizzate daelevata asimmetria a destra (o positiva). Ciò implicache la coda di sinistra (delle piccole imprese) è moltoalta mentre quella di destra (delle grandi imprese) èmolto “prolungata”.

-5,00

-3,00

-1,00

1,00

3,00

5,00

7,00

9,00

11,00

13,00

-5,00 -3,00 -1,001,00 3,00 5,00 7,00 9,00 11,00 13,00

var% valore aggiunto

var.%

pro

dutti

vità

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Come si desume dalla TAB. 2.7, nel casoitaliano, la dimensione media d’impresa – unindicatore peraltro distorto della tendenzacentrale quando la distribuzione è fortementeasimmetrica come nel caso della distribuzioneper dimensione – è andata diminuendo nel corsodel tempo. Sono inoltre diminuite le grandiimprese, sia in numero assoluto che come quotadell’occupazione complessiva. Nella tabella siriporta la quota dell’occupazione assorbita dalleimprese con più di 500 addetti nel settoremanifatturiero e in quello dei trasporti (inagricoltura, edilizia e negli altri comparti delterziario la quota è molto prossima allo zero). Laquota delle grandi sull’occupazione del manifat-turiero si è dimezzata mentre nei trasporti si èridotta di 8 punti percentuali.

TAB. 2.8: Produttività per addetto per settoree classe dimensionale in Italia, 2002 (in rapporto% rispetto alla media dell’economia)

Ind. SS Costruz. Servizi Totale1-9 71,05 73,73 70,78 71,0510-49 103,75 98,93 101,88 102,4150-249 141,82 114,48 115,82 129,76>250 180,43 142,09 131,64 152,55totale 121,98 84,45 90,35 100,00

Fonte: ISTAT, Rapporto annuale, La situazione del paese nel 2004, p. 114.

Dalla TAB. 2.8 inoltre emerge chiaramente chesono le grandi imprese a generare i livelli piùalti della produttività del lavoro. Nelle celledella tabella sono riportati i rapporti percentualitra la produttività di ciascuna classe dimensionalenel settore indicato e la produttività mediarealizzata nell’economia nel 2002, pari a€ 37.300 per addetto. Emerge chiaramente larelazione crescente che lega la produttività alladimensione.

Per l’intera economia, la produttività nellemicro-imprese (quelle caratterizzate da un numerodi addetti compreso tra 1 e 9) è poco più del 70%della produttività media dell’economia mentre laproduttività nelle grandi imprese (oltre 250addetti) è più del 150%. Si nota anche che laproduttività delle micro-imprese non è moltodissimile da settore a settore mentre le grandiimprese sono chiaramente più produttivenell’industria in senso stretto.

Un apparato produttivo che si terziarizza e in cuiaumenta il peso delle classi dimensionali minorisi caratterizza quindi quasi per definizione perun livello decrescente della produttività dellavoro.