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otiziario Bibliografico 49 n. 49 - settembre 2005 - sped. in abb. postale art. 2 comma 20/c Legge 662/96 - taxe perçue - tassa riscossa - Filiale di Padov a periodico della Giunta regionale del Veneto

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periodico della Giunta regionale del Veneto

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I n d i c e

“Quaderni di archeologia del Veneto”Vent’anni dopoGuido Rosada, coordinatore scientifico della rivista 7

RECENSIONI E SEGNALAZIONI

Storia della Chiesa

M. Rossi, Governare una Chiesa. Vescovi e clero a Veronanella prima metà del Trecento (Massimiliano Muggianu) 11

La diocesi di Vicenza, a cura di E. Napione (Massimiliano Muggianu) 11

Le scritture e le opere degli inquisitori (Cecilia Passarin) 11

A. Barzazi, Gli affanni dell’erudizione. Studi e organizzazione culturaledegli ordini religiosi a Venezia tra Sei e Settecento (Massimiliano Muggianu) 12

F. González Fernández mccj, Daniele Comboni e la rigenerazione dell’Africa.“Piano” “Postulatum” “Progetto” (Massimiliano Muggianu) 12

G. Morlin, La Chiesa di Treviso dall’8 settembre 1943 al 18 aprile 1948.Frammenti di storia, di sofferenza e di libertà nelle cronachedi alcuni parroci trevigiani (Massimiliano Muggianu) 13

Scienze sociali

Programma triennale di sviluppo dei sistemi turistici locali (Susanna Falchero) 13

Analisi delle imprese alberghiere del Veneto (Susanna Falchero) 14

M. Da Pozzo, T. Tempesta, M. Thiene, Turismo ed attività ricreativea Cortina d’Ampezzo (Susanna Falchero) 14

Professionalità e occupabilità dei laureati e dei diplomati dell’Università di PadovaBisogni di professionalità nelle attività per il turismo nel Veneto(Diego Crivellari) 15

Identità e appartenenza. Giovani e immagine delle istituzioni locali in Veneto(Diego Crivellari) 15

Una policy regionale per lo sviluppo locale.Il caso della L.r. 8/2003 per i distretti produttivi del Veneto (Diego Crivellari) 15

Notiziario Bibliograficon. 49, settembre 2005periodico quadrimestraled’informazione bibliograficaa cura della Giunta regionale del Veneto

Comitato promotoreGiancarlo Galan (presidente della Giunta regiona-le), Angelo Tabaro (dirigente regionale Cultura)Comitato di redazioneClaudio Bellinati (direttore emerito dell’ArchivioVescovile e della Biblioteca Capitolare di Padova),Massimo Canella (dirigente Servizio editoria, benilibrari e archivistici e musei), Chiara Finesso, Bian-ca Lanfranchi Strina (già sovrintendente ai Beniarchivistici del Veneto), Anelio Pellizzon, † SilvioTramontin, Marino Zorzi (direttore della BibliotecaNazionale Marciana)Direttore responsabileAnelio PellizzonResponsabile di redazioneChiara FinessoSegreteria di redazioneGiovanna Battiston, Sandra Bortolazzo,Susanna Falchero

Collaboratori alla redazione di questo numeroCinzia Agostini, Gianluca Barp, Giovanna Battiston,Sandra Bortolazzo, Laura Bozzo, Alessandro Ca-sellato, Marilia Ciampi Righetti, Fiorino Collizzolli,Diego Crivellari, Barbara Da Forno, Giuseppe DeMeo, Susanna Falchero, Luisella Ferrarese, ChiaraFinesso, Elio Franzin, Rosetta Frison Segafredo,Guido Galesso Nadir, Giuseppe Iori, MassimilianoMuggianu, Paolo Parigi, Cecilia Passarin, AndreaPelizza, Giovanna Perghem, Ferdinando Perissi-notto, Silvia Piacentini, Marika Piva, Mario Qua-ranta, Anna Renda, Andreina Rigon, Guido Rosada,Chiara Schiavon, Remy Simonetti, Lino Scalco,Michele Simonetto, Tobia Zanon, Piero Zanotto,Luca ZulianiCollaboratori alla rassegna bibliograficaGiovanna Battiston, Laura Bozzo, Barbara Da For-no, Susanna Falchero

Direzione e RedazioneGiunta regionale del VenetoCentro Culturale di Villa Settembrini30171 Mestre Venezia - via Carducci 32tel. 041 980447 - fax 041 5056245

Giunta regionale del Veneto - Direzione Cultura30121 Venezia - Palazzo ScerimanCannaregio Lista di Spagna, 168tel. 041 2792619 - fax 041 2792617

Recapito della Redazione“Notiziario Bibliografico”presso Il Poligrafo casa editrice35121 Padova | via Cassan 34 (piazza Eremitani)tel. 049 8360887 | fax 049 8360864e-mail: [email protected]

(tutti i materiali per la rivistavanno inviati a questo indirizzo)

Periodicità: quadrimestraleTiratura : 15.000 copieEditore: Il Poligrafo - Regione del VenetoAutoriz. del Trib. di Padova n. 1291 del 21-6-1991Spedizione in abb. post. art. 2 comma 20/c Legge662/96 - taxe perçue - tassa riscossa - Filiale di PadovaStampa: Arti Grafiche Padovane

I L P O L I G R A F O

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G. Oneto, Paesaggio e architettura delle regionipadano-alpine dalle origini alla fine del primo millennio(Giovanna Battiston) 23

Narrativa - Memorialistica

B. Belli, La storia di un colono, a cura di E. Franzina(Elio Franzin) 23

B. Frescura, Sull’oceano cogli emigranti(impressioni e ricordi...) (Laura Bozzo) 23

F. De Checchi, Rivederci nell’America.Storia testimonianze di un secolo di emigrazione anguillarese(Elio Franzin) 24

G. Paccanaro Fèsta, Galliesi Ghèllarn (Marilia Ciampi Righetti) 24

D. Buzzati, Il segreto del Bosco Vecchio (Tobia Zanon) 24

E. Sartori, Parole suonate in controcanto (Tobia Zanon) 25

F. Busetto, La politica e la memoria.Uomini, eventi, istituzioni (Diego Crivellari) 25

A. Battaglion, Ricordi de un trevisan (Laura Bozzo) 25

G. Rapelli, Nel cuore di Verona.Gli anni Cinquanta dei veronesi (Chiara Schiavon) 26

T. Campanati, Cronaca di una alluvione (Anna Renda) 26

M. Melchiorre, Requiem per un albero.Resoconto dal Nord Est (Alessandro Casellato) 26

Liceo scientifico Statale “Giuseppe Veronese” - Chioggia,50 anni di “Veronese” (Mario Quaranta) 27

Musica - Teatro - Cinema - Fotografia

R. Alonge, Goldoni. Dalla commedia dell’arteal dramma borghese (Giuseppe De Meo) 27

L. Lunari, Il Teatro Veneto (Gianluca Barp) 28

Venezia è un’isola. Un secolo di interpretazionidel cinema documentario, a cura di L. Ciacci (Piero Zanotto) 28

Storia

A. Cauz, Aspetti della giustizia e della criminalitànel Seicento. Fatti e personaggi visti attraverso gli attidel tribunale feudale di Cordignano (Ferdinando Perissinotto) 29

N.E. Vanzan Marchini, San Servolo e Venezia.Un’isola e la sua storia (Remy Simonetti) 29

F.M. Agnoli, I processi delle Pasque veronesi.Gli insorti veronesi davanti al tribunale militare rivoluzionariofrancese (maggio 1797-gennaio 1798) (Luca Zuliani) 29

L. Tosi - R. Frattini - P. Bruttocao,S. Artemio: storia e storie del manicomio di Treviso(Susanna Falchero) 16

Com’è cambiato il paesaggio vicentino a cura di M.V. NodariDal mercato della città alla città mercato a cura di M.V. Nodari(Susanna Falchero) 16

Ambiente - Scienze naturali

Un Parco per l’uomo. Dieci anni di vitadel Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi,a cura di E. Cason Angelini (Giovanna Battiston) 16

Il Monte Pastello, a cura di L. Latella (Giovanna Battiston) 17

M. Sivieri, L’Adige racconta. Viaggio lungo il fiumetra natura, arte, storia... (Laura Bozzo) 17

Arte

L. Finocchi Ghersi, Il Rinascimento venezianodi Giovanni Bellini (Paolo Parigi) 18

G. Alfano, Dionisio e Tiziano.La rappresentazione dei “simili” nel Cinquecentotra decorum e sistema dei generi (Tobia Zanon) 18

Il volto e gli affetti. Fisionomica ed espressionenelle arti del Rinascimento, a cura di A. Pontremoli(Giovanna Perghem) 19

M. Pavan, Scritti su Canova e il Neoclassicismo(Marilia Ciampi Righetti) 19

Placido Fabris pittore 1802-1859.Figure, avresti detto, che avevano anima e vita,a cura di P. Conte e E. Rollandini (Laura Bozzo) 19

Comelico e Sappada. Tesori d’arte nelle chiesedell’alto bellunese, a cura di M. Mazza (Barbara Da Forno) 20

A. Zuccon, Cibiana di Cadore.I “murales” raccontano la sua storia (Chiara Schiavon) 20

M. Nezzo, Critica d’arte in guerra. Ojetti 1914-1920(Guido Galesso Nadir) 21

Architettura - Urbanistica - Paesaggio

La Torre Bissara di Vicenza tra antica memoriae nuova percezione, a cura di G. Gaudini (Luisella Ferrarese) 21

Domus illorum de Lischa. Una famiglia e un palazzodel Rinascimento a Verona, a cura di S. Lodi (Giuseppe Iori) 21

La Casa di Francesco Petrarca ad Arquà. Guida,a cura di M. Magliani (Laura Bozzo) 22

Andrea Palladio atlante delle architetture,a cura di H. Burns, G. Beltramini, M. Gaiani (Sandra Bortolazzo) 22

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R. Stoppato Badoer, Autonomia e Privilegidella Spettabile Reggenza dei Sette Comuninella Veneta Serenissima Republica (Laura Bozzo) 30

Donne a Venezia. Vicende femminili fra Trecentoe Settecento, a cura di S. Winter (Laura Bozzo) 30

Salotti e ruolo femminile in Italia tra fine Seicentoe primo Novecento, a cura di M.L. Betri ed E. Brambilla(Elio Franzin) 31

R. Vergani, Miniere e società nella montagna del passato.Alpi venete, secoli XIII-XIX (Mario Quaranta) 31

F. Bianco, Contadini e popolo tra conservazionee rivolta ai confini orientali della repubblica di Veneziatra ’400 e ’800. Saggi di storia sociale (Luca Zuliani) 31

F. Bianco, Contadini, sbirri e contrabbandieri nel Friulidel Settecento. La comunità di villaggio tra conservazionee rivolta (Valcellina e Valcolvera) (Ferdinando Perissinotto) 32

N. Agostinetti, Massoneria e società segrete nel Venetodel Sette-Ottocento (Elio Franzin) 32

W. Panciera, Napoleone nel Veneto.Venezia e il generale Bonaparte 1796-1797 (Fiorino Collizzolli) 33

G. Paladini, Uscire dall’isola. Venezia, risparmio privatoe pubblica utilità: 1822-2002 (Giuseppe Iori) 33

M. Dassovich, L’Impero e il golfo. Una ricerca bibliograficasulla politica degli Asburgo verso le provincie meridionalidell’impero negli anni 1815-1866 (Elio Franzin) 34

G. Berti - F. Della Peruta, La Carboneria. La nascita della nazione.Intrecci veneti, nazionali e internazionali (Mario Quaranta) 34

1848-1849. Costituenti e Costituzioni. Daniele Manine la Repubblica di Venezia, a cura di P.L. Ballini (Giuseppe Iori) 34

Carte Cavalletto I. Archivio Alberto Cavalletto,Archivio del Comitato politico centrale veneto,Archivio Giuseppe Prezzini, Archivio della Società Pezzin Pavan,a cura di V. Chiusura e F. Cosmai (Elio Franzin) 35

E. Cecchinato, La rivoluzione restaurata.Il 1848-49 a Venezia tra memoria e oblio (Giuseppe Iori) 35

M. Girardi, Verona tra Ottocento e Novecento(Marilia Ciampi Righetti) 36

S. Garbato, Rovigo e il Polesine tra Ottocento e Novecento(Marilia Ciampi Righetti) 36

M. Bernardi, Oderzo tra Ottocento e Novecento(Marilia Ciampi Righetti) 37

C. Pasqual e M. Pitteri, Mestre tra ’800 e ’900(Marilia Ciampi Righetti) 37

S. Barizza, Storia di Mestre.La prima età della città contemporanea (Fiorino Collizzolli) 37

G. Netto, Il Comune di Treviso nel 1314.Quartieri - Pievi - Regole, Carta topograficae note illustrative (Remy Simonetti) 38

G. Cagnin, Cittadini e forestieri a Treviso nel Medioevo(secoli XIII-XIV ) (Laura Bozzo) 38

Libro macaronico di Zuanne Mestriner.Cronache di Treviso raccontate da un barbieretra il 1682 e il 1731, a cura di M. Moro (Anna Renda) 39

Il Veneto e Treviso fra Settecento e Novecento.(Giuseppe Iori) 39

Rolandino, Vita e morte di Ezzelino da Romano,a cura di F. Fiorese (Elio Franzin) 40

E. Rubini, Giustizia veneta. Lo spirito venetonelle leggi criminali della Repubblica (Lino Scalco) 40

M. Costantini, Porto, navi e traffici a Venezia. 1700-2000(Michele Simonetto) 40

B. Sivazliyan, Del Veneto, dell’Armenia e degli Armeni(La memoria dell’integrazione) (Piero Zanotto) 40

B. Levon Zekiyan - A. Arslan - A. Ferrari, Dal Caucaso al Veneto.Gli Armeni fra storia e memoria (Massimiliano Muggianu) 41

C. Callegari, Identità, cultura e formazione nella Scuola ebraicadi Venezia e di Padova negli anni delle leggi razziali(Giuseppe Iori) 41

Socialismo, anarchismo e sindacalismo rivoluzionarionel Veneto tra Otto e Novecento, a cura di G. Berti(Diego Crivellari) 42

G. Thaon di Revel, La cessione del Veneto.Ricordi di un commissario piemontese incaricato alle trattative.Venezia 1866: dall’occupazione asburgica all’occupazionesabauda dei territori veneti (Ferdinando Perissinotto) 42

S. Rossetto, Il Gazzettino e la società veneta.Storia di un giornale nel Nordest dal 1887 a oggi(Diego Crivellari) 43

D. Marchesini, “Verona del Popolo” 1890-1922(Mario Quaranta) 43

Non solo armi. Pasubio 1915-1918 (Michele Simonetto) 43

A. di Valmarana, Con gli autocannoni sui frontidella grande guerra, a cura di C. Gattera (Giuseppe Iori) 44

Guerra a fuoco. Dal Carso agli Altipiani, dal Monte Grappaal Piave: la Grande Guerra nell’album fotograficodel tenente Sante Gaudenzi, a cura di L. FabiTrincee della memoria. La Grande Guerra in Carnia,in Val Dogna e sullo Jôf di MiezegnotQuaderno di guerra. Carso, Altipiani, Caporetto:la Grande Guerra nella memoria autobiograficadel caporale Giuseppe Marchesotti, a cura di F. Macchieraldo(Gianluca Barp) 44

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T. Bertè, Caporetto. Sconfitta o vittoria? (Luca Zuliani) 45

C. Pavan, I prigionieri italiani dopo Caporetto,a cura di A. Burato (Alessandro Casellato) 45

M. Wachtler - G. Obwegs, Dolomiti - La Grande Guerra(Tobia Zanon) 46

L. Girotto, 1866-1918 Soldati e fortezze fra Asiago e il Grappa.Storia ed immagini dello “sbarramento Brenta-Cismon”dal Risorgimento alla Prima Guerra mondiale(Ferdinando Perissinotto) 46

R. Striffler, Guerra di mine. Monte Cimone, 1916-1918(Ferdinando Perissinotto) 47

B. Di Martino, La guerra della fanteria 1915-1918(Ferdinando Perissinotto) 47

C. Pavan, In fuga dai tedeschi. L’invasione del 1917nel racconto dei testimoni (Alessandro Casellato) 48

D. Baldo, Morire per la patria. I caduti polesaninella guerra 1915-1918 (Ferdinando Perissinotto) 48

E. Bucciol, Animali al fronte (Ferdinando Perissinotto) 48

S. Bartolini, Italiane alla guerra.L’assistenza ai feriti 1915-1918 (Mario Quaranta) 49

G. e M. Crovato, Regate e Regatanti.Storia e storie della voga a Venezia (Piero Zanotto) 49

M. Vianello, Un’isola del tesoro.Venezia tra presente e futuro (Giuseppe Iori) 50

L. Scalco, Storia economica del Polesine.Dalla Prima guerra mondiale alla società post-industriale(Mario Quaranta) 50

E. Pittalis, Dalle Tre Venezie al Nordest (Giuseppe Iori) 51

C.S. Capogreco, I campi del duce. L’internamento civilenell’Italia fascista (1940-1943) (Diego Crivellari) 51

M. Trinca, Monigo: un campo di concentramento per slavia Treviso, luglio 1942 - settembre 1943 (Tobia Zanon) 51

A. Casellato, Giuseppe Gaddi. Storia di un rivoluzionariodisciplinato (Diego Crivellari) 52

L. Urettini, Bruno Visentini (Ferdinando Perissinotto) 52

“Eravamo ribelli”. Gli operai dell’Officina locomotivedi Verona: guerra, lavoro e vita quotidiana (1943-1945),a cura di M. Zangarini (Massimiliano Muggianu) 53

L’insegnamento di Ettore Gallo, a cura di G. Pupillo(Diego Crivellari) 53

Archeologia

Musei Civici di Padova - Museo Archeologico.Sale di collezione: gemme antiche e moderne, vasi greci,etruschi e italioti, a cura di C. Agostini, A. Bidoli, B. LavaroneLa tomba bisoma di uomo e di cavallo nella necropolidel Piovego-Padova, a cura di G. Leonardi(Cinzia Agostini) 54

Vetri antichi delle Province di Belluno, Treviso e Vicenza,a cura di C. Casagrande e F. Ceselin (Marilia Ciampi Righetti) 54

I Veneti dai bei cavalli, a cura di L. Malnati e M. Gamba(Andrea Pelizza) 54

D. Morandi Bonacossi, Il Vicino Oriente anticonella collezione del monastero armeno di San Lazzaro(Cinzia Agostini) 55

Montegrotto Terme. Via Neroniana. Gli scavi 1989-1992,a cura di P. Zanovello e P. Basso (Marilia Ciampi Righetti) 55

Ritrovamenti monetali nel Mondo Antico: problemi e metodi,a cura di G. Gorini (Tobia Zanon) 56

Giuliano Marangon, Frammenti di mistero.Antichità, cimiteri, oratori e battisteri storici lungol’asse della “Fossa Clodia” (Marilia Ciampi Righetti) 56

Oppidum Nesactium. Una città istro-romana,a cura di G. Rosada (Cinzia Agostini) 56

M. De Franceschini, Le ville romane della X RegioVenetia et Histria (Cinzia Agostini) 57

1902-2002. Il Museo di Este: passato e futuro,a cura di A.M. Chieco Bianchi e A. Ruta SerafiniEste preromana: una città e i suoi santuari, a cura di A. Ruta SerafiniIl passaggio del guerriero. Viaggio tra i santuari di Este preromana,a cura di F. Benvegnù, A. Facchi, S. Magro e C. Tagliaferro(Cinzia Agostini) 57

C. Chemin, Il complesso di Ca’ Marcello di Monselice.Analisi stratigrafica degli alzati (Cinzia Agostini) 58

L’E DITORIA NEL VENETO

Daniele Comboni.Un missionario nell’Ottocento veneto(Rosetta Frison Segafredo) 59

Città murate del Veneto.Gli studi di fattibilità per la tutela e la valorizzazione(Diego Crivellari) 62

Gli woman studies nel Veneto.Una nuova collana editoriale(Chiara Finesso) 64

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RIVISTERIA VENETA

Spoglio dei periodici di psicologia, psichiatria, pedagogiae di scienze sociali (2004-2005) 67

Psicologia - Psichiatria - Pedagogia

Acta Hypnologica 67

Comprendre. Archive International pour l’Anthropologieet la Psychopathologie Phénoménologiques 67

ISRE. Istituto Superiore Internazionale Salesianodi ricerca educativa 68

Psichiatria generale e dell’età evolutiva 68

Psyche nuova 69

Quaderni del Liceo Brocchi 69

Quaderni di psichiatria e psicoanalisi 69

Rassegna di pedagogia - Pädagogische Umschau 70

Studium Educationis. Rivista per la formazionenelle professioni educative 70

Scienze sociali

Diritto e società 72

Economia e società regionale 73

Metis. Ricerche di sociologia, psicologia e antropologiadella comunicazione 74

Pace Diritti Umani 75

Periplo. Rivista per la ricerca, la sperimentazione,l’aggiornamento educativi dell’IRRSAE Veneto 76

Quaderni dell’A.D.R.E.V. Archivio di documentazionee ricerca sull’Emigrazione Veneta 76

Quaderni di Scienze Antropologiche 76

Studi Zancan. Politiche e servizi alle persone 76

Altre riviste segnalate 79

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“QUADERNI DI ARCHEOLOGIADEL VENETO”Vent’anni dopo

Guido RosadaUniversità degli Studi di Padovacoordinatore scientifico della rivista

Il titolo può sembrare banale o al più riecheggiare il rinnovatoincontro dei moschettieri nel romanzo di Dumas. Nell’occasio-ne preferisco naturalmente la semplice banalità temporale alcarattere nostalgico e in sostanza terminale della vicenda dicappa e spada. Ed era poi giusto rispondere alla gentile solleci-tazione dell’amico Anelio Pellizzon che partecipò sin dall’ini-zio a quell’idea. Ed è ancora giusto, per vari motivi, raccontarein breve la storia di come ebbe inizio l’impegno, oggi più cheventennale, nei “Quaderni di Archeologia del Veneto”.

Verso la metà degli anni Ottanta del secolo, oramai, passatol’archeologia in Italia, ma non solo, era tesa a compiere un saltodi qualità in varie direzioni. Certamente il volume di CarandiniStorie dalla terra, edito proprio all’inizio di quel decennio conriferimento esplicito all’esperienza anglosassone di Harrys (ri-pensata fortunatamente con la stratificazione della cultura me-diterranea) divulgata a stampa solo pochi anni prima, aprì unastagione di fecondo e aspro confronto sui metodi dell’indaginesul campo. Una stagione che stabilì forti solidarietà e insiemeforti inimicizie per la radicalità di certe posizioni poco inclini aritenere che, come argomentava il Manzoni, le ragioni e i tortidegli uni e degli altri di solito non si possono mai separare conun taglio netto (e infatti più tardi lo stesso Carandini ebbe a dirmiche talune posizioni decisamente troppo estreme erano, a suoavviso, inevitabili e necessarie nel momento in cui si dovevadare una scrollata definitiva a una tradizione pesante e altrimentiinamovibile: affermazione in parte discutibile, ma che rende inqualche modo ragione di certi istrionismi d’avanguardia).

Furono momenti quindi di furori, in molta misura manifestati,ahimè, in ambito accademico o negli immediati dintorni esostanzialmente atti a rinnovare un ordinamento di casta (senzatuttavia sottacere che ci fu anche uno sforzo per creare lecondizioni per una ricaduta più diffusa del sapere attraverso, peresempio, le mostre), ma furono anche importanti quegli anniperché nel dibattito sul metodo si impose insieme la discussionesul modo di pubblicare gli esiti degli scavi archeologici (pensoa un convegno a Pontignano nel Senese non a caso titolato Loscavo archeologico: dalla diagnosi all’edizione). Tale questio-ne non era poi disgiunta, come si accennava, da un impegno didivulgazione scientifica che, si diceva, doveva essere anch’essaresponsabilità degli addetti ai lavori per garantire a un pubblico

il più ampio possibile una corretta, semplice e chiara informa-zione senza intermediari e conseguenti distorsioni (si ricordiche sempre a metà degli anni Ottanta esce la rivista “Archeo”,voluta proprio con questi intenti da Sabatino Moscati, come,nell’immediata vigilia della distribuzione in edicola del primofascicolo, egli mi ribadì in una conversazione in giardino du-rante una pausa di un convegno all’Università di Camerino).

Così in questo contesto di istanze fervide di un’epoca, accantoagli scavi che allora conducevo ad Asolo prendeva sempre piùcorpo, nei dialoghi continui con Luciano Bosio che molto miaiutava con le sue non accademiche riflessioni in quei mieiprimi tempi di professorato, l’idea di una rivista delle “notiziedegli scavi” che tempestivamente aggiornasse sui risultati dellericerche condotte sul campo in ambito regionale. Allora qual-che esempio recente c’era in Piemonte e Lombardia per meritodelle locali Soprintendenze, anche se le segnalazioni riportaterisultavano per lo più troppo sintetiche e spesso perciò pocosoddisfacenti.

Naturalmente il primo progetto che si aveva in mente eraminimale e prevedeva una pubblicazione ridotta all’osso, quasiun ciclostilato (che si utilizzava ancora!), come facevano delresto anche collane di grande rilievo, quali i B(ritish)A(rchaeo-logical)R(eports). E tuttavia pur in quella prospettiva spartanaera fondamentale trovare un sostenitore economico che inve-stisse quel poco che fosse comunque sufficiente a stampare al-meno un migliaio di copie di tale notiziario archeologico.

In quello stesso periodo (1983), per una coincidenza fortuna-ta (un seminario che Salvatore Settis tenne per Topografiaantica su un tema ante litteram rispetto al testo poi edito: Lacolonna Traiana: significato e composizione) che sta spesso acapo delle iniziative che poi hanno un qualche esito positivo,aveva preso concreto avvio sotto gli auspici e i finanziamentidella Regione Veneto il progetto per la mostra e il volume Mi-surare la terra: centuriazioni e coloni nel mondo romano. Il ca-so veneto (1984). Vi era anche in gestazione, favorita dall’en-tusiasmo suscitato da una serie di foto aeree dell’area di Cittanova(cosiddetta Eraclea) ricche di suggestioni (poi rivelatesi pocofondate), una legge regionale per l’archeologia sostenuta coninnegabile lungimiranza dall’allora Presidente della RegioneCarlo Bernini e dall’Assessore alla Cultura Mirko Marzaro.

L’archeologia universitaria patavina non aveva intessuto finoa quel momento (colpevolmente, per un complesso di vanasuperiorità e di forte disagio nei confronti della più intrapren-dente sede veneziana) alcun rapporto con gli organi regionali;mi parve dunque che le circostanze fossero propizie per abban-donare uno sterile isolamento e qualificare, grazie anche allamostra che si stava allestendo, la nostra presenza territoriale. Inquesta impresa di “visibilità”, molto importante fu la partecipa-zione attiva insieme a Luciano Bosio di Massimiliano Pavan(professore di Storia antica all’Università “La Sapienza” diRoma e molto legato alla sua terra veneta), che aveva apprezza-to le nostre capacità nei cantieri archeologici del Castelàr diPossagno e della Rocca di Asolo. Cominciammo così a parteci-pare agli incontri per la stesura della legge regionale che fu poiquella dell’aprile 1986, n. 17, “Disciplina degli interventi re-gionali nel settore archeologico”. Una legge che, se oggi mostraforse talune inadeguatezze rispetto alle nuove competenze

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1. Antefissa con testa di satiro, Este (Padova), magaz-zini del Museo Nazionale Atestino, I sec. d.C.

2. Lamina decorata a sbalzo con figure di guerrieri dalfiume Bacchiglione, località Creola (Padova).

3. Cavallino in bronzo, Montegrotto Terme (Padova),stipe Braggion nel 1911, fine V-III sec. a.C.

4. Tazzina in impasto fine con ansa sopraelevata,Padova, Museo Civico agli Eremitani, fine IV-V sec.a.C.

5. Vasi di ceramica, coppe, tazze e bicchieri rinvenutidurante gli scavi nell’area corrispondente al vecchiocentro di San Pietro Montagnon (Padova) tra MonteCastello e Colle Montagnone.

6. Frammento di statua rinvenuto nel complesso di ViaNeroniana nell’area corrispondente al vecchio centro diSan Pietro Montagnon (Padova) tra Monte Castello eColle Montagnone.

7. Statuetta di Aquileia, Aquileia, Museo NazionaleArcheologico.

8. Statuetta di offerente in bronzo, Padova, MuseoCivico agli Eremitani, V-inizi IV sec. a.C.

9. Iscrizione di Adeptus, Padova, Lapidario del MuseoCivico agli Eremitani, I sec. d.C.

10. Applique in bronzo raffigurante Dioniso giovinettoimberbe con la fronte cinta da una benda, Este (Padova),Museo Nazionale Atestino, I-II sec. d.C.

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regionali, allora fu sicuramente la più avanzata in materia incampo nazionale. Fu anche il mezzo non solo per avere fondiper gli interventi di scavo condotti nel Veneto, ma insieme pernuove proposte e nuove iniziative legate all’archeologia.

E dunque la proposta che avanzai negli anni 1984-1985 fu lacreazione di “ ‘uno strumento di servizio’, rivolto in prevalenzaagli operatori del settore, ma accessibile anche da un pubblicopiù vasto e interessato a una responsabile presa di coscienzadella realtà storico-archeologica della Regione Veneto”. Siintendeva anche colmare un vuoto che era stato lasciato dallebenemerite “Notizie degli Scavi” edite dall’Accademia deiLincei a partire dal 1876, ma che da tempo si erano trasforma-te in volumi pressoché monografici. Le sezioni interne dellarivista – dal “Notiziario degli scavi e dei rinvenimenti”, ai“Contributi di archeologia topografica e areale” (un omaggioalla Scuola topografica avviata a Padova da Luciano Bosio a cuitutti noi dobbiamo qualcosa), alla “Miscellanea” (con “infor-mazioni relative a nuove metodologie e tecnologie applicate,convegni, mostre, musei, progetti di studio, nonché recensio-ni...”) – dovevano ben rappresentare gli aspetti più importanti erilevanti di un aggiornamento fornito quasi in presa diretta.Erano queste le idee primarie e fondanti che si voleva fosseroalla base dei “Quaderni di Archeologia del Veneto” e la GiuntaRegionale comprese con intelligenza che con tali idee ci sipoteva avviare su una strada giusta e con qualcosa di più di unciclostilato.

Ma i “Quaderni” in realtà avevano anche qualche altraambizione oltre ai contenuti scientifici: quella in particolare diriunire nella redazione tutte le anime territoriali dell’archeologiaveneta allora presenti, dall’Università di Padova a quella diVenezia, alla Soprintendenza per i Beni Archeologici. Nonsolo: i redattori dovevano essere tutti legati da un intento di“simpatia” nel senso originario del termine, ovvero esserecapaci di sviluppare una solidarietà reciproca “istituzionale”superando le diversità e le diffidenze che spesso caratterizzanoi rapporti tra realtà che operano nello stesso campo. In questotrovai una immediata comprensione nella Soprintendente Bian-ca Maria Scarfì, una cara amica dai tempi della mia primaTurchia e sensibile alle finalità di quella sperimentazione.

È giusto ricordare la prima redazione che avviò i “Quaderni”:Loredana Capuis, Giuliana Cavalieri Manasse, Anna MariaChieco Bianchi, Anna Paola Zaccaria Ruggiu, Giovanna Gam-bacurta, Alessandra Menegazzi. Alcuni nomi mutarono giàl’anno successivo, ma altri rimangono ancor oggi come testi-monianza di continuità di un discorso partito da lontano: anzi,la redazione si è addirittura ampliata con l’inserimento degliamici della terza Università territoriale, quella di Verona (ora,al XXI volume, 2005, lavorano Paolo Biagi, Elodia BianchinCitton, Ezio Buchi, Alfredo Buonopane, Loredana Capuis, Mar-gherita Tirelli, Anna Paola Zaccaria Ruggiu, Giovanna Gam-bacurta, Maria Teresa Lachin, Alessandra Menegazzi e per laRegione Veneto Francesco Ceselin e Romano Tonin).

Se forse le speranze “superbe” che la simpatia “dilagasse”anche nelle consuetudini istituzionali del quotidiano non hannoavuto, si deve pur riconoscere, grandi esiti, tuttavia la coesioneredazionale si è sempre rivelata solida e affidabile, mantenendovivo quel patto iniziale su cui tutti eravamo convenuti. E si è

mantenuta anche una puntualità di pubblicazione (a gennaio diogni anno, salvo qualche rara eccezione) che ha pochissimi onulli esempi in altre consimili esperienze e che per noi ha ilsapore di un altro impegno rispettato.

Una citazione meritano le due case editrici che ci hannosupportato in questi anni: la Cedam di Padova a partire dalsecondo numero e poi successivamente, tranne qualche anno“sfortunato”, soprattutto la Canova di Treviso, ora da qualchetempo in associazione territoriale con la Quasar di Roma.Ricordo soprattutto volentieri i primi due numeri della rivistache in lunghe sedute prolungate fino a notte inoltrata furonoimpaginati (nel Trevigiano, a Padova, a Verona) da me, dallaGambacurta e dalla Menegazzi. Fu un apprendistato moltosignificativo, sebbene di fatto, nonostante la buona volontà,riuscimmo solo a pubblicare due volumi non proprio riusciti daun punto di vista grafico. Perciò salutammo con entusiasmol’arrivo di qualche finanziamento in più e la collaborazionedell’amico Italo Novelli, che ha dato molte energie personali ai“Quaderni” facendo progredire anche noi nei meccanismi cheportano infine alla edizione di un libro ben costruito.

Ora nel contesto di altre iniziative che presero avvio e poi intempi più o meno brevi si consumarono e si spensero, quella dei“Quaderni” mostra oggi ancora intatta la propria valenza distrumento dinamico e propulsivo del lavoro archeologico veneto,al punto che nel 2004, proprio nella ricorrenza del ventennaledella rivista, è uscito il primo numero della Serie speciale (nelcaso specifico un volume su Topografia archeologica e sistemiinformativi) dedicata a temi monografici, ad atti di convegni oa miscellanee particolari. Segno che i contenuti di quella nostraidea iniziale non erano frutto di un’invenzione teorica, fredda,ma scaturivano da una domanda latente che ha trovato neltempo una continuità di risposta e di dialogo e insieme unprogressivo incremento. Questo è senza dubbio l’aspetto piùimportante da un punto di vista scientifico che ha garantito nonsolo la stabilità e il consolidamento dell’iniziativa, ma anche ilrispetto nei confronti della sua funzione, ormai generalmentericonosciuta (e non solo in Italia), di fondamentale riferimentoper la conoscenza dell’archeologia territoriale e di uno strumen-to del tutto speciale diventato sempre più, nel tempo, l’espres-sione organica e istituzionale di una regione.

Probabilmente, però, tutto ciò non sarebbe bastato (ed esempiin tal senso non mancano) per la conservazione della testata, senon fosse intervenuto anche un altro fattore convalidato edesaltato ad abundantiam proprio dalla nuova collaborazione re-dazionale (dal 2003) con l’Università veronese. Infatti i “Qua-derni” sin dall’inizio hanno voluto e saputo riunire al propriointerno, come già si è rimarcato, tutte le realtà archeologicheistituzionali presenti nel Veneto in una sperimentazione che, dauna parte, resta ancora unica in Italia e in Europa e, dall’altra,garantisce autorevolezza scientifica al prodotto finale.

Di tutto ciò io credo abbia compreso l’importanza la RegioneVeneto, attraverso i suoi amministratori e dirigenti (tra i qualivoglio ricordare Angelo Tabaro per l’amicizia personale e l’in-telligenza delle cose) che non hanno fatto mai mancare il lorosostegno nel lungo percorso che in vent’anni abbiamo fattoinsieme.

Ad multos annos!

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

RECENSIONIE SEGNALAZIONI

STORIA DELLA CHIESA

MARIACLARA ROSSI, Governare una Chiesa. Ve-scovi e clero a Verona nella prima metà delTrecento, Sommacampagna (VR), Cierre, 2003,8°, pp. 289, e 15,00.

Gli studi inerenti i vescovi medievali dellacittà di Verona hanno, per lo più, preso in consi-derazione gli avvenimenti che caratterizzavanola situazione storica della diocesi: l’operato delgoverno signorile; i rapporti con la curia romana,con il patriarcato di Aquileia e con gli ordinimonastici e religiosi. È stato trascurato l’aspettodell’organizzazione interna della diocesi e, inspecie, le relazioni tra il vescovo e il clero inordine al governo della diocesi stessa. Nonostan-te la scarsità dei documenti (per lo più fondi earchivi di quegli enti ecclesiastici che furonodestinatari dei provvedimenti episcopali), il pre-sente studio contribuisce a colmare questa lacu-na, con l’intento di fornire gli elementi per unadescrizione complessiva dell’operato pastoraledei vescovi medioevali.

Diversamente da quanto si è spesso presuppo-sto, il ministero di governo non era esercitatodalla sola persona del vescovo, ma in manieracollegiale. Da un lato la riflessione teologica sulministero episcopale e la stratificazione cano-nistica medioevale sono testimonianze evidentidi come questa collegialità fosse per lo menoauspicata; dall’altro la burocratizzazione e lacrescente complessità della macchina ammini-strativa delle diocesi imposero ai vescovi lanecessità di avere una serie di familiares (colla-boratori), che potessero essere di ausilio nelgoverno. “Il tentativo che mi accingo a fare perVerona – dichiara l’autrice nell’introduzione –parte da questi presupposti e prende in conside-razione, in una dimensione diacronica che attra-versa tutta la prima metà del secolo XIV [...] irapporti, le iniziative congiunte, le collaborazio-ni pastorali tra i vescovi – che sono la vera ‘spinadorsale’ della ricerca – ed il clero chiamato acooperare nel governo delle istituzioni ecclesia-stiche”. Innanzitutto viene dedicato uno spaziodi riflessione a coloro che quotidianamente fre-quentavano la curia ed in particolare ai vicariepiscopali. Si passa poi alla considerazione delclero in cura d’anime, riunito nelle due congre-gationes cleris intrinseci ed extrinseci (il primooperante nella stessa città di Verona, il secondonel resto della diocesi). Viene infine descritta ladifficile relazione tra il vescovo e il capitolocattedrale, direttamente dipendente dal metro-polita di Aquileia: una situazione di costante

tensione si sviluppò nel periodo esaminato, insuccessivi tentativi di avvicinamento e di colla-borazione.

Lo studio restituisce un’immagine non usualedel vescovo medioevale e del suo governo e, neltentativo di dare completezza alla sua indagine,cerca di fornire elementi di valutazione intornoalla possibilità di caratterizzare l’operato di unvescovo mendicante rispetto ad uno provenientedal clero secolare: la figura del vescovo eremitanoTebaldo è centrale a tal proposito. Il testo siconclude con due appendici che racchiudonodocumenti relativi alle visite canoniche e con leschede biografiche dei vescovi di Verona delperiodo preso in esame.

Massimiliano Muggianu

La diocesi di Vicenza, a cura di Ettore Napione,collaboraz. di Giovanni Papaccio, premessadi Silvia Lusuardi Siena, Spoleto (PG), Centrodi Studi sull’Alto Medioevo, 2001, 8°, pp. 296,ill., s.i.p. (“Corpus della Scultura Altomedie-vale”, 14).

Quattordicesimo volume del “Corpus dellaScultura Altomedievale”, la presente opera costi-tuisce la felice conclusione della ricerca sulladiocesi di Vicenza che ha preso avvio da duedistinte tesi di laurea discusse presso l’Universi-tà di Udine. L’autore conduce una “approfondita

riflessione sulle caratteristiche funzionali degliarredi, sul repertorio iconografico ricorrente neidiversi ambiti cronologici e geografici, sul qua-dro produttivo e l’organizzazione delle botteghe,anche in riferimento allo sfruttamento di marmie pietre locali e in rapporto alla committenza”.L’attenzione dedicata agli arredi liturgici è datadalla consapevolezza della loro valenza di espres-sioni della cultura e di tracce-guida per la rico-struzione della diffusione e dell’insediamentodel cristianesimo, soprattutto nelle campagne.

Dopo una nutrita bibliografia, Ettore Napionepresenta un’ampia introduzione che ha lo scopodi fornire una traccia dell’evoluzione storica eun’ipotesi interpretativa inerente il materialedescritto nel catalogo. I vari reperti scultoreitrovano in questa introduzione una loro colloca-zione contestuale a seconda dello stile, dellatipologia e della determinazione storico-geogra-fica. In questa ricostruzione, non viene neanchetralasciata la questione del materiale utilizzatodalle maestranze e, in tal senso, viene presa inesame la presenza di cave dei materiali in uso aquel tempo. Un cenno finale è riservato ancheall’ipotesi dell’uso della policromia nella scultu-ra altomedievale: tracce di colore rinvenute po-trebbero lasciar intendere l’utilizzo del colore,anche se non si possono determinare l’estensio-ne geografica e quella temporale di tale uso.

Conclusa questa trattazione complessiva, ilvolume presenta il catalogo delle schede di 196reperti scultorei (per lo più frammenti erraticicustoditi in edifici sacri). Le schede di tali reperticonciliano le esigenze interpretative, la verificadiretta di ogni pezzo lapideo e la ricostruzionedella storia di ognuno di essi, anche grazie alfrequente ricorso alle testimonianze orali. A talescopo, sono state strutturare in modo da indicarecon precisione le seguenti notizie: attuale colloca-zione del reperto, eventuale luogo originario esua descrizione, numero di inventario del museo(se presente), materiale di composizione, dimen-sioni, testimonianze documentarie e orali dell’e-ventuale dislocazione del reperto dal suo luogodi origine all’attuale, descrizione figurativa delreperto. Attraverso queste indicazioni il curatoresi augura di “aver costruito un apparato informa-tivo capace di attribuire al catalogo un significa-to oltre la precarietà delle nostre ipotesi”.

Lo studio si conclude fornendo una bibliografiaaggiuntiva, un indice analitico e tutte le tavole incui vengono riprodotti i reperti scultorei delcatalogo.

Massimiliano Muggianu

Le scritture e le opere degli inquisitori, “Quader-ni di storia religiosa”, IX, Sommacampagna (VR),Cierre, 2002, 8°, pp. 259, e 15,00.

I “Quaderni di storia religiosa” sono nati unadecina di anni fa, quando alcuni storici del Me-dioevo dell’Italia settentrionale, e con essi leUniversità presso cui collaborano, hanno pro-mosso questa pubblicazione, con l’intento didare voce e spazio editoriale a quanti, anchegiovani, si occupano in particolare della storia

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

religiosa del periodo medioevale. Il volume del2002 si occupa di Inquisizione, un tema moltotrattato e studiato su più fronti, e che negli ultimianni ha trovato fortuna anche presso il vastopubblico, sulla scia di romanzi e film di successo.Il volume si apre con il contributo di G. GradoMerlo, infaticabile studioso di eretici ed eresie,che in questa sede analizza la relazione fra an-nuncio evangelico e impegno antiereticale deifrati domenicani (Il senso e le opere dei fratiPredicatori in quanto inquisitores haereticaepravitatis). Tocca l’area ferrarese e le paradossa-li vicende dell’“eretico santo” (per usare le paro-le G. Grado Merlo) Armanno Pungilupo († 1269),l’intervento di Marco G. Bascapè. In particolare,però, più che sulla nota vicenda del Pungilupo,Bascapè si sofferma a studiare un foglio supersti-te di un registro inquisitoriale ferrarese, ora con-servato nell’Archivio dell’Amministrazione delleIpab ex Eca di Milano. Il contributo riporta anchela trascrizione del frammento considerato.

Marina Benedetti nel suo Le parole e le operedi frate Lanfranco (1292-1305), studia i quaterniracionum, cioè le carte della contabilità inquisi-toriale del domenicano Lanfranco da Bergamo,attualmente all’Archivio Segreto Vaticano. Sem-pre saldamente ancorata alle fonti documentarie,come richiede uno studio scientificamente condot-to, è anche Giovanna Paolin. Il contributo dellaPaolin non ha una collocazione “geograficamen-te” limitata, nondimeno è importante poiché pro-prio dalle carte dei processi studia le figure deigiudici inquisitori. I verbali delle visite pastorali,le minute, le omissioni e gli errori, inevitabilmenteinfluenzati dal soggetto che li prepara, permetto-no di analizzare lo stile di lavoro dei notai. Ana-logo procedimento è stato condotto per studiare lefigure e i ruoli di tutte le altre persone, ecclesiatichee laiche, coinvolte nei processi inquisitoriali.

Il problema dell’affidabilità delle fonti inqui-sitoriali è divenuto ormai materia di studio tantoquanto i documenti processuali stessi. Andrea DeCol (Minute a confronto con i verbali definitivinel processo del Sant’Ufficio di Belluno controPetri Rayther - 1557) si prefigge l’obiettivo di

comprendere proprio il lavoro dei notai che sten-devano gli atti dell’Inquisizione che lavoravanonella diocesi bellunese, area marginale della Re-pubblica di Venezia. Nel caso esaminato, la com-pilazione degli atti avvenne in parte dopo gliavvenimenti processuali, condotti durante la visi-ta pastorale del vescovo Giulio Contarini adAgordo nel 1557. Durante gli interrogatori, emer-se la presenza in diocesi di una coppia, PetriRayther e la moglie, non esattamente devota ai ritie ai sacramenti delle chiesa. Il processo si conclu-se con l’abiura e l’obbligo ai sacramenti, ma ciòche in questo caso interessa De Col è il confrontodelle minute processuali e dei successivi verbali,dei tempi di redazione, delle omissioni e degli“interventi personali” del redattore, gli errori e lesfasature cronologiche, tutte indicazioni di comequesti verbali non possano intendersi quali “cro-nache fedeli” degli avvenimenti processuali. Neconsegue che queste fonti inquisitoriali vannousate da storici e ricercatori con competenza enotevole senso critico, come è sottolineato daAdriano Properi nella Postfazione che chiude ilvolume.

Cecilia Passarin

ANTONELLA BARZAZI, Gli affanni dell’erudizione.Studi e organizzazione culturale degli ordini re-ligiosi a Venezia tra Sei e Settecento, Venezia,Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 2004,8°, pp. 457, ill., e 40,00.

“Questo volume raccoglie – afferma l’autrice –i risultati di ricerche iniziate molto tempo fa invista della mia tesi di dottorato in storia”: ilnucleo originario dello stesso è nato dall’interes-se per la formazione e i percorsi intellettuali deireligiosi nella Venezia tra Sei e Settecento.

Un simile interesse è stato determinato da duefondamentali constatazioni: da un lato il ruolocentrale svolto dagli ordini religiosi nella vivaci-

tà culturale propria di quel periodo; dall’altro laconstatazione che l’indagine in materia è stata dasempre condotta privilegiando il ruolo di eminentipersonalità e il loro personale contributo. Puressendo necessario dare il giusto rilievo a talipersonalità, l’autrice porta l’attenzione del letto-re al contesto che ha favorito l’emergere delsingolo: i grandi cultori sono frutto della loroformazione, dello stile di vita e di pensiero dellaloro famiglia religiosa, delle occasioni e degliincontri che hanno avuto nel contesto religioso incui sono cresciuti. In tal senso, lo studio si poneentro quell’orizzonte storiografico che non silimita a ricostruire fatti e descrivere personaggi,ma intende fornire una spiegazione il più possi-bile generale e completa del problema indagato.

Un’indagine di questo genere spinge non soloa domandarsi quale sia il significato e la strutturadello studio nelle diverse famiglie religiose, maa prendere in seria considerazione quelle istitu-zioni che sono servite da supporto alla trasmissio-ne della cultura: le scuole e le biblioteche. “È aquesti ultimi aspetti che ho inteso perciò tornarenel presente lavoro, nel tentativo di ricostruirel’articolarsi di un’organizzazione culturale”.L’attenzione ai luoghi e alle istituzioni di culturapropri degli ordini religiosi, è accompagnatadalla considerazione dell’intensa partecipazionedegli ambienti religiosi al dibattito culturale del-la prima metà del Settecento: tale coinvolgimentofu evidente in molteplici iniziative e nei legamistretti tra il mondo degli ordini religiosi, da unaparte, e quello editoriale e librario dall’altra.

L’autrice articola la trattazione della materiain tre momenti. Il primo si apre con uno sguardod’insieme al mondo degli ordini religiosi nellaVenezia del Sei e Settecento: questi furono fer-mento di nuovi modelli culturali che trovarononegli strumenti del libro e della biblioteca deimezzi adeguati alla propria diffusione. Il secon-do momento è costituito da una disamina detta-gliata della vivacità e della proposta culturalepropria delle singole famiglie religiose: somaschi,domenicani, camaldolesi, serviti. Il terzo mo-mento è contenuto nell’ultimo capitolo, nel qua-le vengono presi in esame gli eventi storici eculturali che hanno determinato il declino diquesto fermento delle famiglie religiose. Il tuttoè arricchito da una serie di illustrazioni e da unnutrito indice di nomi che funge da guida trasver-sale dell’intero lavoro.

Massimiliano Muggianu

FIDEL GONZÁLEZ FERNÁNDEZ MCCJ, Daniele Com-boni e la rigenerazione dell’Africa. “Piano”“Postulatum” “Progetto” , postfazione di P. Pie-tro Chiocchetta mccj, Città del Vaticano, Ur-baniana University Press, 2003, pp. 390, 8°, ill.,e 18,00.

Il titolo del presente volume “esprime l’ambi-to di questa presentazione di tre documenti fon-damentali e significativi nella storia missio-naria cattolica dell’Ottocento: l’autore è DanieleComboni, missionario apostolico, protagonistadi spicco del movimento missionario della Chie-

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

sa contemporanea, uno degli apostoli pionieridell’evangelizzazione dell’Africa e in concretodella Missione dell’Africa Centrale e suo primovescovo”. Comboni fece parte dell’Istituzionesecolare fondata da don Nicola Mazza a Veronae, in quanto membro della stessa, partì in missio-ne in Africa nel 1857. La missione fu chiusa nel1862 a causa di crescenti difficoltà dovute alclima, alla presenza dei negrieri e ai rapporti conla popolazione musulmana. Il temperamento in-traprendente di Comboni non si fermò a questoprimo insuccesso. La passione che animava ilsuo cuore e che era rivolta alla Chiesa e al popoloafricano lo spinse ad elaborare un progetto chefacesse rivivere la missione africana e che fupresentato attraverso i testi che sono oggettodella presente pubblicazione: Piano a favoredella rigenerazione dell’Africa attraverso l’Afri-ca stessa (1864); la fondazione di una Opera afavore della rigenerazione cristiana dell’Africa(1867): elaborazione di un piano di collaborazio-ne ecclesiale a favore delle missiones ad gentese fondazione di due istituti missionari perl’evangelizzazione dei popoli indigeni con rela-tive Regole; presentazione di un Postulatum proNigris al Concilio Vaticano I (1879). La determi-nazione mostrata da Comboni spinse la SantaSede ad affidare nel 1872 ai nuovi istituti e allasua persona la missione, prima con l’incarico dipro-vicario dell’Africa Centrale e poi di VicarioApostolico. La novità della proposta combonianaera costituita da quell’“attraverso l’Africa stes-sa” contenuto nel suo progetto: in un momento incui l’Africa era teatro delle più atroci discri-minazioni, gli africani dovevano diventare pro-tagonisti della propria rigenerazione. E così fu:numerosi schiavi riscattati divennero insegnantie si prodigarono nell’opera della missione. Lalettura dei testi di Comboni, guidata dall’ampiaintroduzione del presente volume, da un latocostituisce uno strumento per rivisitare con mag-giore consapevolezza le origini del movimentomissionario di inizio Ottocento e una parte fon-damentale della storia dell’evangelizzazione del-l’Africa; dall’altro rappresenta uno stimolo allariflessione anche per l’oggi, “in un momento incui la missione sembra essere messa in discus-sione da alcuni settori, anche ecclesiastici, el’Africa drammaticamente non è soltanto dimen-ticata, ma è lasciata in una voragine di problemie tragedie senza apparente via di soluzione”.

Massimiliano Muggianu

GIORGIO MORLIN, La Chiesa di Treviso dal-l’8 settembre 1943 al 18 aprile 1948. Frammen-ti di storia, di sofferenza e di libertà nelle crona-che di alcuni parroci trevigiani, prefaz. di LivioVanzetto, Sommacampagna (VR), Cierre Edi-zioni - Treviso, Istresco, 2005, pp. 404, 8°, ill.,e 18,00.

Di fronte ad esperienze particolarmente sof-ferte e traumatizzanti il silenzio pare talvoltal’unica via d’uscita: è difficile parlare del dolorefintanto che questo è ancora vivo. Solo il tempolenisce le ferite e apre la possibilità alla parola. In

tale senso, il presente volume costituisce untentativo di restituire alla parola frammenti diesperienza relativi ad un periodo particolarmen-te difficile della storia recente del nostro Paese:la precisa collocazione cronologica “riproponedue grandi eventi, simbolici oltre che storici, chehanno segnato la società e la Chiesa italiana delsecolo scorso: l’inizio dell’occupazione tedescae l’avvento dell’Italia democristiana”. All’inter-no di questa collocazione cronologica, ed entrouno spazio compreso nella diocesi di Treviso,Morlin ha voluto prendere in considerazione untipo di documentazione non ancora restituita aglistudiosi e illuminante per l’atteggiamento delclero dinanzi ai grandi sconvolgimenti storici diquel periodo: le cronistorie parrocchiali. Nonpotendo estendere l’analisi a tutto il materialedisponibile, Morlin si è limitato ad un primocampione di documentazione raccolto negli ar-chivi di 21 comunità. La mancanza di esaustivitàanalitica e interpretativa dovuta alla scelta di uncampione è, in qualche modo, compensata dallaeterogeneità del materiale selezionato, il qualepermette comunque di fornire una ricostruzionesufficientemente attendibile dell’approccio delclero nei confronti dei rapidi avvicendamentistorici di quegli anni. Emerge un fondamentaleatteggiamento di silenzio, che si esprime nell’as-senza di un riferimento diretto agli avvenimentipolitici e militari di quegli anni: l’attenzione èrivolta principalmente alle conseguenze che gliavvenimenti ebbero sulla popolazione. I parrocisvolsero la propria funzione rimanendo vicini aipropri parrocchiani, consumati tra le oppostefazioni nazifascista e partigiana durante la guer-ra, comunista e anticomunista nel dopoguerra.L’apparente astensione del clero, che non presemai una chiara posizione tra le parti in conflittodurante la guerra, apparve talvolta come frutto diun piano generale animato dall’impeto antico-munista della Chiesa, ma nelle pagine analizzateda Morlin viene ricondotto ad una dimensionepiù reale e quotidiana, dove la carità pastoraledeterminava le scelte di ogni parroco: la necessi-tà di soccorrere le famiglie bisognose, di poter

offrire un rifugio agli ebrei perseguitati e disperare in una futura mediazione dei conflittiinterni alla società, spinse il clero a non schierar-si mai apertamente. L’atteggiamento dei sacer-doti, così come emerge dalle pagine di cronacacompilate dalle loro stesse mani, fu il loro tenta-tivo di farsi carico del dolore di un popolo, cheera allora nella realtà, come, talvolta, lo è ancoraoggi nelle pagine della storia, il terzo dimentica-to tra forze opposte: quella nazifascista da unaparte e quella degli alleati-partigiani dall’altra.

Massimiliano Muggianu

SCIENZE SOCIALI

Programma triennale di sviluppo dei sistemituristici locali, a cura di CISET - UNIVERSITÀ CA’FOSCARI, Venezia, Regione del Veneto, 2005, 8°,pp. 184, s.i.p.

Da sempre il turismo è uno dei settori trainantidell’economia veneta, cioè di una realtà territo-riale che può vantare ricchezze naturali e artisti-che con pochi eguali, alle quali si uniscono latradizionale vivacità imprenditoriale e un tessutoeconomico di sicuro spessore. Alcune cifre esem-plificano il peso tuttora rivestito dal turismo nelcontesto locale: esso copre una quota pari al7,6% del Pil regionale totale, assorbe oltre360.000 unità di lavoro, giungendo ad incidereper il 13,7% dell’intera spesa turistica nazionale(11 miliardi di euro su 80).

Il Veneto, con l’Emilia Romagna e la Tosca-na, si distingue per essere un’area ad alta voca-zione turistica e, contemporaneamente, si carat-terizza come sistema produttivo in grado di trat-tenere una parte consistente degli “effetti diattivazione” delle spese compiute in loco, poten-do recepire, peraltro, pure una parte di queglistessi effetti provenienti da altre aree. Una realtàdinamica e aperta, insomma, anche se non privadi difficoltà legate alla particolare congiunturaeconomica vissuta negli ultimi anni e ad alcuniproblemi di carattere più strutturale.

Difficoltà e problemi che richiedono la capacitàdi dotarsi di strumenti mirati. Il ProgrammaTriennale di Sviluppo dei Sistemi Turistici, ogget-to di questo volume, che vede la collaborazionedel Centro Italiano Studi Economia e Turismo(CISET) di Venezia, dell’Università di Ca’ Foscarie della Regione, rappresenta oggi un fondamenta-le strumento di programmazione e coordinamen-to della “risorsa turismo” in ambito locale. È unaconcreta base di analisi e strategie da adottare perlo sviluppo di adeguate politiche turistiche.

Tra le novità presentate da questo strumento“di piano”, è da segnalare l’individuazione di unnuovo tipo di organizzazione e di una nuovametodologia, che intravedono nei singoli sistemilocali (e in una loro, per quanto possibile, armo-nica integrazione) il terreno privilegiato di appli-

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

cazione degli indirizzi amministrativi e dellepolitiche di sviluppo: Dolomiti, Belluno-Feltre-Alpago, Treviso, Bibione-Caorle, Jesolo-Eraclea,Venezia, Chioggia, Padova, Terme Euganee,Vicenza, Altopiano di Asiago, Garda, Verona,Rovigo. Ognuno di questi ambiti territoriali pos-siede ovviamente peculiarità proprie, specifichevocazioni, nodi da sciogliere. Questa mappa“ragionata” del turismo veneto diventa allora lapremessa per una più equilibrata e razionaleripartizione di investimenti e di scelte strategi-che. Lo sguardo del Programma Triennale èrivolto, più nel dettaglio, alla realtà lavorativa eprofessionale degli operatori, alla possibilità distimolare e articolare un dibattito anche tra chilavora in questo settore nevralgico dell’econo-mia regionale. L’ultima parte del volume sisofferma così ad analizzare gli scenari ipotizzabiliper il prossimo futuro, vecchi e nuovi flussi, lanascita di modelli di vacanza diversi e alternati-vi, le potenzialità del mercato interno rispetto aisuoi naturali concorrenti.

Susanna Falchero

Analisi delle imprese alberghiere del Veneto,2 voll., 1: Mare e montagna veneti, 2: Compren-sori turistici. Lacuale, città d’arte, termale, acura di CISET - UNIVERSITÀ CA’ FOSCARI, Venezia,Regione del Veneto, 2005, 8°, pp. 179 e 144, ill.,s.i.p.

Il settore alberghiero rappresenta un indicato-re essenziale per poter giudicare e misurare finoin fondo la tenuta del turismo e la sua incidenzarispetto a un determinato sistema economico. Inquesti due volumi, che hanno visto la collabora-zione del CISET, dell’ateneo veneziano di Ca’Foscari e della Regione del Veneto, è contenutaun’analisi puntuale e articolata delle performan-ce delle aziende alberghiere venete, svolta apartire dal 2003, prendendo in considerazione siagli aspetti più propriamente aziendali che quelliriferiti alla destinazione e alla domanda, che alsettore continua a rivolgersi anno dopo anno.

In primo piano, emerge la situazione di ogni“comprensorio” e di ogni singola località, filtrataattraverso l’esame di flussi turistici e dei relativiandamenti, attraverso la loro tipologia, l’impattodella stagionalità, la valutazione dei servizi, arri-vando infine a identificare gli indicatori del-la produttività e della redditività alberghiera,le tipologie di prodotto offerto, i costi e i ricaviconnessi.

Il quadro d’insieme che viene fornito all’inter-no della ricerca permette di guadagnare unaeffettiva conoscenza delle condizioni concrete incui oggi le imprese si trovano a dover operare, dienucleare la loro struttura economica e, quindi,di sottolineare le criticità ancora da risolvere e glieventuali nodi problematici da affrontare. Il vo-lume I (Mare e montagna veneti) confronta i casidel comprensorio marino e di quello montanoche, insieme, ospitano ben il 60% delle presenzecomplessivamente registrate nella regione. Ilvolume II (Comprensori turistici lacuale, cittàd’arte, termale) concentra la propria attenzione

su terme, laghi e capoluoghi di provincia – Pado-va, Verona, Treviso, Vicenza, Rovigo –, realtàurbane che implicano l’adozione di forme diver-sificate di turismo culturale e, da parte delleaziende alberghiere, la capacità di adeguarsi alleesigenze del visitatore secondo varie modalità.

Susanna Falchero

MICHELE DA POZZO, TIZIANO TEMPESTA, MARA

THIENE, Turismo ed attività ricreative a Cortinad’Ampezzo, Udine, Forum, 2003, 8°, pp. 295,e 16,00.

Il turismo a Cortina ha compiuto centocin-quant’anni: all’inizio dell’Ottocento i primi visi-tatori inglesi giungevano nell’Ampezzano, por-tando rapidamente a compimento quella “sco-perta delle Alpi” come luogo di svago, comincia-ta già verso la fine del Settecento, allorché irampolli della nobiltà e della ricca borghesiad’Oltremanica spingevano gli itinerari del loroGran Tour fino a comprendere le zone di monta-gna – un ambiente considerato per secoli pocoospitale e privo di attrattive. Una trasformazioneculturale, su cui pesavano l’eredità del romanti-cismo e un’inclinazione prettamente elitaria, cheaprì tuttavia la strada alla lievitazione di unfenomeno turistico di massa, sotto l’impulsodella rivoluzione industriale e della conseguentenascita di una “società di massa”, borghese edemocratica, dove si impongono realtà come il“tempo libero” e nuovi “stili di vita”.

L’avvento di questo tipo di turismo invasivoha, ovviamente, determinato profondi cambia-menti nei rapporti con il territorio, soprattuttonegli ultimi decenni, anche in Veneto, e sicura-mente non tutti sono risultati positivi – in tempipiù recenti la stessa Agenda 21 di Rio de Janeiro(1992) ha riservato un intero capitolo alla neces-sità di intraprendere una specifica politica disviluppo sostenibile per le aree montane, indi-cando un possibile mutamento di rotta. Analoga-mente, e con riferimento alla regione alpina, nel1999 il governo italiano ha ratificato la Conven-zione per la protezione delle Alpi.

Ma quali sono i rapporti tra attività ricreativee turistiche e l’ambiente? Sarà veramente possi-bile superare un’ottica puramente economicisticanel riconsiderare lo sviluppo fin qui raggiunto?

Nella particolareggiata analisi che segue, i treautori, esperti nel campo della gestione del terri-torio e delle aree protette, passano in rassegna ilcomplesso rapporto tra turismo, economia e beniambientali; l’impatto ambientale del turismoestivo ed invernale a Cortina; le attività ricreati-ve svolte; il profilo dei frequentatori dell’area,soffermandosi, tra le altre cose, sulle opportunitàfornite dal Parco Naturale delle Dolomiti Am-pezzane. Al centro dell’indagine, il visitatoredella montagna, le relazioni peculiari che intrat-tiene con il territorio, con le strutture ricettive el’economia locale.

Si tratta di un’ottica sostanzialmente nuova,che capovolge l’indirizzo prevalente negli studisul turismo montano in Italia e invita all’adozio-ne di forme di turismo sostenibile, configurando

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

la realtà di Cortina come possibile laboratorioper la sperimentazione di un modello di svilup-po, almeno in parte, alternativo.

Susanna Falchero

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA, Professio-nalità e occupabilità dei laureati e dei diplo-mati dell’Università di Padova, a cura di LuigiFabbris, Osservatorio sul mercato locale del la-voro dell’Università di Padova - Progetto FORCES(Formation-to-Occupation Relationships CadencedEvaluative Study), Quaderno PHAROS, n. 7, Pado-va, Cleup, 2004, 4°, pp. 106, s.i.p.

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA, Bisogni diprofessionalità nelle attività per il turismo nelVeneto, a cura di Luigi Fabbris, Roberta Rosa,Gilda Rota, Osservatorio sul mercato locale dellavoro dell’Università di Padova - Progetto PHAROS(Pursuing Home-market Accessibility and Raiseof Occupational Standing), Quaderno PHAROS,n. 8, Padova, Cleup, 2004, 4°, pp. 99, s.i.p.

Questi due volumi della serie PHAROS, realiz-zati dall’Osservatorio sul mercato del lavorodell’Università di Padova, espongono due diffe-renti progetti che hanno come sfondo comune lasituazione occupazionale dei giovani veneti, ilruolo della formazione e i mezzi adeguati ad unrapido inserimento nel mondo del lavoro.

Il Quaderno n. 7 compendia una ricerca de-nominata FORCES (Formation-to-OccupationRelationships Cadenced Evaluative Study), cheha mirato senz’altro a conoscere più da vicino ilpercorso lavorativo dei laureati dell’ateneopatavino, ma anche ad approfondire l’efficaciadella formazione erogata, nonché l’insieme delleprofessionalità e delle competenze effettivamen-te richieste a neo-diplomati e neo-laureati. Alcentro di queste considerazioni, il concetto diemploiability, che definisce le concrete condizio-ni in grado di favorire l’inserimento nel mondodel lavoro. Tra le sue finalità, la ricerca si proponedi aiutare non soltanto i laureati nell’approccio,spesso traumatico, non lineare, con il mondo dellavoro, ma di orientare le famiglie e gli studentistessi nella scelta di un indirizzo di studi chepossa rivelarsi consono alle loro aspettative.

Il Quaderno n. 8 è, invece, incentrato su unaricerca relativa alle professionalità emergenti nelsettore turistico, nell’ambito del Progetto PHAROS(Pursuing Home-market Accessibility and Raiseof Occupational Standing). L’individuazione del-le professionalità ritenute più idonee per le atti-vità turistiche, in Italia e nel Veneto, necessitavadi una preliminare disamina storica, culturale eanche organizzativa, delle imprese e dei compor-tamenti sociali annessi. Se, infatti, oltre il 92% dichi possiede un titolo di studio acquisito pressol’Università di Padova trova un impiego nelcontesto regionale, il fenomeno del turismo (lacui quota supera il 10% dei consumi finali internidell’intera Italia) sembra destinato ad ampliarsi,affinarsi, differenziarsi. A titolari e manager delsettore è stato così richiesto, tra le altre cose, diriuscire a rappresentare e descrivere gli scenari abreve termine del proprio segmento di mercato,

compiendo una sorta di esperimento mentale,volto a collocare la propria azienda nello scena-rio descritto e ad immaginarne le future, immi-nenti esigenze professionali. Qualità, efficienzagestionale, innovazione, promozione, sussidia-rietà e integrazione delle attività, sono i parame-tri sui quali sarà ragionevolmente possibile mi-surare e confrontare ogni seria ipotesi di svilup-po per i prossimi anni.

Diego Crivellari

CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO - OSSERVATORIO

SULLE DINAMICHE ELETTORALI E GLI ORIENTAMENTI DI

VALORE, Identità e appartenenza. Giovani e im-magine delle istituzioni locali in Veneto, Somma-campagna (VR), Cierre, 8°, 2004, pp. 141, e 9,50.

Questa ricerca, commissionata dal ConsiglioRegionale del Veneto e condotta dal sociologoPaolo Feltrin, si è posta l’obiettivo di indagare emettere in rilievo l’immagine – l’idea, la rappre-sentazione – che i giovani veneti, di età compresatra i 18 e i 30 anni, hanno delle istituzioni pubblichee private con cui convivono quotidianamente.

Il risultato sembra fornire una lettura parziale,ma ugualmente interessante, ricca di spunti perriflessioni ulteriori, dell’universo giovanile e dellesue aspettative. Un lavoro di scavo e di approfon-dimento che si è fondamentalmente concentratosu conoscenze, abitudini, modi di pensare e com-portamenti dei diversi intervistati, traducendocosì l’insieme di “risposte e silenzi”, ottenuti nelcorso dell’inchiesta, in statistiche e percentualiche, a loro volta, parlano, indicano delle tenden-ze e degli orientamenti precisi. Nella maggiorparte dei casi, stando alla ricerca, i giovani venetisembrano consapevoli di vivere inseriti in unarealtà “non problematica” per quanto riguardaaspetti come il benessere materiale, le opportuni-tà complessive di studio e di svago, anche se nonmancano le zone d’ombra e le insoddisfazioni,legate magari al protrarsi di uno stile di vitaadolescenziale, con un conseguente ritardo nel-l’uscire di casa e nell’iniziare a gestire autonoma-mente la propria vita, o alla carenza di spaziculturali e ricreativi autogestiti. Le questioni per-cepite con più preoccupazione sono essenzial-mente quelle legate al traffico, alla viabilità, alconfronto con l’immigrazione extracomunitaria.

Misurando più da vicino il senso di apparte-nenza locale, i due fattori più significativi, a taleproposito, risultano essere l’ambito nazionale eil Comune, la realtà municipale, cittadina o pae-sana. L’appartenenza regionale, per converso,non pare possedere un contenuto emotivo forte oalmeno paragonabile a questi primi fattori. Tut-tavia, per quanto i giovani veneti possano ritene-re di conoscere poco la Regione, in realtà, veri-ficando la loro conoscenza effettiva circa lecompetenze di questo ente, si registra un buonlivello di informazione sull’argomento – ele-mento tanto più vero quanto più si elevano ilgrado di scolarizzazione e la volontà, più ingenerale, di essere puntualmente aggiornati sulmondo in cui si vive.

Diego Crivellari

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA - DIPARTIMEN-TO DI STUDI STORICI E POLITICI, ASSOCIAZIONE

M.A.S.TER., CGIA MESTRE, Una policy regionaleper lo sviluppo locale. Il caso della L.r. 8/2003per i distretti produttivi del Veneto, a cura diPatrizia Messina, Quaderni dell’AssociazioneM.A.S.TER., 1, Padova, Cleup, 2005, 8°, pp. 214,e 14,00.

In questa raccolta di saggi viene condensatauna prima valutazione, seppure in progress, diuna legge regionale del Veneto (L.r. 8/2003 -Disciplina dei distretti produttivi ed interventi dipolitica industriale locale), cioè di un’iniziativafinalizzata a segnare, nelle intenzioni dei promo-tori, una effettiva svolta nella politica industrialeregionale. Dopo una parte introduttiva di caratte-re metodologico e “filosofico”, in cui oltre apresentare i criteri di valutazione principali dellepolitiche pubbliche, si discute anche l’ispirazio-ne innovativa che ha animato la legge al momen-to dell’entrata in vigore, si procede a compiereun’analisi dettagliata del provvedimento, suddi-visa in due ulteriori nuclei tematici.

Un esame del “dover essere” della policyoggetto della ricerca, volto a delineare i presup-posti stessi della policy, la logica sottesa allascelta normativa (teoria del cambiamento) e isuoi concreti meccanismi operativi. In un secon-do momento, l’analisi mira invece a ricapitolaresia i differenti processi innescati dalla legge, e isistemi di azione che vengono attivati a livellolocale, sia la particolare rete di rapporti e corri-spondenze fra gli attori coinvolti nell’attuazionedella policy. Secondo questa prospettiva, l’atten-zione si sofferma per buona parte proprio suicomportamenti degli attori (imprenditori, rap-presentanti di distretto, associazioni di categoria,camere di commercio, ufficio distretti, consultaregionale), sulle modalità di interazione tra que-sti soggetti e sull’intero schema di funzionamen-to chiamato a regolare e gestire la rete delle re-lazioni esistenti.

L’obiettivo di fondo dell’indagine sarà alloradoppio: riuscire, in prima istanza, a valutare op-portunamente i risultati conseguiti rispetto agliobiettivi dichiarati, comprendendo, in linea piùgenerale, anche gli esiti inattesi (outcome). Pa-rallelamente, diventa essenziale, per chi esaminagli effetti della legge, poter confrontare la logicaispiratrice delle decisioni di policy con la logicadi attuazione, individuando un’area di riflessio-ne in cui convergono molteplici fattori: i rapportie gli scambi che intervengono, come si è visto, trai vari soggetti protagonisti; il peso della culturadi governo locale; la possibile resistenza al cam-biamento che, sul territorio, viene opposta allalettera e allo spirito della nuova legge. In questosenso, si può affermare che l’utilizzo sistematicodi un metodo di valutazione delle politiche pub-bliche, nonché la diffusione di una vera e propria“cultura della valutazione delle politiche pubbli-che”, siano di per sé un contributo all’innovazio-ne, al miglioramento dello “stile amministrati-vo” praticato localmente e alla cultura di gover-no del territorio.

Diego Crivellari

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

LUISA TOSI - RAFFAELLA FRATTINI - PAOLA BRUTTO-CAO, S. Artemio: storia e storie del manicomiodi Treviso, Treviso, Cral Ulss n. 9 - Provincia diTreviso, 2004, 4°, pp. 131, ill., s.i.p.

In occasione del centenario della fondazionedel manicomio di San Artemio – che ora è diven-tato sede dell’Amministrazione provinciale –alcune associazioni che operano nel settore deldisagio mentale, prima fra tutte “Progetto Ulisse”,hanno realizzato una mostra dedicata a documen-ti e testimonianze del passato, la cui risonanza,non solo in ambito locale, ha portato alla pubbli-cazione di questo volume. Dopo una prima partededicata alle vicende storico-architettoniche delterritorio e dell’edificio di San Artemio, si vienecrudamente proiettati all’intemo della “storia dellamalattia mentale” dall’antichità ad oggi.

In Veneto, a partire dalla fine dell’Ottocento,la diffusione della “pazzia pellagrosa” è tale chele autorità provvedono a deliberare per la costru-zione di nuove e più adeguate strutture manico-miali che, pochi anni più tardi, con l’inizio dellaPrima Guerra mondiale, verranno parzialmente“riconvertiti” in ospedali militari di riserva. Que-sta è anche la sorte che spetta al manicomio diSan Artemio, che nel 1915 arriverà ad accogliereoltre 1500 militari originari da tutta Italia.

Nel periodo fra le due guerre, nel 1926, vieneinternato a San Artemio – ove morirà nel 1947 –anche il pittore Gino Rossi (affetto da “ideedeliranti a base persecutoria”) la cui dolorosavicenda verrà narrata, fra gli altri, da GiovanniComisso (I due compagni) e da Giuseppe Mazzotti(Colloqui con Gino Rossi).

Le vicende che hanno caratterizzato la storiadella struttura – riassunte anche in un’utile sinte-si cronologica – sono arricchite da numerosetestimonianze di persone la cui esistenza, permotivi differenti (personale sanitario e non, expazienti, familiari di degenti ecc.) si è intrecciatacon quella di San Artemio. Chiude il volume uncospicuo apparato di Appendici contenenti, nel-l’ordine: la legge n. 36/1904 sui manicomi; il suoregolamento esecutivo; il regolamento del ma-nicomio di Treviso, approvato nel 1911; la legge“Mariotti” n. 431/1968; la legge “Basaglia”n. 180/1978; il progetto “Tutela salute mentale”del 1994-1996.

Susanna Falchero

Com’è cambiato il paesaggio vicentino. Ricercasul territorio (2001) delle Università adulti/an-ziani del Vicentino, a cura di Maria VittoriaNodari, Vicenza, Edizioni Rezzara, 2003, 8°, pp.221, ill., e 19,50.

Dal mercato della città alla città mercato. Ricer-ca sul territorio (2002) delle Università adulti/anziani del Vicentino, a cura di Maria VittoriaNodari, Vicenza, Edizioni Rezzara, 2003, 8°, pp.237, ill., e 19,50.

La realizzazione delle ricerche presentate inquesti due volumi ha coinvolto numerosi gruppidi lavoro all’interno dell’Università adulti/an-ziani di Vicenza che, negli anni 2001 e 2002, si

sono attivamente impegnati nel documentarealcuni importanti mutamenti occorsi all’internodel territorio vicentino.

Dopo una panoramica introduttiva dedicataallo sviluppo economico e paesaggistico dellazona in esame, Com’è cambiato il paesaggiovicentino prende in esame gli aspetti caratteristi-ci legati al territorio: la vita rurale, i corsi d’ac-qua, le vie di comunicazione, l’impatto dellaguerra, la bassa pianura, la zona dei Berici, lacollina e la montagna, le valli vicentine, la zonaurbana, la prima cintura urbana e la provincia– il tutto corredato da una ricca documentazionefotografica che aiuta a conoscere o a ricordare iluoghi “com’erano” e, talvolta, consente un con-fronto diretto fra l’immagine di “ieri” e quelladegli anni più recenti.

Se, da un lato, è vero che lo sviluppo, inparticolare quello legato all’industrializzazionediffusa, ha prodotto benessere, ricchezza e mi-gliori condizioni di vita, dall’altro, è innegabileche questi mutamenti hanno avuto ripercussionisoprattutto a livello ambientale e paesaggistico.Ciononostante, viene sottolineato nei capitoliconclusivi della ricerca, i paesi del vicentino “sisono conformati in modo graduale e progressivo,tra gli anni Settanta e la fine del secolo XX,seguendo una linea di sviluppo che ha cercato diconiugare la tradizione e il cambiamento”, inmodo tale da consentire il mantenimento deiconsueti riferimenti relazionali.

Un discorso analogo può essere fatto per Dalmercato della città alla città mercato, volumededicato al mercato, “una delle espressioni piùsignificative delle relazioni fra persone, in quan-to in esso avviene lo scambio di beni ed anche

delle idee [...] in cui si apprendevano le notizie,si realizzava lo sviluppo delle conoscenze, siincontravano le persone, si stipulavano i contrat-ti”, come ricorda Giuseppe Dal Ferro nello stu-dio introduttivo.

Per meglio esaminare l’evoluzione di mercati,fiere, negozi specializzati e assortiti, fino ai mo-derni supermercati e ipermercati, il territorio èstato suddiviso in quattro aree: Vicenza e dintor-ni; Alto Vicentino; Valle del Chiampo, Valdagnoe Val Leogra; Basso Vicentino. Le conclusionidei corsisti evidenziano come i supermercati,“espressione della società del benessere agognatain tempo di guerra o nei tempi nei quali scarseerano le possibilità economiche”, nonostanteoffrano una vasta possibilità di scelta e innegabi-li garanzie di igiene, hanno però favorito l’in-staurarsi della cultura dei consumi a detrimentodelle relazioni personali. Il ruolo del mercato,luogo privilegiato della socialità, viene così riva-lutato quale fonte di crescita umana, sviluppo divita comunitaria, fatta di collaborazione, affetti esolidarietà.

Susanna Falchero

AMBIENTESCIENZE NATURALI

Un Parco per l’uomo. Dieci anni di vita delParco Nazionale Dolomiti Bellunesi, a cura diEster Cason Angelini, Belluno, FondazioneG. Angelini Centro Studi sulla Montagna - ParcoNazionale Dolomiti Bellunesi - Venezia, Regio-ne del Veneto, 2004, 4°, pp. 384, ill., s.i.p.

Il volume, promosso dalla FondazioneG. Angelini, dalla Regione del Veneto e dallostesso Parco delle Dolomiti Bellunesi, si propo-ne di tracciare un primo, articolato bilancio del-l’attività di questo ente. Agli anni Sessanta delsecolo appena trascorso, infatti, risalgono le pri-me proposte relative all’istituzione di un parcodelle Dolomiti Bellunesi. Tra i protagonisti diallora: Giovanni Angelini, Piero Rossi, Alessan-dro Merli, Mario Brovelli, Virginio Rotelli, pio-nieri di un’idea di parco che già da allora eraindirizzata a salvaguardare l’identità culturale ele concrete condizioni di vita delle popolazionilocali. Durante gli anni Settanta, invece, fu cre-ato l’insieme di riserve che costituì la prima vera“base” del futuro Parco Nazionale e, anche gra-zie all’apporto delle Comunità montane, si svi-luppò un dibattito sulla perimetrazione e sulleipotesi di gestione dell’area. Sarà l’avvio di unpercorso lungo e spesso faticoso, irto di passaggiburocratici e amministrativi, che verrà definiti-vamente compiuto tra il 20 aprile 1990 (data difirma del decreto ministeriale che definisce ilperimetro e stabilisce i vincoli di tutela del ParcoNazionale) e i primi mesi del 1994, quandocominciava a tutti gli effetti – dopo che, nel

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

frattempo, era avvenuta l’istituzione ufficialedell’Ente Parco (luglio 1993) – l’attività delibe-rativa della nuova realtà, con sede presso VillaBinotto, a Feltre. Questi primi anni di vita delParco sono stati dedicati alla stesura e all’appro-vazione di due fondamentali strumenti per lagestione della zona protetta e per il suo sviluppo:il Piano del Parco e il Piano Pluriennale Econo-mico e Sociale, chiamati a delineare “obiettivi,criteri e priorità di intervento sul territorio”. Unterritorio, quello del Parco Nazionale, caratteriz-zato da una straordinaria ricchezza ambientale,che si traduce nella presenza di una elevata“biodiversità floristica, vegetazionale e fauni-stica”, in una grandiosa varietà di paesaggi, cre-ata dall’azione del ghiaccio e dell’acqua, e senzadimenticare, per questo, neppure le molteplicitestimonianze storiche e culturali: dai siti archeo-logici preistorici alle chiese, agli edifici medie-vali, alle miniere, fino ai centri storici di Feltre eBelluno. A conferma di una particolare vocazio-ne del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, chesupera i limiti di una visione puramente conser-vativa, vengono citati gli interventi più significa-tivi progettati e realizzati in dieci anni: operepubbliche, investimenti nell’agricoltura, adozio-ne di programmi comunitari (per l’anno 2002 il57% del bilancio è costituito da fondi europei enazionali “non ordinari” attivati direttamente dalParco), impegno sul fronte della divulgazione,dell’innovazione tecnologica e, nello specifico,della qualità: il Parco Nazionale Dolomiti Bel-lunesi è stato il primo in Europa ad ottenere lacertificazione integrata “ambiente-qualità” ISO140001 e ISO 9001, sempre in un’ottica di conti-nuo miglioramento della propria offerta com-plessiva. Altre parti del volume sono dedicate, inmaniera più approfondita, alla presa in esame deicaratteri fisici dell’area, delle sue componentibiologiche, degli insediamenti antropici e delleattività svolte attualmente, con un rapido sguar-do conclusivo riservato agli scenari di un futuropossibile. Nelle sue valutazioni finali, ValterBonan, presidente del Parco, individua nellostrumento della partecipazione e in una sempremaggiore “coscienza dei luoghi” gli elementiche potranno permettere di realizzare fino infondo la missione dell’ente.

Giovanna Battiston

Il Monte Pastello, a cura di Leonardo Latella,Verona, Museo Civico di Storia Naturale Verona -Comune di Verona - Provincia di Verona, 2004,4°, pp. 342, ill., s.i.p. (“Memorie del MuseoCivico di Storia Naturale di Verona”, II serie,Monografie naturalistiche).

Il Monte Pastello (Pastel per i veronesi) occu-pa un ruolo del tutto particolare nella realtà delterritorio veronese: se non spicca per una propriadirompente imponenza fisica, il Pastello occupainvece una centralità diversa, di tipo percettivo,che ne informa la costitutiva “bivalenza” rispet-to alla geografia della zona. Situato “ai marginidel trapezio lessinico”, esso – anche per ragionimorfologiche – è, infatti, il naturale punto diraccordo tra i due rilievi che formano la monta-gna veronese, il Baldo e i Lessini.

L’importanza del Pastel appare così, in defi-nitiva, legata ai suoi aspetti geologici, botanici eambientali, ma anche ai frequenti rapporti checon esso gli uomini hanno intrattenuto nel tem-po. Vicino alla pianura e alla città di Verona, ilmonte ha fornito buona parte delle pietre chesono andate a costituire il caratteristico edificatodella città scaligera, connotandolo con l’incon-fondibile tinta rosseggiante o rosata, e con l’in-sieme delle emergenze fossilifere, che rendonoancora oggi – scrive Eugenio Turri – “magnifi-co, sontuoso e palpabilmente geologico il pae-saggio urbano veronese”. Esiste allora una pre-cisa corrispondenza tra il Monte Pastello e ilvolto con cui si presenta la città agli occhi diqualunque osservatore. Di una simile varietà, diuna simile ricchezza che è naturale e, mediata-mente, pure culturale, antropizzata, vissuta ed

MARIATERESA SIVIERI, L’Adige racconta. Viaggiolungo il fiume tra natura, arte, storia..., prefaz. diEnnio Rossignoli, illustrazioni di Pietro Tormen,Padova, Cleup, 2005, 8°, pp. 224, e 20,00.

Chi, dopo aver letto le descrizioni degli autoriantichi, si ritrovasse a seguire l’intero corsodell’Adige, dalla sorgente alpina alla foce, ri-marrebbe senz’altro stupito e faticherebbe a ri-conoscerlo. Secoli di cambiamenti, rotte, tagli diargini, bonifiche e inondazioni hanno mutato ladiscesa del fiume, rendendo il suo corso attualemolto diverso da quello antico. È questo fiume,e questa storia, che l’autrice, Mariateresa Sivieri,ripercorre nel libro L’Adige racconta, intrec-ciando geografia e linguistica, geologia e araldi-ca, ma soprattutto prestando la sua voce di viag-giatrice attenta e curiosa a una narrazione chenon vuole essere mera descrizione scientifica.

Il viaggio ha inizio a 1520 metri d’altitudine,nel Passo di Resia-Reschen, in prossimità delquale nasce l’Adige. Le montagne che ne circon-dano la sorgente superano i 3000-3500 metri enumerosi sono i torrenti che lo arricchiscono.Seguendo il corso del fiume, si incontrano gra-ziosi villaggi dalle case decorate e i balconifioriti, ma anche laghi, castelli, abbazie, antichestrade romane. Ecco stagliarsi i piccoli paesi diCuron Venosta e Burgusio, ecco il Castello delPrincipe e Castel Coira, eretto nel 1259 dalvescovo Enrico di Montfort, e quindi l’abbaziabenedettina di Monte Maria. Lasciate le nevi e ighiacciai, si entra in una terra in cui i vignetiricoprono come un manto colline e pendii. Ilconfine dell’Alto Adige con il Trentino si trovapoco dopo la stretta gola di Salorno. Si incontra-no allora, oltre ovviamente alla città di Trento,Calliano, Castel Pietra, Rovereto, Sacco, per poiraggiungere la provincia di Verona o della “regi-na dell’Adige”, come è anche nota per la suaposizione di ponte tra Germania e Italia e traVenezia e Lombardia. Ma anche altri paesi sonoricordati per il ruolo che ebbero nella navigazio-ne: tra questi Albaredo all’Adige, Porto, Legnago,o, nella provincia di Rovigo, Badia Polesine. Fupresso quest’ultima che, probabilmente nel 950,una rotta nota con il nome di “Pinzone” o “Pizzon”diede vita all’Adigetto, corso importante e riccod’acqua, lungo il quale fiorirono centri come

elaborata dagli uomini, rende conto questo am-pio volume, curato da Leonardo Latella. Laprima parte del libro descrive analiticamentegeologia e paleontologia del Monte Pastello,mentre la seconda si concentra, in maniera ap-profondita, sull’esame del popolamento vegeta-le e animale.

In conclusione del volume, compaiono untesto in cui viene tracciata la descrizione della“preistoria” del Pastel, della peculiare archeolo-gia del territorio e, infine, una relazione incen-trata sul tema: “Tre anni di ricerche sul Sito diImportanza Comunitaria Monte Pastello”. Nelcomplesso, viene articolato un variegato percor-so pluridisciplinare, che incrocia, a più riprese,botanica e zoologia, geologia e archeologia,fornendo un ritratto d’insieme di quel Pastel cosìcaro, ancora oggi, ai veneti e ai veronesi.

Giovanna Battiston

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

Lendinara e Villadose. Continuando a seguire ilfiume, il paesaggio si fa completamente rurale,con poche case sparse in grandi distese di frutteti,vigneti e campi di granoturco. L’Adige ora dise-gna larghe e calme anse, mentre le barchesse bentestimoniano la peculiarità del passato. Si giungepoi a Cavarzere – ma nulla resta degli antichimulini, delle imbarcazioni e di tutto quanto era inrelazione all’attività che si svolgeva sul fiume –e quindi a Cavanella d’Adige, con le tante briccoletipiche della laguna veneta, che indicano uncanale navigabile o un ormeggio. È qui che sichiude il capitolo riguardante la navigazionesull’Adige. La foce del fiume, che un tempo sitrovava proprio a Cavanella e poi si è prolungataper la corrosione causata dalla velocità delleacque sulle antiche sponde, ormai non è lontana.

Laura Bozzo

ARTE

LORENZO FINOCCHI GHERSI, Il Rinascimento vene-ziano di Giovanni Bellini, Venezia, Marsilio,2003-2004, 8°, pp. 145, ill., s.i.p.

Se ci si trovasse chiamati a dover dire conquale opera abbia avuto inizio la pittura rina-scimentale propriamente detta a Venezia, la ri-sposta sarebbe: la Pala di San Giobbe di Giovan-ni Bellini. Il celeberrimo dipinto, un tempo nellachiesa omonima e oggi alle Gallerie dell’Acca-demia, raffigurante la Madonna col Bambino ei santi Francesco, Giovanni Battista, Giobbe,Domenico, Sebastiano e Ludovico, è analizzatoin questo volume dal punto di vista del rapportoesistente tra lo spazio rappresentato in esso equello reale dell’edificio per il quale venne con-cepito. Scorgendo nel primo il frutto di un con-fronto con la complessa macchina architettonicadi San Giobbe, viene presa in esame la continuitàtra le architetture dipinte e quelle entro cui la palatrovava posto, individuando in essa l’origine diuna formula basata sull’illusionismo prospetticoche con il tempo si sostituirà alla tradizionalestruttura del polittico.

Sulle influenze che portarono Bellini a com-piere una scelta di rottura con quanto avvenivanella Venezia dell’epoca, Finocchi Ghersi non hadubbi, avendo analizzato gli elementi plastico-architettonici raffigurati nel dipinto, fino a trova-re riferimenti precisi con l’opera di Piero dellaFrancesca e Francesco di Giorgio Martini, speciein relazione alle esperienze urbinati dei due.

Lo studioso, dopo aver opportunamente rile-vato anche i rimandi alla decorazione musiva emarmorea dell’interno della basilica marciana,non dimentica di osservare la tela del Giambellino,anche rispetto a quanto avevano elaborato concifra personalissima, e di grande effetto decora-tivo, i Lombardo, famiglia di scultori e architetticui spetta il merito di aver portato in lagunaun’originale forma di classicismo.

Se dunque, come insegna da decenni lastoriografia artistica, l’innovazione rappresenta-ta dalla pala di San Giobbe trova un modello diispirazione nel naturalismo sognante della Paladi San Cassiano di Antonello da Messina, inquesto libro è dimostrato che la trasformazioneriesca ad assumere connotati pienamente rina-scimentali, soprattutto in virtù dei richiami alleinvenzioni dei pittori toscani.

A corollario dell’indagine condotta sulla Paladi San Giobbe sono presentate altre interessantipiste da seguire per studiare a fondo il rapportotra Giovanni Bellini e il Rinascimento: eccoallora l’esame degli sviluppi tematici e formalinelle pale d’altare successive, dal Trittico deiFrari , ritorno in stile eccelso alle seduzioni orna-mentali della struttura a polittico, fino alla Paladi Santa Corona nell’omonima chiesa di Vicenza,

in cui l’autore del volume riscontra l’influenzadel Perugino, presente a Venezia nel 1494.

Va riconosciuto a Finocchi Ghersi il merito diaver dato nuova linfa allo studio delle relazionitra l’arte veneta e quella dei centri propulsori delRinascimento, regalando al lettore un motivo inpiù per riflettere sulla straordinaria vastità dellacultura figurativa di Giovanni Bellini.

Paolo Parigi

GIANCARLO ALFANO, Dionisio e Tiziano. La rap-presentazione dei “simili” nel Cinquecento tradecorum e sistema dei generi, Roma, Bulzoni,2001, 8°, pp. 280, e 18,08.

Questo lavoro ha come oggetto la categorialetteraria e più generalmente artistica del deco-rum nel dibattito intellettuale italiano del XVI

secolo, tra Pietro Bembo e i coevi interventi dellepersonalità artistiche (o più genericamente “cul-turali”) appartenenti alla civiltà cortigiana. Quelladel decorum è una categoria centrale: si trattadell’aptum, del “conveniente” nella dispositiointerna ed esterna all’opera. I termini del dibatti-to si posizionano immediatamente tra due poliopposti: tra la centralità della mímesis aristotelica(approssimativamente: il principio dell’ut picturapoësis) e la nuova teorizzazione dei generi lette-rari, problematica di ordine retorico altrettantocentrale, secondo la quale “a un ambito tematicoe a un livello rappresentativo deve corrispondereun determinato registro stilistico”. Il tentativo diAlfano è quello di trovare i punti di minor tenutadella compagine teorica cinquecentesca e di uti-lizzarli come “sintomo di una più generale diffi-coltà del sistema letterario”.

Il lavoro è fondamentalmente diviso in dueparti: a una prima, che indaga i commenti cinque-centeschi alla Poetica di Aristotele, ne segue unaseconda, in cui l’attenzione si focalizza sui trat-tati teorici di Minturno, di Giraldi Cintio e delvicentino Gian Giorgio Trissino. Quest’ultimo,personalità particolarmente vivace nel panora-ma letterario italiano, compie una personalerilettura dell’opera aristotelica, giungendo adestremizzare la scelta dei generi ai soli poliopposti del sublime e dell’infimo, per concen-trarsi personalmente sul primo. La posizione diTrissino “può definirsi anche come una media-zione [...] tra la chiusa e irripetibile esemplaritàdei modelli bembeschi [...] e il flusso ancoratumultuoso dell’uso linguistico”. Ed è in questaestremizzazione che troverebbe giustificazioneil suo tiepido apprezzamento per la pittura diTiziano Vecellio, che, come rileva negli stessianni anche Vasari, esprimerebbe nella propriaopera una medietas. Infatti, nell’istituire un’ide-ale trilogia pittorica di classici – Leonardo, Mon-tagna e Tiziano –, al fine di illustrare tre diversetipologie di mimesi, Trissino pone alla sommitàla figura di Leonardo, Montagna come peggiorpittore e, infine, Tiziano nel mezzo, escluso cosìdall’accellenza artistica – operazione ideologicache significò per Trissino decretare la superioritàdella scuola pittorca toscana su quella veneziana.

Tobia Zanon

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

Il volto e gli affetti. Fisionomica ed espressionenelle arti del Rinascimento, Atti del Convegno distudi (Torino, 28-29 novembre 2001), a cura diAlessandro Pontremoli, Firenze, Olschki, 2003,8°, pp. 314, ill., s.i.p.

L’interessante volume raccoglie gli Atti delsecondo Convegno internazionale organizzatodal Centro studi l’Italia del Rinascimento e l’Eu-ropa, svoltosi a Torino il 28-29 novembre 2001,e presenta contributi pluridisciplinari incentratiprincipalmente sulla precettistica relativa allarappresentazione umana, diffusa nel Cinquecen-to, epoca in cui all’espressione del volto venivaaffidata una particolare istanza persuasiva ededucativa. Il contributo di Massimiliano Rossi èdedicato alla figura versatile di Giovan PaoloGallucci, scienziato, retore, divulgatore e volga-rizzatore, nonché fondatore nel 1593 della Se-conda Accademia Veneziana. Nel 1591 Galluccitraduce in italiano la versione latina del trattato indi Albrecht Dürer Della simmetria dei corpiumani, rendendo accessibile a un vasto pubblicoun’opera di grande importanza. Contrariamenteal Vasari, egli considera il pittore tedesco piùavanzato rispetto ai contemporanei italiani, e nespiega la superiorità in base allo studio razionalee all’elaborazione teorica che sono sottese alrealismo dei suoi ritratti. Ma l’operazione, che siinserisce nei piani editoriali di respiro enciclope-dico dell’Accademia Veneziana, non è limitataalla traduzione. Gallucci, infatti, in aggiunta, aiquattro che compongono il trattato, scrive unquinto libro dedicato alle espressioni delle “pas-sioni che [uomini e donne] sentono per gli acci-denti che li occorrono”, aggiungendo così aicanoni düreriani sulle proporzioni umane unprontuario delle rappresentazioni dei caratteri edelle emozioni attraverso i lineamenti del volto edelle membra, che egli compila basandosi sul-l’osservazione di soggetti religiosi di epochediverse, ma attingendo anche alla fisionomica ditradizione pseudoaristotelica e a trattati divulga-tivi contemporanei.

Di più ampio respiro, il contributo di SerenellaCastri dedicato agli “Affetti al femminile” par-tendo dalla letteratura morale del Basso Medio-evo, ricostruisce un codice di comportamentoche vieta alle donne la manifestazione spontaneadelle emozioni sui volti e negli sguardi. Di questiprecetti si trova riscontro nello stereotipo ine-spressivo di donna ideale nelle arti figurativetardo-medievali. Anche la legislazione funeraria,come testimoniato nel Trecento a Padova – dovepure, a parere di Serenella Castri, esempi giot-teschi già aprivano la strada a una raffigurazionerealistica delle emozioni umane – e in molte altrecittà italiane, proibendo le lamentazioni pubbli-che, annulla l’unico ma importante spazio socia-le in cui l’estrinsecazione del sentimento eratradizionalmente affidato alle donne. La gestua-lità rituale, fortemente espressiva delle preficheriapparirà tuttavia, variamente declinata, nellesacre rappresentazioni e nei compianti scultorei,che l’autrice individua in molte parti dell’Europaoccidentale.

Giovanna Perghem

MASSIMILIANO PAVAN, Scritti su Canova e il Neo-classicismo, a cura di Giuseppe Pavanello, Tre-viso, Canova, 2004, 8°, pp. 400, ill., e 20,00.

Il terzo Quaderno del Centro Studi Canoviani,curato dal professor Giuseppe Pavanello, racco-glie alcuni dei saggi più significativi di Massi-miliano Pavan su Antonio Canova e il Neoclas-sicismo. Massimiliano Pavan (1920-1991), ve-neziano, trascorse a Possagno gli anni della pri-ma adolescenza, attingendovi l’amore per Ca-nova, fu maestro di studi universitari e autore disaggi esaustivi sullo scultore, acuto interpretedel periodo tormentato e complesso in cui nac-que l’Europa moderna. Gli scritti raccolti inquesto volume illustrano i protagonisti e i temipiù interessanti dell’età di transizione tra Sette-cento e Ottocento, tra Neoclassicismo e Roman-ticismo, quando si confrontarono mondo anticoe mondo moderno, mondo mediterraneo e mon-do nordico.

I saggi non seguono un ordine cronologico,ma piuttosto tematico: la figura di Winckelmann,all’interno dei rapporti artistico-culturali tra Au-stria e Sassonia e nei giudizi di Herder e Goethe;le vicende che accompagnarono la pubblicazio-ne – presso i Remondini – delle opere di France-sco Milizia; una meticolosa biografia di AntonioCanova; l’amicizia dello scultore con Pietro Gior-dani, che nel Panegirico lo esaltò come interpre-te e rinnovatore dell’antichità classica; la diffici-le attività di Sovrintendente dei Musei Vaticaniin un periodo di eccezionali mutamenti, dal 1802alla caduta di Napoleone nel 1814.

Nel 1815 Canova si recò a Parigi per chiederela restituzione delle opere d’arte cedute dal papanel 1797 e poi a Londra per ringraziare il sovranoinglese dell’appoggio alla sua missione. Quiricevette una calorosa ospitalità, come si leggenel Diary del pittore J. Farington, e poté contem-plare i marmi del Partenone rimossi da lordElgin, sculture che nel 1803 si era rifiutato direstaurare, sostenendo che “per lui, anzi per

qualsiasi uomo, sarebbe stato sacrilego presu-mere di toccarle con uno scalpello”. Il suo giudi-zio (“ammiro in esse la verità della natura con-giunta alla scelta delle forme belle”) fu moltoimportante nella lunga polemica sul capolavorodi Fidia e nelle discussioni sulla distinzione trabello “naturale” e bello “ideale” nell’arte.

Il saggio successivo tratta il problema del-l’origine greca o romana dei cavalli di San Mar-co, trasferiti a Parigi dopo la caduta di Venezia,nel 1797, e riportati in sede dal Canova nel 1815.Si trattava in realtà di un confronto sul modo diinterpretare il mondo classico e i toni accesi dellapolemica rivelano l’attualità della questione, nelmomento di passaggio tra Neoclassicismo eRomanticismo. Canova si colloca al centro dellediverse sollecitazioni culturali, accorda il neo-classicismo di Winckelmann con il protoroman-ticismo di Herder e per questo fu amato anche dairomantici.

Marilia Ciampi Righetti

Placido Fabris pittore 1802-1859. Figure, avre-sti detto, che avevano anima e vita, a cura diPaolo Conte e Emanuela Rollandini, testi e sche-de di Massimo De Grassi, Emanuela Rollandini,Flavio Vizzutti, Belluno, Provincia di BellunoEditore, 2004, 4°, pp. 262, ill., s.i.p.

Recentemente tornata alla ribalta nella consi-derazione della critica e riproposta al pubblico, lapittura veneta dell’Ottocento è costellata di figu-re minori, o in apparenza tali, che sono stateoggetto di un lavoro di scavo e approfondimento,dagli esiti spesso sorprendenti. Un lavoro dipaziente ricostruzione critica che, oltre a ricono-scere l’autonoma dignità e il valore artistico diqueste figure, è diventato la premessa per poterlecollocare con maggiore precisione su uno sfondostorico-artistico di carattere più generale. Nella

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

realtà bellunese, a fianco di nomi celebrati comequelli di Giovanni De Min, Pietro Paoletti eIppolito Caffi, troviamo così Placido Fabris(1802-1859). La poliedrica attività del pittore(che sarà soprattutto un abilissimo ritrattista)risulta documentata in questo volume mono-grafico, che presenta un primo profilo completodell’artista e della sua opera, ampliando il lavoropionieristico già compiuto in occasione di unamostra dedicata a Fabris, tenuta a Pieve d’Al-pago, suo paese natale, nel 2002.

In apertura del catalogo, Flavio Vizzutti èchiamato a delineare il quadro complessivo dellapittura del primo Ottocento tra Veneto e Friuli-Venezia Giulia, sottolineando il ruolo avuto inessa da esponenti “provinciali” come Grigoletti,Tominz e Fabris stesso, nonché l’ambito, soven-te esteso al di là dei ristretti confini regionali,della loro influenza. Nel secondo saggio, Ema-nuela Rollandini, che già si era occupata diFabris per la mostra di Pieve d’Alpago, ripercorrela sofferta biografia personale e artistica delpittore – “grande, ma infelice”, riportano le fontidell’epoca – servendosi di documenti in granparte inediti, come lettere, elenchi di committenze,scritti autobiografici, disegni e anche dipintiritenuti scomparsi. Sono descritte le sue pere-grinazioni da Venezia a Trieste, da Milano anco-ra a Venezia e poi a Londra, dove nel 1850, dopola perdita di dipinti e disegni della sua collezione,mai giunti alla loro prevista destinazione lon-dinese da un viaggio per mare, ha inizio il tragi-co, rapido declino della parabola di Placido Fabrise della sua fase “produttiva”. Il pittore, ritornatonegli ultimi anni di vita nella città lagunare,impegnerà il proprio tempo residuo in una con-tinua, ossessiva rielaborazione delle sue memo-rie. Sviluppando e allargando la prospettiva diEmanuela Rollandini, Massimo De Grassi dedi-ca il proprio contributo all’opera di restauratoree copista svolta da Fabris, momento non margi-nale della sua attività e che manteneva, comeessenziale punto di riferimento, i dipinti deigrandi maestri veneti, oggetto di rifacimenti eanche di contraffazioni. Copie di Lotto, Tiziano,Veronese, realizzate magari per far fronte a ur-genti necessità economiche, al servizio di anti-quari o di nobili committenti. I tre saggi in-troduttivi preparano l’esplorazione delle schedescientifiche relative a settantadue dipinti auto-grafi dell’artista. Ai quadri già conosciuti siaggiungono poi gli inediti, formando un corpusche dagli anni Venti arriva fino a coprire gliultimi mesi di vita del pittore. Completano ilcatalogo due sezioni dedicate rispettivamentealle Opere dubbie o di errata attribuzione e alleOpere perdute – da cui emergono alcune rilevan-ti novità interpretative –, più un’appendice docu-mentaria comprendente vari manoscritti e unabibliografia ragionata di saggi e articoli riferitiall’attività pittorica di Placido Fabris.

Laura Bozzo

Comelico e Sappada. Tesori d’arte nelle chiesedell’alto bellunese, a cura di Marta Mazza,Belluno, Provincia di Belluno - Venezia, Regio-ne del Veneto, 2004, 8°, pp. 142, ill., e 25,00.

Zona di confine, collocata all’estremo norddel Veneto, il Comelico si segnala per un ricchis-simo patrimonio naturalistico, ma anche per lapresenza di una tradizione culturale meritevoledi considerazione, costellata da espressioni arti-stiche di assoluto rilievo. Zona di confine equindi aperta agli influssi esterni, alle contami-nazioni, agli scambi – anche nel campo dell’arte.Fondamentale per ripercorrere criticamente losviluppo di questa tradizione è il ruolo degliedifici religiosi, l’evoluzione storica dell’archi-tettura sacra: è, infatti, intorno alle chiese cheandava organizzandosi la vita comunitaria deipiccoli centri montani. Ed è al particolare conte-sto culturale (e devozionale) dell’intera area cheoccorre guardare, per poter ambire a ricostruire“formazione, composizione e caratteri” propridell’arte del Comelico.

Un esempio, citato da Ennio Concina, nel suointervento di apertura – chiamato a tracciare unasintesi storico-artistica del tema – è dato dalla“persistenza del linguaggio gotico nell’architet-tura religiosa che si inoltra per più decenni nelCinquecento”, accomunando in tal modo Cadorecentrale e Comelico, Carnia e Pusteria. Gli itine-rari dei maestri costruttori tra Quattro e Cinque-cento seguono, nel caso specifico, quelli deipellegrinaggi medievali.

Dall’analisi delle chiese gotiche di Ruopel (aDomegge, Calalzo, Vigo di Cadore, ComelicoSuperiore, Auronzo) si passa, così, nei capitolisuccessivi, all’esame degli affreschi di Gian-francesco da Tolmezzo a San Nicolò di Comelico(oggetto nel volume di una ulteriore “letturateologica”), dell’altare dell’Addolorata di An-drea Brustolon a Dosoledo, degli altari ligneipresenti nelle chiese di Presenaio, a San Pietro diCadore, e dell’Addolorata di Dosoledo, ComelicoSuperiore.

Il volume raccoglie i contributi di EnnioConcina, Luigi Girardini, Marta Mazza, FulvioDell’Agnese, Giacomo Mazzorana, Rita Bernini,Vasco Fassina, Elisabetta Fedeli e GuglielmoStangherlin.

Barbara Da Forno

ANTONIO ZUCCON, Cibiana di Cadore. I “murales”raccontano la sua storia, prefaz. e schede diGuido De Zordo, present. di Paolo Coltro, postfaz.di Reinhold Messner, Ponzano (TV), VianelloLibri, 2002, 4°, pp. 182, ill., e 30,00.

Sui muri delle case di Cibiana è dipinta Cibiana.Non si tratta di una galleria d’arte all’aperto, congli edifici che servono solamente da supporto perle opere di artisti venuti da varie parti del mondo;piuttosto, come dice bene Paolo Coltro nella suapoetica presentazione, “sui muri esce la Cibianachiusa dentro alle case”. E le belle fotografie diAntonio Zuccon riescono a cogliere pienamentel’essenza di questa esperienza, nata nel 1980, suidea dell’allora presidente della Pro Loco, OsvaldoDa Col: ne colgono l’essenza perché mostrano i“murales” insieme con le case, le vie e le corti neiquali sono inseriti; perché li ritraggono spessoinsieme agli abitanti del luogo, accostando ilpassato prossimo che i dipinti conservano allamemoria al presente delle persone e delle cose:così di fronte all’affresco che rappresenta unvecchio forno c’è un ragazzo che lavora con unabetoniera; davanti a un bel ritratto di una vecchiasignora di ieri passa in bicicletta un bambino dioggi. Così queste fotografie finiscono per diven-tare ben più di una semplice documentazione,sono “racconto di racconto”, secondo l’indovina-ta definizione di Coltro.

Risulta condivisibile anche l’affermazione checon i “murales” veri, quelli sudamericani, questihanno in comune solo il fatto di essere muri

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

dipinti. Dove i “murales” sono nati sono “espres-sione di una vita complicata ma colorata [...]piena di problemi e bisognosa di denunce”. ACibiana, invece, questa esplosione di colori sullecase grigie è una piccola rivoluzione e allo stessotempo un miracolo, perché non si contrapponeallo spirito quieto e riflessivo del luogo, semmailo interpreta e lo completa.

I soggetti dei “murales” sono i più diversi, masono sempre legati al paese nel quale e per ilquale sono stati concepiti: ricordo di persone,oggetti, mestieri, scene di vita quotidiana, narra-zione pittorica di avvenimenti storici, come lavenuta in quel di “Zobiana” del condottieroBartolomeo d’Alviano, nel 1508, e di tradizionipopolari a lungo vive in quelle zone, come quelladelle “anguane”. I nomi delle opere sono signifi-cativamente tutti in dialetto.

Nella postfazione Reinhold Messner raccontadel suo “Museo nelle nuvole”, ospitato in vetta alMonte Rite, nel territorio di Cibiana. L’intento di“trasformare un forte di guerra in un luogo d’ar-te, di cultura, di pace, di contemplazione” sem-bra, a vedere le foto, perfettamente riuscito.

In conclusione del volume, l’elenco degli ar-tisti e la versione inglese dei testi.

Chiara Schiavon

MARTA NEZZO, Critica d’arte in guerra. Ojetti1914-1920, Vicenza, Terraferma, 2003, 8°, pp.176, ill., s.i.p.

Marta Nezzo illumina, attraverso l’esame pun-tuale degli scritti pubblici e privati di Ojetti e diquelli relativi al dibattito contestuale, una vicen-da che vide protagonisti i territori investiti dalPrimo Conflitto mondiale: le province orientaliitaliane e in particolare Venezia. Dal 1914 UgoOjetti, abile giornalista affermatosi nelle paginedel “Corriere della Sera” fin dal 1896 comecorrispondente di guerra, ma progressivamentedivenuto critico d’arte, seppe svolgere una cam-pagna di stampa per sviluppare a fini ideologicile potenzialità propagandistiche dei monumentie delle opere d’arte coinvolti nelle operazionimilitari e quindi nell’offensiva dell’Asse versola pianura Veneta.

Il testo segue passo passo l’evoluzione dell’o-perato di Ojetti dal primo anno di guerra, quandoancora l’Italia era neutrale, agli anni immediata-mente successivi al conflitto. L’invasione tede-sca del Belgio e della Piccardia, con le conse-guenti distruzioni delle cattedrali gotiche, in-nanzitutto Reims, costituisce il prologo dal qualeOjetti intuì il potenziale suasivo sull’opinionepubblica italiana degli effetti della guerra sulleopere d’arte al fine di promuovere l’alleanzacontro il barbaro nemico germanico. Egli quindiseppe proporsi sia come voce interventista sia,dopo l’entrata in guerra italiana, come sostenitoredi un uso strumentale delle opere d’arte nelsostegno delle azioni militari che ancora nonavevano l’adeguato appoggio pubblico; lì dove ilGoverno italiano e il Comando supremo si eranomostrati incapaci. Ciò lo portò a dirigere le ope-razioni di difesa dei monumenti veneti e del ri-

covero delle opere rimovibili nelle regioni lonta-ne dal fronte, per evitare un danno analogo aquello subito da Notre-Dame di Reims.

A Ojetti non sfuggì che dare adeguata e imme-diata risonanza allo sforzo prodigato per la difesadel patrimonio artistico sarebbe servito a creareun ampio coinvolgimento emotivo a favore delconflitto. Tuttavia, l’uso strumentale delle ope-re, implicava una loro nuova considerazione,come simboli dell’identità nazionale e locale,come “espressione connotante e fondante dellagrandezza di un popolo”. L’iniziativa di tutela afini di propaganda, che altera il sistema referen-ziale dell’opera d’arte, divenuta ormai fonda-mento dell’identità nazionale, consentì alla di-vulgazione giornalistica di promuovere, conmezzi e finalità proprie, il dialogo fra il mondoartistico e il pubblico. L’azione di Ojetti estendeil valore dell’opera ben oltre il campo esteticocoinvolgendola in finalità pratiche radicate neltessuto sociale. D’altra parte le esigenze propa-gandistiche permisero ad Ojetti di affinare unfunzionale dialogo fra immagine, costituita innan-zitutto dalla fotografia, della quale colse piena-mente il potenziale comunicativo, e la parola:“La propaganda più efficace è quella per gliocchi. Essa sola raggiunge gli analfabeti, i pigri,i distratti: cioè il pubblico”.

Guido Galesso Nadir

ARCHITETTURAURBANISTICA - PAESAGGIO

La Torre Bissara di Vicenza tra antica memoriae nuova percezione, a cura di Gianna Gaudini,Vicenza, Edisai, 2002, 4°, pp. 178, ill., e 30,00.

La Torre Bissara svetta con i suoi 83 metrisulla Piazza dei Signori di Vicenza, a vegliaresulla vita della città e a segnare il tempo dellastoria, snella e severa come lo gnomone di unameridiana. Il monumento, indipendente ma com-plementare alla poderosa architettura palladianadella Basilica, costituisce un simbolo di altovalore artistico e morale, è il testimone attorno acui si sono registrati i fatti più importanti dellavita civile e religiosa di circa otto secoli, nonchéil protagonista di travagli storici e sconvolgentieventi naturali: dall’avvicendarsi dei diversi go-verni signorili (passando dagli Ezzelini ai Car-raresi, dagli Scaligeri alla Repubblica di Vene-zia), fino a terremoti, fulmini e bombardamentiaerei. Parallelamente, la torre è stata oggetto dinotevoli modifiche strutturali, innalzamenti, ag-giunte e abbellimenti, che danno conto non solodella vitalità storica ma anche dei mutamenti digusto estetico nei secoli, sino a configurare l’operaarchitettonica come uno spazio museale a cieloaperto, sfondo svettante per foto turistiche ocartoline, quanto scenografia suggestiva per lepiù varie riprese cinematografiche – su tutte

quelle notturne per il mozartiano Don Giovannidi Losey. Potrebbero bastare queste divagazioniper inquadrare l’interesse sempre vivo per laTorre Bissara, che ha conosciuto molti interventidi manutenzione e restauro, l’ultimo dei quali,assai significativo per consistenza, avvenuto nel2002, ha ripristinato la sua funzione di segna-tempo. L’importanza dei lavori di recupero èsottolineata non solo dall’aspetto smagliante dellatorre, ma anche dalla pubblicazione di un prezio-so volume, in cui storici e studiosi vicentini pun-tualizzano le diverse valenze attribuibili all’ope-ra, sia attingendo ad una antica memoria cheabbandonandosi decisamente ad una nuova per-cezione. Scorrendo le varie sezioni che compon-gono il libro, spicca per lucida sintesi il testo diFranco Barbieri, sui pregi storico-artistici delmonumento, che si completa con l’intervento diAttilio Previtali, che ne mette in luce gli aspettisimbolici, sia dal punto di vista religioso checivile. A conclusione di questo volume, un’im-ponente appendice, curata da Manuela Barausse,presenta un consistente apparato di documentiper la storia della Torre di piazza e un riccorepertorio iconografico, fotografico e artistico,sulle stagioni figurative e spaziali del monumen-to. A studi, immagini e curiosità, fanno da degnocontrappunto le relazioni tecniche sul consolida-mento e il restauro. Di particolare interesse èl’intervento, a proposito del quadrante dell’oro-logio e della fase lunare, di Stefano Soprana, cheda moderno mecenate ha donato alla città ilnuovo orologio radiocontrollato con l’ora atomi-ca. Il quadrante dal fondo blu cielo e le lancettedorate a ricordo dello splendore del sole riman-dano agli aspetti simbolici della Torre Bissara:proprio sulla sommità spicca un pomo dorato,contenente preziose le reliquie dei santi Felicee Fortunato, martiri vicentini.

Luisella Ferrarese

Domus illorum de Lischa. Una famiglia e un pa-lazzo del Rinascimento a Verona, a cura di Ste-fano Lodi, saggi di Paola Lanaro, Stefano Lodi,Paola Marini, Gian Maria Varanini, con una notasul restauro di Giorgio Forti, Vicenza, Neri Poz-za, 2002, 4°, pp. 176, e 47.00.

Il profondo restauro da parte dell’A.G.E.C. (Azien-da Gestione Edifici Comunali) di Verona dellostorico palazzo Da Lisca-Cavalli è stata l’occasio-ne per realizzare una serie di ricerche ad opera diquattro studiosi (Gian Maria Varanini, PaolaLanaro, Stefano Lodi, Paola Marini) che hannotracciato la storia della nobile famiglia Da Lisca inrelazione alla loro dimora lungo i secoli, mentreGiorgio Forti conclude il tutto con un saggio chetratta le problematiche più recenti, Riflessioni inmargine al restauro di palazzo Da Lisca.

L’opera è stata coordinata da Stefano Lodi,che apre il suo discorso affermando che il palaz-zo di cui si tratta “costituisce un ulteriore edemblematico esempio di quanto anche per laVerona del Rinascimento la complessa relazioneesistente tra famiglia, casa e spazio urbano offraspunti considerevoli di indagine ben oltre una

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

prospettiva meramente storico-architettonica ostorico-artistica [...]. Il recente restauro del palaz-zo ha avviato, oltre al recupero materiale cul-minato con la scoperta di straordinarie e inaspet-tate parti affrescate, la ricostruzione della storiastessa dell’edificio resa possibile solo a partiredall’individuazione dei proprietari originari, iDa Lisca, il cui stesso nome si era quasi perdutonel tempo in relazione a questa fabbrica”.

Una famiglia, quella dei Da Lisca, che ebbe unruolo importante nella storia di Verona ben pri-ma dell’arrivo in città degli Scaligeri, confer-mando così il significato dell’immigrazione dicittadini provenienti dai Comuni toscani nellecittà padane. Il Trecento può essere consideratoil “secolo d’oro” della famiglia, proprio durantela presenza di Dante a Verona, in quanto i DaLisca affiancarono gli Scaligeri nel governo del-la città, ruolo che ricopriranno anche durante ildominio successivo dei Visconti.

Il culmine del ruolo dei Da Lisca a Veronavenne raggiunto nel Rinascimento, anche graziealla costruzione della nuova splendida abitazio-ne voluta da Giovan Mattia Da Lisca, alla fine delQuattrocento: si tratta di un “impianto” assoluta-mente nuovo rispetto alla tradizione veronese,sia dal punto di vista architettonico che da quellopittorico, come si può apprezzare anche dallaricca documentazione iconografica che corredae arricchisce il volume.

Giuseppe Iori

La Casa di Francesco Petrarca ad Arquà. Gui-da, a cura di Mariella Magliani, testi di Marghe-rita Benettin, Marco Callegari, Vincenza CinziaDonvito, Mariella Magliani, Milano, Skira, 2003,8°, pp. 96, ill., e 13,00.

Esiste, in Italia e nel Veneto, una ricca geogra-fia di luoghi letterari, luoghi per eccellenza di unculto “laico” riservato, in varia misura e a varielatitudini, alle glorie delle italiche lettere: da

oltre seicento anni la località padovana di Arquàè compresa tra questi, ed è venuta ad occupare unposto di rilievo nel singolare circuito della me-moria poetica che percorre, da nord a sud, lanostra penisola.

Nel 1369, Francesco Petrarca, ormai anzianoe malato, decise di stabilirsi sui Colli Euganei,proprio ad Arquà, facendosi riadattare una casache lo avrebbe accolto durante gli ultimi annidella sua esistenza e fino alla morte, avvenuta trail 18 e il 19 luglio 1374. Nel corso dei secoli,questa stessa abitazione, forte della propria auraevocativa, diventerà l’approdo di un ininterrottopellegrinaggio sentimental-letterario, che vuolerendere omaggio al poeta del Canzoniere. Ed ètra le pareti di questa casa che la biografia e leopere dell’autore sono destinate a fondersi con ilmito petrarchesco, con gli aspetti simbolici e lemolteplici suggestioni che il nome di FrancescoPetrarca ha richiamato, e continua a richiamare,nella storia (non solo letteraria, ovviamente)dell’Italia. Così, dalla prima testimonianza cuiviene fatta risalire l’origine del “devoto pellegri-naggio” sui Colli – è quella del medico GiovanniDondi dall’Orologio, amico padovano del poe-ta –, fino ai nomi di celebri visitatori come Vit-torio Alfieri e Ugo Foscolo, la casa di Arquà con-tinuerà ad alimentare le memorie petrarchesche,diventando una sorta di tappa obbligata per ognitour poetico immaginato in questa parte delVeneto. La guida illustrata, che riserva una parti-colare attenzione alla storia e all’iconografia delluogo, accompagna il lettore in una visita cheripercorre i passi dei tanti “pellegrini” che nelpassato, curiosi, ammirati (o talora pure indignati,come il Foscolo, per la presunta decadenza dellacostruzione), si sono aggirati per queste stanze.

Di proprietà del Comune di Padova, fin dal1875, l’abitazione – che forse era stata donata aPetrarca da Francesco il Vecchio da Carrara,signore di Padova – si è presentata con un rinno-vato allestimento espositivo, pensato apposita-mente per le celebrazioni del settimo centenariodella nascita del poeta (1304-2004).

Laura Bozzo

Andrea Palladio atlante delle architetture, acura di Howard Burns, Guido Beltramini, MarcoGaiani, testi di Guido Beltramini e Howard Burns,Venezia, Regione del Veneto - Istituto regionaleper le ville venete - Centro Internazionale diStudi di Architettura Andrea Palladio - Marsilio,2002, libro + CD-ROM, pp. 15, 16°, ill., e 14,50.

Questo CD-ROM interattivo mette a portata dimano di architetti, studiosi e appassionati il ma-teriale iconografico e informativo sull’interocurpus delle 67 opere architettoniche (ville, pa-lazzi e chiese) realizzate da Palladio nel Veneto(caso “stanziale” di produzione pressoché uniconel Rinascimento), e le tre opere realizzate nelFriuli.

Alcune pagine introduttive sono incentratesulla formazione e sulla figura dell’architetto– anzi di quell’ignoto ma promettente “artigia-no” chiamato Andrea Di Pietro, che per meritodel grande letterato e grammatico vicentinoGiangiorgio Trissino (1478-1550) diventerà ilclassico “Palladio”, secondo il nome che glidiede l’amico. E di Trissino i curatori sottolinea-no appunto l’apporto nella formazione del gio-vane, a partire dai viaggi compiuti dai due aRoma – che introdussero Palladio nel centrodell’architettura antica e rinascimentale –, fino aipotizzare un vero e proprio “travaso di poetica”dal rigore della struttura dell’approccio linguisti-co del grande letterato al rigore dell’approcciostrutturato del progetto architettonico del Palladio;il quale, genialmente, assorbe tutte queste lezio-ni per attuarle subito in maniera rivoluzionariagià nelle prime opere, creando capolavori asso-luti man mano che la sua personalità inconfon-dibile si sviluppa.

Non esiste in realtà una via maestra per “navi-gare” in questo CD, le cui pagine virtuali sipossono peraltro stampare: si può accedere nelvivo della materia architettonica tramite l’Indi-ce, gli Itinerari e la Cronologia, a seconda delleesigenze conoscitive del ricercatore. Accedendoall’ Indice alfabetico-tipologico si ha la possibi-lità di visualizzare in una sola schermata le icone

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

di tutte le opere architettoniche, da cui si puòselezionare poi direttamente l’icona o utilizzaregli indici tematici a fianco: una volta cliccatal’immagine interessata, si avrà la possibilità divisualizzare l’opera sia mediante la tecnologiaQRVR (Quick Time VR, che permette la visua-lizzazione a 360° dell’opera partendo da “nodi”localizzati), sia mediante fotografie, disegni,mappe della località, bibliografia esaustiva; en-trando attraverso gli Indici territoriali (Quadrod’unione, Quadro località e Percorso) si accedeai singoli lavori virtualmente attraverso la lorodislocazione geografica; infine, utilizzando lagrande tabella sinottica che compone la Crono-logia si accede alle architetture dalla via delladiacronicità della loro realizzazione, raffrontan-do la stessa all’ambito della vita culturale deltempo e della vita personale dell’architetto.

Sandra Bortolazzo

GILBERTO ONETO, Paesaggio e architettura delleregioni padano-alpine dalle origini alla fine delprimo millennio, Ivrea (TO), Priuli & Verluccaeditori, 2002, 4°, pp. 120, ill., s.i.p. (“Quaderni dicultura alpina”, 78).

Gilberto Oneto, architetto e paesaggista de-scrive l’evoluzione del paesaggio e dell’architet-tura nelle regioni dell’Italia settentrionale, daiprimissimi insediamenti umani avvenuti sul ter-ritorio fino all’arrivo di Goti e Longobardi, conl’obiettivo di rivalutare il ruolo complessivodelle popolazioni autoctone dell’area padano-alpina. Per l’autore, accostarsi alla storia delleregioni padano-alpine in maniera meno rigida econvenzionale, significa riconoscere come esseabbiano svolto un ruolo autonomo nelle vicendeche hanno interessato la nostra penisola – anchein epoche assai remote – e riconoscere, inoltre,come questa considerazione possa aiutare a cor-reggere l’impostazione culturale che, fino aigiorni nostri, assegnava ancora a Etruschi e Ro-mani una sorta di primato assoluto, indiscusso,una esclusiva funzione civilizzatrice dell’interazona. Un caso degno di menzione è quello deiVeneti, insediati nella parte orientale della Pia-nura padana fin dalla lontana antichità. ScriveOneto: “Sia per i Protoveneti che per i Venetistorici si è sviluppato un particolare rapporto conil proprio territorio, caratterizzato dalle forti pe-culiarità morfologiche del Venetorum angulus,un paese condizionato dalle acque che ne hanno,in parte, anche isolato e difeso dal resto delmondo i caratteri culturali”. L’identità di unpopolo, sembra di poter affermare, non è allorauna questione del tutto indipendente dallamorfologia del territorio abitato. Già prima del-l’espansione di Etruschi e Romani, i Venetiseppero organizzare, modificare e ripensare iluoghi in cui vivevano, traendo dalle connotazionifisiche della regione alcune delle loro principalicaratteristiche culturali, come l’abilità nella na-vigazione di mari e fiumi, nella creazione di retidi navigazione interna, negli scambi commercia-li, nella costruzione di insediamenti abitativisull’acqua, nell’agricoltura e nell’allevamento.

Le loro case, se si escludono le aree collinari emontane, erano prevalentemente edificate conmateriali che non hanno resistito all’usura deltempo, ma evidenziavano, comunque, l’esisten-za di un tipo di pianificazione (emblematico è ilcaso di Este) che regolava la collocazione e laforma delle costruzioni, rivelando l’intenzionalitàdi una sistemazione dall’aspetto già “urbano”. Esarà, questo, un retaggio “urbano” destinato ainfluire in maniera duratura su tutta la storiasuccessiva del Veneto (e dei veneti).

Giovanna Battiston

NARRATIVAMEMORIALISTICA

BORTOLO BELLI, La storia di un colono, a cura diEmilio Franzina, Sandrigo (VI), Agorà Factory,2003, 8°, pp. 190, ill., e 15,00.

Bortolo Belli, nato a Oderzo (TV) nel 1851,diventò segretario comunale di Piavon, un altrocomune della provincia di Treviso. Contempo-raneamente svolse un’intensa attività di corri-spondente giornalistico sulle pagine de “LaProvincia” e su “L’Adriatico” , organo ufficiosodella democrazia veneta. Le sue indagini statisti-che e le sue analisi delle condizioni rurali eamministrative gli valsero gli elogi di AgostinoBertani e di Emilio Morpurgo. Tra il 1877 e il1879 il Comune di Oderzo lo incaricò di recu-perare a Genova un gruppo di mezzadri e difittavoli, che nel tentativo di emigrare in Brasileerano caduti in uno dei numerosi imbrogli chevenivano organizzati a danno dei candidati al-l’emigrazione.

L’emigrazione era vista invece con ostilità daiproprietari terrieri. Belli vi vide una delle rispo-ste alla crisi esistente nelle campagne. L’emigra-

zione diventò sempre più forte nel biennio 1886-1887. Belli abbandonò il posto di segretariocomunale e nel maggio 1888 si imbarcò perSantos in Brasile. Qui visitò numerose fazendasricavando una dettagliata Memoria della condi-zione dei coloni italiani nella provincia di SaoPaolo, dalla quale emergeva il suo orientamentofavorevole all’emigrazione. In Brasile Belli con-tinuò a fare il giornalista, mantenendo sempreindipendenza di giudizio e di pensiero e collabo-rando sia con giornali brasiliani sia con pubblica-zioni italiane. Il suo libro più importante fu ilmanuale Il caffè. Il suo paese e la sua importan-za. Il suo romanzo Nane. Storia di un colono fupubblicato sull’“Avanti paulista” tra il 1900 e il1901. La prima parte del romanzo epistolarecontiene una efficace descrizione delle condizio-ni di vita dei contadini nel Trevigiano: l’alimen-tazione, i lavori agricoli, i contratti, le disdette aSan Martino, i rapporti con gli enti di assistenzapubblica. La seconda parte, invece, è dedicataalla descrizione delle condizioni di lavoro e divita in Brasile. Belli si spense nel 1911.

Elio Franzin

BERNARDINO FRESCURA, Sull’oceano cogli emi-granti (impressioni e ricordi...), Vicenza, LaSerenissima, 2000, rist. anast. Genova 1908, 8°,pp. 133, ill., s.i.p.

Edito per la prima volta dalla Tipografia Ma-rittima di Genova nel 1908 e pubblicato in copiaanastatica nel 2000 a Vicenza in occasione del75° anniversario della morte dell’autore, Sul-l’Oceano cogli emigrati è un’opera che senzadubbio offre un’immagine di Bernardino Frescura(nato in provincia di Vicenza, a Marostica, nel1868) un po’ lontana da quella ufficiale, macertamente più umana e che permette di apprez-zarne gli aspetti meno noti. Essa, infatti, oltre afornire uno spaccato fedele dell’epopea che allafine del XIX secolo portò milioni di italiani adabbandonare la madrepatria per cercare fortunain America, è il resoconto di un’esperienza com-piuta nel 1906, quando l’autore era quasi quaran-tenne, ma la cui preparazione spirituale risaleagli anni dell’infanzia. Ed è proprio da qui, dairicordi di un bambino che vedeva i compagni digiochi costretti a emigrare con la famiglia, cheFrescura inizia il suo racconto. L’autore li guar-dava con un sentimento contrastante, fatto dicompassione e invidia, comprendendo il doloredella separazione dalla propria terra – nella fat-tispecie il Veneto –, ma al contempo ammirandoil coraggio di quei miseri che cercavano una sortemigliore altrove. Quando, dunque, l’autore do-vette recarsi in Argentina per ragioni di studio, ilviaggio gli sembrò quasi il naturale corollario diun desiderio e di una passione – quella per il maree per la gente di mare – sbocciati già negli annidell’infanzia. Ebbe inizio così la lunga traversatadell’Oceano a bordo del piroscafo Sardegnadella Navigazione Generale Italiana. Si costeg-giò la Catalogna, aspra di rocce e alture, si varcòlo Stretto di Gibilterra, dove sembra che Africaed Europa si tocchino, si passò l’imponente e

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

caratteristica montagna del Pan de Azucar, masoprattutto durante i giorni di viaggio l’autoreebbe modo di conoscere e studiare la variopintafolla di emigranti di terza classe. Vi erano robusticontadini piemontesi e fiorenti popolane lom-barde, bimbi scalzi e sporchi e giovani donnesiciliane dai corpetti di velluto nero, avvenentiscapoli e intere famiglie. Alcuni erano diretti allefazendas di San Paolo, altri ai campi pompeani diTrigo, altri ancora ai vigneti di Mendoza. Matutti condividevano lo stesso sogno: fare fortunain America.

Laura Bozzo

FRANCO DE CHECCHI, Rivederci nell’America. Sto-ria testimonianze di un secolo di emigrazioneanguillarese, Comune di Anguillara Veneta (PD) -Stanghella (PD), Linea AGS, 2003, 8°, pp. 172, ill.,s.i.p.

L’emigrazione transoceanica iniziò nel Venetonel 1876, dieci anni dopo l’annessione al Regnod’Italia, soprattutto nelle zone montane e pede-montane, già soggette a migrazioni stagionali.Nel decennio 1875-1886 l’emigrazione perma-nente si diresse prevalentemente verso il Brasile.Nel 1886 gli emigranti padovani fondarono a unatrentina di chilometri della città di Caxias do Sulil paese di Nova Padua, nella quale operò comeparroco don Antonio Pertile, un sacerdote nativodi Maserà. Naturalmente come protettore delpaese fu scelto Sant’Antonio. Nel decennio suc-cessivo diventò un vero e proprio esodo di massa.Fra il 1876 e il 1911, la provincia di Padova arrivòa perdere circa il 14% della popolazione. Fra lealtre provincie venete, Rovigo arrivò alla percen-tuale del 29% e Treviso al 20,9%. Causa principaledi questi esodi fu la disastrosa situazione dell’agri-coltura. Il contratto prevalente nelle campagnepadovane era il fitto annuo che bloccava le mi-gliorie ai fondi agricoli. I proprietari terrieri,spesso dei nobili, affittavano la terra agli affit-tanzieri, generalmente dei borghesi, i quali a lorovolta la affittavano ai subfittanzieri, cioè ai con-tadini. Nel 1868 fu introdotta la tassa sul maci-nato. La rotta dell’Adige del 1882 provocò l’al-lagamento delle campagne del distretto di Con-selve. Nel 1884 gli abitanti di Stanghella, Boara,Anguillara e Solesino parteciparono al primosciopero agricolo italiano quello della “La Boje”.Nel 1887 la peronospera distrusse i vigneti. Nellepaludi della Bassa Padovana fu abolito il diritto divagantivo. Nello stesso anno cominciò l’emigra-zione ad Anguillara. Solo nel 1898 le partenzeper il Brasile subirono un drastico ridimen-sionamento, dovuto al crollo del prezzo del caffè.

Nel 1928 il regime fascista introdusse, graziea una nuova regolazione del collocamento, lachiamata nominativa dei braccianti. Nel 1932cominciarono i lavori di sistemazione degli argi-ni del Gorzone e dell’Adige che impegnarono unnumero notevole di disoccupati agricoli. Nono-stante questi interventi, la situazione stentava amigliorare. Anguillara che, dopo Ospedaletto,era il secondo comune del Padovano per numerodi disoccupati. Durante il ventennio fascista nu-

merosi abitanti emigrarono verso le fabbrichepiemontesi e lombarde ma anche verso le zone dibonifica, o in Eritrea e Somalia, colonie italiane.Dopo la Seconda Guerra mondiale numerosegiovani donne di Anguillara emigrarono tempo-raneamente come mondine nelle risaie del Pie-monte e della Lomellina.

Elio Franzin

GASTONE PACCANARO FÈSTA, Galliesi Ghèllarn,Gallio (VI), Stampa Tipografica Moderna, s.d.,4°, pp. 256, ill., s.i.p.

Sull’Altopiano dei Sette Comuni, dove la vitaè sempre stata difficile e ha messo a dura proval’uomo, la memoria del Primo Conflitto mondia-le è rimasta viva, non solo per la mole imponentedel Sacrario, per i forti che si sgranano sui monti,per i cimiteri sparsi e le trincee che incidonoancora i pendii, ma perché ogni nome di localitàè legato ad eventi sanguinosi, ogni cognome siritrova su una lapide commemorativa di scontrimortali.

Il libro di Gastone Paccanaro raccoglie lememorie dei protagonisti della Storia, quel cherimane d’esistenze sacrificate alla libertà di tutti:nomi, cognomi, soprannomi, foto sbiadite, me-daglie, aneddoti. Tornano per un istante vivi isoldati ventenni che patirono e morirono tra lerocce di queste montagne, ora silenziose e rico-perte di boschi. Avevano soprannomi coloriti:Matèria (una medaglia d’argento e due di bron-zo), Fajòn, (medaglia di bronzo), Colèti, (so-pravvissuto alle ferite sull’Ortigara, dedicò ilresto della vita alla ricerca dei corpi dei caduti ene ricuperò 5000), Sarpènte velenàto (medagliadi bronzo), Bìszar (medaglia d’argento), Bajèle(medaglia d’argento) e tanti altri. Erano uominisemplici, di condizione modesta e quelli chesopravvissero alla guerra lavorarono per rico-struire i paesi distrutti e talvolta emigrarono.

Molti sono i Galliesi che si distinsero nelmondo, alcuni illustri, come mons. BeniaminoSchivo, Truf, proclamato “Giusto delle Genti”per aver salvato molte famiglie ebree durante lapersecuzione nazista, altri oscuri, come i fratelliGriti , recuperanti morti mentre disinnescavanouna bomba.

Chiude il volume un’appendice dedicata allaGrande Guerra sull’Altopiano nei terribili anni1915-1918 con l’immagine di Gallio ridotta apoche macerie in un paesaggio nudo e desolato,senza alcun segno di vita.

Passata la bufera, la popolazione fuggita tornòe il paese rinacque per opera della sua gentecoraggiosa e tenace, capace di conservare unforte senso della propria identità nel rispettodella tradizione.

Marilia Ciampi Righetti

DINO BUZZATI, Il segreto del Bosco Vecchio, let-tura di Claudio Carini, Zovencedo (VI), Il Narra-tore, 2003, 4 CD-ROM, durata 271’, e 30,00.

Cos’è un audiolibro? È un CD (o una vecchiamusicassetta) in cui un libro viene “narrato” daun attore professionista o, magari, dallo stessoautore. Si tratta di uno strumento complementareal libro che, senza nessuna volontà di soppiantarlo,cerca di ampliare l’esperienza puramente lettera-ria della lettura. Un audiolibro, poi, riesce aintervenire laddove un libro non può arrivare (inogni occasione in cui si ha bisogno delle manilibere), funziona come sussidio didattico-lingui-stico (educazione all’ascolto; migliore appren-dimento, attraverso una buona interpretazioneattoriale, di grammatica, sintassi e semantica deltesto letterario) e, infine, svolge una funzionefondamentale nel sostenere l’apprendimento cul-turale per le persone con problemi di vista.

Questa molteplice funzionalità viene assuntain pieno dalla casa vicentina Il Narratore chepresenta tutta una collana di audiolibri con i piùnotevoli prodotti della letteratura italiana, senzanegarsi alcune sortite nella contemporaneità(Tiziano Scarpa, Enio Sartori) e nel Novecento,come dimostrano questi 4 CD che presentano lalettura integrale del secondo romanzo di unodegli autori più conosciuti e importanti delloscorso secolo: Dino Buzzati. Alla trama di que-sto libro, di cui si conta anche una versionecinematografica firmata da Ermanno Olmi, ba-sterà appena accennare: è la storia di una proprie-tà boschiva, popolata da una popolazione magicadi geni custodi degli alberi, la cui proprietà èdivisa tra l’anziano colonnello Procolo e il suogiovane nipote Benvenuto. Il primo vuole sfrut-tare intensivamente il bosco, tagliandone tutti gliabeti. Inizia così a desiderare la proprietà dell’in-tera tenuta, cercando invano di eliminare Benve-nuto. Nel finale le parti si invertiranno: Procolo,a poco a poco, si affeziona al nipote e finirà permorire cercando di salvarlo, recuperando così lasua dignità di uomo (perfino la sua ombra loaveva abbandonato!). Il nipote, da parte sua, siritrova proprietario dell’intero bosco, ma l’etàverde della favola è finita. Diventato adulto,

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

Benvenuto non riuscirà più a vivere il boscocome ha fatto finora, la sua innocenza bambina èperduta. Si tratta di un romanzo di formazione incui la storia dei personaggi si intreccia profonda-mente con la vita della natura, componendo unaffresco nel quale trovano posto gli elementiprincipali della poetica di Buzzati, primo fra tuttil’amore per quelle montagne bellunesi cui l’au-tore sempre guardò come alla propria patriad’elezione. La lettura è affidata a Claudio Cariniche con la sua voce accompagna l’ascoltatore trai vari capitoli dell’opera.

Tobia Zanon

ENIO SARTORI, Parole suonate in controcanto,voce recitante Enio Sartori, musiche di Gabrie-le Grotto, Zovencedo (VI), Il Narratore, 2001,CD-ROM, durata 47’, e 13,00.

Enio Sartori è uno dei protagonisti di quellagenerazione di poeti veneti che ha popolato ilpanorama letterario italiano di questi anni.Scledense di nascita, insegnante di professione,Sartori, oltre che come poeta pluripremiato, sipropone come più generico operatore culturale,evitando di racchiudere la sua esperienza artisti-ca in codificazioni troppo anguste. Così per lasua poesia, che pianta solidamente le proprieradici nel territorio delle Prealpi vicentine. Èpoesia dialettale, quella di Sartori, che si vuole altempo stesso profonda cassa di risonanza dipresenze ancestrali (lingua materna e bambina) estrumento di apertura alla contemporaneità piùsofisticata e internazionale (lingua paterna e in-tellettuale). Una lingua meticcia, come la culturache da questa terra nasce e che – con Zanzotto eRigoni Stern come numi tutelari – guarda tantoalle influenze del mondo mitteleuropeo quanto aquelle del bacino mediterraneo. Questa volontàdi mescolarsi, che è volontà di mettersi in gioco,di ripensarsi ogni volta dalla base, si trasmetteanche a un altro aspetto fondamentale della po-esia: la musicalità.

Fin dal titolo della raccolta, Parole suonate incontrocanto, l’aspetto musicale viene posto allabase dell’esperienza poetica di Sartori. Questaattenzione al dato sonoro si trova ripetutamentenelle allitterazioni e nei giochi onomastici, comeè possibile leggere nel secondo quadro dellapoesia d’apertura, Anguana: “Omo dal cavalobianco / dighe a la Tita Tata / che la Tita Tela / xemalà de morte”. È una ricerca precisa, che nell’au-diolibro viene messa ulteriormente in pratica: lalettura, condotta dallo stesso Sartori, con discre-to piglio lirico, è accompagnata dalle musichecomposte da Gabriele Grotto (ed eseguite dallostesso Grotto alle percussioni, da RobertoCecchinato ai fiati e da Stefano Navone al bas-so). Questa musica non si limita ad accompagna-re la parola, tende a diventare tutt’uno con lei,come avviene in RAPetòn (rappers version), po-esia che si configura come vero e proprio rap.Chiude la suite delle quindici poesie un’ultimatraccia: La poesia di Enio Sartori, nella qualel’autore analizza e spiega la propria poetica.

Tobia Zanon

FRANCO BUSETTO, La politica e la memoria. Uo-mini, eventi, istituzioni, presentazione di MarioPassi, Padova, Il Poligrafo, 2004, 8°, pp. 270,e 18,00.

Con questo libro Franco Busetto prosegue ilproprio percorso nella memoria, intrecciando ilpassato di militante, dirigente politico e uomodelle istituzioni con il ricordo accorato di unaserie di figure che hanno segnato, con la loroattività, la vita politica padovana per più dimezzo secolo.

In questo caso, le vicende biografiche dell’au-tore rimangono sullo sfondo e cedono il passo auna galleria composta da politici e intellettuali,giornalisti e artisti. Marchesi, Meneghetti, Luc-cini, Zancanaro, Schiavon, Crescente: questi sonosoltanto alcuni dei nomi che appaiono nel volu-me. Ogni singolo ritratto, sia che fosse statoconcepito in origine come contributo per unaconferenza o come discorso commemorativo,riproposto oggi sembra consegnare tutti i perso-naggi a una dimensione compiutamente storica ostoriografica. La politica e la memoria restano levere coordinate di riferimento dell’autore: lapolitica raccontata in queste pagine non è maiuna realtà disincarnata, astratta, ideologica, ma èmateria intessuta di passioni, drammi, sacrifici.In sintesi: una “scelta di vita”, anche se vissuta sufronti contrapposti. Dalla Resistenza antifasci-sta, lo sguardo di Busetto si posa ben presto sullealterne vicende della sinistra nel dopoguerra, unasinistra divisa tra azionisti, socialisti e il Pci, il“partito nuovo” uscito dalla lotta di liberazione,nonché sull’egemonia democristiana e sugli av-venimenti che portarono al consolidamento dellagiovane democrazia italiana. Mario Passi, nellasua presentazione, contesta la radice minoritariae settaria del comunismo padovano, destinata acondannare all’isolamento il partito per lunghitratti del dopoguerra e a riemergere in vicendecome quella legata alla chiusura del circolo “IlPozzetto” di Ettore Luccini: il libro rimane tutta-via storia di uomini e non di partiti (o di partito),costantemente filtrata dalla memoria personale,dalla conoscenza diretta dei fatti e dei protagoni-sti del momento. L’abilità di Busetto consisteanche nella capacità di consegnarci una galleria

“viva”, senza mai cadere nell’aneddotica, o indul-gere nell’apologia, tenendo fermo il momentodel giudizio politico e morale sugli uomini e sulleloro azioni: un giudizio che non condanna oassolve a priori, ma vuole indagare le ragioni chestanno dietro ogni scelta operata.

Davvero utile questo lavoro di scavo nellamemoria che, aiutato in questo dal caratterevolutamente frammentario del libro, compone ilquadro di una preziosa archeologia repubblica-na. Accanto ai profili di protagonisti illustri dellascena politica e culturale, emergono figure appa-rentemente secondarie, ma non per questo menofunzionali alla lucida rievocazione di alcune pa-gine fondamentali della storia locale e nazionale:dirigenti sindacali, uomini di partito, partigiani.In poche righe, secche e incisive, le vite paralleledi Busetto scorrono verso il fiume della storia,entrano a far parte di un mosaico ideale più ampioe testimoniano di una cultura politica che, nono-stante le aspre contrapposizioni ideologiche, ave-va saputo trovare un humus comune nella difesaintransigente delle istituzioni repubblicane e deivalori espressi dalla Carta costituzionale.

Diego Crivellari

ALDO BATTAGLION, Ricordi de un trevisan, Pon-zano (TV), Grafiche Vianello, 2003, 8°, pp. 126,ill., s.i.p.

“Questi sono alcuni dei miei ricordi, scelti traquelli più nitidi e ancora attivi nella mia vita, purse ora di molto cambiata rispetto a quella rappre-sentata in queste tavole. Tali ricordi si riferisco-no alla mia infanzia e alla mia giovinezza, piùprecisamente ad un periodo che va dalla finedegli anni Venti ai primi anni Quaranta delsecolo ormai trascorso”.

Con queste parole il pittore Aldo Battaglionpresenta il volume, di cui è autore sia per la parteletteraria che per quella grafica, che è la rievoca-zione di un mondo personale e insieme colletti-vo. Suddiviso per sezioni, agli occhi del lettoreappare un mondo contadino che è praticamentescomparso con i suoi usi, costumi, valori: dallavita famigliare, con le nascite in casa, i ritiinerenti ai cibi stagionali (polenta, rane ecc.), ilfilò; ai bambini, con la scuola e il mondo dei loropoveri giochi (come il tròtoeo, le palline diterracotta, la mòmoea); dalla campagna, conl’aratura con i buoi, il taglio del frumento con lafalce, la trebbiatura, l’allevamento dei cavalieri(bachi da seta), le vecchie osterie, le processionireligiose ecc.; ai mestieri, la maggior parte deiquali rimane solo un ricordo dei più vecchi (nontanto mestieri come il pescivendolo o l’oste,quanto per esempio el strassariol, la scatucerafurlana, la venditrice di latte con il bigol); aidivertimenti (questi unici forse non dissimilidagli attuali – come il ballo – tranne che per ledimensioni e la semplicità).

Laura Bozzo

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

GIOVANNI RAPELLI, Nel cuore di Verona. Gli anniCinquanta dei veronesi, Sommacampagna (VR),Cierre, 20042, 8°, pp. 132, ill., e 11,50.

Questa non è una storia di Verona: è una storiadei veronesi. E in particolare dei veronesi chenegli anni Cinquanta del Novecento vivevanonei quartieri più popolari della città (San Zeno,Santo Stefano, la Fontana del Ferro e i Filippini).Una storia poco conosciuta, non solo per chiquegli anni non li ha vissuti, ma anche per moltiveronesi che negli stessi anni vivevano in quar-tieri più benestanti, come quell’amica dell’auto-re, ai tempi residente a Borgo Trento, che dice dinon aver riconosciuto la città descritta nelle suepagine. L’impressione è che invece chi ha vissu-to gli stessi anni nei quartieri popolari di unaqualsiasi città del Veneto (esclusa naturalmenteVenezia, città singolare) possa ritrovare in que-ste pagine ricordi affini ai propri, vicende similia quelle a cui ha assistito o che ha sentito narrare.

L’autore ha ben presente quali siano gli aspettiche maggiormente sono cambiati con il passaredel tempo ed è attento a mettere in rilievo ilcontrasto, ma con mano lieve, come se cancellas-se dalle immagini odierne la patina del tempo eci restituisse una vivida visione di quegli anni delsecondo dopoguerra. La descrizione è articolataper capitoletti che affrontano diversi argomenti,tutti inerenti alla vita pubblica e privata degliabitanti del cuore di Verona (le loro strade e case,il lavoro e lo svago, le relazioni sociali, la posi-zione delle donne, i rapporti con fede e politica,la cultura e l’alimentazione). Interessante, ancheper la formazione di linguista di Rapelli, il capi-tolo sul dialetto, con acute osservazioni sulla suapercezione (allora prevalente) rispetto all’italia-no e sulle sfumature linguistiche che variavanoda una zona all’altra della città stessa. La partefinale di questo breve capitolo contiene un’im-portante testimonianza diretta dell’uso vivo del“gergo”, linguaggio volutamente incomprensibileper chi non ne conosce le regole, nato nelleprigioni, ma diffusosi pure nei quartieri più po-veri. Anche nel resto del libro sono numerose leparole dialettali, date tra parentesi di seguito al

termine italiano o tradotte in nota. La narrazioneè rigorosa e completa, ma resa vivace da nume-rosi aneddoti, come nel capitolo dedicato allapovertà e ai mezzi a cui si ricorreva per essere unpo’ meno poveri, compresi i trucchi dei mecca-nici di biciclette, che pagavano i ragazzini perspargere in strada puntine da disegno, in modo daaumentare il numero dei clienti o lo spoglio dellecase colpite dalla guerra appena finita.

Il libro è completato da belle fotografie d’epo-ca, in gran parte provenienti dalla BibliotecaCivica di Verona.

Chiara Schiavon

TERZO CAMPANATI, Cronaca di una alluvione,Varese, Macchione, 2001, 8°, pp. 144, s.i.p.

L’ultimo dopoguerra portò alla povera gentedel Polesine gli stessi sacrifici e le speranze chesi andavano affrontando un po’ in tutta Italia. Main questa fascia di terra della provincia rodiginaposta sulla riva sinistra del tratto inferiore delcorso del Po soltanto qualche anno dopo la finedel conflitto si abbattè un’altra sciagura: unadisastrosa alluvione, causata dalle piogge caduteininterrottamente per giorni e giorni su tutto ilNord, dal Piemonte al Veneto, che fece straripareil Po rompendo gli argini a Occhiobello. Era ilnovembre del 1951.

Cronaca di una alluvione è il racconto auto-biografico di un cittadino di Polesella che vissesulla propria pelle, da vittima e da soccorritore,il dramma di quei lunghi giorni. Dramma chenon fu soltanto la devastazione del territorio e idanni materiali, pur ingenti, provocati dall’ac-qua, ma che coinvolse i valori e i principi piùprofondamente radicati di quella gente. Come siha modo di capire nel toccante episodio dell’ab-battimento del maiale o in quello dove l’autorericonosce come protagonisti di atti di sciacallag-gio compiuti contro di lui proprio alcuni suoiconoscenti. Ma c’è anche il caso di quella donna

che non voleva calarsi nella barca, portata finsotto casa sua, perché avrebbe dovuto essereafferrata, cioè toccata, dalle mani di un estraneo.

Terzo Campanati, che all’epoca aveva appenaavviato una bottega di falegnameria, consegnaquesti ricordi a una descrizione delicata e incisi-va, dettagliata e nitida, mai scontata. Campanatioggi vive a Varese ed è autore di altri due libri,Due anni all’inferno senza peccato e Gioie per-dute, che gli hanno meritato lusinghieri ricono-scimenti in ambito letterario.

Anna Renda

MATTEO MELCHIORRE, Requiem per un albero.Resoconto dal Nord Est, prefazione di FrancescoVallerani, Santa Maria Capua Vetere (CE), Edi-zioni Spartaco, 2004, 8°, pp.142, eeeee 10,00.

L’autore è uno studente di Storia all’Universi-tà di Venezia, alla sua prima prova di scritturapubblica. La collana “Il risveglio”, diretta daPiero Brunello con la collaborazione di FilippoBenfante, “pubblica testi di ispirazione libertariache appartengono a diversi generi letterari: dalpensiero politico all’autobiografia, alla storia,alla cronaca, al resoconto etnografico”. Il fatto dicui si parla è il crollo improvviso, il 4 maggio2002, dell’Alberón di Tomo, un vecchio olmoche stava nel cuore del paese, a pochi chilometrida Feltre: un evento che innesca una catenanarrativa che si dipana nel presente e nel passatoe che affronta nodi teorici importanti (la memo-ria, la modernità, l’ambiente, i confini) con leg-gerezza e senza enfasi.

Si tratta di un libro “strano”, non facilmenteinquadrabile: è insieme diario, resoconto etno-grafico, reportage, saggio, racconto. Cammi-nare, andare in motorino, sostare e sonnecchiare,guardare dal finestrino del treno, misurare distan-ze, costruire mappe, leggere libri, entrare nellecase, prendere appunti, tenere un diario, fareelenchi di parole e modi di dire una certa cosa,guardare fotografie, incontrare persone, rovista-re tra le bancarelle di vecchi libri, andare inarchivio e in biblioteca, osservare il paesaggio ele case e vederne la profondità nel passato, ascol-tare i racconti ai pranzi di Pasqua e Natale,chiedere ad esperti: l’autore fa tutte queste coseper acquisire informazioni, per entrare dentro lastoria dell’Alberón, di Tomo e dei suoi abitanti.Esibisce una cassetta degli attrezzi molto varie-gata e interdisciplinare. Le domande che fa aipaesani sull’età dell’albero sono un pretesto perincontrare persone e farle parlare, come per∏echov nel suo reportage dall’isola di Sahalin.La riflessione sul tempo mobile della memoria,sugli ottanta anni che anche a Tomo dividono lastoria dal mito (il floating gap scoperto dagliafricanisti) dimostra che gli strumenti con cui sistudiano le società antiche o esotiche possonoessere usati anche per capire quello che succedesotto casa. Nel momento della sua assenza l’al-bero si rivela essere un monumento, capace disegnare la percezione collettiva dello spazio edel tempo, e quindi la memoria collettiva. “Nonera però una memoria di concetti, di eventi

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

cruciali o di strutture. Tra i rami dell’Alberónc’erano ricordi di fatti, il più delle volte indivi-duali. Alle fronde erano impigliati trucioli divita. Fra il 1880 e il 2002 si è formata una chiomadi ricordi, per foglie frammenti di esistenze”.

Alessandro Casellato

LICEO SCIENTIFICO STATALE “GIUSEPPE VERONESE” -CHIOGGIA, 50 anni di “Veronese”, Sottomarina(VE), Libreria Editrice “Il Leggio”, 2004, 8°,pp. 194, ill., s.i.p.

Con questo titolo il Liceo scientifico “Giusep-pe Veronese” di Chioggia ricorda i suoi cin-quant’anni di vita attraverso testimonianze e ricor-di di docenti, presidi ed ex-studenti e con gli attidel convegno dedicato al grande matematicochioggiotto, che è stato attivo nel Consiglio comu-nale dal 1882 al 1885, come ricorda CinzioGibin, e che si interessò a lungo della salvezzadella laguna di Venezia e della ferrovia chedoveva collegare Chioggia con l’entroterra pole-sano, padovano e veneziano, come documentaAntonio Rusconi. Su Veronese matematico sisofferma lo storico della scienza Umberto Bottaz-zini, il quale sottolinea il decisivo incontro conKlein a Lipsia. Nel 1882 Veronese pubblicò nellarivista “Mathematische Annalen” una memoriache risultò fondamentale nella storia della geo-metria proiettiva, segnando “la vera e propriaaffermazione di Veronese nel panorama euro-peo”.

Giusepppe Veronese frequentò le scuole tec-niche a Chioggia e l’Istituto tecnico a Venezia,sostenendo gli studi come copista e dando lezio-ni private. Fu ammesso al Politecnico di Zurigoe nel 1876 al IV anno di matematica dell’Univer-sità di Roma, e prima della laurea fu nominatoassistente alla cattedra di Geometria proiettiva diS. Dino. Dopo il soggiorno a Lipsia, nel 1881successe a G. Bellavitis nella cattedra di Geome-tria proiettiva dell’Università di Padova, chetenne fino alla morte. Liberale, fu deputato dal1897 al 1900 e senatore dal 1904. Con l’insegna-mento a Padova inizia il suo interesse per lacritica dei fondamenti della geometria; nell’ope-ra Fondamenti della geometria, del 1891, sitrova la fondazione della geometria non archime-dea, secondo esempio, dopo la geometria noneuclidea, di una geometria diversa da quellaclassica ma ugualmente rigorosa.

Il pensiero epistemologico di Veronese è trat-teggiato da Paola Cantù, che sul matematicochioggiotto ha pubblicato recentemente un lavo-ro storico-critico. È un aspetto trascurato maimportante del pensiero di Veronese, di cui laCantù sottolinea “sia l’originalità di una propo-sta rispetto alle posizioni dei contemporanei, siala stretta interrelazione tra posizione filosofica ericerche matematiche, sia la fecondità dell’ap-proccio geometrico sintetico”.

In conclusione, il convegno ha dato un seriocontributo a riaffermare il valore dell’opera scien-tifica di Veronese, chiarire l’humus politico eculturale in cui si è formato ed è vissuto e riven-dicarne l’attualità come filosofo della scienza.

Mario Quaranta

MUSICA - TEATRO -CINEMA - FOTOGRAFIA

ROBERTO ALONGE, Goldoni. Dalla commediadell’arte al dramma borghese, Milano, Garzanti,2004, 8°, pp. 171, e 13,50.

Il volume presenta un’organica raccolta distudi sul teatro di Goldoni che si propone, dandoa tale proposito il sapore di una scommessa, dioffrire “un profilo di Goldoni che non sia divul-gativo”, cioè inevitabilmente riduttivo, e di arri-vare a cogliere, attraverso l’analisi di pochi testiesemplari, l’essenziale del percorso creativo diquello che è “probabilmente il massimo dram-maturgo italiano”, seguendo il viaggio “che por-ta Goldoni dalla commedia dell’arte sino allesoglie del dramma borghese”. L’autore, semprenelle pagine introduttive, osserva che, se perdiversi decenni la produzione storiografica ecritica teatrale ha nutrito generazioni di registi, incampo goldoniano, invece, il credito è “quasicompletamente a favore degli artisti”, grazie allecui intuizioni gli studi del settore hanno spessotratto nuova linfa.

Le nove opere scelte da Alonge sono una-nimemente riconosciute fra i capolavori di unaproduzione che, come tutti sanno, è vastissima,eppure da questo campione in apparenza esiguopuò emergere “tutto” Goldoni. Si comincia conArlecchino servitore di due padroni, scritto quan-do Goldoni era ancora “al servizio della comme-dia dell’arte”, ma già capace non solo di inserirenel testo spunti di carattere sociologico antici-patori dei suoi interessi più maturi, ma pressochédi riplasmare la maschera di Arlecchino-Truffal-dino, offrendole nuove possibilità di gioco sceni-co e di caratterizzazione: sia lo sviluppo dellamaschera protagonista, infatti, affidata in quel-

l’occasione al mirabile mestiere di Antonio Sac-chi, il più grande Truffaldino del tempo, sia lamaggior completezza della trama ideata da Gol-doni, rinvigorivano di lazzi, trovate e peripeziedi “diabolica” inventiva un convenzionale sce-nario francese di qualche decennio prima.

Il saggio prosegue con una sorta di rovescia-mento della tradizione interpretativa de La botte-ga del caffè: sintomatica della fase di passaggiodalla stagione del “servizio” alla tradizione dellemaschere a quella in cui più vivo si manifesta inGoldoni l’interesse per la realtà contemporanea,questa commedia ha quasi sempre ricevuto un’in-terpretazione che vede nel personaggio di DonMarzio il voyeur pettegolo, il maligno commen-tatore e danneggiatore dei destini altrui, contrap-posto all’alfiere del bene rappresentato dal caf-fettiere Ridolfo; l’autore arriva a dimostrare comesia piuttosto vero che “è Ridolfo, e non Don Mar-zio, il vero maldicente della Bottega del caffè”,giusta il titolo del capitolo ad essa dedicato.

“Il sistema di Mirandolina”, il lungo e densocapitolo dedicato alla lettura de La locandiera, èguidato anch’esso da uno spirito di revisionedell’interpretazione canonica della commedia,che ha ricevuto in passato l’impronta di impor-tanti registi (primo fra tutti Luchino Visconti),ma che riserva ancora allo studioso ampie zonedi oscurità, specie per quel che concerne le veremotivazioni dei personaggi, che Alonge provaad illuminare attenendosi metodologicamenteall’analisi della superficie del testo. Così, indiziosu indizio, l’indagine dello studioso rischiara il“sistema” di Mirandolina, vista quale personag-gio sospinto principalmente dall’ambizione diriscatto economico-sociale, al punto da subordi-nare ad esso altre ragioni, di ordine erotico o diripicca personale, sulle quali si è sovente sof-fermata la critica.

Anche affrontando l’analisi de I rusteghi Alon-ge vuole sbarazzarsi dalla vetusta interpretazio-ne che vede in quest’altro capolavoro goldoniano“una vicenda caricaturale”, parodia del cetomercantile, laddove sarebbe piuttosto un sottileintreccio di “etica mercantile ed eros” a megliospiegare la condotta, notoriamente insocievole,dei personaggi del titolo. L’acuminata analisidell’autore, calandosi nel sottotesto della com-media con l’ausilio della magistrale letturaregistica datane anni fa da Massimo Castri, rie-sce a sottrarre ai Rusteghi ogni residuo di som-maria caricatura, mostrandone il complesso so-strato psicologico e sociale.

Lo stesso avviene per gli studi successivi, chepartendo dall’attenzione al testo ne ricavano glielementi profondi e le strategie compositive.Sempre meglio risulta, dalle convincenti analisidella Casa nova, della meno nota La donna dimaneggio e della superba Trilogia della villeg-giatura come il percorso di Goldoni attraverso larealtà contemporanea conduca al superamentodella stessa forma-commedia di ascendenzarinascimentale, per giungere alle soglie del dram-ma borghese con le sue più tipiche ossessioni,che appunto nella Trilogia sembrano compen-diarsi in una tossica mistura di “soldi e sentimen-ti”. Un libro, questo di Alonge, che risulterà pre-zioso al conoscitore di Goldoni quanto al neofita,grazie al suo taglio al tempo stesso accattivantee rigoroso.

Giuseppe De Meo

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

LUIGI LUNARI, Il Teatro Veneto, Vicenza, Ergonedizioni - F.I.T.A. Veneto, 2003, 8°, pp. 253, s.i.p.

Dalla penna schietta di Luigi Lunari, nascequesto saggio sul teatro veneto, condotto sul filodi un continuo dialogo con il lettore e infarcito disalaci considerazioni.

Il volume, suddiviso in due parti, ripercorreprima, a grandi linee, il teatro in lingua latina editaliana (con i grandi autori latini – Seneca, Plau-to – ancora capaci di fare scuola nella scelta de-gli argomenti, nonché nella struttura stessa dellerappresentazioni), per poi giungere all’analisivera e propria del teatro in lingua veneta, pren-dendo in esame opere ed autori anche non neces-sariamente legati ai confini delle Tre Venezie.

Scorrono così i secoli delle rappresentazionilegate alle feste, sia religiose che laiche; i ma-riazzi, con saltimbanchi e ballerini che offrivanospettacoli basati sulla musica; i “bifolchi” delRuzante; le maschere della Commedia dell’artee quelle del teatro aristocratico. Il fulcro delloscritto è però l’esperienza goldoniana, totalmen-te sviscerata dall’autore. Di Goldoni vengonopresi in esame gli anni veneziani, illuminati dallariforma del teatro, non più improvvisato e capa-ce di rappresentare la nuova classe sociale; lavivace polemica con Carlo Gozzi sulla teoriadella rappresentazione – ma anche sulla fruizionedello spettacolo da parte del popolo –; infine laricerca dei motivi più profondi che portarono ilcommediografo all’autoesilio (anche intellettua-le) parigino della Comédie Italienne.

Dopo Goldoni, il teatro veneziano conosceràla sua fase di decadenza, parallela a quella poli-tica intrapresa dalla Serenissima. Lunga sarà lastagione dei “post-goldoniani” (se ne conterannofino all’esplodere della Prima Guerra mondiale)e degli stanchi epigoni. Pochi gli autori da ricor-dare: Domenico Pittarino con La politica deivillani; Luigi Susegana e le sette commedie dellaSaga dei Balbo; Giacinto Gallina. Unica, nellasua dimostrazione di genio, la figura di Lorenzo

da Ponte; uomo dalla vita lunga ed avventurosa,capace, con i suoi libretti (Le nozze di Figaro;Don Giovanni; Così fan tutte), di “dare forma”alla musica di Mozart.

Prima la sottomissione all’Austria e poi l’Uni-tà d’Italia, con la definizione di una lingua nazio-nale, troveranno Venezia e il suo teatro incapacidi riproporsi. Lunari attribuisce questa difficoltàall’inadeguatezza culturale di una classe dicommediografi incapace di credere alla vitalitàdell’idioma veneziano; quando una rinascita delteatro dialettale, come a Napoli, con le comme-die di Edoardo, era ed è possibile.

Gianluca Barp

Venezia è un’isola. Un secolo di interpretazionidel cinema documentario, a cura di LeonardoCiacci, Venezia, Marsilio per Insula, 2005, 4°,pp. 95, e 20,00.

Il contenuto del volume, di inusuale formatoquadrotto grande, progettato e voluto da Insula,sta già nel titolo didascalico. È dedicato al film-documentario, visto come osservatorio di realtàsuccedutesi nel tempo, lungo l’intero Novecen-to, sui diversi volti della città d’acqua portatisullo schermo. Nove opere esemplari che confer-mano essere Venezia uno scenario complesso,aperto a molte sfaccettature. Un itinerario scan-dito in nove capitoli, tanti quanti sono i film presicome esempi sui quali discutere, secondo i qualiVenezia è: “una capitale”, “abitata”, “un detta-glio”, “moderna”, “internazionale”, “una scel-ta”, “da salvare”, “turistica”, “un progetto” peril futuro.

Il suo essere romantica sta nel film di LucianoEmmer Venise et ses amants (1948), scandito dalpoetico commento di Jean Cocteau, con enigma-tico esito funereo. Francesco Pasinetti ne colsenel 1942 gli intimi respiri di quieta isola nono-

stante giorni segnati dalla guerra: titolo classicoentrato in tutte le storie del cinema, Veneziaminore. Sguardo ottimistico (smentito nel tempodalla realtà) è quello insieme di Ermanno Olmi inVenezia città moderna, siglato Montedison(1986), e di Glauco Pellegrini, targato Rai, conL’Ospedale Nuovo di Le Corbusier a Venezia(1965). Due altri film – Robinson in laguna(1986) di Mario Brenta e Venezia, una città cheaffonda (2000) di Marco Visalberghi e Giannan-tonio Pannone – ne colgono il degrado, l’abban-dono, assillata da problemi annosi e sempreurgenti. Città-ponte Tra Oriente e Occidente,come la descrisse nel 1975 Nelo Risi. Infinerealtà urbana anche contradditoria, con il Lidoisola tra mare e laguna nella pellicola dell’Istitu-to Luce (1932-37) Lido di Venezia, e con Mestresuo entrotrerra.

I commenti e le analisi affidati a critici, saggisti,studiosi di diversa formazione, anche a taluniautori, sono per ogni titolo a “voce doppia”. Sonocioè due per volta gli autori dei testi per parlarel’uno della realtà anche storica della città co-m’era nel momento in cui il film veniva realizza-to, l’altro inoltrandosi invece sui contenuti emoduli estetici . Il risultato è un caleidoscopio di“visioni” che si compongono come tessere di ununico articolato puzzle. Segnato per ogni titoloda una breve sequenza di fotogrammi. Con cu-riosità, anche, riferite a scelte casuali che in corsod’opera si sono rivelate, come “confessa” consottile arguzia Mario Brenta, importanti nellacostruzione ultima del film.

Brenta è affiancato per il suo Robinson inlaguna da Antonio Foscari. Le altre accoppiaterispondono ai nomi, in ordine d’indice, di GuidoZucconi e Giampiero Brunetta (Lido di Venezia1932-37), Amerigo Restucci e Carlo Montanaro(Venezia minore), Cesare De Michelis e LucianoEmmer (Venise et ses amants), Mario Isnenghied Ermanno Olmi (Venezia città moderna), Pa-olo Costa e Claudio Bisoni (Quale Venezia?),Giandomenico Romanelli e Luca Giuliani (Ve-nezia tra Oriente e Occidente), Marco Visalberghie Gianfranco Pannone, coppia di autori di Vene-zia. Una città che affonda.

Introducono allo spirito dell’opera altri inter-venti dopo la presentazione di Bruno Dolcettapresidente di Insula. Di Leonardo Ciacci Il docu-mentario che interpreta una città; di MarisaPellanda Venezia: singolarità di un soggettomutevole; di Roberto Ellero Un archivio di im-magini veneziane.

Piero Zanotto

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

STORIA

ANTONIO CAUZ, Aspetti della giustizia e dellacriminalità nel Seicento. Fatti e personaggi vistiattraverso gli atti del tribunale feudale di Cor-dignano, Orsago (TV), Circolo culturale “DonGiuseppe Zago”, 2002, 8°, ill., pp. 80, s.i.p.

Il Seicento è stato definito il “secolo di ferro”:un’età attraversata da conflitti devastanti, inquie-tata da una persistente crisi economica che siripercuoteva negativamente sull’ordine sociale,incrinandolo e sottoponendolo a frequenti e tur-bolente fibrillazioni. In questo scenario fosco sideterminava spesso un vuoto di potere fra levecchie istituzioni decadenti, che con difficoltàesercitavano un controllo sul burrascoso presen-te, e le nuove forme di gestione e organizzazionedell’autorità, che stentamene si affermavano. Inquesta vacanza, sia di forme legislative adeguateche di apparati di controllo efficienti, si assistevaa un regresso a forme di giustizia privata e aldiffondersi di una criminalità diffusa, connessaalla lotta per la sopravvivenza in un mondodominato dalla penuria. Questo scenario fa dasfondo alle narrazioni che Antonio Cauz traedalle sue ricerche di archivio, svolte sugli atti deltribunale feudale di Cordignano relativi al XVII

secolo. L’analisi dello studioso prende in esame,inizialmente, lo stato delle istituzioni nell’area inquestione, mettendo in luce la totale inadeguatezzadell’apparato giudiziario e delle forze di poliziapreposte al mantenimento dell’ordine pubblico:carenza di personale, lentezze burocratiche,farraginosità delle procedure, conflitti di compe-tenza fra tribunali diversi, ampie e indiscussefasce di privilegio che sfuggivano ai rigori dellalegge rendevano aleatorio l’esercizio della giu-stizia nella giurisdizione. A questo precario statodi cose si aggiungeva poi la totale inadeguatezzadelle forze dell’ordine preposte al controllo: po-chi “birri” la cui estrazione e considerazionesociale quasi nulla aveva da invidiare a quella deibriganti che dovevano perseguire. Interessantepoi è l’esame dei comportamenti collettivi dellepopolazioni locali, atteggiamenti ispirati da unadiffidenza costante nei confronti delle istituzionie segnati da un’abitudine persistente alla violen-za che il processo di civilizzazione doveva anco-ra scalfire. La conseguenza diretta di questo statodi cose, aggravato dalla crisi economica prodottadalla dispendiosissima guerra di Candia fra laprima e la seconda metà del secolo, era un’illega-lità diffusa e socialmente accettata, che attraver-sava tutti i ceti. L’universalità esibita di questasituazione si basava su uno sfondo di omertàtacita, garantito dalla solidarietà di gruppo. I reatiin parte si differenziavano a seconda dell’appar-tenenza di classe: contrabbando, evasione al da-zio, pesca e caccia di frodo erano così generaliz-zati nei ceti subalterni da non essere neppurepercepiti come reati, così come la “braveria”, dimanzoniana memoria; i soprusi e le intimidazio-ne nei confronti dei più deboli erano segno distin-tivo invece dello status sociale della nobiltà.

Trasversale era invece l’esplosione di violenzaincontrollata che accomunava in risse, duelli,vendette incrociate i diversi ceti sociali.

Ferdinando Perissinotto

NELLI-ELENA VANZAN MARCHINI, San Servolo eVenezia. Un’isola e la sua storia, con un itine-rario artistico di Maria Agnese Chiari MorettoWiel, Venezia, Provincia di Venezia - Caselledi Sommacampagna (VR), Cierre, 2004, 4°,pp. 190, ill., e 26,50.

Nelli-Elena Vanzan Marchini, studiosa di sto-ria della sanità, argomento al quale ha dedicatonumerosi saggi oltre a una preziosa edizionecritica delle leggi della Serenissima in materia disalute pubblica, dedica questa sua ultima faticaall’isola veneziana di San Servolo.

Il percorso storico che la studiosa compieappare particolarmente lungo, dato che prendeavvio dalle prime attestazioni documentarie re-lative all’isola e in particolare al monastero bene-dettino che vi aveva sede, per giungere ai giorninostri, ai lavori di recupero condotti per renderedi nuovo fruibile l’isola di San Servolo. Si consi-deri che la prima menzione in documenti ufficialirisale all’819, anno in cui il doge Angelo Par-tecipazio, rispondendo alle suppliche dei monacibenedettini, concesse loro di trasferirsi sulla ter-raferma, fondando il monastero di Sant’Ilario,non lontano da Fusina.

Questa non è solo una storia dell’isola di SanServolo, e non è nemmeno una storia degli entiospedalieri che si susseguirono nel corso deisecoli sull’isola. Si tratta, in realtà, di una storiadi Venezia, che appare però condotta da unangolo visuale diverso da quello usuale. Nonquindi la storia civile, politica di Venezia, o lastoria dell’arte veneziana. Qui in primo piano è lastoria della sanità veneziana e degli enti che la

incarnarono. E non è, si badi, una “storia mino-re”. Non lo è perché la storia della sanità, cosìcome la storia dell’arte o delle istituzioni, non èche un riflesso diretto delle vicende di un popolo,di una società.

Nella fattispecie, la storia della sanità venezia-na appare come una storia della società venezia-na, delle sue concezioni mentali riguardo allamalattia, al disagio mentale e alla rieducazionedei delinquenti. Ecco quindi che si spiega, per ilricovero dei piagati, dei lebbrosi, dei pazzi, lascelta di un’isola vicina al centro pulsante diVenezia, ma abbastanza discosta da non distur-bare la sensibilità, evidentemente delicata, dellacittadinanza “normale”. Ecco che nel ’500 si fastrada nella società veneziana il desiderio didistinguere tra i poveri meritevoli di assistenza equelli che invece non la meritano. Attraverso lastoria dell’ospedale, che dal ’500 diviene ancheospedale per i marinai della flotta, e poi, nel ’700,ospedale militare, si seguono, di riflesso, tutte leprincipali campagne militari condotte dalla Se-renissima e quindi le principali tappe dell’espan-sione e poi del declino di quella “strana” potenzacoloniale che è stata Venezia.

Il volume si conclude con due interessanti“itinerari”. Il primo, curato da Maria AgneseChiari Moretto Wiel, porta alla scoperta dellemeraviglie artistiche che San Servolo riserva aivisitatori che decidano di abbandonare gli itine-rari consueti del turismo di massa. Il secondoconduce, come dice il titolo stesso, “tra natura ecultura” alla scoperta, tra le molte altre cose,degli splendidi gatti, eredi dei soriani importatisecoli fa per combattere le “pantegane”.

Remy Simonetti

FRANCESCO MARIO AGNOLI, I processi delle Pasqueveronesi. Gli insorti veronesi davanti al tribuna-le militare rivoluzionario francese (maggio 1797-gennaio 1798), Rimini, Il Cerchio Iniziative edi-toriali, 2002, 8°, pp. 248, e 16,50.

Già autore nel 1998 di una ricostruzione stori-ca delle Pasque veronesi, Agnoli prosegue la suaricerca con questo volume, dedicato più specifi-camente al processo a cui gli insorti furonosottoposti da un tribunale militare francese. Gliatti di tale giudizio, rimasti finora sconosciutiagli storici, sono stati recentemente rinvenuti daalcuni giovani ricercatori italiani nell’archiviodello Château de Vincennes di Parigi e sonoallegati in appendice al volume. Non è casualeche l’attenzione si concentri su questo specificoepisodio della storia veronese, la sanguinosainsurrezione del lunedì di Pasqua del 1797, in cuicontadini e artigiani si opposero alle truppenapoleoniche occupanti ed ai giacobini locali.Infatti già la prefazione di Francesco Vecchiato,ordinario di Storia contemporanea presso l’Uni-versità di Verona, precisa la finalità di questericerche: rivalutare, secondo l’ottica che oggi siusa definire “revisionista”, l’insurrezione dellePasque veronesi, considerata insieme come dife-sa della propria patria contro l’invasore e comereazione della società tradizionale contro le tra-

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

sformazioni di matrice illuministico-giacobina.Agnoli, ex-giudice membro del Consiglio Supe-riore della Magistratura, sposta il discorso piùspecificamente sul versante giuridico: a partiredalla Rivoluzione francese la legislazione fuseparata dallo jus naturale e ciò rese possibile lastrumentalizzazione della giustizia, permetten-do, come in questo caso, “processi con i quali ivincitori tentarono di trasformare la resistenzapopolare a difesa della propria patria e dellapropria civiltà in un episodio criminale”. Inoltrei Francesi, per dimostrare che Venezia avevarotto la sua pretesa neutralità, cercarono di dimo-strare che i crimini degli insorti erano stati com-piuti su precisa istigazione del governo dellaSerenissima, e Agnoli nota che “l’utilizzazione afini politico-rivoluzionari del processo penale(ne abbiamo sentito qualche eco anche in anni anoi prossimi) è connaturata all’ideologia illumi-nista-giacobina, che identifica le proprie teorie ei propri filosofici assiomi con le assolute veritàdella Ragione e della Virtù”.

Dopo un’introduzione storica che ricostruiscegli avvenimenti della Pasqua del 1797, il volumecontiene un dettagliato commento dei documentiprocessuali, che sono poi integralmente riportati.Oltre alla traduzione delle poche parti in france-se, gli atti sono corredati di un fitto apparato dinote esplicative e di commento, ad opera diNicola Cavedini.

Luca Zuliani

ROBERTO STOPPATO BADOER, Autonomia e Privi-legi della Spettabile Reggenza dei Sette Comuninella Veneta Serenissima Repubblica, Padova,Cleup, 2004, 8°, pp. 208, s.i.p.

Era il 1404 quando i rappresentanti dei SetteComuni delle prealpi vicentine stipulavano conVenezia il cosiddetto Patto Devozionale e giura-vano fedeltà alla Serenissima. Politicamente lafederazione dei Comuni, che prenderà poi ilnome di Magnifica Reggenza dei Sette Comuni,entrava a far parte della Repubblica, conservan-do però le antiche franchigie e la costituzioneinterna. Iniziava così un lungo periodo di armo-niosa convivenza, durato ben quattro secoli, a cuimise fine solo la caduta della Dominante neltremendo 1797. Ed è proprio questo ciò che piùha interessato e che si è proposto di dimostrarel’autore, studiando i pluricentenari rapporti in-tercorsi tra le due entità: come, cioè, sia statopossibile che realtà così diverse riuscissero aconvivere nel reciproco rispetto di tradizioni estrutture giuridico-economiche. Il frutto è statouna ricerca rigorosa, ma esposta in modo sempli-ce e divulgativo, che getta nuova luce sullerelazioni dei comuni vicentini con la Serenissi-ma, andando oltre i vecchi luoghi comuni o ledisquisizioni sulla questione “etnica”.

Il volume si apre ripercorrendo la situazionestorico-politica della terraferma tra la fine delTrecento e l’inizio del Quattrocento, per poiaddentrarsi nel sistema di governo della Reggen-za, messo a confronto con l’ordinamento politicodella Repubblica di cui è parte. Prosegue quindi

con l’analisi del sistema fiscale vigente, delregime della proprietà fondiaria, dell’ordina-mento giudiziario, sia civile che penale. L’atten-zione è di volta in volta tesa ad evidenziare leparticolarità del Privilegio di cui godettero iSette Comuni, rispetto a quello concesso ad altrecittà del dominio veneto, particolarità che loresero unico nel suo genere. Tra i più importantiprivilegi concessi dal doge Steno, nel 1404, siricordino, ad esempio, oltre a quelli di contenutoeconomico, il diritto di non essere tenuti a presta-re servizio, ad eccezione di una generica difesadei confini, quello di portare armi o, ancora,quello di essere tutelati durante i periodi di sver-no con gli animali in pianura.

Chiudono il volume un capitolo dedicato al-l’assetto costituzionale della Serenissima e alfunzionamento delle magistrature veneziane– capitolo in cui vengono passati in rassegna tuttigli organi principali di governo, dal Consigliodei Dieci agli Inquisitori di Stato, dal MaggiorConsiglio al Senato al doge – e la copia di tredocumenti fondamentali per la storia della Reg-genza. Si tratta della “Lettera patente” di Masti-no della Scala del 13 gennaio 1339; della Ducaledel 20 febbraio 1404, con cui il doge MicheleSteno annunciava ai magistrati veneziani e aisudditi di terraferma la stipula del PattoDevozionale; e degli “Ordini” di Alvise Bra-gadini, capitano di Vicenza, del 15 maggio 1642.

Laura Bozzo

Donne a Venezia. Vicende femminili fra Trecen-to e Settecento, a cura di Susanne Winter, Roma,Edizioni di Storia e Letteratura - Venezia, CentroTedesco di Studi Veneziani, 2004, 8°, pp. 224,ill., e 21,00.

Furono scrittrici, pittrici, cantanti o semplicifilatrici, ma soprattutto furono donne, donne cheebbero in comune una città: Venezia. Sono lorole protagoniste di questo volume, il primo dellanuova serie di pubblicazioni del Centro Tedescodi Studi Veneziani, che raccoglie i contributi direlatori sia italiani che stranieri a un ciclo diconferenze sul panorama femminile della Sere-nissima.

Volgendo lo sguardo lungo un arco di tempo diben cinque secoli – dal Trecento al Settecento –l’interrogativo cui gli studi qui proposti tentanodi rispondere concerne il ruolo svolto dalle don-ne nella vita sociale e culturale di una città peranni governata e dominata esclusivamente dagliuomini.

È così che vengono messe in luce di volta involta singole figure femminili – come la poetessapadovana Gaspara Stampa o l’illustre miniaturistaascolana Giovanna Garzoni –, piccoli gruppi – sipensi alle “putte” dei cori degli ospedali venezia-ni –, o interi strati sociali – un esempio ne è laclasse patrizia di cui viene esaminata la situazio-ne alla fine dell’Antico Regime. Ed è così che siindagano la loro libertà di movimento e azione,quali attività svolgevano e che visibilità ne deri-vava, quale influenza avevano nel campo dellapittura, della filosofia, della musica, quali vicen-de le videro coinvolte nella vita pubblica dellacittà, chiuse in conventi o a casa, a procreare figliabili al Maggior Consiglio. Nomi sconosciuti,restituiti alla memoria solo da qualche documen-to d’archivio, si alternano a nomi noti e celebrati,donne adorate come sante a donne discusse edimenticate, episodi di autentica venerazione aleggi proibitive e restrittive. Da un lato si ebbero,

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

quindi, disposizioni come quelle che vietavanole “cene e convivi” di donne o che richiedevanodi far corroborare le loro testimonianze da alme-no un uomo, dall’altro casi come quello di ElenaLucrezia Cornaro Piscopia – considerata un pro-digio della natura, associata a molte accademie,onorata con il più grandioso monumento funebreche una veneziana abbia mai avuto, ritenuta laprima donna al mondo a laurearsi –, o di AnnaNotaras Paleologina – inflessibile ambasciatricedella grecità sconfitta e instancabile promotricedell’attività editoriale, godette di un ascendenteinaudito sul governo lagunare. Ma non furonoquesti ultimi a costituire la normalità o, meglio,lo furono solo nella misura in cui contenevano insé la giustificazione dell’eccezione. Per ripren-dere la vicenda di Elena, soltanto la singolaritàdelle sue doti e la morigeratezza dei suoi costumile permisero di ottenere la laurea e nemmeno unanno dopo lo straordinario conseguimento loStudio di Padova si pronuncò affinchè nessu-n’altra fanciulla potesse più accedere ai diplomiin terra veneta.

Eppure, furono proprio queste donne, osannate,mitizzate, limitate, assoggettate, che, in silenzioo in prima linea, riuscirono a lasciare un segnoimportante in quella società in cui tutto dovevaessere sottoposto alla supervisione degli uomini.

Laura Bozzo

Salotti e ruolo femminile in Italia tra fine Seicen-to e primo Novecento, a cura di Maria Luisa Betried Elena Brambilla, Venezia, Marsilio, 2004, 8°,pp. 607, e 35,00.

Nella seconda metà del Settecento, caffè, “ca-sini” e salotti caratterizzano Venezia come unacittà in cui la conversazione regnava sovrana. Ilgrande salotto cittadino aveva delle direttriciproprie: l’asse principale partiva da piazza SanMarco e dai numerosi caffè delle Procuratorieverso la zona di San Moisé e le Frezzerie. In uncatastico del 1744 erano censiti 118 “casini”,ossia luoghi di ritrovo di compagnie che avevanofunzioni molto diverse, dalla conversazione algioco, dal banchetto alla prostituzione, per cop-pie o per sole donne o per soli uomini. Ma lamaggior parte erano affittati e gestiti da donne. Illoro numero continuò ad aumentare. Quanto aicaffè, nel 1759 si decise di limitare il loro numeroa 206. I caffè erano affacciati sulla strada emettevano a disposizione una pluralità di came-rini riservati.

Anche i grandi palazzi patrizi erano gestitidalle dame dei senatori, specialmente dalle mo-gli dei Procuratori di San Marco. Alla fine deglianni settanta alcuni salotti, come quello di Isa-bella Teotochi Albrizzi e di Giustina RenierMichiel, assumono dei caratteri che li rendonomolto simili ai salotti letterari dell’Ottocento.Alla estrema vivacità della socialità cittadinanobiliare e borghese si contrappone il cupo im-mobilismo dello Stato. La libertà delle donneviene interpretata dai conservatori come unacausa della crisi statale sempre più evidente. I“casini” veneziani nascono come alternativa ai

palazzi il cui riscaldamento nel periodo inverna-le era particolarmente difficile. Erano anchel’espressione di una diminuita centralità dellafamiglia. Spesso le mogli li affittavano senza imariti, in autonomia. In generale, i vari tipi di“casini” avevano una caratteristica in comune, ladistanza dall’abitazione familiare. Il Consigliodei Dieci, in seguito ad una inchiesta svolta nel1774, fece chiudere i “casini” delle nobildonne.Fra tutti si distinsero quelli aperti a Padova e aVenezia da Caterina Dolfin, legata per oltre diecianni, prima del matrimonio, ad Andrea Tron, unodei grandi protagonisti della vita politica vene-ziana. Caterina aprì un salotto a Padova, aperto aidocenti dell’Università – e dove se ne elaboraro-no i progetti di riforma. Essa affiancò, in modomolto efficace, le battaglie giurisdizionaliste delsuo autorevole compagno, pur mantenendo unmargine notevole di autonomia intellettuale. Nel1773 Tron fu eletto procuratore di San Marco eCaterina aprì un “casino” a Venezia, a San Zulin.Caterina subì un durissimo attacco da parte delsegretario Pier Antonio Gratarol, nel 1779, enello stesso anno fu eletto doge Polo Renier,contrariamente alle aspettative di Andrea Tron.

Elio Franzin

Quattrocento, periodo in cui la Repubblica diVenezia concede facilitazioni fiscali favorendoil trasferimento d’imprenditori e tecnici tedeschi.L’autore precisa che tale attività non ha maiavuto, nel Veneto, un ruolo di primo piano, se siesclude la valle Imperina. È comunque nelCinquecento che si registra la “massima dis-seminazione di miniere piccole e piccolissime,di forni metallurgici per il trattamento di minerali”.

La prima ricerca riguarda l’estrazione del-l’argento fra XII e XVIII secolo. L’autore ricordache fra il 1460 e il 1530 si ha in Europa un boomminerario e metallurgico, essendo rame e argentometalli “strategici”, ossia essenziali per lamonetazione e la produzione di guerra. Ora, laRepubblica di Venezia è protagonista del mercatoeuropeo dei metalli anche se ha poche risorseminerarie proprie. Il territorio vicentino è il piùricco in minerali argentiferi, specie nel distrettodi Schio, ove c’è “un’attività mineraria moltoimportante che avrebbe dato luogo a una ingenteproduzione d’argento”. L’apice di tale attività ènel primo decennio del Cinquecento, anche seuna valutazione approssimativa induce a ritenereche la produzione sia stata nel complesso modesta.

L’autore integra dati e fatti di difficile repe-rimento, con informazioni sulle tracce lasciateda queste attività, ancor oggi reperibili nellatoponomastica e nella tradizione orale, e rivalutadocumenti finora considerati delle “curiosità”,mentre in questa nuova prospettiva storiograficaassumono un significato del tutto eccezionale. Èil caso dello scritto del 1560 di tal Iseppe Gorlin,notaio di Trento, che ha lasciato le memorie delbisnonno: “uno straordinario concentrato dileggende” che hanno accompagnato l’attivitàmineraria e creato, ad esempio, la tenace leggendadi un “Eldorado” vicentino.

Mario Quaranta

FURIO BIANCO, Contadini e popolo tra conserva-zione e rivolta ai confini orientali della repubbli-ca di Venezia tra ’400 e ’800. Saggi di storia so-ciale, Udine, Forum, 2002, 8°, pp. 152, e 13,50.

In questa raccolta di sette saggi sulla situazio-ne sociale nei domini orientali della Serenissima,dal Friuli all’Istria, Bianco analizza “i caratteripeculiari e originari della società rurale, le con-tinuità, le permanenze e le resistenze (culturalied economiche) ai processi di modernizzazionein atto”. Per queste regioni, e specialmente per ilFriuli, la ricerca si può avvalere di un fittissimopatrimonio documentario, ed è così possibilericostruirne l’estrema frammentazione sociale epolitica, che può valere come caso emblematicoper la frazionata realtà italiana in generale. Infattil’amministrazione veneziana non aveva potuto ovoluto rimuovere le innumerevoli e antichissimestrutture politiche e sociali in cui era suddiviso ilterritorio, e ciò dava adito ad eterne dispute,spesso anche cruente, e a un endemico ribellismoche perdurò fino alla fine del XIX secolo.

La consueta resistenza dei contadini alsovvertimento delle norme tradizionali è il puntodi partenza di Mihi vindictam, il primo e il più

RAFFAELLO VERGANI, Miniere e società nella mon-tagna del passato. Alpi venete, secoli XIII-XIX,Caselle di Sommacampagna (VR), Cierre, 2003,8°, pp. 286, e 14,50.

Raffaello Vergani, studioso di storia economicadell’età moderna, ha qui raccolto undici saggisulla storia mineraria e metallurgica del Veneto,incentrati in larga misura sulle aree in cuil’industria delle miniere e dei metalli ha avuto unrilievo particolare, ancorché storicamente deli-mitato: l’alto Vicentino (specie la zona di Schio),la valle di Zoldo e il medio-Agordino (a questiluoghi è dedicato il maggior numero di saggi).Con questi lavori lo storico padovano ha ridi-segnato la mappa di un’attività che è stataimportante per le popolazioni montane, le qualinell’età pre-industriale vivevano spesso ben oltrei limiti della povertà, a cui anche una modestaattività mineraria e metallurgica consentiva diavere utili redditi addizionali.

La presenza e lo sfruttamento, già nel secoloXII , di piccole mineralizzazioni metallifere nelleAlpi venete assume una certa importanza nel

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

avvincente dei saggi. La sanguinosa rivolta delCarnevale del 1511, “la più vasta insurrezionepopolare e contadina dell’Italia rinascimentale”,fu provocata dal tentativo di cavalcare le ribellio-ni da parte della potentissima famiglia Savorgnan.Di conseguenza, una volta dispersi e privati di uncapo i contadini, lo scontro si trasformò in unaserie di sanguinose faide fra i Savorgnan e le altrecasate friulane. Vi fu un’interminabile serie diferoci delitti che il codice d’onore della nobiltàprescriveva senza scampo e che spesso portava-no alla rovina le famiglie in lotta, anche per laseverità con cui Venezia tentava di reprimere lefaide. Mihi vindictam, titolo del saggio, è la fraseche fu incisa sulla spada del giovane nobileMarzio Strassoldo dopo l’uccisione di suo padre,ed è emblematica di come la vendetta fosseconsiderata un dovere irrinunciabile. Solo nel1568 Venezia riuscì a costringere i nobili friulania concludere la pace: ciò fu possibile anchegrazie alla diffusione nell’arretrato Friuli dellenuove tradizioni rinascimentali, che prescrive-vano il duello secondo le regole cavallereschecome il modo appropriato per porre fine a unaquestione d’onore senza dare inizio a una serieinarrestabile di agguati e assassini.

I saggi successivi focalizzano l’analisi su real-tà più circoscritte, a volte singoli villaggi, in unarco cronologico che dalla metà del XVIII secologiunge agli ultimi anni del XIX . Il filo conduttoreè la ricerca della matrice sociale profonda di ciòche i documenti spesso riportano semplicementecome reati o disordini frequenti. Infatti, fino aglialbori del Novecento la parte orientale delle TreVenezie fu caratterizzata da un endemicoribellismo sociale, che di volta in volta prese leforme del contrabbando, dei sistematici furticampestri, dei torbidi sociali e della ribellione alpotere costituito, fino ad arrivare, fra ’700 e ’800,alle “ vertigini di Francia”, cioè alle simpatiediffuse per gli ideali rivoluzionari. Analizzati davicino, questi fenomeni mostrano puntalmented’avere le proprie radici nel tentativo di perpe-tuare gli antichi diritti consuetudinari contro lamodernizzazione, che spesso si concretizzavanel perfezionamento dei metodi di sfruttamentodelle classi più umili. I comportamenti che leclassi dominanti percepivano come delinquenzialispesso non erano che il tentativo, da parte deicontadini, di preservare gli antichi diritti comu-

nitari, in particolare per quanto riguarda l’usodelle risorse collettive, che la razionalizzazionedelle regole sociali tendeva ad eliminare.

Luca Zuliani

FURIO BIANCO, Contadini, sbirri e contrabban-dieri nel Friuli del Settecento. La comunità divillaggio tra conservazione e rivolta (Valcellinae Valcolvera), Sommacampagna (VR), Cierre,2005, 8°, pp. 129, e 12,50.

L’immagine delle masse rurali venete che, aitempi di Agnadello, costituirono con la lorotenace ostilità nei confronti delle forze dellaLega di Cambrai, l’ultimo baluardo difensivo diVenezia, non deve nascondere, dietro all’ico-nografia agiografica di una celebrata fedeltà, unatradizione secolare di insofferenza, ai limiti del-l’astio aperto, che molte comunità locali ebberonei confronti della Dominante: lì soprattutto,come è il caso delle vallate pedemontane dellaCarnia e del Friuli descritte da Furio Bianco,dove antiche tradizioni di autonomia e autogo-verno cozzavano contro i cauti e in parte con-tradditori processi di centralizzazione e moder-nizzazione.

Lo scenario tratteggiato dal saggio di Biancodelinea in modo chiaro, e per molti aspetti esem-plare, l’intreccio di sovranità particolari, sovrap-poste e spesso fra di loro in contraddizione, checostituisce il quadro normativo e giuridico dellasocietà ancien régime. In Friuli, a fianco del go-verno dei luogotenenti della Serenissima soprav-visse, infatti, fino alla caduta della Repubblica,un groviglio di innumerevoli circoscrizioni si-gnorili, laiche ed ecclesiastiche, che davano allaprovincia un peculiare aspetto feudale. In questointrico si ritagliavano con fierezza una spazio diautonomia molte comunità rurali che esercitava-no forme più o meno ampie di autogoverno, diorganizzazione collettiva della produzione e diredistribuzione delle risorse, secondo precisenorme consuetudinarie e consacrati obblighi disolidarietà fra i vicini. Tali regole e tali vincolierano difesi con geloso orgoglio dal mondo con-

tadino che diffidava di ogni trasformazione, con-siderata a priori agente di dissoluzione dellacoesione interna del gruppo. Il carattere forte-mente conservativo, ripiegato su se stesso, diqueste comunità, pregiudizialmente ostili neiconfronti delle componenti estranee – gli infidiforesti – si spiega ulteriormente, nel corso delXVII secolo, con la penetrazione, anche nel pic-colo e circoscritto mondo dei villaggi, di forzedisgregatrici, sia d’ordine economico che politi-co. Da un lato la lenta avanzata dell’economia dimercato – con la creazione di nuove divisionisociali che intaccavano i principi fondamentalidel sistema comunitario –, dall’altro l’ingerenzadel sistema fiscale centrale, che con i suoi dazi emonopoli – come quelli odiatissimi sul tabacco esul sale – violava le antiche consuetudini e mi-nacciava l’autonomia economica dei villaggi.Proprio a questo contrasto è dedicata la terzaparte del saggio di Bianco, che rievoca la sordaostilità che contrappose le comunità locali aglisbirri del monopolio, avversione che prese ora leforme dell’insofferenza riottosa verso i dettamicentrali, ora quelle della complicità nei confrontidelle bande di contrabbandieri, sfociando in aperterivolte, sempre nella persistenza irriducibile diun ribellismo strisciante, mai completamentedomato.

Ferdinando Perissinotto

NINO AGOSTINETTI, Massoneria e società segretenel Veneto del Sette-Ottocento, Padova, Edizionidel Lombardo-Veneto, 2004, 8°, e 15,00.

Nel maggio 1738 il papa Clemente XII , con labolla In eminenti, scomunicò la massoneria, pro-babilmente per difendere la Chiesa dalla politicagiurisdizionalista. La prima loggia massonica ve-neziana nacque intorno al 1746 e ad essa furonocollegati, in modo diverso, personaggi di un certorilievo come Francesco Griselini, Carlo Goldoni,Giacomo Casanova. Giacomo Casanova fu arre-stato nel 1755, ma riuscì a scappare, cominciandoa girovagare per tutta l’Europa e senza riuscire atornare a Venezia con una sistemazione decente.Nel 1762 anche Goldoni abbandonò Venezia.Griselini, invece, fu il maggior pubblicista delmoto di riforma economico nella Repubblica diVenezia e l’editore del “Giornale d’Italia”. Nel1754 pubblicò la commedia I liberi muratori,un’apologia delle idee massoniche e, nel 1760,una documentata biografia di fra’ Paolo Sarpi.

Nell’aprile del 1766, a Venezia fu creato unnuovo organo statale – la deputazione ad piascausas – che negli anni successivi ridussedrasticamente il potere economico del clero, manel maggio 1785 furono sciolte la loggia vene-ziana di rio Marin e tutte quelle di Terraferma.Nel 1787, il benedettino G.M. Pujati pubblicòun’opera in cui confutava un articolo di Jéromede Lallande sulla massoneria e in generale tuttal’organizzazione. Nella prima metà del Sette-cento fu molto influente nell’ambiente culturaleveneziano il mercante, editore e console ingleseJoseph Smith, che ebbe relazioni con i rifugiatigiacobiti legati alla massoneria.

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

Alla diffusione della cultura massonica, però,non corrispose un peso politico proporzionatodelle logge, data la chiusura del gruppo oligar-chico che dominava lo stato veneziano. Numero-si massoni poterono assumere un ruolo pubblicosoltanto dopo l’arrivo dell’esercito francese diNapoleone e la caduta della Repubblica; duranteil Regno italico, le logge massoniche svolsero ilruolo di integrazione nella burocrazia e nell’eser-cito dei sostenitori italiani di Napoleone.

Quando l’Austria occupò il Veneto, già nelsettembre 1814, il governatore civile e militareEbrico di Reuss Plauen emanò un decreto cheproibiva la costituzione di qualsiasi società segre-ta, ma tali organizzazioni continuarono a formar-si durante tutto il periodo della dominazioneaustriaca fino all’insurrezione del 1848. Le pra-tiche riservate della massoneria influenzarono,in modo notevole, la formazione della carbo-neria, la quale tuttavia si pose un nuovo obiettivopolitico: l’Unità d’Italia.

Elio Franzin

WALTER PANCIERA, Napoleone nel Veneto. Vene-zia e il generale Bonaparte 1796-1797, Caselle diSommacampagna (VR), Cierre, 2004, 8°, pp. 111,e 12,50.

Vocatio in judicium, sulla base di 28 capi diaccusa, del generale dell’Armata d’Italia Napo-leone Bonaparte, per aver aggredito l’antica Re-pubblica di Venezia, determinandone il tracollo“economico, sociale e, infine politico” e provo-cando la cessione di sovranità il 12 maggio 1797– questo il processo postumo istruito nel 2003dall’associazione degli “Amici della Storia edella Giustizia” e condotto sulla base dell’attualecodice penale italiano, che si è concluso con un“verdetto di condanna del generale, dichiaratonon soggetto a sanzioni in quanto deceduto”. Ilsaggio di Panciera, chiamato quale testimone adiscarico per conto della difesa, si articola eriassume attorno a nove domande che vannodalla posizione internazionale della Francia nel1797, alle consuetudini delle truppe di passare suterritori neutrali, alla dichiarazione formale diguerra e alla sua validità, al “pregiudizio cul-turale”di Napoleone nei confronti della Repub-blica aristocratica, per poi passare alla posizionedegli ebrei veneti prima e dopo l’arrivo di Napo-leone e concludere sulle ragioni per cui la Sere-nissima non si preparò alla difesa e infine abdicòalla sovranità e sui motivi internazionali cheportarono alla cessione di Veneto, Friuli, Istria eDalmazia all’Austria. Il testo, oltre a proporreun’agile ma documentata ricostruzione dei fattie delle complesse questioni sottese a ciascunodei nodi e quesiti affrontati, si segnala pure per leimplicazioni di metodo storico, muovendosi cor-rettamente sul delicato terreno dell’uso pubblicodella storia, non chiamata a giudicare ma a com-prendere, interpretare e aprire nuove prospettivedi indagine. Particolarmente stimolanti in questadirezione, pur nella necessaria sobrietà, le osser-vazioni, che sfuggono alla semplificazione storio-grafica sottesa al “mito” “antimito” di Venezia,

sull’assetto costituzionale della Repubblica ari-stocratica e sulle sue implicazioni sulla crisidemografica ed economica, sui diritti civili esull’identità politica che investe lo stato venetonella seconda metà del Settecento. Il breve testosi conclude con una rapida ed efficace tavolacronologica e con il manifesto-dichiarazione diguerra del primo maggio 1797.

Fiorino Collizzolli

GIANANTONIO PALADINI , Uscire dall’isola. Vene-zia, risparmio privato e pubblica utilità: 1822-2002, Bari, Laterza, 2003, 8°, pp. X-326, ill.,e 26.00.

L’immaginario collettivo è abituato a vedereVenezia come la “Serenissima”, proiettata dalsua mare Adriatico al mare Egeo, fin dove cioè sispingevano i suoi domini; ma, dopo il crollo del1797, a partire dall’inizio dell’800 la città fucostretta a guardare al suo retroterra, abbando-nando il suo secolare sentirsi “isola”, così comerecita il titolo di questo libro, e crescere progres-sivamente verso Mestre e Marghera, per misu-rarsi con un’altra realtà, anche di carattere eco-nomico, che vede uno dei suoi pilastri nel 1822,anno in cui nasce la Cassa di Risparmio diVenezia, che fin dalle sue origini svolge perVenezia e il suo territorio una funzione premi-nente per oltre un secolo e mezzo – precisamentefino al 1992, quando il suo ruolo di “pubblicautilità” viene rilevato dalla Fondazione Carive.

Gianantonio Paladini, docente di Storia con-temporanea presso l’Università Ca’ Foscari diVenezia, ci presenta in questo volume la storia diquesta vicenda, che si propone da un angoloparticolare, quello del “risparmio privato”: unavicenda ricca di avvenimenti non sempre chiarinel loro svolgimento, in quanto si assiste a uncontinuo intersecarsi di logiche politico-econo-miche-sociali di non facile decifrazione, ma chel’autore riesce a dipanare seguendo un metodopreciso e dividendo il suo lavoro in tre parti.

La prima è impostata e condotta secondo uncriterio cronologico ed è divisa a sua volta inquattro densi capitoli. Quello iniziale attraversa

tutto l’Ottocento, con il titolo Dall’Austria all’I-talia e prende le mosse appunto dal 1822, quando“le più lodevoli viste hanno suggerito l’Istituzio-ne delle Casse così dette di Risparmio, e il facilerisultato ottenuto in alcune città delle anticheProvince della Monarchia [asburgica, n.d.r.], especialmente in Vienna, e in Lubiana procla-mandola veramente utilissima, diede sempre asperare che qui potesse questa essere portata adeffetto”. Il secondo capitolo inizia con la rievo-cazione di una grande tragedia per la città, chefece subito il giro del mondo, il crollo del “paronde casa”, il campanile di San Marco, che siafflosciò su se stesso alle 9.53 di lunedi 14 luglio1902; Gabriele D’Annunzio, “ che a Venezia eraa quel tempo di casa, anche per il suo rapportoartistico-sentimentale con l’attrice EleonoraDuse, telegrafò al sindaco dicendogli ‘Non sipuò che piangere’”.

Sta di fatto che il dramma segnò l’inizio del-l’“uscita dall’isola” e la Cassa di Risparmioiniziò la strada Verso la modernizzazione, che èanche il titolo del capitolo, che racconta il grandesforzo fatto da Venezia e dalle sue categorieeconomiche più importanti per “reinventarsi lacittà”; un’epoca difficile che vide anche la dolo-rosa esperienza della Grande Guerra. Si arrivacosì al terzo capitolo, che tratta la dittatura delfascismo, non per niente intitolato Fasci littori ecroci uncinate, epoca che comunque vide l’espan-sione della città nella “grande Venezia”, conMestre e Marghera come periferie del centrostorico.

L’ultimo capitolo (Fra tradizione e innova-zione) arriva all’inizio degli anni ’90 del Nove-cento, quando nasce la Fondazione Carive. L’au-tore pubblica poi una preziosa Appendice con 6saggi (due a testa) di Eva Cecchinato, LauraPoletto e Giovanni Sbordone, curatori anchedelle didascalie delle immagini presenti nel li-bro, che si chiude con un illuminante Poscritto diGiuliano Segre, dal titolo suggestivo Gli annidella Fenice.

Giuseppe Iori

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

MARIO DASSOVICH, L’Impero e il golfo. Una ri-cerca bibliografica sulla politica degli Asburgoverso le provincie meridionali dell’impero neglianni 1815-1866, Udine, Del Bianco, 2003, 8°,pp. 281, e 22,00.

Nel quadro dell’Impero austriaco con la Sovra-no Patente del 7 aprile 1815 fu costituito il RegnoLombardo-Veneto. Con un decreto del 9 ottobre1814 era stata definita l’organizzazione del lito-rale, e cioè delle tre provincie, Gorizia, Trieste eFiume, che durante il periodo napoleonico eranostate chiamate “Illiriche”. L’Austria svolse unacapillare azione preventiva per immunizzare laborghesia dai principi liberali e costituzionali.Nello stesso periodo si verificò una vigorosacrescita delle culture nazionali slave. Con il so-vrano rescritto del 1821 Fiume e il suo litoralefurono uniti all’Ungheria. Fu creato anche ilcircolo di Pisino. Con la notificazione del 22dicembre 1829 l’imperatore Francesco I conces-se il privilegio di porto franco alla città di Vene-zia con scarsi risultati. Nel Veneto, nel Firuli, aTrieste, in Istria, in Dalmazia la penetrazionedella propaganda di Giuseppe Mazzini fu quasinulla. Nello stesso periodo si verificò uno svi-luppo del movimento nazionale ungherese nel-l’ambito del quale non c’era posto per nessunriconoscimento dell’identità nazionale croata.Fino al 1865 l’organizzazione del potere asbur-gico nelle province italiane fu scossa da un con-flitto che ebbe luogo non solo fra Stato e sudditi,ma anche, all’interno degli stessi apparati dipotere, tra branca e branca. Trieste perdette la suatradizionale funzione di emporio e si trasformò inun porto di transito. Essa decadde come centro diintermediazione commerciale e diventò un sem-plice scalo di passaggio di merci trattate diretta-mente tra produttori e consumatori.

Rispetto a Trieste il progresso economico esociale dell’Istria era molto più lento perchéinceppato da considerazioni politiche. A Fiumesi era creato un fortissimo antagonismo fra lacittadinanza italiana e il governo croato cheaveva come obiettivo quello di fondere la cittànella Croazia. Nell’aprile 1861 fu inaugurata aParenzo la prima Dieta istriana, nella quale lamaggioranza era costituita da venti deputatiinnovatori che votarono “nessuno” e si rifiutaro-no di inviare dei rappresentanti in Parlamento.Nel 1866 l’Austria dovette affrontare sul pianomilitare l’alleanza italo-prussiana.

Elio Franzin

GIAMPIETRO BERTI - FRANCO DELLA PERUTA, LaCarboneria. La nascita della nazione. Intrecciveneti, nazionali e internazionali, Rovigo, Minel-liana, 2004, 8°, pp. 455, e 20,00.

Dopo decenni di silenzio storiografico, la Car-boneria è stata argomento di un convegno europeoorganizzato dall’associazione Minelliana di Ro-vigo, di cui ora sono pubblicati gli atti. I ven-ticinque contributi ridisegnano una mappa, permolti aspetti nuova, di questa organizzazioneche è alla base della nascita dell’Italia come

nazione. I contributi si possono dislocare secon-do tre campi di ricerca, con risultati innovativi,spesso frutto di nuovi scavi archivistici: la pre-senza e l’attività della Carboneria in Francia e inSpagna (ne trattano Jacqueline Lalouette e Al-berto Gil Novales), nelle singole regioni italiane,in particolare nel Polesine, e, infine, una messa afuoco di alcune delle maggiori figure della Car-boneria.

All’inizio Della Peruta traccia un quadro gene-rale del mondo delle sette nel periodo della Re-staurazione, sottolineando differenze, contrap-posizioni e osmosi tra Carboneria e Massoneria.Un problema, quest’ultimo, particolarmente con-troverso, su cui è intervenuto con uno dei contri-buti più interessanti lo storico fiorentino ZeffiroCiufoletti, il quale ha puntato l’attenzione sullafamosa spia Giuseppe Valtancoli, che operò nelGranducato di Toscana. Nel periodo della Restau-razione – ha ricordato Della Peruta – tra Napoli,Stato pontificio e, poi, Polesine, Veneto, Lombar-dia e, con alcune difficoltà, Piemonte, si diffuse laCarboneria, che fu il primo movimento liberalenel nostro Paese. La sua attività durò fino al 1830-1831, soppiantata dalla Giovine Italia di Mazzini,un’organizzazione con elementi tipologici delpartito moderno, un programma che tutti poteva-no conoscere e metodi nuovi di propaganda e diattività politica e militare.

Il Polesine è stato uno dei maggiori centri diattività della Carboneria e ben dieci contributi visono dedicati; pertanto si può affermare di avereacquisito una conoscenza molto approfonditadell’attività di questa organizzazione segreta edella sua composizione sociale, attraverso l’ana-lisi di nuovi documenti e nuove fonti. Ad esem-pio, le lettere pastorali dei vescovi ci consentonodi comprendere meglio il comportamento dellapopolazione verso quella organizzazione. LuigiContegiacomo, attraverso un notevole scavo ar-chivistico, ha ricostruito i legami sociali, cultu-rali, familiari della Carboneria nel Polesine, men-

tre Davide Mantovani ha delineato in termininuovi quella ferrarese e Roberto Balzani quellaromagnola. Antonino De Francesco si è soffer-mato, invece, sulla Carboneria in Sicilia, di cuiha sottolineato i rapporti con Napoli, e MariaAntonietta De Cristoforo è intervenuta sulle “ven-dite” carbonare in Basilicata dopo il 1921.

Infine sono state riconsiderate alcune figurecentrali. Vittorio Scotti Douglas ha tracciato ilprofilo di Alexandre Andryane, cittadino france-se aggregato all’Adelfia, arrestato in Italia einviato allo Spielberg con i Carbonari polesani.Ivo Biagianti ha parlato di Giovanni Bachiegache fu tra i Carbonari di Crespino arrestati nel1819 e inviato allo Spielberg. Angelo Varni si èoccupato di Felice Foresti, pretore di Crespino econtroverso protagonista della Carboneria pole-sana di cui esiste, presso la Biblioteca Vaticana,un’autobiografia di 350 pagine scritta nel 1844,mentre Giampietro Berti ha tracciato un profilocomplessivo del rapporto fra Governo austriacoe Carboneria prendendo a modello, appunto, il“caso” del Polesine. Infine, accenniamo alla “ri-scoperta”, da parte di Luigi Lugaresi ed ElioFranzin, di una donna su cui esiste una tenaceleggenda più che una storiografia attendibile. Netratteggia le vicende biografiche il primo storico,mentre il secondo si sofferma su di lei nell’ambi-to di un’analisi delle riflessioni di Stendhal sul-l’Italia e sulla condizione delle donne.

Mario Quaranta

1848-1849. Costituenti e Costituzioni. DanieleManin e la Repubblica di Venezia, Atti del Con-vegno (Venezia, 7-8 ottobre 1999), a cura diPier Luigi Ballini, Venezia, Istituto Veneto diScienze, Lettere ed Arti, 2002, 8°, pp. VIII - 474,e 38,00.

Nel 150° anniversario della Rivoluzione del1848-49 si è svolto a Venezia un convegno distudi sull’argomento, di cui vengono ora pubbli-cate le 12 relazioni pronunciate presso l’IstitutoVeneto di Scienze, Lettere e Arti – testi chespaziano dal diritto alla storia alla letteratura, conuna Presentazione di Bruno Zanettin, presidentedell’Istituto Veneto, che mette in rilievo “il ca-rattere singolare dell’esperienza rivoluzionariadi Venezia, rispetto a tutte le altre dell’epoca. Lasua capitolazione, nell’agosto 1849, segnò lafine della rivoluzione in Europa; in Italia, anchela conclusione delle esperienze parlamentari. Lasua rilettura completa quella delle vicende risor-gimentali che l’Istituto ha voluto proporre nelpiù vasto panorama europeo”.

In effetti, quando il 20 agosto 1849 a Venezia“sul ponte sventola bandiera bianca”, come ricor-da la celebre poesia di Arnaldo Fusinato (compo-sta, sembra, il giorno prima della caduta dellacittà), gli eredi della Serenissima, con a capoDaniele Manin, sembrano riscattare l’onta del1797, tanto deprecata da Ugo Foscolo e dagli altripatrioti. Venezia diventa così un caso emblematicodel biennio che ha sconvolto l’assetto che ilCongresso di Vienna, nel 1815, aveva cercato didare al continente, disegnando una “carta geogra-

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

fica” e una “realtà politica” che il 1848-49 dimo-strerà appunto utopica: da allora in poi, propriomentre l’Antico Regime vince la sua ultima batta-glia, la borghesia prepara la conquista del poterenei confronti della nobiltà, mentre all’orizzonte siaffaccia lo “spettro” del proletariato.

Ecco perché i relatori del convegno inserisco-no le vicende veneziane dei questo biennio cosìtormentato nel più vasto contesto europeo: CarloGhisalberti, Brigitte Mazohl Walling, Anna Gian-na Manca, Alfonso Scirocco esaminano i temi delcostituzionalismo, delle costituzioni, delle costi-tuenti nelle esperienze europee, con particolareriguardo all’Austria, all’Ungheria, alla Germa-nia, agli Stati italiani; Pier Luigi Ballini centra lasua attenzione sulle leggi elettorali del biennionegli stati preunitari, mentre Erasmo Leso e AncoMarzio Mutterle spostano l’attenzione sui temidel rapporto tra lingua e rivoluzione e sui riflessidegli avvenimenti nella letteratura italiana.

Solo a questo punto Venezia diventa diretta-mente il centro del dibattito: l’opera politica diDaniele Manin (Angelo Ventura), le correntidemocratiche della città (Sergio La Salvia), l’atti-vità del clero veneto e di quello lombardo (AlbaLazzaretto), il ruolo avuto dagli Ebrei a Venezia(Ester Capuzzo), l’immagine di Venezia nel-l’Austria del 1848-49 (Stefan Malfèr): sono al-trettanti saggi che completano il volume, che sichiude con un preciso indice dei nomi dei prota-gonisti del biennio centrale dell’Ottocento.

Giuseppe Iori

Carte Cavalletto I. Archivio Alberto Cavalletto,Archivio del Comitato politico centrale veneto,Archivio Giuseppe Prezzini, Archivio della So-cietà Pezzin Pavan, a cura di Valentina Chiusurae Franca Cosmai, Padova, Comune di PadovaMusei e Biblioteche, 2003, 8°, pp. 352, ill., s.i.p.

Alberto Cavalletto, padovano del quartiere delBassanello (1813), fu l’esponente più autorevolee il capo riconosciuto del movimento di liberazio-ne nazionale nel Veneto negli anni dall’in-surrezione del 1848, fino all’annessione dellaregione al Regno d’Italia.

Nel 1836 Cavalletto conseguì il diploma inIngegneria civile all’Università di Padova, nellaFacoltà filosofico-matematica; nello stesso annofu accettato come praticante gratuito nell’Uffi-cio padovano della Direzione delle pubblichecostruzioni; in questa veste, restaurò la concaidraulica delle Porte Contarine e le porte urbanedi Padova. Collaborò con l’ingegnere GedeoneScotini alla redazione dei progetti esecutivi delpiano Fossombroni-Paleocapa per la sistemazio-ne del Brenta e del Bacchiglione. Nel 1848 siarruolò nel corpo franco dei padovani per com-battere contro l’Austria. Dopo la caduta dellaRepubblica di Venezia non riprese il serviziosotto il governo austriaco ed esercitò la liberaprofessione. Nel 1852 fu arrestato per ragionipolitiche e fu condannato a morte, ma succes-sivamente venne graziato e rilasciato nel 1856.Tornato a Padova lavorò come ispettore tecnicodi alcune compagnie assicurative, fra le quali vi

era la Compagnia Assicurazioni Generali: sem-pre come ispettore, nel 1858 pubblicò alcunisaggi per la riforma dei consorzi idraulici. Rifugia-tosi in Piemonte, nel 1860 fu eletto deputato aChiari e nel 1861 a Casalmaggiore. Nello stessoanno fondò il Comitato politico centrale veneto,come organo di collegamento fra gli emigrati econ i comitati segreti operanti clandestinamentenel Veneto, ma ne fu estromesso nel 1865, per lesue critiche alla tentata e fallita insurrezione nelVeneto. Nel 1866 rientrò a Padova con l’esercitoitaliano, dove fu subito l’uomo più temuto edetestato da tutti quei padovani che avevanocollaborato o mantenuto un atteggiamento oppor-tunistico con l’Austria, e in particolare da alcunisoggetti gravitanti attorno all’ambiente univer-sitario, sottoposto nel frattempo a una energica edoverosa epurazione da parte del commissariodel Re, il marchese Gioacchino Napoleone Pepoli.

Alle elezioni politiche del 25 novembre 1866gli “austriacanti” e i conservatori padovani, moltoabilmente, contrapposero a Cavalletto nel colle-gio elettorale cittadino il conte Ferdinando Ca-valli, grande proprietario terriero e pronipote delpenultimo doge di Venezia, Paolo Renier, ilquale fu eletto in ben tre collegi; Cavalletto fucostretto a riprendere la sua carriera di pubblicoingegnere idraulico. Dal 1867 fino al 1882 fueletto deputato nei collegi di Valdagno, S. Vito alTagliamento e Udine. In Parlamento Cavallettofu uno dei più autorevoli deputati sui problemiidraulici e di organizzazione degli uffici deilavori pubblici. Alla sua morte il suo archiviovenne consegnato al Museo Civico di Padova;purtroppo, la paura degli “austriacanti” e deiconservatori padovani nei confronti di un patrio-ta intransigente come Cavalletto continuò e sitrasferì nei confronti del suo archivio. Soltantoora, meritoriamente, se ne inizia dunque la pub-blicazione, offrendo una documentazione pre-ziosa anche per la ricostruzione della storia delVeneto dopo l’annessione al Regno d’Italia.

Elio Franzin

EVA CECCHINATO, La rivoluzione restaurata. Il1848-49 a Venezia tra memoria e oblio, presen-tazione di Mario Isnenghi, Padova, Il Poligrafo,2003, pp. 608, e 25,00.

L’ossimoro del titolo offre una prima chiaveper capire l’intento dell’autrice: non si tratta,comunque, del primo caso in cui un evento sto-rico è stato in passato edulcorato e travisato nellasua essenza per poterlo ripresentare in una pro-spettiva più “accettabile” dalle classi dominanti.In questo caso l’operazione di manipolazione deifatti del biennio 1848-49 (non si dimentichi cheVenezia fu l’ultimo baluardo in Europa a caderenell’agosto del 1849 di fronte alle forze dell’An-cien Régime) cominciò qualche anno dopo, pre-cisamente nel 1866, quando il 13 novembre “ReVittorio Emanuele attraversò la laguna alle 11, eVenezia finalmente, e per la prima volta, divenneparte d’Italia” .

Eva Cecchinato fin dal primo capitolo (Lacittà redenta) vuole riannodare il discorso chelega tra loro due momenti topici della storiaveneziana, il 1797, con la caduta della Serenis-sima, e il 1849, con l’assedio e il ritorno dellacittà all’Austria. Il perno di questa parte è la fi-gura di Daniele Manin, morto nel 1857 in esilioa Parigi, il cui “fantasma si aggira – ostaggiodelle politiche e dei riposizionamenti altrui – perquesta Venezia annessa senza gloria: le sue spo-glie, il monumento, la tomba, i luoghi e gliitinerari del lungo Quarantotto veneziano”. Lespoglie del “presidente-dittatore” furono motivodi polemica tra monarchici e moderati di variegenerazioni.

L’operazione di “restauro” prosegue succes-sivamente con l’obiettivo di raggiungere, comesagacemente conferma nella sua presentazioneMario Isnenghi, “lo sradicamento della rivoluzio-ne”. Si entra così nel secondo capitolo, ancorauna volta illuminante fin dal titolo, Quello che sipuò, quello che si deve ricordare. Censure, sug-gestioni, nostalgie, che tratta soprattutto dell’im-magine ufficiale di Venezia dalla caduta dellaRepubblica di Manin fino alla proclamazionedel Regno d’Italia, periodo in cui si assistette aun’operazione chirurgica di lento ma progressi-vo svuotamento di ogni significato rivoluziona-rio e, di conseguenza, “pericoloso” per il nuovoregime, che non poteva tollerare una critica allapolitica annessionistica di casa Savoia, che vede-va nell’esperienza rivoluzionaria del ’48-’49 diVenezia “un’infanzia della nazione, fisiologica-mente superata da un’Italia ormai adulta”(Isnenghi).

Il capitolo conclusivo, San Marco, è caratte-rizzato dall’imporsi di due “miti”, San Marco eCarlo Alberto, la Chiesa e lo Stato ufficiali, chefino alla Grande Guerra “addomesticarono”definitivamente la rivoluzione, trovando proprionel capoluogo veneto un’alleanza di fatto checontrastava con gli anni del Risorgimento e chenon trovò analoga rispondenza nel resto delPaese, dove i contrasti tra il Papato e la Monar-chia rimasero presenti più a lungo. La con-clusione del discorso può essere lasciata allastessa autrice, che afferma che “per assistere alriaffermarsi di prospettive paragonabili a quellein virtù delle quali i governi provvisori del 1848coinvolsero l’intera società in un progetto di vera

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

e propria fondazione di una nuova fase politica,sulla base di meccanismi rappresentativi e mo-delli sostanzialmente democratici l’Italia dovràin realta attendere quasi cento anni”.

Giuseppe Iori

MARCO GIRARDI, Verona tra Ottocento e Nove-cento, Treviso, Canova, 2004, 4°, pp. 200, ill.,eeeee 24,00.

Nel 1866, dopo la vittoria di Francesi e Prus-siani, il Veneto è annesso all’Italia e le truppeaustriache lasciano Verona. Le fotografie di Mo-ritz Lotze ci restituiscono il volto della città allafine della lunga dominazione che la aveva tra-sformata in fortezza dell’Impero. Verona ci ap-pare circondata di forti e munita di caserme,arsenali, casematte e altri edifici che alterano iltessuto urbano. Stranamente, le immagini deisoldati in posa rilassata ostentano una forzatanaturalezza, in contrasto con le minacciose co-struzioni militari. D’altra parte, la presenza di uncontingente così numeroso di truppe, 15.000-20.000 uomini, ha avuto anche effetti positivisull’economia cittadina e incrementato i trafficiche si svolgono prevalentemente per via di terra,con la nuova ferrovia, piuttosto che lungo l’Adige.

Dopo l’Unità niente cambia nell’assetto so-ciale ed economico di Verona, dove aristocraticie borghesi mantengono i loro privilegi. RichardLotze, figlio del fotografo Moritz Lotze, ritraepersonaggi di rilievo, come i poeti Aleardo Alear-di e Vittorio Betteloni. Il popolo resta, comesempre, ai margini della storia: dopo il plebiscitoper l’annessione, aperto a tutti i maschi adulti,nelle successive elezioni il diritto di voto, condi-zionato dal censo, si restringe a solo il 2% deicittadini. Il malcontento dilaga, acuito dalla mi-seria, dalle malattie, dalla disoccupazione checolpiscono città e campagna, mentre si aggiun-gono nuove imposizioni: la tassa sul macinato eil lungo servizio militare. Inizia la tragedia del-l’emigrazione: tra il 1876 e il 1901 ben 48.000veronesi lasciano l’Italia.

Prima della fine del secolo si verificano altrieventi importanti: nel 1882 la piena dell’Adigeprovoca danni enormi, travolgendo nella suafuria ponti, case, persone. L’evento è così trau-matico che l’amministrazione ordina lavori perregolare il corso del fiume con lunghi muraglionidi contenimento delle acque e l’interramento ditronchi minori e canali. Scompaiono dal panora-ma cittadino i pittoreschi mulini, gli squeri e lesegherie, tutte attività legate al fiume. L’acquadell’Adige non è solo fonte di rovina, ma forni-sce anche l’energia che alimenta la nascenteindustria nella zona del Basso Acquar, con ilcanale terminato nel 1885 (fotografato da RichardLotze). La concentrazione di manodopera nellefabbriche crea una nuova classe operaia chereagisce alle dure condizioni di lavoro e di vitacon agitazioni e scioperi.

Conclude la cronaca dell’Ottocento un artico-lo sui caratteri pittoreschi della città, seguito daicapitoli che trattano i temi del Novecento: laGrande Guerra, il fascismo, la Seconda Guerra

mondiale e la ricostruzione. Il libro, una validaguida per interpretare la storia di Verona traOttocento e Novecento, offre una doppia letturaattraverso immagini che illustrano efficacemen-te, a volte meglio delle parole, i molteplici aspettidella città e lo scorrere del tempo.

Marilia Ciampi Righetti

SERGIO GARBATO, Rovigo e il Polesine tra Otto-cento e Novecento, Treviso, Canova - Rovigo,Minelliana, 2004, 8°, pp.207, ill., eeeee 24,00.

Sergio Garbato, esperto non solo di storia, maanche di musica, arte e teatro, descrive il difficilecammino della sua terra e della sua gente nell’ar-co di un secolo, dal 1866 – quando Rovigo e ilPolesine sono annessi al regno d’Italia. Cambiail governo, ma i problemi sono quelli di sempre,legati all’ambiente plasmato dai fiumi e dal mare,continuamente scomposto e ricomposto, in uneterno confronto tra uomo e natura.

La terra appartiene a pochi latifondisti e icontadini e i braccianti, cioè la maggior partedella popolazione, conducono una vita tribolata,in abitazioni di paglia e di fango, assillati dallamiseria, dalle malattie, dalla denutrizione e dallaprecarietà del lavoro. Una delle cause dell’arre-tratezza della regione è la mancanza di industrie,infatti le uniche attività non agricole sono imulini e le fornaci per la fabbrica di laterizi.

Alla metà del secolo XIX cominciano i lavoriper prosciugare i terreni, dove ristagnano leacque che il Po non riesce a smaltire, e le idrovorea vapore assicurano all’agricoltura ampi territoriper nuove coltivazioni: riso, canapa e barbabie-tola. Le operazioni di assestamento richiedonoun gran numero di scariolanti, lavoratori avventiziche con la carriola trasportano la terra per unamisera paga.

Le già precarie condizioni di vita dei contadinisono aggravate dalle ricorrenti alluvioni del Po edell’Adige: 1868, 1872, 1879 e 1882. L’unica

via di scampo alla squallida miseria e alla man-canza di prospettive per il futuro sembra esserel’emigrazione e, prima della fine del secolo, piùdi 60.000 persone lasciano il Polesine per ilBrasile, dove sperano di trovare terra e lavoro.Nel 1884 la disperazione dà il via a un’ondata discioperi che si estendono al veronese e almantovano, al grido di “la boje”. I padroni ri-spondono con l’impiego di crumiri e l’interventodei militari che stroncano le agitazioni. Nellecampagne si diffonde il socialismo, ma anche lachiesa è attiva nel promuovere il riscatto delpopolo, con iniziative come le casse rurali e gliasili. Adria è il centro delle rivendicazioni eco-nomiche e sociali, mentre Rovigo rappresenta gliinteressi della classe privilegiata e ospita unaborghesia in ascesa.

L’inizio del secolo favorisce le speranze di unrinnovamento: sorgono infatti numerose indu-strie legate ai prodotti dell’agricoltura: zuccheri-fici, canapifici, jutifici, distillerie, mulini e for-naci. Purtroppo la crisi degli anni Trenta travolgequeste iniziative, e il Polesine resta prevalente-mente agricolo. Il Novecento introduce profon-de trasformazioni nella società e nel costume,non solo nel capoluogo, ma a Badia, Adria,Lendinara, dove si diffondono le scuole, i gior-nali, i teatri, i cinema e si attivano varie iniziativeculturali. Poi la Grande Guerra riporta la miseriae si scatenano le lotte tra squadristi e socialisti,culminate nell’uccisione di Giacomo Matteottiche segna un punto di non ritorno nell’ascesa delfascismo. A Rovigo, dopo gli anni Trenta, iniziauna vasta opera di rinnovamento urbanistico earchitettonico, interrotta dallo scoppio della Se-conda Guerra mondiale, e solo alla fine deglianni Cinquanta riprendono gli interventi checambiano il volto della città. Ma le forze naturali,non ancora sottomesse dall’uomo, sconvolgonoil territorio nel 1951 con la tragica rotta del Po,illustrata con drammatica evidenza da terrifican-ti immagini. La ripresa è lenta, ma il Polesineriesce infine a sviluppare un’economia articolatae autonoma, aperta a risorse un tempo ignorate,come il turismo.

Marilia Ciampi Righetti

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

MARIO BERNARDI, Oderzo tra Ottocento e Nove-cento, Treviso, Canova, 2003, 4°, pp. 144, ill.,e 20,00.

Da cinquemila anni il territorio di Oderzo, riccodi acque, è abitata da popolazioni che raggiunse-ro già in passato un alto grado di civiltà. Ilbenessere dei Veneti antichi ivi stanziati proveni-va non solo dalle attività tradizionali come l’agri-coltura, l’allevamento di cavalli e la pastorizia,ma specialmente dai traffici, perché al tempodella dominazione romana Opitergium sorgevaalla confluenza di importanti vie commerciali,quali la Postumia, tra Genova e Aquileia, e laClaudia Augusta, tra le rive dell’Adriatico e ilDanubio. Erano anche fiorenti la lavorazione dellegno, del ferro, del vetro e l’artigianato delmosaico.

La condizione della cittadinanza romana, ot-tenuta nel I secolo d.C., garantì la sicurezza, ilprestigio e lo sviluppo della città in ogni campoper due secoli, ma, col vacillare della potenzaromana, essa si trovò esposta alle invasioni e aisaccheggi di molti eserciti. Quadi, Marcomanni,Visigoti, Unni, Ostrogoti, Eruli e Longobardicausarono distruzione e morte, costringendo lapopolazione ad abbandonare la città e a rifugiarsisulle lagune in territorio bizantino, dove fondaro-no insediamenti ad Eraclea, Jesolo e Torcello.Dopo trecento anni Oderzo riprese a vivere, mafu spesso travolta dalle lotte tra le potenti signorieconfinanti e solo nel 1339, cedendo a Venezia,iniziò un lungo periodo di pace. La caduta dellaSerenissima provocò un collasso in tutto il territo-rio, che negli anni successivi vide alternarsi ledominazioni di Francesi e Austriaci, che causa-rono spoliazioni, saccheggi e angherie di ognigenere. L’autore fornisce, a questo punto, unarassegna delle principali opere d’arte non solonella Cattedrale della città, ma nelle chiese,monasteri, scuole e ospedali di Oderzo, a testi-monianza dell’alto grado di civiltà, cultura ebenessere della comunità.

All’inizio dell’Ottocento la maggior parte dellapopolazione opitergina si trovava in condizionidi estrema indigenza, assillata dalla fatica, dalla

miseria, dalle malattie in parte indotte e aggrava-te dalla cattiva alimentazione. La pellagra miete-va molte vittime, specie tra i giovani, e l’emigra-zione sembrava l’unico mezzo per cambiare eforse migliorare la propria esistenza; partironodunque a migliaia, diretti in Messico, Stati Uniti,Argentina, Brasile e perfino in Australia.

Di questo periodo numerose testimonianzefotografiche qui riprodotte illustrano con evi-denza la storia di Oderzo con i primi accenni dimodernizzazione interrotti dalla Prima Guerramondiale, le distruzioni dei bombardamenti e lafuga dopo Caporetto. Nel dopoguerra si rico-struisce, si arginano i corsi d’acqua, si coltivanoi bachi da seta, si aprono asili e scuole, anche sela miseria è sempre alle porte e molta gente viveancora nei casoni. Immagini ingiallite evocanofeste e raduni in cui sempre più numerose sono lecamicie nere. Alla fine della Seconda Guerramondiale in città e nel territorio si verificano epi-sodi di efferata violenza tra fascisti e partigianiche lasciano segni profondi nella coscienza dellapopolazione.

Dopo l’ultimo esodo degli anni ’50, alla finedei ’60 lo sviluppo industriale cambia il voltodella città e del territorio. In questa corsa al benes-sere non sempre la cultura viene incrementata,anche se non mancano esempi di artisti e studiosidi rilievo che completano la bella immagine diuna comunità ancora in espansione.

Marilia Ciampi Righetti

CLAUDIO PASQUAL e MAURO PITTERI, Mestre tra’800 e ’900, Treviso, Canova, 2003, 4°, pp. 154,ill., e 21,00.

Risale al primo dopoguerra la trasformazionedi Mestre da borgo di campagna ad agglomeratourbano, ma la crescita avviene in modo caotico,secondo i capricci della speculazione edilizia e

fondiaria, senza il controllo degli organi di go-verno, giustificando spesso la definizione di “allu-cinante periferia”. Una profonda cesura separa ledue realtà, quella ottocentesca legata all’agricol-tura e ai traffici con Venezia, e quella odierna,caratterizzata dal terziario, da industrie, com-merci, alta tecnologia, cultura.

Le prime fotografie dell’interessante volumedi Claudio Pasqual e Mauro Pitteri offrono l’im-magine di una città d’acqua con canali, barche,corti, case coloniche e strade tranquille. Intornoalla metà del secolo la ferrovia riduce i trafficiallo scalo sul Canal Salso, poi i battelli a vaporesostituiscono quelli a remi e scompare l’anticacategoria dei barcaroli. Mestre perde il suo con-tatto con l’acqua e deve radicarsi maggiormentenel territorio, senza tuttavia tornare a essere unsemplice emporio agricolo. Dopo un periodo dicrisi, all’inizio del ’900 nascono le prime indu-strie, favorite dallo sviluppo delle comunicazio-ni terrestri e marittime. Nel frattempo Mestreacquista un’importanza strategica nei confrontidell’Austria, per cui viene cinta da una serie diforti e dotata di due grandi caserme per ospitarele forze armate. In un ventennio gli abitantiraddoppiano e la città si estende, specie a sud, inzone residenziali, si costruisce la Galleria Vitto-rio Emanuele (1912), e cresce anche l’ediliziapopolare con le case dei ferrovieri, dette “casedei campanei” per il gran numero delle famiglie.

La nuova classe dirigente non è più costituitasolo di nobili veneziani, ma di nobili e borghesimestrini che creano infrastrutture e servizi, manon riescono a cambiare il volto paesano diMestre, lasciando alla “lodevole iniziativa” deiprivati la responsabilità di trasformarla in cittàmoderna. Poco dopo la fusione con Venezia nel1926, la testata di Canal Salso, detta le Barche, èinterrata e scompare l’ultimo lembo di lagunacon le famiglie di barcaioli e le “impiraperle”.Rifiutata la tradizione veneziana, manca però unmodello per l’identità mestrina che segue lespinte della crescita economica e demografica. Ipiani regolatori del 1925, 1934 e 1937 cercano diconciliare quanto resta del passato con le nuoveesigenze, ma vengono stravolti e il profilo dellacittà resta quello di un nodo di traffici con nucleiperiferici in espansione. Nel 1946 si riconfermal’unione col comune di Venezia, ma le due realtànon riescono a fondersi; e mentre la Veneziainsulare si svuota di abitanti, quella di terrafermatriplica la sua popolazione, pur restando “unacittà in formazione”.

Marilia Ciampi Righetti

SERGIO BARIZZA, Storia di Mestre. La prima etàdella città contemporanea, presentazione diGianfranco Bettin, prefazione di Mario Isnenghi,inserto fotografico di Daniele Resini, Padova, IlPoligrafo, 2003, 4°, pp. 558, ill., e 36,00.

“Mestre-non storia”, “Mestre-non città”, oppu-re per chi la attraversa sulla “temibile tangenzia-le” fonte di angoscia o di soddisfatto compiaci-mento se la fortuna consente di lasciarla veloce-mente alle spalle. Con questo disincanto e con la

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

consapevolezza di rischiare tutto nella ricercadelle fonti su cui costruire il ritratto della città,Sergio Barizza inizia questo lavoro: il fatto stes-so che, su pressante sollecitazione, si sia sentital’esigenza dell’attuale ristampa, testimonia cheil rischio ha pagato.

Il primo aggettivo che, pur nella sua astrattapovertà, definisce il carattere di Mestre, è diessere una città “orizzontale”, sia in senso spa-ziale, che la mostra come “distesa sul territorio”e protesa per secoli verso Venezia (come testi-moniato nella cartografia raccolta da AdrianaGusso e le numerose fotografie), sia per la man-canza di segni della memoria costituita da emer-genze monumentali che con la loro evidenza nesuggeriscano la verticalità temporale, oppureancora per il suo appiattirsi su una quotidianitàche “aveva favorito il calo di un velo di oblio sulsuo modo di essere e rappresentarsi”, senza pro-durre dunque alcuna imago urbis.

Il racconto su Mestre comincia a fluire allinean-do fili prima tenui (come relazioni sui dibattitidel consiglio comunale), per poi prendere vitali-tà facendo parlare famiglie, personaggi, seguen-do i loro pensieri, le loro scelte, le loro attività,rendendo comprensibili le mutazioni, le cancella-zioni dei segni anche consistenti della tessituraurbana, come l’interramento della testata delCanal Salso. La narrazione storica si costruiscenel suo intreccio omogeneo trovando il suo fulcroentro lo “spartiacque storico” segnato dal quasicontemporaneo riconoscimento di fregiarsi deltitolo di città e il suo ritrovarsi “Mestre-frazionedi Venezia” nel 1926.

La storia di questo progressivo, anche seondivago, costituirsi in città, si legge a partiredalla vicenda risorgimentale, che trova riferi-mento ideale nella “Sortita” del 1848, ma anchea partire dal tentativo di salvaguardare resti chetestimoniassero il riconoscimento di città muratao altre emergenze monumentali in grado di co-struire identità cittadina – concluso miseramentecon l’abbattimento, per esempio, della torre di

Belfredo fino alle fondamenta. Segue poi lasecolare vicenda della costruzione di “servizi”: laProvvederia, l’acquedotto di tribolata attuazione,il macello, l’ospedale, accompagnato dai dubbisulla sua utilità e da rallentamenti e retromarce,l’illuminazione e infine l’istruzione pubblica. Suquesto ordito ben disteso si intreccia la trama peril tessuto materiale che testimoni la nascita dellacittà: il centro “storico”, con la vocazione pocochiara che questo ruolo spettasse a Piazza Mag-giore, o a altre “piazze vere o sognate”; la defini-zione dello spazio urbano con edifici pubblici,teatri, cinematografi, banche o residenze privateimportanti. Su questo tessuto infine si intreccia lavita degli uomini, barcaioli, traghettatori, osti,commercianti, ampiamente sviluppato nel capi-tolo dedicato a L’economia, la politica e la gente.

La toponomastica, argomento dell’ultimo ca-pitolo, permette di rileggere i contorni persi della“prima città”, e cogliere le tracce della evoluzio-ne da borgo a città, di cui questa storia costituisceun ben solido “ritratto”, per ricostruire lo smoda-to, vorticoso, dinamico, lacerante, spaesante svi-luppo nella sua seconda età, con i non-luoghi chela rendono metafora della città contemporanea.

Fiorino Collizzolli

GIOVANNI NETTO, Il Comune di Treviso nel 1314.Quartieri - Pievi - Regole, Carta topografica enote illustrative, Treviso, Ateneo di Treviso, 2003,4°, pp. 184, s.i.p.

Questo lavoro di Giovanni Netto affronta untema particolarmente interessante per quanti sioccupano di storia trevigiana, e non solo, relativa-mente al Medioevo. Al centro dell’indagine è,infatti, la distrettuazione civile posta in essere eaffinata dal comune di Treviso nel suo secolo emezzo circa di esistenza. Le radici di questapubblicazione si possono rintracciare nella lettura– così lo Statuto dell’Ateneo di Treviso definiscele relazioni periodicamente presentate in assem-blea dai soci – tenuta nella riunione del 16 aprile1999. L’indubbio interesse dell’argomento trat-tato da Giovanni Netto ha fatto sì che la breve madensa relazione venisse rielaborata, ampliata eintegrata in modo da essere facilmente fruibileda un pubblico il più vasto possibile, mantenen-do però il carattere di rigorosa scientificità dellaprimitiva redazione.

L’opera in oggetto copre un arco cronologicodi notevole ampiezza. Prende infatti le mossedalla seconda metà del secolo XII , epoca nellaquale si hanno le prime attestazioni documenta-rie certe dell’organizzazione a comune dellacomunità cittadina, per giungere fino ai nostrigiorni. In realtà, l’autore non manca di accenna-re, almeno a grandi linee, alla situazione delterritorio in età romana.

Dal punto di vista editoriale il volume è divisoin due parti. Nella prima l’autore presenta informa distesa gli studi alla base dell’opera. Inquesta sezione si ripercorrono le vicende delladistrettuazione civile trevigiana dai primordi delcomune, con la formazione del districtus civitatisTarvisii, passando in successione di tempo attra-verso le guerre di espansione e la difesa dagli

assalti di Cangrande della Scala ai primi delTrecento, fino all’incorporazione nel dominioveneziano. Grande attenzione viene dedicata al-l’organizzazione del territorio voluta dalla Sere-nissima, con minuta analisi delle circoscrizionicivili e delle figure preposte al loro controllo. Lostudio prosegue con le varie dominazioni susse-guitesi nel Veneto e a Treviso dopo la cadutadella Repubblica veneziana, fino alle distrettua-zioni odierne. In questa sezione il lettore puòripercorrere lo svolgimento delle circoscrizionicivili dalle Pievi e Regole medievali all’attualeorganizzazione provinciale.

La seconda parte dell’opera, divisa in quattroQuaderni, presenta una serie estremamente riccae interessante di dati organizzati in schede.

Il primo Quaderno tratta dei quartieri medievalinel 1314, con la loro suddivisione in Pievi eRegole, confrontati con la situazione precedente(1297) e con la successiva suddivisione in quartie-ri di età veneziana (dal 1339 al 1797). Il secondotratta della podesteria di Treviso dal 1283 al1801, con attenzione ai fuochi e alla figura diufficiali pubblici come i merighi. Il terzo sioccupa della distrettuazione scolastica dai primidell’Ottocento ai giorni nostri. Il quarto toccainfine diversi temi quali la presenza e l’esten-sione di giurisdizioni feudali nel distretto me-dievale la sovrapposizione di circoscrizioni, finoalla formazione del confine provinciale odierno.

Remy Simonetti

GIAMPAOLO CAGNIN, Cittadini e forestieri a Trevisonel Medioevo (secoli XIII-XIV), Venezia, Regionedel Veneto - Caselle di Sommacampagna (VR),Cierre, 2004, 8°, pp. 560, e 20,00.

Più di sette secoli di storia dividono l’etàcontemporanea dal mondo preso in esame inquesto libro di Giancarlo Cagnin, ma numerosisono i punti di contatto tra le due realtà. Se,

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

infatti, sono cambiate le condizioni politiche,sociali e ideologiche e se certamente sono diver-se le modalità di gestione e reazione alle variesituazioni, analoghi sono tuttavia i problemi checaratterizzano la società odierna e quelli con iquali si dovettero scontrare gli uomini di allora,e nella fattispecie della Treviso di XIII e XIV

secolo, dall’immigrazione legale e clandestina alconfronto con culture e religioni diverse, dallevarie forme di riduzione delle libertà personalialla paura di fronte a fenomeni che sfuggono aglischemi tradizionali. Ecco perché può essere inte-ressante guardare ed esaminare le risposte datenel passato.

Filo conduttore e argomento principe attornoa cui ruota il volume è il tema della cittadinanza,qui presentato e analizzato attraverso l’esame diun certo numero di documenti, sia pubblici che dinatura privata, talvolta già editi e noti al mondodegli studiosi di cose trevigiane. Essi in partico-lare riguardano le modalità di acquisizione dellacittadinanza iure loci, i criteri seguiti per laconcessione della stessa a chi si trasferiva nellacittà, i decreti di esenzione fiscale per i forestieriche venivano a lavorare a Treviso. Ma, innanzi-tutto, che cosa significava essere cives nel Me-dioevo? La documentazione locale conserva al-cuni patti di cittadinatico o giuramento di fedeltàalla città prestati da abitanti del distretto, con iquali essi si obbligavano a rimanere fedeli alcomune, a difenderlo e a seguire i consoli o ilpodestà per un certo tempo. Quindi essere citta-dino implicava in primo luogo l’attiva aderenzaal patto giurato e non la passiva appartenenzaall’urbs. Però non tutti i cives erano uguali.Infatti, pur essendo equiparati giuridicamente,esistevano tra loro alcune importanti differenze.Inoltre, in città soggiornavano molte persone chevi avevano la residenza o vi esercitavano unaprofessione, senza tuttavia essere cittadini. Op-pure c’era chi possedeva proprietà nel territorionon abitandovi o, ancora, c’era chi per cui la cittàera solo una tappa verso altre mete – mercanti,pellegrini, ambasciatori – o un luogo ove trovareuna qualche forma di sussistenza – senza dimorae vagabondi.

Ma accanto a tutti questi argomenti, più stret-tamente intrecciati alla questione della cittadi-nanza, Cagnin ha aggregato altri temi che sonoad essa in qualche modo collegati o che da essaprendono spunto, come l’istruzione dei bambini,le modalità utilizzate per fissare nella memoriafatti avvenuti molto tempo prima, le consuetudi-ni legate alla nascita di un figlio. Un capitolo aparte è poi dedicato al matrimonio secondo letradizioni della Marca Trevigiana.

Completano la ricerca un apparato critico incui sono riportati numerosi brani di atti d’archi-vio in lingua originale e un’appendice con l’edi-zione integrale di un vasto numero di documenti.

Laura Bozzo

Libro macaronico di Zuanne Mestriner. Crona-che di Treviso raccontate da un barbiere tra il1682 e il 1731, a cura di Maria Moro, Venezia,Regione del Veneto - Vicenza, Associazioneveneta per la storia locale - Caselle di Som-macampagna (VR), Cierre, 2003, 8°, pp. 368,e 18,00.

Il 2003 è stato l’anno del “barbiere di Treviso”.Perché a quasi tre secoli dalla morte e a più disettant’anni dal ritrovamento del suo manoscrit-to si è realizzata la prima (ed ultima) volontàespressa da Zuanne Mestriner fin dal giorno incui decise, “comenzando dal anno 1682”, a ven-tiquattro anni circa, di prendere la penna in manoe trascrivere per i posteri, tutti i fatti cittadini“degni di nota” di cui sarebbe venuto a cono-scenza. E non sempre per avervi assistito perso-nalmente, ma più spesso basandosi su quello chegli avrebbero raccontato i clienti, magari queinotai del maleficio che frequentavano la suabottega posta sotto il palazzo del governo, dietropiazza dei Signori.

Questo “diario”, conservato presso la Biblio-teca Comunale di Treviso e per decenni a dispo-sizione soltanto degli studiosi, ha avuto propriolo scorso anno, nel giro di qualche settimana, unaduplice pubblicazione: una in versione romanzatae, poi, un’edizione critica curata da Maria Moro,che propone finalmente al più vasto pubblico iltesto originale e integrale di questo bizzarrofigaro nostrano, che il sentimento di una missio-ne superiore da compiere aveva trasformato inun cronista ante litteram, visti la costanza e loscrupolo quasi professionali con cui condusseper quasi mezzo secolo, fino al 1731, il suoimpegno “letterario” e la sua bravura di reporter– anche se forse nemmeno il più cinico mestierantepotrebbe riferire, senza lasciar trasparire la mini-ma emozione come fa Zuanne, dell’uccisionedella propria moglie da parte di uno dei figli.

Gli avvenimenti sono narrati con un linguag-gio che oscilla tra l’italiano e il dialetto e procedepuntellando con uno stile molto colorito, una

grammatica e una sintassi liberamente tratte. Ilrisultato è un libro che già il suo autore quasi perscusarsi definisce “macaronico”, ricco di squisitistrafalcioni linguistici come quel “li Ilustrisimoe Cellentisimo signor” che precede il nome deipodestà e degli inquisitori.

La cronaca è un rapido susseguirsi di inciden-ti, aneddoti, omicidi, curiosità, baruffe, calamitànaturali. Tutto, comunque, rigorosamente circo-scritto (o ascrivibile) nell’ambito delle muracittadine. Perché Zuanne era anche uno che leg-geva e si informava di ciò che avveniva all’ester-no ma poi, da buon trevigiano, se ne interessavasoltanto se aveva a che fare con la sua città.Quando annuncia la morte di Luigi XIV ne parlacome se fosse un personaggio sconosciuto.

D’altronde Zuanne non racconta mai nienteneppure di sé. Ed è, infatti, una ricostruzionebiografica per deduzione quella che proponeMaria Moro nella bella introduzione, dove vieneanche tracciato un profilo a grandi linee dellasocietà trevigiana a cavallo tra Sei e Settecento.

Anna Renda

Il Veneto e Treviso fra Settecento e Novecento.XVII ciclo di conferenze - 1998/2000, Treviso,Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano(Comitato Provinciale di Treviso) - Comune diTreviso, 2001, 4°, pp. 164, ill., s.i.p.

Il Veneto e Treviso fra Settecento e Novecento.XVIII ciclo di conferenze - 2001, Treviso, Istitutoper la Storia del Risorgimento Italiano (Comita-to Provinciale di Treviso) - Comune di Treviso,2002, 8°, pp. 248, s.i.p.

Il Comitato di Treviso per la Storia del Risor-gimento Italiano procede nella sua lunga e meri-toria opera di analisi e di studio degli aspetti piùo meno significativi che hanno preparato, accom-pagnato e seguito le vicende dell’unificazione na-zionale. L’organizzazione di conferenze e lapubblicazione di contributi vedono impegnatiuna serie di studiosi, che arricchiscono continua-mente il già consistente patrimonio del Comita-to, senz’altro uno dei più attivi della Regione.

Il volume XVII presenta 10 lavori, che copronoil periodo che va dall’inizio dell’800 fino allatragedia della Seconda Guerra mondiale, spa-ziando attraverso una serie di argomenti di altointeresse, che vanno da come i giornali del secoloXIX trattano delle mura della città alla realtà diTreviso dopo Caporetto, proseguendo con ladescrizione, sempre nella Grande Guerra, delladrammatica realtà del territorio dietro le “linee”del Grappa e del Montello, e così via fino alleinterpretazioni del Risorgimento in epoca fasci-sta, senza trascurare aspetti di vario genere, comeil processo al generale Ramorino o la presenta-zione dell’Ebreo di Verona di padre Brescianinella “Civiltà Cattolica”.

Sempre 10 sono i lavori del XVIII volume, cheperò copre l’attività di un solo anno, il 2001,segno ulteriore dell’impegno del Comitato. An-che gli argomenti trattati sono più vari rispetto alnumero precedente: si tratta di relazioni di viag-gi, della paura che caratterizzò per molti aspetti

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

a Treviso le vicende del 1848, di un ineditoletterario di Giuseppe Mazzini rivolto a un igno-to cittadino veneto, per centrare poi l’attenzionesui problemi dei confini italo-austriaci dopo laPrima Guerra mondiale, oppure su un equivocostorico sulla madrelingua slava di Nicolò Tom-maseo, fino a trattare il tema dell’etica filosoficafra Otto e Novecento, per concludere sui proble-mi del secondo ritorno di Trieste all’Italia (1945).

Giuseppe Iori

ROLANDINO, Vita e morte di Ezzelino da Romano,a cura di Flavio Fiorese, Milano, FondazioneLorenzo Valla - Arnoldo Mondadori, 2004, 8°,pp. 665, e 27,00.

Rolandino, figlio del notaio Iacopino di Ba-ialardo originario di Piove di Sacco, studiò a Bo-logna e poi rientrò a Padova, dove fu impegnatocome maestro dello Studio e come notaio delSigillo del Comune, alle dirette dipendenze delpodestà cittadino. Nel 1237, dopo la cacciata diEzzelino, Rolandino sembra avere recuperato unruolo politico. I notai delle generazioni prece-denti avevano associato all’esercizio delle attivi-tà professionali l’abitudine meritoria di narraregli avvenimenti di cui erano testimoni. Ma perRolandino, la spinta a scrivere la Cronaca –naturalmente in latino –, nel 1260, dopo la finedei da Romano, venne da un gruppo di religiosi,molto colpito dalle vicende ezzeliniane.

Secondo A. Castagnetti, la Cronaca riflette laversione ufficiale della classe politica dopo lariconquista della libertà, mentre F. Fasoli ammi-ra Rolandino come scrittore animato da una fortepassione civile, ma considera la sua descrizionedi Ezzelino un capolavoro di deformazione sto-riografica, esposto con un apparente scrupolo diesattezza e di obbiettività. Tale atteggiamentosvalutativo nei confronti di Rolandino è paralle-lo a una recente tendenza alla rivalutazione dellafigura di Ezzelino.

Nelle città della Marca, l’azione di Ezzelinoanticipa quella dei creatori delle signorie cittadi-ne, e dunque presenta caratteri insoliti di asprez-za e crudeltà – denunciati da Rolandino, maignoti alla precedente storia dei comuni. Comemolti altri padovani, probabilmente anche lo stessoRolandino fu, agli inizi, un sostenitore di Ezzelinoma, nel momento in cui viene a mancare l’unitàdavanti alle grandi consorterie nobiliari e ma-gnatizie, egli non esita a sottolineare i pericolidella tirannia per i comuni. Rolandino sviluppal’idea di una tensione fra il comune, che rappre-senta tutta la cittadinanza, e i partiti, che tentanodi dominare nel proprio interesse, e percepisce lafragilità dell’organizzazione comunale.

La sua opera si sviluppa come poema dellalibertà recuperata e come tragedia del tiranno.Essa ha come elemento centrale la figura storicadi Ezzelino, attorno al quale ruota l’intera Cro-naca, ma il punto di vista adottato è quello dellibero Comune di Padova. Sotto il profilo squisi-tamente letterario, la Cronaca è il più bel libroche sia stato scritto su Ezzelino.

Elio Franzin

EDOARDO RUBINI, Giustizia veneta. Lo spirito ve-neto nelle leggi criminali della Repubblica, Ve-nezia, Filippi, 2004, 8°, pp. 293, s.i.p.

Verso la metà del Duecento il grande giuristabolognese Odofredo constatò che Venezia se-guiva un proprio diritto le cui fonti erano costi-tuite da statuti, promissioni, deliberazioni giuri-sprudenziali o consiliari, consuetudini, indipen-dentemente dalla grande tradizione romanistica.Venezia dunque era caratterizzata da una propriatradizione giuridica. Viene generalmente indica-to nel secolo IX il priodo in cui la Repubblica sistruttura con proprie leggi. Il diritto veneto siformò sotto forma di Statuto, cioè di normeprodotte in loco, ma vantò la prerogativa diescludere il diritto romano persino come fonteintegrativa. Venezia non attribuiva alcun valoredi leggi alle compilazioni di Giustiniano. In senoal patriziato veneziano si temeva il “tecnico” deldiritto, in quanto portatore di una mentalità astrattae inoltre depositario di un sapere occulto. Siritenne necessario che il potere giuridico appar-tenesse a tutto il corpo aristocratico. Normal-mente veniva concesso agli organi giudicantil’ arbitrium, inteso come sfera di poteri equitativie discrezionali. L’arbitrium rappresentava unallargamento dei poteri, un modo elastico diapplicare le norme esistenti. I magistrati detene-vano delle competenze giudiziarie, ma a questene aggiungevano altre di carattere politico-am-ministrativo. In origine la giustizia civile e quellacriminale erano amministrate con un unico pro-cesso. La Quarantia criminal divenne la mag-giore magistratura penale con competenza ordi-naria. Il massimo tribunale competente a trattaretutti i casi giudiziari era il Consiglio dei Dieci.I tre Avogadori de Comun esercitavano il con-trollo sulle altre magistrature.

Il libro è articolato in tre parti: l’ordinamentoveneto, le pene, i reati.

Lino Scalco

MASSIMO COSTANTINI, Porto, navi e traffici aVenezia. 1700-2000, Venezia, Marsilio, 2004,8°, pp. 158, ill., s.i.p.

Si tratta di tre distinti saggi – i primi due giàpubblicati nella benemerita Storia di Veneziadella Treccani, l’ultimo inedito – i quali affron-tano l’importante tema dell’evoluzione storica edell’importanza economica della portualità ve-neziana, dalla tarda età moderna ai giorni nostri.

All’inizio l’autore si sofferma sul declino rela-tivo della marina e del commercio veneti nell’ul-timo secolo della Serenissima, inquadrato nellacrisi dell’economia mediterranea – declino cheperaltro aveva profonde radici, a cominciare dal-l’espansionismo ottomano e dalla guerra di corsache assorbirono energie e risorse eccessive –, perapprodare alla riconversione degli investimentidel patriziato nella proprietà fondiaria. D’altraparte, è anche vero che Venezia non rimaseimpassibile di fronte alla crisi e tentò di reagireadottando provvedimenti che potessero contra-starla. La perdita della Morea, avvenuta nel 1718,

contribuì ad aggravare la situazione, riattivandola guerra di corsa islamica e costringendo Vene-zia a una costosa riorganizzazione dei propritraffici, oltre che ad inutili provvedimenti prote-zionistici.

Lo studio di Costantini è documentato e pun-tuale, fornisce dati e cifre in gran copia, avanzan-do giudizi equanimi e circostanziati sulle carat-teristiche della crisi veneziana. Mostra anche inotevoli sforzi prodotti dal governo per contra-starne la deriva: la formazione professionale, iltentativo, peraltro maldestro, di reindirizzare lacultura dei nobili, la fondazione della scuolanautica, il codice della marina mercantile.

È importante sottolineare come Costantiniponga l’accento sulle cause profonde della deca-denza del porto veneziano, connesse soprattuttoad una modificazione strutturale della sua eco-nomia, sempre più diretta verso gli investimentifondiari di terraferma, nonché al mutamentodegli equilibri economici internazionali, imper-niati ora sul traffico atlantico. Ciò non toglie checomunque il porto lagunare continuasse a dimo-strare segni di vitalità non indifferenti e la suastoria non è certo conclusa con la caduta dellaRepubblica.

Nel corso dell’Ottocento, viene introdotto ilporto franco e si realizzano grandi opere infra-strutturali, a partire dalla diga di Malamocco e dalponte ferroviario, per giungere alla stazione ma-rittima al volgere del secolo. Venezia, scrive Co-stantini, assiste alla nascita di un nuovo paesaggioindustriale attorno alle sue strutture portuali, men-tre una nuova classe operaia arricchisce il tessutosociale cittadino. Ma, in coincidenza con i nuovigrandi lavori di adeguamento della portualità alleesigenze dell’espansione, giungevano anche i pri-mi gravi danni all’ecosistema, “Fu così che, tral’Otto e il Novecento, la laguna divenne un terri-torio da interrare o da attraversare... più che davivere”: Porto Marghera era alle porte. Costantininon manca tra l’altro di evidenziare le diatribe chenacquero periodicamente attorno alle modalità disviluppo di una politica ambientale, alla quale idestini del porto erano strettamente legati. Lacostruzione del nuovo insediamento industrialedi terraferma contribuì a ribaltare l’ormai secola-re rapporto di inferiorità nei confronti di Trieste.Il resto – la nuova crisi commerciale successivaal 1973, la crisi di Marghera, la nuova destinazio-ne turistica – è storia attuale, in fieri.

Michele Simonetto

BAYKAR SIVAZLIYAN , Del Veneto, dell’Armenia edegli Armeni (La memoria dell’integrazione),Venezia, Regione del Veneto - Treviso, Canova,2003, 4°, pp. 157, e 31,00.

A distanza di tre anni dal primo volume, conuguale titolo, un’ulteriore indagine-testimonian-za della storia e della presenza a Venezia e nelVeneto della comunità armena. Sempre perfetta-mente integrata, pur mantenendo inalterata lapropria cultura in tutte le sue accezioni. Riassu-me bene in apertura del primo volume GiancarloGalan, presidente della Regione Veneto, che ha

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

contribuito con naturale consapevolezza alladoppia iniziativa editoriale, i rapporti tra Venetie Armeni. “Si conoscono e si stimano – scrive –da più di ottocento anni, e non sono mai entrati inconflitto, Venezia aveva stretti rapporti col Re-gno armeno di Cilicia, istituì una casa per icommercianti armeni già nel XIII secolo; vi videla luce nel 1512 il primo libro a stampa dellacultura armena, due secoli e mezzo prima chequesto avvenisse nel territorio d’origine; nelXVIII secolo, concedendo a Mechitar l’isola diSan Lazzaro, diede un contributo determinantealla conservazione dei tesori di quella cultura.I rapporti non cessarono dopo la caduta dellaRepubblica, come dimostrano il Collegio armenoMoorat Raphael e l’accoglienza di nuove fa-miglie armene dopo la seconda diaspora delNovecento”.

Sovviene in proposito il libro, più volte ri-stampato da Mursia, La Venezia degli Armeni, diAleramo Hermet e Paola Cogni Ratti di Desio,che racconta tra l’altro la fitta rete di “segni”lasciata nel tempo sulle pietre, sui palazzi, financonella toponomastica stradale, da questo ingegno-so e laborioso popolo. I due volumi di BaykarSivazliyan – armeno di Istanbul, ma sostanzial-mente veneziano, poiché dall’età di tredici annivi frequentò il citato Collegio armeno Moorat-Raphael, laureandosi poi a Ca’ Foscari in Linguee Letterature Orientali, specializzato in turcologiaed armenistica, autore di una cinquantina divolumi, in particolare sull’area mediorientale esulle relazioni fra le diverse etnie dell’ImperoOttomano – ripercorrono le secolari vicende delsuo popolo, anche drammatiche e strazianti, comele lunghe e periodiche persecuzioni e il genocidiosubito nel 1915-1923 per mano del governo deiGiovani Turchi (“ancora oggi dimenticato e pur-troppo negato dalla Turchia attuale”, come scri-ve in introduzione Gaghik Baghdassarian, am-basciatore della Repubblica d’Armenia in Ita-lia), che portarono gli Armeni nel mondo. Dia-spora che si intensificò soprattutto negli anni dipoco precedenti il 1900, quando il sultano AbdulHalid iniziò una politica durissima nei confrontidelle minoranze, ma soprattutto di quella armena.Sono pagine di chiarissima esposizione che toc-

cano tutte le fasi della storia degli armeni, irapporti con la Chiesa cattolica, con l’Islam. Conle culture dei vari paesi presso i quali essi chieseroospitalità e Venezia ne risulta in qualche modoprivilegiata. Nella chiesa veneziana di San Mar-tino, nei pressi dell’Arsenale, al mattino di ognidomenica, fino a giorni non lontani, si celebravauna messa con rito armeno. In una casa adiacente(al civico 2292 di Castello) l’abate Mechitar abitòsubito dopo il suo arrivo a Venezia.

Nei due volumi sono raccolte anche intervistecon “armeni-veneti” che sono testimonianza diquesta continua integrazione. Armeni che inVeneto operano anche come professionisti e invarie discipline. Chiudono i volumi gli elenchidei libri apparsi in Italia (in lingua italiana)sull’argomento armeno.

Piero Zanotto

BOGHOS LEVON ZEKIYAN - ANTONIA ARSLAN -ALDO FERRARI, Dal Caucaso al Veneto. Gli Armenifra storia e memoria, a cura di Antonia Arslan eRosetta Frison Segafredo, Padova, ADLE - Socie-tas Veneta per la storia religiosa, 2003, pp. 76, 8°,ill., e 12,50.

Nella primavera di ogni anno la Societas Venetaper la storia religiosa organizza una serie diconferenze seminariali; nel 2002 questa serie haavuto come tema Islam e Armeni. Esperienze diconflitto e di convivenza. A causa di motiviorganizzativi, il presente volume pubblica sologli interventi riguardo agli Armeni. Come affer-ma Boghos Levon Zekijan nel primo intervento,la riflessione sul rapporto tra Cristianesimo eIslam è divenuta un’emergenza culturale all’in-domani dell’attentato dell’11 settembre 2001.All’interno di quest’emergenza, una delle pagi-

ne più dolorose e perciò stesso significativeriguarda i rapporti tra Islam e Armeni alla lucedei fatti dello “Metz Yeghern”, il “grande male”;con queste parole gli Armeni evocano gli eventisanguinosi perpetrati dal governo dell’ImperoOttomano nel 1915 nei confronti del loro popoloe della loro cultura, eventi che sono stati conside-rati come il primo dei genocidi del Novecento.Nonostante la ferita pesi sulla memoria e talvoltaanche sulla stabilità psicologica dei sopravvissu-ti, ormai dispersi nel mondo; e nonostante ilnegazionismo da parte dei Turchi sia ancoraevidente e crei maggiore sofferenza a chi subìquella persecuzione, è necessario eliminare inu-tili stereotipi storiografici: gli studiosi concorda-no nell’affermare che l’Islam non fu il veromotivo del genocidio.

Uno sguardo alla storia della convivenza traArmeni e fedeli dell’Islam di varie estrazioni(Arabi, Persiani e Turchi) mostra come le dueculture e religioni, pur con inevitabili ma spora-dici momenti di grande tensione, fossero convis-sute nella pace e nel rispetto reciproco per diversisecoli. La brusca interruzione, avvenuta nel pas-saggio tra Ottocento e Novecento, fu causatadall’ideologia del nazionalismo turco (“Pantur-chismo”), portata avanti nell’Impero Ottomanodal partito dei “Giovani Turchi”, i quali si ispira-vano al modello francese e tedesco dello Stato-nazione. Il vero problema nacque, dunque, dalladifficile conciliazione tra il desiderio di una mo-dernizzazione in base al costituzionalismo euro-peo e la vita di una nazione teocratica decadente.Il credo islamico fu soltanto un pretesto e ancheuna potente veicolo di persuasione nei confrontidella popolazione ignorante, così incitata allaJihad. A tutto questo si aggiunse il silenzio equalche forma di collaborazione da parte deglialleati tedeschi. Il volume si conclude con latrattazione dei rapporti intercorsi fra Italia eArmenia: sicuramente la città più interessata fuVenezia, che fin dai suoi albori entrò in contattocon gli Armeni, suoi mediatori nei commerci conla Persia. Il rapporto si rinsaldò ulteriormente nelmomento in cui una comunità di padri mechitaristinel Settecento si stabilì nell’isola lagunare di S.Lazzaro, e ne fece un centro di formazione e dicultura armena.

Massimiliano Muggianu

CARLA CALLEGARI, Identità, cultura e formazionenella Scuola ebraica di Venezia e di Padovanegli anni delle leggi razziali, prefazione diMirella Chiaranda, Padova, CLEUP, 2002, 8°,pp. 384, e 24,00.

Nell’Ottocento e nel Novecento “in Italia gliebrei erano completamente integrati nella società,l’assimilazione era avvenuta e la parità dei diritticivili era un dato di fatto [...]. Con l’avvento delfascismo le condizioni di vita degli ebrei italianinon mutarono: alcuni presero la tessera fascista,mentre altri continuarono ad aderire ai gruppisocialisti o si schierarono con gli antifascisti”. Fusolo dopo la proclamazione dell’Impero che ilfascismo iniziò una politica di razzismo.

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

Iniziava frattanto un’accanita campagna anti-semita sia sulla stampa (giornali e libri) che alivello politico e intellettuale, preludio alle leggirazziali, le prime delle quali videro la luceall’inizio di settembre del 1938. L’autrice delpresente volume, dopo aver delineato le carat-teristiche dell’identità ebraica e le conseguenzenella vita della comunità ebraica italiana dopo leleggi appena citate, si propone di illustrare unasituazione particolare che si ricava, appunto, daltitolo. La reazione del mondo della cultura ebraicaalle leggi razziali fu immediata: nel giro di duemesi (settembre-novembre 1938) in tutto il Paesesi realizzarono modelli di Scuola ebraica. LaCallegari prende in esame la “microstoria” dellarealtà di Venezia e Padova dal 1938 al 1943, cherisulta “un’esperienza scolastica ed educativaper molti aspetti unica e con caratteristiche deltutto particolari e irripetibili: essa si pose comeesempio di voce dissonante in un passato a primavista univoco, perché dominato da un’ideologiaforte che non sembrava lasciare spazio a confrontie meno ancora a opposizioni”.

La ricerca dell’autrice si è basata soprattuttosulle fonti storiche archivistiche integrate dafonti orali, ricordi e testimonianze raccolti medianteil metodo dell’intervista. Il tutto viene articolatoin cinque densi capitoli, che trovano il loromomento più alto nel terzo (La pedagogiaebraica), nel quarto (Le Scuole Elementari Ebrai-che di Venezia e di Padova) e nel quinto (LaScuola Media Ebraica). Una ricca Appendice di20 documenti completa, insieme ad alcune foto,il volume, mettendo meglio in rilievo la realtà diun’esperienza ambivalente, vissuta tra una fortefiducia nelle caratteristiche educative della scuolain quanto tale e le delusioni dovute alla tragicitàdi fatti, come “le persecuzioni, le deportazioni, ledolorose esperienze della fuga e della clan-destinità, la Shoah e la decimazione di moltefamiglie all’interno delle Comunità ebraiche delledue città”. La positività dell’esperienza non vennecomunque scalfita, perché se da un lato le Scuoleebraiche vissero, come le loro Comunità, nell’iso-lamento e nella segregazione morale e materiale,dall’altro i giovani ebrei trovarono nell’istruzioneuna forma di riscatto e di progressiva presa dicoscienza, perché “a sostenerli nelle motivazioni,a infondere loro un senso di fiducia era il climadi serietà, di serena operosità, di compostezza[...] e, non meno, l’amicizia con i compagni, lasolidarietà [...], il senso di appartenenza a unacomunità che per non pochi era una stimolantescoperta”.

Giuseppe Iori

Socialismo, anarchismo e sindacalismo rivolu-zionario nel Veneto tra Otto e Novecento, atti delconvegno (Monselice, 12 ottobre 2003), a cura diGiampietro Berti, Padova, Il Poligrafo, 2004, 8°,pp. 312, e 32,00.

Il fenomeno socialista, anarchico e sindacali-sta e la sua evoluzione tra Otto e Novecento inarea veneta sono al centro di questo volumecurato da Giampietro Berti, che raccoglie gli Atti

del Convegno promosso dal Comune di Mon-selice nell’ottobre 2003. Il nesso locale-naziona-le è la chiave interpretativa che unifica i contri-buti degli studiosi. Negli anni tra due secoli cheportarono alla maturazione di un movimentooperaio e contadino, il Veneto sembra conferma-re la propria vocazione policentrica. Accantoall’ideologia antagonista, nelle sue varie decli-nazioni (socialismo massimalista e riformista,anarchismo, sindacalismo rivoluzionario) cono-sciute durante quel periodo, emergono in primopiano le realtà locali e la presenza di tradizioniautonomistiche che connotano fortemente l’atti-vità di organizzazioni politiche e sindacali: dalPolesine alla realtà veronese e vicentina, dallasituazione del veneziano e del trevigiano al con-testo bellunese. Ma qual è il peso specifico delmovimento? Durante l’età giolittiana la presenzaassociativa e sindacale fu costruita su tutto ilterritorio regionale in maniera abbastanza omo-genea, con strutture materiali, organi di propa-ganda, reti politico-ricreative, riferendosi a nu-clei organizzativi stabili e dotati di una sostan-ziale continuità.

I saggi affrontano questo arcipelago ideale daprospettive differenti. Gli studi biografici trat-teggiano l’esperienza di figure di “precursori”come Carlo Monticelli e Angelo Galeno, Lucia-no Visentin e Francesco Ortore. L’analisi dellaneonata stampa socialista (“Il Secolo Nuovo” diVenezia) rivela l’intima natura pedagogica delgiovane partito e i pericoli di una propagandacosì infatuata dell’idea da risultare spesso avulsadai reali rapporti di forza. Altro filone di sicurointeresse è costituito dallo studio dell’impattoavuto dall’emigrazione di massa sullo sviluppodel movimento socialista.

Il fenomeno del sindacalismo rivoluzionario èinquadrato nel suo contesto territoriale origina-rio (oltre che ideologico): è il caso del Polesine edi Verona. Non manca neppure uno sguardoattento alla produzione culturale coeva: dallafortuna del “teatro garibaldino” alla particolarelettura delle opere di Marx compiuta da AchilleLoria negli anni dell’insegnamento pressol’Ateneo patavino, per terminare con un esamedell’originale posizione criminologico-giuridi-ca di Giacomo Matteotti. Ad essere smentito,dunque, è il luogo comune (anche storiografico)che vede nel Veneto “bianco” una realtà sostan-zialmente monolitica, immutabile nel tempo.

Sfruttando questo approccio pluralistico, i sag-gi raccolti nel volume tracciano, più che il dise-gno di una “via veneta” al socialismo dai vaghicontorni, le linee evolutive di una tradizionepolitica e culturale che accompagna il consolida-mento dell’Italia liberale, tra momenti di aspracontesa e improvvise, ma non per questo menosignificative, convergenze. Dall’insieme è pos-sibile trarre una conoscenza più completa dellastoria veneta contemporanea e delle sue articola-te dinamiche politiche e sociali.

Diego Crivellari

GENOVA THAON DI REVEL, La cessione del Veneto.Ricordi di un commissario piemontese incarica-to alle trattative. Venezia 1866: dall’occupazio-ne asburgica all’occupazione sabauda dei terri-tori veneti, Venezia, Editoria Universitaria, 2002,8°, pp.160, e 14,00.

La guerra, nella sua tragica e incessante con-temporaneità astorica, sembra un dato costantedel processo di “civilizzazione” umana. La suastruttura violenta e conflittuale ha infatti attra-versato stabilmente l’evoluzione del genere uma-no, ma l’ovvietà di questa considerazione rischiadi schiacciare nell’identità di un’unica immagi-ne forme di relazione conflittuale, anche profonda-mente diverse, non permettendoci di compren-dere la peculiarità tutta particolare di ciò chenella storia si è chiamato e si sta chiamando“guerra”. Buon antidoto contro queste forme dianacronismo storico può essere la lettura di unlibro come quello di Thaon di Revel, in cui ildiplomatico piemontese ricorda gli eventi chesegnarono, nell’estate del 1866, il passaggio delVeneto dall’Austria all’Italia, grazie all’inter-mediazione della Francia.

Thaon di Revel era un generale e diplomaticopiemontese che fu incaricato, al termine dellaTerza Guerra di Indipendenza, di trattare il com-plesso problema dell’ annessione del Veneto. Iltesto, se depurato da un certa comprensibilecomponente autocelebrativa dell’autore, è sicu-ramente interessante. Acuta è, ad esempio, nellaprima parte, l’analisi della campagna del 1866dove non solo viene mostrata con chiarezza laconcatenazione di errori che causarono le scon-fitte italiane ma si rivela anche in modo illumi-nante come, al di là dell’effettiva portata degliinsuccessi patiti, sia stato l’atteggiamento com-plessivo dei comandi italiani ad amplificarne laportata (addirittura gli Austriaci vennero a sape-re dalle relazioni italiane di essere risultati vinci-tori a Custoza).

La seconda parte del testo è dedicata invecealle tortuose trattative che sancirono l’assegnazio-ne del Veneto all’Italia. È soprattutto seguendola sottile partita a scacchi che si gioca tra idiplomatici italiani, austriaci e francesi, più chenell’analisi delle vicende belliche, che si rivela lanatura del conflitto del 1866, una guerra tuttainterna alla politica europea, più che essere com-battuta sul campo: si trattò, infatti, di una guerrapreannunciata da una formale dichiarazione,combattuta da eserciti regolari, interrotta consen-

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

sualmente da armistizi riconosciuti, conclusasolennemente da trattati di pace che rivedevano,nel rispetto di un equilibrio complessivo e supe-riore, i tracciati dei confini degli stati. È propriomettendo in luce questa forma di conflitto che iltesto, ben al di là dell’intenzioni dell’autore, sirivela come una cartina tornasole capace di mo-strare, in negativo, le radicali trasformazionidella natura della guerra incorse nel nostro seco-lo, con l’incidenza dei processi di demonizzazionedel nemico e la costante instabilità dei confini frapace e guerra.

Ferdinando Perissinotto

SANTE ROSSETTO, Il Gazzettino e la società veneta.Storia di un giornale nel Nordest dal 1887 aoggi, Sommacampagna (VR), Cierre, 2004, 8°,pp. 356, ill., e 18,00.

Da più di un secolo “Il Gazzettino” è più di ungiornale nel – come recita il titolo del volume –o del Nordest; è diventato un osservatorio privi-legiato, uno specchio delle trasformazioni e deicambiamenti che hanno interessato questa areageografica. Fondato il 20 marzo 1887, “Il Gaz-zettino” sconvolse rapidamente il panorama lo-cale dell’informazione, presentandosi come gior-nale popolare, assai meno paludato dei suoiconcorrenti, attento alle notizie più che alle arrin-ghe politiche, calato da subito nella realtà locale,vicino al campanile. Durante i primi trent’anni,“Il Gazzettino” si sarebbe identificato con il fiutogiornalistico e con la figura carismatica di Gian-pietro Talamini, il mitico fondatore, intellettualedi origini cadorine, irredentista, capace di imma-ginare un quotidiano scritto contro preti e socia-listi, patriottico ma attento alla “questione socia-le”, sempre lontano dagli estremismi: dapprima“Giornale della democrazia veneta”, poi “Gior-nale democratico” e “del popolo”, quindi “Gior-nale del Veneto”. L’evoluzione del sottotitolodella testata, durante i suoi primi anni di vita,testimonia di una progressiva (ri)definizione dellapropria identità, di un’identità che comincia afarsi marcatamente regionale, aderendo allo sto-rico policentrismo veneto. Si tratta di una ricettache, nei suoi ingredienti fondamentali, sarà de-stinata a mantenersi a lungo e ad avere successo.Le ultime energie di Talamini saranno dedicateal vano tentativo di conservare (con il figlioEnnio) l’indipendenza del giornale di fronte aidiktat del potere fascista. Negli anni Trenta, “IlGazzettino” cambia di proprietà, entrando nel-l’orbita di un gruppo di industriali guidati daVolpi, Cini e Agnelli. La fine della guerra e delfascismo segnerà, poco più avanti, una svoltaepocale anche per il futuro della testata. “IlGazzettino”, dopo l’effimero tentativo di farnel’organo unitario del CLN regionale, diventeràpunto di riferimento del nuovo partito cattolico ecassa di risonanza dell’opinione pubblica mode-rata. Inizia così il “quarantennio democristiano”,periodo durante il quale “Il Gazzettino” si faportavoce di un intransigente anticomunismo.Nel 1960 arriva alla direzione lo scrittore Giu-seppe Longo, che cercherà di avviare il quotidia-

no sulla rotta di una prima cauta “sprovincia-lizzazione”. La società italiana è scossa, nelfrattempo, da rivolgimenti di vario tipo e, nono-stante la relativa lentezza del cambiamento, nep-pure “Il Gazzettino” potrà più essere pensatocome mera emanazione di un blocco sociale e dipotere monolitico, di un “Veneto bianco” inalte-rabile. Bisognerà attendere, però, l’impronta didirettori come Alberto Cavallari (1969-1970) eGiorgio Lago (1984-1996), nonché un nuovocorso alla proprietà con l’arrivo di un gruppo diindustriali veneti, che rilevano un giornale incattive acque finanziarie (1983, dopo il crack delBanco Ambrosiano), perché “Il Gazzettino” ab-bandoni definitivamente ogni ingombrante tute-la e navighi nel mare magno della modernità.Muore il vecchio Triveneto e nasce il Nordest,locomotiva d’Italia, animata da mai sopite in-quietudini politiche e sociali. La ricostruzione diRossetto, non priva di accenti critici, continua ariconoscere tuttavia nel rapporto con il territorioun unicum, che ancora contrassegna l’esperienzadel quotidiano nel panorama nazionale.

Diego Crivellari

DINO MARCHESINI, “Verona del Popolo” 1890-1922, Verona, Gemma Edicto, 2002, 16°, pp. 164,e 11,00.

L’autore ripercorre la storia di “Verona delPopolo”, dalla nascita nel 1890 come giornaleradicale (due pagine di piccolo formato), allasuccessiva attenzione benevola, se non di con-senso, verso il movimento anarchico, per appro-dare poi al socialismo, dopo la nascita del Partitodei lavoratori italiani nel 1892. “Il Primo Maggio1893 – afferma Marchesini – l’allineamento di‘Verona del Popolo’ al Partito dei lavoratori ècosa fatta, al punto che se ne pubblica il

manifesto”, dichiarando esplicitamente che lo siadotta come proprio.L’autore fornisce un reso-conto preciso delle tematiche via via affrontate,dei giornalisti che vi hanno collaborato e deirapporti che il giornale ha intrecciato sia con lavita politica e civile di Verona, sia con quei co-muni della provincia più presenti nelle cronachedel giornale. C’è, comunque, una costante nellavita di questo giornale, ed è rappresentata dallebattaglie politiche nei momenti delle elezionicomunali o nazionali, in cui si discute qualeposizione assumere e quali candidati (propri odell’area democratica) appoggiare.

Un altro argomento spesso ivi dibattuto è ilrapporto che si stabilisce tra le posizioni delPartito socialista di Verona e quelle assunte alivello nazionale; in questo caso siamo in presenzadi correnti spesso in conflitto su scelte di politicagenerale e dei candidati locali. Un momentocruciale è rappresentato dalle elezioni generalidel 3 giugno 1900, quando il gruppo elettoralesocialista decide di appoggiare il candidatodemocratico Lucchini nel primo collegio, acondizione che sia appoggiato il candidatosocialista Mario Todeschini nel secondo:entrambi sono eletti e nel Parlamento italianoentra il primo socialista di Verona. L’Italia siavvia, con Giolitti, verso una nuova fase dellasua storia, e il giornale veronese passa da setti-manale a quotidiano, sia pure per poco; segueuna breve sospensione, per riprendere poi comesettimanale. Ci sono altre metamorfosi delgiornale, legate alle vicende interne del Partitosocialista: l’irrompere del sindacalismo rivo-luzionario, la guerra di Libia, il travaglio del-l’entrata in guerra, quando Verona rappresenta“la terza amministrazione socialista d’Italia”. Indue capitoli finali è tracciata la storia del giornaledal dopoguerra al fascismo; nel 1922 la cadutadel “Comune rosso” di Verona è seguita, il 30 di-cembre, dalla chiusura di “Verona del Popolo”.

Mario Quaranta

Non solo armi. Pasubio 1915-1918, Rovereto(TN), Nicolodi, 2002, 8°, pp. 200, ill., s.i.p.

Il volume, patrocinato dai sindaci dei comunidel Pasubio, è frutto di una ricerca a più mani edella collaborazione tra il Museo Storico Italianodella Guerra di Rovereto e il Tiroler Kaiserjager-museum di Innsbruck, i quali hanno fornito ilmateriale fotografico che compone questo cata-logo bilingue, introdotto da Gianluigi Fait.

Lo sfondo storico e geografico è la guerra del1915-1918 sul Pasubio, vista attraverso gli occhidei vincitori, ma anche dei vinti. Le fotografiesono bellissime, e, nella loro straordinaria niti-dezza, rinviano a un mondo, a una quotidianitàche ci sembrano semmai, a quasi un secolo didistanza, ancora più vicini. Il catalogo si articolain sezioni tematiche: i Luoghi, con i sistemimontuosi che costituiscono il Pasubio, ripresinelle diverse stagioni; i Comandanti, ufficialisuperiori di entrambi gli eserciti; i preparatividell’offensiva del 15 maggio 1916, con la qualel’esercito austro-ungarico si proponeva l’obiet-

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tivo di irrompere nella pianura veneta attraversola Val Leogra, la Val Posina e la Val d’Astico; itrasporti, con immagini, anche in campo lungo,delle massacranti trasferte di uomini e materiali,degli epici traini di cannoni e obici sugli irtipendii; le retrovie, con la vita quotidiana delsoldato nelle pause delle battaglie, il bucato, ilbagno, qualche momento di allegria, la messa alcampo; i prigionieri e i feriti, gli ospedali dacampo, le ambulanze; i baraccamenti e gli allog-gi di soldati e ufficiali, le valanghe che travolgo-no le baracche, gli arditi sentieri sui ripidi pendiirocciosi; gli impianti, l’ingegno degli uominimesso alla prova dalla scarsità d’acqua alla qualesi provvedeva con impianti di pompaggio, dicompressione dell’aria, le tubazioni degli acque-dotti che superavano anche mille metri di disli-vello, e poi le teleferiche, che facevano parteintegrante del paesaggio montano; la prima li-nea, le trincee, gli appostamenti, gli osservatori;i lavori da mina, l’assalto fisico anche alla mon-tagna, il mutamento del paesaggio, la ricercaspasmodica di posizioni nelle quali ripararsi daibombardamenti; infine le rovine e i cimiteri – illascito più vero e logico della guerra – i funerali,la lunga teoria di croci e lapidi che compone ilmosaico di un paesaggio spettrale, i pietosi ritidel recupero delle salme, o di ciò che ne resta, larovina dei villaggi, delle chiese sventrate.

Si tratta di un lavoro condotto con criteri sto-riografici e scientifici rigorosi; puntuali le intro-duzioni alle singole sezioni e le didascalie giu-stapposte al materiale fotografico, con i rinviialle relative collocazioni archivistiche.

Michele Simonetto

ANDREA DI VALMARANA , Con gli autocannoni suifronti della grande guerra. Isonzo - Carso -Pasubio - Carzano - Altopiano di Asiago - MonteGrappa - Piave - Montello - Vittorio Veneto, acura di Claudio Gattera, Novale di Valdagno(VI), Rossato, 2003, 8°, pp. 212, ill., e 20,00.

“Fra tutte le artiglierie impiegate dal RegioEsercito Italiano durante la Grande Guerra, lebatterie d’autocannoni Ansaldo Schneider da102 mm sono probabilmente le meno conosciu-te, sia per la scarsità di documentazione e di datidisponibili, sia per la loro breve vita operativa.Ma sono senz’altro tra le più interessanti, perchérappresentano il primo tentativo italiano di pro-durre artiglierie campali autocarreggiate,precorritrici dei moderni mezzi semoventi, chenon fossero vincolate a posizioni statiche, mapotessero essere spostate e piazzate in brevetempo dove occorreva il loro intervento”.

Questo passo dell’Appendice offre la chiavedi lettura dell’intera opera, che vede come pro-tagonista primario il conte Andrea di Valmarana(1891-1978), che agì come ufficiale in primalinea nei luoghi citati nel titolo e che allo stessotempo compose un Diario quasi giornaliero del-le sue esperienze militari, testo che viene orapubblicato, diviso in quattro capitoli (uno perogni anno di guerra), secondo la forma dimemorialistica immediata scelta al momento

della stesura, conservata per mantenere intatto ilriflesso delle impressioni “in presa diretta”.

Il conte di Valmarana fu particolarmente esper-to di artiglieria, settore i cui fu trasferito dopo leprime esperienze nel 4° squadrone del reggimen-to lancieri “Nizza Cavalleria”: nel nuovo incari-co egli percorse la carriera militare fino al gradodi capitano, meritandosi la medaglia d’argento alValor Militare, dimostrandosi anche capace digiudicare l’animo degli uomini, come in occa-sione della disastrosa esperienza di Caporetto,quando biasima “il comportamento di molti uffi-ciali superiori che non sanno che cosa vogliono,che sono moralmente sbandati come e peggio deisoldati, che non hanno né ordine né direttive daimpartire, ma vogliono far valere il loro gradocon minacciosa autorità”.

Il Diario di Valmarana è impostato e condottosulla chiarezza e sulla precisione, che ne fannoun documento quasi “visivo”, reso ancor piùconvincente dalla ricca documentazione fotogra-fica che presenta il quadro della Grande Guerravisto dall’ottica delle nuove terribili armi chel’hanno caratterizzata: i gas asfissianti, gli aerei,i carri armati e gli autocannoni. Armi che, insie-me alla tremenda guerra di trincea, hanno reso ilPrimo conflitto mondiale un’esperienza nuova ediversa rispetto a quelle precedenti, come moltipoeti e scrittori hanno poi evidenziato nelle loroopere (si pensi, tra tutti, a Ungaretti, Jahier, Lus-su, Comisso). Un’esperienza che incise profon-damente sull’animo dei protagonisti; lo stessoValmarana, concludendo il suo Diario, affermache “si chiude così una lunga pagina di vitaintensamente vissuta: non sarà facile tornare allavita normale”.

Giuseppe Iori

Guerra a fuoco. Dal Carso agli Altipiani, dalMonte Grappa al Piave: la Grande Guerra nel-l’album fotografico del tenente Sante Gaudenzi,a cura di Lucio Fabi, Cremona, Persico, 2003, 8°,pp. 128, ill., e 14,00.

Trincee della memoria. La Grande Guerra inCarnia, in Val Dogna e sullo Jôf di Miezegnot,Cremona, Persico, 2003, 8°, pp. 128, ill., e 14,00.

Quaderno di guerra. Carso, Altipiani, Caporetto:la Grande Guerra nella memoria autobiograficadel caporale Giuseppe Marchesotti, a cura diFranco Macchieraldo, Cremona, Persico, 2003,8°, pp. 128, ill., e 14,00.

Sotto il nome de “Il segno della guerra” sipresenta “una collana che alla rigorosa ricostru-zione storica vuole unire un consistente reperto-rio di fonti visive e iconografiche, essenziali perricostruire, della Grande Guerra, la percezionedell’immane conflitto che apre la strada all’etàcontemporanea e al mondo che conosciamo oggi”.

La fotografia trova nella crescente necessitàd’informazione prodotta dalla Prima Guerramondiale un fertile terreno di crescita. Utilizzatasia a scopo bellico (per l’identificazione degliobbiettivi militari e il riconoscimento del territo-rio) che a livello propagandistico, essa è anche,grazie alle nuove fotocamere leggere ed econo-

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miche, democraticamente nelle mani di migliaiadi soldati, che ne fanno “l’essenziale strumentodi comunicazione fra fronte e Paese”. I tre volu-mi portano alla luce una memoria privata che, senon si allontana molto dal conformismo dellosguardo ufficiale, ha almeno il pregio di ampliar-lo con forza. Il teatro di tale sguardo sono i luoghidel conflitto in territorio veneto-friulano: il Carso,gli Altipiani, il Monte Grappa e il Piave. Leistantanee colgono soprattutto quella vita di guer-ra che si sviluppa ai margini del combattimento:le marce, l’allestimento delle postazioni, le rovinedei paesi degli Altipiani, l’entrata in Gorizia ol’improvvisa visita di S.M. il Re Vittorio Emanue-le III a ricognizione delle linee; e quant’altro capitisotto l’obiettivo del soldato-fotografo. Si mette inatto quel“ turismo di guerra” che, non diversa-mente da una gita domenicale in campagna,acquisisce i propri ricordi. Feriti, cadaveri, lacrudezza della battaglia, a fatica emergono inprimo piano, censurati dal pudore, dalle possibiliaccuse di disfattismo e non ultimo, dalle difficol-tà tecniche che presenta il fotografare nel mo-mento dello scontro armato. Ma il rappresentarsisorridenti, uniti, anche gai è, per i soldati, quelmodo diretto di mostrare alla propria famiglia, aipropri cari, che si è ancora vivi e fors’anche,mentre come mosche si muore ad ogni scontro,di ripeterlo a se stessi.

Il primo volume, estratto dall’album del te-nente Sante Gaudenzi, appassionato e collezio-nista, mostra scatti di diversa mano e diversovalore. Apprezzabili, per uno sguardo più direttoalla guerra, le immagini dell’oltre Piave. Piùinteressante il materiale presente in Trincee del-la memoria, che mostra le posizioni e il lavoro diconsolidamento, effettuato sulle cime carniche,in Val Dogna e sullo Jôf di Miezegnot, a testimo-nianza d’un conflitto combattuto su un confineche, per circa i due terzi dello sviluppo, correvasopra i duemila metri. In questo caso, le fontisono le raccolte fotografiche di guerra del comu-ne di Valdagno. Il terzo volume è invece undiario di guerra, messo in forma e corredato dauna trentina di istantanee, dal caporale GiuseppeMarchesotti. Una prosa affettata narra della trin-cea, di ospedali e licenze ma soprattutto dell’im-mane sbando dell’esercito italiano, all’indomanidella rotta di Caporetto, il 24 ottobre del 1917: “sirisaliva la ritirata, la spaventosa marea umana.Era orribile quello che si vedeva! [...] carri pienidi feriti, che più nessun ospedale voleva ricevere,camions, cannoni, carreggi e uomini paurosi,spaventati, che andavano, andavano, andavano,senza nessuna meta, portati e risospinti come dauna forza magica sovrumana”.

Gianluca Barp

TIZIANO BERTÈ, Caporetto. Sconfitta o vittoria?,Novale di Valdagno (VI), Rossato, 2002, 8°, pp. 144,e 16,00.

La rotta di Caporetto è comunemente consi-derata una delle maggiori disfatte della storiamilitare moderna, non solo italiana. Ma, comescrive il generale di Corpo d’Armata FulvioMeozzi nella Presentazione di questo volume,

Tiziano Bertè vuole rovesciare tale “interpreta-zione pessimistica e denigratoria purtroppo or-mai consolidata nella coscienza nazionale”. Latesi di Bertè è che il generale Cadorna, già apartire dalla primavera del 1917, ritenesse inevi-tabile un ripiegamento strategico, anche fino alPiave, e che quindi la ritirata si sia svolta secondoun piano prestabilito, sulla base di precise neces-sità strategiche: Cadorna “di proposito non presealcun provvedimento per fermare l’offensivaaustro-germanica. Anzi, approfittò di questa perportare il Regio Esercito Italiano su di una nuovalinea più corta e meglio difendibile”. E di conse-guenza l’autore ipotizza “che a Caporetto l’Ita-lia, con l’arretramento strategico voluto dal ge-nerale Cadorna, abbia vinto la guerra anche seapparentemente ha perso una battaglia”. Di talepiano sarebbe stato al corrente solo il Re VittorioEmanuele III , poiché la diffusione della notiziaavrebbe creato una diminuzione dello spiritocombattivo delle truppe. Anche l’abbandono diun’enorme quantità di materiale bellico durantela ritirata (il 44,6% delle artiglierie) sarebbe statopreventivato: infatti, si trattava di armamentiantiquati che furono abbondantemente sostituitinei mesi successivi. Ma queste perdite materiali,come del resto la cattura da parte austriaca dicirca 300.000 prigionieri, furono dovute ancheall’eccessiva precipitazione nella distruzione deiponti ad opera di alcuni ufficiali subalterni.

L’indagine è condotta su un materiale documen-tario abbondante e dettagliato, ed in particolaresegue da vicino le comunicazioni dei comandiitaliani prima e durante la ritirata. Una parte deidocumenti è riprodotta in appendice al volume,che è anche fittamente illustrato da fotografied’epoca. Purtroppo Bertè non ha potuto consul-tare memorie o scritti specifici del generaleCadorna, poiché, pochi giorni dopo la sua morte,buona parte del suo archivio personale fu seque-strata dai Carabinieri Reali e di esso si perse ognitraccia. Anche questo porta l’autore a sospettareche la vera storia di Caporetto non corrisponda aquella ufficiale, come pure gli appare significa-tivo il silenzio di Cadorna stesso sull’argomento:quando Vittorio Emanuele III decise di non di-fendere il suo generale, destituito in seguito aCaporetto, questi “per rispetto al suo Re ritenneopportuno tacere, da gentiluomo qual era”.

Luca Zuliani

CAMILLO PAVAN, I prigionieri italiani dopo Ca-poretto, a cura di Alberto Burato, Treviso, Pavan,2003, 8°, pp. 176, ill., e 18,00.

Lo scrittore ed editore trevigiano Camillo Pavanprosegue le sue pubblicazioni sulla Prima Guer-ra mondiale. Quattro anni dopo il bel volume suGrande guerra e popolazione civile. Caporetto.Storia, testimonianze, itinerari (1997), Pavan dàalle stampe un secondo libro dedicato a I prigio-nieri italiani dopo Caporetto. È un testo prevalen-temente narrativo, costruito attraverso le memo-rie – scritte e orali, edite ed inedite – lasciate daalcuni dei 300.000 soldati italiani che furono fattiprigionieri durante le terribili giornate seguite al24 ottobre 1917.

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

Facendo parlare i propri testimoni, Pavan rac-conta il momento della resa al nemico, vissutaspesso in maniera ambivalente, come sconfittama anche come provvisoria liberazione dai peri-coli e dagli stenti della vita di trincea; il lungoviaggio che i prigionieri affrontano per raggiun-gere le loro destinazioni finali, prima a piedi –esposti all’arbitrio di carcerieri, sempre più incattiviti,e alla crescente indifferenza od ostilità dellastessa popolazione civile – e quindi nelle tradotteferroviarie; e infine le dure condizioni dellaprigionia che costrinsero tutti alla fame e lasciaro-no nei campi austro-tedeschi 100.000 morti. Perspiegare l’altissima percentuale di prigionieri ita-liani deceduti nei campi di prigionia (cinquevolte più degli alleati francesi, che ebbero circalo stesso numero di internati), l’autore fa propriele tesi proposte recentemente da Giovanna Pro-cacci (Soldati e prigionieri italiani nella GrandeGuerra, Editori Riuniti, 1993, e Bollati Borin-ghieri, 2000), la quale attribuisce questa ecatombenon tanto ai maltrattamenti dei carcerieri, quantoa una vera e propria strategia del ComandoSupremo italiano, il quale ostacolava l’invio diaiuti alimentari ai prigionieri per scoraggiare lapossibile diserzione degli altri militari ancora alfronte. Le fotografie e le testimonianze pubblica-te al riguardo sono agghiaccianti.

L’ultima parte del libro riporta l’elenco e lalocalizzazione di 470 campi di prigionia permilitari italiani, disseminati ai quattro angolid’Europa, nei vasti territori degli imperi centrali(austro-ungarico, tedesco e ottomano). Il libro sichiude con un “vademecum per il ricercatore”,che contiene alcune “indicazioni su come effet-tuare una ricerca dei morti in guerra e in prigio-nia”: una conclusione in linea con lo spirito dellibro che si rivolge non agli storici di professio-ne, ma al mondo più vasto dei lettori curiosi esensibili, ai quali consegna qualche chiave in piùper continuare con le proprie forze, individual-mente, una ricerca che “può essere davvero unantidoto contro l’assurdità della guerra, cioè delmetodo estremo, più brutale e – come dimostraproprio la Prima Guerra mondiale – molto spessopiù inutile per la soluzione, giusta e duratura, deiconflitti”.

Alessandro Casellato

MICHAEL WACHTLER - GUNTHER OBWEGS, Dolomi-ti - La Grande Guerra, Bolzano, Athesia Touristik,2003, 8°, pp. 208, ill., s.i.p.

Questo lavoro vuole essere un omaggio deidue autori, entrambi appassionati di storia e dialpinismo, alla propria terra, alle proprie monta-gne e alla storia della loro gente. In particolare aquello splendido teatro delle Dolomiti altoatesinee venete, perla paesaggistica e turistica, ma anchesanguinosissimo campo di battaglia della PrimaGuerra mondiale, fra il 1915 e il 1917, anno incui, dopo la rotta di Caporetto, il nuovo fronte siattestò sul Monte Grappa e sul Pasubio. Unevento bellico senza precedenti, per tecnica e perbrutalità, di cui queste montagne portano ancorasegni ben visibili, fratture aperte come ferite. Gli

autori rinunciano fin da subito a una descrizioneprecisa dei fatti bellici, per concentrarsi piuttostosulle singole esperienze umane, cercando neidiari, nelle lettere e nei racconti gli echi dellesofferenze e dei sentimenti. Al centro del libroviene messo l’uomo “semplice”, quello che la-scia le occupazioni quotidiane per ritrovarsi alfronte, dove la propria singolarità finisce percomporre un tutt’uno con quella degli altri indi-vidui che gli vivono e gli muoiono accanto.Molto significativamente il libro si apre sullostraordinario sviluppo che, nel cinquantennioprecedente il conflitto, aveva fatto dell’area do-lomitica uno dei maggiori centri del turismoeuropeo. Un benessere fittizio che non riusciva anascondere né le ineluttabili vicende politicheche portarono alla dichiarazione di guerra, nél’irrisolto problema della compresenza nello stes-so territorio di popoli di lingue e culture diverse.Questo paradosso è ben rappresentato da duedelle vicende narrate nel libro. La prima è quelladei soldati di lingua italiana che, appartenenti alcorpo multilingue dei Kaiserjäger (Cacciatoriimperiali), vennero mandati al massacro contro iRussi in Galizia, lungo il fronte orientale. Laseconda è quella, più conosciuta, del trentinoCesare Battisti, cittadino austriaco e deputato alParlamento di Vienna, da dove cercava di mi-gliorare la posizione della popolazione italiana inTirolo, che allo scoppio della guerra si era schie-rato dalla parte dell’Italia. Fatto prigioniero, ven-ne giustiziato dopo un processo-farsa, diventan-do così un martire italiano dell’irredentismo. Lanarrazione si dipana accompagnata da un im-pressionante apparato fotografico (composto so-prattutto da foto d’epoca, ma anche da testimo-nianze dei nostri giorni), che riesce a dare ilgiusto referente visivo, mostrandoci quello che,ogni giorno, vedevano i soldati: le distese di nevee quelle dei cadaveri, i fili spinati, le affollatissi-me messe fra i ghiacci, le battaglie. Ma anche lenuove tecnologie applicate alla guerra: l’aviazio-ne e lo sci, che proprio nelle Dolomiti ricevette ilsuo battesimo di fuoco rivelandosi uno strumen-to decisivo per le sorti delle battaglie.

Tobia Zanon

LUCA GIROTTO, 1866-1918 Soldati e fortezze fraAsiago e il Grappa. Storia ed immagini dello“sbarramento Brenta-Cismon” dal Risorgimentoalla Prima Guerra mondiale, Valdagno (VI),Gino Rossato Editore, 2002, 8°, pp. 376, ill.,e 22,00.

È sicuramente a partire dagli inizi del ’500,quando i parchi di artiglieria dei primi esercitipermanenti cominciarono a raggiungere unamobilità e una efficienza letali, che la rincorsa fracannone e fortificazione assunse un’accelerazionevolta a segnare lo sviluppo dell’arte militare neisecoli successivi. Mentre tra il XVI e il XVII secolosi assisteva alla massiccia diffusione in Europadell’architettura bastionata, sempre più acceso sifaceva il dibattito tra i sostenitori della guerra dimovimento e i fautori della difesa flessibile. Se levicende militari del ’700 sembravano arridere a

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

questi ultimi, le guerre napoleoniche travolgeva-no nel turbine delle avanzate avvolgenti dellaGrande Armée il modello difensivo delle for-tificazioni fisse, modello che però mostrava an-cora la sua validità nell’800.

Basta questa rapidissima ricostruzione deglieventi bellici dei primi secoli della modernità perspiegare come un argomento apparentementearido, possa offrire validi spunti di riflessione suun panorama molto più ampio. È questo il mag-gior pregio della documentatissima opera di LucaGirotto: il testo ripercorre infatti le vicende delsistema difensivo del Brenta-Cismon, dall’Unitàd’Italia alla Prima Guerra mondiale, inserendoleall’interno di un orizzonte molto più complesso evasto che tiene conto del quadro delle relazionidiplomatiche e dei processi di ammodernamentotecnologico fra tardo ’800 e inizi ’900 e delloscenario strategico globale della Grande Guerra.L’autore mette in luce inizialmente l’importanzavitale della Valsugana, già dall’età medievalecostellata da una miriade di castelli a guardia deipassaggi più critici. Fra questi forse il più strate-gico era proprio lo sbarramento Brenta-Cismon,area dove, non a caso, si concentra l’interessedello stato maggiore del neonato stato italiano findalla pace del 1866, che aveva consegnato ilVeneto all’Italia, esponendolo però, dato lo svan-taggioso tracciato dei nuovi confini, alla possibi-le aggressione austroungarica. Fattore indicativodella precarietà delle relazioni austro-italiane,nonostante il paravento della Triplice Alleanza, èil poderoso rafforzamento del sistema dei fortiitaliani in questo settore a partire dal 1904, conl’introduzione di nuove opere in calcestruz-zo coronate dalle batterie corazzate da 149 mm,cannoni che offrirono comunque uno scarso ap-porto alle vicende belliche del fronte trentino.Nei primi giorni di guerra l’avanzata italiana nelsettore relegò le fortificazioni a un primo livellodi retrovia, situazione che spinse i comandi cen-trali alla decisione di smantellare i forti, limitan-done così in modo evidente l’utilizzo quandosarebbe stato necessario, dopo il disastro di Capo-retto, per rallentare l’inseguimento delle truppeitaliane in ritirata dal Lagorai. Ma il valore di unsistema fortificato paradossalmente si misura dipiù dal suo potere deterrente che dalla sua effet-tiva capacità difensiva. In questo senso lo sbarra-mento Brenta-Cismon dissuadendo gli austroun-garici da un’offensiva lungo la Valsugana versoil ventre molle dello schieramento difensivo ita-liano, compì in modo silenzioso e oscuro, fin daiprimi giorni di guerra, il suo dovere.

Ferdinando Perissinotto

ROBERT STRIFFLER, Guerra di mine. Monte Ci-mone, 1916-1918, Trento, Panorama, 2002, 8°,pp. 308, ill., e 21,00.

Gli stati d’animo negativi, espressi nei moltiromanzi sulla Prima Guerra mondiale, si posso-no rivivere nei lucidi e documentati testi cheRobert Striffler ha pubblicato in questi anni sullaguerra di mine sul fronte italiano, fra cui spiccaquest’ultimo lavoro dedicato alla battaglia del

monte Cimone. Se si pensa alle guerra di minesulle Alpi il ricordo va immediatamente al tragi-co scenario del Col di Lana, dove attacchi econtrattacchi italiani e austriaci per il controllo diuna cima, di per se irrilevante ma che assunsevalore solo in virtù dei massacri patiti per otte-nerla, si conclusero con la poderosa mina italianache annientò l’obiettivo.

Le vicende del monte Cimone rappresentano,su scala minore e a parti invertite, uno scenarioanalogo. Investito dalla spinta offensiva dellaStrafexpedition, l’altopiano di Tonezza cadeva,con le sue cime incombenti sulle vallate sotto-stanti, in mano austriaca nella primavera del1916. L’arresto dell’offensiva asburgica nel giu-gno dello stesso anno esponeva però i capisaldiavanzati al contrattacco italiano, che si concen-trò già dal luglio del 1916 sulla vetta del Cimone.Quasi in contrapposizione con gli scenariplutonici della seconda parte del testo, l’attaccorisolutivo che riconsegnò la vetta agli italiani fusferrato dagli alpini, grazie a una spericolata edaerea scalata lungo le erte scoscese del monte,che sorprese il presidio austriaco il 23 luglio del1916. L’impresa risultò però fine a se stessa:aggrappati alla cima del Cimone gli italiani nonseppero, nelle settimane successive, svilupparelo slancio offensivo verso l’altopiano di Tonezzae ben presto l’ossessione del generalissimo Cador-na per il sospirato sfondamento sull’Isonzo sot-trasse mezzi e uomini a ogni ulteriore avanzata.L’iniziativa passava così agli austriaci che, dopoaver subito una serie di scacchi negli assalti sco-perti contro la cima, diedero via al progetto discardinare la postazione italiana con una podero-sa mina, insinuata nelle viscere della montagnasotto le fortificazioni italiane, lungo una profon-da galleria scavata nella roccia. Striffler rico-struisce con precisione le occulte operazioni au-striache, favorite dalla improvvida sicurezza deicomandi italiani, fino al devastante scoppio del 23settembre 1916, che seppellì in un enorme crate-re le difese nemiche. Il monte Cimone, laceratodall’esplosione, sarebbe stabilmente tornato inmano austriaca fino alla fine del conflitto, ma ilconfronto criptico non terminava qui. Forse le piùstimolanti pagine del testo di Striffler sono quellefinali in cui l’autore ricostruisce l’inquietudine el’ansia dei contrapposti schieramenti di frontealla possibilità di un nuovo attacco sotterraneo.

Ferdinando Perissinotto

BASILIO DI MARTINO, La guerra della fanteria1915-1918, Valdagno (VI), Gino Rossato Edito-re, 2002, 8°, pp. 280, ill., e 19,00.

L’arte moderna della guerra non può esseredisgiunta dal ruolo centrale che la fanteria, laregina delle battaglie, svolse sui campi insan-guinati dei conflitti europei. Parallelamente al-l’evoluzione delle tattiche di impiego, progre-divano anche le tecniche di addestramento voltea potenziare con sempre maggiore efficacia lecapacità di coesione e sincronizzazione delleformazioni schierate sul terreno, nella convin-zione che condizione necessaria per la vittoria

non fosse più tanto l’audacia individuale quantola disciplina, lo spirito di abnegazione, l’abitudi-ne, incorporata nel soldato come una secondanatura, a muoversi e agire in stretta coordinazio-ne con i suoi compagni. Partendo da questipresupposti il testo di Basilio Di Martino ci offreun interessante angolo di prospettiva per valuta-re gli esiti di questa evoluzione prendendo comecentro di riferimento le vicende belliche nelPrimo Conflitto mondiale nelle zone del Carso,dell’Altpiano di Asiago e della Val d’Astico, e diuna formazione, la Brigata Catanzaro, che rap-presentava il classico esempio delle modalità di

reclutamento, addestramento e impiego del nuo-vo esercito di massa. Creato nell’imminenza delconflitto, il reggimento era privo di tradizionimilitari e composto per la grande maggioranza dimilitari di leva. Di Martino ripercorre con preci-sione le vicende della formazione, seguendo leoperazioni che fra il 1915 e il 1918 la coinvolserosui fronti più tragici del conflitto. Dalle sangui-nose e fallimentari offensive dell’autunno del1915, ai combattimenti di contenimento davantialla pressione incalzante della Strafexpeditionnel 1916, alla vittoriosa avanzata verso S. Mi-chele nella sesta battaglia dell’Isonzo, alle spallaterabbiose che l’armata italiana esercitò nella pri-mavera del 1917, fino all’importante ruolo svol-to dalla brigata nell’undicesima battagliadell’Isonzo. Ma il merito del testo di Di Martinonon sta tanto in questa ricostruzione, quanto inun’approfondita indagine sull’evoluzione del-l’impiego tattico della fanteria sui fronti delPrimo Conflitto mondiale. In quest’ottica la rico-struzione delle operazioni della “Catanzaro” of-fre lo spunto per indagare i progressivi adatta-menti tattico-strategici attraverso cui gli statimaggiori coinvolti nella guerra cercarono di su-perare l’impasse della guerra di trincea. In que-st’ottica Di Martino avanza una cauta revisionedella valutazione fortemente negativa che moltastoriografia ha formulato nei confronti del gene-ralissimo italiano Cadorna. Secondo Di Martino

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un esame più sereno dell’operato dello statomaggiore italiano pone in luce la sua capacità difare tesoro dell’esperienza tragiche del conflittorendendo via via più flessibile ed efficace l’im-piego delle forze in campo, favorendo un strettocoordinamento fra l’artiglieria e la fanteria eintroducendo, seppure adattate alle particolariconformità dello scenario italiano, tattiche as-sorbite dagli altri fronti del conflitto comel’“attacco ad intermittenza”, il creeping barrage,fino a studiare e sperimentare le tecniche diinfiltrazione dell’esercito germanico. Sarà pro-prio sulla base di questa lenta, ma sicura evolu-zione che l’esercito italiano, sotto la guida diDiaz, potrà nel 1918 resistere alle ultime dispe-rate offensive degli austriaci per poi rovesciare ilfronte nel successo finale di Vittorio Veneto.

Ferdinando Perissinotto

CAMILLO PAVAN, In fuga dai tedeschi. L’invasio-ne del 1917 nel racconto dei testimoni, Treviso,Camillo Pavan, 2004, 8°, pp. 160, ill., e 18,50.

Camillo Pavan, libero ricercatore, scrittore ededitore in proprio, ha pubblicato il suo ultimolavoro dedicato alla Grande Guerra. Pavan sioccupa da anni di storia locale e cultura popolarecon grande rigore e partecipazione, senza maicadere nel provincialismo nostalgico. Le suericerche, infatti, sono mosse innanzitutto da unagrande curiosità per le persone che incontra, chefa parlare attraverso i documenti o la loro vivavoce, e da una notevole capacità di scovare le“fonti”, anche attraverso canali poco frequentatidagli studiosi ufficiali.

A lungo, per almeno cinquant’anni dalla suaconclusione, la Grande Guerra è stata oggetto dimolta propaganda e poca storiografia. Solo allafine degli anni Sessanta si cominciò a studiarladavvero, sulle fonti, e a superare l’immagine cheera stata costruita dal fascismo e che per moltiaspetti era transitata intatta nei decenni successi-vi. Caporetto, ad esempio, sino ad allora era statouna sorta di tabù nazionale. Come del tutto rimos-si erano stati i casi di insubordinazione dei soldatiche si ribellavano agli ordini dei loro superiori,alla vita di trincea, o più semplicemente impazzi-vano trovando una via d’uscita individuale al-l’insensatezza della guerra. Poco si sapeva anchedel vissuto dei profughi e di coloro che restarononelle terre invase, subendo spesso le alterne oc-cupazioni dei due eserciti in conflitto.

Più in generale, solo da pochi anni si è ritenutopossibile – e utile – indagare il punto di vista deicivili coinvolti nelle operazioni belliche. Pavan èarrivato in extremis per raccogliere le voci del-l’ultima generazione di coloro che vissero quellevicende, allora come bambini o ragazzi. Ovvia-mente oggi a parlare sono dei vecchi di ottanta enovant’anni, e insieme a ciò che videro e pensa-rono allora restituiscono al registratore anchetutti gli strati di deformazioni, omissioni, rielabo-razioni, fantasie che la memoria vi ha depositato.Camillo Pavan è consapevole di tutto ciò e mettein guardia i lettori da un approccio troppooggettivista alle fonti orali. Ma giustamente non

rinuncia a mettere a disposizione dei ricercatoriqueste affabulazioni che contengono, anche quan-do “sbagliano”, una diversa verità. “Un annoprima che finisse la guerra – racconta ProsperoVieceli da Fonzaso – il nostro esercito era a pochimetri da Trento. Il General Cadorna li ha fattitornare indietro��� [...]. Io gli correvo dietro, scal-zo, perché mi piaceva sentirli cantare. Loro veni-vano giù contenti, poverini, perché marciare viadal fronte è una bella cosa, perché io l’ho prova-to, nella seconda guerra”. Anche Camillo Pavanconfida che, dopo undici anni e tre libri, avrebbetutta l’intenzione di farla finita, con la guerra.

Alessandro Casellato

DANIELA BALDO, Morire per la patria. I cadutipolesani nella guerra 1915-1918, Minelliana,Rovigo, 2002, 8°, pp. 202, ill., s.i.p.

L’idea-guida che dirige il testo di DanielaBaldo è quella di inquadrare un evento storico didimensione epocali come la Grande Guerra dauna prospettiva defilata quale l’area del Polesine,geograficamente vicina alle linee del fronte ita-liano, ma nello stesso tempo marginale e peri-ferica rispetto ai centri di decisione politica, diproduzione materiale, di organizzazione ideo-logica del consenso.

L’eco degli eventi giunge ovattato e in partedistorto nelle brumose terre della bassa padana,che vivono le vicende belliche in un ambiguorapporto di lontananza e vicinanza. Da un lato,infatti, la retorica ufficiale, che anima la stampalocale, presenta l’immagine di un conflitto aspro,ma ammantato da u’aurea di nobili sentimentiquali l’amor patrio, il coraggio, l’onore, il came-ratismo generoso e solidale che sublimano gliaspetti di ferocia e miseria della guerra, allonta-nandone la percezione reale; dall’altro, l’elencosempre più lungo delle vittime, dei mutilati, deidispersi e dei prigionieri che giunge dal fronte,

associato al degrado visibile delle condizioni divita patito nelle retrovie, ricorda tragicamentealla popolazione locale la prossimità e l’imma-nenza di un conflitto cieco e brutale.

Il testo, che si apre con un esame generaledelle condizioni economico sociali del Polesinenegli anni immediatamente precedenti al conflit-to, ci premette di comprendere la dialettica fralontananza e prossimità facendo interagire dueserie di dati, apparentemente disomogenei. Daun lato si presenta un’analisi dei necrologi amemoria dei militari caduti in guerra, comparsisui due principali giornali dell’area: il laico edintereventista “Corriere del Polesine” e il catto-lico “Il Popolo”; dall’altro, nello studio curato daDaniela Baldo, Fiorenzo Rossi, Clara Sandon, siprendono in esame le risultanze statistiche cheemergono dalla comparazione dei dati raccoltinell’Albo d’oro dei militari caduti nella GrandeGuerra e in un’indagine dell’Accademia deiConcordi pubblicata nel 1938 sui 4632 cadutidell’area polesana. Le risultanze di questo con-fronto sono illuminanti: nei necrologi le vittimesono per lo più giovani ufficiali appartenenti aiceti borghesi, ricordati nel momento supremodell’adempimento del dovere, morti eroicamen-te combattendo di fronte al nemico; il campio-namento dei dati, al contrario, pur nei limiti,dichiarati dagli autori, di completezza dell’infor-mazioni, mostra invece una situazione diversa.Statisticamente abbiamo infatti una predomi-nanza delle vittime tra i soldati semplici, umilifanti per lo più d’estrazione contadina, mentrespesso le circostanze della loro morte sono benpoco eroiche: molti sono coloro che muoionoanche in conseguenza di ferite lievi, che sonoperò mal curate data la precarietà del serviziosanitario, molti sono i deceduti a causa di malat-tie contratte al fronte, molti ancora, con unapercentuale che s’innalza visibilmente dopo larotta di Caporetto, sono quelli che perdono la vitasfiniti dalle privazioni della prigionia.

Conclude il testo un bel saggio di LeobaldoTraniello che esamina il mito della commemo-razione dei defunti nell’analisi dei monumentifunebri eretti nel Polesine in onore e memoria deicaduti.

Ferdinando Perissinotto

EUGENIO BUCCIOL, Animali al fronte, prefazionedi Margherita Hack, Portogruaro (VE), NuovaDimensione, 2003, 8°, pp. 156, ill., e 15,90.

La Grande Guerra fu il primo immane conflit-to dell’era industriale, non solo a causa del vastoe generalizzato impiego delle tecnologie moder-ne nello scontro, ma anche per l’analogia che benpresto si venne a creare fra il soldato-massa alfronte e l’operaio-massa nelle fabbriche. La de-vastante battaglia dei materiali che dominò lalogorante contrapposizione degli eserciti annien-tava infatti l’individuo, mentre l’obiettivo delladisciplina ottundente era quello di creare unsoldato senza qualità a cui si richiedeva un’unicaabilità: morire anonimamente. Ora, però, la giustaenfasi posta sulla connessione essenziale che si

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stringe fra industrializzazione, meccanizzazionee guerra non deve far dimenticare che la GrandeGuerra fu anche l’ultimo grande conflitto in cuisi ebbe un impiego massiccio degli animali comesupporto imprescindibile dello sforzo bellico.Anche se non si realizzerà mai il sogno dei capidi stato maggiore di scatenare le proprie cavalle-rie dietro le linee del nemico, finalmente sfonda-te, un numero straordinario di animali (oltre 10milioni di cavalli, ma anche muli, asini, cani,colombi viaggiatori, cammelli, dromedari ed al-tri ancora) furono ugualmente arruolati nei con-trapposti eserciti e costretti a quella stessa vita distenti, privazioni, violenza e morte dei soldati. Illibro di Bucciol è un omaggio partecipato aquesto oscuro e dimenticato sacrificio.

Nella prima parte l’autore ricostruisce in am-pie sintesi dedicate ai diversi generi la funzionee l’impiego degli animali in guerra. Con unandamento altalenante, dal passato al presente epoi ancora al passato, che sottolinea la continuitàdel connubio soldato-animale, Bucciol spaziadal cavallo, di cui lo stesso Jahvè esalta la poten-za e l’audacia in guerra nel suo discorso a Giobbe,agli elefanti di Annibale, ai cani utilizzati daitedeschi nel Primo conflitto mondiale per loca-lizzare i feriti nel campi di battaglia, ai colombiviaggiatori, pare già impiegati da Cesare pertrasmettere informazioni militari. Inoltre, comericorda l’autore, gli animali non partecipano allaguerra solo in qualità di ausiliari dell’uomo;spesso il loro ruolo è anche quello di scomodi“ospiti” dei soldati. Il degrado e la sporcizia cheopprimevano il fante nelle trincee della GrandeGuerra furono infatti humus vitale per legioni diinsetti, parassiti, germi che infestavano il suocorpo. Come ricordò icasticamente Mussolininel suo diario di guerra, citato da Bucciol, “piog-gia e pidocchi, sono questi i due nemici delsoldato italiano. Il cannone viene dopo”.

La seconda parte del testo è invece una ampiae affascinate raccolta di foto, ordinate secondo ifronti del conflitto e corredate di esaustivedidascalie, che ricorda e testimonia l’universaleimpiego degli animali nella Grande Guerra. Fraqueste spicca un’immagine che può essere presaad emblema dell’inutile e dimenticato sacrificioa cui è dedicato il libro di Bucciol: nella stepparussa una macabra e raggelante distesa di schele-tri di cavalli massacrati ricorda l’insensatezzacrudele di ogni guerra.

Ferdinando Perissinotto

STEFANIA BARTOLINI, Italiane alla guerra. L’assi-stenza ai feriti 1915-1918, Venezia, Marsilio,2004, 8°, pp. 234, e 24,00.

Questa ricerca fornisce, per la prima volta, unquadro ampio e documentato, dell’ampiezza dellavoro compiuto dalle infermiere nel corso dellaPrima Guerra mondiale. Il Corpo delle infermie-re volontarie venne fondato nel 1908; alla vigiliadell’entrata in guerra, la Croce Rossa formòrapidamente 4.000 donne per l’assistenza deiferiti, che giunsero a 10.000 alla fine del conflit-to. Questa cifra va integrata con le religiose di

vari ordini, le infermiere professionali, le volon-tarie di associazioni femminili e patriottiche.Siamo di fronte a un risultato straordinario, pre-parato, secondo l’autrice, dall’attività delle asso-ciazioni emancipazioniste, benefiche e filantro-piche, che dalla seconda metà dell’Ottocento inpoi sorsero in molti centri urbani d’Italia, dediteperlopiù all’assistenza dei poveri e dei malati.

Il settore più importante nel campo sanitario,dopo la Croce Rossa, fu la Sanità militare, conuna presenza di infermiere volontarie dislocatein 204 ospedali in città, 65 ospedali da guerra e 3di tappa, oltre a 3 ambulanze chirurgiche mobilie 24 treni destinati al trasporto dei feriti. Lapresenza di queste infermiere volontarie nelVeneto fu cospicua, specie dopo Caporetto; illibro documenta la loro attività nell’ospedale“Angelo Custode” di Rovigo e nell’ospedale inprossimità del fronte di Schio.

Quali effetti ebbe questa esperienza nelle don-ne, una volta terminata la guerra? È un problemadiversamente risolto nelle singole nazioni coin-volte nel conflitto. Ad esempio, in Inghilterra ilmovimento “suffragista” ebbe una specie di scam-bio per l’impegno in guerra con l’ottenimento dialcuni diritti politici. Ciò non si verificò in Italia,dove “alla chiamata le donne risposero piuttostoin nome del dovere patriottico, visto come prose-guimento della tradizione risorgimentale”, e per-ciò senza conseguenze nella condizione politicadelle donne. Un risultato positivo fu che “moltecrocerossine si proiettarono nella politica parte-cipando come esperte ai lavori della Commissio-ne ministeriale per la riforma infiermeristica”, efurono presenti nella nascita dell’Associazionenazionale italiana tra le infermiere. Infine, moltecrocerossine hanno scritto le loro testimonianzedi quella cruciale esperienza, e l’ampio capitolodedicato a quest’argomento, ancorché trascuratoa vantaggio delle testimoniaze dei soldati “eroi-ci”, è il più interessante. Si è di fronte a un “ca-pitolo” importante e finora ignorato dalla sto-riografia, più interessata agli aspetti politico-militari della guerra; una guerra in cui “la vicendadelle crocerossine si affianca a quelle vissute da

altri protagonisti: ufficiali, soldati, politici e sa-cerdoti, prigionieri, profughi, contadini e operai,che popolarono la scena di un conflitto totale”.

L’analisi dell’attività delle crocerossine è tale,dunque, da indurre a una riconsiderazione diquell’evento epocale, insieme al ruolo che visvolsero le donne nel processo di “nazionalizza-zione” degli italiani: “le crocerossine progettaro-no nuove attività agendo sul piano istituzionale,professionale e associativo”. Uno dei meriti diquesto lavoro, che ha dietro di sé una vastaricerca archivistica, è dunque di valorizzare ade-guatamente il ruolo delle donne nella PrimaGuerra mondiale, ponendo in evidenza i moltieffetti che tale partecipazione ha prodotto nellaloro vita individuale e pubblica.

Mario Quaranta

GIORGIO e MAURIZIO CROVATO, Regate e Regatanti.Storia e storie della voga a Venezia, Venezia,Marsilio, 2004, 8°, pp. 209, ill., eeeee 25,00.

Volume di bel formato, tipo “strenna”,editorialmente ricco. Nelle sue pagine i dueautori, i gemelli veneziani Giorgio e MaurizioCrovato – oggi professionisti con ruolo di re-sponsabilità l’uno in campo economico, l’altroin quello giornalistico-televisivo, appassionatidi voga fin da ragazzini, con dispute remierecondotte usando un comune “sandolo” nel riosotto casa –, hanno riversato con passione le lororicerche storiche, consultando ogni genere didocumenti, nei confronti di ciò che ha rappresen-tato per Venezia, fin dalla costituzione dei priminuclei abitativi, la barca. Barca xé casa, è il titolodi uno dei capitoli d’apertura. Per affermare espiegare come la vita in barca era legata a tutte leattività dei veneziani, dapprima soltanto per ne-cessità di sopravvivenza, quindi di lavoro, e viavia strumento per l’allenamento alla voga e infi-ne di competizione. Toccherà al governo dogaleusare i natanti per parate acquee talora sfarzosein onore di ospiti illustri.

Si muovono agilmente i due autori nelle pie-ghe della storia: quelle vistose, altre più nasco-ste. Con puntiglio che è per il lettore fonte dicontinua conoscenza. “Non stupisce vedere– scrive nella nota introduttiva Franco VianelloMoro, presidente dell’Istituzione per la conser-vazione della gondola e tutela del gondoliere –come la storia della gondola coincida con lastoria sociale ed economica della città. Basta fareuna piccola riflessione sullo sciopero dei gondo-lieri del 1881, una notizia che all’epoca fecescalpore: arrivano i primi vaporetti dalla Franciae la modernità avrebbe cambiato il volto diVenezia”. Episodio questo gustosamente messoin film, nel 1943, da Andrea Robilant, con ilsemplice titolo Canal Grande e un cast eccellen-te formato dai più accreditati attori del tempo.Film derivato da una celebre commedia di Gia-cinto Gallina, Serenissima. Ciò a significare, e lepagine dei Crovato non trascurano alcun detta-glio, come nell’evoluzione dell’attività remiera– che vide appunto la gondola assurgere al ruolodi protagonista – il tessuto della città d’acqua

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

abbia vissuto con essa ogni suo respiro. Ci sipotrebbe in proposito diffondere con cento esem-pi. Scegliendo tra gli accadimenti più vistosi cheappunto hanno fatto storia, vediamo nel capitoloLa moderna regata come il 1841 (18 maggio) siastato col sigillo dello stemma asburgico l’anno dinascita della prima “Corsa di Barchette lungo ilGran Canale” a spese del Comune, che dovràripetersi in un giorno da stabilire ogni anno.

Con il Regno d’Italia le regate si svolseropressocché costantemente. Forte impulso alrecupero delle tradizioni viene anche da “in-fluenti personalità locali, come Riccardo Selva-tico, Filippo Grimani, Giovanni Bordiga, Anto-nio Fradeletto”, legati alla nascita della Biennaled’Arte. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del-l’Ottocento, “quando gli sport di massa comin-ciano a far breccia nella società e contribuisconoa far nascere il mito dello sportivo campione”.

Lo stile degli autori è giornalistico e di piace-vole lettura. Tutto viene messo a fuoco. La crisivenuta con gli anni della Grande Guerra, laripresa del remo negli anni Venti con il fascismo,lo sviluppo della Regata Storica detta in prece-denza Reale, nel dopoguerra e fino ad oggi. E lediverse competizioni minori, rionali, isolane,testimoni di un forte seguito tra la gente, cosìcome la grande competizione in “Canalazzo”,vedeva e vede alle rive e affacciate ai balconi delpercorso folle di spettatori, anche stranieri.

Gondolini di diverso colore e “bissone” muni-te di preziosi addobbi. Tutto testimoniato nelvolume da un corredo fotografico che ripercorrestoricamente gli eventi in bianco e nero e a colorianche su doppia pagina. Elemento spettacolarein più. La seconda parte è dedicata ai regatanti.Protagonisti i campioni e le campionesse (poichéal remo si sono avute anche solo donne), a curadi Lucia Paoli e Giovanna Della Toffola. Quindil’Albo d’Oro e le curiosità della Regata in CanalGrande dal 1841 a oggi, a cura di Giuseppe Mo-naco. Schede personalizzate, elenchi per ogniedizione dei regatanti. Insomma un panoramaesaustivo, che si completa col curiosissimo Glos-sario della Regata e la ricchissima bibliografia.

Piero Zanotto

MICHELE VIANELLO, Un’isola del tesoro. Veneziatra presente e futuro, Venezia, Marsilio, 2004,8°, pp. 289, e 16,50.

Venezia da sempre è abituata a vivere nelladialettica tra il ricordo di uno splendido e glorio-so passato e una realtà contemporanea che evi-denzia ogni giorno diatribe e controversie, cheaccompagnano un lento declino e propongonoanche l’urgenza di trovare nuove forme, non solodi sopravvivenza, ma soprattutto di sviluppo. Inquesta prospettiva si colloca il lavoro di MicheleVianello, veneziano di nascita e di carattere, cheda sempre agisce, sia nel campo culturale che inquello politico, nell’ottica di trovare una rispostacredibile e valida ai problemi della sua città.

Nella sua analisi, Vianello si propone di ope-rare su piani diversi, in primo luogo recuperandola memoria storica di quanto è avvenuto negliultimi trent’anni a livello di “legislazione specia-le per Venezia”, attraverso la rilettura delle varieleggi, a partire dal 1973 fino alle più recenti,dopodiché sposta l’attenzione, da un lato, versola ricerca delle cause che hanno determinato lasituazione attuale e, dall’altro, alla presentazionedi proposte costruttive, per realizzare una nuovacultura per una “nuova” popolazione, che si basisulla logica del consenso.

In questo senso, il metodo di Vianello ricordaquello dello storico romano Cornelio Tacito, chesine ira et studio alla fine del I secolo d.C., dopocento anni di regime imperiale, ricerca le causedella crisi della res publica e si chiede se possanoesserci delle prospettive valide per il futuro;Vianello, però, pur non nascondendosi le indub-bie e gravi difficoltà di Venezia, è meno pessimi-sta dello storico antico, come quando racconta,attraverso un sogno, le vicende di una miticacittà, Ecoland, collocata in Irlanda o negli StatiUniti: una città che, grazie alla partecipazione ditutti e a una seria politica di ricerca del consenso,“in un decennio aveva messo le basi per superarela propria crisi e per essere una città dinamica einnovativa. Mi sveglio e sono a Venezia... Sefossimo in Irlanda o negli Stati Uniti, non avrei

alcun dubbio sul successo dell’impresa. A Vene-zia e in Italia le difficoltà possono essere maggio-ri, ma chi può sfuggire a una simile suggestionesoprattutto se la città si chiama Venezia? Perchénon tentarci?”.

In questo “sogno” troviamo la sintesi del lavo-ro e della concezione di Vianello, che passa inrassegna tutti gli argomenti, con i relativi prota-gonisti, di Venezia: dai rapporti spesso conflit-tuali e paralizzanti fra Comune, Regione e Stato,al Consorzio Venezia Nuova, dal nodo di PortoMarghera al confronto tra pubblico e privato,concludendo con l’auspicio che Venezia non sia“la nuova Atlantide da difendere dalle acque, mauna città che, innovando se stessa, ha contribuitoa risolvere i problemi dell’umanità. Una città chenon ha più bisogno di essere assistita, ma unacittà che investe sul futuro... Questo deve esserelo sforzo – io dico la priorità – di una comunitàconsapevole”.

Giuseppe Iori

LINO SCALCO, Storia economica del Polesine.Dalla Prima guerra mondiale alla società post-industriale (1915-2001), vol. III , prefazione diVera Negri Zamagni, Rovigo, Minelliana, 2004,8°, pp. 234, e 20,00.

Con questo terzo volume Lino Scalco conclu-de la storia economica del Polesine, promossadalla Camera di commercio di Rovigo con ilsostegno della Fondazione Cassa di risparmio diPadova e Rovigo. L’autore delinea le vicende delprimo dopoguerra e l’avvio del fascismo, che nelPolesine ebbe tra le prime manifestazioni politi-che. Un fascismo caratterizzato da due compo-nenti fondamentali, una agraria e una sindacale,spesso confliggenti perché espressione di inte-ressi e ceti diversi. Qui le lotte sociali e politichefurono particolarmente violente, tanto che il fa-scismo e l’antifascismo hanno espresso alcunidei maggiori esponenti: da una parte, Aldo Finzi,Giovanni Marinelli, Enzo Casalini, dall’altra Gia-como Matteotti.

L’autore si sofferma sulla politica economicanegli anni Venti e Trenta, durante i quali ilfascismo polesano non riuscì a fare uscire questaterra da un perdurante “ruralismo”, avviando unprocesso di decollo economico, decollo più volteprogettato ma che avverrà solo nel secondo do-poguerra. La bonifica integrale, per la quale sonostate spese ingenti somme, nel Polesine non furealizzata, e il territorio rimase così esposto allealluvioni. L’autore ricorda in particolare quelladevastante del 1951, che sommerse centomilaettari di terra, ossia due terzi della provincia.

Nel secondo dopoguerra, di fronte a un’agri-coltura investita da una crisi di ristrutturazione,alle campagne che si spopolavano e a un’indu-stria di trasformazione dei prodotti agricoli in viadi estinzione, la classe dirigente polesana ebbeuno scatto di iniziativa. A partire dagli anniSessanta, l’impulso del Consorzio per lo svilup-po economico e sociale del Polesine consentì difar uscire la provincia di Rovigo dall’isolamen-to, creando nuova occupazione, risolvendo subi-

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

to il problema della sicurezza idraulica, rico-struendo una viabilità diversa da quella lasciatadagli Austriaci, potenziando l’elettricità per usocivile e industriale. Così il Polesine si inserìpienamente nel processo di industrializzazionediffusa che caratterizzava le altre zone del Veneto,giungendo in seguito a far parte a pieno titolodelle aree a sviluppo economico sostenuto.

Mario Quaranta

EDOARDO PITTALIS, Dalle Tre Venezie al Nordest,1:1900-1950, prefaz. di Ulderico Bernardi,Pordenone, Biblioteca dell’Immagine, 2002, 8°,pp. 247, e 13,00.

EDOARDO PITTALIS, Dalle Tre Venezie al Nordest,2: 1950-2003, prefaz. di Giorgio Lago, postfaz.di Gianfranco Bettin, Pordenone, Biblioteca del-l’Immagine, 2003, 8°, pp. 324, e 14,00.

Non è semplice per un “esterno” al Nordestcapire e descrivere la nostra realtà, così difficileda decifrare: in questa “impresa” è riuscito per-fettamente Edoardo Pittalis, giornalista de “IlGazzettino”, di origini sarde, ma veneto di ado-zione, che ha diviso la lettura del secolo breve indue periodi: il primo che comprende la primametà del Novecento, il secondo che arriva aigiorni nostri. È la cronistoria di una “parabola”,nel senso che si parte dalla classica tripartizionedi Venezia Euganea, Venezia Giulia e VeneziaTridentina, che si trasforma progressivamentenel mitico Nordest, e, in alternativa e in concor-renza al Nordovest (Lombardia, Piemonte, Ligu-ria, il famoso “triangolo industriale”) diventa lalocomotiva socio-economica trainante dell’inte-ra nazione, fino poi a entrare in crisi come forzapropulsiva.

L’autore individua l’esistenza di questa crisinel suo ultimo “pezzo” (nel primo volume abbia-mo 36 “quadri”, nel secondo sono 52) in untremendo incidente accaduto nei pressi di unodei nodi cruciali della regione, la tangenziale diMestre: simbolo appunto dell’impasse attualedel territorio, quando, dopo che “il sole dissolvela nebbia compare un inferno lungo sei chilome-tri e le gru, che puliscono l’autostrada dai rottamie sollevano carcasse di auto carbonizzate e spes-so portano via gli ultimi pezzi di vita, in qualchemodo sollevano anche il coperchio del Nordest”.Al discorso finale fa da pendant l’ incipit delprimo volume, in cui Pittalis ricorda che “erastato il linguista e patriota goriziano GraziadioIsaia Ascoli a proporre già nel 1863 di chiamare‘Venezia’ tutto il Nordest, dal fiume Mincio sinoal Quarnaro e a provvedere poi nella distinzionein Tre Venezie”.

La storia di queste vicende è ben delineataanche nelle prefazioni e postfazioni di UldericoBernardi, di Gianfranco Bettin e, soprattutto, diGiorgio Lago che, come è noto, è stato il primoa coniare la definizione di Nordest. Da parte suaPittalis segue nel suo lavoro il metodo delleAnnales francesi, privilegiando una concezionestorica secondo la quale i protagonisti non sonoi “grandi della terra”, ma tutti gli uomini, a co-

minciare dalla gente umile che costruisce ognigiorno la storia; inoltre per lui sono i fatti cheparlano attraverso i documenti, così da attribuiresapore e veridicità allo scorrere della storia delNordest, che da un lato ti scorre davanti in modopreciso, mentre dall’altro, mano a mano che gliavvenimenti si avvicinano ai nostri giorni, questiriemergono nella memoria. Come affermano an-che i versi del poeta triestino Virgilio Guidi, conespressioni che da Trieste possono allargarsi atutta la macro-regione: “Vardo ’na strada di lamia zità, / che ghe sarò passado mile volte, / e no’me par de averla vista mai... / come la vita, sì:vissuda / finida ormai, e mai ben conossuda”.

Giuseppe Iori

CARLO SPARTACO CAPOGRECO, I campi del duce.L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943), Torino, Einaudi, 2004, 8°, pp. 320, ill.,e 16,00.

Il libro di Capogreco riporta alla luce un aspet-to finora quasi sconosciuto dell’Italia di Musso-lini, almeno nella sua portata complessiva: l’in-ternamento civile, in tutte le sue varie, tragichedeclinazioni. Dal confino di polizia, alla depor-tazione coloniale, dai campi di internamentoallestiti con l’inizio della Seconda Guerra mon-diale, ai veri e propri campi di concentramentoorganizzati, anche sul territorio italiano, dopol’occupazione della Jugoslavia.

La mappa dei siti e delle diverse forme diinternamento, individuata dall’autore, si estendein maniera pressoché uniforme su tutto il territo-rio nazionale, ma una considerazione particola-re, in questo caso, deve essere compiuta in meritoalla vicenda degli speciali campi di concentra-mento per slavi. I campi, allestiti in Jugoslavia ein Italia, quasi sempre gestiti dal nostro esercito,obbligarono i reclusi ad un regime di privazionie sofferenze, provocando migliaia di vittime –moltissimi furono i bambini a perire. Tuttavia la

giovane democrazia italiana, al termine del con-flitto, eviterà di processare i propri criminali diguerra e una “cortina di silenzio”, la nebbiaindistinta di una superiore esigenza di riconcilia-zione nazionale, finiranno per avvolgere i delittiperpetrati dalle nostre truppe nelle colonie e neiBalcani.

Scendendo più nel dettaglio, l’arcipelago deicampi del duce tocca pure il Veneto: si tratta deisiti per ex jugoslavi di Chiesanuova (Padova) eMonigo (Treviso). Nella località di Chiesanuova,verso la fine di giugno del 1942, fu aperto uncampo di concentramento per civili, in prevalen-za sloveni, presso l’attuale caserma “Romagnoli”:il campo disponeva di sei grandi padiglioni inmuratura, di dieci locali minori, ed era circonda-to da un muro perimetrale di quattro metri d’al-tezza. Ognuno dei sei padiglioni costituiva unsettore autonomo. Nel gennaio del 1943 il nume-ro degli internati era già salito a 3140 unità.Molto dure le condizioni di vita, scarso il vittogiornaliero: in tale contesto significativa risultòessere l’azione di sostegno, anche materiale,condotta dal religioso padovano Placido Corte-se, originario di Cherso, insieme ad un gruppo distudentesse slovene che frequentavano l’Uni-versità di Padova. A partire dall’estate del 1942,la caserma “Caldorin” di Monigo, all’epoca fra-zione periferica di Treviso, ospitò un altro camporiservato agli slavi, civili sloveni e croati. Diversigli internati considerati “politicamente pericolo-si” (dopo la liberazione del campo molti di essiconfluirono nelle formazioni partigiane delgoriziano). Nel marzo 1943 i reclusi ammonta-vano a 3122 unità. Pur descritto dalle autoritàcome un “campo di concentramento modello”,anche Monigo presentava una situazione tutt’al-tro che agevole per gli internati: l’alimentazioneera insufficiente; la giornata scandita da ripetutiappelli; un palo per le punizioni era collocato alcentro del cortile del campo. In tredici mesi piùdi duecento persone morirono in questo luogo.

Diego Crivellari

MAICO TRINCA, Monigo: un campo di concen-tramento per slavi a Treviso, luglio 1942 - set-tembre 1943, Treviso, Istituto per la Storia dellaResistenza e della società contemporanea dellaMarca trevigiana - Caselle di Sommacampagna(VR), 2003, 8°, pp. 96, e 10,00.

Questa pubblicazione, realizzata per il “Gior-no della memoria” del 27 gennaio 2003, è pre-sentata dall’ISTRESCO, Istituto che, nelle sue nu-merose collane, propone temi e ricerche storicheche riguardano il periodo della storia italiana, inparticolare nella Marca trevigiana, che dallaResistenza arriva fino alla contemporaneità. Ilvolume è una rielaborazione di una tesi di laurea,sostenuta a Ca’ Foscari, che aveva come oggettoi rapporti tra Paesi balcanici e Italia durante laSeconda Guerra mondiale. Qui, in particolare,l’autore si occupa dell’internamento di popo-lazione slovena in campi di concentramento ita-liani tra il 1942 e il 1943, trattandone un casospecifico: il campo di Monigo, funzionante per

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

più di un anno nei pressi di Treviso. Il libro èdiviso in due parti. La prima tratta della repres-sione subita dalla Slovenia dopo che, nell’apriledel 1941, fu in parte annessa all’Italia. A un’ini-ziale “tolleranza” nei confronti della popolazio-ne slava, seguì un’imponente opera di fascistiz-zazione della società, nella quale si tentò diassimilare ed integrare nel sistema corporativoitaliano tutte le istituzioni (politiche, economi-che e culturali) del nuovo territorio, chiamatoProvincia di Lubiana. Con l’opera di italianizza-zione aumentarono il disagio della popolazionee, parallelamente, gli atti di ostilità e resistenzaarmata nei confronti degli occupanti che, daparte loro, reagirono organizzando azioni di rap-presaglia su vasta scala, fra le quali rastrel-lamenti, fucilazioni, devastazioni di villaggi el’uso di campi di internamento. Quello dei campisi caratterizza come un metodo adottato massic-ciamente da tutti gli Stati europei, sia per conte-nere le masse dei soldati prigionieri sia per de-portare, lontano dal fronte, civili ritenuti ostili. Èil caso della deportazione di Slavi in Italia che, daun’esigenza di tipo militare, finì ben presto perdiventare una vera e propria operazione di puli-zia etnica, con lo scopo di sostituire le famiglieslave con famiglie italiane.

Nella seconda parte del saggio, l’autore rico-struisce con dovizia di particolari la confor-mazione del campo di Monigo, il numero degliinternati (circa 3500) e le terribili condizioni,alimentari e sanitarie, che gli internati vi patironofino al 1943, quando i detenuti cominciarono avenire rilasciati, e fino all’armistizio, quando lafuga delle guardie rese la libertà agli ultimiinternati. Accompagnano il volume una nutritaserie di foto e di disegni che testimoniano larepressione italiana in Slovenia e la vita quotidiananel campo di Monigo; chiude un’appendice incui trovano posto una breve cronologia e lariproduzione di alcuni documenti riguardantil’attività del campo e, come ultima tragica testi-monianza, l’elenco delle sue vittime.

Tobia Zanon

ALESSANDRO CASELLATO, Giuseppe Gaddi. Storiadi un rivoluzionario disciplinato, Sommacampa-gna (VR), Cierre, 2004, 8°, pp. 174, ill., e 12,50(“Profili Novecenteschi”, 7).

Il volume su Giuseppe Gaddi è il settimo dellacollana “Profili novecenteschi” diretta da MarioIsnenghi. Nel compiere questa biografia lo stori-co Alessandro Casellato muove da un interroga-tivo di fondo: che cosa significa, oggi, dopo lafine del cosiddetto “socialismo reale”, dopo lafine dell’esperienza del PCI, raccontare la vita diun comunista? Nella sua introduzione si legge:“Il tracollo del comunismo storico è coinciso conil tracollo della narrabilità di quella esperienzacollettiva e delle vicende individuali di coloroche vi si identificarono. Ciò che fino a pochi annifa era un ‘noi’ monolitico, anche se multiformee declinato in mille storie personali, ora si èaperto a ventaglio in una miriade di ‘io’ improv-visamente orfani, per i quali l’apprendistato del-

la libertà autobiografica si confonde con un sen-so di smarrimento e ineffabilità”. L’assunto del-l’autore è radicale e parte dalla constatazione diuna rimozione, della sostanziale assenza di undiscorso pubblico “riconosciuto e condiviso” sulbilancio del comunismo italiano.

È anche per cercare di fornire una prima rispo-sta a un quesito di tale portata, che Casellatodecide di ripercorrere la vicenda, per molti versiparadigmatica, non già di uno tra i massimidirigenti del partito (di chi “faceva” la linea delpartito), ma di un quadro intermedio come Giu-seppe Gaddi (1909-1992): la biografia di uno deitanti “sottufficiali” – per rifarsi direttamente allaterminologia amendoliana – che costruirono earticolarono l’azione e la politica del “partitonuovo” di Togliatti sul territorio (Padova e ilVeneto, in questo caso), contribuendo alla sualegittimazione come forza protagonista dellanostra giovane democrazia repubblicana. Mili-tante comunista fin dagli anni Venti, il triestinoGaddi, di origini piccolo-borghesi, è inserito dasubito in una rete di relazioni che consente allostorico di indagare le scelte e la formazione ditutta una generazione di “rivoluzionari profes-sionali”. Un insieme di legami, amicizie, corri-spondenze, che accompagnano la parabola poli-tica e umana di Giuseppe Gaddi dall’ingressonella Federazione giovanile comunista fino aglianni Ottanta, e che, nel corso dei decenni, si sonodepositati in una ricchissima eredità cartacea,intessuta di lettere ad amici e familiari, circolariindirizzate ai militanti, rapporti ai dirigenti delpartito, articoli per i giornali, saggi storici, libridi memorie, opuscoli di propaganda, poesie ecc.Un vasto arcipelago documentario in cui apparecontinuo il rimando tra la dimensione pubblica,istituzionale, partitica, e quella privata, intima,affettiva. Gaddi scrive moltissimo. E si vedràcome anche un comunista “coriaceo e inflessibi-le”, quale Gaddi certamente fu, un esponentedella “vecchia guardia bolscevizzata negli anniTrenta”, non fosse immune da momenti di ama-rezza, dubbio, ripiegamento, ironia, che affiora-no più volte in questo lungo, e talora quasiascetico, processo di riscrittura dell’io – di un ioche ha creduto di potersi fondere con un progettocollettivo di trasformazione della realtà.

La biografia scritta da Casellato, in questosenso, non si limita a raccontare e collegare“meccanicamente” tra loro una serie di eventipiù o meno rilevanti, più o meno significativi,che segnano la vita dell’uomo politico – dal durotirocinio delle carceri fasciste alla scuola di par-tito a Mosca, dall’esperienza di propagandista eorganizzatore politico nella Francia del Frontepopolare alla Resistenza e all’approdo in Veneto,come segretario della Federazione del PCI pado-vano e, più avanti, di quella regionale –, masegue essenzialmente e principalmente l’evolu-zione di una coscienza, il suo incessante, doloro-so “farsi e disfarsi” nelle tempeste della storia.

Diego Crivellari

LUIGI URETTINI, Bruno Visentini, Sommacam-pagna (VR), Cierre, 2005, 8°, pp. 209, e 12,50(“Profili novecenteschi”, 8).

Nel 1979, in una famosa intervista, GiampaoloPansa aveva icasticamente immortalato la figuradi Bruno Visentin nell’immagine del “gran bor-ghese”. Non a caso Urettini, ricostruendo la vitadell’uomo politico, dagli anni della militanzaantifascista durante la guerra di liberazione, aldopoguerra, che lo vide protagonista centraledell’economia italiana, prima come vicepre-sidente dell’ENI, poi come presidente dell’Oli-vetti, fino al ritorno alla politica nelle file delPartito repubblicano fra gli anni Settanta e glianni Novanta, conclude il suo saggio richiaman-do, nell’ultimo capitolo, questa immagine. Neschizza i tratti fisiognomici, i gusti, le abitudini:l’amore per la musica e per la buona tavola, peri libri antichi e per la piacevole conversazione,coniugandoli con la sua rettitudine morale, la suastraordinaria professionalità, l’integrità e la coe-renza che hanno sempre contrassegnato il suoimpegno politico. Ma, nonostante questo, l’im-magine sembra ancora andare stretta all’uomoVisentini, alla figura a tutto tondo che era venutavia via a formarsi attraverso la lettura del saggio.Schiacciando la personalità di Visentini nel clichédel compassato e caustico borghese evocato daPansa se ne perdono forse alcuni tratti salientiche Urettini sa mettere in luce: la passione poli-tica, ma anche e soprattutto le doti di osservatoreacuto della situazione italiana. Già negli annidella ricostruzione Visentini comprenderà, con-tro il credo liberista imperante, il ruolo decisivoche lo stato avrebbe potuto avere nel processo dimodernizzazione dell’economia attraverso il ra-gionato intervento di politiche keynesiane, favo-rite da una redistribuzione nel reddito attuatagrazie alla leva fiscale. Tali scelte saranno inparte compiute con vent’anni di ritardo, facendocosì perdere all’Italia il treno di una crescitaarmonica e razionale e consegnandola invece almodello caotico e squilibrato del boom nostrano.Allo stesso modo, agli inizi degli anni Settanta,con trent’anni d’anticipo sulla media nazionale,Visentini si renderà conto dell’anomalia della

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

situazione industriale italiana. In questo forsetroppo decantato modello, la piccola industria, abassa intensità tecnologica, favorita sui mercatiesteri da cicliche svalutazioni competitive e con-centrata in settori dove predominano “l’occa-sionalità, l’estrosità, il buon gusto, l’eleganza”,costituiva il settore più dinamico, nascondendocon la sua effervescenza la debolezza del sistemanei settori a tecnologia avanzata, la carenza diinvestimenti di lungo periodo, la latitanza dellepolitiche dello stato a sostegno della ricerca. Larecente scoperta, dopo la sbornia post-industria-le e post-moderna, che non sempre “piccolo èbello” e che la nostra industria rischia un declinoirreversibile ci porta ad apprezzare ancora di piùl’acutezza del sguardo dell’uomo politico repub-blicano, raro esempio di una lucida visioneprogettuale che ha saputo sempre coniugare, al dilà della retorica spesso debordante in questocampo, l’economia di mercato con i valoriirrinunciabili della democrazia e della giustiziasociale.

Ferdinando Perissinotto

“Eravamo ribelli”. Gli operai dell’Officina loco-motive di Verona: guerra, lavoro e vita quotidia-na (1943-1945), a cura di Maurizio Zangarini,Caselle di Sommacampagna (VR), Cierre - IstitutoVeronese per la Storia della Resistenza e dell’EtàContemporanea, 2004, 8°, pp. 136, ill., e 11,50.

“Questo lavoro, oltre ad impedire, almeno inparte, la dispersione del fondamentale patrimo-nio di chi ha vissuto in prima persona i dramma-tici avvenimenti qui raccontati, vuole rendereomaggio a quanti, con il loro sacrificio e la loroabnegazione, hanno ridato alla città uno degliimpianti produttivi più importanti, ma ancor piùper aver contribuito alla riconquista della libertàe della democrazia”. L’origine di questa pubbli-cazione risiede in un’iniziativa dell’OfficinaGrandi Riparazioni, già Officina locomotiveVerona Porta Vescovo, uno degli impianti produt-tivi storici della città. Le Rappresentanze Sinda-cali Unitarie e la Commissione della bibliotecainterna all’Officina hanno dato mandato ad alcu-ni studiosi di raccogliere 25 interviste: queste, ilcui contenuto trascritto per intero è conservatonella biblioteca dell’Officina, danno parola acoloro che lavorarono nell’Officina durante glianni del fascismo e della Seconda Guerra mon-diale. Gli interventi contenuti nel volume sonostati scritti da quegli intervistatori e sono prece-duti da un quadro storico riguardante la città diVerona di quegli anni e scritto da MaurizioZangarini, direttore dell’Istituto veronese coedi-tore. L’indubbio valore scientifico del lavoro siunisce all’aspetto umano costituito dall’espe-rienza diretta di coloro che vissero quelle vicen-de. Nelle pagine del testo si respira l’immedia-tezza e il calore delle parole degli intervistati,talvolta riportate nell’originale dialetto veronesenel quale sono state pronunciate. Attraverso que-ste parole è ricostruita la storia dell’Officina, chein qualche modo è uno specchio di quella di tuttala città: in tutta Verona era diffuso uno stato di

paura e di angoscia a causa delle minacce delregime. Si fa cenno, inoltre, all’organizzazionedella Resistenza: per essa, dentro la struttura,venivano raccolti fondi e informazioni. Veniva-no rallentati, ostacolati e anche sabotati glispostamenti legati agli interessi del fascismo edella truppe tedesche: un gruppo di operai ribelli,in contatto con un gruppo esterno di partigiani,era il fautore di queste operazioni. Nonostante lerepressioni delle autorità, la diffusa pratica delledelazioni e le deportazioni degli operai nei campidi lavoro in Germania, la storia dell’Officinasegnò il percorso di una collettività che sepperibellarsi: utilizzando la copertura di un apparen-te collaborazione col regime, operava per soste-nere l’azione di coloro che ad esso si opponeva-no. L’assenza di un’effettiva consapevolezzapolitica non lenì la tenacia degli operai, che simantenne fino alla fine. Al ritorno dai campi dilavoro molti tornarono all’Officina per iniziarela ricostruzione della fabbrica, segno della spe-ranza e della rinascita di una città appena uscitadalla guerra.

Massimiliano Muggianu

L’insegnamento di Ettore Gallo, Atti del conve-gno (Vicenza, 22 marzo 2003), a cura di Giusep-pe Pupillo, Sommacampagna (VR), Cierre -Vicenza, Istituto storico della Resistenza e del-l’età contemporanea della provincia di Vicenza“Ettore Gallo”, 2004, 8°, ill., pp. 296, e 14,50.

Il volume raccoglie gli Atti del convegno chel’Istituto storico della Resistenza e dell’età con-temporanea della provincia di Vicenza (Istrevi)ha voluto dedicare alla figura e all’opera diEttore Gallo – un nome prestigioso cui è statointitolato, tra l’altro, lo stesso neocostituito isti-tuto storico. Il rapporto del giurista con Vicenzaè stato, infatti, di tipo particolare. Gallo, di origi-ne calabrese, ma nato a Napoli nel 1914, sitrasferì in Veneto subito dopo la morte del padre,avvenuta durante il Primo Conflitto mondiale.

Da giovane magistrato approdò, nel 1936, aLonigo, iniziando da pretore di provincia quelcursus che doveva condurlo fino alla presidenzadella Corte costituzionale. Nell’immediato do-poguerra, Gallo poté quindi stabilirsi a Vi-cenza, dedicandosi alla professione forense.

Il giurista e l’uomo politico: i contributi pre-sentati al convegno hanno seguito due fonda-mentali “filoni” dell’azione e del pensiero diquesto protagonista dell’Italia repubblicana, sen-za tuttavia perdere di vista il loro comuneretroterra ideale e morale. Nella prolusione, OscarLuigi Scalfaro traccia un profilo dell’uomo Etto-re Gallo, da cui sembra emergere una linea dicontinuità rispetto alla dimensione dell’impegnopubblico e professionale. Preparazione solidissi-ma, rigore di pensiero, ma anche intima passioneper il diritto, amore per la verità e per la libertà,assoluta indipendenza di giudizio, queste le ca-ratteristiche sottolineate da Scalfaro.

Le relazioni di Giovanni Conso, Mario Alme-righi, Lorenza Carlassare e Guido Casaroli, siconcentrano sull’eredità cospicua rappresentatadal pensiero giuridico di Gallo. Completano laprima sessione dei lavori le comunicazioni diAntonio Bevere ed Ennio Fortuna.

Mario Isnenghi introduce la seconda partedell’opera, dedicata all’attività politica di Galloe al contributo dato alla lotta di liberazione,appellandosi ad un possibile “neoazionismo”, daintendersi quale spazio per una rivendicazionepositiva dell’attualità del Partito d’Azione.

Alberto Gallo delinea, invece, più compiu-tamente, l’itinerario politico e intellettuale delgiurista, partendo dalla descrizione dell’ambien-te familiare, dagli interessi che animano il giova-ne Gallo e dal suo percorso formativo, analizzan-do l’evoluzione e la maturazione del suo pensie-ro, con un occhio di riguardo per il breve periodotrascorso all’Università di Firenze. Un periododi travaglio interiore, che doveva metterlo incontatto con Piero Calamandrei e con l’ambientedell’antifascismo fiorentino. Renato Camurri sisofferma, quindi, proprio sul ruolo del “miteresistente” Ettore Gallo nel movimento partigia-no veneto, indagando il contributo originale for-nito alla galassia azionista e l’azione di instanca-bile mediatore e “tessitore” svolta nell’ambitodel CLN berico, mentre l’intervento di EmilioFranzina allarga lo sguardo retrospettivo ad unasintesi che descrive la parabola della sinistravicentina non comunista dalla Liberazione aglianni Sessanta. Testimonianze ulteriori sulla vitadi Gallo vengono ancora dalle comunicazioni,poste a conclusione del volume, di FernandoBandini e Lino Bettin.

Diego Crivellari

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

ARCHEOLOGIA

Musei Civici di Padova - Museo Archeologico.Sale di collezione: gemme antiche e moderne,vasi greci, etruschi e italioti, a cura di CinziaAgostini, Alessandra Bidoli, Beniamino Lava-rone, Padova, Museo Civico Archeologico, 2004,8°, pp. 87, ill., s.i.p.

La tomba bisoma di uomo e di cavallo nellanecropoli del Piovego-Padova, a cura di GiovanniLeonardi, Venezia, Marsilio, 2004, 8°, pp. 55,ill., s.i.p.

I due volumetti, simili nel formato e nell’inten-to divulgativo, rappresentano le ultime fatichescientifiche ed editoriali, volute dal Museo Civi-co Archeologico di Padova, per l’aggiornamento“sezione per sezione” delle nuove esposizionimuseali. Un modulo che lo stesso direttoreGirolamo Zampieri ritiene “valido, agile da con-sultare, e che soprattutto consente al visitatore discegliere, fra tutti i materiali del museo archeolo-gico, la materia o la sezione che più gli interessa”.

Se entrambi risultano chiari per le immaginiche li corredano e semplici nei testi che voglionoarrivare al grande pubblico, diverse sono invecele formule con cui sono stati elaborati.

Il primo nasce come catalogo dei reperti espostinelle due sale del museo di più recente apertura:sale di collezione, contenenti la prima gemme dietà romana e di epoca moderna (secoli XVI-XIX ),dono di Antonio Piazza e di Pietro Mugna, laseconda ceramica antica dalle raccolte di Gian-carlo Merletti, Stefano Piombin, Nicolò Bottacin.Ad una parte introduttiva che fa il punto sull’at-tuale situazione delle esposizioni, segue la sezio-ne sulle gemme con un capitolo di presentazionegenerale sull’arte della glittica e la sua fortuna,sul materiale di Padova e la tradizione collezio-nistica del Veneto. Vengono quindi presentate leschede dei 120 reperti, divise per tema (divinità emitologia, scene di vita quotidiana, teste ritratto)e completate dalle foto degli esemplari. La sezio-ne dedicata alla ceramica presenta il repertorio inbase alle tradizioni culturali e tecnologiche (tutteprecedute da un breve cappello esplicativo) e inordine cronologico: alla ceramica etrusco-corinziaseguono quelle corinzia, attica, etrusca, apula epeucezia; concludono la serie i balsamari e laceramica a vernice nera, quest’ultima con 36 ma-nufatti di forma e tipologie differenti, fornendoun’idea complessiva di questa particolare produ-zione articolata ed estesa dal IV al I secolo a.C.

La tomba bisoma di uomo e di cavallo analizzal’eccezionale ritrovamento, all’interno dellanecropoli del Piovego a Padova, di una tomba adinumazione, del VI secolo a.C., di un giovaneuomo (tra i 16 e i 20 anni di età) e di un cavallosacrificato, sepolti contemporaneamente e prividi corredo funerario. Dalla storia del rinveni-mento, con le problematiche stratigrafiche delloscavo archeologico, allo studio antropologicodei resti ossei e alla spiegazione delle operazionidi restauro e del calco per l’esposizione museale(avvenuta di recente nella sala dedicata ai Veneti

antichi), il testo valorizza la scoperta, non tacen-do sugli interrogativi interpretativi ancora aperti,contestualmente ai ritrovamenti simili, avvenutinell’Ottocento a Este e in anni più recenti aGazzo Veronese. Una scoperta che confermaanche nella ritualità funeraria, come spiega ilcuratore Giovanni Leonardi, “l’importanza deicavalli nella società veneta antica da un punto divista sociale” e che ipotizza l’esistenza di unacomponente sociale di tipo servile. Come fapresupporre il corpo del palafreniere (cui erastato sacrificato il cavallo), anch’esso a sua voltasacrificato al padrone, cremato e sepolto con unricco corredo proprio dinnanzi.

Cinzia Agostini

Vetri antichi delle Province di Belluno, Trevisoe Vicenza, a cura di Claudia Casagrande e Fran-cesco Ceselin, Venezia, Regione del Veneto,2003, 8°, pp. 300, ill., e 50,00.

Il vetro è “un genere di beni culturali fra i piùfascinosi, fragili e negletti”, afferma WladimiroDorigo nel presentare il settimo volume del“Corpus delle collezioni archeologiche del vetronel Veneto”, collana impegnata a inventariare,catalogare e diffondere il prezioso patrimoniodelle collezioni pubbliche e private della regione.

Claudia Casagrande e Francesco Ceselin in-troducono lo studio delle raccolte in nove museidelle province di Belluno, Treviso e Vicenzacomposte da materiali vitrei per lo più risalenti alI-II secolo d.C., di varia qualità e provenienza.L’analisi delle forme evidenzia il prevalere deibalsamari in vetro soffiato liberamente, a boccastretta e collo lungo, diversi nel ventre discoidale,sferoidale, ovoidale, piriforme, tronco-conico,tubolare. I balsamari erano usati per conservarenon solo unguenti e profumi, ma anche cibi,bevande e medicinali. Non è chiara invece lafunzione dei bastoncini a sezione circolare oquadrata, con estremità a disco, a sfera, ad anelloo a punta. Le bottiglie, realizzate con soffiaturalibera o soffiatura a stampo aperto (tecnica che

assicurava un prodotto più rifinito) erano usateper conservare prodotti alimentari, prodotti dibellezza oppure le ceneri dei defunti.

Riproducono forme della ceramica le brocchedal collo lungo, rastremato verso l’alto, l’ansatricostolata ripiegata sul ventre arrotondato e labase ad anello. Pochi e frammentati i fragilicalici, le olle e le fiale fusiformi; più numerosi ipiatti grossolani, i bicchieri a soffiatura libera e lecoppe realizzate con tecniche diverse (colatura astampo, soffiatura libera, soffiatura a stampo,modellazione su forma con lavorazione a canna).Piuttosto rari sono i reperti a forma di cucchiaino,kantharos, lucerna, che copiano oggetti in cera-mica e in metallo. Preziosa e significativa è lanavicella, rinvenuta in una tomba a incinerizionea Silea, che riproduce il celox, imbarcazioneveloce usata come scialuppa di supporto alle navie simboleggia il viaggio nel regno dei morti. Nonpotevano mancare gli elementi ornamentali: gem-me per anelli, spille, collane, orecchini, perle divarie forme e colore, per lo più di piccole dimen-sioni. Curiose sono le pedine da gioco realizzatefacendo sgocciolare il vetro fuso su una superfi-cie liscia di pietra, oppure a stampo.

All’analisi delle forme vitree seguono la ras-segna dei musei, ciascuno con la storia dellacollezione ed esaurienti schede dei reperti, labibliografia generale e un Glossario del vetroantico. Il volume è dotato inoltre di un ricco eaffascinante apparato iconografico: 328 illustra-zioni in bianco e nero, 60 a colori e 16 tavolegrafiche fuori testo.

Marilia Ciampi Righetti

I Veneti dai bei cavalli, a cura di Luigi Malnati eMariolina Gamba, Venezia, Soprintendenza peri Beni Archeologici del Veneto - Regione delVeneto - Treviso, Canova, 2003, 4°, pp. 112, ill.,s.i.p.

Viene ad arricchire la messe di pubblicazionicomparse negli ultimi anni sulla civiltà dei Venetiantichi questo nuovo volume miscellaneo, operadi alcuni tra i più accreditati studiosi della materia.

In esso, realizzato congiuntamente dal Mini-stero per i Beni e le Attività Culturali, Soprinten-denza Archeologica per il Veneto e dalla Regio-ne del Veneto, Direzione Regionale Cultura, ci sipropone di analizzare, con il linguaggio piùsemplice consentito nell’ambito di una pubblica-zione rigorosamente scientifica, lo sviluppo el’evoluzione storica di quella civiltà paleovenetache si sviluppò e fiorì nelle zone nord-orientalid’Italia fra il XII ed il I sec. a.C.

Essa è seguita, quindi, dalle sue origini nel-l’età del bronzo finale al suo pacifico confluirenel mondo romano, ed analizzata nella fitta ma-glia di relazioni, pacifiche o conflittuali, cheintrattenne con i popoli vicini, dai Romani ap-punto, agli Etruschi e ai Greci, sino ai tradiziona-li antagonisti Celti.

Le descrizioni di carattere storico, articolate insette capitoli – preceduti da un’introduzione cheriporta la citazione delle fonti greche e latinesull’antico popolo dei Veneti, molto opportuna

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

ed utile per mettere a fuoco la materia – sonoovviamente contraddistinte da un particolare ri-guardo al quadro aggiornato degli scavi, suf-fragando le ricostruzioni con dettagliati rinvii airitrovamenti più o meno recenti. Nell’ambito diogni capitolo si inquadrano poi le numerose edesaurienti schede relative ai singoli siti archeo-logici ed ai rinvenimenti più interessanti degliultimi anni.

La ricca bibliografia che chiude ogni scheda,e che è ripresa più estesamente a corredo delvolume, l’accattivante grafica, il nitore e l’ab-bondanza delle immagini proposte, sommati allagià accennata scientificità dell’esposizione, ren-dono quest’opera, che nasce per il mondo dellascuola, appropriata ed utile per chiunque intendaaccostarsi alla civiltà dei Veneti antichi.

Andrea Pelizza

DANIELE MORANDI BONACOSSI, Il Vicino Orienteantico nella collezione del monastero armeno diSan Lazzaro, con contributi di Eleonora Cussini,Maurizio Magrini, Bruno Zanettin, Venezia,Biblioteca Nazionale Marciana - Padova, IlPoligrafo, 2003, 8°, pp. 132, ill., e 16,00.

Nel 1717 padre Mechitar di Sebaste, a Vene-zia da un paio di anni, fondò nella piccola isolalagunare di San Lazzaro un monastero che, nelcorso del tempo, divenne il più importante centromondiale di irradiazione della cultura armena. Apartire dalla metà dell’Ottocento, nel monasteromechitarista sono confluiti, provenienti da di-verse regioni del vicino Oriente, alcuni materialiarcheologici che oggi, custoditi nel Museo diAntichità Classiche e Orientali sorto al suo inter-no, formano una non cospicua ma variata epreziosa collezione. I diciotto reperti, alquantoeterogenei e appartenenti a classi di materialedifferenti, sono stati di recente studiati da Danie-le Morandi Bonacossi, ricercatore presso l’Uni-versità di Udine e con esperienze di scavo eprospezioni archeologiche in Siria, Oman,Yemen; i risultati delle sue osservazioni sonopubblicati, in forma di scheda-reperto, in questovolumetto, ricco di foto, di ricostruzioni e diinterpretazioni grafiche.

Nella raccolta si trovano esempi di scultura,coroplastica, toreutica, glittica, oltre alla piùtradizionale produzione ceramica, e due docu-menti epigrafici, tra cui il mattone di epocaneobabilonese, con iscrizione reale di Nabuco-donosor, studiato da Eleonora Cussini. Quasimai le località di rinvenimento dei reperti sonostate registrate (alcune sono note solo perchétramandate oralmente dai monaci), ma l’autoreriesce spesso ad identificarle, almeno distinte inaree regionali, attraverso l’analisi stilistica, icono-grafica, tipologica, epigrafica: esse spaziano dalbacino del Mediterraneo all’Iran, passando attra-verso l’altopiano anatolico, la fascia caucasica,la Siria e l’Iraq. All’interno delle singole classigli oggetti vengono presentati nel catalogo inordine cronologico, abbracciando un arco ditempo “che inizia con la cultura dei villaggi diagricoltori e pastori tardo neolitici di epoca Halaf

(VI millennio) e con l’affermarsi delle primestrutture urbane nella bassa Mesopotamia e nellaSusiana dell’epoca di Uruk Tardo (3300-3100a.C. circa), e termina in età ellenistica”.

Di sicuro interesse storico-artistico appaionola statuetta di un uomo prigioniero di due serpen-ti, la cui analisi archeometrica (gli esiti sonoriportati in appendice al testo, insieme ai risultatidello studio chimico e metallografico di un fram-mento di bronzo di cintura urartea di fine VII

secolo a.C.) ha permesso di ipotizzare un’origineiranica del materiale impiegato, e una in basalto,di difficile interpretazione, rappresentante unorante nudo, con iscrizione cuneiforme sul dor-so. Di un certo effetto risultano anche il sigillo inquarzo con scena di banchetto, esemplare diproduzione babilonese risalente al X-IX secoloa.C., e le giare rinvenute nel Luristan iranico edatate alla seconda metà del III millennio a.C.,decorate e dipinte con motivi geometrici.

Cinzia Agostini

Montegrotto Terme. Via Neroniana. Gli scavi1989-1992, a cura di Paola Zanovello e PatriziaBasso, Padova, Il Poligrafo, 2004, 4°, pp. 192,ill., e 24,00.

Il termalismo nell’area Euganea è un fenome-no noto e sfruttato fin dall’antichità. Già nell’VIII

secolo a.C. i Veneti antichi si radunavano sullerive del laghetto a San Pietro Montagnon perlibare al dio delle acque calde e curative chesgorgavano dal sottosuolo. Con l’arrivo dei Ro-mani la fama del luogo si diffuse e sorsero edificimonumentali per accogliere quanti accorrevanoda ogni parte dell’Impero per guarire dai mali eper conoscere il futuro. Era infatti celebre l’ora-colo di Gerione che si manifestava in una caver-na o nella piscina dove si gettavano i dadi. Lo

stesso imperatore Tiberio, prima di iniziare un’im-presa militare in Illiria, volle consultarlo. Fontiletterarie e storiche attestano la magnificenza diterme, palazzi e piscine adorne di splendidi mo-saici, statue e dipinti. Con la decadenza di Romale comunicazioni e i traffici cessarono e le termefurono abbandonate. Nei luoghi inselvatichiti imonumenti crollarono, finché intorno al Mille ilComune di Padova emanò disposizioni per pre-servare le fonti salutari da sporcizia e malattie.La cura delle acque continuò nei secoli successi-vi, specie dopo gli studi scientifici del secoloXVIII sulla natura del fenomeno e sulla composi-zione delle acque, ed è tuttora fiorente. Restainvece scarsa e approssimativa la consapevolez-za della tradizione e la conoscenza di quanto delpassato rimane sul territorio. Restituire ai luoghiqueste memorie, scoprire e preservare le testi-monianze ancora custodite nel suolo è compitodel nostro tempo.

L’area delle Aquae patavinae, descritta al-l’inizio dell’Ottocento nella pianta di S. Man-druzzato è stata profondamente alterata dallecostruzioni alberghiere che hanno cancellatomolte strutture. La Sovrintendenza per i BeniArcheologici del Veneto nel 2000 ha affidatoagli studenti della Scuola di Specializzazionedell’Università di Padova una concessione discavo nell’area di via Neroniana, insieme aidocumenti e ai reperti ottenuti nelle precedenticampagne degli anni 1989-1992, rimasti inediti.Il presente volume è il risultato della verifica edell’analisi dei dati ottenuti in precedenza confotografie aeree, prospezioni georadar e scavi.La minuziosa indagine su strutture e materialiprende in esame i pavimenti a mosaico e a cubettidi cotto, la decorazione delle pareti ad intonacodipinto, le lastre di rivestimento di marmo, unascultura con testa di putto, le antefisse (“orna-menti in terracotta fissati ai tetti sotto le gron-de”), le tegole e i mattoni contrassegnati da bollie da tituli picti (lettere dipinte dopo la cottura), le

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

ceramiche, i recipienti di pietra, i vetri, i manu-fatti in osso, ambra e calcedonio, pochi oggettimetallici e tre monete.

Si tratta di una testimonianza non esaustiva,eppure assai preziosa su un grande patrimonioculturale che ancora attende di essere scoperto evalorizzato.

Marilia Ciampi Righetti

Ritrovamenti monetali nel Mondo Antico: pro-blemi e metodi. Atti del Congresso Internaziona-le (Padova, 31 marzo - 2 aprile 2000), a cura diGiovanni Gorini, Padova, Esedra, 2002, 8°,pp. 296, e 34,00.

L’interesse per la numismatica, soprattuttocome preziosa fonte per gli studi archeologici eper quelli economici, trova nella Scuola di Pado-va un focolare di prima importanza, sia pertradizione che per dinamicità e interesse delleoccasioni culturali proposte. L’esperienza pado-vana, che si fa risalire a Petrarca, raggiunge il suoculmine nel XX secolo, alla creazione della catte-dra di Numismatica presso l’Ateneo patavino, unimpegno accademico che, oggi, si sviluppa so-prattutto in una doppia direzione: l’edizione deimateriali e il lavoro di catalogazione di ogniritrovamento avvenuto nel Triveneto. Questocongresso, di cui il volume raccoglie gli atti,viene a coronare la pluriennale attività, conce-dendosi, allo stesso tempo lo spazio per la rifles-sione su alcune problematiche, soprattutto quel-la dei ritrovamenti monetari, intesa nella suaaccezione più ampia, e sui diversi metodi elabo-rati dagli studiosi di diverse scuole per giungerea un dialogo e a una comprensione reciproca conarcheologi e storici.

L’offerta proposta da questo volume risultaquanto mai varia sia per l’apporto di specialistiitaliani e stranieri, che per la vasta gamma deisoggetti trattati che coprono, grossomodo, tuttala geografia del Mondo Antico, dalle civiltà delbacino mediterraneo, fino alle zone più periferi-che del dominio Romano. Esaustiva anche l’esten-sione diacronica, dalle civiltà pre-romane al BassoImpero. Di contenuto più specificamente venetol’intervento di G. Gorini (Problematiche e meto-di di indagine nell’economia monetaria della X

Regio), saggio che nasce dalla considerazionecritica compiuta dallo studioso padovano sulfenomeno monetario nell’area del Triveneto (re-gione che rappresenta il nucleo della X Regioromana, zona di particolare interesse socio-eco-nomico per la sue relazioni col mondo transalpinoe quello orientale) nel periodo che va dal III /II sec.a.C. fino al V sec. dell’età moderna, attraversotutte le fasi della dominazione romana. Più tecni-co l’intervento di M. Asolati, volto a mettere inrapporto, grazie all’esempio degli scavi compiu-ti sulla Altino e sulla laguna veneziana di epocaromana, i ritrovamenti monetali con i contestiarcheologici, mettendo in evidenza la necessitàtecnica di poter estrapolare da una massa di datianonima alcuni nuclei distinti, riferibili a diversie specifici contesti di ritrovamento. Il saggio diB. Callegher studia, da parte sua, la Diffusione

della moneta di Ravenna tra VI e metà VIII secolo,presente sia nel territorio di Ravenna che nelterritorio bizantino-lagunare (dove restò monetavalida anche dopo l’insediamento dei Lon-gobardi) e alto-adriatico, ma diffusa anche fuoridall’esarcato, come dimostrano i ritrovamentieffettuati, fra gli altri, in Sicilia, Francia, Germa-nia e Croazia.

Tobia Zanon

GIULIANO MARANGON, Frammenti di mistero.Antichità, cimiteri, oratori e battisteri storicilungo l’asse della “Fossa Clodia”, Chioggia(VE), Nuova Scintilla, 2001, 8°, pp. 332, ill.,s.i.p.

Il territorio del Delta padano ha subito neltempo tali mutazioni, ad opera della natura edell’uomo, che le teorie degli studiosi sono tutto-ra discordi, nonostante le numerose testimonian-ze archeologiche e storiche. È un paesaggiolabile, plasmato dalle forze spesso contrastantidel mare e dei fiumi, che hanno depositato oeroso, colmato o cancellato il Delta, costringen-do gli abitanti a spostamenti continui. Lungo lamutevole linea di costa si alternano dune sabbio-se, stagni, paludi, lagune, sacche, fosse, canali,barene, isole che emergono o sprofondano nellasabbia e nel limo. Nonostante la precarietà, laregione fu luogo di insediamento e di transito findal lontano passato, e il volume di Giuliano Ma-rangon, Frammenti di mistero, raccoglie alcunedelle più suggestive testimonianze sul territoriointorno a Chioggia, lungo l’asse della “FossaClodia”, un canale trasversale scavato, forse, percollegare il Po di Adria alla laguna.

All’epoca romana appartengono epigrafi cheesprimono la pietà per i defunti con espressioni

universali di cordoglio, monete e resti architet-tonici diversi. Al Medioevo risalgono le tracce disepolture rinvenute in chiese e conventi, comel’antica cattedrale e il monastero di Santa Caterina.Seguono i cimiteri di Chioggia, Sottomarina eCavarzere, gli oratori, i capitelli, i sacelli, le edi-cole e i santuari, luoghi della pietà popolare, e lecappelle di famiglie nobili con statue e dipinti dipregio. La rassegna comprende anche i centri diculto nelle aree vallive tra Adige e Po, dove ilsilenzio è rotto solo dai versi degli uccelli palu-stri e le antiche fonti battesimali, da San Piero inVolta a Porto Viro, integrando la descrizione contesti tratti dalla letteratura cristiana. Il volume ècorredato da un ricco e originale apparato illu-strativo, realizzato dall’autore.

Marilia Ciampi Righetti

Oppidum Nesactium. Una città istro-romana, acura di Guido Rosada, Università degli Studi diPadova (Dipartimento di Scienze dell’Antichità)- Museo Archeologico dell’Istria a Pola - Univer-sità degli Studi di Zagabria (Dipartimento diArcheologia), Treviso, Canova, 1999, 4°, pp. 224,ill., s.i.p.

Il volume, pubblicato in occasione del cente-nario della scoperta dell’antica Nesactium, èfrutto di anni di ricerche, filologiche e sul campo,condotte da un’équipe italiana di operatori gra-zie a una convenzione tra l’Università di Padova,il Museo Archeologico dell’Istria a Pola el’Università di Zagabria, con il contributo finan-ziario dei Ministeri degli Affari Esteri, dell’Uni-versità e della Ricerca Scientifica e Tecnologica,e del Centro Nazionale delle Ricerche.

Oggi, per osservare le vestigia di Nesazio, ènecessario prendere la strada che, da Pola, sidirige a Fiume e poi proseguire verso Valtura/Altura, da dove, a lato della chiesa, si imboccauna stradina campestre tra casolari di contadini:qui, in aperta campagna, in una posizione arroc-cata e protetta, servita dalla presenza di acquadolce e in tempi remoti da uno scalo a mare, ilvisitatore può scoprire gli impianti della cittàromana, con tutte le strutture ritenute indispensa-bili per la vita civile, dalle mura agli edificipubblici (terme, mercato, tabernae, foro e com-plesso templare), dal quartiere abitativo all’areafuneraria. Anche se, come spiegano coralmentegli autori, l’analisi dell’impianto urbano e dellesue fasi di sviluppo è stata condizionata dagliscavi precedenti, che non hanno tenuto conto deiriscontri stratigrafici e contestuali, le nuove ri-cerche hanno portato a datare l’assetto dell’im-pianto forense a epoca claudio-neroniana, e allaseconda metà del I secolo d.C. le strutture vicine;mentre possono considerarsi più antichi gli edi-fici e i lacerti murari orientati in modo differente,forse in relazione, almeno temporale, con ladeduzione di Pola in epoca cesariana. Di certo laposizione dell’oppidum, collegato con la princi-pale arteria istriana (che toccava i più importanticentri romani rivieraschi) e in rapporto con le piùsignificative rotte di navigazione tra i territoriveneti e italici e la costa dalmata, ha contribuito

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

a determinarne la floridezza. “La varietà e com-plessità della documentazione archeologica –sottolinea Giovanna Gambacurta – fanno delresto presupporre che questo insediamento abbiarivestito un ruolo particolare nel controllo delledinamiche territoriali e commerciali istre”, comesi deduce anche dallo storico Tito Livio. E giànell’età del Bronzo finale sorge il castelliere,all’interno della cui cinta è stata rinvenuta lanecropoli ad incinerazione, con notevoli, perquantità e qualità, materiali fittili di importazio-ne, tra cui ceramica iapigia, protodaunia e daunia,greca, italiota e altoadriatica. La fase finale dellavita del sito è testimoniata da due basilichepaleocristiane affiancate, edificate forse intornoal V secolo d.C. e distrutte tra la fine del VI el’inizio del VII secolo nel corso dell’invasioneavaro-slava.

Il testo, scritto a più mani da specialisti didiversi settori, partendo dalla scoperta del centroe dalla storia degli studi, si sofferma sulle variefasi cronologiche, sulla geomorfologia e sui ri-sultati dei rilievi geofisici effettuati (prospezionielettriche, magnetometriche, radar). In conclu-sione viene tracciata l’analisi topografica del-l’area, con particolare riguardo alla viabilità ealla sua contestualizzazione storica.

Cinzia Agostini

MARINA DE FRANCESCHINI, Le ville romane dellaX Regio Venetia et Histria, Roma, L’Erma diBretschneider, 1998, 8°, pp. 974 + allegato car-tografico, ill., s.i.p.

Il volume, corredato da venti carte geografi-che tematiche, già nel sottotitolo Catalogo ecarta archeologica dell’insediamento romanonel territorio, dall’età repubblicana al tardo im-pero chiarisce l’obiettivo dell’autrice e ne deli-nea in nuce la traccia espositiva. In forma al-quanto sintetica e schematica, infatti, nelle quasimille pagine del catalogo vengono presentati576 siti in cui dovevano ergersi, in età romana,delle villae; il territorio in esame, la X Regioaugustea, comprende parte dell’attuale Lombar-dia, il Veneto, il Friuli-Venezia Giulia e l’Istria.

Nella ricerca, che prende in considerazionesoltanto i luoghi in cui sono stati rinvenuti resti di

muri o fondazioni attribuibili a tali tipologieabitative, l’elemento discriminante è rappresen-tato dalla presenza di mosaici e di tessere, ovverodalle testimonianze di una sezione degli ambien-ti riservata al dominus. Ne risulta una primaclassificazione in tre gruppi essenziali: le villaecon parte residenziale; gli edifici rustici prividella zona residenziale e identificabili dallepavimentazioni in cotto, pietra o battuti; i “siti diun edificio”, qualora i contesti non siano statimeglio specificati o i rinvenimenti non appaianoleggibili. Lo studio, pur in presenza di grosselacune informative (il 48% del totale analizzatoviene segnalato come sito di un edificio),evidenzia come il 78% del campione rimanenteabbia restituito mosaici o tessere musive, provadi una grande diffusione della piccola e mediaproprietà nel territorio a partire dal I secolo a.C.,mentre il rarefarsi del sistema progredisce dopoil II-III secolo d.C.

La carta archeologica, che segue un inizialecapitolo sul contesto territoriale e storico, pre-senta i rinvenimenti suddivisi per città e all’inter-no di ambiti geografici distinti (l’area padana

che ha accompagnato l’inaugurazione delle duemostre-evento, per gli anni 2002 e 2003, pro-mosse dal Museo Nazionale Atestino in occasio-ne del centenario della sua apertura: 1902-2002.Il Museo di Este: passato e futuro e Il passaggiodel guerriero. Un pellegrinaggio tra i santuariatestini.

Nel primo volume, presentato dal Soprinten-dente reggente per i Beni Archeologici del Veneto,con la raccolta dei “saggi di studiosi che per annihanno operato e tuttora operano nel museo, sianell’ambito della sistemazione delle raccoltearcheologiche, sia della ricerca scientifica e delrestauro della sede storica”, si susseguono i con-tributi di tre direttori del Museo e dell’architettoche ne ha in carico il progetto di ampliamento,mentre la parte conclusiva dà spazio alla biblio-grafia archeologica e alle diverse fonti pertinen-ti. Così l’ex-direttore Anna Maria Chieco Bian-chi traccia la storia delle raccolte partendo daVincenzo Fracanzani, la prima persona che, agliinizi del XIX secolo, raccoglie materiali antichi“di pubblica utilità”, e Giuseppe Furlanetto chene redige il primo catalogo (la collezione, allora,si componeva di 89 pezzi, per lo più epigrafi,elementi architettonici e frammenti di sculture);la Chieco Bianchi approfondisce poi i legami chesi stabilirono tra il Museo – con le continuescoperte e le campagne di scavo che fiorirono nelterritorio alla fine del secolo –, e personaggifondamentali sia per la storia del centro sia, piùin generale, dell’archeologia quali AlessandroProsdocimi, Luigi Pigorini, Alfonso Alfonsi,Gherardo Ghirardini, sino a giungere, in tempirecenti, alla figura di Giulia Fogolari, che nelasciò la direzione alla stessa Chieco Bianchi nel1965. A Elisabetta Baggio Bernardoni, che su-bentrò alla guida del Museo nel 1986, il compitodi raccontare i successivi anni di scoperte,allestimenti e pubblicazioni, mentre Angela RutaSerafini, l’attuale direttore, si sofferma partico-larmente sul suo operato in relazione all’esigen-za, divenuta prioritaria negli anni Novanta, dirafforzare “il ruolo di servizio culturale a rilevanzasociale” delle strutture museali, manifestando

centrale, quella veneta, l’area aquileiese, l’areatergestino-istriana), soffermandosi poi più det-tagliatamente su alcuni edifici scavati, esempi diville suburbane e marittime. Nella parte finalevengono riportati i dati relativi alle tecnicheedilizie più attestate, alle tipologie planimetrichedelle ville, alle loro decorazioni, sia pavimentalisia parietali.

Cinzia Agostini

1902-2002. Il Museo di Este: passato e futuro, acura di Anna Maria Chieco Bianchi e AngelaRuta Serafini, Treviso, Canova, 2002, 4°, pp.192, ill., s.i.p.

Este preromana: una città e i suoi santuari, acura di Angela Ruta Serafini, Treviso, Canova,2002, 4°, pp. 344, ill., s.i.p.

Il passaggio del guerriero. Viaggio tra i santuaridi Este preromana, Quaderno didattico a cura diFrancesca Benvegnù, Alberta Facchi, SabinaMagro e Cinzia Tagliaferro, Treviso, Canova,2002, 4°, pp. 30, ill., s.i.p.

Si tratta di un cofanetto editoriale composto dadue pubblicazioni scientifiche di notevole spes-sore e impegno e di un agile quaderno didattico,

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RECENSIONI E SEGNALAZIONI

l’intento, per il futuro, “di incentivare l’attivitàdidattica per investire sui giovanissimi, costruen-do una nuova sensibilità culturale degli adulti, emigliorare gli strumenti della comunicazione edella promozione ancora carenti”.

Este preromana: una città e i suoi santuaripresenta ufficialmente gli studi più recenti e leultime scoperte, con fulcro il santuario di Meg-giaro, portato alla luce nel 1999. Il testo si artico-la in una prima parte generale, che fa il puntosulle attuali conoscenze dalla geomorfologia eidrologia antiche, alla toponomastica, alle origi-ni e al ruolo del centro atestino nell’ambito dellaciviltà veneta, agli sviluppi urbanistici, e in unaseconda in cui, dopo l’analisi del sito di Meggiaroe del materiale affiorato, si completano conrinvenimenti inediti, e le informazioni da essiapportate, le notizie sugli altri santuari localiconosciuti. In un’apposita sezione si segnalano,poi, i rapporti, sia di somiglianza sia di diversità,con i santuari di San Pietro Montagnon, Vicenzae Altino.

Il progetto editoriale è completato dal quader-no didattico, dedicato ai ragazzi e al mondo dellascuola, in cui si immagina una lezione di storiasulla religiosità e i luoghi di culto dei Venetiantichi compiuta dagli stessi reperti archeologici:stilo, ex voto, laminette, recipienti. Grande atten-zione nell’opera è rivolta, oltreché alla semplici-tà del linguaggio e alla pertinenza dei contenutitrasmessi, alla ricostruzione grafica, in speciedella forma e del colore originali degli “oggettiparlanti”.

Cinzia Agostini

CHIARA CHEMIN, Il complesso di Ca’ Marcello diMonselice. Analisi stratigrafica degli alzati,Padova, Società Archeologica Veneta onlus,(2001), 2002, 8°, pp. 94, ill., s.i.p.

Nel suo numero XXIV , la rivista “ArcheologiaVeneta” ha dato a Chiara Chemin, neolaureataall’Università di Padova in archeologia medieva-le, la possibilità di pubblicare una rielaborazione

sintetica della sua tesi di laurea riguardante l’ana-lisi stratigrafica di Ca’ Marcello, un complessodi edifici situati ai piedi della rocca di Monselice,comprendente anche il famoso palazzo “diEzzelino”. La cittadina, situata sulle pendicimeridionali dei colli Euganei, si caratterizza perun “modello insediativo, con il castrum posto sulcolle e l’abitato sul pedemonte [...] che richiamail modello organizzativo di alcuni castra tardoan-tichi-altomedievali”: la prima menzione scrittadel suo “castello” è datata infatti all’anno 914.

Il lavoro della giovane studiosa si è quindicomposto di una parte di ricerca sul campo, perindividuare le omogeneità murarie dell’insieme,e di un’accurata analisi a tavolino effettuataattraverso le foto dei prospetti dei vari corpi difabbrica, che ha portato alla schedatura detta-gliata delle diverse unità stratigrafiche e deglielementi architettonici. Lo studio così svolto hapermesso di individuare sette principali fasicostruttive, per le quali la Chemin ha fornito una

proposta cronologica, a fronte della totale assen-za di notizie sulle fasi edilizie iniziali e dellascarsità di documentazioni inerenti i restauri piùrecenti.

Nel volume, dopo una breve presentazionedelle vicende storiche di Monselice e di Ca’Marcello in particolare, si propongono in sezioniseparate i quattro corpi di fabbrica principali delcomplesso: la casa romanica, il castelletto, ilpalazzo “di Ezzelino”, la fabbrica Marcello. Perciascuno vengono poi introdotti i dati offertidalle poche fonti scritte pervenute, con la descri-zione dei vani e degli ambienti odierni dei singolicorpi, e l’analisi dei prospetti e delle loro carat-teristiche. Quest’ultima risulta illustrata nei par-ticolari da numerose foto a colori in cui sonoriportati, in maniera ben evidente, i numeri delleunità stratigrafiche murarie che permettono, agliocchi pratichi degli archeologi e attraverso ilmetodo Harris, di leggere i rapporti cronologicie fisici che le legano.

Cinzia Agostini

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L’EDITORIA NEL VENETO

DANIELE COMBONIun missionarionell’Ottocento veneto

Rosetta Frison Segafredo

“Giornate intere sulla groppa di un cam-mello, notti sotto le stelle, oppure esposto allapioggia, avvolto in una coperta e con la testaappoggiata a un sasso, con i fuochi sempreaccesi per tenere lontane le fiere, cibo raccoltolungo la strada, acqua imputridita dal caldo edal sole [...]”. La citazione non proviene dallafantasia di un romanziere, ma direttamentedalla penna di Daniele Comboni (1831-1881),figura di prima grandezza fra coloro che nellaseconda metà dell’Ottocento penetrarono nelcontinente africano, missionario che dovetterelazionarsi con le sfere più alte dei poteriecclesiastici, ma anche politici ed economicidel suo tempo, legati da interessi diversi al-l’Africa nord-orientale: in particolare al Sudan,che fu l’oggetto della sua evangelizzazione.Per aiutare le “selvagge” popolazioni sub-sahariane a salvarsi dagli appetiti delle variecompagnie di commercianti e di schiavisti,Comboni ideò un piano per la rigenerazionedell’Africa che, con una visione anticipatricedelle moderne teorie, prevedeva il coinvol-gimento degli africani stessi nel loro riscatto.Fondatore di una attivissima famiglia missio-naria, è stato beatificato nel 1997 da GiovanniPaolo II e santificato nel 2003. Tuttavia sareb-be sbagliato pensare a questo libro come a unasemplice biografia di un pur rilevante perso-naggio: Comboni lo si incontra, in realtà, soloa metà di una trattazione che ha come oggettopiù generale la storia di quella porzione delcontinente africano in cui il grande veronese sitroverà, a un certo momento, ad operare e adoffrire un contributo del tutto speciale. Roma-nato, da storico meticoloso, è riuscito nellanon facile impresa di mettere insieme una do-cumentazione vastissima (basata su un’ampiabibliografia in italiano, inglese, francese, te-

desco, sloveno, polacco, su fonti documenta-rie in parte inedite, tra cui la Positio per ilprocesso di canonizzazione e su una grandequantità di mappe geografiche del tempo),integrata dalla sua conoscenza de visu degliitinerari africani di cui tratta (che ha cercato diripercorrere fin dove i limiti della sicurezza dioggi lo consentono) e di quelli sudamericaniche videro l’insediamento delle Riduzioni deiGesuiti cui Comboni si ispirò per il suo piano.Il risultato è un volume che offre una sistema-zione organica nuova a una fetta di storiaconosciuta dai più per vaghe suggestioni e,pur non concedendo mai nulla alla retorica oalle tentazioni mistificatrici o agiografiche,pur non avanzando una singola affermazioneche non sia opportunamente motivata dallefonti, si legge facilmente e con piacere nonsolo perché il racconto è coinvolgente, maanche per una scrittura agile, sempre asciuttaed efficace e per l’inserimento di un riccoapparato di note, indici e cronologia, che faci-lita ulteriormente una chiara comprensionedel testo.

La trattazione prende le mosse dallo statodelle conoscenze sull’Africa all’inizio dell’Ot-tocento: un continente quasi del tutto scono-sciuto, dal momento che dal deserto del Saharafino alla zona del Capo non si sapeva pratica-mente nulla, nonostante a partire dal 1788,cioè da quando fu fondata a Londra la British

African Association, fossero già avvenutenumerose spedizioni che non avevano, però,visto tornare la maggior parte di coloro che visi erano avventurati. Il viaggio degli esplo-ratori ottocenteschi, d’altra parte, rispondevaa un desiderio di conoscenza che era superioreanche al valore stesso della vita e l’esplorazio-ne era una componente essenziale del sapere.I lunghi resoconti di viaggio di molti esplora-tori intendevano essere proprio un contributoalle conoscenze scientifiche del loro tempo. Apolarizzare molti degli interessi conoscitivi fuil desiderio di individuare le sorgenti del Nilo,su cui le conoscenze europee all’inizio dell’Ot-tocento erano pressoché le stesse di Seneca,diciotto secoli prima. Tutto comincia da quan-do Mohammed Alì, diventato pascià d’Egitto,assume un ruolo autonomo rispetto al governodi Costantinopoli e, continuando l’opera inizia-ta dai francesi, apre il paese alla modernità ealla collaborazione con l’Occidente. Un passonella soddisfazione dei suoi sogni imperiali ècostituito dall’annessione, nel 1822, della Nu-bia, cioè della valle del Nilo fino a Khartoum,in sostanza l’area già islamizzata del Sudan.Qui giunge nel 1825 il naturalista bassaneseG.B. Brocchi come inviato del governo egizia-no per studiare la natura del suolo e rimanecolpito soprattutto dall’incredibile ignoranzae dall’inerzia totale della classe dirigente “tur-ca”. Negli intenti di Mohammed la conquistadel Sudan costituisce un tassello nella suastrategia di affrancamento dalla Turchia, perdiventare il maggiore riferimento del mondomusulmano; ma l’effetto più duraturo e menoprevisto è quello di svelare l’Africa all’Euro-pa. Come la riscoperta dell’Egitto era avvenu-ta grazie a Napoleone, così grazie alla conqui-sta egiziana l’Europa scopre l’Africa. Nel de-cennio successivo, infatti, le potenze europeeriescono a penetrare, con i loro interessi, nelSudan del Sud: nel 1838 sottoscrivono con ilgoverno di Costantinopoli un trattato che assi-cura loro libertà di commercio nei territoriottomani, sotto la cui giurisdizione l’Egitto, equindi il Sudan, formalmente si trovano. Gliappetiti europei per sfruttare le ricchezze suda-nesi riescono a creare una pressione che porta,nel 1849, all’abolizione del monopolio gover-nativo del commercio sul Nilo. È tuttavia laSanta Sede la prima “potenza” europea adaprire un insediamento stabile nell’Africa in-terna. In un momento di arretramento sul pia-no del potere politico, la Chiesa, anche susollecitazione dell’enciclica Probe nostis diGregorio XVI , si volge alla missione ad gentespresso i non cristiani. L’Africa è, in questosenso, il continente di gran lunga più sguarni-to: perciò la Propaganda Fide (il dicasteroecclesiastico che dal 1622 ha giurisdizione intema di evangelizzazione missionaria) decidein tempi rapidissimi, nel 1846, la costituzionedi un Vicariato Apostolico dell’Africa centra-

L’EDITORIANEL VENETO

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le, cioè della prima circoscrizione ecclesiasti-ca nel cuore del continente. Mescolando “az-zardo” e genialità la Santa Sede intende, così,porre un’ipoteca sull’intera Africa interna. Deltutto inconsapevoli delle difficoltà di pene-trazione che la risalita del Nilo comportava, ivertici romani, preoccupati che le interferenzedelle grandi potenze non intralciassero l’ope-razione, sollecitano i membri della prima dele-gazione (Ryllo, Casolani, Knoblecher e Vin-co) a rompere gli indugi dei preparativi e adintraprendere la spedizione. Mohammed Alìnon pone limitazioni all’ingresso dei preticattolici, se non il divieto tassativo di fareproselitismo: liberalità dettata dal calcolo cheessi potessero contribuire all’occidentalizza-zione del paese. La spedizione prende avvionel settembre 1847 da Alessandria e giunge aKhartoum nel febbraio 1848; qui i quattrodelegati sono costretti a fermarsi e tentano diiniziare un’attività a favore dei neri riscattatidalla schiavitù, ma sono sopraffatti da difficol-tà di ogni tipo. La granitica fibra di Ryllo, cheha la funzione di provicario, cede alle insidiedel clima ed egli muore nel mese di giugno. Siacuiscono i problemi economici e le diffiden-ze dell’ambiente. Vinco e Casolani, intaccatidalle febbri tropicali, sono costretti a ripartireper l’Europa; il secondo non farà più ritorno inAfrica, mentre Vinco rientrerà l’anno seguen-te. Knoblecher diventerà da ora la figura piùimportante del Vicariato. Nel 1849 con Pede-monte e Vinco compie una spedizione a sudnel territorio dei Bari, ma nel 1850 deve rien-trare in Europa per procurarsi mezzi finanziarie protezioni politiche. Si ferma un anno, du-rante il quale riesce a costruire le condizioniche garantiscano la continuità della missione:l’Imperatore Francesco Giuseppe accorda lasua protezione e una cospicua donazione indenaro e viene costituita l’Associazione ma-riana per il progresso della missione cattolicanell’Africa centrale (Marienverein). Inoltre,riesce, per intervento del card. Massaja e inseguito a un colloquio con Pio IX, a far annul-lare a Roma il decreto di soppressione del vi-cariato e ad essere nominato provicario. Nel-l’agosto del 1851 riparte da Trieste con ottomissionari e, giunti al Cairo, questi comperanoun battello che battezzano Stella mattutina, ilquale per una decina d’anni navigherà senzainterruzione sul Nilo Bianco, battendo bandie-ra austriaca e garantendo alla missione auto-nomia operativa. È questo il momento in cuil’interesse europeo è particolarmente concen-trato nell’area mediorientale: per l’attivismodel sovrano egiziano, per l’apertura della viadel Nilo, per le prevedibili conseguenze eco-nomiche e politiche che sarebbero derivatedall’apertura del canale di Suez (il cui maggiorprogettista è l’italiano Luigi Negrelli), per ilmiraggio delle straordinarie ricchezze che, sipensava, il cuore dell’Africa racchiudesse.

Knoblecher, giunto a Khartoum dotato diingenti mezzi, decide di intraprendere la co-struzione di una adeguata sede per la missionee alla fine del 1856 è agibile quella che vienesubito considerata la meraviglia della città: unedificio grande, arredato alla maniera euro-pea, con un immenso giardino, per scelta nondi ostentazione ma per la protezione della sa-lute delle persone in un clima così insidioso.I missionari si impegnano qui nella scolariz-zazione dei ragazzi, mirando a preparare per-sonale locale, ma continuano anche la pene-trazione fra le tribù sconosciute nell’intento didar vita, dopo una fase preliminare, a una mis-sione che fosse centro di incivilimento e dievangelizzazione, sul modello delle Riduzioniche i Gesuiti avevano costituito in AmericaLatina nel Settecento. Tuttavia troppo diversesono qui le condizioni ambientali, climatiche,culturali per rendere possibile un simile proget-to. Questo esperimento missionario si risolvein un apparente insuccesso, anche se in realtàraggiunge dei risultati non trascurabili: operauna classificazione di tutte le popolazioni chevivono sulle rive del Nilo bianco fra Khartoume l’attuale confine con l’Uganda; inaugura lostudio delle lingue locali trascrivendo lin-guaggi fino ad allora solo parlati; dà un contri-buto determinante all’esplorazione di una re-gione del tutto sconosciuta. Prima di Speke eGrant, che nel 1862 scoprono le sorgenti delNilo è, infatti, Angelo Vinco l’europeo che siavvicina più di ogni altro al mistero dell’origi-ne del fiume. Vivendo tra i neri Bari e parlan-do la loro lingua egli individua le sorgenti (nedà anche notizia in una rivistina missionarianel 1852), ma non riesce a raggiungerle per-ché stroncato dalle febbri.

Da parte di questi primi missionari, però,non è possibile un’elaborazione diretta di quan-

to andavano facendo poiché le incombenzeoperative in situazioni spesso disperate li por-tavano quasi sempre a una morte prematura.A volte succede loro di essere strumenti in-consapevoli di cambiamenti radicali per quelterritorio, come quando, nel 1852, un bracciodi ferro tra il governatore egiziano e il consoleaustriaco, vede prevalere quest’ultimo e affer-mare la libertà di navigazione e di commercioanche nell’Alto Nilo. La contesa era stata mo-tivata dalla necessità di andare a prendere eriportare a Khartoum il missionario Vinco cheoffre, così, l’occasione per trasformare il Niloda via interna africana in via di penetrazionespeculativa e coloniale. E la corsa all’avorio,tanto richiesto dall’Europa borghese dell’epo-ca, prende il via. Le spedizioni commercialiassumono ben presto i connotati della rapinaspregiudicata e arrivano a costituire un nessoinscindibile con la tratta degli schiavi. I mis-sionari, che avevano potuto sopravvivere nelNilo grazie alle protezioni consolari, non sipossono sottrarre a una solidarietà istintivaverso i loro connazionali, seppure mercanti eschiavisti, né possono fare a meno della servi-tù musulmana, che commercia in proprio alleloro spalle, e vengono quindi associati in unasorta di corresponsabilità. Se non viene intac-cata la figura morale dei singoli missionari, èlecito avanzare molti dubbi sulle modalitàcon cui si fecero certe scelte, sulla pretesa dievangelizzare senza conoscere, sull’avventa-tezza con cui si mandarono tanti innocentiallo sbaraglio.

La vocazione missionaria di Comboni na-sce dall’incontro a diciotto anni proprio conAngelo Vinco, di passaggio all’Istituto Mazzadi Verona prima di rientrare in Africa. Dellasua formazione giovanile si conosce poco, macertamente Comboni compie un ciclo di studidi alto livello sia spirituale sia culturale, ancheperché si trova in quella città di Verona cheproprio fra il 1814 e il 1866 conosce una sta-gione religiosa particolarmente intensa e fe-conda, con una spiritualità diffusa, non inti-mistica, ma capace di misurarsi con i bisognidel momento (nel giro di circa trent’anni sor-gono a Verona una decina di nuove congre-gazioni maschili e femminili), e sulla qualeesercita un forte influsso la figura di AntonioRosmini. In questo contesto si plasma la spi-ritualità di Comboni, il suo senso del sacrifi-cio, il suo “cristocentrismo” inteso come rife-rimento alla sofferenza che produce opere dicarità. La scelta di operare in Africa giungedopo e non sarebbe avvenuta “se non ci fossestata la consapevolezza di un cristianesimo dareinventare sulle frontiere più avanzate delbisogno, della miseria, della sofferenza”. Lasensibilizzazione missionaria della città è favo-rita anche dalla presenza del generale dellarestaurata Compagnia di Gesù, Luigi Fortis,di varie associazioni missionarie, dalla corri-

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spondenza con eminenti figure di missionari.Mazza, nel cui Istituto Comboni si sta forman-do, dal contatto con Nicolò Olivieri (prete chesi era dedicato al riscatto degli schiavi inEgitto), arriva a formulare un suo piano per gliafricani che, basato su una pedagogia di deafri-canizzazione, darà risultati deludenti. Ma que-sto “piano Mazza” ha inizialmente tra i suoifautori più convinti proprio Comboni che, peraiutarne l’attuazione, parte nel 1857 con altricinque missionari mazziani per il Sudan. Dopomeno di due anni, intaccato fisicamente dallefebbri di quel clima infernale e psicologica-mente dalla morte di tre confratelli, sarà peròcostretto ad interrompere i contatti intrapresicon le popolazioni nilotiche e a rientrare inItalia. I cinque anni che vanno dal 1859 al1864 sono vissuti freneticamente fra viaggi,incontri, iniziative di vario tipo: Comboni èvulcanico, ma ancora intemperante. Cionon-dimeno, arriva a maturare lentamente il suoPiano per la rigenerazione dell’Africa, cui dàuna forma organica alla fine del 1864 e a cuiispirerà tutta la sua azione successiva. Parten-do dalla considerazione che l’incontro fra lacultura africana e quella europea debba avve-nire su un terreno neutro, propone di fondaresulla costa africana degli insediamenti missio-nari a scopo di evangelizzazione e civilizza-zione, gestiti insieme da personale europeo eafricano fino a che gli africani non siano ca-paci di gestirli autonomamente. In questo mo-do, si sarebbe gradualmente raggiunto l’obiet-tivo della “rigenerazione dell’Africa con l’Afri-ca stessa”, che era lo scopo ultimo del proget-to. Per l’attuazione concreta si pone subito unadomanda: chi avrebbe dovuto pensare e diri-gere questi centri? Secondo Comboni la mis-sione africana per la sua complessità deveessere gestita dalla Chiesa nella sua responsa-bilità collettiva: è la Chiesa che deve dar vitanelle città costiere a iniziative che attuinoquelli che oggi si chiamano i prerequisiti dellosviluppo. Così si sarebbero superati sia ilparticolarismo delle varie famiglie religiosesia la dipendenza politica delle missioni, cherischiava di inquinare l’attività di evangelizza-zione. Il Piano, così concreto nella sua elabo-razione, non potrà essere in buona parte attua-to anche per contingenze storiche: in un mo-mento di soppressione degli enti religiosi,Comboni dovrà far sorgere un piccolo istitutoreligioso, posto sotto l’autorità del vescovo diVerona e accettare la contraddizione di aumen-tare il particolarismo che voleva estirpare.

Nel giugno 1867 nasce a Verona, dunque,l’ Istituto delle Missioni per la Nigrizia – an-che per la disponibilità del vescovo LuigiCanossa e del segretario di Propaganda FideBarnabò, affiancato nel 1872 dall’Istituto del-le Pie Madri della Nigrizia. Nello stesso annoviene fondata la rivista “Annali dell’Associa-zione del Buon Pastore”, che dieci anni dopo

diventerà l’ancora viva “Nigrizia”, prima rivi-sta interamente missionaria in Italia.

Con questo apparato di sostegno il restodella vita di Comboni è sostanzialmente dedi-cato all’applicazione del suo Piano. In Egitto,ambiente in questo momento cosmopolita piùdi ogni altro, diventa un interlocutore autore-vole e ascoltato da studiosi, esploratori, politi-ci (incontra anche l’imperatore Francesco Giu-seppe venuto per l’inaugurazione del canale diSuez). Da qui al 1881, anno della sua morte, lasua vita è segnata da un quotidiano impegnoper far avanzare in Africa (Egitto e Sudan) isuoi progetti e le relazioni con gli ambientieuropei per tenere vivo il consenso, appianarele incomprensioni, consolidare il sostegno allesue iniziative (lo segnano particolarmente ledivergenze con i vertici romani di PropagandaFide, soprattutto relativamente al suo impegnoper combattere lo schiavismo e con il cardinaleLavigerie, fondatore dei Padri Bianchi, magode anche sempre della profonda stima delcard. Massaja): è impossibile in poche righeriassumere la complessità e il livello della suaattività (cui non sono risparmiati fino alla finené azioni demolitorie né calunnie), di cui sitrova ampia esposizione nella parte finale dellibro. Quel che si può dire è che Comboni ègiunto da solo, in maniera geniale, a capirequale dovesse essere l’approccio con le cultureprimitive: capisce che l’africano deve esserelasciato in Africa per non perdere le proprieradici, e che con l’istruzione lo si può lenta-mente anche far avvicinare alla religione cri-stiana, dopo che si sia stati accettati, si sianofornite le prime competenze, si sia introdotto ilmodello familiare cattolico. Tuttavia le mis-sioni che egli avvia sono isole sperdute nel

“mare musulmano” e possono vivere solo per-ché strettamente controllate e del tutto separa-te dal mondo maomettano. Il vero dissidio chesi profila, e che Comboni intuisce, è quello delconfronto fra due religioni che è anche con-fronto fra due culture e due civiltà. Proprio ilSudan scriverà, subito dopo la sua morte, pagi-ne drammatiche che coinvolgeranno anche imissionari cattolici, provocate dalla reazionelocale nei confronti di coloro che erano ritenuticomunque degli usurpatori (ci si riferisce allarivolta nota come Mahadia).

Nella postfazione, Sergio Romano (diretto-re della collana) spiega come il merito fonda-mentale di questo studio di Romanato sia quel-lo di aver messo in luce come l’interesse dellaChiesa cattolica per l’Africa preceda la grandespartizione coloniale della seconda metà del-l’Ottocento. La penetrazione del colonialismoeuropeo, però, agevola l’accreditamento del-l’Islam presso le popolazioni africane comereligione “indigena”, da usare come barrieracontro l’imperialismo “cristiano” (ancor oggiil cristianesimo, da una parte della popolazioneafricana, è percepito come la “religione delpadrone”). Oggi gli appartenenti alle due gran-di religioni monoteiste sono, nel continenteafricano, pressoché equivalenti, ma l’Islamcontinua a diffondersi più rapidamente. Roma-no ricorda che per ottenere questi risultati i duemonoteismi hanno dovuto accettare di “vestireabiti locali”, ma ricorda anche come la Chiesacattolica, che pure si è spesa con tanta genero-sità per quelle popolazioni, non sempre tollerile autonomie liturgiche e ricorra talora allearmi della disciplina. Per l’islam africano d’al-tra parte, secondo Romano, il pericolo mag-giore risiede nel fondamentalismo, che perce-pisce come nemici, oltre ai regimi arabi mode-rati e agli Stati Uniti, la stessa Chiesa cattolica.Realtà che sembra aver scelto di reagire non inmodo bellicoso, ma con lo spirito con cui frèreJacques, priore del monastero di Notre-Damede l’Atlas in Algeria, prevedendo la propriafine, lasciò in un testamento spirituale al suoassassino: “E anche a te, amico dell’ultimo mi-nuto, che non sapevi quel che facevi. Sì, ancheper te voglio prevedere questo ‘grazie’ e que-sto ‘addio’. E che ci sia dato di ritrovarci, la-droni beati, in Paradiso, se piacerà a Dio, no-stro Padre comune. Amen. Insciallah!”.

Per concludere, è da sottolineare come questolibro, per la seria ricostruzione che offre di unmomento storico complesso e in cui hannoorigine molte delle questioni del mondo con-temporaneo, si possa considerare uno strumentonecessario di consultazione sulla nostra storia.

GIANPAOLO ROMANATO, L’Africa nera fra cristia-nesimo e Islam. L’esperienza di Daniele Comboni,presentazione di Richard Gray, con un saggiodi Sergio Romano, Milano, Corbaccio, 2003, 8°,pp. 454, s.i.p.

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L’EDITORIA NEL VENETO

Il territorio veneto è caratterizzato dallapresenza di sistemi fortificati urbani che risal-gono al Medioevo e al Rinascimento: si trattadi un patrimonio culturale che rappresental’eredità di una storia complessa e costellata dipersonaggi, eventi, guerre e battaglie cruente,una storia capace di influire sulle vicendedelle singole città secondo modalità diver-sificate, peculiari e spesso imprevedibili. Lemura delle città venete, dopo aver perso la lorooriginaria connotazione militare e difensiva,sono oggi diventate, in molti casi, il simbolomonumentale di questo passato, la concretatestimonianza di una continuità storica e civi-le, un elemento identitario dal valore non tra-scurabile. Negli ultimi anni, sembra esserecresciuta anche la sensibilità di cittadini eistituzioni nei confronti di una razionale operadi salvaguardia e promozione di tale patrimo-nio. Ed è proprio al fine di poter conservare,tutelare, ma anche valorizzare, cioè al fine dipoter (ri)legittimare, (re)inserire in modo piùfunzionale e opportuno queste antiche tracceall’interno del tessuto urbano, che è stata va-rata la Legge regionale n. 15 del 16 giugno2003. Una recente iniziativa legislativa con cuila Regione del Veneto ha voluto dotarsi(e dotare le amministrazioni locali) di unostrumento di tipo nuovo, rivolto essenzialmen-te a mettere in rilievo le notevoli potenzialitàdelle fortificazioni presenti nel contesto urba-no. Una “legge di spesa”, che non si limita asostenere azioni che abbiano un carattere me-ramente conservativo e manutentivo, ma spe-cifica l’attribuzione di risorse regionali da de-stinare pure ad altri generi di intervento: leristrutturazioni pensate per un riuso funzionaledelle mura, mirato al pubblico; la possibilità difavorire l’acquisto, da parte delle amministra-zioni locali, delle aree in cui sono insediati imanufatti; il riordino della viabilità in prossi-mità dei beni oggetto di tutela; la sistemazionedegli spazi pubblici contigui a mura e fortifica-zioni. L’attenzione del legislatore non è riser-vata al singolo manufatto sic et simpliciter, maviene allargata al tessuto cittadino nel suo in-sieme, alla possibilità di armonizzare questepersistenze con la realtà circostante.

Ampia è la casistica di progetti e program-mi per la tutela e la valorizzazione delle mu-ra delle città venete presentata in questo volu-me. La ricchezza del patrimonio di centristorici e di città murate del Veneto consentedi tracciare ben poche generalizzazioni chepossano realmente definirsi applicabili in ma-niera più o meno indiscriminata al territorioregionale nella sua interezza. Da Montagnanaa Cittadella, da Este a Castelfranco, ci trovia-mo di fronte – scrive Franco Mancuso del-l’Università Iuav di Venezia – a “città di-verse, per forma, giacitura, posizione, storia;oltre che per le attuali condizioni di conserva-zione. Si tratta di città che, nella generalità deicasi, sono il risultato di vicende storiche com-plesse e di volta in volta singolari; anche le più‘giovani’ – le città di fondazione medievale –che hanno assorbito nel tempo interventi emodificazioni di grande entità”. In alcuni casi,basti pensare a Verona, parlare di mura signi-fica riscrivere e riattraversare la stessa storiadella città, più che del manufatto difensivovero e proprio. Significa ripercorrere le vicen-de e gli eventi di almeno due millenni. In sensopiù generale, si può affermare che sia sempreesistito, nella storia, un rapporto di tipo orga-nico tra mura e città.

Nel volume – frutto della collaborazione trala Regione del Veneto e il Dipartimento diUrbanistica dell’Università Iuav di Venezia –sono compresi gli interventi di Mariano Car-raro, Franco Mancuso, Claudio Modena, Gu-glielmo Monti, Aldo Norsa e Andrea Missori,che delineano gli aspetti tecnici e legislatividei progetti elaborati per la tutela e la valoriz-zazione delle città murate. Dopo questa primaparte di carattere più generale, vengono espo-sti e passati in rassegna gli studi di fattibilitàriguardanti il territorio di Belluno (comuni diBelluno e Feltre), Padova (Cittadella, Este,Monselice, Montagnana, Padova), Rovigo(Rovigo), Treviso (Asolo, Castelfranco Ve-neto, Castello di Godego, Conegliano, Porto-buffolè), Venezia (Noale e Portogruaro), Ve-rona (Cologna Veneta, Lazise, Malcesine, Pe-schiera del Garda, Soave, Verona), e Vicenza(Arzignano, Bassano del Grappa, Lonigo, Ma-rostica, Vicenza). Nella parte conclusiva sonopresentati altri due progetti aggiuntivi cheinteressano le mura di Mestre e di Treviso, più– in appendice – il testo completo della Leggeregionale n. 15 del 16 giugno 2003. Il volumeè corredato da un ricco apparato iconografico,con immagini a colori, piante storiche dellecittà, descrizioni dei progetti e delle loro carat-teristiche fondamentali.

REGIONE DEL VENETO - UNIVERSITÀ IUAV DI VENE-ZIA, Gli studi di fattibilità per la tutela e la va-lorizzazione delle città murate del Veneto. Leggeregionale n. 15 del 16 giugno 2003, Padova, Il Po-ligrafo, 2004, 4°, pp. 216, ill., s.i.p.

CITTÀ MURATEDEL VENETOGli studi di fattibilitàper la tutela e la valorizzazione

Diego Crivellari

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L’EDITORIA NEL VENETO

Dalla collaborazione tra la casa editriceIl Poligrafo e la Regione del Veneto è nata neiprimi mesi del 2005 una nuova collana di stu-di intitolata “Soggetti rivelati. Ritratti, storie,scritture di donne”. Un’iniziativa editoriale,coordinata da Saveria Chemotti, docente diLetteratura italiana moderna e contempora-nea dell’Università di Padova, che nasce comeideale confluenza di un dibattito sull’univer-so femminile che oggi percorre, a vari livel-li, istituzioni, università, associazioni, forum,gruppi di ricerca, e in questo caso ha potutocontare sulla partecipazione e sul sostegnoattivo dell’Assessorato regionale alle Pari Op-portunità, nella figura di Isi Coppola. Eccoallora un mosaico di ritratti di donne che han-no lasciato una chiara impronta nella lettera-tura, nella filosofia, nell’arte, ma anche nellascienza, nella religione, nella politica, nellastoria del costume. Temi e argomenti che in-teressano il pensiero e la vita delle donne. Ana-lisi trasversali e singoli itinerari in cui la diffe-renza è stata la spinta propulsiva per un’evo-luzione in positivo di tutto l’insieme della so-cietà. Il risultato: un confronto sempre vivo traipotesi scientifiche e culturali, teso all’esplo-razione di ciò che attiene a questo singolareuniverso. Priva di rigidi confini e di barriereche ne possano, in qualche maniera, limitare ecircoscrivere l’attenzione rivolta alle donne ealla loro storia (e priva di gabbie accademicheperché rivolta al mondo delle donne nella suaglobalità), la collana, al fianco di studi criticie monografie su figure femminili, offre ancheuna serie di scritti inediti o poco noti, mentrela parte della saggistica più tradizionale èaffiancata dalla scoperta, o riscoperta, di nuo-vi testi. In particolare, “Soggetti rivelati” sipropone come un possibile punto di riferi-mento nell’ambito degli women studies, ingrado di ospitare gli studi e gli apporti origina-li sviluppati su queste materie in diversi con-testi e di contribuire a colmare – almeno inparte – un vuoto culturale prodotto negli ulti-mi anni in Italia, diversamente da quanto av-venuto in altri paesi europei o negli Stati Uniti.La collana è orientata da un’ottica pluridi-sciplinare e da un approccio metodologicoche intende rimanere aperto alle più varie

GLI WOMAN STUDIESNEL VENETOUna nuova collana editoriale

Chiara Finesso

suggestioni di un dibattito orizzontale, sfac-cettato, radicato sempre più saldamente nellasocietà e nei luoghi della nostra vita collettiva.Si è trattato, alla luce di questa realtà, di riusci-re a condurre e articolare un tipo di ricerca, chenon si riferisse alla semplice esplorazione diun continente teorico, di nomi e temi già cir-coscritti in partenza, ma potesse contribuire aridisegnare, per quanto è possibile, i contornidi questo stesso continente, aprendolo a mon-di e discorsi altri , preparandosi a conoscere esperimentare forme, modi, pratiche, che sonolegate all’esperienza delle donne.

La storia delle donne è anche la storia di unaprogressiva, inarrestabile rivelazione – è evi-dente il richiamo nel titolo – e appare sinoni-mo di una fondamentale apertura nei confrontidel mondo, che ha intravisto da sempre nelleforme del dialogo e della narrazione la possi-bilità di esprimere la parte più profonda eautentica della personalità umana. Nella col-lana, emerge, a più livelli, un’attenzione pri-vilegiata per la scrittura e per le scritturefemminili, cioè per i momenti di questa rive-lazione, che si arricchisce sempre di nuovipunti di vista e di nuova sostanza narrativa. Lasoggettività femminile è stata faticosamenteconquistata, acquisita, affermata soltanto conil passare dei secoli, ma proprio questo suolungo cammino, un percorso di lotte e di ri-vendicazioni, è ciò che le permette ancoraoggi di riflettere con maggiore lucidità e mag-giore consapevolezza sui caratteri del proprionucleo originario. Ed è ciò che consente dirievocare la propria storia senza dare per scon-tato alcunché, sapendo perfettamente che unpatrimonio identitario non è affatto qualcosadi precostituito, non è un recinto da presidiareper metterlo al riparo da incursioni esterne oda presunte contaminazioni: è una realtà piùmobile e più complessa, in divenire, che ri-chiede di essere continuamente alimentata.

La soggettività della donna è di per sé nar-rativa, creativa, e la creatività femminile è unodei fili principali chiamati a riunire le diverseprospettive presenti nella collana. I ritratti e lestorie “rivelate” non hanno tuttavia l’ambi-zione di storicizzare e cristallizzare in una gal-leria definitiva i profili di personaggi e di fi-gure che hanno contrassegnato la strada versol’emancipazione femminile. L’immagine dautilizzare, in questo caso, sembra essere piut-tosto quella di un vasto arcipelago, in cui èpossibile muoversi e navigare, magari anchesulla base dell’ispirazione del momento, sen-za dover fare affidamento su un percorsoobbligato, scolastico, preordinato. Ogni sin-golo frammento può ricollegarsi a ciò che staprima o a ciò che lo segue. La storia della vitasociale e culturale delle donne deve poterrimanere un edificio aperto, modificabile, ri-volto al mondo “di fuori” e sempre prontoall’acquisizione di dati e di conoscenze. Sa-

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rebbe del tutto insufficiente pensare a tuttoquesto nei termini di un’aggiunta o di unamera riparazione rispetto alla cultura domi-nante. L’emergere di nuove figure e nuovedinamiche richiede pure una nuova modalitàdi vedere le cose, uno sguardo critico, che nonsi accontenti di integrare in qualche puntoisolato l’ossatura di una vicenda evidente-mente già scritta da altri.

L’identità delle donne si è costruita e raffor-zata nel tempo, sedimentando eredità di variotipo, incrociando percorsi e prospettive, fa-cendo leva proprio sulla poliedricità e sullaricchezza di tutte le esperienze di vita disponi-bili. L’identità è una storia in cammino. Que-sta caratteristica fondamentale non poteva cheessere conservata nell’impostazione di fondoche si è voluto assegnare alla collana “Sogget-ti rivelati”. Espressioni come soggettività fem-minile, uguaglianza, differenza, pari opportu-nità, cittadinanza dei diritti devono sapere co-me coniugarsi rispetto alle esigenze e ai proble-mi posti dalla contemporaneità. Devono impa-rare a incontrarsi senza rinunciare alla dimen-sione della loro autonomia e della loro peculia-rità. Il valore sperimentale di questa iniziativarisponde a una sensibilità e a un’attenzioneverso il femminile, che sono ormai largamentepresenti, se non maggioritari, nei vari settoridella nostra società.

Le prime uscite della collana hanno cosìriguardato un’ampia ricognizione di temi ediscipline tra loro affini.

Il volume collettaneo Lo spazio della scrit-tura. Letterature comparate al femminile, a cu-ra di Tiziana Agostini, Adriana Chemello, IlariaCrotti, Luisa Ricaldone e Ricciarda Ricorda, hainaugurato l’iniziativa, presentando una seriedi saggi dedicati al rapporto tra lo spazio e lascrittura nelle autrici della letteratura moderna econtemporanea (tra queste, per esempio, anchela veneta Paola Drigo), con contributi, tra glialtri, di Anna Maria Carpi, Hoda Barakat, Gia-coma Limentani, Nadia Setti, Wanda Tommasi,Sharon Wood. Un percorso all’interno di unamemoria frammentata, spesso dispersa, com-posta di biografie in qualche modo infrante, dipaesaggi non sempre limpidi e rassicuranti,aperto alla voce di donne con competenze eambiti di interesse diversificati: filosofe, gior-naliste, scrittrici, storiche, studiose di lingue eletterature. È, quello femminile, un modello discrittura che non appare mai “neutro”, ma èincarnato nei corpi e nei pensieri: il frutto di unamemoria che chiede di essere salvata e spessorisulta frammentata, intessuta di sradicamenti,di biografie infrante, di paesaggi letterari nonsempre così limpidi e rassicuranti.

La seconda uscita, Corpi di identità, a cura diSaveria Chemotti, segue l’evoluzione dellerappresentazioni del corpo femminile nellasocietà e nella cultura contemporanee, metten-

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done in rilievo le implicazioni filosofiche, giu-ridiche, estetiche... Un’analisi che si muove tradiverse discipline, con i profili critici di scrittri-ci come Matilde Serao e Sibilla Aleramo, studisull’educazione sessuale e sulla violenza con-tro le donne, ma anche su cinema e teologia.

Donne in filosofia, volume curato da BrunaGiacomini e Saveria Chemotti, raccoglie unaserie di interventi intorno al pensiero delledonne, frutto di un recente convegno padova-no del Forum di Ateneo per le politiche e glistudi di genere. I vari saggi sono accomunatidalla ricerca di una via alternativa alla steri-le ricostruzione di un “canone femminile”,immaginato con l’unico scopo di gonfiare ecorreggere una tradizione filosofica maschi-le. Sullo sfondo rimane l’analisi condotta dapensatrici quali Weil, Zambrano, Arendt, conuno sguardo condotto fino ad esiti significati-vi della riflessione attuale, come quelli rap-presentati dalla comunità filosofica femmini-le Diotima.

Lo spazio di Sara, di Giuliana Fabris, svi-luppa invece un percorso originale tra filoso-fia, antropologia e religione, delineando leforme e le modalità di elaborazione del doloree della sofferenza nelle donne, e sfruttando,tra le altre cose, molteplici rimandi ai mitigreci e alla Bibbia.

Nel volume Tre donne d’eccezione, curatoda Adriana Chemello e Donatella Alesi, vienepubblicata la corrispondenza inedita di Vitto-ria Aganoor – intellettuale padovana di originiarmene, la “poetessa di silenzi notturni” allievadi Giacomo Zanella –, di Silvia AlbertoniTagliavini e di Sofia Bisi Albini con AntonioFogazzaro, da cui emerge un vivo ritratto dellacondizione femminile nell’Italia liberale traOtto e Novecento. Le lettere indirizzate allo

Lo spazio della scrittura. Letterature comparateal femminile, a cura di Tiziana Agostini, AdrianaChemello, Ilaria Crotti, Luisa Ricaldone, Ric-ciarda Ricorda, Padova, Il Poligrafo - Venezia,Regione del Veneto, 2005, 8°, pp. 584, e 26,00.

Corpi di identità. Codici e immagini del corpofemminile nella cultura e nella società, a cura diSaveria Chemotti, Padova, Il Poligrafo - Vene-zia, Regione del Veneto, 2005, 8°, pp. 260, e18,00.

Donne in filosofia. Percorsi della riflessionefemminile contemporanea, a cura di Bruna Gia-comini e Saveria Chemotti, Padova, Il Poligrafo- Venezia, Regione del Veneto, 2005, 8°, pp.176, e 17,00.

GIULIANA FABRIS, Lo spazio di Sara. Per una fe-nomenologia del “femminile”, Padova, Il Po-ligrafo - Venezia, Regione del Veneto, 2005, 8°,pp. 288, e 19,00.

Tre donne d’eccezione. Vittoria Aganoor, SilviaAlbertoni Tagliavini, Sofia Bisi Albini. Dai car-teggi inediti con Antonio Fogazzaro, a cura diAdriana Chemello e Donatella Alesi, Padova,Il Poligrafo - Venezia, Regione del Veneto, 2005,8°, pp. 320, e 21.00.

FEDERICA NEGRI, La passione della purezza. Si-mone Weil e Cristina Campo, Padova, Il Po-ligrafo - Venezia, Regione del Veneto, 2005, pp.256, e 19,00.

Donne in-fedeli. Testi, modelli, interpretazionidella religiosità femminile, a cura di Anna MariaCalapaj Burlini, Saveria Chemotti, Padova, IlPoligrafo - Regione del Veneto, 2005, pp. 300,ill., e 21.00.

scrittore vicentino hanno il merito di eviden-ziare forme e modalità dell’emancipazione, diilluminare l’effettivo grado di partecipazionealla vita della società di queste e di altre“donne d’eccezione” e, nel caso di VittoriaAganoor (di cui ricorre il centocinquantesimoanniversario della nascita), di consentire unosguardo più curioso e interessato sulla realtàveneta. Vittoria Aganoor (1855-1910), nata aPadova da una famiglia di origine armena,allieva di Zanella, sarebbe poi vissuta traPadova, Venezia, Napoli e, infine, Roma,dedicandosi alla poesia, collaborando alle piùprestigiose riviste letterarie dell’epoca e svol-gendo un’intensa vita sociale, costellata diiniziative filantropiche. Tra Venezia e la villadi Basalghelle, la Aganoor avrebbe dato vitaad un vivace “salotto”, cui parteciparono in-tellettuali come Fogazzaro e Domenico Gnoli.

La passione della purezza, di Federica Ne-gri esplora la “corrispondenza intellettuale”che ha legato un’autrice, per molti versi ano-mala nel panorama novecentesco, come Cri-stina Campo, alla filosofa francese SimoneWeil, di cui si fece traduttrice e originalissimainterprete, contribuendo nel dopoguerra alladiffusione del suo pensiero in Italia. Un con-fronto tra due continenti teorici che, nel loroapproccio alla realtà, presentano diverse affi-nità e punti di incontro, ma anche una serie dievidenti linee di frattura.

L’ultimo volume fin qui pubblicato, Donnein-fedeli, curato da Anna Maria Calapaj Burlinie Saveria Chemotti, presenta un’ampia rico-gnizione dell’esperienza religiosa vissuta “alfemminile” e affronta le modalità con cui ledonne si sono integrate (con varie sfumature egradazioni) all’interno di diversi sistemi dicredenze, aderendo spesso con maggiore slan-cio degli uomini alla “chiamata” della fides. Inquesto senso, il titolo Donne in-fedeli più cheindividuare un giudizio o un connotato mora-le, esprime e sintetizza quella particolare ten-sione che ha storicamente animato le donnenell’avvcinarsi al fenomeno religioso –nell’ebraismo, nel cristianesimo, nell’Islam.

Tra i prossimi volumi in uscita, la ristampa,a cura di Patrizia Zambon, dei Racconti diPaola Drigo (1876-1938), scrittrice originariadi Castelfranco Veneto, troppo a lungo di-menticata, o piuttosto “rimossa”, dal panora-ma delle nostre lettere. Un’autrice, Paola Drigo,che dopo essere cresciuta in un ambiente coltoe raffinato, ha sempre condotto un’esistenzaassai appartata ed è stata, nonostante tutto, lavoce più rappresentativa tra le scrittrici venetedella prima metà del Novecento, con romanzicome Fine d’Anno e Maria Zef, titoli destinatia lasciare comunque un’impronta durevolenella nostra letteratura, al di là di mode effime-re e dei mutevoli orientamenti della critica.

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RIVISTERIA VENETA

RIVISTERIAVENETA

SPOGLIO DEI PERIODICIDI PSICOLOGIA,PSICHIATRIA, PEDAGOGIAE DI SCIENZE SOCIALI(2004-2005)

Il precedente spoglio dei periodici di “Psi-cologia, psichiatria e pedagogia - Scienzesociali” era stato presentato sul “Notiziario”n. 45 e prendeva in considerazione gli anni2003-2004. Il presente aggiornamento si ri-ferisce quindi alle nuove uscite a partiredall’ultimo fascicolo segnalato sul “Notizia-rio” n. 45.

PSICOLOGIA - PSICHIATRIAPEDAGOGIA

Acta Hypnologica

direttore resp.: Carlo Piazzadirezione scientifica: M. Cesa Bianchi, F. Con-sigliere, A. Ermentini, S. Ischia, M. Trabucchiperiodicità: quadrimestraleeditore: Istituto Italiano Studi di Ipnosi e Psi-coterapia “H. Bernheim”, Veronasede della redazione: Istituto “H. Bernheim”-Scuola S.P.P.I.E. “H. Bernheim” - dr. CarloPiazza - via XX Settembre, 69 - 37036 SanMartino Buon Albergo (VR) - tel. e fax 045/534271e-mail: [email protected]@virgilio.itweb: www.bernheim.it

a. V, n. 1-2, gennaio-maggio 2001A. BRUGNOLI, A Walter De Stavola • W. DE

STAVOLA, Considerazioni neurofisiologiche intema di attraversate a nuoto su lunghe distanze

• C. PIAZZA , L’ipnosi e l’acqua: veicoli psico-somatici del linguaggio corporeo • G. BENATTI,La relazione ipnotica nei disturbi psicoso-matici • G. GOCCI, Giovani e nuove droghe: unfenomeno sociale • P. RONCAROLI (a cura di),Le emozioni primarie: loro importanza nellefasi acute e croniche della malattia onco-ematologica.

a. V, n. 3, settembre 2001A. NORSA - F. BILIONE - C.A. ROBOTTI, Ipnosie cancro: una ricerca condotta presso l’Ospe-dale Civile Maggiore di Verona • A. BRUGNOLI,Stati di coscienza modificati ed ipnotici epossibile attivazione di fenomeni cosiddettiparanormali • P. BRUGNOLI, Neurofisiologiadi realtà percepita e realtà rappresentata:quale relazione tra “Working Memory” e vi-sualizzazione mentale in ipnosi.

a. VI , n. 1, gennaio 2002C. PIAZZA - M. MODENESE, Esperienze di tranceipnotica in attività di gruppo a mediazionecorporea • R. LODETTI, L’anima neurofisio-logica • M.P. BRUGNOLI, Rilassamento ed ipnosiin età evolutiva • M.L. ZENONI, L’ipnosi comeprocesso olistico per operatori ed utenti.

a. VI , n. 2-3, maggio-settembre 2002Atti del Congresso Internazionale “Ipnosi esalute nel terzo millennio”.E. ALQUATI, Ipnosi e medicine non conven-zionali • A. BOTTOLI, Ipnosi e ostetricia •

A. BRUGOLI, Ipnosi e dolore • G. MARTINELLI ,Ipnosi e odontoiatria • M. MODENESE, Ipnosi epsicoterapia • C. PIAZZA , Ipnosi e psico-somatica • P. RONCAROLI, Ipnosi e gruppinell’istituzione.

a. VII , n. 1, gennaio 2003C. CARLETTI, Ulysses • E. FARETTA - P. PARIETTI,La psicoterapia ipnotica e l’EMDR nel disturboda attacco di panico • C. BARBIERI - P. RONCA-ROLI, Consenso formale, confusione di ruoli econdivisione di esperienza di malattia. Ri-flessioni in margine ad un caso di trapianto dimidollo osseo in minore.

a. VII , n. 2-3, maggio-settembre 2003C. PIAZZA , Consapevolezza e guarigione •C. CARLETTI, Testo poetico, ipnosi e fiabaterapeutica: una proposta sinergica • M.P.BRUGNOLI, Il mental training nello sport: ri-cerca sull’efficacia del mental training legataalla prestazione di forza con l’esecuzione deltest di Bosco • R. LODETTI, L’anima umana tradroga e ipnosi • E. ALQUATI, Mesmer: le 27 pro-posizioni tra magnetismo e immaginazione.

a. VIII , n. 1-2, gennaio-maggio 2004M.P. BRUGNOLI, Tecniche di rilassamento edipnosi nel controllo della sofferenza del pazienteterminale • V. ANDREOLI, Ipnosi e neuroscienze• C. BARBIERI - F. LOCATELLI - P. RONCAROLI,L’aggressività come disturbo della relazioneterapeutica in caso di patologia neoplastica.

a. VIII , n. 3, settembre 2004G. COCCI, Saturno e la depressione • C. PIAZZA ,Le depressioni: aspetti clinici, storici eculturali; il lavoro di rete con la medicinagenerale • A. NORSA, Un caso di depressionetrattato con l’ipnosi • E. GALILI WEISSTUB, Ilmito dell’eroe sotto l’ombra del terrore.

ComprendreArchive Internationalpour l’Anthropologieet la PsychopathologiePhénoménologiques

Organo ufficiale della Società Italiana per laPsicopatologiacomitato di redazione: L. Cappellari, R. DalleLuche, R. de Monticelli, F. Leoni, C. Musca-tello, M. Rossi Monti, P. Scudellari, G. Stan-ghelliniredazione: Lorenzo Calviperiodicità: annualeeditore: La Garangola - via Montona, 4 -35137 Padova - tel. e fax 049/8750550sede della redazione: Piazzetta SS. Maurizioe Lazzaro, 2 - 23827 Lierna (LC) - tel. 0341/710312

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RIVISTERIA VENETA

13, 2003LORENZO CALVI , Presentazione • SANTINO CA-VACIUTI , Gabriele Madinier, filosofo dellagestualità • RICCARDO DALLE LUCHE, Someessential Psychopathological ideas of ArthurTatossian (1929-1995) • LUCIANO DEL PISTOIA,Il contributo di Georges Lantéri-Lauraall’atteggiamento fenomenologico in psi-chiatria • GILBERTO DI PETTA, L’altra co-scienza. Clinica e critica degli stati psico-patologici • FEDERICO LEONI, Note intorno a“Sulla fuga delle idee” di Ludwig Binswanger(con un’incursione nei rapporti tra feno-menologia ed antipsichiatria) • FRANCA MA-DIONI, Méthodes phénoménologiques enpsychothérapie • C.F. MUSCATELLO - F. BOARON

- A. MOSCA - P. SCUDELLARI, L’ora del verosentire. Dalla perdita dell’evidenza naturalealla rivelazione delirante • GIOVANNI STAN-GHELLINI, A Future for Phenomenology? •FEDERICO LEONI, Un classico di Tatossian.

ISREIstituto Superiore Internazionale

Salesiano di ricerca educativa

direttore resp.: Severino Cagnincomitato di redazione: Ernesto Gianoli, WalterCusinato, Severino De Pieri, Michele Mar-chetto, Renzo Barduca, Arduino Salatinsegreteria: Michela Zennaroperiodicità: quadrimestraleeditore: ISRE - Istituto Superiore Internaziona-le Salesiano di Ricerca Educativa, Venezia -SISF - Scuola Superiore Internazionale di Scien-ze della Formazione, Veneziasede della redazione: c/o ISRE - Isola di SanGiorgio Maggiore - 30124 Venezia - tel. 041/2710574-2710571 - fax 041/2710572e-mail: [email protected]: www.isre-sisf.org -www.isrevenezia.it

a. XI , n. 1, 2004WALTER CUSINATO (a cura di), Editoriale •Studi: DANIELA PAVAN - PIERGIUSEPPE ELLE-

RANI, Cooperative learning: una proposta perl’orientamento formativo. Costruire abilità ecompetenze in gruppo • Ricerche: ANNA TREVISI

- MARIA ROSSI, Adolescenti e scelte scolastiche• GUGLIELMO MALIZIA - VITTORIO PIERONI -BRUNO STENCO, Oltre la partecipazione •Contributi: UMBERTO FONTANA, Affettivamente“selvaggi” o affettivamente “educati”? •GIAMPIETRO PETTENON, Formazione a distanza,da strumento a processo formativo: situazionee prospettive • EDMONDO LANCIAROTTA, Ripen-sare la scuola: per una società aperta alfuturo • Varie: Libri ricevuti.

a. XI , n. 2, 2004MICHELE MARCHETTO, Prima pagina • Studi ericerche: Il rinnovamento della scuola. Cen-tralità della persona e senso della comunità inuna situazione complessa: GIULIANA SANDRONE

BOSCARINO, Un percorso di lettura della Ri-forma del Sistema educativo nazionale • CARLA

XODO CEGOLON, La professione docente nellascuola che cambia • AGOSTINO PORTERA, Laprofessionalità docente nella società multi-culturale • MARIO COMOGLIO, Comunità pro-fessionale che apprende • BRUNO BORDIGNON,Il progetto “Formazione all’autovalutazionee alla certificazione delle Scuole Salesiane”:il quadro di riferimento educativo e culturale• Studi e ricerche: L’educazione all’esistenza,fra complessità e presagio: MICHELE MAR-CHETTO, Educazione e complessità: l’“ esor-bitante esistenza” • ZELINDO TRENTI, Espe-rienza, ermeneutica e presagio religioso •DONATELLA DEL PIERO, “Progetto Monoennio”.La sperimentazione di orientamento, tutor eportfolio in una Scuola Superiore.

a. XI , n. 3, 2004UMBERTO FONTANA, Prima pagina • Studi ericerche: ANGELA SCHINELLA, Il problemamente-corpo: teorie a confronto • DARIO

QUAGLIO, Per una lettura critica della pe-dagogia contemporanea • J.P. POURTOIS -C. BARRAS, Accueil et éducation de la petiteenfance en Europe • Prassi educativa: UMBERTO

FONTANA, Riflessione. L’educazione del cuore

• GAETANO PICCOLBONI, Percorsi di formazionealla affettività • Ricerca intervento: SEVERINO

DE PIERI - KLEMENT POLACEK - UMBERTO AN-GELONI, Le competenze-chiave richieste dalleimprese: l’esperienza compiuta nella Pro-vincia di Venezia • PAOLA DI NICOLA, Relazionidi cura e stili educativi • Esperienze: LIVIANA

CANDUZZI - GIORGIO BIONDI - ENRICA PIERI,Orientimpresa: una esperienza per una scuoladi qualità.

a. XII , n. 1, 2005WALTER CUSINATO, Prima pagina • Studi:ANGELA SCHINELLA, Il problema della coscienzatra scienza e filosofia • Ricerche: SEVERINO DE

PIERI, Religione, valori e disagio giovaniledegli Immigrati italiani nella Svizzera tedesca• Ricerca - Intervento: MARIA DANIELA AN-DRISANO, Oltre i propri confini: percorso diformazione per volontarie che gestiranno un“Centro di ascolto e accoglienza” per donneimmigrate • CLAUDIA BETTIN, Modelli e tecnichedi monitoraggio: un’esperienza di interventosui progetti di orientamento della RegioneVeneto.

Psichiatria generalee dell’età evolutiva

direttore resp.: Giovanni Gozzetticomitato di redazione: A. Angelozzi, L. Gian-nini, E. Manzato, L. Meneghetti, F. Pesavento,P. Roveroniperiodicità: trimestraleeditore: La Garangola, Padovasede della redazione: La Garangola - viaMontona, 4 - 35137 Padova - tel. 049/8750550

vol. 41, fasc. 2, 2004GIOVANNI GOZZETTI, Editoriale • FRANCESCA

SBRACCIA, Presentazione • EUGENIO BORGNA,La testimonianza scientifica e umana diFerdinando Barison • FERDINANDO BARISON,Prélude • FERDINANDO BARISON, L’astrazioneformale del pensiero quale sintomo di schi-zofrenia • GIOVANNI GOZZETTI, Commento su:Astrazione formale del pensiero quale sintomodi schizofrenia • FERDINANDO BARISON, L’inter-pretazione delirante e le alterazioni dellacoscienza di significato nella percezione •FERDINANDO BARISON, La coscienza di signi-ficato delirante nella percezione. Lo smar-rimento cosiddetto schizofrenico • GIOVANNI

GOZZETTI, Commento su: La coscienza disignificato delirante nella percezione. Losmarrimento cosiddetto schizofrenico • FER-DINANDO BARISON, Schizofrenia paranoidesenza deliri • FERDINANDO BARISON, G. W.Schimmelpenning: le psicosi paranoidi dellaseconda metà della vita • FERDINANDO BARISON,Deliro e “Delusion” • FERDINANDO BARISON,Comprendere lo schizofrenico • FERDINANDO

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BARISON, Dissociazione e incomprensibilitàschizofreniche • FERDINANDO BARISON, L’im-postazione del problema psicologico dellaschizofrenia • FERDINANDO BARISON, Il ma-nierismo schizofrenico • GIOVANNI GOZZETTI,Commento su: Il manierismo schizofrenico •FERDINANDO BARISON, Considerazioni sulPraecoxgefühl • FERDINANDO BARISON, Nuoveconsiderazioni sul Praecoxgefühl • GIOVANNI

GOZZETTI, Commento su: Considerazioni sulPraecoxgefühl.

vol. 41, fasc. 3, 2004GAETANO BENEDETTI, Riflessioni sul delirioschizofrenico • BRUNO CALLIERI , L’incontroantropologico con la persona autistica •FERDINANDO BARISON, Arte e schizofrenia •FERDINANDO BARISON, Arte e schizofrenia.I. Nuove considerazioni sui rapporti tra arte eschizofrenia • FERDINANDO BARISON, Il pensieroermeneutico post-moderno e l’esistenza schi-zofrenica • L. CALVI , A proposito di “Arte eschizofrenia” • GIOVANNI GOZZETTI, Art etschizophrénie • FERDINANDO BARISON, Feno-menologia e teorie del paradosso familiare •FERDINANDO BARISON, Autenticità e psico-terapia • FERDINANDO BARISON, L’ironia delloschizofrenico • FERDINANDO BARISON, Expé-riences de “Psychothérapie” dans une psy-chiatrie inspirée de Heidegger • FERDINANDO

BARISON, Psichiatria, psicoterapia, fenome-nologia e morte • FERDINANDO BARISON, Feno-menologia e classificazioni psichiatriche •FERDINANDO BARISON, L’esistenza schizofre-nica e la cronicità • FERDINANDO BARISON, Unsegno siamo, senza significato • FERDINANDO

BARISON, Une psychiatrie inspirée d’Heidegger• FERDINANDO BARISON, La svolta di una psi-chiatria fenomenologica • FERDINANDO BA-RISON, La psichiatria tra ermeneutica ed epi-stemologia • FERDINANDO BARISON, Sein undSchizophrenie • FERDINANDO BARISON,Autismo. Una psichiatria ermeneutica •FERDINANDO BARISON, Schizofrenia: Anders eapatia • FERDINANDO BARISON, Alterità schi-zofrenica e creatività • L. CAPPELLARI, F. Ba-rison e le “divagazioni psichiatriche” •GIOVANNI GOZZETTI, Post-Fazione.

vol. 41, fasc. 4, 2004R. DALLE LUCHE, Il panico come eventotrasformativo • M. CARRERI - R. CASAGRANDE

- G. COLOMBO, Il fenomeno dello stalking •L. GASPAROTTO, Percezione, memoria e delirio.Un’analisi condotta attraverso la riproduzionegrafica dello Z-test • S. DOMENICHETTI,“...L’uovo, futuro uccello di fuoco...”: larottura psicotica • M. SARDENA - G. SALICETI,Chi sono? Andrea, un bambino abusato e inaffido etero-familiare e alla ricerca della suaidentità • P. SCUDELLARI - L. BONATTI - A. MO-SCA - S. VAGNONI, L’organizzazione borderlinedi personalità alla luce della relazioneterapeutica • B. ORBITELLO - P.L. ROCCO, Gliaffetti nella relazione psicoterapeutica •S. DOMENICHETTI, Disturbo schizoaffettivo. Allaricerca di una diagnosi • Terra rossa: L. BO-NUZZI, Salute e malattia nella psichiatria con-temporanea • F. DURANO, Ultime divagazionipsicopatologiche. Il caso di Patrizia • Indici.

Psyche nuova

Rassegna di psicoterapia umanistico-esisten-ziale, di psicoterapia autogena e psicoterapiebrevi. Organo ufficiale del C.I.S.S.P.A.T.

direttore resp.: Marilla Maluganicomitato scientifico: Ferdinando Brancaleone,Nevio Del Longo, Walter Nicoliperiodicità: quadrimestraleeditore: C.I.S.S.P.A.T.

sede della redazione: c/o C.I.S.S.P.A.T. - piazzaDe Gasperi, 41 - 35131 Padova - tel. 049 /650861e-mail: [email protected]: www.cisspat.edu

L’ultimo fascicolo giunto in redazione è ilnumero doppio, 2001-2002, di cui si è dato lospoglio sul “Notiziario Bibliografico” n. 41.

Quaderni del Liceo Brocchi

direttore resp.: Giordano Dellaicomitato di redazione: Gianna Miola Cortese,Mariangela Cuman, Daniela Mendo, Giusep-pina Moricca, Patrizia Passuello, GiorgioPerini, Emanuela Trentindirezione artistica: Iride Missaggia, France-sco Mezzaliraperiodicità: annualeeditore: La Serenissima - via Lago di Como,152 - 36100 Vicenzasede della redazione: Liceo-Ginnasio G.B. Broc-chi - via Beata Giovanna, 67 - 36061 Bassanodel Grappa (VI) - tel. 0424/524375 - fax 0424/220284e-mail: [email protected]

a. 9, n. 8, 2004-2005Volume curato da Giordano Dellai e Mad-dalena Lazzarotto Pilati, foto di Federica Osto.M. LAZZAROTTO PILATI , Presentazione • UnLiceo di Qualità, la Qualità di un Liceo:M. FONTANAZZA, Prima di parlare di Qualità• E. SOSTERO, I primi passi nel percorso dellaQualità • M. MANICINI , La certificazione Iso9001/2000 • M.G. PASSUELLO, Il SiQuS nelpercorso del Liceo Brocchi verso la Qualità •G. CICCOTTI, Il premio Qualità Scuole delVeneto • A. CECCATO, Gestire il miglioramento• G.M. PERINI, “Siamo del Brocchi” Asso-ciazione ex allievi del Brocchi • B. MANDALA -RI, La psicoanalisi attraverso il cinema •I. MISSAGGIA, Il corso di pittura-disegno •S. PALAZZI CAREGNATO, Magiche emozioni aVienna • E. VISINTAINER, Educazione allaLegalità: cosa si è fatto, cosa si potrebbe fare• Elenchi e foto: Elenco del personale direttivoe docente • Elenco e foto del personale A.T.A.• Elenco e foto degli studenti.

Quaderni di psichiatriae psicoanalisi

direttore resp.: Gerolamo Sirenadirettore: Roberto Cheloniredazione: Luca Pagotto (redattore capo),Renato Battistoni, Alfonso Bordin, GiovanniReginato, Antonella Vanineditore: Canova, Trevisosede della redazione: viale della Repubblica,143 - 31100 Treviso - tel. 0422/401799

La rivista è cessata.

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Rassegna di pedagogiaPädagogische Umschau

direttore fondatore: Giuseppe Flores D’Arcaiscondirettori: Anna Maria Bernardinis, WinfriedBöhm, Enza Colicchicomitato scientifico: Theodor Ballauff, Ser-gio Baratto, Anna Maria Bernardinis, FrancoBertoldi, Winfried Böhm, José Ortega Este-ban, José Luis García Garrido, Mauro Laeng,Clemens Menze, Luisa Santelli, Michel Soë-tard, Herbert Zdarzilredazione: Luisa Tellaroliperiodicità: trimestraleeditore: Istituti Editoriali e Poligrafici Inter-nazionali, 56123 Pisa - tel. 050/878066sede della redazione: c/o prof. G. FloresD’Arcais - via Speroni, 43 - 35139 Padova

a. LXII , n. 1-4, 2004Editoriale • Premessa • C. CARD. WOJTYLA,Teoria-prassi: un tema umano e cristiano •GIUSEPPE FLORES D’A RCAIS, Pedagogia ededucazione: teoria e prassi • WINFRIED BÖHM,Il problema di teoria e prassi nella pedagogiatedesca • E. TROILO, Beethoven • WINFRIED

BÖHM, Bach und der Barock in Europa • LUISA

TELLAROLI, Filosofia e poesia in FriedrichHolderlin • GIUSEPPE FLORES D’A RCAIS, L’edu-cazione: dialogo, convincimento, consenso •ANNA MARIA BERNARDINIS, Dei pericoli dellalettura e del caso di Don Chisciotte dellaMancia • Y. ZOUARI, Rifaa’ Rafi’ At-Tahtawi,educateur egyptien du dix-neuvieme siècle • J.M. QUINTANA CABANAS, Revision critica delaeducacion actual • L. A. HICKMAN , Pragma-tismo, postmoderno, cittadinanza universale •Incontro con: ANNA MARIA BERNARDINIS,Ramon Llull • U. FRACASSA, Giuseppe Pon-tiggia • Recensioni • Segnalazioni.

Studium Educationisrivista per la formazione

nelle professioni educative

direttore resp.: Diega Orlando Ciancomitato di direzione: Dario Antiseri, FrancoCambi, Mariagrazia Contini, Luciano Corra-dini, Claudio Desinan, Renato Di Nubila, Fran-co Frabboni, Elisa Frauenfelder, LucianoGalliani, Mario Gennari, Erminio Gius, Al-berto Granese, Cosimo Laneve, Sira SerenellaMacchietti, Mario Manno, Susanna Man-tovani, Roberto Maragliano, Umberto Mar-giotta, Giuliano Minichiello, Paolo Orefice,Diega Orlando Cian, Michele Pellerey, LuisaSantelli Beccegato, Silvio Scanagatta, LuigiSecco , Letterio Smeriglio, Carla Xodo, Giu-seppe Zannielloredattore capo: Paola Milaniperiodicità: quadrimestrale

editore: Cedam, Padovasede della redazione: via Jappelli, 5/6 - 35121Padova - tel. 049/8239111 - fax 049/8752900

n. 3, 2002EDUCAZIONE AI MEDIA

LUCIANO GALLIANI , Note introduttive. Appuntiper una vera storia dell’educazione ai media,con i media, attraverso i media • La mono-grafia: ROBERTO MARAGLIANO, I molti media ele molteplici forme del sapere • LAURA MESSINA,Media e apprendimento: il contributo dellaricerca psicopedagogica • ORNELLA MARTINI,Paradigmi semiotici e tecnologie del pensieroconcreto • PIER CESARE RIVOLTELLA , Media,cultura e processi di socializzazione • LUCIANO

GALLIANI , Pedagogia, comunicazione e didat-tica dei media • Percorsi della formazione -Scuola: RINALDA MONTANI, Il curricolo dieducazione ai media nella scuola di base •Percorsi della formazione - Università: MAD-DALENA BERNARDINIS, La formazione ai mediadi insegnanti, educatori, e formatori • Percorsidella formazione - Territorio: SANDRA AMA-TISTE - ALBERTO QUAGLIATA , Tecnologia epedagogia dell’e-learning • Laboratorio di-dattico: PAOLO MANFREDI, Laboratorio di co-municazione multimediale per la formazionee il tutorato in rete • LUCA LUCIANI, Laboratoriodi scrittura video-filmica per insegnanti ededucatori • CORRADO PETRUCCO, Laboratoriodi ricerca delle informazioni in Internet per ladidattica • Esperienze: ROBERTO FARNÉ, Ilcinema educatore • PIERO BERTOLINI - MILENA

MANINI - LUCIA BALDUZZI , I bambini nel regnodei media: televisione, videogiochi, Internet •FRANCESCA ZANON, Le nuove tecnologie nelladidattica. II . Un’esperienza di formazione nellascuola di specializzazione per l’insegnamentonella scuola secondaria • Temi e prove diconcorso: SABRINA SANTONOCITO, Prova scrittaper il Dottorato di Ricerca in “Scienzepedagogiche e didattiche” • Lessico peda-gogico: LUCIANO GALLIANI , Linguaggi nonverbali e multimediali • LUCIANO GALLIANI ,Multimedialità • PAOLO MANFREDI, Iper-testualità • Schede bibliografiche • Notiziario• L’opinione: FRANCO FRABBONI.

n. 1, 2003Il processo di orientamento nelle scienzedell’educazione.Presentazione: R. DI NUBILA , Prospettive teo-riche, percorsi e nuovi orizzonti dell’orien-tamento • I risultati di una recente ricerca:R. DI NUBILA , Le ragioni epistemologichedell’orientamento come processo formativo ecome ipotesi costante di apprendimentopersonalizzato • L. VERDI VIGHETTI, La qualitàdell’orientamento non formale • I percorsidiversi dell’orientamento: D. LUCANGELI,L’orientamento motivazionale all’apprendi-mento nel processo di formazione • D. NICOLI,Formazione orientativa in alternanza perapprendisti. Il faticoso avvio di una nuovastagione • E. AUTERI, Una condizione di fondo

per un più efficace sistema di orientamento:avvicinare la scuola al mondo del lavoro •A. PORCARELLI, L’orientamento per i disabili •R. CALDIN , Orientamento e disabilità. L’im-pegno della famiglia e della scuola • M. DE

GASPERI, Orientamento e disabilità nelleuniversità • A. PARISI, Gli atteggiamenti versolo studio universitario all’interno dei percorsidi orientamento formale • B. SCHETTINI, Orien-tamento come compito autobiografico ecentralizzazione progressiva della vita •Testimonianze: M. FEDELI, Verso nuove formedi integrazione orientativa. Uno sguardoall’esperienza tedesca di “sistema duale”.Punti di forza e limiti • S. BERTOLAZZI, Lo stagecome esperienza formativa e orientativa •M. MORRICONE, Il manager didattico comefigura di affiancamento nelle attività dellaLumsa • Studi e ricerche: E. MASTROCIANI,Memoria e narrazione nell’operatività edu-cativa • B. DE GIOIA, John Henry Newman: unmessaggio educativo per i nostri giorni •Percorsi della formazione - Territorio: C. MA-ROCCO MUTTINI, Anche un disabile invecchia •Percorsi della formazione - Scuola: F. BO-CHICCHIO, Questioni di “ecologia” della for-mazione del personale nelle amministrazioniuniversitarie • Laboratorio didattico: S. LEO-NELLI, Una proposta per i laboratori del corsodi laurea in scienze della formazione primaria:riflessioni autobiografiche per futuri/einsegnanti • F. BONALDO, Chi vuoi diventareda grande? Progettazione di due laboratori diorientamento nell’età dell’infanzia • Espe-rienze: M. CALZÀ - M. CARELLO, Una “ tregiorni orientamento” in un liceo • V. VANNONI

- E. VASINI, L’orientamento per disabilinell’esperienza dell’Enaip di Rimini • M.D.CODOGNETTI, La valutazione del sistemascolastico: l’esperienza inglese • Lessicopedagogico: F. TORIELLO, L’educazione degliadulti nei documenti nazionali • Temi e provedi concorso: F. SANTOIANNI , Tema di concorsoper ricercatore universitario • Schede biblio-grafiche • Notiziario: Convegni e incontri distudio • L’opinione: C. XODO.

n. 2, 2003Genere e educazione.L. SANTELLI - S. ULIVIERI , Introduzione • C. CO-VATO, Il genere come “norma” nella storiadell’educazione • L. MORTARI, Verso un’epi-stemologia femminile • V. IORI, Identitàfemminile e contesti familiari • S. ULIVIERI ,Donne insegnanti, identità professionale erelazione educativa di genere • A.M. PIUSSI,L’incerto crinale. Formazione e lavoro nel-l’esperienza femminile e nel lifelong lear-ning • R. BIAGIOLI , Orientare al femminile:nodi teorici e proposte didattiche • S. BAR-SOTTI, Donne e Università: scelte formative eaccessi universitari • G. SEVESO, Donne etempi di vita: considerazioni pedagogiche •M.A. GALANTI , Dalla cura di sé alla curadell’altro: la patologia psichica al femminile• B. MEPELLI, Narrazioni e saperi di esperienza.

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RIVISTERIA VENETA

Una ricerca per nuove relazioni educative trageneri e generazioni • G. CAMPANI, L’immi-grazione femminile in Italia • A. FRATTINI,Donne, uguaglianze e pari opportunità.Rassegna legislativa dalla Costituzione adoggi • M.R. MANCANIELLO, Genere e edu-cazione: la funzione delle nuove tecnologie •V. BOLOGNARI, Post-feminism: quali oppor-tunità per la cultura e l’educazione contem-poranea • L. SANTELLI , Le donne, la pace e ilvalore della non violenza • Temi e prove diconcorso: F. MARONE, Tema di concorso perl’ammissione al dottorato di ricerca in scienzepedagogiche e didattiche • Lessico peda-gogico: B. SANDRUCCI, Femminismo, women’sstudies, formazione. Per un glossario alfemminile • Schede bibliografiche.

n. 3, 2003Etica e deontologia nelle professioni educativee formative.CARLA XODO, Introduzione • La natura eticadelle professioni educative: CARLA XODO, Lanatura etica dell’educazione e della for-mazione • IVO LIZZOLA, Le virtù dell’insegnare• MINO CONTE, L’educatore tra desiderio eragione: dalla moralità individuale all’eticapubblica • Le dimensioni etiche delle pro-fessioni educative: ANTONIO BELLINGRERI,L’empatia come virtù educativa. Compitiformativi specifici e suo significato nellacrescita morale della persona • CHIARA BIA-SIN, Le opportunità della formazione: perun’etica responsabile delle professioni edu-cative • EMANUELA TOFFANO MARTINI , Larelazione educativa nelle “buone pratiche” diieri e di oggi • NATASCIA BOBBO, La relazionenel contesto sanitario pediatrico: risvolti eticidi una competenza educativa • GIUSEPPE ZA-GO, Collegialità e deontologia nella profes-sionalità del docente • MIRCA BENETTON, Ladeontologia quale fattore di qualità pro-fessionale • Linee per una deontologia: GIU-SEPPE BERTAGNA, Riforma, diversità e re-sponsabilità • PIERO BERTOLINI, Sull’identitàdell’educatore • GIUSEPPE VARCHETTA, For-mare, un mestiere per il nostro tempo • Alcuni

modelli di codici deontologici: ENRICO MIATTO,Deontologia professionale: alcune proposteper l’approfondimento • LUISA BARAUSSE,Formare criticamente, formare all’etica •ENRICO MIATTO, Bibliografia ragionata • Studie ricerche: INES TESTONI - MARIANGELA ABRAMI

- GABRIELLA MATANZA - ROSANGELA MARCHETTI,Il docente nella scuola dell’autonomia e lafondazione di una nuova appartenenza allacomunità scientifico-culturale • LUIGINA

PASSUELLO, Tra esperienza, desiderio e cono-scenza. Alcuni tratti del profilo dell’educatoreprofessionale secondo un gruppo di studentiveronesi • BRUNO SCHETTINI, Ettore Gelpi: “Lamia ipotesi” • Percorsi della formazione -Scuola: MARY MARAGNO - GIANCARLO BATTI-STUZZI, L’importanza della lingua inglese nellaformazione scolastica del cittadino europeo.L’esempio delle scuole in rete con l’IstitutoBarbarigo di Padova • Percorsi della for-mazione - Territorio: NATASCIA BOBBO, Pro-gettare e valutare la formazione in servizio dioperatori sanitari e volontari addetti all’as-sistenza di bambini malati con problemi

Dalla repubblica di Weimar ai giorni nostri •B. ORIZIO, La scuola in Spagna tra sistemadelle Comunità autonome e riforme • F. ALA-MINOS ESCOZ, L’educazione in Catalogna.Trenta anni di sviluppo e di identità • H.-C.CHANG, L’educazione nella Corea del Sud ierie oggi • C. MORAGHI, Libano: una scuola va-riegata, frammentata, tormentata • Storiacomparativa dell’educazione: G. SPIAZZI, Leorigini settecentesche dell’istruzione pubblica.Tra statalismo, liberalismo e totalitarismogiacobino • Percorsi della formazione - Scuola:D. PALOMBA , La CESE • C. SCURATI, L’ATEE:un’associazione europea per la formazionedegli insegnanti • B. ORIZIO - A. FROSI, In-segnamento dell’educazione comparata ecomponente pedagogico-comparativa pre-sente in altre discipline dell’area pedagogica• Laboratorio didattico: B. ORIZIO: BenjaminConstant: la comparazione come strategiadidattica • Esperienze: R. SBIRZIOLA - C. CA-SAGRANDA, Il Kolleg Papa Giovanni XXIII •G. GIACOMELLI , Educazione popolare e peda-gogica interculturale. Note di un educatoreitaliano in Brasile • E. FILIPPI - E. REBECCHI -M. DAL CORSO, Il Cedor: informazione edocumentazione del sud • C. STACUL, Dodicianni di “educazione comparata” (1990-2001)• Lessico pedagogico: B. ORIZIO, Pedagogiacomparativa, Pedagogia comparata, Edu-cazione comparata. Tre espressioni per unmedesimo referente • Schede bibliografiche.

n. 2, 2004Pedagogia sociale del disagio e della devianza.G. MILAN , Introduzione • G. MILAN , Dallaframmentazione al dialogo. Risposte peda-gogiche alla sfida del disagio • F. DÜNKEL, Ilproblema della criminalità minorile in Europa:un confronto • E. PALERMO FABRIS, La maturitàdel minore nel diritto penale • A. CESARO, Laprofessionalità pedagogica nel trattamentopenitenziario • M.N. TAPIA, «Imparare serve,servire insegna». L’apprendimento-servizionell’America Latina • E. TOFFANO MARTINI,Dichiarazioni di principio e condizioni divita. Riflessioni pedagogiche sui diritti diinfanzia-adolescenza tra proclamazione e

chirurgici • MONICA PRADAL - EMANUELA RUSSO:ICF: aspetti pedagogici e prospettive operative• Esperienze: MAURIZIO FABBRI, La relazioneeducativa come strumento di agevolazione:Thomas Gordon e gli insegnanti efficaci •Temi e prove di concorso: SILVIA GAJO, Con-corso per l’ammissione al dottorato di ricercain Scienze Pedagogiche e Didattiche • Schedebibliografiche • Notiziario.

n. 1, 2004Educazione comparata.Dedica • Aspetti fondativi: epistemologia,storia, metodologia: B. ORIZIO, Quadrosintetico degli aspetti fondamentali della Pe-dagogia comparativa • Panoramica mondiale:G.L. ZANI, Il diritto dei minori nelle dichia-razioni internazionali regionali • Sistemieducativi nazionali: J.-L. TOUADI, Assetti sco-lastici statali nei paesi della fascia sub-sahariana. Dipendenza e indipendenza dallaFrancia • C. SOPPERA, Evoluzione storica estrutturazione del sistema scolastico tedesco.

Page 72: 1.Inizio 49/pp. 2-9 - Il Poligrafo casa editriceLe scritture e le opere degli inquisitori (Cecilia Passarin)11 A. Barzazi, Gli affanni dell’erudizione. ... Donne a Venezia. Vicende

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RIVISTERIA VENETA

attuazione • G. PELLEGRINI, Sguardi sulle nuovegenerazioni e politiche giovanili • S. BER-NACCHI, Tracciare i confini della pedagogiasociale. Un volume di orientamento • Percorsidella formazione - Territorio: D. OTTOLINI, Dalproblema alle risorse. Pedagogia della spe-ranza in un progetto di cooperazione allosviluppo a partire dalla comunità locale •S. GAJO, Formazione ed integrazione scuola-famiglia come strumento di prevenzione deldisagio adolescenziale • Esperienze: F. RIPA-MONTI, Il lavoro pedagogico in carcere. Ri-flessioni a partire da un’esperienza di tirocinionell’Istituto penale per minorenni Bicocca diCatania • M. RUFFATO, “Giochi per vendere”.Bambini lavoratori tra mercato e identità •R. CALDIN - S. BORTOLAMI, La percezione dellafamiglia d’origine nei minori allontanati. Unaricerca di Padova • E. ZILIO, Il disagio delminore straniero non accompagnato. L’in-serimento in comunità e l’integrazione sociale.

n. 3, 2004Disabilità, integrazione e pedagogia sociale.FERDINANDO MONTUSCHI - ROBERTA CALDIN , In-troduzione • Le questioni: FERDINANDO MON-TUSCHI, Dalla pedagogia speciale al “pensarespeciale” • ANDREA CANEVARO, Integrazione eprogetto di vita • MAURA GELATI, Educazionee integrazione. Percorsi storici possibili • Icontesti: ROBERTA CALDIN , Vissuti genitorialie figli con disabilità. Una lettura psico-pedagogica • MARISA PAVONE, L’integrazionea scuola • FRANCO LAROCCA, L’incontro scuola-famiglia • GIUSEPPE ELIA , Tra scuola edextrascuola. La figura specialistica dell’edu-catore professionale • Le esperienze: ANNA

MARIA FAVORINI , Disabilità, tecnologie eservizi alla persona • DARIO IANES, La for-mazione dell’insegnante di sostegno • LUCIA

CHIAPPETTA CAJOLA, Il rapporto dell’inse-gnante di sostegno con l’insegnante di classe• NICOLA CUOMO, Uno strumento di lavoro. La“Lettera” • FABIO BOCCI, Creatività, disabilità,diversità. Oltre il concetto di limite • Leprospettive: SALVATORE NOCERA, Il quadronormativo • MARIA ANTONELLA GALANTI , Re-lazione educativa e disabilità. Quali pro-spettive? • PATRIZIA GASPARI, Pedagogiadell’integrazione e cura educativa • Percorsi

della formazione – Scuola: CARLO RUBINACCI,Formazione universitaria dei docenti. Fun-zioni e ruolo del dirigente scolastico • RINAL-DO MONTANI - ENRICA POLATO, “Il Punto”. Unlaboratorio per l’integrazione nella Facoltàdi Scienze della Formazione di Padova • Per-corsi della formazione - Territorio: CARLO

LEPRI - ENRICO MONTOBBIO, Identità adulta elavoro • Esperienze: MARINA SANTI, Didatticae cultura dell’integrazione. Dalle definizioniai significati • FRANCO SCHIAVON, Diritti umanied handicap • CLARA SANTINELLO, “Vorreiparlare di me”. La storia di Franca • ERICA

RODELLA, “Da grande farà...”. I genitori rac-contano • EMMA GASPERI - MICHELA PASIN,Insegnanti e bambino diabetico nella pro-spettiva dell’educazione alla salute • ANGELO

ERRANI, Progetti di vita adulta • Schedebibliografiche.

Nel 2005 la rivista è cessata.

SCIENZE SOCIALI

Diritto e società

comitato scientifico e di direzione: LeopoldoMazzarolli, Manlio Mazziotti, Franco Mo-dugno, Giorgio Lombardi, Sergio Cotta, Giu-seppe De Vergottini, Serio Galeotti, PietroGiuseppe Grasso, Natalino Irti, Antonio LaPergola, Livio Paladin, Maria AlessandraSandulli, Giovanni Sartori, Franco GaetanoScocaperiodicità: trimestraleeditore: Cedam, Padovasede della redazione: c/o prof. Maria A. San-dulli - corso Vittorio Emanuele, 349 - 00186Roma

n. 3, 2002Saggi: GLADIO GEMMA, Ancora su sterilizza-zione e diritti costituzionali • ANNA LAZZARO,Organizzazioni di volontariato e beni culturali• MARIO PERINI, Considerazioni sulla giustiziacostituzionale e l’efficacia dei precedenti inmateria processuale • AUGUSTO ROMANO, Inriferimento alla tutela penale del sentimentoreligioso in una società pluralista • Recensioni.

n. 4, 2002Saggi: FILIPPO SALVIA , Autonomie speciali ealtre forme di autonomia differenziata • DARIA

CAVALLARI , Considerazioni sulla rilevanzadella questione di legittimità costituzionale:una nozione ampia risolve le strettoie derivantidalla sua incidentalità • PIETRO GIUSEPPE

GRASSO, Contributo allo studio sulla preven-zione dello stato di emergenza • GIUSEPPE

VERDE, Alcune considerazioni sulla potestàlegislativa statale e regionale nel nuovo art.117 della Costituzione • Attualità: JAQUELINE

MORAND-DEVILLER, A proposito della “demo-crazia di prossimità”, a cura di Monica Bonini.

n. 1, 2003Saggi: ANTONIO RUGGERI, Riforma del Titolo Ve “potere estero” delle Regioni (notazioni diordine metodico-ricostruttivo) • VERA PARISIO,Carta costituzionale, giurisdizione esclusivae pubblici servizi • Attualità: PAOLO CARNEVALE,Il ruolo del Parlamento e l’assetto dei rapportifra Camere e Governo nella gestione dei con-flitti armati. Riflessioni alla luce della prassiseguita in occasione delle crisi internazionalidel Golfo Persico, Kosovo e Afghanistan •Recensioni.

n. 2, 2003Saggi: GIORGIO LOMBARDI - LUCA ANTONINI,Principio di sussidiarietà e democrazia so-stanziale: profili costituzionali della libertà discelta • ANTONIO REPOSO, Il procedimento diformazione del governo e i suoi più recentisviluppi costituzionali • GIOVANNI BOGNETTI,La divisione dei poteri, oggi • ALESSANDRO

MORELLI, La formula “processo costituenteeuropeo” tra “ invenzioni” metaforiche e mu-tamenti semantici. Ovvero di un simbolo po-litico dall’oscuro significato • SERGIO STAM-

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RIVISTERIA VENETA

MATI , Declinazioni del principio di sussi-diarietà nella disciplina costituzionale dellafamiglia.

n. 3, 2003Saggi: VITTORIO DOMENICHELLI, Responsabilitàamministrative e giurisdizione (le confuse lineedi confine fra le giurisdizioni) • ANTONIO RUG-GERI, L’antica (ma tuttora consolidata e diffusaidea di “sistema” delle fonti e le prospettive diuna sua definizione • FILIPPO SALVA , La tutelatrasversale dei beni culturali. I beni culturaliurbanistici • CARMINE PEPE, Questione me-ridionale e forma di Stato • Attualità: ELEONORA

RINALDI , Tutela dei diritti fondamentali eimmunità parlamentari: dialogo problematicoa quattro tra Parlamento italiano, Giudicicomuni, Corte costituzionale e Corte europeadei diritti dell’uomo.

n. 4, 2003Saggi: MARCO GIAMPIERETTI, Il principio co-stituzionale di libera concorrenza: fondamenti,interpretazioni, applicazioni • STEFANIA NI-NATTI, Quale democrazia per l’Unione Eu-ropea? La democraticità del processo deci-sionale comunitario al vaglio della Corte diGiustizia.

n. 1, 2004Saggi: LEOPOLDO MAZZAROLLI , Aldo Sandulli ela nascita di Diritto e Società. (Un ricordo delpassato e un monito per il presente) • ALBERTO

ROMANO, Santi Romano, la giuspubblicisticaitaliana: temi e tendenze • FILIPPO SALVIA , Ilmodello dualistico dell’amministrazioneitaliana: tra “municipalismo” e “centralismocommissario” a vocazione derogatoria. (Ana-logie con l’esperienza romana del “dictator”)• MARCO MAZZAMUTO, Amministrazione eprivato • GIANCARLO CAPORALI, Patto di sta-bilità ed ordinamento europeo.

n. 2, 2004Saggi: ROSARIO FERRARA, Il “posto” del dirittoamministrativo: fra tradizione e globaliz-zazione • PIETRO GIUSEPPE GRASSO, Il richiamo

alle “radici cristiane” e il progetto di Co-stituzione Europea • ANTONIO IANNUZZI, I re-golamenti nella dottrina italiana fra ambiguitàe sfiducia • ANTONIO RUGGERI, Scritturacostituzionale e diritto costituzionale nonscritto.

n. 3, 2004Saggi: FULVIO FENUCCI, Spunti per uno studiosul nuovo assetto delle fonti • CLAUDIO PANZERA,Legislatore, giudici e corte costituzionale difronte al diritto alla salute (verso un inedito“circuito” di produzione normativa?) • At-tualità: MARCO DE GIORGI, Le prospettive dievoluzione dell’ordinamento verso nuovimodelli di governance delle politiche di inte-grazione razziale • ANTONIO REPOSO, Ombre eluci sulle riforme.

n. 4, 2004Saggi: LEOPOLDO MAZZAROLLI , Santi RomanoPresidente del Consiglio di Stato e la prote-zione del cittadino • ANTONIO D’A TENA, AldoM. Sandulli ed i confini della normatività •FIORENZO LIGUORI, Caratteri della funzioneamministrativa e norme sulla responsabilità •GIANCARLO MONTEDORO, Kelsen e l’amore digiustizia • VERA PARISIO, Celerità, qualitàdell’azione amministrativa e mancato svolgi-mento della funzione consultiva • FILIPPO SAL-VIA , La buona amministrazione e i suoi miti •Attualità: GIOVANNI VAGLI, La sesta revisionecostituzionale in Portogallo • Recensioni.

n. 1, 2005Saggi: ALBERTO ROMANO, Ricordo di AldoSandulli amministrativista • GIOVANNI SALA ,Gli occhiali del giurista e la difficoltà didefinire una realtà cangiante: le fondazionibancarie tra privato e pubblico • MARCO

RUOTOLO, Il principio di umanizzazione dellapena e i diritti dei detenuti nella Costituzioneitaliana • Osservatorio: VERONICA PAMIO, CorteCostituzionale e tecniche legislative. Il triennio2002-2004.

Economia e società regionalenuova serie di Oltre il Ponte

rivista trimestrale di analisi economicae sociale - Ires Veneto

direttore: Francesco Indovinacomitato scientifico: Ada Becchi, LorenzoBernardi, Aurelio Bruzzo, Ilvo Diamanti,Gianluigi Fontana, Emilio Franzina, DonataGottardi, Roberto Grandinetti, Stefano Micelli,Paolo Perulli, Matelda Reho, Enzo Rullani,Giuseppe Tattara, Ugo Trivellatoredazione: Giancarlo Corò (coordinatore),Bruno Anastasia, Marina Chiarvesio, CesareDamiano, Luca De Pietro, Eleonora Di Maria,Maurizio Gambuzza, Mario Giaccone, Nico-letta Masiero, Fulvio Mattioni, Fabio Occari,Maurizio Rasera, Luca Romano, VladimiroSoli, Pierangelo Spano, Luciano Vettorettoperiodicità: trimestraleeditore: Franco Angeli, Milanosede della redazione: via Peschiera, 5 - 30174Mestre-Venezia - tel. 041/5497820 - fax 041/5497824e-mail: [email protected]: www.ires.veneto.it

n. 4, 2002PIERO BOLCHINI, Laudatio per il conferimentodella laurea ad honorem a Bruno Trentin •BRUNO TRENTIN, Lavoro e conoscenza • EL-ISABETTA TREVISAN, Il miracolo olandese: svi-luppo economico o artefatto statistico? • PAOLO

IODICE, Decentramento e Privatizzazione deiservizi per l’impiego • ALESSANDRA GARBO, Laformazione esterna nel nuovo apprendistato:analisi e prospettive per il Veneto • STEFANIA

BRAGATO - FABIO OCCARI - MARCO VALENTINI ,Problemi di contabilità statistica dei lavoratoriextra-comunitari • PIERANGELO SPANo, Risvoltidel decentramento su pressione fiscale e spesasociale locale • MAURIZIO MISTRI - PAOLA MO-RANDIN, Promuovere Padova: ascesa e declinodi un’agenzia di marketing territoriale.

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RIVISTERIA VENETA

n. 1, 2003ARIS ACCORNERO, La grande trasformazionenel mondo del lavoro • GIUSEPPE TATTARA -MARCO VALENTINI , Un mercato del lavoromolto mobile? Sì, ma con molti se e molti ma• UGO TRIVELLATO, Come si misura l’inflazione?Note in merito al dibattito sull’andamento deiprezzi • GIANCARLO CORÒ - MARIO VOLPE,Frammentazione produttiva e apertura in-ternazionale nei sistemi di piccola e mediaimpresa • MARIA CHIARVESIO - ELEONORA DI

MARIA - STEFANO MICELLI, Processi di interna-zionalizzazione e strategie delle imprese di-strettuali • STEFANO LORENZONI, Effetti delladelocalizzazione internazionale nei sistemilocali • BRUNO ANASTASIA, Slalom tra i numeri.Il caso degli extracomunitari occupati: unastima in dieci mosse.

n. 2, 2003PAOLO CRESTANELLO - PIETRO ERMANNO DALLA

LIBERA, La delocalizzazione produttivaall’estero nell’industria della moda: il caso diVicenza • PIERANGELO SPANO, I bisogni dellapopolazione anziana. Un’indagine sul campo• SONIA RIZZATI - ARNALDO VALLIN , Essere an-ziani in Polesine • ROSSANA ROSSANDA - GIULIA

ALBANESE - ALESSANDRO CASELLATO - MARIO

GIACCONE - GIUSEPPE TATTARA, Un’ipotesi dilettura di metalmeccanici. Vita, lavoro esindacato in 126 interviste, a cura di CESCO

CHINELLO • GIORGIO BRUNETTI, Interdipendenzasociale e sviluppo economico. Una riflessionesulla realtà veneta.

n. 3-4, 2003FRANCESCO INDOVINA, Oltre il ponte. Vent’annidi discussioni • MARIO ISNENGHI, Vent’annidopo (e vent’anni prima) • RENZO RULLANI ,Oltre il ponte: incontri ravvicinati del terzotipo • FRANCESCO INDOVINA, La metropoliz-zazione del territorio. Nuove gerarchieterritoriali • BRUNO ANASTASIA, Aggregatidelicati: divagazioni su alcuni numeri fon-damentali del mercato del lavoro • ADRIANO

BIROLO, Strumenti analitici per l’interpre-tazione dell’organizzazione distrettuale •AURELIO BRUZZO, L’attuazione delle politichestrutturali comunitarie in Veneto nel periodo1994-1999: un tentativo di valutazione • PAO-

LO FELTRIN - DAVIDE FABRIZIO, Il mercato elet-torale veneto 1979-2001: caratteristiche edevoluzione.

n. 1, 2004ENRICO GISOLO - PAOLO IODICE, I processi diinternazionalizzazione delle imprese venete •LUIS ALONSO ALVAREZ, Vestire tre continenti:i vantaggi competitivi del gruppo Inditex-Zar1963-1999 • MARCO BETTIOL - MARISA BOSA,Percorsi innovativi nel distretto della calzaturadi Montebelluna: il caso Geox • FRANCESCO

MACALUSO, L’impresa urbana: le città nellospazio integrato europeo • ADRIANA PIERI,Partecipazione e rappresentanza dei dipen-denti-azionisti: la dimensione collettivadell’azionariato dei lavoratori dipendenti •LEONELLO TRONTI, Il recente ciclo occupa-zionale: problemi e prospettive • ENZO PACE,La grande trasformazione.

n. 2, 2004MARIO GIACCONE, Dalla fabbrica al territorio.Vent’anni di studi sulle relazioni industrialinel Veneto • ACHILLE LEMMI - NICOLA SCICLONE,Distribuzione del reddito e politiche fiscali inun contesto locale: il caso della Toscana •

interesse inclusivo: l’analisi economica esociale e gli incentivi all’innovazione • GIANNI

RICCAMBONI, Due tavole rotonde a confrontosulle trasformazioni del Veneto • MARIA TERESA

SEGA, Grandi trasformazioni e lunghe per-sistenze • PIERANGELO SPANO, Federalismo edintorni: riflessioni per ieri, oggi... e domani.

n. 1, 2005ANDREA VAONA, La disoccupazione in Europa:il Regno Unito e l’Italia prima dell’unionemonetaria • FRANCESCA SANTELLO, Utilizzo dibase di dati integrati per la valutazione delprogramma Liste di mobilità • GIANFRANCO

SABATTINI , Sardegna anno zero. Quale futuroistituzionale ed economico • ANDREA SABADDINI

- ANTONIO STRUSI, Nuova finanza e perequa-zione nel federalismo fiscale delle regioni:l’esperienza del decreto legislativo 56/2000 •GIANNI MORIANI, L’etica degli affari • BRUNO

ANASTASIA, Del ricercatore come mestiere:evoluzione e dilemmi, tentazioni e prospettive• PAOLO GURISATTI, Produzione intellettuale evalore della conoscenza. Verso la secondamodernità • PAOLO PERULLI, Enzo Rullani e ledieci tesi sull’economia della conoscenza •ENZO RULLANI , Economia della conoscenza:che fare?

MetisRicerche di sociologia, psicologia

e antropologia della comunicazione

direttore resp.: Giancarlo Volpatocoordinatrice: Mariselda Tessarolocomitato scientifico: Luciano Arcuri, Federi-co Braga Illa, Ioanna Berthoud-Papandro-poulou, Karamjit Gill, Juan Carlos Gómez,Gualtiero Harrison, Massimo Negrotti, Gra-ziella Paglianoperiodicità: annualeeditore: Cleup, Padovasede della redazione: c/o Cleup - via Belzoni,118/3 - 35121 Padova - tel. 049/8276665 - fax049/8753496

ELISABETTA GOMIRATO, La delocalizzazionedell’abbigliamento in Romania: il caso Ste-fanel • ALFREDO AIELLO, La Fincantieri e lacrisi della cantieristica italiana • TERSA VI-SCOME, La propensione all’innovazione nellaregione Veneto • MAURIZIO ZENEZINI, Qualefuturo per il sindacato?

n. 3, 2004MARGHERITA RUSSO, Processi di innovazionenei distretti e globalizzazione. Il caso di Sas-suolo • ALBERTO POZZI, Innovazione tecno-logica: il caso del distretto orafo vicentino •FRANCESCO SCHIAVONE, Un caso meridionaledi delocalizzazione produttiva. Finalità,strategie e ipotesi • DARIO STEVANATO, Fisco edelocalizzazione • GIUSEPPE CELI - MARIO SPOR-TELLI, Internazionalizzazione, mercato dellavoro e capitale umano in Italia • LUCA MO

COSTABELLA, Gli effetti dell’introduzione dellavoro interinale sulle transizioni versol’occupazione stabile.

n. 4, 2004GIUSEPPE TATTARA, Dopo vent’anni. Per con-tinuare • GIANCARLO CORÒ, Alla ricerca di un

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RIVISTERIA VENETA

vol. XI , n. 1, 2004MARISELDA TESSAROLO, Presentazione • IOANNA

BERTHOUD-PAPANDROPOULOU - HELGA KILCHER,Metalinguaggio e metacognizione. Le defi-nizioni di cercare in bambini tra i cinque e inove anni • ROBERTO ALBAREA, Knowledgesociety e lifelong learning: prospettive e di-lemmi • MARIA ESTER MONTI, Anselm L. Strausssociologo poliedrico • ANNA LISA TOTA, Lepolitiche della memoria. La controversiarelativa alle lapidi commemorative della stragedi Bologna del 2 agosto 1980 • LAURA VERDI,La scrittura contro la segregazione culturale• INES TESTONI, Il gruppo come costruzione delmondo. L’informazione significativa nellacomunicazione • ELISA TROVÒ - FLAVIA URSINI,Comunicazione interpersonale scritta e nuovetecnologie. Per un lessico di frequenza dell’e-mail • MARIA ROMANA ZORINO, Un modello diconsumatore-produttore: la committenza nelRinascimento italiano • LUCIA SACCHETTO -LIVIA GADDI, Immagine del proprio corpo emodelli di bellezza femminile • ADELE CAVEDON

- SABRINA SCANDELLA, Chi è il serial killer?Un’indagine esplorativa tra i giovani • AL-BERTO CELLOTTO, “Dimmi che nomi mangi”.Un’analisi dei nomi di yogurt Danone •Abstracts.

vol. XII , n. 1, 2005MARISELDA TESSAROLO, Presentazione • RO-BERTO ALBAREA - DAVIDE ZOLETTO, Living thebetweeness: paradossi e retoriche • GABRIELLA

SEVESO, Le parole e i saperi delle donne •SILVANA VALENTINA PETROVIC, Comunicazioneterapeutica: consenso informato • LUDOVICO

FERRO, La comunicazione ironica. Specificità,meccanismi, finalità e valenze • INES TESTONI -ERIKA TALASSI - ELISA BIANCHI, La tossico-dipendenza come referente simbolico di crisi.Proibizionismo e funzione strategica dellacomunicazione attraverso la legge • ELISA DI

MARCO - LORETTA DEL TUTTO, Euskara: lalingua basca fra scomparsa e rinascita •GIORGIA COSTA DEVOTI - LIVIA GADDI, I nuovipadri: declino o trasformazione • FEDERICO

ZINATO, L’originale e il facsimile nella co-municazione artistica. Uno studio su Picasso• VINCENZO GALGANO, Tonalità-atonalità: una

questione di “acculturamento musicale”? •MAJA BREZNIK, La borsa e la cultura. Laformazione dell’arte moderna e il suo postonella comunicazione sociale • LIVIA GADDI -ROSSELLA DELAIDINI , Com’è vestita Cene-rentola? L’abbigliamento nelle fiabe •Abstracts.

Pace Diritti UmaniRivista quadrimestrale del Centro

interdipartimentale di ricerca e servizisui diritti della persona e dei popoli

dell’Università di Padova

direttore resp.: Antonio Papiscavice direttore: Marco Masciacomitato tecnico-scientifico: Antonio Papi-sca, Marco Mascia, Achille Agnati, PierpaoloFaggi, Remo Naccarato, Nino Olivetti Rason,Bruno Paccagnella, Enzo Pace, Aldo Rossi,Raffaele Semerarosegreteria di redazione: Cinzia Clementeperiodicità: quadrimestraleeditore: Marsilio, Veneziasede della redazione: c/o Centro interdi-partimentale di ricerca e servizi sui diritti del-la persona e dei popoli dell’Università di Pa-dova - via Anghinoni, 3 - 35121 Padova - tel.049/8273685 - fax 049/8273684e-mail: [email protected]: www.centrodirittiumani.unipd.it

n.s., a. 1, n. 2, maggio-agosto 2004ANTONIO PAPISCA, Consonanze tra la “Cartadegli Human Rights Defenders” delle NazioniUnite e il Messaggio di Giovanni Paolo II perla Giornata mondiale della pace 2004 • MARCO

FERRERO - BENEDETTA PRICOLO - MARCO SPIN-NATO, Straniero: tra esclusione e cittadinanzacostituzionale • SUAAD GENEM-GEORGE, Inter-national Law and the Future of PalestinianCitizens of the State of Israel • SILVIA BAGNI,Tecniche comparate di tutela dei diritti civili:un approccio critico alle classificazioni tra-dizionali • MARGHERITA CESTARO, Diritti umanie intercultura: per un’educazione al dialogonell’epoca della globalizzazione • ANTONIO

PAPISCA, Dialogo interculturale, funzione diglobal (good) governance • SAMUEL N. EI-SENSTADT, The Dialogue between cultures orbetween Cultural Interpretations of Moder-nity. Multiple Modernities on the Contem-porary Scene • RALPH D. CHURCH, A Reflectionon the Debate over the European Constitution• CLAUDIA LUCIANI, The Schools of Politics:Training Europe’s New Elites • Documen-tazione: Conferenza dell’Unione Europea sulDialogo interculturale • Il dialogo tra i popolie le culture nello spazio euromediterraneo.Rapporto del Gruppo dei saggi istituito periniziativa del Presidente della Commissione

europea, 2002-2003 • PAOLO DE STEFANI (Notadi), Corte europea dei diritti umani: sentenzaRefa Partisi c. Turchia • Dichiarazione delleNazioni Unite sul diritto e la responsabilitàdegli individui, dei gruppi e degli organi dellasocietà di promuovere e proteggere le libertàfondamentali e i diritti umani universalmentericonosciuti • Un impegno sempre attuale:educare alla pace. Messaggio di GiovanniPaolo II per la celebrazione della Giornatamondiale della pace, 1° gennaio 2004 •Abstract • Collana E.MA.

n.s., a. 1, n. 3, settembre-dicembre 2004ANTONIO PAPISCA, Democrazia internazionaleper la democrazia interna: fiaccola sopra ilmoggio, non bagliori di guerra • HANS BLIX ,The Development of an International Com-munity Based on Law • MARCO MOSCIA, I coor-dinamenti transnazionali di società civile glo-bale: la prassi del networking per una diplo-mazia dal basso • PIETRO DE PERINI, Decodingthe Language of War. The Art of Deceivingand Sidetracking • ALESSANDRO PASCOLINI,Scienza per la guerra, scienza per la pace •PAOLA DEGANI, L’approccio human rights allaquestione del traffico di persone a scopo disfruttamento sessuale • ANTONIO PAPISCA, Lasfida del “coordinamento” nel sistema delleNazioni Unite: riequilibrare i “capitoli” dellaCarta riguardanti il Consiglio di Sicurezza eil Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC) •LUCIO STRUMENDO, Istituzioni di promozione edi garanzia per i diritti dei bambini: il Pubbli-co Tutore dei Minori • ANTONIO PAPISCA -MANFRED NOWAK - HORST FISCHER, CurriculumDevelopment and Academic InstitutionBuilding in the European Union: theExperience of the European Master in HumanRights and Democratisation (E.MA) • CARLO

RUSSO, A l’Écoute de Jean Monnet, di HenriRieben • Documentazione • PAOLO DE STEFANI

(Nota di), Corte europea dei diritti umani:sentenza della Grande Camera nel caso Vo c.Francia, 8 luglio 2004 • Dichiarazione diBerlino sulla difesa dei diritti umani e dellostato di diritto nella lotta al terrorismo • Cartademocratica interamericana • Dichiarazionedi Sana’a sulla democrazia, i diritti umani e il

Page 76: 1.Inizio 49/pp. 2-9 - Il Poligrafo casa editriceLe scritture e le opere degli inquisitori (Cecilia Passarin)11 A. Barzazi, Gli affanni dell’erudizione. ... Donne a Venezia. Vicende

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RIVISTERIA VENETA

ruolo della Corte penale internazionale • Pro-tocollo relativo al Parlamento Panafricano,annesso al Trattato istitutivo della ComunitàEconomica Africana • Abstract.

PeriploRivista per la ricerca, la sperimentazione,

l’aggiornamento educatividell’ IRRSAE Veneto

direttore resp.: Luigi Ruggiucomitato scientifico: Luciano Arcuri, PaoloBalboni, Luigi Benvenuti, Enrico Berti, Fran-ca Bimbi, Pietro Boscolo, Francesco Bruni,Emilio Butturini, Paolo Cescon, GuglielmoCinque, Ennio Concina, Gaetano Cozzi, Gio-vannella Cresci Marrone, Umberto Curi,Duccio Demetrio, Ruggero Ferro, EmilioFranzina, Luciano Galliani, Mario Geymonat,Francesca Ghedini, Pier Francesco Ghetti,Loretta Innocenti, Remo Job, Paolo Legrenzi,Danilo Mainardi, Umberto Margiotta, PaoloMastrandrea, Gianni Michelon, GherardoOrtalli, Emilio Pianezzola, Mario Ruggenini,Glauco Sanga, Benedetto Scimemi, CesareScurati, Raffaella Semeraro, Giorgio Tinazzi,Caterina Virdis, Gabriele Zanetto, Italo Zannierredattore capo: Angela Martiniredazione: Michele Bertaggia, Franco DiCataldo, Renata Firpo, Giovanna Lazzarin,Claudio Marangon, Giuseppe Moretti, BrunoRosada, Silvano Rossetto, Dario Schioppetto,Geraldo Vettorazzo, Filippo Violasegreteria di redazione: Annamaria Pauciulloperiodicità: quadrimestralesede della redazione: via Leopardi, 19 - 30172Mestre-Venezia - tel. 041/984588 - fax 041/987902e-mail: periplo@ irrsae.veneto.itweb: www.gpnet.it//irrsaev

La rivista è cessata.

Quaderni dell’A.D.R.E.V.Archivio di Documentazione e Ricerca

sull’Emigrazione Veneta

direttore: Ulderico Bernardiredazione: Susanna Celieditore: Longo, Ravennasede della redazione: c/o A.D.R.E.V. - CentroInteruniversitario di Studi Veneti - PalazzoLoredan - San Marco, 2945 - 30124 Venezia- tel. 041/5200996 - fax 041/5204655e-mail: [email protected]

n. 8, 2005Veneti nel Benelux, a cura di Luciano Se-gafreddoLUCIANO SEGAFREDDO, Presentazione • Parteprima: Veneti in Belgio • A. SEGHETTO (a curadi), Storia dell’emigrazione dei veneti inBelgio. Dalla sussistenza al boom economico• Verso il protocollo del 1946 • Il protocollodel 23 giugno 1946 • I convogli verso il Belgio• Il problema degli alloggi • Professioni emestieri • La vita quotidiana • Dati della pre-senza veneta in Belgio • S. VANVOLSEM, Veneziae Brugge, città sorelle • S. VANVOLSEM, Il pe-riodo fra le due guerre mondiali • Dall’emi-grazione all’immigrazione • S. VANVOLSEM (acura di), Attualità e associazionismo. Lanascita dell’associazionismo moderno • Lanascita e lo sviluppo delle associazioni venetenel Belgio • Il Co.Ci.Ve.B.: un tentativo disovrastruttura • L’azione dei giovani: Utrim •Conclusioni • L. SEGAFREDDO (a cura di), Ritrattidi una generazione: Giovanni Caneve • SergioDal Zotto • Silvana Panciera • Guido Zuliani• A. SEGHETTO, I missionari: una presenza vi-sibile ma discreta • S. VANVOLSEM (a cura di),La situazione linguistica. L’immigrazione e lasituazione linguistica del Belgio • Qualchepasso indietro • Lingua ed emigrazione • Lecondizioni linguistiche degli emigrati veneti •Interferenza, erosione e perdita di lingua: laprassi quotidiana • Il veneto come linguamaterna: l’educazione dei bambini • Scrittoriveneti nella letteratura dell’emigrazione •Alcuni testi di filastrocche, canzoni, fiabe ogiochi • Parte seconda: Veneti in Lussemburgo• B. GALLO (a cura di), Storia dell’emigrazioneitaliana in Lussemburgo. I primi flussi mi-gratori e le prime associazioni • Veneti nelleprincipali città industriali del Lussemburgo:dalla fine dell’Ottocento al 1920 • Lus-semburghesi e italiani • Operai, vita sindacalee politica: gli anni Venti • Lo scontro apertotra le opposte fazioni politiche: gli anni Trenta• Nella tempesta della seconda guerra mon-diale (1939-1945) • Il secondo dopoguerra:dal 1945 al 1960 • Dagli anni Sessanta ainostri giorni • B. GALLO (a cura di), Attualitàe associazionismo. Aspettative della comunitàitaliana del Lussemburgo • La “FamigliaBellunese” (oggi “Bellunesi nel Mondo”) • Il“Circolo Vicentini” del Lussemburgo • L’As-sociazione “Padovani nel Mondo” • L’As-sociazione “Veronesi nel Mondo” • L’As-

sociazione “Trevisani nel Mondo” • AltreAssociazioni • G. BOGGIANI (a cura di), Alcunepersonalità eminenti. Due scrittori veneti,Mirella Buratto e Franco Prete • John Ca-stegnaro • Louis Rech • G. BOGGIANI (a curadi), Aspetti etnografici, tradizioni e lingua.Peculiarità linguistica del Granducato •L’ambiente scolastico lussemburghese • Pre-senza degli italiani nella scuola lussembur-ghese • L’italiano nella scuola secondariaclassica lussemburghese • Parte terza: Venetiin Olanda • P. DE MAS - L. SCHRAM PIGHI (a curadi), Breve storia dei gelatai veneti in Olanda.C’era una volta... • I veneti d’Olanda, oggi •I luoghi e i tempi dell’emigrazione veneta • Lenuove generazioni • “Vastu fora o vastu inte?”• Veneto: non solo gelato • Illustrazioni.

Quaderni di Scienze Antropologiche

direttore resp.: Cleto Corrainperiodicità: annualeeditore: Centro Copie Portellosede della redazione: c/o Cleto Corrain - Di-partimento di Biologia - Università degli Stu-di di Padova - via Trieste, 79 - 35131 Padova

L’ultimo fascicolo giunto in redazione è iln. 23, 1997 segnalato nel “Notiziario Biblio-grafico n. 30.

Studi ZancanPolitiche e servizi alle persone

direttore resp.: Giuseppe Benvegnù Pasinidirezione: Giuseppe Benvegnù Pasini, Gio-vanni Nervo, Tiziano Vecchiatocomitato di consulenza scientifica: FrancoBosello, Gianfranco Brunelli, Massimo Cam-pedelli, Alessandro Castegnaro, Antonio Cec-coni, Italo De Sandre, Paolo De Sandre, Ser-

Page 77: 1.Inizio 49/pp. 2-9 - Il Poligrafo casa editriceLe scritture e le opere degli inquisitori (Cecilia Passarin)11 A. Barzazi, Gli affanni dell’erudizione. ... Donne a Venezia. Vicende

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gio Dugone, Flavia Franzoni, FrancescoMarsico, Franco Mosconi, Gilberto Muraro,Augusto Palmonari, Antonio Prezioso, Lo-renzo Prezzi, Emanuele Rossi, GiovanniSarpellonperiodicità: bimestraleeditore: Centro studi e formazione sociale -Fondazione “Emanuela Zancan”sede della redazione: c/o Centro studi eformazione sociale - Fondazione “EmanuelaZancan”, via Vescovado, 66 - 35141 Padova -tel. 049/663800 - 663013e-mail: [email protected]: www.fondazionezancan.it

a. V, n. 2, marzo-aprile 2004GIUSEPPE PASINI, Presentazione • Politiche eservizi: FONDAZIONE “E. ZANCAN” (a cura di),Carta etica delle professioni che operano aservizio delle persone • ANNA MARIA ZILIANTI ,Welfare locale: verso un piano integrato disalute • FOSCO FOGLIETTA, Modelli di distrettoe integrazione sociosanitaria in Abruzzo •BARBARA GATTONI, I giovani e la flessibilitàlavorativa: occasioni e rischi nella costruzionedell’identità • Approfondimenti monografici:MAURIZIO GIORDANO, Misurare il peso scien-tifico della solidarietà • LUIGI COLOMBINI -ELENA AMALIA FERIOLI - MAURIZIO GIORDANO,Indicatori di solidarietà nell’analisi dei sistemidi welfare • ELENA AMALIA FERIOLI, Profiliorizzontali e verticali della solidarietà • LUIGI

COLOMBINI, La spesa sociale regionale • GIO-VANNI SANTONE, Aspetti di solidarietà nei si-stemi locali di welfare • GIORGIO GOSETTI, So-lidarietà e pianificazione locale • Esperienzee documentazione: FACOLTÀ DI MEDICINA E

CHIRURGIA DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MI-LANO, High tech... High touch • Rubriche: Re-censioni • EMANUELA ZIGNOL, Un coordina-mento nazionale tra fondazioni Onlus e fon-dazioni bancarie.

a. V, n. 3, maggio-giugno 2004GIUSEPPE PASINI, Presentazione • Politiche eservizi: MARIA TERESA PADOVAN - GIOVANNI

PILATI - ADRIANA MONZANI, I programmi delleattività territoriali: promozione della salute esviluppo della comunità • ELISA PAJUSCO, Larelazione di cura dell’anziano depresso • PIE-TER HUIJBERS, Gli assegni di cura nei PaesiBassi • INGRID BERTO, Il lavoro con le famiglie:diritti e criticità • MARCO GRANELLI, Advocacydel volontariato o volontariato d’advocacy? •Approfondimenti monografici: GIUSEPPE PA-SINI, Guardare al futuro della società italiana• ALFREDO CARLO MORO, Quarant’anni dipolitiche sociali in Italia: l’apporto della Fon-dazione Zancan • ELDA FIORENTINO BUSNELLI,Uno spazio aperto di incontro e confronto •CARLO TREVISAN, L’apporto della FondazioneZancan alle politiche sociali • MARIA DAL PRA

PONTICELLI, Motivazioni per una Carta eticadelle professioni che operano a servizio del-le persone • TIZIANO VECCHIATO, Welfare re-gionali: criteri per un’analisi comparativa •

GIOVANNI NERVO, Anticipare i tempi • Espe-rienze e documentazione: ANNA MARIA ZI-LIANTI , Un programma unitario di pianifi-cazione e gestione dei ricoveri per anzianinon autosufficienti a Firenze • Rubriche: Re-censioni • EMANUELA ZIGNOL (a cura di), In-formazione sociale via Internet. Iniziative dicontrasto alla povertà in Italia.

a. V, n. 4, luglio-agosto 2004GIUSEPPE PASINI, Presentazione • Politiche eservizi: ANTONIO BAVAZZANO - LUCA NANNETTI

- ANTONIO MITIDIERI COSTANZA, Strategie mul-tiprofessionali per la cura della persona an-ziana • PAOLA MILANI , Il sostegno alla geni-torialità nel lavoro con le famiglie • ELENA

INNOCENTI, Riflessioni sulla tutela dei con-sumatori deboli • STEFANO PIAZZA , Le dispo-sizioni di contrasto alla discriminazione raz-ziale nel diritto internazionale • Approfon-dimenti monografici: GABRIELE RIGHETTO, Per-ché e a cosa serve la Carta dell’abitante •GABRIELE RIGHETTO (a cura di), Proposta peruna Carta dell’abitante. Indirizzi verso unwelfare locale e sostenibile • SERGIO LIRONI,La partecipazione degli abitanti ai processi dirigenerazione urbana • ANGELO LIPPI, L’abi-tante sociale della ruralità • STEFANO BASSAN,L’abitante di edilizia popolare • MATTEO MA-SCIA, La partecipazione degli abitanti orga-nizzati nel governo della città: il contributodell’Agenda 21 locale • LAURA FINI, L’abitantecon disagio sociale • RAFFAELE MORELLO, L’u-tente dei servizi sociali, una via perché diventiabitante partecipe • Esperienze e documen-tazione: PATRIZIA CASTELLUCCI, Il segretariatosociale nell’esperienza del comune di Firenze• Rubriche: Recensioni • Informazione socialevia Internet.

a. V, n. 5, settembre-ottobre 2004GIUSEPPE PASINI, Presentazione • Politiche eservizi: BARTOLOMEO SORGE - STEFANO FEM-MINIS, Povertà e disagio sociale nella societàdell’incertezza • GIOVANNI NERVO, Riflessionisull’etica pubblica • ALESSANDRO POMPEI -ANTONIO BAVAZZANO - MARIA BEZZE - MAURIZIO

CORSI - CARLO VERGANI - TIZIANO VECCHIATO,Un nuovo strumento per la valutazione delbisogno: l’Indice di copertura assistenziale •

MARIAROSA DELLO BUONO - MARIA BEZZE -DIEGO DE LEO - TIZIANO VECCHIATO, Ladepressione dell’anziano: profili assistenziali,soluzioni interprofessionali, indicatori diefficacia • MASSIMO NERi, Codice etico e re-golazione della relazione di lavoro • Appro-fondimenti monografici: FABRIZIO PANOZZO,Welfare locale e imprenditorialità sociale •GIUSEPPE PELLEGRINI, Qualità dei servizi allapersona nell’ambito dell’impresa sociale •DANIELA GATTI - GRAZIANO MAINO, Respon-sabilità sociale, imprese sociali, rendicon-tazione sociale • ROBERTO CASSOLI - AGNESE DI

MARTINO, Il governo del welfare locale nelComune di Ferrara • PIETRO NEVE, Il controllodei costi dell’assistenza domiciliare • Espe-rienze e documentazione: MERJ CAI, L’accessonei servizi sociali e sociosanitari: un progettosperimentale • Rubriche: Recensioni • EMA-NUELA ZIGNOL (a cura di), Informazione socialevia Internet. Demenze e malattia di Alzheimer.

a. V, n. 6, novembre-dicembre 2004Presentazione: GIUSEPPE PASINI • Politiche eservizi: ANGELO LIPPI, Il pronto interventosociale nei livelli essenziali di assistenza •ELENA INNOCENTI, Coordinate giuridiche perla definizione del pronto intervento sociale •EMANUELE ROSSI, Sfide per il volontariato attoredello sviluppo locale • GIOVANNI SANTONE,Quale programma di ben-essere a livellolocale? • STEFANO PIAZZA , La «Carta dei servizipubblici» come modalità di tutela degli utenti• Approfondimenti monografici: EMMANUELE

F.M. EMANUELE, Una sfida per le fondazioni •GIUSEPPE PASINI, L’apporto delle fondazionialla ricerca scientifica di rilevante interessesociale • MAURIZIO GIORDANO, Il lungo cam-mino delle Onlus di ricerca scientifica •LORENZO ORNAGHI, La ricerca scientifica diinteresse sociale: nozione, dimensione, effettisull’economia e lo sviluppo • TIZIANO VEC-CHIATO - CARLO VERGANI, Ricerca scientificadi rilevante interesse sociale e qualificazionedei sistemi di welfare • ROBERTO SARO, IlProgetto Veneto Anziani: una ricerca epi-demiologica sulla terza età • LUIGI CORBELLA,Progressi interpretativi del rapporto traricerca scientifica e disciplina Onlus • Vin-cenzo Busa, La disciplina fiscale delle fon-

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dazioni di ricerca scientifica Onlus • Espe-rienze e documentazione: CARMELO SCARCELLA

- ISSA EL-HAMAD - CARLA SCOLARI - MARIA

CHIARA PEZZOLI, Aspetti sociosanitari del fe-nomeno migratorio nella Provincia di Brescia• Rubriche: Recensioni • EMANUELA ZIGNOL

(a cura di), Informazione sociale via Internet.Nuove dipendenze senza sostanze.

a. VI , n. 1, gennaio-febbraio 2005GIUSEPPE PASINI, Editoriale • Politiche e ser-vizi: PAOLO GIARETTA, Lo scambio ineguale:politiche fiscali, politiche sociali e autonomielocali nella manovra finanziaria per il 2005 •FILIPPO CIUCCI, Programmare e valutare perconsiderare i bisogni e rispettare l’equità •Approfondimenti monografici: GRAZIELLA

FAVARO, Il tempo dell’integrazione • PIERLUI-GI BROMBO, L’integrazione degli immigratinell’Unione europea e l’allargamento dell’Eu-ropa ai Paesi dell’Est • ELISA CHIARETTO -MARCO FERRERO, «Cittadinanze» e liberacircolazione delle persone nell’Unione eu-ropea • ELIO GILBERTO BETTINELLI, L’integra-zione scolastica degli alunni con cittadinan-za non italiana nella scuola «riformata» •MANUELA FUMAGALLI , Servizi sociali e citta-dini stranieri • LEILA ZIGLIO, La presenza el’integrazione dei migranti dai Paesi dell’Estin Provincia di Trento • ILARIA PICHLER, Leimmigrate moldave e ucraine nel mercato dellavoro di cura: il caso Trentino • SILVIA ROMERO

FUCIÑOS, Donne dell’Est: migrazioni femminilie lavoro di cura • MARA MANGHI - ROSSANO

FORNACIARI - PIERA BEVOLO, Percorso nascitae condizioni di salute di donne immigratedall’Est • STEFANO CECCONI, Politiche attiveper l’integrazione • Esperienze e documen-tazione: VINCENZO CASAMASSIMA, La sentenzan. 228/2004: il servizio civile nazionale restastatale • Recensioni: EMANUELA ZIGNOL

(a cura di), Informazione sociale via Internet.Combattere la depressione.

a. VI , n. 2, marzo-aprile 2005GIUSEPPE PASINI, Editoriale • Politiche e ser-vizi: VINCENZO CASAMASSIMA - PIERLUIGI CON-

SORTI - FRANCESCO DAL CANTO - EMANUELE

ROSSI, Quale legislazione regionale per ilservizio civile? • ELENA VIVALDI Le politichesociali nei nuovi statuti delle Regioni ordinarie• MARIA DAL PRA PONTICELLI, Prendersi cura:un problema aperto • ELISABETTA NEVE, Forma-zione professionale e non professionale perprendersi cura • STEFANO PIAZZA , Tutela deiconsumatori, illeciti pubblicitari e protezionedei minori • Approfondimenti monografici:MARIA BEZZE - GIOVANNA FAENZI - ANGELO

LIPPI - LORENA PAGANELLI - ALESSANDRO POMPEI

- TIZIANO VECCHIATO, La classificazione deiservizi e degli interventi sociali • Esperienze edocumentazione: UGO CARLONE, Cittadini increscita: l’infanzia e l’adolescenza in Umbria• ANGELA DI PRINZIO, La «Sala operativasociale» del Comune di Roma • Rubriche:Recensioni • EMANUELA ZIGNOL (a cura di),Informazione sociale via Internet. I siti cattolicie il Papa della comunicazione.

a. VI , n. 3, maggio-giugno 2005GIUSEPPE PASINI, Editoriale • Politiche e servizi:GIOVANNI SARPELLON, La rilevazione dellapovertà a livello locale: questioni preliminari• ELENA INNOCENTI - SALVATORE VUOTO, Ildisegno di legge sui servizi alla persona dellaRegione Sardegna • CLEOPATRA FERRI, Pro-fessioni di aiuto e lavoro di cura • ELISABETTA

NEVE, Problemi e prospettive del prendersicura nei servizi alle persone • Approfondimentimonografici: ALESSANDRO CASTEGNARO, Unostudio sulla povertà e la vulnerabilità sociale• ALESSANDRO CASTEGNARO, Persone in statodi bisogno: un’indagine sugli utenti dei servizisociali • MARIA BEZZE - ALESSANDRO CASTE-GNARO, Dimensioni della povertà e dellavulnerabilità sociale • MARIA BEZZE, Il sistemadei servizi a protezione della vulnerabilità •Esperienze e documentazione: REGIONE TO-SCANA, Piano di azione «Inclusione sociale econtrasto della povertà» • RENATO MARINARO,Il progetto «Rete nazionale» della CaritasItaliana • Recensioni: MONICA PIVETTI (a curadi), Informazione sociale via Internet. Per-cezione sociale delle biotecnologie animali.

a. VI , n. 4, luglio-agosto 2005GIUSEPPE PASINI, Editoriale • Politiche e servizi:PAOLA MILANI , Lo sviluppo dei consultorifamiliari a sostegno della genitorialità • AL-FREDO CARLO MORO, I consultori familiari:evoluzione giuridica, operativa e culturale •PAOLO DE STEFANI - ANNALISA BUTTICCI, Rifles-sioni in tema di minori stranieri non accom-pagnati • Approfondimenti monografici:FRANCESCO NOVARA, Lavorare in una societàinstabile • AUGUSTO PALMONARI - ANNA RITA

GRAZIANI - SILVIA MOSCATELLI, L’inserimentooccupazionale dei giovani di fronte all’am-bivalenza della flessibilità • GUIDO SARCHIELLI

- STEFANO TODERI, Lavoro contingente: rap-presentazioni del fenomeno ed esigenze diconoscenza • SALVATORE ZAPPALÀ - MARCO

DEPOLO, Lavoro precario e denaro: un bino-mio (im)possibile? • ELISABETTA MANDRIOLI,Alla ricerca del lavoro perduto: riflessionisugli effetti della riforma del lavoro • BARBARA

GATTONI, La ricerca sulla flessibilità lavorativain Italia: una rassegna • Esperienze e docu-mentazione • ROBERTO MAURIZIO - LUCIA MU-LASSO (a cura di), Una ricerca-intervento sufamiglie, figli ed educazione nel territorio diCirié • Rubriche: Recensioni • Informazionesociale via Internet.

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comitato scientifico: Marcello Buiatti, LuigiCampanella, Francesco Cancellotti, MarinaCarcea, Raoul Ciappelloni, Piermario Gaf-farini, Fiorenzo Gimelli, Nicola Loprieno,Donato Matassino, Tonino Pedicini, NorbertoPogna, Giuseppe Pulina, Massimo Riolfatti,Franco Sarto, Paolo Sequi, Antonio M. Stan-ca, Paolo Surace, Pietro Tonutti, Franco Vio-la, Laura Volterradirettore resp.: Franco Spelzinidirettore culturale: Domenico Ceravolosegreteria di redazione: Giuseppina Vittadelloperiodicità: bimestraleedizione e redazione: Centro Studi l’Uomo el’Ambiente - via Frà G. Eremitano, 24 - 35138Padova - tel. 049/8759622 - fax 049/8761945e-mail: [email protected]: www.scienzaegoverno.com

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Vittore Carpaccio (Venezia 1460 ca. - 1526), Vergine leggente, 1505-1507,olio su tavola trasferito su tela, Washington, National Gallery of Art ISSN 1593-2869