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2 - 2017 Stop ai tagli lineari, risparmi da processi a gestioni Stop ai tagli lineari, risparmi da processi a gestioni L’opinione del Ministro Lorenzin EPATITE C: UNA MATASSA ANCORA DA SBROGLIARE LE REGIONI E LA CANNABIS FARMACEUTICA ANTIBIOTICORESISTENZA: LA GRANDE SFIDA DEL FUTURO PROSSIMO DOSSIER PMA: IL DIFFICILE VOLO DELLA CICOGNA TERREMOTO: NUOVE MISURE PER LA SANITÀ ADVOCACY: COM’È NATA LA LEGGE SUL DIABETE

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Stop ai tagli lineari, risparmi da processi a gestioniStop ai tagli lineari, risparmi da processi a gestioni L’opinione del Ministro Lorenzin

• EPATITE C: UNA MATASSA ANCORA DA SBROGLIARE • LE REGIONI E LA CANNABIS FARMACEUTICA • ANTIBIOTICORESISTENZA: LA GRANDE SFIDA DEL FUTURO PROSSIMO • DOSSIER PMA: IL DIFFICILE VOLO DELLA CICOGNA • TERREMOTO: NUOVE MISURE PER LA SANITÀ • ADVOCACY: COM’È NATA LA LEGGE SUL DIABETE

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In copertina: IL MINISTRO DELLA SALUTE BEATRICE LORENZIN

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Anno III - N°2 2017

EditoreALTIS Omnia Pharma Service S.r.l.Viale Sarca 22320126 MilanoTelefono +39 02 49538300Fax +39 02 [email protected]

Direttore ResponsabileMarcello PortesiVicedirettoreStefano Del MissierRapporti istituzionaliMarco PolcariComitato editorialeVincenzo Atella Emanuela BaioStefano Del MissierFederico MeretaDaniele PallottaMarcello PortesiMario SensiniKetty Vaccaro

Autorizzazione Tribunale di Milano n. 318 del 17 novembre 2015.Numero di iscrizione al RoC 26499

Stampato a Milano nel mese di Aprile 2017.

IL PUNTOStop ai tagli lineari, risparmi da processi a gestioni.L’opinione del Ministro Lorenzin e l’intervista ad Antonio Saitta

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TENDENZE E SCENARII numeri della dolce attesa 6RISORSE E SALUTEEpatite C: una matassa ancora da sbrogliare 9Le regioni e la cannabis farmaceutica 12Antibioticoresistenza: la grande sfida del futuro prossimo 14Siamo nell’era post-antibiotica? 16MODELLI IN SANITÀLa farmacia dei servizi 20INNOVAZIONE E TERRITORIODossier pma: il difficile volo della cicogna 22POLITICA & ISTITUZIONITerremoto: affinché anche la sanità non tremi 28IL MONDO ADVOCACYAdvocacy: com’è nata la legge sul diabete 30TERRITORI D’EUROPAMalattie croniche e disabilità, il grande problema 32PILLOLE REGIONALI 36

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mpensabile continuare a iniettare de-naro all’infinito nel sistema sanitario nazionale: bisogna, prima di tutto, re-cuperare le risorse all’interno di quelle

esistenti grazie ad una forte azione di efficienta-mento complessivo dei processi organizzativi e di erogazione dei servizi”. Beatrice Lorenzin, mini-stro della sanità da ormai quattro anni, sollecita una svolta nella gestione del sistema sanitario na-zionale. Un forte recupero di competitività per re-cuperare risorse da investire per consolidare la vo-cazione universalistica del sistema, assicurandone la sostenibilità finanziaria. E lancia al ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, una proposta per certi versi rivoluzionaria: considerare la spesa per l’acquisto dei farmaci innovativi non più come spesa corrente, ma come un’uscita in conto capita-le. Un investimento, da rimborsare nei tempi e nei modi propri di un investimento, a lungo termine.

“Potremmo confrontare il costo di acquisto del medicinale con la sommatoria dei benefici diretti ed indiretti futuri che lo Stato, il Servizio sanitario o regionale, ritrarrà dalla guarigione del pazien-te: se la somma dei vantaggi futuri dovesse es-sere superiore al costo, allora l’investimento non solo consentirà una migliore qualità della vita ai cittadini/pazienti, ma potrà essere effettuato con “serenità”, in quanto anche economicamente so-stenibile. Tra le utilità dirette rientrano certamente la ridu-zione o l’eliminazione dei costi connessi alla mancata assistenza in termini di terapie, somministrazione di farmaci e trattamen-ti ospedalieri forniti al paziente negli anni

IL LORENZIN PENSIERO PER LA SOSTENIBILITÀ

Stop ai tagli lineari, risparmi da processi

a gestioni

* Giornalista de Il Corriere della Sera

Per la ministra fondamentale valutare i costi dell’innovazione in funzione dei ritorni diret-

ti e indiretti che producono Commissariamenti e piani di rientro nel periodo 2007-2015

hanno dato buoni risultati ma ridotto il livello dei servizi Molto può essere recupera-

to dalla riorganizzazione degli ospedali e dal ridimensionamento della medicina difensiva

di Mario Sensini*

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È fondamentale uniformare i LEA su tutto il territorio nazionale

IL PUNTO

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successivi alla sua guarigio-ne (senza contare il miglio-ramento della qualità di vita del paziente e della sua fa-

miglia). Tra quelle indirette, invece, si possono far rientrare

i minori giorni di assenza dal lavo-ro, la mancata necessità di ricorrere a sussidi assi-stenziali come l’invalidità” spiega la Lorenzin, la cui proposta è sulla stessa linea di quella avanzata su Rh+ dall’assessore al bilancio della Lombar-dia, Massimo Garavaglia, di lanciare un prestito

obbligazionario per finanziare l’acquisto dei farmaci necessa-ri per eradicare l’e-patite C.In generale, sottoli-nea il ministro com-mentando l’allarme

della Corte dei Conti, secondo la quale il Ssn ri-schia di non riuscire più a soddisfare i bisogni cre-scenti della popolazione, la situazione economica è migliorata negli ultimi anni. “Gli strumenti individuati, ad esempio i com-missariamenti e i piani di rientro, hanno con-sentito di generare importanti miglioramenti della situazione economica: nel 2007 il disavan-zo, al netto delle coperture regionali di tutte le re-gioni in Piano di rientro era di 4,1 miliardi di euro, mentre nel 2015 è stato di 427,4 milioni di euro, circa dieci volte di meno”. In alcuni casi, però, la cura da cavallo ha finito con l’incidere sulla qualità, se non l’efficienza, del servizio. “Dobbiamo assicurare che il sistema sanitario sia in grado di fornire a tutti i cittadini italiani una equità di accesso ai servizi, ma anche garantire degli standard qualitativi minimi, indi-pendentemente dal luogo geografico in cui si vive. Non possiamo consentire che il diritto alle cure e all’assistenza sia regolato dal “caso” o dalla fortu-na di vivere in una regione piuttosto che un’altra.

Il punto critico - dice il ministro - non sono solo i conti. Se analizziamo il sistema dal punto di vista dell’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza i progressi non sono stati molti. Anzi, in alcuni casi le Regioni hanno addirittura peggiorato i risultati: insieme alle Regioni, credo, dovremo lavorare per ripristinare un livello essenziale di assistenza e cure uniforme su tutto il territorio italiano”.“Non bisogna considerare che il miglioramento dell’efficienza di un sistema complesso come il nostro passi unicamente tramite l’approvazio-

Dai recuperi di efficienza anche la possibilità di ridurre i ticket

I vaccini in tvPOST HOC O PROPTER HOC?

Quando esce un film di Nicolas Cage aumentano i decessi in piscina negli Usa. Qualche tempo fa uno studio ha messo in relazione i due eventi, traendone curve apparentemente sovrapponibili. Ma se esiste un’associazione, non si può parlare di correlazione. Quella correlazione che manca anche, stando alle informazioni scientifiche disponibili, tra la somministrazione del vaccino per l’HPV e la possibile insorgenza di effetti indesiderati pesanti. Il problema è che anche da noi a volte si fa confusione tra “post-hoc” e “propter hoc”, attribuendo possibili causalità ad eventi che sono solo sequenzialmente temporali.Così si ha la sensazione che la trasmissione Report sul vaccino per il Papilloma virus umano o HPV, nata lodevolmente per segnalare la scarsa attenzione dei sanitari agli effetti indesiderati di profilassi e terapie e trasformatasi con un crescendo di testimonianze in una sorta di “segnale d’allarme” per chi era davanti al video e doveva decidere se vaccinare i propri figli, possa aver creato un effetto simile. Le giovani che hanno raccontato quello che a loro dire era collegato con la somministrazione del vaccino sono rimaste impresse nella mente. In un Paese come il nostro e in un periodo come questo, in cui la scienza non è certo il motore del ragionamento e si preferisce parlare alla pancia piuttosto che al cervello delle persone, il caos è assicurato. Bene ha fatto, sostenuta dal parere di tanti scienziati e della gente comune, il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin a stigmatizzare con forza, la confusione che la messa in onda del programma può aver generato. I vaccini sono una delle grandi conquiste della medicina moderna e, come spesso si dice, scontano il fatto di essere vittime del proprio successo. Operano senza che ce ne accorgiamo, proteggendoci da rischi che in molti casi nemmeno conosciamo. Ma questi rischi esistono. E non vanno sottovalutati per non tornare indietro!

(Rh+)

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ne di norme finalizzate in maniera diretta a col-pire unicamente il versante delle spese. Ci sono infatti provvedimenti che, pur se non riguardano direttamente i processi di approvvigionamento o il monitoraggio dei bilanci delle aziende sanitarie, consentono di creare un ecosistema favorevole e delle esternalità positive che conducono ad impor-

tanti risparmi. Penso alla riorganizza-zione della rete ospedaliera prevista

nel DM 70/2015 - dice la Lorenzin - o alla legge sulla sicurezza delle cure e sulla responsabilità profes-

sionale del medico”.Nel primo caso “gli obiettivi di razio-

nalizzazione previsti dal provvedimento riguar-dano prioritariamente quei servizi e quelle pre-stazioni che maggiormente incidono sulla qualità dell’assistenza sia in termini di efficacia che di efficienza. La prevista conseguente riduzione del tasso di occupazione dei posti letto, della durata della degenza media e del tasso di ospedalizzazio-ne, genererà un incremento di produttività (uguali o maggiori servizi ottenuti con minori risorse) nel rispetto delle risorse programmate. Un tale cam-biamento strutturale e organizzativo ha lo sco-po di determinare una inevitabile ridistribuzione delle risorse che può essere oggettivamente ed equamente effettuata attraverso la valutazione dei volumi e strategicità delle prestazioni, delle per-formance e degli esiti clinici”.Altrettanto importante, sostiene il ministro del-la Salute, è stato il provvedimento entrato in vi-gore il primo aprile scorso sulla responsabilità professionale dei medici, finalizzato a ridurre il fenomeno della medicina difensiva, che spesso in-duce il medico a prescrivere esami e terapie non strettamente necessarie alla salute del paziente, al solo scopo di evitare addebiti di responsabilità in eventuali contenziosi, sempre più fre-quenti. “È un fenomeno foriero di nu-merose conseguenze negative sia per gli stessi cittadini sia per il Servizio sanitario nazionale. Sottopone i citta-dini a esami inutili, nel senso di “non utili”, che, peraltro, possono rivelarsi, in alcuni casi, dannosi per la loro salu-te, fa lievitare in modo ingiustificato i costi dell’assistenza, sottraendo risor-

se preziose ad altri settori di assistenza, allunga a dismisura i tempi di attesa per accedere alle pre-stazioni”. Riuscire a incidere anche solo in parte su questi comportamenti farebbe risparmiare al sistema un sacco di soldi. “Si stima - dice la Lo-renzin - che la sola medicina difensiva “positiva” pesi annualmente sul Servizio sanitario nazionale tra i 10 e i 13 miliardi di euro l’anno, oltre a ri-durre la qualità dell’assistenza, aumentare i dubbi diagnostici e allungare le liste di attesa. Se con la legge appena entrata in vigore si riuscisse a ridurre anche solo del 10% il fenomeno della medicina difensiva il sistema sanitario potrebbe disporre tra 1 e 1,3 miliardi di euro in più da dedicare all’assi-stenza e alle cure o agli investimenti in macchinari nuovi e più moderni”, dice il ministro. Dopo il “taglio lineare”, nella sanità la parola d’ordine diventa “produttività”. “Bisogna lavorare sui processi organizzativi e di erogazione dei servizi, su una maggiore ap-propriatezza dei profili assistenziali, pensare all’introduzione dell’information and comunica-tion technology in sanità, alla definizione di nuove modalità di determinazione del prezzo dei farmaci innovativi e nuove regole per discriminare pun-tualmente ciò che è innovativo da ciò che non lo è” dice la Lorenzin, secondo la quale i primi risul-tati di questa azione di recupero di efficienza do-vranno essere indirizzati “alla riduzione del ticket per la fasce più deboli della popolazione”. “In ogni caso - conclude il ministro - è necessario leggere con occhi nuovi il sistema sanitario: la sa-nità è un elemento non di costo, ma di investimen-to, di produzione di ricchezza tangible e intangi-ble. È il 12% del prodotto interno lordo italiano, e contribuisce in maniera determinante alla crescita, al benessere sociale, allo sviluppo economico e non solo del nostro Paese”.

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Parecchie le soluzioni allo studio, ma l’as-

sessore piemontese suggerisce di ricor-

rere a una sintesi ragionata basata sulle

esperienze positive delle diverse regioni

SAITTA E I TICKET

Come rivederela compartecipazione?

“Il ticket sulla specialistica? Ogni Regione fa a modo suo. In pratica siamo all’anarchia completa, il risul-tato dell’esasperazione del federalismo”. Antonio Saitta, assessore alla Sanità del Piemonte, e coor-dinatore nazionale delle Regioni, è del tutto favo-revole all’iniziativa del ministro Beatrice Lorenzin di rivedere il meccanismo di compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria pubblica. La legge che stabilisce il ticket è nazionale, ma sono le Regioni ad articolarlo, stabilendo la misura. Fino ad un certo punto, però, perchè quando la Regione Lombardia è intervenuta dimezzando il superticket sulla diagno-stica da 35 euro, il governo centrale si è opposto e ha impugnato la legge. Un controsenso, rispetto alla volontà politica di superare questo meccani-smo, che la Lorenzin ritiene troppo penalizzante per le fasce deboli e soprattutto per gli anziani. Tanto che nei giorni scorsi la questione è stata affronta-ta dal governatore lombardo Roberto Maroni con il premier, Paolo Gentiloni, in occasione della sua visita a Milano. Per il momento la questione lombarda è congelata, mentre si lavora ad un tavolo misto tra il ministero e le regioni sul modo in cui superare l’odiato ticket, che pesa 3 miliardi di euro, compreso quello sui farmaci, sulle tasche dei cittadini. Diverse le strade che si esplorano. Una viaggia a monte e riguarda la revisione delle detrazioni f scali delle spese sanitarie. Oggi si detrae dall’imposta il 19% di queste spese, e si ragiona sulla possibilità di scalettare questa aliquota in funzione del reddito: più bassa per chi guadagna di più, più alta per i meno abbienti. Ma c’è il proble-ma di chi non paga le tasse, o ne paga talmente poche, da non poter benef ciare dello sconto. Per cui si esplora anche l’idea di una franchigia, un tetto di spesa anche questo articolato e, superato il quale, le prestazioni e i farmaci diventano a pagamento. Altra strada è quella di prendere il problema a valle:

avviare una nuova tornata di spending review e destinare i risparmi all’abbattimento del ticket. Saitta suggersce un metodo un po’ diverso, per affrontare il problema. “Abbiamo ormai un’esperien-za di qualche anno e molto variegata sull’applicazio-ne del ticket. Studiamo gli effetti che hanno avuto le varie politiche regionali, stabiliamo gli obiettivi gene-rali, e articoliamo gli interventi in base all’esperienza. Troveremo sicuramente un punto di equilibrio. Basta prendere i dati e studiarli” dice l’assessore. “Nel 2014, prima del referendum sulla riforma costi-tuzionale, f rmammo il Patto della Salute, che era molto più di un accordo: le Regioni non andavano più avanti in modo solitario, ma decidevano insieme percorsi e obiettivi. L’articolo 8 di quel Patto preve-

deva la revisione dei ticket, ma è rimasto f nora inapplicato. Ora f nalmente c’è spazio per parlarne. Il tema – dice Saitta – si intreccia anche con la revi-sione delle detrazioni f scali, e fa parte di un ragio-namento più ampio, e non escludo che sia proprio quello f scale lo strumento con cui riaffrontare la questione, che è urgente. Dobbiamo unif care il sistema, e abbassare il superti-cket, perchè spesso il privato offre tariffe più conve-nienti ed è un controsenso. Ma anche ragionare sulla natura del ticket, che è stato pensato anche come un modo per scoraggiare le prestazioni inappropria-te, ed in questo ha funzionato”. Reinvestire i risparmi nel sistema è comunque un bene. “Il Fondo sanitario, in generale, non viene speso bene. Poche Regioni si sono attrezzate per tempo per i nuovi standard, e lì la sanità funzio-na. Oggi poi i cittadini si spostano, la mobilità crea maggior specializzazione. Il sistema politico è più indietro, con la sua pretesa di difendere tutto”.

(MSens.)

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l numero sempre più ampio di coppie che ricorrono alla PMA, le molteplici modifiche

apportate alle Legge 40/2004, i mutamenti del signi-ficato culturale riconosciuto alla genitorialità rendono di particolare interesse l’analisi delle opportunità e delle esperienze concrete delle coppie che affrontano oggi un percorso di procreazione medicalmente assi-stita.Una recente indagine del Censis ha analizzato il vissuto, le opinioni e gli atteggiamenti di 361 coppie in cura presso un campione di 23 Centri di II e III livello figuranti nel Registro Nazionale Procreazione Medicalmente Assistita, rappresentativo dell’universo dei Centri PMA.Molti sono gli spunti di riflessione che emergono dall’analisi e dal confronto, prima di tutto un dato anagrafico, che si inscrive nella tendenza generale nel Paese a procrastinare la scelta della genitorialità. Secondo l’Eurostat le donne italiane diventano madri per la prima volta mediamente a 30,7 anni, ad un’età che è la più avanzata rispetto a tutti gli altri Paesi europei, ed anche l’età media delle coppie che ricor-rono alla procreazione medicalmente assistita tende

a crescere, sia dell’uomo (dai 37,7 anni del 2008 ai 39,8 anni del 2016) che della donna (da 35,3 a 36,7 anni). Ma aumenta anche il tempo in cui si acquisisce consapevolezza che ci possano essere dei proble-mi: tra i primi tentativi di avere un figlio ed i primi dubbi circa la presenza di difficoltà trascorre 1 anno e 3 mesi. Anche i tempi della medicalizzazione si allungano: mediamente dai primi tentativi al primo contatto con il medico sono passati 2 anni e 2 mesi. Il percor-so però si allunga ulteriormente per le coppie meno istruite e diventa di oltre 2 anni e mezzo.Ma ciò che anche in questa ultima indagine rimane confermato è che le coppie meno istruite siano arriva-te ai centri di PMA dopo un percorso significativamen-te più lungo in termini di tempo rispetto a quelle più scolarizzate, dal momento che l’istruzione con ogni probabilità, migliora i livelli di conoscenza e le possi-bilità di accedere ad informazioni sul tema dell’inferti-lità e sui modi per combatterla che avvantaggiano, già nella fase iniziale, chi ne dispone. Se si considera il livello di istruzione, ad esempio, le donne intervistate sono laureate nel 45,9% dei casi, contro il 23,0% delle italiane nella stessa fascia d’età, mentre gli uomini sono laureati per il 36,6% nel campione contro il 14,8% della popolazione maschile con le stesse caratteristiche.Ma la complessità del percorso continua ad evidenziarsi ed anche con evidenti differenze territoriali.Dopo il contatto con il medico, ha inizio per la coppia il percorso diagnostico per l’individuazione delle cause dell’infertilità, un iter che non sempre porta al ricono-scimento di una condizione clinica come causa speci-fica di infertilità. A poco più delle metà delle coppie (55,0%) è stato diagnosticato un problema connesso a una causa specifica, il 9,7% delle coppie indica la presenza di dubbi del medico su possibili cause (in particolare al Sud e Isole, 19,1%), mentre nel 35,3% la

* Direttore Welfare Fondazione Censis

L’INDAGINE DEL CENSIS

I numeri della dolce attesa

Il vissuto delle coppie che affrontano un percorso di procreazione medical-mente assistita Lunghi i tempi prima di ricorrere alle cure: incide il fattore sco-larità Dominanti le prestazioni di tipo privato La scelta dei centri PMA Mol-teplici i disagi lungo il percorso delle cure

di Ketty Vaccaro*

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causa di infertilità rimane inspiegata. Il percorso diagnostico rimane, in non pochi casi, lungo e articolato ed è pari al 37,7% la percentuale di coppie che dichiarano di essersi rivolte a medici diversi prima di individuare la causa dell’infertilità, una quota che sale al Sud e Isole in maniera consi-stente (48,8%). (Fig.1)

Ed una volta giunta al centro per la PMA, prima di accedere ai trattamenti, solo una coppia su 3 ha atteso in media meno di 3 mesi e si tratta soprattutto di coppie (49%) che si sono rivolte a centri privati. Il 42% delle coppie ha atteso più di 6 mesi e la percentuale raggiunge il 61% tra chi si è rivolto a centri pubblici; tra questi, il 30% circa ha atteso un anno e oltre prima di accedere ai trattamenti.La scelta della struttura risulta essere dettata da diversi criteri, ma tra di essi spicca la fama per gli ottimi risultati della struttura, che rappresen-ta il criterio principalmente seguito dalle coppie (38,6%), in particolare al Centro Italia (42,9%) e tra i rispondenti con livelli alti di istruzione (45,1%). Inoltre, il 18,9% riconosce di aver scelto il centro perché vicino alla propria abitazione.Il 36,9% dei rispondenti al momento della rile-vazione si trovava a effettuare il primo ciclo, mentre il 63,1% ha indicato di essere già stato sotto-posto ad altri cicli in passato.Nello specifico, il 60,9% delle coppie dichiara di effet-tuare la fertilizzazione in vitro con Embryo Transfer (FIVET) omologa (il 2,6% eterologa). Il 42,3% è invece sottoposto ad una iniezione intracitoplasmatica dello

spermatozoo (ICSI) omologa (l’1,7% eterologa). Con quote più ridotte i rispondenti indicano di effettuare la crioconservazione dei gameti e il Crio-transfer da scongelamento (rispettivamente il 2,3% e il 5,2%).Il dato sui costi risente sia della variabilità dei tratta-menti, che della fase del percorso di cura delle coppie, tuttavia, nel complesso, emerge che solo per il 14% delle coppie i costi della PMA (con riferimento all’ul-timo ciclo di trattamenti effettuato), sono stati soste-nuti interamente dal Servizio sanitario regionale, il 49% ha pagato il ticket, il 35% invece ha pagato inte-ramente le prestazioni di tasca propria, soprattutto al Centro Italia (dove la percentuale sale al 67%) e al Sud (dove si arriva al 51%) e spendendo mediamente di tasca propria intorno ai 4.000 euro (4.200 euro al Nord, 5.200 al Centro, 2.900 al Sud). Per chi ha pagato il ticket presso centri pubblici e privati convenzionati, il costo è risultato in media di 340 euro (280 euro al Nord, 700 al Centro, 370 al Sud).La variabilità delle situazioni regionali è sottolineata dalle coppie sia in termini di qualità dei trattamenti (80%) che di gratuità nell’accesso (74%).E in effetti, anche i dati strutturali che descrivono le caratteristiche dell’offerta di centri per la PMA nel Paese evidenziano le differenze tra i territori con una netta prevalenza al Sud dei centri privati (fig. 2).

Tra ritardi nella presa di coscienza e nella medi-calizzazione, tempi di attesa e difficoltà, le coppie con problemi di fertilità soffrono di una sorta di sospensione esistenziale legata alla genitorialità mancata.

Nord

100%

90%

80%

70%

60%

50%

40%

30%

20%

10%

0%Centro Sud e isole Totale

34,8 31,4

48,837,7

65,2

68,6

51,262,3

NO SI

Fonte: Indagine Censis, 2016

Fig. 1 – Coppie che hanno indicato di aver consultato medici diversi prima di individuare la causa dell’ infertilità, per area geografica (val. %)

Nord-Ovest

100%

90%

80%

70%

60%

50%

40%

30%

20%

10%

0%Centro Sud e isole ItaliaNord-Est

36,3

PUBBLICO PRIVATO CONVENZIONATO PRIVATO

11,8

52,0

44,3

4,3

51,4

24,3

12,9

62,9

23,5

0,0

76,5

31,4

6,7

61,9

Fonte: Elaborazione Censis su dati del Registro Nazionale Procreazione Medicalmente Assistita

Fig. 2 – La distribuzione dei centri di PMA di I, II e III livello attivi al 2015, per area geografica (N= 357)(val. %)

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La frustrazione derivante dai tentativi falliti rappre-senta una delle cause principali di disagio (81,9%), ma la metà delle coppie segnala anche che il percorso di cura riesce spesso a condizionare ogni altro aspetto della vita quotidiana, diventando una sorta di pensie-ro dominante (fig. 3).

Si tratta comunque di partner legati da una alta voca-zione alla genitorialità, con il 65,4% delle coppie che, in caso di insuccesso del ciclo al quale sono sottopo-ste, intende riprovarci. Il 23,1% non ha ancora le idee chiare su come agirà in caso di insuccesso, mentre il 7,8% dichiara che se il ciclo attuale non dovesse andare a buon fine rinuncerà. Inoltre, in caso di insuccesso del ciclo attuale, il 31,0% dei rispondenti ha effettivamente contemplato la possibilità di adottare un bambino, mentre la grande parte (69,0%) risponde di non aver valutato questa possibilità.

Le coppie hanno anche espresso la propria opinio-ne sulla legge 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita e, pensando ai principi che disciplinano la legge, quasi la totalità delle coppie (93,0%), è d’accordo nel sostenere

che, nel nostro Paese, era necessaria una legge che regolamentasse un tema così delicato, così come il 90,2% pensa che sia giusto che esista una legge che tuteli i diritti dell’embrione. Tuttavia, sono ampiamente segnalati anche i proble-mi di attuazione della norma e, mentre l’81% auspica che la fecondazione eterologa venga resa essere real-

mente disponibile per tutti, quasi la stessa percentua-le (79,5%) ritiene che non in tutte le regioni italiane sia assicurato lo stesso livello di qualità delle cure ed il 76% è convinto che chi ha problemi di infertilità in Italia sia svantaggiato rispetto a chi vive in altri paesi europei.

Fig. 3 –Elementi che costituiscono fonte di disagio nell’esperienza delle coppie (val. %)

La frustrazione derivante dai tentativi falliti

La di�cile conciliabilità tra le esigenze di terapia e di lavoro

Il fatto che si tratta di un problema assillante che quasi non ti fa pensare a niente altro

La paura degli e�etti collaterali delle tecniche di PMA

La medicalizzazione di aspetti della vita intimi e personali quali procreazione e sessualità

La sensazione di essere “diversi” rispetto alle altre coppie

La scarsa comprensione e condivisione del problemada parte dei nostri genitori, ...

L’impatto negativo sulla qualità dei nostri rapporti di coppia determinato dalle...

81,9

61,2

52,1

46,4

41,5

40,5

30,4

27,9

Fonte: Indagine Censis, 2016

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EPATITE C E TERAPIE

Una matassa ancora da sbrogliare

no spartiacque. Si presenta così il “piano per l’eradicazione dell’epa-tite C” predisposto dall’A-

genzia Italiana del Farmaco (AIFA) e reso noto lo scorso mercoledì 8 marzo. Lo è di certo perché usa la parola “eradicazione” e perché, nel definire i nuovi criteri per i pazienti che possono curarsi con i nuovi e costosi farmaci antivirali, identifica circa 300.000 italiani e include quasi tutti i malati, molti anche asinto-matici. Ma lo è soprattutto perché usa la potenza di fuoco dell’AIFA (di fatto, il cliente unico di Big Pharma nel nostro paese) per azzoppare l’americana Gilead Sciences colpe-vole di non voler calmierare i prezzi dei due prodotti contro l’epatite C Harvoni e Sovaldi: “Niente sconto? – ha detto il direttore generale Mario Melazzini – allora, fuori i due prodotti dal SSN”. Un colpac-cio, senza dubbio. Che arriva dopo anni di trattative, fattesi serratis-sime negli ultimi mesi. Ma anche alla vigilia dello sbarco sul mercato italiano di due nuovi antivirali

ancora più potenti, uno di Gilead e uno di Abbvie, capaci di curare tutti e nove i genotipi del virus. Armi letali, e Melazzini lascia lo spira-glio per Gilead: tutti giurano che il nuovo farmaco, quando arriverà, sarà tra quelli forniti dal Sistema Sanitario Nazionale (SSN).Lo scacco, non tanto a sorpre-sa – peraltro – del Prof. Melazzini, cambia il tono delle mosse dell’AIFA sulla scacchiera bollente dei prezzi dei farmaci innovativi. L’epatite C diventa una case history e molti sperano che diventi, così, anche il modello per ogni trattativa che abbia come oggetto una medici-na salvavita dal costo proibitivo (oncologici e immunoterapici in prima fila). E allora vale la pena di ricostruire questa case history, per poterne trarre delle conseguenze e tentare di fare delle previsioni.

A partire dall’ora X: il 6 dicembre 2013, giorno dell’appro-

vazione con procedura d’urgenza da parte dell’ente americano, FDA (Food and Drug Administration), di Sovaldi, una medicina capace di portare alla guarigione completa i malati di epatite C. Le cronache la chiamano sin da subito “super-pillola” perché, in associazione con altri farmaci, cura la malattia senza la rischiosa e molto incerta terapia utilizzata in precedenza (con interferone e ribavirina); ma anche perché il suo primo anno sul mercato porta nelle casse della

biotech americana 15 miliardi di dollari, 20 milioni al giorno, dollaro più dollaro meno.“Big Bonanza”, dicono oltreatlanti-co, a maggior ragione perché Gilead Sciences non ha speso un dollaro per la ricerca di questa nuova fami-

glia di antivirali; si è limitata a un’ope-razione finanziaria comprando, nel 2012, Pharmasset per 11 miliardi di dollari proprio in virtù della nuova

L’aut aut di Melazzini a Gilead e il richiamo alla so-lidarietà sociale Uno stanziamento di 500 mi-lioni di euro all’anno per le terapie, ma le regio-ni già ne spendono di più I casi di Egitto e India

di Daniela Minerva

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In AIFA cambia il modello negoziale?

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molecola messa a punto dalla piccola biotech di Princeton, PSI-7977.Gli analisti di Wall Street defini-rono l’operazione “rischiosa”, ma affidarono alla Reuters anche la valutazione sulle prospettive di un mercato gigantesco, quello dei 12 milioni di persone infettate dal virus nei mercati principali. E una previsione: il business della guerra all’epaC salirà a 16 miliardi di dollari nel 2015 dagli 1,7 del 2012, ma il mercato poi crollerà, nel 2020 a 11,3 miliardi perché molte persone avranno avuto accesso a queste terapie che spazzano via il virus, insomma guariranno.Non stupisce che la guerra sui prezzi dei nuovi antivirali sia stata cruenta: sullo sfondo la previsione degli analisti, alle calcagna l’altra americana, Abbvie, che aveva in pipeline un farmaco di pari potenza arrivato sul mercato nel 2015; e di fronte i servizi sanitari chiamati a dare risposta a milioni di malati con sempre meno risorse a dispo-sizione.Dai primi mesi del 2014 sono partite le contrat-tazioni. Il prezzo di partenza, uniforme a quello pagato negli Usa, era di 70 mila euro. I punti esclamativi si sono sprecati per mesi, con i malati sempre più arrabbiati e le agenzie sanitarie europee a trattare, trattare, trat-tare. In Italia, il duello è proseguito per oltre un anno e l’allora diretto-re generale dell’AIFA, Luca Pani, ha voluto tenere nascoste le trattative dicendo che renderle pubbliche avrebbe pregiudicato l’esito. Fatto sta che giornali e addetti ai lavori hanno dato i numeri per mesi, prima accreditando un prezzo presunto di 40 mila euro. L’AIFA ha sempre negato che questa fosse

la cifra, e, comunque sia, il prezzo è certamente poi calato notevol-mente con l’arrivo di altri farmaci importanti, delle altre due america-ne Abbvie e Bms. A porre fine alle illazioni è stato ancora Pani dichia-rando di aver fatto con Gilead un accordo per curare 50 mila malati al prezzo di 750 milioni di euro. Che, sono comunque un’enormità tale da obbligare il ministro della Salute Beatrice Lorenzin a definire un fondo speciale di 500 milioni per il 2016, oggi reiterato anche per il prossimo triennio.

Insomma, prima della sortita di Melazzini il costo della terapia antivirale si aggirava attorno ai 15 mila euro. Tanti, troppi comunque. E a pagarne il prezzo più alto sono stati i malati non inclusi nei criteri stabiliti dall’AIFA per limitare i costi

(chi fosse interes-sato ai dettagli tecnico-scientifici di questi criteri li trova sia sul sito AIFA sia su quello di EpaC Onlus). In totale, in questi anni sono stati trattati circa 65 mila pazienti nei 273 centri specia-

lizzati definiti dall’AIFA su tutto il territorio nazionale. Ma le asso-ciazioni dei malati hanno sempre denunciato forti disparità – in parti-colare tra i centri del nord e del sud – nel garantire l’accesso a chi ne aveva diritto. In ogni caso, resta un delta tra i 50 mila inseriti nell’ac-cordo tra Pani e Gilead e i 65 mila già curati dalle regioni. Un delta, ha detto Melazzini a Repubblica a fine gennaio, sul quale: “Lavoriamo a un nuovo accordo e determineremo un nuovo prezzo, spero molto più basso di quello medio del passato contratto, che avrà effetto anche per i 15 mila trattamenti già antici-

pati dalle Regioni”. Visti gli sviluppi odierni, sarà interessante vedere come andrà a finire.

65 mila su 350 mila – tanti sono i malati censiti in Italia, ma si stima che ce ne siano molti più – sono pochi. E i sintomatici senza accesso

ai farmaci, ai quali pagare privata-mente le pillole costa 80.000 euro, hanno esercitato una tale pressio-ne politica che era diventato priori-tario dare loro una risposta. A maggior ragione perché le crona-che hanno cominciato a registrare i viaggi della speranza di italiani diretti verso l’Egitto (dove la terapia costa 900 dollari) o l’India dove ne costa 700. Già, gli indiani: quando decidono che una terapia è salvavi-ta non guardano in faccia a nessun brevetto, se la fanno in casa e tanti saluti alla WTO (World Trade Organization).

Ed è stata musica per le orecchie di chi non ne può più di questi costi spaventosi sentire Mario Melazzini dire a La Repubblica: “Se in India hanno dato la possibilità di produr-re a quelle cifre, allora faccia-no maggiori sconti anche a noi. L’industria deve anche ragionare in un’ottica di equità, solidarietà, responsabilità sociale. Ho richiamato più volte le aziende per dire loro che non possono guar-dare esclusivamente all’aspetto

Con l’arrivo dei nuovi farmaci la discesa dei costi sarà possibile

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finanziario. Stanno uscendo anche nuove molecole, siamo convinti di poter fare leva sulla concorrenza tra loro”.Insomma, il dg parla chiaro con Gilead: abbassate i prezzi, gli altri stanno arrivando, noi compreremo da chi ci fa i prezzi più bassi. E, in quegli stessi giorni, un competitor di Gilead ci ha detto: “ Arriveremo a 4000. Non sarà possibile diversa-mente”.

Così è andata. Ed è un’ovazione per il professore. Non importa che Melazzini abbia dovuto evocare l’India: “Vogliamo arrivare a un esito felice della nego-ziazione, ma se non dovesse essere così, siamo disponibili anche, in extrema ratio, a chiedere la licenza obbligatoria, con cui lo stato produr-rebbe i farmaci anti epatite C senza brevetto e a prezzo più contenuto”.

Dove? Allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, naturalmente, preposto proprio a questi scopi.

No, noi non siamo l’India. Nessuno ha creduto alla boutade di Melazzini. Ma, oggi, pensiamo che, forse, ha preso una decisione ancora più forte. Proprio perché tutta economica. Ha puntato sul fatto che il SSN è il cliente unico per queste Big Pharma che hanno farmaci importan-tissimi e salvavita, ma che li vendono a prezzi impos-sibili per le nostre tasche. Magari prezzi giustificati dagli alti costi della ricerca, come certamen-te è per gli oncologici e gli immu-nologici, ma comunque impossibili per le nostre tasche.

A oggi il risultato è che passa anche più di un anno prima che i malati abbiano accesso ai nuovi prodotti, dopo la loro approvazio-ne. Tempo speso dall’AIFA a trat-tare il prezzo con le aziende e da regioni e ASL a trovare i soldi per pagarlo. La logica risponde in uno e un solo modo: se io sono il tuo

cliente unico, o trovia-mo un accordo decente sul prezzo rapidamente, o sei fuori. Melazzini ci ha messo pochi mesi a cacciare fuori dal SSN Gilead. Molti scom-mettono che tutto

rientrerà a breve e che siamo solo agli show off di una trattativa cruenta. Vedremo. Ma Melazzini ha dimostrato di saper battere i pugni sul tavolo, e già questo ci infonde ottimismo.

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UN PANORAMA ANCORA CONFUSO

Le regioni e la cannabis farmaceutica

uso terapeutico della cannabis è una realtà anche in Italia. Anche se ci confermiamo sempre un

po’ in ritardo rispetto ad altri Paesi, il risultato è arrivato: il Ministero della Salute ha infatti emanato nei mesi scorsi un decreto che inserisce la cannabis nelle sostan-ze farmacologicamente attive e dispone le regole per la prescrizio-ne, la preparazione e la dispensa-zione di questa cura. Si tratta di un atto importante dentro un percorso iniziato fin dal 2007, quando numero-si derivati della cannabis erano stati inseriti nella tabella ministeriale che ne consente la prescrizione con ricetta medica. Fino ad oggi, in termini generali, la cannabis per uso terapeutico confezionata in appositi conte-nitori proveniva dall’Olanda: da qualche mese, invece, anche in Italia è iniziata una produzione “autarchica”, nella sede dell’Istitu-to Chimico Farmaceutico Militare di Firenze. La catena produttiva prevede poi l’impiego del principio attivo Tetraidrocannabinolo (THC) in forme farmaceutiche diverse, suddivise in base alle indicazio-

ni d’uso e all’impiego previsto nel singolo paziente.

Fin qua le linee generali di un percorso che, almeno su scala nazionale, appare ormai definito. Passando però all’applicazione pratica di questa normativa, come spesso accade, si scopre però che l’Italia non è una realtà unitaria. Il Ministero della Salute ha rimandato alle Regioni le modalità di accesso alla terapia con la cannabis e i

criteri di rimborsabilità. Le diverse modalità decisionali delle regioni, infatti, creano una disparità sul possibile accesso a questo approc-cio terapeutico, a partire dalle modalità di pagamen-

to, che vedono in alcune regioni le Asl come “pagatori” diretti mentre, in altre, è il paziente a doversi far carico del costo della terapia. Questo perché, fino ad oggi, prima dell’introduzione della cannabis prodotta in Italia, alcune regioni hanno chiesto ai cittadini un contributo per far fronte all’acqui-sto dei prodotti a

base di cannabis importati dall’O-landa. Come se non bastasse, e siamo sempre nel mondo degli esempi, la lista delle patologie che potenzial-mente potrebbero essere trattate con i derivati della cannabis non è lo stesso in tutte le Regioni. Infine, non tutte le farmacie sono attrezzate per mettere a disposi-zione del paziente la nuova terapia, anche se esiste una buona diffusio-ne sul territorio delle farmacie che possono mettere a disposizione i principi attivi nelle forme farmaceu-tiche richieste per il trattamento.

In questo panorama organizza-tivo ancora confuso, ma sicura-mente in via di sistematizzazio-ne a tutto vantaggio dei cittadini, rimangono le caratteristiche inte-ressanti sotto l’aspetto terapeutico della cannabis, i cui quantitativi di tetraidrocannabinolo sono, ovvia-mente, controllati.

LE INDICAZIONI SECONDO LA LEGGEIl Decreto del 9 novembre 2015, oltre a definire le modalità di colti-vazione e preparazione, definisce anche quelle che, dal punto di vista prescrittivo, possono essere

le indicazioni terapeuti-che. Su questi aspetti vale la pena di soffermarsi. Il Ministero della Salute prende un impegno importante: promuovere la conoscenza e la diffu-sione di informazioni sull’impiego appropriato

L’

Molte le diversità tra le Regioni sulla gestione e sull’accesso

Non sempre concordanti le diverse opzioni per il suo uso terapeutico I possibili nuovi utilizzi all’o-rizzonte: il glaucoma e la sindrome di Tourette?

di Marco Polcari

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delle preparazioni magistrali a base di cannabis, sulla base dei pareri dell’AIFA e dell’Istituto Superiore di Sanità. A fianco di questo percorso formativo-informativo per medici e farmacisti, poi, vanno sempre considerati gli spazi applicativi per questa terapia. Il decreto rivela come gli impie-ghi di cannabis ad uso medico siano presenti in studi clinici controllati, studi osservazio-nali,nelle revisio-ni sistematiche e nelle metanalisi della letteratura internazionale indicizzata. Si rileva anche che i risultati di questi studi non sono conclusivi. Per questo sono previste riconsiderazioni sistematiche in “real life” al fine di valutare l’impatto reale sul fronte terapeutico dei composti utilizzati. “In considerazione delle evidenze scientifiche fino ad ora prodotte, che dovranno essere aggiornate ogni due anni, si può affermare che l’uso medico della cannabis non può essere considerato una terapia propriamente detta, bensì un trattamento sintomatico di supporto ai trattamenti standard, quando questi ultimi non hanno prodotto gli effetti desiderati o hanno provocato effetti seconda-ri non tollerabili, o necessitano di incrementi posologici che potreb-bero determinare la comparsa di effetti collaterali” – si scrive nel Decreto Legge– “Le indicazioni dicono che, al momento, gli impie-ghi di cannabis ad uso medico riguardano: l’analgesia in patologie che implicano spasticità associa-ta a dolore, l’analgesia nel dolore cronico (con particolare riferimen-to al dolore neurogeno) in cui il trattamento con antinfiammatori non steroidei o con farmaci corti-sonici o oppioidi si sia rivelato inefficace, l’effetto anticinetosi-

co ed antiemetico nella nausea e vomito, causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV, che non può essere ottenuto con trat-tamenti tradizionali, l’effetto stimo-lante dell’appetito nella cachessia, anoressia, perdita dell’appetito in pazienti oncologici o affetti da

AIDS e nell’anoressia nervosa, che non puo’ essere ottenuto con trattamenti standard. L’effetto ipotensivo nel glaucoma resistente alle terapie convenzionali, la riduzione dei movimenti

involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette che non puo’ essere ottenuta con trattamenti standard. In qualche modo, quindi, il Decreto Legge recepisce quanto emerso in letteratura sul tema. Un’ampia metanalisi condotta nel 2006 offriva un primo, importante responso sulla reale utilità della cannabis e più specificamente di alcuni cannabinoidi, in ambito medico. Due sostanze, nabilone e dronabilone, venivano infatti riconosciute come potenzialmen-te efficaci nel trattamento dell’e-mesi nei pazienti oncologici: per questo, oggi, la cannabis si potreb-be proporre come alternativa per i pazienti non responders ai farmaci impiegati in prima linea con questa indicazione. Inoltre, questa verifi-ca di letteratura ripropone l’effica-cia della cannabis nel trattamento del dolore cronico, indicazione poi confermata da numerosi altri studi. Più discussa è, invece, la possi-bile indicazione nel trattamen-to dell’anoressia. E’ vero che esistono prove che confortano questa possibilità, ma ci sono anche studi, come quello ripor-tato sulla Cochrane Library nel 2013, che invece pongono l’at-tenzione su un fatto: la docu-mentazione esistente non

sarebbe sufficiente per poter arri-vare ad una definiz ione certa dell’u-tilità della cannabis in questa pato-logia. In termini più generali, comunque, oggi si valuta-no diversi utilizzi della cannabis e, nel percorso di studi, su diverse indicazioni terapeutiche ci sono numerose segnalazioni positive. Per questo, la cannabis, potreb-be avere un ruolo nella terapia della sindrome di Tourette e nella terapia della malattia di Parkinson, così come potrebbe essere impie-gata nella cura degli episodi tran-sitori di depressione, pur se inizial-mente può determinare sintomi di tipo ansioso come la tachicardia, che sparisce comunque col tempo. Le osservazioni fino ad ora dispo-nibili sono, in alcuni casi, ancora troppo limitate per poter giunge-re ad una conclusione definitiva. Un esempio delle prospettive di ricerca? vista l’azione dei canna-binoidi nel ridurre la pressione oculare, c’è chi ipotizza un impiego della cannabis nel trattamento del glaucoma: anche questa indica-zione è stata recepita nel Decreto Legge. In questo caso, tuttavia, l’American Glaucoma Society ammonisce che non ci sono infor-mazioni chiare sulla sicurezza e sull’efficacia del preparato, sconsi-gliandone l’impiego. La discussio-ne, quindi, ferve!

Possibili nuovi utilizzi all’orizzonte

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TROPPE ARMI SPUNTATE?

Antibioticoresistenza: la grande sfida del futuro prossimo

ischio di indurre infezio-ni potenzialmente letali, ricorso all’ospedale per trattare le infezioni, resi-

stenze sviluppate ad oggi, capa-cità di passare da una specie all’altra, possibili-tà di individuare nuove terapie antibiotiche. Questi sono i criteri che hanno spinto l’Or-ganizzazione Mondiale della Sanità (OMS), sulle evidenze di un’analisi condotta dall’Università tedesca di Tubinga, a definire una lista dei germi più a rischio di sviluppo di resistenze e da monitorare con attenzione per il futuro. Per la cronaca, ai primi posti di questa classifica dei poten-ziali nemici per la salute pubblica ci sono i nemici verso cui la medicina sta alzando le mani, ovvero i germi multiresistenti che non rispondono ai trattamenti con i farmaci dispo-nibili e nemmeno ai carbapenemi e alle cefalosporine di terza gene-

razione. I loro nomi? Acinetobacter baumannii, Pseudomonas aerugi-nosa e alcune delle enterobacteria-cee. I rischi sono legati soprattutto alla situazione intraospedaliera e,

in particolare, nell’ambi-to delle unità di terapia intensiva.L’elenco dell’OMS è solo l’ultimo degli allarmi sul fenomeno dell’anti-biotico-resistenza, che rappresenta oggi una

delle sfide più impegnative per la sanità pubblica, anche per l’inap-propriato impiego degli antibiotici. Secondo recenti stime della stessa Organizzaz ione Mondiale della Sanità, i superbat-teri saranno nel 2050 la principale causa di morte. Già oggi, comun-que le cifre asso-migliano ad un

vero e proprio bollettino di guerra. In Europa, si verificano annualmen-te 4 milioni di infezioni da patogeni antibiotico-resistenti che causano oltre 37.000 decessi e sono respon-sabili di un significativo assorbi-mento di risorse, sanitarie e non, che ammontano a circa 1,5 miliardi di euro l’anno; negli Stati Uniti sono 2 milioni i soggetti colpiti da un’in-fezione resistente agli antibiotici con circa 50.000 morti e una spesa che supera i 20 milioni di euro. In Italia, la resistenza agli antibioti-ci si mantiene tra le più elevate in Europa e quasi sempre al di sopra della media europea. Nel nostro Paese ogni anno, dal 7% al 10% dei pazienti va incontro a un’infezione batterica multiresi-stente con migliaia di decessi. Le infezioni correlate all’assi-stenza (ICA) colpiscono ogni anno circa 284.100 pazienti causando circa 4.500-7.000 decessi. Le più comuni infezioni sono polmonite (24%) e infezioni del

tratto urinario (21%). I costi associati all’in-cremento dei giorni di ospedalizzazione nel nostro Paese variano da 4.000 euro (rico-vero in Medicina) a 28.000 euro (Terapia Intensiva).

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OMSI superbatteri saranno la principale causa di morte nel 2015

I problemi generati non solo dall’abuso dei farmaci, ma an-che dalla mutazione dei batteri Per l’OMS i superbatteri sa-ranno la principale causa di morte nel 2015 Nuove speran-ze dagli anticorpi monoclonali e dalla capacità di “rigenerare” farmaci vecchi Per il periodo 2014-2024 il progetto dell’U-nione Europea NewDrugs4BadBugs stanzierà 3.276 miliardi

di Federico Mereta

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COME NASCONO LE RESISTENZE?Non è solo l’impiego poco appro-priato degli antibiotici a favorire lo sviluppo di resistenze. I batteri sono per loro natura mutanti, sono piccoli e si riproducono rapidamen-te, tanto che in condizioni ottimali possono raddoppiare di numero ogni venti minuti. I geni che favori-scono la resistenza si trasmettono con grande facilità anche da una specie all’altra ed anche in parti-colari situazioni, come ad esempio nella zootecnia, quando questi farmaci vengono usati per profi-lassi e anche per l’impiego di anti-biotici per agricoltura. L’attenzione all’ambiente è fondamentale per ridurre i rischi di insorgenza di antibiotico-resistenza. In questo senso, peraltro, la strada da fare sembra essere ancora lunga e non mancano i segnali d’allarme. Qualche tempo fa, ad esempio, la salmonella tiphymurium si è rive-lata resistente in una percentuale significativa di casi. Ma ciò che più conta è che le mutazioni che poten-zialmente hanno indotto la resi-stenza sarebbero state riscontrate tempo fa non solo nell’uomo, ma anche nei mangimi per uso veteri-nario e in alcuni alimenti.

Ma non basta. Anche in Asia, secondo un’indagine del centro per il controllo delle malattie (CDC) di Atlanta, ceppi resistenti di salmo-nella sono stati osservati negli animali e poi si sono “trasferiti” nei germi che attaccano l’uomo attra-verso i cibi. La resistenza batteri-ca si trasmetterebbe quindi anche per mezzo dei batteri presenti negli alimenti, che ovviamente non provocano alcun problema di salute, in un fenomeno defini-to “trasferimento orizzontale” dei geni della resistenza, che passano attraverso un microorganismo commensale per il corpo umano

e fino a raggiungere germi patogeni che, nelle fasi successive di sviluppo, incor-porano nel proprio genoma la mutazione o le mutazioni che li rendono inattaccabili da un determinato antibioti-co e la loro “stirpe” conserva questa caratteristica, diven-tando quindi resistente all’antibioticoterapia.

I MECCANISMI DELLA RESISTENZALa resistenza agli antibio-tici può essere causata da un processo naturale di selezione causato dalle mutazioni genetiche a cui vanno incontro i batteri, ma è anche il risultato dei nostri comportamenti: l’uso ecces-sivo e improprio degli antibiotici permette alle popolazioni resi-stenti di proliferare e prendere il sopravvento. Compaiono quindi in questo modo i superbatteri resi-stenti agli antibiotici disponibili. I geni mutati si trasmettono non solo alle cellule figlie (trasferimen-to genico verticale), ma anche ad altri batteri della colonia, “fratel-li o sorelle” o anche solo lontani parenti (trasferimento orizzonta-le) e forniscono al batterio le armi per difendersi dagli antibiotici in vari modi. Ad esempio, possono produrre enzimi che distruggono l’antibiotico, esprimere sistemi che impediscono al farmaco di raggiun-gere il suo bersaglio intracellulare, modificare il sito bersaglio dell’an-tibiotico, produrre una via metabo-lica alternativa che bypassa l’azione antibatterica del farmaco stesso. Attraverso questi meccanismi si sviluppano i rischi, che poi impat-tano pesantemente sul singolo e sulla spesa sanitaria. La crescente resistenza antibiotica o batterica riduce le possibilità di prevenire e trattare un’ampia gamma di infe-zioni batteriche della pelle, dell’ap-

parato gastro-intestinale, delle vie urinarie, del tratto respiratorio e del sangue. Inoltre rende comples-sa l’effettuazione di una profilassi antibiotica efficace pre-operatoria: interventi banali come l’estrazio-ne di un dente o un’operazione di appendicite metterebbero a rischio la vita. A maggior ragione interventi come i trapianti, la grande chirurgia addominale, le operazioni a cuore aperto. Il risultato è che infezioni comuni e ferite banali potrebbero tornare a essere letali come avve-niva fino al secolo scorso.

DOVE VA LA RICERCAOltre ad un più efficiente impiego degli antibiotici sul territorio e in ospedale e al rispetto delle norme igieniche che possono contrasta-re le infezioni, prime tra tutte la profilassi vaccinale e il semplice lavaggio regolare delle mani nelle corsie, i tentativi della ricerca si concentrano su due strade. Una è più innovativa, l’altra punta su modelli più tradizionali. Sul primo fronte, un’opzione importante può venire dallo sviluppo di anti-corpi monoclonali mirati, attual-mente in fase di sperimentazione: questi potrebbero agire non diret-tamente sul germe, ma piuttosto sulla tossina, in caso di infezione dal Clostridium difficile o dallo

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Stafilococco resistente alla meti-cillina. Più vicini sono, invece, altri farmaci che puntano a individuare nuovi composti simili alle vecchie famiglie di antibiotici o associazio-ni diverse per “rigenerare” farmaci non più attivi da soli. Questa stra-tegia punta a coniugare antibiotici che ormai hanno poche indicazioni con molecole che riescono a scin-dere gli enzimi inattivanti prodotti dai batteri, restituendo quindi ai vecchi farmaci la capacità di vincere i germi divenuti resistenti.

Attenzione, però: prima che alcuni di questi medicinali siano effettivamente disponi-bili dovranno passare anni, con il rischio che nel frattempo i batteri sviluppino resistenze nuove e impossibili da dominare. E soprattutto solo pochissimi tra gli antibiotici in via di sviluppo potran-no essere attivi contro i germi più “cattivi”, come le Klebsielle o gli Escherichia coli. Ora si punta su un piccolo numero di antibiotici in sviluppo negli Usa che promettono di essere attivi contro i superbatte-ri, ma ci vorrà tempo. Qualcosa si è mosso, grazie anche all’impulso dato da Governo e Parlamento americano, dall’Unione europea, G7, e dalle aziende che hanno ripreso le attività di ricerca e sviluppo di nuove molecole. In particolare, nel Vecchio Continente è stato lanciato il programma NewDrugs4BadBugs (ND4BB) dell’Innovative Medicines Initiative (IMI) dell’Unione Europea. È una partnership pubblico-privato che sostiene la ricerca e lo sviluppo di nuovi antibiotici nei confronti dei batteri resistenti. Per il periodo 2014-2024 l’investi-mento previsto è di 3.276 miliar-di di euro, a riprova della grande attenzione delle autorità politiche e sanitarie sulla tematica.

PARLA ANDREA NOVELLI DELL’UNIVERSITÀ DI FIRENZE

Siamo nell’era post-antibiotica?

l ricorso a farmaci inno-vativi per cure sempre più mirate, l’addio all’uso fai-da-te dei medicinali - che vuol dire

anche smetterla con l’abuso di anti-biotici - e poi più investimenti nelle strutture e nelle nuove tecnologie. Passa da questi concetti la “cura” che il professor Andrea Novelli, professore di Farmacologia al Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Firenze e dirigente nell’Unità Operativa di Farmacologia presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, suggerisce per arginare il ritorno di una minaccia che sembrava conse-gnata definitivamente al passato. E che invece oggi è, purtroppo, una realtà con cui dover fare i conti. L’incombente pericolo dei super-batteri, i batteri in grado di resi-stere a tutti o quasi gli antibiotici disponibili, sta mettendo in scacco la comunità internazionale tanto che poche settimane fa, durante l’assemblea generale dell’Onu, i

Capi di Stato di molti Governi hanno sotto-scritto addi-rittura una dichiarazione politica congiun-ta sulle linee guida mondiali per la lotta alla resistenza antimicrobica.“Rispetto a quello che avevamo fino a dieci anni fa, devo dire che c’è un vero e proprio risveglio o, comunque, un interesse maggiore da parte dell’industria nel trovare nuove molecole – sottolinea il professor Novelli, che spiega: “Alcune di queste molecole sono il maquillage di molecole in uso già da tempo, altre sono molecole più innovative ma sono sicuro che tutte contribuiranno ad aiutarci a trattare meglio i nostri pazien-ti. Dobbiamo ancora lavorare per arrivare al buon uso degli antibio-tici e, ad esempio, distinguere tra un colonizzante ed un effettivo

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Troppi assumono gli antibiotici con tempistiche e mo-dalità sbagliate La ricerca di questo settore è sta-ta meno produttiva forse anche perché gli antibiotici sono meno remunerativi in termini di ritorni economici

di Daniele Pallotta

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PARLA ANDREA NOVELLI DELL’UNIVERSITÀ DI FIRENZE

Siamo nell’era post-antibiotica?

patogeno, nei reparti dove vi siano infezioni gravi, sarebbe già molto importante. Ci aiuterebbe infatti ad attuare scelte terapeutiche diverse e più mirate, con risparmi non solo nei costi, ma anche nell’uso dei farmaci, soprattutto degli antibioti-ci. Molti dei batteri polichemioresi-stenti sono figli di scelte sbagliate da parte del medico proprio dal punto di vista terapeutico”.

Professore, partiamo da un’emergenza vera, anche nei numeri: entro il 2050 le infezioni resistenti agli anti-biotici potrebbero essere la prima causa di morte al mondo con un tributo annuo di oltre 10 milioni di vite, più del numero degli attuali decessi per cancro. Che cosa sta succedendo secondo lei?“Spero anzitutto che questa ipotesi non si realizzi mai. Spesso si è parlato di un’era post-antibioti-ca negli ultimi venti anni. Io sono un preclinico, ma credo che il proble-ma vero sia legato a due aspetti fondamentali: l’incremento delle resistenze, ovviamente, ma anche il ridotto numero di nuovi antibio-

tici che vengono oggi sviluppati. A questi punti si deve poi aggiunge-re la mancanza di un uso attento degli antibiotici, che vuol dire molto semplicemente non usare tutto per tutti senza una corretta valuta-zione. Questo è forse l’aspetto più importante da considerare oggi. Molte delle molecole che ancora abbiamo possono rappresentare un valido aiuto nel controllo delle infezioni, ma se usate male, o in condizioni non adeguate o con modalità sbagliate, possono rive-larsi addirittura fallimentari. C’è questa prerogativa, in Italia, di poter acquistare confezioni di medicinali che servono molto spesso per un tempo più lungo di quello prescrit-to dal proprio medico. Ognuno di noi ha nel proprio armadietto una serie farmaci il cui impiego in autonomia può talvolta rivelarsi sbagliato. Si tratta di una abitudine prettamente italiana del fai-da-te nell’uso dei farmaci. Questo incide sul problema delle resistenze, ma non è l’aspetto fondamentale che, a mio avviso, è correlato invece alla definizione stessa di antibiotici che di per sé sono delle esotossine, dei veleni, che vengono prodot-ti da microorganismi quando il

substrato azotato viene a mancare. Il concetto di resistenza è legato così al concetto di antibiotico, proprio perché l’antibiotico come esotossina, come veleno, prevede che chi lo produca ne sia in una certa misura resistente. Da qui la diffusione anche a specie sensibili aumentata in parte dall’uso impro-prio. Un altro aspetto importante è correlato al fatto, che per molti anni, noi abbiamo sopravvalutato la reale potenza e la reale efficacia dei nostri antibiotici. Questo nasce da un non corretto trasferimento delle informazioni che si hanno a livello laboratoristico per quanto concerne l’attività antibatterica in vitro. Il tutto viene trasferito poi al letto del malato senza tenere in considerazione quelli che sono gli aspetti importanti, ad esempio, le caratteristiche farmacodinamiche (cioè la reale capacità di uccidere i batteri) e farmacocinetiche (ovvero

il comportamento del farmaco nel nostro organismo, dal momento dell’ingresso fino alla sua comple-ta eliminazione). Questo fa sì che, molto spesso, si vada ad utilizzare l’antibiotico in maniera incongrua per durata e modalità di sommi-nistrazione. Con conseguenze importanti sull’aumento dei falli-menti terapeutici e sull’incremento delle resistenze. Un’ultima consi-derazione dobbiamo riservarla oggi alle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali). Gli anziani che vivono nelle RSA, presentano molto spesso patologie infettive sostenute da batteri che hanno le stesse caratte-ristiche di resistenza dei patogeni

Primo comandamento: evitare il fai-da-te

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ospedalieri, oltre ad avere di per sé anche una serie di fattori di rischio legati all’età e alle comorbidità”.

La resistenza microbica è effettivamente un problema globale ma perché l’Italia, secondo lei, risulta essere uno dei Paesi più esposti?“A differenza di quanto fatto in altri Paesi, in Italia siamo arri-vati tardi ad affrontare questo problema. C’è la mancanza di reti di connessione a livello nazionale per la trasmissione e lo scambio delle informazioni, oltre ai fattori che prima citavo. Non da ultimo c’è una tendenziale carenza a livello generale sulle conoscenze farma-cologiche e quindi sugli aspetti dinamico-cinetici degli antibiotici al fine di poterli impiegare in maniera ottimale”.

Negli ospedali italiani il 45% dei pazienti viene trattato con anti-biotici, mentre un comportamen-to virtuoso dovrebbe collocare quest’uso fra il 25–30%. Perché accade ciò?“C’è un’abitudine ad un uso ecces-sivo di antibiotici probabilmente per gli aspetti di cui dicevamo. E’ un po’ la coperta di Linus anche se oggi dobbiamo invece confron-tarci con la necessità di attuare in questo campo strategie tera-peutiche ponderate, quelle che sono comprese nella cosiddetta stewardship antibiotica, che tiene conto non solo di ottenere un successo terapeutico in un deter-minato paziente, ma anche di ridurre la pressione selettiva sulle

resistenze in modo da non danneg-giare i futuri pazienti. A tale propo-sito, ritengo che si debba conside-rare anche l’impatto delle nuove tecnologie nell’ambito delle scelte sanitarie. Non dimentichiamoci, infatti, che non è così scontato far accettare a coloro che hanno la responsabilità amministrativa ed economica di una struttura ospe-daliera, il concetto dell’importanza di investire oggi in apparecchia-

ture che possano far risparmia-re col tempo una parte dei costi di gestione del paziente non solo in termini di spesa farmaceutica. Oggi, un moderno laboratorio di Microbiologia è in grado di dare le risposte, comprese le indicazio-ni sul grado di resistenza, in tempi brevi (alcune ore), invece delle 48-72 ore necessarie con le meto-diche classiche, permettendoci così di ridurre l’entità della terapia anti-biotica empirica anche in termini di numero e tipo degli antibioti-ci usati. Questo richiede però un investimento in apparecchiature e sistemi di analisi che hanno un costo teoricamente elevato a livello assoluto, ma non in senso relati-vo se consideriamo l’ottimizzazio-ne della terapia. Credo che oggi, almeno nei principali ospedali, si dovrebbero fare degli investimenti in tal senso e si dovrebbe investi-re anche nel personale, visto che un laboratorio di microbiologia dovrebbe funzionare ventiquattro

ore su ventiquattro, sette giorni su sette per tutto l’anno”.

Ci sono regioni con maggiore sensibilità?“Come sempre ci sono regioni che hanno una maggiore sensi-bilità e sicuramente tra queste vi è la Toscana, ma non è solo un problema di regione o di territori con il solito discorso del nord più attento. Spesso c’è un problema di

strutture, di domanda ed offerta, di difficoltà di altro tipo che possono portare a una attenzione diversi-ficata su questi aspetti. Certo ci si aspetterebbe maggiore impegno a livello nazionale, a livello centrale, per riuscire ad affrontare il proble-ma e capire quali possano essere le soluzioni. In altri Paesi sono stati ottenuti importanti risultati. Un esempio fra tutti è la Gran Bretagna, dove la meticillino-resi-stenza degli stafilococchi è stata ridotta grazie a programmi di stewardship e reti di collaborazio-ne che da noi sono ancora a livello embrionale”.

Perché è sempre più difficile scoprire nuovi antibiotici?“E’ difficile per molte ragioni tra loro diverse. Scoprire nuovi mecca-nismi di azione, nuove vie alterna-tive a quelle classiche, già percor-se negli ultimi sessant’anni non è così immediato. Vuol dire investire

Toscana, un impiego più oculato

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molto nella ricerca di base anche a rischio di scelte che potrebbero rivelarsi sbagliate, magari dopo che vi sia stato un ingente investimento di mezzi e di idee. Nel campo dei chemioterapici anti-microbici le molecole nuove in fase di sviluppo sono spesso portate avanti da piccole realtà azienda-li, piccole compagnie spin-off o start-up che fanno il lavoro iniziale di esplorazione, di ricerca di base, sempre meno sostenuta dalle grandi aziende multinazionali. Rispetto a quando ho iniziato la mia attività in questo settore, abbiamo assistito a una costante riduzione del numero delle aziende farma-

ceutiche multinazionali impegnate nella ricerca e sviluppo di nuove molecole antibatteriche e in parte anche antifungine.Scoprire, sviluppare e portare a registrazione un antibiotico inno-vativo ha un costo almeno sovrap-ponibile a quello necessario per un anti-ipertensivo ed è chiaro che vi è anche un problema di ritorni economici diversi legati al numero degli utilizzatori e alla durata media della terapia. Quella dell’antibioti-co è generalmente breve e in una popolazione contenuta di pazienti. Il contrario avviene nella ricerca in campo oncologico dove l’impie-go delle nuove strategie fa sì che si abbia un ritorno in tempi rapidi dell’investimento. Sono aspetti che sicuramente entrano in gioco nelle scelte”.

Che fare allora?“Oggi più che mai è importante il lavoro di squadra. Deve essere un impegno che veda

coinvolto il microbiologo, che ha il compito di analizzare in laboratorio il campione che gli è stato inviato, ma anche di dare un’interpretazio-ne del risultato in modo da aiutare il clinico nella scelta terapeutica.Accanto a questa figura è impor-tante la presenza del farmacologo clinico che, in funzione delle sue conoscenze, può aiutare il clinico a trasferire il dato di laboratorio al letto del paziente e può coadiuva-re l’infettivologo nella scelta della molecola antibiotica più adeguata. In definitiva, il clinico dovrebbe fare sempre più ricorso a questi colle-ghi, anziché ricorrere al loro aiuto solo quando la situazione sia diven-tata ingestibile”.In conclusione, in tema di anti-bioticoterapia, in funzione delle resistenze è sempre più attuale il suggerimento che Paul Ehrlich, il fondatore della chemiotera-pia, espresse più di un secolo fa, consigliando di colpire forte e colpire in fretta.

Negli ospedali italianiun tasso maggiore di uso di antibiotici

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UN SETTORE IMPORTANTE NELLA RIFORMA SOCIO-SANITARIA DELLA LOMBARDIA

La farmacia dei servizi

a farmacia è tra i servizi più apprezzati dai cittadini, come risulta da tutte le inda-gini realizzate da vari istituti

di ricerca. L’elevato gradimento dei cittadini per la farmacia nasce, oltre che dall’impegno professionale e umano dei farmacisti, da alcuni punti di forza ben precisi: la capillarità, la “vicinanza” al cittadino (sia fisica, intesa come facilità di accesso, sia umana, nel senso di capacità di farsi carico dei problemi delle persone), il forte legame con il SSN (la farmacia è un presidio convenzionato con il SSN), il valore professionale delle risorse umane impiegate (57.000 farmacisti impegnati ogni giorno a tutelare la salute dei cittadini), l’informatizzazio-ne e il collegamento in rete.La farmacia, grazie a queste carat-teristiche, è un importante punto di riferimento per i cittadini, ma i suoi punti di forza possono essere sfrutta-ti ancora meglio per garantire un’assi-stenza territoriale più efficace. In particolare, i nuovi servizi possono costituire una grande opportunità per il sistema.Ciò è stato ben compre-so, a livello nazionale, dal Parlamento e dal Governo, che hanno varato una normativa innova-tiva, scaturita dalla legge n. 69/2009, che ha delegato il Governo alla defi-nizione dei nuovi servizi, e dal succes-

sivo decreto legislativo n. 153/2009, attuativo della delega. Tale normativa prevede l’erogazione in farmacia di nuovi servizi ad alta valenza socio-sanitaria, quali: la parte-cipazione all’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) e la presa in carico di particolari pazienti cronici, la realiz-zazione di iniziative per il corretto uso del farmaco, la partecipazione a programmi di educazione sanitaria e prevenzione, l’effettuazione di autoa-nalisi di prima istanza, le prenotazioni di visite ed esami (CUP).I nuovi servizi porteranno una serie di importanti vantaggi per i cittadi-ni e per il sistema. l cittadini rispar-mieranno tempo e denaro. Basti pensare alla possibilità di prenotare in farmacia visite ed esami, pagando anche il ticket, senza fare la fila, e ritirando poi anche i referti sempre in farmacia, o alla possibilità di effet-tuare alcuni test autodiagnostici per tenere sotto controllo i principali para-metri di salute e recarsi dal medico in

presenza di un primo campanello di allarme, effettuando poi analisi

più approfondite.Le ASL potranno spostare risorse economiche e umane su

altre attività, mentre la farmacia vedrà valorizzato il proprio ruolo di snodo territoriale del sistema.Tale evoluzione si sta concretizzando in Regione Lombardia con un percor-

so normativo specifico. Vediamone i passaggi più importanti.Il Consiglio regionale della Lombardia ha recentemente approvato la Legge regionale n. 6, con cui è stato profon-damente innovato e armonizzato il Titolo VII della Legge regionale 33/2009, relativo alle disposizioni in materia di assistenza farmaceutica. Questo provvedimento normativo regionale va inquadrato nella gene-rale volontà del legislatore lombardo di riformare profondamente l’assesto socio-sanitario regionale. Un proces-so di rinnovamento iniziato con la legge regionale 23/2015 e proseguito dapprima con la Legge 41/2015 ed ora con la legge regionale 6/2017.La nuova Legge Regionale 6/2017, oltre ad aggiornare ed armonizzare la normativa regionale anche alla luce delle modifiche legislative nazionali e regionali, ha il merito di aver ricono-sciuto l’importanza della “Farmacia dei servizi” all’interno del contesto sanitario regionale.La Lombardia è dunque la prima regione in Italia che prevede norma-tivamente la Farmacia dei servizi, che si esplicherà nelle seguenti attività, alcune già parzialmente svolte dalle farmacie, ma ora incasellate in un apposito atto legislativo:a) diffusione di programmi di promo-

zione della salute, di sani stili di vita e di educazione sanitaria;

b) valutazione di consumi qualitativi e quantitativi dei farmaci per indagi-ni statistico epidemiologiche;

c) orientamento del cittadino al corretto utilizzo dei medicinali prescritti per favorire l’aderenza alle terapie mediche, a supporto delle attività̀ del medico di medici-

Informazione, prevenzione e servizi alla perso-na Le farmacie della Regione pilastro per l’as-sistenza domiciliare integrata e per la cronicità

di AnnaRosa Racca*

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* Presidente di Federfarma

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na generale e del pediatra di libera scelta;

d) partecipazione ed erogazione di prestazioni di analisi e di telemedi-cina anche sulla base di programmi predefiniti di monitoraggio e scree-ning;

e) partecipazione a campagne di prevenzione di patologie a forte impatto sociale;

f) prenotazioni di visite ed esami specialistici presso le strutture pubbliche e private convenzionate, riscossione della relativa compar-tecipazione e ritiro dei referti;

g) erogazione di prodotti e ausili di protesica e assistenza integrativa;

h) servizi alla persona connessi ai piani di zona, previo accordo sotto-scritto con i comuni interessati, in raccordo con le ATS (Agenzie tutela della salute);

i) programmi di aderenza alle terapie in collaborazione con i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta, gli specialisti ambu-latoriali convenzionati, sia singoli sia organizzati in AFT (aggregazioni funzionali territoriali) e UCCP (Unità complementari di cure primarie), nell’ambito dei modelli di presa in carico e attraverso strumenti vali-dati, per valutare la comprensio-ne da parte del paziente dell’uso del farmaco, l’allineamento alle indicazioni del medico curante e l’eventuale assunzione di farmaci da automedicazione che possono interferire con il trattamento.

La nuova legge, inoltre, prevede all’art. 84 la “valorizzazione della rete delle farmacie territoriali anche ai fini” delle “Reti clinico-assistenziali per le malattie croniche a maggior impatto sul SSL”, così come previste dal nuovo art. 37 della Legge regionale 33/2009. Questa è una previsione di fonda-mentale importanza per le farmacie, alla luce del progetto di governo della domanda, su cui Regione Lombardia sta puntando per la presa in carico dei pazienti cronici. Le farmacie nel percorso di presa in carico dei pazien-ti cronici dovranno non soltanto dispensare i farmaci, ma anche moni-

torare l’aderenza del paziente alla terapia e al percorso programmato, fare prevenzione e erogare servizi di telemedicina.Tale previsione si inquadra perfet-tamente negli obiettivi delineati dal Piano nazionale della cronicità che dedica un apposito capitolo al ruolo della farmacia nella gestione dei pazienti cronici, con l’obiettivo di promuoverne il coinvolgimento nelle attività di educazione sanitaria e prevenzione primaria e secondaria e per l’aderenza alla terapia, secondo protocolli condivisi con specialisti e mmg. Tale coinvolgimento è reso possibile dal fatto che le farmacie rappresenta-no il primo punto di accesso al SSN sul territorio e uno dei punti di riferimen-to per il malato cronico e per la sua famiglia.“Le relazioni di prossimità del farma-cista e il suo ruolo professionale - si legge nel Piano - gli permettono di instaurare un rapporto di confiden-za con gli utenti abituali e di svolgere una funzione potenzialmente attiva nell’educazione, informazione e assi-stenza personalizzata. In particolare, le farmacie possono conseguire signi-ficativi obiettivi in termini di preven-zione primaria e secondaria nel rispet-to di protocolli condivisi con il team specialistico e con i medici di famiglia/pediatri, anche per quel che riguar-da l’aderenza dei trattamenti a lungo termine.” In tema di Farmacia dei servizi, è utile ricordare anche l’Ordine del giorno inerente le “Risorse finanzia-rie per le farmacie dei servizi”, con cui il Consiglio regionale, recependo le istanze di Federfarma Lombardia, impegna la Giunta “a dare piena attua-zione a quanto disposto dal progetto di legge n.228 ter in merito alle farma-cie dei servizi, prevedendo adegua-te risorse economiche in modo che i cittadini possano beneficiare di prestazioni sociosanitarie anche in questi presidi territoriali, erogatori di servizi alla collettività̀, senza tuttavia doverne sostenere essi stessi i costi”. Il Provvedimento prevede altresì di “disporre che la regia di tutte le presta-

zioni sociosanitarie erogate dalle farmacie dei servizi resti in capo al Servizio sociosanitario regionale e alle ASST”.Ricordo, per completezza di informa-zione, che la nuova legge regionale interviene anche sulla disciplina in materia di orari, turni, riposo infra-settimanale, festività e ferie delle farmacie, ridisegnandola in modo organico, e interviene, modificando-la, sulla segnaletica della farmacia aperta: rimane l’obbligo di esporre un cartello con le farmacie di turno, ma il comma 2 precisa che “le sole farma-cie aperte e quelle di turno tengono accesa un’insegna luminosa...a forma di croce di colore verde che ne facili-ti l’individuazione, in conformità alle disposizioni del codice della strada e dei regolamenti comunali”, riprenden-do la previsione normativa nazionale in base a cui “la croce verde di segnala-zione è utilizzata esclusivamente dalle farmacie aperte al pubblico”.Come si può vedere, quindi, Regione Lombardia ha assegnato un ruolo importante alla farmacia all’interno della ridefinizione del sistema sani-tario regionale. Tale approccio ha, ovviamente, il pieno apprezzamento di Federfarma che conferma l’impe-gno delle farmacie ad assicurare la massima collaborazione alle Istituzioni regionali. L’obiettivo è dare concreta e rapida attuazione alle misure previ-ste per andare incontro alle esigenze di una popolazione che invecchia, è sempre più colpita da patologie croni-che, ha bisogno di essere seguita nel percorso terapeutico, al fine di potersi curare il più possibile a casa in modo efficace e controllato, con il supporto della propria farmacia di fiducia, che opera in piena sinergia con i medici di medicina generale e gli altri operatori sanitari del territorio.

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nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea) in tema di procreazione medicalmente assistita (PMA) sono stati firmati dopo sedici anni di attesa ed entrati in vigore con la pubblicazio-

ne sulla Gazzetta Ufficiale del 18 marzo scorso.Questo, però, non è ancora sufficiente a render-li operativi, in quanto per la loro piena applicazione a livello nazionale occorreranno opportuni decreti attuativi del Governo e un ulteriore iter (passaggio in Agenzia regionale per i Servizi sanitari, passaggio in Conferenza delle Regioni, passaggio in ogni Regione per recepimento e abrogazione dei Lea regionali). La legge, infatti, è per sua natura una volontà politica, ma – soprattutto quando si tratta di una materia così complessa – non è applicabile di per sé senza l’ema-nazione di opportuni atti in grado di fornire le indica-zioni necessarie per le scelte di dettaglio o di elevato contenuto tecnico, che il Parlamento non è in grado di compiere. Purtroppo, i decreti attuativi sono spesso oggetto di ritardo cronico, cosicché può scaturire una discrasia profonda tra tecnica degli annunci e attua-zione reale delle riforme. Per l’emanazione dei decreti attuativi dei Lea sulla PMA uno spunto utile potrebbe essere fornito dalla legge regionale del Friuli Venezia Giulia, in cui sono state inserite regolamentazioni dettagliate anche per la gestione della fecondazione in ambito oncologico e di quella eterologa, per la quale, a prescindere dai centri di Udine e Trieste, entrambi coordinati dal centro di Pordenone, soltanto all’Ospedale Careggi di Firenze è

stato attivato un percorso altrettanto definito.I Lea riguardano tre aree: prevenzione collettiva e sanità pubblica; assistenza distrettuale e assisten-za ospedaliera. Sarà poi indispensabile dare corso a una serie di iniziative: ridisegnare il loro sistema di monitoraggio, affinché sia in grado di individuare con sollecitudine le carenze del sistema; accompagnare le Regioni affinché applichino adeguatamente quanto previsto nei provvedimenti; provvedere in tempi brevi a colmare le carenze nelle situazioni più criti-che; realizzare un’opera di formazione e informazione del personale sanitario che, dopo anni di restrizione, deve vedere impegnate risorse e mezzi adeguati per un più efficace sistema di assistenza; fare in modo che la commissione nazionale Lea faccia una verifica dei costi e si proceda, se necessario, con un aumento delle risorse.

I PRINCIPALI DETTAGLI LEGISLATIVIVa osservato che, fino a oggi, in assenza dei Lea, la realtà della PMA era caratterizzata da confusione e mancanza di omogeneità di comportamento: molti pazienti erano abituati a viaggiare, tra regioni in cui le tecniche erano in regime di ricovero e completamente a carico del sistema sanitario nazionale, altre in cui le prestazioni erano erogate con ticket e altre ancora che richiedevano l’autorizzazione dalle regioni di partenza, trattandosi di prestazioni che devono essere regolariz-zate con fatturazione diretta e non mediante compen-sazione. È quindi auspicabile che nell’ambito dei nuovi Lea si possa delineare una visione unitaria e un iter

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Il difficile volo della cicogna

Mancano ancora i decreti attuativi La legge regionale del Friuli Venezia Giulia: un paradigma di spunti suggestivi Il decreto Lorenzin sulla mappa cromosomica Con i nuovi LEA è atteso un iter omogeneo in tutto il paese La sostenibilità economica I quesiti e i dubbi ancora da chiarire

di Francesco Tomei*

* Responsabile a Pordenone della Struttura Operativa di “Fisiopatologia della Riproduzione Umana e Banca del Seme”, Azienda Ospedaliera “S. Maria degli Angeli”.

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omogeneo in tutto il Paese, senza più la necessità che una coppia sia costretta a spostarsi e a “mendicare” un’autorizzazione: i commi 1b e 1i dell’articolo 24 della legge prevedono infatti già a monte la somministra-zione dei mezzi necessari per la procreazione respon-sabile, mentre l’articolo 15 prevede la soppressione di prestazioni ormai obsolete e l’inserimento di presta-zioni nuove, di cui riporta codice identificativo, defini-zione, modalità di erogazione e note riferite a condi-zioni di erogabilità e appropriatezza.È inoltre previsto un declassamento delle prestazio-ni: quelle che venivano erogate in ricovero ordina-rio, infatti, passano in day hospital, mentre quelle in day hospital passano in regime ambulatoriale. Come sancito dal comma 3 dell’articolo 41, le Regioni e le Province autonome devono pertanto adottare adeguate misure per incentivare il trasferimento della PMA dal regime di day surgery al regime ambulatoria-le. Una realtà, questa, che in Friuli Venezia Giulia è in vigore da due anni.

DIFFORMITÀ NEI TICKET REGIONALIL’articolo 49 prevede la fecondazione eterologa e quindi la donazione di cellule riproduttive, per le quali garantisce l’attività di prelievo, conservazio-ne e distribuzione in conformità al DE 2006/17/CE, mod. 2012/39/UE e ai successivi decreti di recepimen-to. Esso stabilisce inoltre che la coppia che si sotto-pone a PMA eterologa contribuisca con un ticket nella misura che sarà fissata da regioni e province autono-me: un fatto, questo, che creerà inevitabilmente una

discrepanza tra regioni. L’unico costo relativo alla PMA che si trova nel decreto del consiglio dei ministri validato il settembre scorso è quello riferito alla quota destinata alla selezione dei donatori, al prelievo e alla conservazione delle cellule riproduttive: sono previsti 4.000 donatori (tra maschi e femmine) con allocazione di un costo di 1.000 euro a donatore, pari a 4 milioni di euro complessivi.

LE PRESTAZIONI SPECIALISTICHE NUOVE E QUELLE ESCLUSEÈ stata elaborata una nuova versione del decreto Bindi del 10/9/1998, pubblicato sulla GU del 10/10/1998, con la ridefinizione di tutte le presta-zioni specialistiche e degli esami in epoca precon-cezionale per la coppia dopo due aborti. In realtà, tra il decreto Bindi e i Lea attuali non sono molte le differenze: è stata, infatti, inserita la consulenza gene-tica, e sono previste solo le IgG nel rubeotest, sono esclusi il Toxo test e le resistenze osmotiche in caso di microcitemia, mentre il pap test convenzionale è confermato ma con specifica triennale e sono inseriti gli anticorpi anti-TPO (antiperossidasi) in caso di due aborti ripetuti.Un altro documento importante è costituito dalle linee guida pubblicate il 1° luglio 2015, che contengono le indicazioni delle procedure e delle tecniche di PMA e puntualizzano che “I soggetti che si rivolgono a un Centro per un trattamento di PMA devono aver effet-tuato gli accertamenti previsti dal DM 10/09/1998 in funzione preconcezionale per la donna, l’uomo e la

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coppia”: questo significa che tutti gli accertamenti vanno fatti dopo due aborti.Le voci previste dai Lea sono il pick up ovocitario, inclusa la valutazione ovocitaria e l’eventuale congela-mento o conservazione. Non figura la TESE (agospira-zione testicolare) e, mentre è previsto il trasferimento di embrioni, figurano ancora la ICSI (inseminazione intracitoplasmatica), la crioconservazione dei gameti maschili e l’agospirato da gonade maschile.Un aspetto da sottolineare è che nei Lea manca la definizione di “ciclo completo”, recepita peraltro dal DGR61 del 16/1/2015 (in cui è stata modificata rispetto a quanto stabilito in precedenza dal DGR 2187/2012) in termini di trasferimento di un embrione dopo tre cicli di secondo e terzo livello cumulativi di PMA etero-loga e omologa.Altre note di interesse in PMA sono la nota 43, che indica il dosaggio dell’ormone antimulleriano (AMH) come screening di riserva ovarica nella donna fertile, e la 54, che riguarda la richiesta del test di ricerca del portatore solo per familiarità accertata per una patolo-gia recessiva (per esempio, la fibrosi cistica) nel conte-sto di una gravidanza a rischio di futuro feto affetto.Il Decreto Lorenzin aveva dato libertà per l’esecuzione di mappa cromosomica e microdelezione del cromo-soma Y, mentre nei Lea si evince che la richiesta – da parte del genetista o dello specialista della patolo-gia – del test per evidenziare un portatore è possibi-le soltanto in presenza di sindrome nota associata a microdelezioni/duplicazioni.

I QUESITI ANCORA APERTINei nuovi Lea alcune voci restano ancora prive di definizioni. Innanzitutto, non c’è una precisa docu-mentazione sulla preservazione della fertilità a dispet-to del decreto emanato il 4/8/2016 (che prevedeva l’erogazione della nota 74 in donne d’età non superio-re ai 45 anni affette da patologie neoplastiche sottopo-ste a terapie oncologiche in grado di causare sterilità transitoria o permanente) e del codice di esenzione 48, che nella regione Friuli Venezia Giulia copriva il costo di tutte le prestazioni, dal monitoraggio ecogra-fico dell’ovulazione all’agoaspirazione ecoguidata dei follicoli, dalla crioconservazione di ovociti, spermato-zoi o tessuto gonadico alla prescrizione dei farmaci induttori della crescita follicolare multipla e del trigge-ring ovulatorio.Nei Lea non si parla del prelievo di spermatozoi da TESE, né delle voci delle prestazioni di urologia. Per la prescrizione degli esami del donatore non viene

fatto alcun cenno a esenzioni, appropriatezza, note per accertamenti per selezione dei donatori e all’im-port, che offre la reale possibilità per dare una pronta risposta a un diritto costituzionalmente garantito a una coppia che si mette in lista per la PMA. Inoltre, non si fa alcun cenno a forme di incentivazione, tra cui la regione Friuli Venezia Giulia aveva previsto l’”egg sharing” per il ciclo in cui avviene la donazione, che potrebbe fungere da stimolo alla stesura dei decreti attuativi. Per l’inseminazione artificiale non viene indicato un limite – le note riguardano soltanto la fecondazio-ne omologa ed eterologa di secondo livello – che la regione Friuli ha invece fissato per la donna al compi-mento dell’età di 43 anni e per quattro cicli complessivi (inclusi quelli di PMA omologa di primo livello).Il Registro Nazionale PMA curato dall’Istituto Superiore di Sanità ha riportato che nel 2010 si sono effettuati 32.069 cicli di primo livello e 58.875 cicli di secondo e terzo livello (38,5% pubblico, 26,5% privato convenzio-nato e 35% privato).Per quanto riguarda i costi, le prestazioni PMA vengono erogate, come già anticipato, dalle varie regioni con diverse modalità: ricovero, day surgery, regime ambu-latoriale, day service. Sul versante delle compensa-zioni questo comporta che le cifre corrisposte dalle varie regioni siano molto differenziate, in un range che varia da circa 1.200€ a 10.000€ per ciclo di PMA. Inoltre, il ricorso al ricovero per effettuazione cicli di PMA comporta l’individuazione di DRG non specifici che possono essere applicati più volte per uno stesso ciclo.I pazienti le cui Regioni non applicano queste modalità di erogazione, ma utilizzano un regime ambulatoria-

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le, partecipano al ciclo pagando ticket anche corposi, mentre la migrazione in altri Regioni fa sì che il costo risulti completamente a carico della Regione di resi-denza. Occorre pertanto chiarire prioritariamente se o quali parti della PMA rientrino nei Lea nazionali.Sulla base di questi fenomeni il Tavolo tecnico aveva sollecitato lo scorso agosto un’uniformità di compor-tamento e, per coadiuvare in modo sostanziale tale uniformità, si è avvalso di esperti delle regioni Friuli Venezia Giulia, Toscana, Liguria e Marche per la rile-vazione dei costi. Metodi di calcolo anche differenziati (su modelli organizzativi differenziati) hanno portato ad una medesima conclusione e, cioè, un importo compreso tra 2.300 e 2.500 euro (i vari documenti sono agli atti del gruppo interregionale).Queste valutazioni potrebbero essere utilizzate per i rimborsi di mobilità interregionale, indipendentemen-te dalle modalità di erogazione, tenendo conto anche dei seguenti criteri di accesso che il Tavolo tecnico aveva condiviso all’unanimità l’accesso fino al compi-mento dei 43 anni e un massimo 4 cicli di primo livello e 3 cicli di secondo/terzo livello.Per questa ragione il Tavolo tecnico chiede una rapida valutazione di questa proposta, sollecitato da espo-nenti di varie regioni che, orientandosi alla uniformità delle normative in ambito PMA, chiedono documenti ufficiali per formalizzare i loro atti. Va tuttavia segna-lato che le bozze delle nuove tariffe appaiono quanto mai sottoremunerative.Nei nuovi Lea manca la valorizzazione della criocon-servazione, della sedazione e del monitoraggio dei parametri.Un ulteriore quesito aperto sui nuovi Lea è dato dal fatto che relativamente all’eterologa non si parla di import, non è prevista la prestazione anestesiologica al pick up, come pure non sono previste PGD (diagnosi genetica preimpianto) e PGS (diagnosi preimpianto di aneuploidie). Per la PGD /PGS e esami per il donatore ancora non sono previsti nei Lea nazionali e attual-mente sono in vigore delibere regionali (Lea regionali) o percorsi Aziendali (PTA).

VALUTAZIONI CONCLUSIVEAlla luce delle considerazioni finora esposte sembra che le risorse previste a livello nazionale per le Regioni, 800 milioni di euro, non siano suffi-cienti per far partire i nuovi Lea. È fondamentale uniformare pratiche che in alcune Regioni sono già patrimonio dei servizi offerti da alcuni anni e Regioni in cui devono essere avviate grazie all’approvazio-

ne definitiva dei Lea. È in dirittura d’arrivo il lavoro di revisione da parte di una commissione di tecnici, medici ed esterni di due aspetti pratici: la valutazione del reale impatto dell’applicazione dei Lea e la verifica della relativa compatibilità economica con le Regioni, in considerazione del fatto che sono loro a sostener-ne il peso economico. Se i rimborsi delle prestazioni di PMA non coprissero i costi (stimati ad oggi intorno a 2.500 euro) non si potrebbe raggiungere il pareg-gio di bilancio (conditio sine qua non dei DG delle Aziende Sanitarie) e nel rispetto del decreto “Balduzzi” si potrebbe scendere fino a 15 Centri PMA di 2° e 3° livello in Italia contro i 200 presenti nel 2014, con inevi-tabile allungamento delle liste d’attesa per l’aumento delle procedure erogabili e per la probabile diminuzio-ne dei Centri PMA, aumento dell’età media alla proce-dura, riduzione degli esiti favorevoli e della natalità, oggi pari a 1,37 rispetto al valore desiderato di 2,1.

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GLI SVILUPPI PIÙ RECENTI

Tariffazioni ministeriali sottoremunerative: le Regioni chiedono un tavolo tecnico

Dalla riunione in Commissione Salute, svoltasi il 18 aprile, a cui hanno partecipato i rappresentanti di 10 Regioni (Friuli Venezia Giulia, Veneto, Puglia, Sicilia, P.A. Bolzano e, in teleconferenza, Toscana, Lombardia, Marche, Piemonte e Valle d’Aosta) è stata esaminata l’attuale proposta ministeriale, che prevede per una PMA di II livello standard omologa un rimborso di 1.009,19 euro. Questa tariffa si discosta ampiamente da quella validata dalla Conferenza delle Regioni il 25/9/2014, pari a 2.500 euro, successivamente adottata da diverse Regioni come base per la determinazione dei propri LEA già in uso, e risulta pertanto fortemente sottoremunerativa ed economicamente insostenibile. È stato poi ribadito che la tariffazione della PMA, per quanto riguarda l’eterologa, manca completamente delle indicazioni riguardanti le indagini per la selezione dei donatori e del procurement dei gameti, e lascia alle Regioni le modalità di individuare il contributo da parte delle pazienti, che è auspicabile sia concordato in forma omogena da tutte le Regioni. Tutti i rappresentanti regionali concordano pertanto nel formulare entro 30 giorni un’analisi dettagliata delle modifiche alla tariffazione proposta dal Ministero, con i cui tecnici chiedono un incontro per una valutazione collegiale e condivisa delle criticità evidenziate.

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INTERVISTA A DEBORA SERRACCHIANI

Il modello Friuli Venezia Giulia La legge regionale del Friuli Venezia Giulia sulla

Procreazione Medicalmente Assistita ha previsto alcune regolamentazioni di tipo tecnico e di dettaglio che potrebbero rendere più agevole l’impostazione non semplice dei decreti attuativi del Parlamento ancora mancanti per disciplinare i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza recentemente emanati in materia. La sua regione non potrebbe farsi promotrice in sede di Conferenza Stato-Regioni aff nché l’approccio seguito sia adottato anche dalle altre regioni? Credo che prima di tutto valga la pena di ricordare che il Friuli Venezia Giulia è stata una delle primissime regioni in Italia a consentire la PMA, anche eterologa, quale prestazione pubblica a quasi totale carico del Servizio sanitario regionale, e dunque con una sempli-ce compartecipazione da parte dei cittadini, ovvero un ticket. Lo abbiamo fatto con una delibera del gennaio 2015. La PMA è stata inserita nei nuovi Lea naziona-li e l’unica cosa che occorre ancora stabilire sono le tariffe e la compartecipazione. E su questo aspetto già esiste una proposta nazionale. Penso che è proprio la Conferenza Stato-Regioni la sede in cui questa discussione arriverà a sintesi. Certamente noi potremo far partecipi le altre Regioni del nostro approccio su questo tema così importante.

Uno dei temi sempre molto attuale e dibattuto riguarda l’allocazione delle risorse. Relativamente ai LEA per la procreazione medicalmente assistita, a prescindere da alcuni dettagli che dovranno essere ancora def niti a livello operativo, è già stato paventato il timore di una copertura insuff ciente e delle relati-ve innumerevoli conseguenze sul piano organizzativo. Lei ritiene ci siano i presupposti per poter rispondere a obiezioni e ipotesi allarmistiche con un messaggio di rassicurazione? Il tema è delicato considerata l’età per l’eleggibilità al trattamento e il numero di cicli di fecondazione assi-stita. Anche l’estensione all’eterologa, considerato il basso numero di donatrici, richiederà di monitorare il fenomeno nel tempo. Ma qui il punto è che rispetto alla delibera approva-ta in Fvg i Lea nazionali, che noi siamo ora chiama-ti ad adottare, prevedono un aumento dell’età per la donna eleggibile, da 43 al compimento del 46 anno, e un raddoppio del numero dei cicli, da i tre decisi da noi a sei. Questo evidentemente comporterà un aumento di spesa e, se mi permette, mi lascia anche qualche dubbio sull’appropriatezza e sull’opportunità di una prestazione così allargata. Ma tant’è, perché la deci-sione è assunta e noi dobbiamo adeguarci a quanto

stabilito a livello nazionale anche se prima avevamo fatto le nostre, e diverse regole. Cioè dobbiamo anche noi allargare la fascia d’età e i cicli. Quindi, ripeto, andremo incontro di sicuro ad una spesa maggiore di quanto preventivato.

Un’area per così dire di debolezza, strettamente correlata alla fecondazione medicalmente assistita, è la preservazione della fertilità, anche al f ne di un’ade-guata educazione e responsabilizzazione delle coppie. Anche in questo ambito si può dire che l’approccio del Friuli Venezia Giulia sia stato pionieristico. A suo parere potrebbe essere un modello esportabile anche a realtà territoriali differenti e quali strategie si sentirebbe di proporre per promuovere soprattutto nella classe giovane cultura e maggiore consapevolezza? Sono tematiche estremamente sensibili per cui ritengo opportuno che ogni regione si confronti con la sua comunità di riferimento. In ogni caso immagino che per preservazione della fertilità lei intenda anche il fatto che il Friuli Venezia Giulia è stato pionieristico in quanto ha previsto che i pazienti oncologici possano conservare i loro gameti. Questo è un tema, lo voglio sottolineare, di grande importanza, lungimiranza e apertura civile. Per il resto ben vengano tutte le possi-bili iniziative di educazione, sensibilizzazione e respon-sabilizzazione delle coppie in tema di mantenimento della fertilità e, più in generale, di genitorialità consa-pevole.

Ritiene che la Sua regione potrebbe impegnar-si per dare impulso nella direzione di caratterizzare la Procreazione Medicalmente Assistita alla luce dei nuovi LEA con iter di accesso alle prestazioni sanitarie che siano omogenei in tutto il Paese, così da evitare alle coppie spostamenti da una regione all’altra per raggiungere il proprio obiettivo di avere un f glio? Credo sia auspicabile che tutte le prestazioni sani-tarie, non solo quelle di procreazione medicalmente assistita, trovino percorsi omogenei di erogazione, evitando per quanto possibile che i cittadini debbano spostarsi sul territorio nazionale. Tuttavia l’articolo 49 dei nuovi Lea prevede che le coppie che si sotto-pongono a procedure di procreazione medicalmente assistita eterologa contribuiscono ai costi dell’attività nella misura f ssata da Regioni e Province autonome. Una scelta che in qualche modo non favorisce questa omogeneità e quindi la migrazione delle coppie sulla carta rimane possibile. Ma anche questo aspetto va affrontato collegialmente dalle Regioni. Dove noi ripor-teremo la nostra posizione.

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COLLOQUIO CON ANTONIO SAITTA, ASSESSORE ALLA SANITÀ DEL PIEMONTE

Prove tecniche di applicazione delle norme sulla PMA

1. Alla luce del recente inserimento della PMA nei Lea, quale dovrebbe essere a suo parere l’approccio da tenere? E’ previsto un progressivo allineamento per le diverse Regioni o è ipotizzabile un’unica marcia che comprenda anche chi è in piano di rientro?Ritengo che su questa materia, come su altre che riguardano l’accesso alle cure da parte dei cittadini, occorra avere il massimo di uniformità possibile, pur tenendo conto evidentemente delle situazioni parti-colari che variano a seconda delle Regioni. Il provvedimento che istituisce i nuovi Lea prevede chiaramente che l’erogazione di tutti i servizi sia uniforme in tutto il paese e quindi si lavora per alli-neare il più possibile l’offerta.

2. Come dovranno cambiare le modalità di offerta pubblica del servizio alle coppie?Il Dpcm del 12-01-2017, pubblicato in Gazzetta Uff ciale il 18 marzo, e nello specif co la sezione che tratta la procreazione medicalmente assistita, stabi-lisce i criteri generali.L’art. 24 def nisce l’ambito dell’assistenza socio-sa-nitaria per diverse categorie di soggetti, nell’ambito dell’assistenza distrettuale - domiciliare e territo-riale ad accesso diretto ai seguenti soggetti minori, donne, coppie e famiglie. Per tali soggetti vengono garantite le prestazioni elen-cate dalla norma, tra cui quelle dirette alla genitorialità e alla procreazione responsabile, tutela della salute della donna e assistenza alla gravidanza. Per ciò che riguarda la Pma al comma 1 lettera i) si dettaglia l’assistenza per problemi di sterilità e infertilità, oltre che per la procreazione medical-mente assistita.Il servizio sanitario nazionale (art 49) garantisce la selezione dei donatori di cellule ripro-duttive e l’attività di prelievo,

conservazione e distribuzione di cellule riprodut-tive, recependo le Direttive comunitarie 2006/17/CE e 2012/39/UE, prevedendo il pagamento di un ticket (nella misura f ssata da ciascuna Regione) da parte delle coppie che si sottopongono a tecniche di fecondazione medico assistita di tipo eterologo.Queste sono le linee sulle quali ci muoveremo, anche sulla base del lavoro svolto negli ultimi anni dalla Regione.

3. Quale sarà l’approccio del Piemonte?Con l’applicazione dei nuovi Lea viene previsto l’in-serimento, nel nomenclatore della specialistica ambulatoriale, di tutte le prestazioni necessarie nelle diverse fasi concernenti la procreazione medical-mente assistita, omologa ed eterologa.Tutte le prestazioni di raccolta, conservazione e distribuzione di cellule riproduttive, f nalizzate alla procreazione medicalmente assistita eterologa, sono a carico del Servizio sanitario nazionale. Siamo in attesa delle indicazioni necessarie, per la completa applicazione della norma e nelle prossime settimane conf diamo che i tecnici dell’assessorato regionale alla Sanità possano approfondire tutti gli aspetti.

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IL SOSTEGNO A MARCHE E UMBRIA DOPO IL SISMA

Affinché anche la sanità non tremi

ieci milioni di euro per il 2017. È l’aiuto di Stato che il Fondo Sanitario Nazionale, in sede di

Conferenza delle Regioni, ha rico-nosciuto alle realtà del centro Italia colpite dal sisma. Un contributo aggiuntivo per le terre devastate dalle scosse di terremoto, iniziate nell’agosto del 2016 e che hanno portato panico e distruzione anche in molti presidi ospedalieri, soprat-tutto di Marche e Umbria. Il presidente della Conferenza e governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, ha parlato di un “forte segnale di solidarietà interre-gionale”.

La proposta d’aiuto, licenziata all’unanimità, è finita sul tavolo del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che dovrà completare l’iter amministrativo necessario per poter arrivare alla erogazione delle risorse.Il governatore delle Marche ha tenuto a ringraziare i colleghi presidenti delle altre Regioni che

“hanno concesso parte del proprio fondo come contributo”. Una cifra importante che si va ad aggiunge-re a quella già riconosciuta come fondo sanitario delle Marche e che si aggira intorno ai 2,7 miliar-di di euro. “Una notizia importante che arriva anche grazie al risulta-to, acquisito da poche settimane, che vede le Marche come prima tra le regioni benchmark in sanità - ha rimarcato il presidente della Regione Marche, Luca Ceriscioli, sottolineando: “Questo conferma, ancora una volta, come la riforma intrapresa porti maggiori risorse che vanno a beneficio dell’intero sistema e dei cittadini”. Nei mesi scorsi, incontrando il premier Paolo Gentiloni, proprio Ceriscioli aveva chiesto “particolare attenzione sulla sanità e ai servizi che sono di sistema e non riguar-dano il singolo Comune ma l’inte-ra rete dei servizi del territorio”. Il presidente della Regione Marche, avendo necessità di rafforzare la risposta sanitaria nelle aree interne, ma anche sulla costa dove ci sono

più persone alloggiate temporane-amente, aveva quindi demandato “uno sforzo straordinario”.

L’aiuto che è arrivato dal riparto del Fondo Sanitario Nazionale non è certo l’ultimo giunto dal Governo a favore delle Regioni terremotate. Il ministero della Salute, nei mesi scorsi, aveva già confermato che tutte le spese sostenute per il sisma dagli enti regionali sarebbero state rimbor-sate. I costi principali, in queste aree, riguardano la farmaceutica ma anche le spese relative ai danni subiti dalle strutture ospedaliere. Solo nelle Marche, tre presidi sono stati dichiarati inagibili all’indoma-ni delle prime scosse, ovvero gli ospedali di Fabriano, Tolentino e Amandola. Per il nosocomio del Fermano, l’Area Vasta 3, aveva subito sostenuto spese per oltre un milione di euro per realizzare lavori di ristrutturazione e il trasferimen-to delle prestazioni nei moduli sanitari.

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Le criticità ancora da risolvere La solidarietà tra le regioni La necessità di mantenere in equilibrio la gestione economica delle due regioni L’importan-za di mantenere le esenzioni sanitarie straordinarie

di Daniele Pallotta

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A beneficiare degli aiuti di Stato, ovviamente, anche la Regione Umbria. A quest’ultima, il Fondo sanitario nazionale ha assegna-to un’ulteriore quota rispetto allo stanziamento di 1 miliardo e 640 milioni per l’anno 2017, con un aumento di base già di oltre 4 milioni di euro rispetto al 2016. “Un’assegnazione che rappresenta anche un significativo consolida-mento delle capacità del sistema sanitario umbro di mantenere in perfetto equilibrio la gestione economica” – ha voluto comunque sottolineare il presidente regio-nale, Catiuscia Marini. L’Umbria, va ricordato, dal 2008 è, insieme al Veneto e alle Marche, Regione “benchmark” ai fini della determi-nazione dei fabbisogni standard nella sanità a livello nazionale. Anche in questa regione, dopo le scosse, si lotta per tornare alla normalità. Di recente, a Cascia, e nel territorio della Valnerina, è stata inaugurata una struttura modulare di oltre 260 metri quadrati all’inter-no della quale vengono garantiti tutti i servizi sanitari essenziali per la popolazione che l’ospedale della città, reso inagibile dal terremoto del 30 ottobre dello scorso anno, non è stato più in grado di offrire.

L’intervento è stato realizzato dalla Croce Rossa Italiana, d’in-tesa con la Regione Umbria, con la collaborazione della Tecnifor Spa ed il contributo del Gruppo Banca Popolare di Bari, attraverso le due banche che lo compongo-no: la capogruppo Banca Popolare di Bari e la controllata Cassa di Risparmio di Orvieto. La struttu-ra – all’interno della quale sono presenti un pronto soccorso, una postazione del “118”, diversi ambulatori specialistici (cardiolo-gia, oculistica, otorino, chirurgia ambulatoriale, dermatologia, fisia-tria e reumatologia) e una palestra

per la fisioterapia, è stata conces-sa in gestione alla Usl Umbria 2 che la utilizzerà finché non verrà ripristinato l’ospedale di Cascia. L’investimento sostenuto dalla Croce Rossa Italiana e dal Gruppo Banca Popolare di Bari, per l’allesti-mento del nuovo polo sanitario, è stato di circa 200mila euro.Anche grazie alla quota di riparto, la Regione Marche ha potuto alle-viare i disagi della popolazione colpita dal sisma prorogando le misure e le esenzioni sanitarie stra-ordinarie, riconosciute nelle ricette con il codice T16, fino al 30 settem-bre 2017 per tutti i residenti dei Comuni, sono ben 87, inseriti nel “cratere”. In origine, tale scadenza, era stata fissata provvisoriamente al 30 aprile ma, superata la prima fase emergenziale, la Regione ha ritenuto opportuno rivedere quanto stabilito con le precedenti deliberazioni al fine di sostenere chi effettivamente ha subito dei danni, concentrando gli interventi su questi soggetti e assicurando allo stesso tempo il miglior utilizzo delle risorse pubbliche.

Per avere diritto a questi “sconti”, i marchigiani dovranno

rivolgersi agli sportelli dedicati dell’Area Vasta di competenza per provvedere a rilascio dell’au-tocertificazione che contenga la dichiarazione di inagibilità dell’abitazione di residenza o l’avvenuta richiesta di verifica di agibilità. Agli stessi, sarà consegnato un tesserino di esenzione con scaden-za la fine di settembre, ovviamente salvo proroghe.

Fra le misure adottate, vi sono l’esenzione farmaceutica, che tiene conto del fatto che la Regione Marche non ha introdotto i ticket per l’erogazione dei farmaci, l’ero-gazione gratuita di latti artificiali ai neonati fino al compimento del sesto mese di età ed il manteni-mento del diritto all’esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria relativamente alle presta-zioni di specialistica ambulatoriale, usufruite presso le strutture sani-tarie pubbliche e private accredi-tate e con rapporto contrattuale con il Sistema Sanitario Nazionale. Aiuti che si vanno ad aggiungere a quelli che, da tutta Italia, sono arri-vati attraverso il riparto del Fondo Sanitario Nazionale.

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STORIA DI UNA LEGGE IMPORTANTE

La tutela del paziente

n esempio di advocacy di pazienti e medici, virtuo-so e riuscito, anche se inconsapevole, è quello

della legge 115 del 3 marzo 1987, ”Disposizioni per la prevenzio-ne e la cura del diabete mellito”. Inconsapevole perché a quel tempo, nel nostro Paese, nessuno parlava di advocacy. Un termine sconosciuto, anche se la storia che ripercorriamo dimostra quanto per la legge 115/87 i valori che sottendono l’advocacy siano stati praticati e vissuti. L’esempio costi-tuisce un caposaldo ed è paradig-matico. Una best practice che vuole essere assunta come modello dal neonato IBSCOM, il Comitato Sindrome Intestino Irritabile, che incarna in chiave moderna il prin-cipio di advocacy coinvolgendo, attraverso il web, gli stakeholder, i pazienti, i medici e gli specialisti, i soggetti istituzionali e i ricercatori. Una patologia, quest’ultima, con un impatto altamente invalidante sulla vita dei pazienti ma che ancora non

ha ricevuto adeguate risposte sul piano sanitario.Dopo 30 anni la 115 è ancora attuale e consente di capire come associa-zioni di pazienti e diabetologi siano riusciti a dialogare, influenzare la politica e perseguire il massimo risultato: l’approvazione di una legge. Hanno trovato politici capaci d’ascoltare e sensibili ai bisogni dei cittadini, consentendo all’as-sociazionismo di essere rappre-sentativo e proattivo. Tutto è nato da persone illuminate: Roberto Lombardi, presidente di Fand, Guido Pozza diabetologo e Bettino Craxi, Presidente del Consiglio e segretario del PSI. L’incontro fra Lombardi e Craxi è stato favorito da Pozza, in un luogo d’eccellenza per i diabetici: il San Raffaele di Milano, dove erano ricoverati entram-bi. Hanno coniugato gli aspetti clinico – sanitari, con quelli sociali ed economici del diabete. Pozza, riconosciuto come uno dei miglio-ri diabetologi a livello internazio-nale, già presidente della Società

Italiana di Diabetologia, è riuscito ad avvicinare scienza e politica. Roberto Lombardi, vivendo la pato-logia diabetica in prima persona, è stato capace di promuovere un’as-sociazione, la FAND (Federazione Nazionale Italiani Diabetici) sul territorio nazionale, ha individuato la necessità di una legge che rico-noscesse la complessità di questa patologia, l’impatto sociale della stessa e la necessità di avere un sistema socio sanitario capace di accompagnare e sostenere in tutti gli ambiti di vita la persona affetta. Hanno saputo coinvolgere tutte le altre associazioni in questo processo d’advocacy. Bettino Craxi ha condiviso l’obiettivo e ha fatto sì che il Parlamento approvasse la legge, grazie anche alla capaci-tà che Lombardi e Pozza hanno avuto di interloquire con un folto gruppo di parlamentari, trasversa-le alle forze politiche del tempo e di entrambe le Camere.

È sufficiente citare alcuni nomi per capire come sia stata prati-cata l’advocacy di pazienti e comunità scientifica. L’On. Fulvio Palopoli del Partito

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La legge 115/87 sul diabete Il ruolo di Pozza, Lombar-di e Craxi Un percorso che può essere considerato un esempio e che potrebbe essere replicato anche per altre istanze sanitarie come quella per la quale è stato costi-tuito IBSCOM, il Comitato per la Sindrome dell’Intestino Irritabile.

di Emanuela Baio

La convergenza di forze politiche diverse per un interesse comune

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Comunista Italiano, relatore alla Camera e il Sen. Adriano Bompiani della Democrazia Cristiana al Senato, le due maggiori forze poli-tiche, che pur in profonda antitesi, una di maggioranza, l’altra d’opposi-zione, hanno collaborato per gene-rare quella che è universalmente riconosciuta come la prima legge, a livello mondiale, sulla patologia diabetica. E poi ancora, accanto a loro, alla Camera, gli On. Francesco Lussignoli della DC, Aldo Pastore del PCI e Cristiana Muscardini del MSI, accanto a parlamentari di altre forze politiche. Essendo a fine legislatura, i deputati e i senatori hanno lavorato insieme, infatti, al Senato la legge è stata approvata in sede deliberate in Commissione Sanità. Una grande lezione anche per la politica attuale!

La storia dell’approvazione della legge 115/87 ci aiuta ad identifi-care alcune priorità del processo di advocacy in campo sanitario: 1) la definizione chiara e condivisa delle finalità che si vogliono conse-guire; 2) la base scientifica, sociale ed economica dell’obiettivo da perse-guire; 3) la necessità di essere uniti per poter interloquire ed essere credi-bili verso le Istituzioni.

Principi, questi, ai quali sembra si siano ispirati coloro che hanno dato vita a IBSCOM nella consa-pevolezza dell’assoluta necessità di far emergere, e adeguatamente ricono-scere per le sue importanti ripercussioni socio-sanita-rie, la sindrome dell’intesti-no irritabile. Una patologia con un alto potenziale inva-lidante, caratterizzata da un insieme molto variegato di sintomi che ne rendono

complesso anche l’inquadramento diagnostico e quindi gli approcci terapeutici ma che, fino ad oggi, non è stata contrastata in modo adeguato dal nostro servizio sani-tario nazionale. Una patologia per la quale le necessità sono moltepli-ci e che sono parte integrante delle finalità stesse di IBSCOM:

- promuoverne la conoscenza mediante la divulgazione dei più recenti risultati della ricerca medico-scientifica;

- stimolare l’informazione e l’educazione sanitaria;

- dare impulso alla ricerca scien-tifica - di base e clinica - nel campo delle patologie dell’ap-parato digerente, oltre che studi sociali specifici sulla sindrome dell’intestino irritabile e sul suo impatto economico;

- promuovere campagne di informazione e sensibilizza-zione, oltre che la raccolta fondi necessarie a sostenere l’operati-vità del comitato stesso;

- sviluppare relazioni con le autorità sanitarie nazionali e regionali per stimolare l’adozio-ne di adeguate scelte di politica

sanitaria e un più facile acceso alle terapie in materia;

- promuovere occasioni di confronto, convegni e seminari, oltre che strutturate iniziative di comunicazione.

Oggi IBSCOM, è composto dalle persone colpite da questa patolo-gia ma che, fino a ieri, non avevano ancora un’adeguata rappresen-tanza associativa, da esponenti del mondo scientifico (specialisti e medici di medicina generale), da esponenti del mondo politico che sono stati nelle istituzioni e da esponenti del Censis con il suo ruolo sociale e di ricerca. Memori di quell’insegnamento, i compo-nenti del Comitato sanno di avere un compito complesso, visto che questa patologia è misconosciuta e sottovalutata, considerata alla stregua di un sintomo e non di una vera e propria malattia. Proprio per questo il processo di advocacy dovrà concentrarsi innanzitutto sulla conoscenza e sulla consape-volezza della patologia da parte dei pazienti, mirando a coinvolge-re i medici in questo processo di awareness. Per dare vita a IBSCOM, pertanto, i soggetti coinvolti nella sua costitu-zione hanno fatto propri i tre prin-cipi ispiratori insegnati dal mondo del diabete. Sapendo che la sfida è

ardua, hanno anche scelto di condividere l’obiettivo principe nella consapevo-lezza che sono quanto mai necessari studi sociali che attestino l’impatto econo-mico che comporta la pato-logia che si caratterizza per essere la seconda causa di assenza dal lavoro. Altrettanto importante infine è definire, sulla base di studi specifici, l’impatto psicologico e antropologi-co della malattia.

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el corso dell’ultimo secolo lo sviluppo economi-co, il miglioramento delle condizioni ambien-tali, gli stili di vita migliori ed i miglioramenti nella salute e della medicina (in particolare con

la riduzione della mortalità infantile), hanno portato a un continuo aumento della speranza di vita alla nascita a livello planetario. Oggi, per la prima volta nella storia del mondo, l’aspettativa di vita della maggior parte delle persone supera i 60 anni. Nei paesi a basso e medio reddito questo è in gran parte il risultato di una forte riduzione della mortalità in giovane età, in particolare alla nascita e durante l’infanzia, e della mortalità per malattie infettive. Al contrario, nei paesi ad alto reddito, l’aumento dell’aspettativa di vita è da impu-tarsi principalmente alla riduzione della mortalità tra coloro che sono più anziani.

Questo processo è stato più pronunciato e sostenuto in Europa che in molte altre parti del mondo, ponendo l’UE-28 tra i leader a livello mondiale per l’aspettativa di vita. Tra il 2002 (il primo anno per il quale sono disponibili per tutti gli Stati membri di dati) e il 2014, l’aspettativa di vita nella UE-28 è aumentata di 3,2 anni, da 77,7 a 80,9 anni (3,8 anni per le donne e 2,7 anni per gli uomini). Anche i paesi OCSE sono stati caratterizzati da una tendenza simile. In Italia, negli ultimi 50 anni, l’aspettativa di vita alla nascita è aumentata di circa 10 anni (1 anno ha guadagnato ogni 5

vissuto), raggiungendo 80,9 anni nel 2014 per la popolazio-ne complessiva, 83,6 anni per le donne e 78,1 anni per gli uomini.

I cambiamenti in atto sono per alcuni versi drammatici in termini demografici. Un bambino nato in Brasile o in Myanmar nel 2015 può aspettarsi di vivere 20 anni in più di uno nato in quegli stessi paesi soli 50 anni fa. Quando questo effetto si combina con cali marcati della fertilità, verificatisi in quasi tutti i paesi, si hanno impatti significativi sulla strut-tura delle popolazioni. Gli anni in più di vita ed i cambiamen-ti demografici hanno implicazioni profonde per ciascuno di noi, così come per le società in cui viviamo. E, a differenza maggior parte dei cambiamenti che le società sperimenteran-no nel corso dei prossimi 50 anni, queste tendenze di fondo sono in gran parte prevedibili: sappiamo che si verificherà una transizione demografica verso popolazioni più anziane, e dovremmo essere in grado di pianificare tutti i processi per coglierne tutti i vantaggi.

Guardando all’Europa a 28, l’Eurostat prevede che l’aspettativa di vita continuerà ad aumentare nei prossimi decenni, raggiungendo nel 2060 le ragguardevoli età di 89,1 anni per le femmine e 84,6 per i maschi. Il mondo sta quindi invecchiando e questa, in fin dei conti, è una buona notizia. Ma l’allungamento della vita di cui abbiamo beneficiato non è sempre accompagnato da una buona salute. Il costo e la prevalenza delle malattie croniche sono in aumento tra gli * CEIS Tor Vergata

IL RAPPORTO DELLA COMMISSIONE EUROPEA SULL’INVECCHIAMENTO

Malattie croniche e disabilità, il grande problema

Aspettativa di vita ancora in crescita Aumenterà la pressione della spesa sanitaria del futuro pros-

simo sulla sostenibilità La cronicità e i fattori di rischio che la determinano L’aumento della spesa

non omogeneo in tutti i paesi UE Più efficienza e qualità dei servizi sanitari l’unica risposta possibile

di Vincenzo Atella*

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anziani, così come la disabilità grave, con pesanti conse-guenze per la sostenibilità del sistema: un mondo che oggi è appena in grado di soddisfare le esigenze sanitarie della sua attuale popolazione si troverà nei prossimi anni a dover affrontare e soddisfare i bisogni sanitari di centinaia di milioni di persone anziane.

La Commissione, così come il Consiglio Europeo, ha già riconosciuto la necessità di affrontare risolutamen-te l’impatto dell’invecchiamento della popolazione sui modelli sociali europei. Per avere informazioni affidabili e comparabili sui futuri cambiamenti demografici in Europa è necessario conoscere oggi la struttura per età della popola-zione e come questa potrebbe apparire nei prossimi decenni. Questa comparazione mette in luce le sfide economiche, di bilancio e sociali che i responsabili politici dovranno affron-tare in futuro. Avere proiezioni a lungo termine fornisce un’indicazione del timing e della dimensione delle sfide che risulterebbero da una popolazione che invecchia. Essi aiutano a farci capire dove, quando, e in che misura, l’in-vecchiamento accelererà man mano che la generazione dei baby-boomer andrà in pensione e la vita media continua ad aumentare. Quindi, le proiezioni sono utili per evidenziare le sfide politiche immediate e future poste per i paesi dell’UE dalle tendenze demografiche.

Secondo le stime della Commissione Europea contenu-te nel Rapporto 2015 sull’invecchiamento (EC, 2016), la dimensione complessiva della popolazione è proiettata ad essere leggermente più grande entro il 2060, ma molto più vecchia di quanto lo sia ora. La popolazione dell’Unione europea si prevede in aumento (da 507 milioni nel 2013) fino al 2050 di quasi il 5%, quando raggiungerà il picco (a 526 milioni) e in seguito diminuirà lentamente (a 523 milioni nel 2060). Questo aumento tuttavia non si potrà verificare senza la presenza di flussi migratori verso l’Unione Europea (UE). Inoltre, questo trend, presenta una grossa eterogeneità tra gli Stati membri.

INVECCHIAMENTO E STATO DI SALUTESe da un lato la longevità è da considerarsi senza dubbio un successo e una conquista per la società, portando anche innegabili benefici economici, dall’altro lato, secondo molti autori, amplifica potenzialmente i rischi connessi all’inci-denza delle malattie croniche in età avanzata, determinando un aumento della domanda di assistenza sanitaria di lungo

periodo. Il costo e la prevalenza delle malattie croniche sono in aumento tra gli anziani, così come la disabilità grave, con notevoli conseguenze per la sostenibilità dei sistemi: un mondo che oggi sembra essere appena in grado di soddisfare le esigenze sanitarie della sua attuale popolazione si troverà nei prossimi anni a dover affrontare e soddisfare i bisogni sanitari di centinaia di milioni di persone anziane affette da disabilità. Relativamente all’Unione Europea, nel 2010 si stima che circa il 60% del peso imposto dalle malattie croniche in termini di DALY (Disability Adjusted Life Years) possa essere attribuito a sette principali fattori di rischio: pressione alta (12,8%), fumo (12,3%), alcool (10,1%), livelli alti di colesterolo (8,7%), sovrappeso (7,8%), ridotta assunzione di frutta e verdura (4,4%) e scarsa attività fisica (3,5%).

Un altro aspetto importante è che i fattori di rischio spesso si sommano tra di loro (ad esempio, il diabete si somma alla lista dei fattori di rischio nel caso delle malattie cardiovascolari).Almeno il 35% degli uomini sopra i 60 anni soffre di due o più patologie croniche e il numero delle co-morbidità aumenta con l’età, con livelli più alti osservati tra le donne. Le Figure 1 e 2 mostrano in modo abbastanza chiaro cosa sia avvenuto nell’Unione Europea tra il 1990 ed il 2010 in termini di dinamica di mortalità e di anni di vita trascorsi con disabilità (YLD – Years of Life with Disability) per causa di morte e classe di età. La Figura 1 fa chiaramente vedere come negli ultimi venti anni il numero di morti si sia ridotto in modo costante e sostanziale per le classi di età fino a 65-69, ed è invece cresciuto per le classi di età superiori.1

Questo fenomeno, che è il responsabile principale dell’al-lungamento dell’aspettativa di vita della popolazione, è stato reso possibile grazie al miglioramento delle tecnologie (di prodotto e di processo) e a migliori modelli di management in sanità. A fronte di questo aspetto positivo, la Figura 2 mostra un secondo aspetto più problematico. Infatti, nello stesso periodo il numero di YLDs è notevolmente aumenta-to, sia perché sono aumentati gli anni di vita passati con disa-bilità per le classi di età più anziane, sia perché le disabilità hanno cominciato ad aumentare anche tra le classi di età più giovani. In particolare, dal grafico si vede chiaramente come fino ai 30 anni il trend sia stato positivo, con una riduzione degli anni passati con disabilità; al contrario, dopo i 40 anni il trend è stato negativo con un aumento degli anni passati in disabilità. Nel mezzo c’è la classe di età dei trentenni, per i quali la situazione in media non è cambiata molto.

1 In modo particolare è aumentato il numero di morti nella classe di età 80+, che non è riportata nel grafico poiché lo appiattirebbe di molto, non rendendo così facilmente leggibile il feno-meno. Per la classe di età 80+, il numero di morti è passato da poco meno di 2 milioni nel 1990 a circa 2,8 milioni nel 2010, con un aumento di circa il 30%, che è il più alto in assoluto tra tutte le classi di età in quel periodo.

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QUALI EFFETTI SUI CONTI PUBBLICILe proiezioni di bilancio a lungo termine della Commissione Europea dimostrano che l’invecchiamento della popolazione rappresenterà una sfida per le finanze pubbliche nell’UE. L’impatto fiscale dell’invecchiamento (come differenza tra entrate e uscite dello Stato) è previsto essere elevato nella maggior parte degli Stati membri, con effetti che diventeranno sempre più evidenti già nel corso del prossimo decennio.

Tra il 2013 e il 2060, nello scenario di base, l’aumento della spesa pubblica stret-tamente legata all’età (pensioni, assisten-za sanitaria, assistenza a lungo termine e istruzione) sarà di quasi 2 punti percentua-li del PIL (UE: +1,8 p.p., Euro Area (EA): +1,9 p.p.). Osservando le componenti della spesa strettamente legata all’età, l’aumen-to tra il 2013 e il 2060 è in gran parte guidato da assistenza sanitaria e spese per le cure a lungo termine (Long Term Care), che nel complesso sono previste aumen-tare di circa il 2 punti percentuali del PIL (assistenza sanitaria: +0,9 p.p., assisten-za a lungo termine: +1,1 p.p.). Dopo un aumento previsto fino al 2040 (UE: +0,4 p.p., EA: +0,8 p.p.), la spesa pensioni-stica pubblica comincerà a flettere fino a tornare al suo livello del 2013 (UE: -0.2 p.p., EA 0,0 p.p. sul periodo 2013-2060).

Esiste, però, una notevole eterogeneità nei trend della spesa pubblica correlata all’età negli Stati membri dell’UE e anche nel profilo temporale. Secondo le proiezioni del Rapporto 2015 sull’invecchiamento (EC, 2016):

• in otto Stati membri (HR, EL, LV, FR, DK, CY, IT e ES) è prevista una dimi-nuzione della spesa totale legata all’età in rapporto al PIL. In tutti questi paesi, la causa di questa riduzione è legata al rapporto spesa pensionistica sul Gross Domestic Project( GDP), (superiore a 3 p.p. del PIL in HR, DK e LV);

• per un altro gruppo di paesi (BG, PT, EE, SE, HU, PL, IE, RO, LT e Regno Unito), il rapporto spesa-GDP dovrebbe salire moderatamente (fino a 2,5 p.p. del PIL);

• infine, nei restanti dieci Stati membri (FI, AT, CZ, NL, SK, DE, BE, LU, MT e SI) è previsto un aumento consistente del rapporto della spesa legata all’età rispetto al GDP, in crescita tra 2,5 p.p. e 6,8 p.p. del PIL, con la spesa pensionistica in aumento in tutti questi paesi (superiore a 3 p.p. del PIL in BE, LU, MT e SI).

Fig. 2Numero di anni con disabilità per causa e classe di età (1990, 2000 e 2010) – EU

Fonte: Institute for Health Metrics and Evaluation - 2014

Fig. 1 Numero di morti per causa e classe di età (1990, 2000 e 2010) – EU

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Le grandi differenze tra gli Stati membri riflettono principal-mente la diversità dei regimi pensionistici pubblici, il loro grado di maturità e gli effetti delle riforme pensionistiche adottate finora. In termini di spesa sanitaria, questa era pari al 7,8% del PIL nel 2012 nei paesi EU28. Le proiezioni indicano che tale spesa potrebbe crescere fino all’8% del PIL nel 2060 solo a causa dell’invecchiamento demografico, e a livelli più alti quando altri driver di spesa sono contabilizzati, solleva quindi preoccupazioni circa la sua sostenibilità a lungo termine.

Il Rapporto sull’invecchiamento mette in risalto che gli scenari alternativi possano materializzarsi in un contesto da notevole incertezza. Lo “scenario demografico” presup-pone che la spesa pro capite cresca in linea con il reddito nazionale pro capite. L’effetto è che senza l’invecchiamento della popolazione, la quota di spesa sanitaria in percentuale del reddito nazionale sarebbe rimasta costante. Tuttavia, la ricerca empirica mostra che la crescita della spesa pubblica (e dell’assistenza sanitaria) può superare il tasso di cresci-ta del reddito nazionale a causa delle crescenti aspettative nei confronti di una maggiore e migliore assistenza sanitaria e di una maggiore disponibilità a pagare i servizi di assi-stenza sanitaria. D’altra parte, lo scenario presuppone che tutti i futuri guadagni della speranza di vita siano spesi in cattiva salute. Di conseguenza, lo “scenario demografico” può sottostimare o sovrastimare la crescita della spesa sani-

taria. Infatti, le proiezioni mostrano che l’invecchiamento di per sé ha un effetto trascurabile sulla crescita della spesa. Il vero driver è se i guadagni nella speranza di vita sono spesi in buona o cattiva salute. Ottimisticamente, se tutti gli anni di vita aggiuntivi fossero anni di vita passati in buona salute, l’onere aggiuntivo dell’invecchiamento potrebbe essere minimo.

In conclusione, sulla base di una combinazione di diversi scenari, il Rapporto sull’invecchiamento della Commissione Europea mostra che la spesa sanitaria pubblica nel contesto EU28 può aumentare tra 0,9 e 1,6 p.p. PIL. Diversi contesti istituzionali e legali (meccani-smi di finanziamento, assetti proprietari, organizzazione di prestazioni sanitarie, etc.), così come i cambiamenti poli-tici, che non sono ben riflessi nelle proiezioni, aumentano ulteriormente questa forchetta di previsione, sia nell’estre-mità bassa che in quella alta. Nonostante queste incertezze, tutti gli scenari considerati per quasi tutti gli Stati membri mettono in risalto l’esistenza di notevoli e continue pressioni sulla spesa pubblica da parte dei settori dell’assistenza sani-taria, anche se vengono prese in considerazioni di ipotesi conservative.

Nel complesso, le conclusioni della Commissione Europea sono che l’invecchiamento così come i driver non demogra-fici della spesa sanitaria continueranno a mettere in pericolo la sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche.

Sarà, quindi, sempre più difficile riuscire a bilanciare le esigenze di assistenza sanitaria della popolazione europea con le risorse disponibi-li. Pertanto, sforzarsi per aumentare l’efficienza e la qualità della fornitura dei servizi sanitari dovrà rappresentare uno dei punti cardini nell’agen-da politica ed economi-ca di riforma degli Stati membri.

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IL SUEM 118 SALUTA IL QUARTO

DI SECOLO

Festa per il quarto di secolo del Suem

118 del Veneto. Nato formalmente il

27 marzo del 1992, dopo un periodo

di sperimentazione cominciato nel

1990 a Verona e Pieve di Cadore in

occasione dei mondiali di calcio di

Italia 90, il servizio conta 1200 ope-

ratori tra medici, infermieri, autisti

soccorritori, elicotteristi e volontari

in servizio. “In questi 25 anni - ha ri-

cordato intervenendo alla speciale

festa di compleanno il governatore,

Luca Zaia - la sanità veneta è dive-

nuta un modello: è benckmark in

Italia per la sua organizzazione ed è

studiata in tutto il mondo anche per

le sue percentuali di efficacia nell’ur-

genza-emergenza. Oggi il Suem 118

produce numeri da record, con uno

dei suoi mezzi (elicotteri, ambulan-

ze, auto mediche) impegnato in un

intervento ogni meno di 2 minuti per

365 giorni all’anno, 1.026 persone

soccorse al giorno, 369.411 missioni

compiute nel 2016”.

VIA AL PIANO PER RIDURRE LE

LISTE D’ATTESA

Al via, in Piemonte, il piano per la ri-

duzione delle liste d’attesa nella spe-

cialistica ambulatoriale. La Giunta

regionale ha approvato la delibera

presentata dall’assessore alla sani-

tà, Antonio Saitta, con cui si fissano

gli interventi che saranno intrapresi

da Regione e aziende sanitarie: revi-

sione delle agende di prenotazione

attraverso l’istituzione di un doppio

binario, incremento dell’attività per

superare le situazioni critiche, assun-

zione di personale per aumentare il

volume delle prestazioni.

“Nel documento approvato - ha sot-

tolineato l’assessore Saitta - vengono

precisati con chiarezza i tempi e le

modalità delle risorse che saranno

impiegate: la Regione metterà a di-

sposizione delle singole Asl, oltre

al 5% del compenso dell’attività di

intramoenia, fondi supplementari

per finanziare i piani, a partire dalle

situazioni più critiche”. Con il doppio

binario nelle agende di prenotazione,

si istituisce un canale riservato uni-

camente alle prestazioni di “primo

accesso”, che riguardano un nuovo

paziente o una nuova patologia. Il

secondo sarà destinato, invece, ai

pazienti con patologie croniche ed

alle prestazioni che non hanno par-

ticolare urgenza. Per la prima volta

tutte le agende verranno condivise

e comprenderanno gli specialisti, il

pubblico, il convenzionato e l’attivi-

tà intramoenia, un intervento che si

affiancherà alla partenza del nuovo

Cup unico regionale prevista per i

prossimi mesi.

LOTTA ALLA LUDOPATIA,

DUE MILIONI PER I COMUNI

C’è tempo fino al 14 aprile per par-

tecipare al nuovo bando con il quale

la Regione Lombardia ha messo a di-

sposizione dei Comuni altri 2 milioni

di euro per la lotta alla ludopatia. Il

nuovo bando regionale è articolato

in tre linee di cui la prima dedicata

alla prosecuzione di progetti già fi-

nanziati nella precedente edizione, la

seconda a nuovi progetti presentati

da nuovi soggetti e la terza dedicata a

nuovi progetti presentati da soggetti

già finanziati con il precedente ban-

do. Gli ambiti di azione previsti nel

bando sono: informazione e comuni-

cazione, formazione, ascolto, orien-

tamento, mappatura, contestuale

azione di controllo, azioni no slot,

controllo, vigilanza e ricerca.

“La nostra è una lotta contro la droga

del terzo millennio - ha sottolineato

l’assessore regionale Viviana Becca-

lossi. Mi auguro che ancora una vol-

ta la risposta dei Comuni lombardi e

dello straordinario mondo del volon-

tariato, delle scuole, delle parrocchie

e dell’associazionismo sia all’altezza

di una Regione che ha dimostrato nei

fatti di combattere la ludopatia con

tutti i mezzi consentiti”.

Ve

neto

Piem

onte

Lo

mbardia

PILLOLE REGIONALI A cura di Daniele Pallotta

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Friuli Venezia Giulia

REGIONE SI DICHIARA ATTENTA

AI TETRA-PARAPLEGICI

“E’ importante tenere stretti rapporti

con le associazioni, come quella dei

tetra-paraplegici, per conoscere il

loro punto di vista rispetto alle scelte

della Regione sulle problematiche di

loro interesse e poter istituire per-

corsi dedicati tenendo conto delle

attese delle persone”. Con queste pa-

role, l’assessore regionale alla Salute,

Maria Sandra Telesca, ha portato il

saluto della Regione all’assemblea

annuale dell’Associazione tetra-pa-

raplegici del Friuli Venezia Giulia.

Telesca, per l’occasione, ha ricordato

il ruolo della Regione nell’accompa-

gnamento lungo il cammino riabili-

tativo delle persone tetra-paraple-

giche e ha sottolineato l’impegno,

su questo aspetto, dell’Associazione

tetra-paraplegici del Friuli Venezia

Giulia, una onlus costituita a Udine

nel 1983 che si prefigge di fornire

risposte alle richieste di salute, di in-

formazioni e di accoglimento sociale

delle persone con lesioni al midollo

spinale. Obiettivo principale è quello

di migliorare la qualità della vita delle

persone tetraplegiche, paraplegiche

e dei loro familiari, di offrire un sup-

porto sanitario rispetto al percorso

riabilitativo, di favorire il progresso

individuale e sociale delle persone

con lesioni al midollo spinale, pro-

muovendo infine la ricerca e la sensi-

bilizzare dell’opinione pubblica.

INAUGURATO IL CENTRO

DI DIAGNOSI PRENATALE

Un punto di riferimento altamente

specialistico per i dubbi che possono

emergere in gravidanza sulle malfor-

mazioni congenite: Loreto diviene

il Centro di Diagnosi Prenatale di II

livello per la diagnosi di problemi e

patologie del feto, malformazioni,

malattie genetiche ed infezioni in

gravidanza delle Marche. “Per le 12

mila partorienti marchigiane - ha det-

to il presidente della Regione Luca

Ceriscioli - significa che seicento di

loro possono avere necessità di ap-

profondimento sulla condizione del

feto ed indicazioni su come gestire al

meglio, dopo la nascita, i bisogni del

bambino. Sappiamo che i problemi

congeniti sono quelli che causano nel

primo anno maggiori rischi di morte

e, in generale, limitazioni di disabilità

nel tempo. Se questi rischi vengono

affrontati per tempo, se sono diagno-

sticati correttamente, in molti casi

si mettono in atto scelte e terapie

a favore del bimbo e della famiglia”.

L’ospedale di comunità Santa Casa di

Loreto sarà la seconda struttura nel-

le Marche dove esiste un Centro di

diagnosi neonatale di secondo livello.

L’altra si trova presso l’azienda Mar-

che Nord di Pesaro. All’interno del

Centro vi sono un’ala con sette stanze

separate e ben attrezzate per offrire

alle pazienti la tranquillità e la pri-

vacy necessaria, personale altamen-

te specializzato dal punto di vista sia

medico che ostetrico-infermieristico,

adeguati macchinari di ultima gene-

razione che permettono una diagno-

stica di alto livello come l’ecografo di

fascia elevata (Voluson E10), unico in

regione e che, attraverso una sonda

a matrice elettronica, permette uno

studio in tempo reale in 4D. Il Cen-

tro garantisce anche un supporto di

counselling fornito da psicologi e psi-

coterapeuti per l’accompagnamento

delle coppie nelle fasi comunicative

della diagnosi e successivamente nei

percorsi che si attiveranno a seguito

di decisioni da prendere come l’even-

tuale interruzione di gravidanza.

RINNOVATO ACCORDO

CON PIEMONTE PER

FORMARE MICOLOGI

Via libera della Giunta ligure all’ac-

cordo con la Regione Piemonte per

l’avvio di una collaborazione scienti-

fica nell’ambito della formazione in-

terregionale dei Micologi.

“Questo corso - ha affermato l’asses-

sore regionale alla Salute, Sonia Viale

- è un’eccellenza della nostra regione

che forma persone di ogni età ed in

particolare i giovani, offrendo loro

anche una interessante prospettiva

di lavoro. Quella dei micologi è una

specializzazione che coniuga l’amore

per la nostra terra ed i nostri boschi,

ma anche la capacità di fare preven-

zione in materia sanitaria per pre-

venire ed evitare le intossicazioni.

Partendo da questi presupposti - ha

aggiunto l’assessore - abbiamo intra-

Marche

Liguria

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Ab

ruzzo

preso proficue relazioni anche con

altre regioni e, in particolare, con il

Piemonte, per la progettazione di ul-

teriori percorsi formativi nel settore

della micologia”. Fermo restando le

competenze tipiche del micologo,

che deve occuparsi prioritariamente

di sicurezza alimentare e di controlli,

questa qualifica può essere impiega-

ta anche nell’ambito di altre attività,

non solo commerciali o di produzio-

ne primaria, ma anche innovative di

coltivazione di funghi, costituendo

un valore aggiunto per la valorizza-

zione a 360 gradi dei funghi come

prodotti alimentari. La Liguria è la

regione più “verde” d’Italia in rappor-

to alla superficie complessiva: con

la legge 17/2014 (“Disciplina della

raccolta e commercializzazione dei

funghi epigei”) la Regione ha volu-

to valorizzare il proprio entroterra

anche attraverso la risorsa fungina,

che qui vanta tradizioni fra le più

antiche. In tale percorso, la Liguria,

ha potenziato il ruolo dell’esperto

micologo, prevedendo la possibilità

della certificazione di commestibili-

tà non solo all’apparato pubblico, ma

anche al micologo aziendale. Da qui

la scelta di investire sulla formazione

di alta qualità nella preparazione dei

micologi, con l’apporto di docenti di

grande competenza a livello naziona-

le ed internazionale: il corso, gestito

da Micamo srl (spin off dell’Univer-

sità di Genova) ha coinvolto docenti

dell’Ateneo genovese, dell’Università

di Torino e delle Asl di Liguria e Pie-

monte.

ACCORDO REGIONE - CRI PER

TRASFERIMENTO PERSONALE

Con la firma di un apposito protocollo

di intesa tra Regione Abruzzo, Croce

Rossa Italiana e le quattro Asl abruz-

zesi, è stata avviata la procedura che

porterà all’assunzione di 23 dipen-

denti con rapporto di lavoro a tem-

po indeterminato della Croce Rossa

Italiana. I 23 dipendenti sono in or-

ganico alla Cri e ricoprono oggi fun-

zioni di autista soccorritore. Si tratta

di personale che aveva già prestato

servizio in attività convenzionate con

le Asl per un periodo non inferiore

a cinque anni. Nello specifico, fino

al 30 giugno 2017, il personale sarà

utilizzato in regime di avvalimento

dalle Asl competenti per territorio,

facendo riferimento alla preceden-

te sede di servizio dei lavoratori. A

far data del 1 luglio 2017, invece, a

conclusione di un confronto con le

organizzazioni sindacali, si procederà

all’inquadramento e all’immissione

in ruolo del personale nelle dotazio-

ni organiche delle quattro Asl. “Sono

soddisfatto per la convenzione che

abbiamo sottoscritto - ha detto l’as-

sessore alla sanità abruzzese, Silvio

Paolucci - in quanto abbiamo fornito

una risposta concreta ai 23 dipen-

denti della Croce Rossa Italiana, che,

a seguito della riorganizzazione del

proprio ente di appartenenza, aveva-

no perso ogni certezza sul loro futuro

lavorativo”.

LA PET THERAPY DIVENTA

CURA UFFICIALE

La Pet Therapy diventa una cura uf-

ficiale anche in Sardegna. Ricono-

sciuta dall’Italia nel 2003, a un anno

dalla firma dell’accordo fra Governo,

Regioni e Province autonome che ha

stabilito le linee guida, una delibera

approvata dalla Giunta Pigliaru ne

sancisce l’attuazione. “È una delibera

importante perché offre ai cittadi-

ni sardi una nuova opportunità - ha

detto l’assessore Arru - siamo partiti

dalla richiesta di una mamma e dalla

lettera di Elena, sua figlia, che duran-

te un lungo ricovero aveva espresso

il desiderio che gli animali domestici

potessero fare compagnia ai bam-

bini in ospedale. Essere riusciti a re-

alizzare il suo sogno è una piccola,

grande soddisfazione. Partendo dalla

valorizzazione di esperienze già esi-

stenti in Sardegna, come quella spe-

rimentale del Microcitemico o quella

dell’ippoterapia di Olbia, abbiamo co-

struito linee guida immediatamente

applicabili. Grazie a questi interventi

- ha concluso Arru - abbiamo oggi uno

strumento in più per il recupero del

contatto sociale e delle relazioni dei

pazienti, con significativi benefici che

ricadono anche sulle famiglie”.

MALATTIE REUMATICHE , PIÙ

ASSISTENZA PER I PAZIENTI

Attualmente, in Alto Adige, 19mila

persone soffrono di una malattia

reumatica ed il numero dei casi non

ancora registrati si dovrebbe aggira-

re intorno alle 50mila unità. Per que-

sta ragione l’assessorato provinciale

alla sanità ed alle politiche sociali di

Bolzano ha pensato alla creazione

di una rete di competenze a livello

provinciale. Già reperite le risorse

finanziarie che verranno utilizzate

per investimenti nel settore dell’as-

sistenza ai malati. Saranno inoltre

Sa

rdegna

Trentino Alto Adige

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inseriti nella rete di assistenza dei

pazienti reumatici due cliniche: la

“Waldburg-Zeil-Rheumaklinik” di

Oberammergau, per pazienti adulti, e

la “Kinderklinik” di Garmisch-Parten-

kirchen, per i minori, con le quali è già

stato prolungato di ulteriori cinque

anni l’accordo di collaborazione. Se-

condo il presidente dell’Associazione

Reuma Alto Adige, Günther Stolz, ed

il segretario Andreas Varesco:

“È importante che possa proseguire

la proficua collaborazione già oggi in

atto con entrambe le cliniche”.

TERAPIA DEL DOLORE,

INAUGURATA LA RETE MILANESE

“Attraverso la costituzione della Rete

della terapia del dolore della città di

Milano, la Lombardia si conferma

ancora una volta all’avanguardia ri-

spetto al resto del Paese e dimostra

di rivolgere la massima attenzione

per migliorare la qualità della vita ai

pazienti cronici e più fragili. Questo

dimostra che il sistema delle Reti su

cui la Regione punta è uno strumento

vincente e soprattutto che a Milano si

sta concretizzando l’attuazione della

nostra riforma sanitaria”. Lo ha detto

l’assessore al Welfare della Regione

Lombardia, Giulio Gallera, interve-

nendo al congresso sulle terapie del

dolore all’ospedale Niguarda di Mi-

lano. Oltre al Niguarda che svolge il

ruolo di hub, fanno parte del network

altre nove nove strutture ospedalie-

re: Fatebenefratelli-Sacco, Gaetano

Pini, Asst Nord Milano, Santi Paolo e

Carlo, Fondazione Ca’ Granda-ospe-

dale Maggiore Policlinico, Istituto na-

zionale tumori, Istituto clinico Citta’

studi, Ieo, Asst Rhodense.

MOBILITÀ ATTIVA, LA REGIONE

SI SCOPRE VIRTUOSA

“In un quadro generale nazionale for-

temente contrassegnato dalla ricer-

ca di cure da parte dei cittadini fuori

dalla propria regione, il Molise è tra le

otto che vantano un saldo attivo tra

pazienti in uscita e in entrata.

La nostra mobilità attiva vale oltre

25,3 milioni di euro”. Così il presiden-

te della Regione e commissario alla

sanità del Molise, Paolo di Laura Frat-

tura, commenta il dato pubblicato da

“Il Sole 24 ore”. “È un rapporto ancora

più importante - prosegue - se riferi-

to alla nostra condizione di regione

in piano di rientro e se paragonato al

trend delle altre regioni. Meglio di noi

fanno realtà da sempre riferimento

per i servizi di assistenza e cura quali

Lombardia, Emilia Romagna, Toscana

e Veneto, poi veniamo noi, al quinto

posto in Italia e primi nel Centrosud,

grazie alla qualità espressa anche dalle

strutture accreditate convenzionate”.

LA REGIONE

FUORI DAL PIANO DI RIENTRO

“La nostra Regione è finalmente fuori

dal piano di rientro sanitario“.

Così il presidente del Piemonte,

Sergio Chiamparino, sull’uscita dal

piano di rientro. “Comincia ora - ha

affermato Chiamparino - una fase

importante per la Regione, perché

torniamo ad avere autonomia, come

tutte le regioni del Centro-Nord,

nell’intervenire per risolvere i pro-

blemi relativi alla carenza di perso-

nale, alla situazione dei pronto-soc-

corso, allo sviluppo dell’assistenza

territoriale. Insomma, una fase 2 - ha

aggiunto - nella quale, lontani dal vo-

lerci adagiare sui buoni risultati rag-

giunti, continueremo a lavorare con

rinnovato impegno per sviluppare un

sistema sanitario sempre più vicino ai

cittadini e alle loro esigenze di salute

e assistenza“.

PIANO REGIONALE PER

INVESTIMENTI IN TECNOLOGIE

SANITARIE

Una pianificazione regionale per

programmare gli investimenti delle

aziende sanitarie in tecnologie bio-

mediche, rispettando i criteri di effi-

cacia e appropriatezza clinica.

Per evitare doppioni, sprechi e garan-

tire una presenza omogenea delle ap-

parecchiature su tutto il territorio re-

gionale. Lo prevede una delibera della

Giunta regionale Toscana. “La nostra

Regione possiede un patrimonio di

tecnologie biomediche assolutamen-

te competitivo - sottolinea l’assesso-

re al Diritto alla Salute, Stefania Sac-

cardi - Un patrimonio che necessita

di impegno e di risorse continue per

garantire omogeneità assistenziali.

Per questo è necessaria un’adeguata

programmazione degli investimen-

ti in questo settore, per rispondere

con strutture e tecnologie sempre

più appropriate, moderne e sicure

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Ba

silicata

alle necessità di salute dei cittadini”.

Per definire il fabbisogno di tecnolo-

gie biomediche nel Servizio sanitario

regionale, è stato previsto che venga

redatto un Piano Regionale delle Tec-

nologie Biomediche a valenza trien-

nale, con possibilità di revisione se-

mestrale per inserimenti, modifiche,

integrazioni o annullamenti. Il Piano

dovrà definire l’allocazione delle ri-

sorse economiche disponibili, secon-

do criteri di appropriatezza, efficacia,

adeguatezza e priorità. Le aziende

sanitarie che hanno intenzione di

acquistare apparecchiature biome-

diche dovranno chiedere una speci-

fica autorizzazione. In base all’elenco

presentato dalle aziende, verrà stila-

to anche un Piano di Area Vasta delle

Tecnologie Biomediche. Tutto conflu-

irà nel Piano Regionale delle Tecnolo-

gie Biomediche, che rappresenterà il

fabbisogno di tecnologie biomediche

della Regione Toscana per il periodo

di riferimento. A questo punto, la Re-

gione effettuerà una valutazione di

impatto economico-finanziario del

piano stesso nel triennio e, sulla base

delle risorse, stilerà l’elenco delle ap-

parecchiature effettivamente acqui-

stabili, e quindi “autorizzate”.

ARRIVERANNO 5 MILIONI

DI EURO IN PIU’

La Regione Basilicata per il 2017 po-

trà contare su una dotazione finan-

ziaria di un miliardo e 52 milioni di

euro per il sistema sanitario lucano.

Lo ha reso noto l’assessore regionale

alle Politiche per la Persona, Flavia

Franconi. “Dopo una difficile e lunga

trattativa portata avanti con il pre-

sidente Marcello Pittella, la Basilica-

ta - ha detto Franconi - ha ottenuto

un altro positivo risultato. Infatti,

nonostante la diminuzione della po-

polazione lucana, il fondo destinato

alla nostra regione è aumento di ulte-

riori 5 milioni di euro. Si tratta di un

risultato positivo che si aggiunge agli

altri traguardi raggiunti. Dal 2014 ad

oggi la Basilicata ha visto aumentare

la dotazione finanziaria per il sistema

sanitario regionale di oltre 42 milioni

di euro. Risorse - ha aggiunto la Fran-

coni - che serviranno a potenziare i

servizi posti a disposizione dei citta-

dini nel quadro di una riforma gene-

rale finalizzata a mettere in sicurezza

il quadro finanziario e a rendere an-

cora più efficienti le strutture sanita-

rie lucane”.

LISTE D’ATTESA, LA LORENZIN

PROMUOVE IL MODELLO EMILIA

“Stiamo fronteggiando il problema

delle liste di attesa a macchia di le-

opardo e con grandissima lentezza.

Credo che il modello migliore sia

quello emiliano, dove sono state

messe in campo una serie di misure

in questi tre anni che hanno, di fatto,

eliminato le liste di attesa.

Adesso stanno lavorando non solo

sulla parte dei laboratori, ma anche

su quella degli interventi chirurgici.

Sono molto avanti”. Lo ha detto il mi-

nistro della Salute, Beatrice Lorenzin.

“Già da un anno e mezzo ho detto alle

Regioni di ispirarsi al modello emilia-

no cercando di applicarlo - ha sottoli-

neato la Lorenzin - Il tema delle liste

di attesa è solo un tema di organizza-

zione, non di risorse. Le risorse ades-

so ce le hanno in più tutte le Regioni

con lo sblocco del turnover. All’Emilia

- ha spiega il ministro - è costato una

cosa come 20 milioni di euro, che nel

budget sanitario è una cifra piccola.

Nuove assunzioni, una organizzazio-

ne, un Recup efficiente ed un sistema

di vigilanza fanno funzionare le liste

di attesa. Quanto ci vorrà affinché le

altre Regioni si uniformino all’Emilia?

Se avessimo fatto riforma del Titolo

V, un anno e mezzo o due. Dipende

molto anche dalle singole Regioni” -

ha poi concluso la Lorenzin.

SANITÀ VENETO: INFONDATE LE

ACCUSE SU UN CASO DI ABORTO

(AVN) Venezia, 22 aprile 2017

“…Per fortuna ci ha pensato la Ma-

gistratura, che ringrazio, svelando la

verità con un lavoro meticoloso e ve-

loce”. Con queste parole, l’Assessore

regionale alla Sanità Luca Coletto,

commenta l’esito finale delle indagini

sul presunto caso della signora di Pa-

dova che, volendo abortire, avrebbe

dovuto peregrinare attraverso 23

ospedali per ottenere la prestazione.

“Questa vicenda - conclude Coletto -

lascia comunque una grande amarez-

za: il dover constatare come la sanità

sia sempre di più il terreno di caccia

di strumentalizzazioni, perché la sa-

lute è un bene delle persone, non uno

strumento della politica del disfat-

tismo”. Il responsabile della sanità

del Veneto si è chiesto anche chi ora

potrà restituire dignità agli operato-

ri sanitari ingiustamente trascinati

nel fango da alcuni media nazionali

che nel frangente hanno proposto il

Veneto come la regione che negava i

diritti delle donne.

Em

ilia Romagna

Ve

neto

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