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a cura diCarlo Cristini

Prefazione diMarcello Cesa–Bianchi

Presentazione diFrancesco De Ferrari

Vivere il morireL’assistenza nelle fasi terminali

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ISBN 978-88–548–0921-7

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Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: febbraio 2007

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Esprimo un sentimento di profonda gratitu-dine agli autori che con il loro contributohanno permesso la realizzazione del volu-me, al Prof. Marcello Cesa–Bianchi per isuoi consigli, alla Prof.ssa Emma Carli peril suo co stante sostegno nel promuoverel’iniziativa editoriale. Un grazie anche allaDot t.ssa Cri sti na Bianchi che mi ha sugge-rito il titolo dell’opera.

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INDICE

Marcello Cesa-BianchiPREFAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

Francesco De Ferrari PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

Alessandro Porro e Carlo CristiniUNA MORTE CHE NON PRODUCA MALATTIA E MORTE: RIFLESSIONI SULLA CREMAZIONE MODERNA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

Alessandro Porro MORIRE IN OSPEDALE: UN CENNO STORICO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

Giuseppe Ricca LA MORTE E IL MORIRE: TRA SINTOMO, CORPO, CULTURA. UN’ANALISI ANTROPOLOGICA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

Sergio TrammaVIVERE IL MORIRE: IL PUNTO DI VISTA PEDAGOGICO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65

Caterina de Nicola ACCOMPAGNARE IL MORIRE: UNA SFIDA PER LA MEDICINA E LA RELAZIONE . . . . . . 77

Micaela Lo Russo ASSISTENZA ALLA PERSONA MORENTE CON PARTICOLARE RILIEVO

PER LA FAMIGLIA, I LUOGHI, GLI OPERATORI, GLI INFERMIERI . . . . . . . . . . . . . . . . 99

Giovanni Cesa-Bianchi e Carlo CristiniASPETTI PSICOLOGICI DEL MORIRE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107

Antonio ImbasciatiLE ANGOSCE DI MORTE E GLI OPERATORI SANITARI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133

Anna Della VedovaI VISSUTI DEGLI INFERMIERI PEDIATRICI NEI CONFRONTI

DEL BAMBINO MORENTE E DEI SUOI GENITORI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143

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Maria Antonietta Aveni Casucci, Carlo Cristini e Giovanni Cesa-BianchiL’ANZIANO E I CURANTI DI FRONTE ALLA MORTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155

Emma CarliPRENDERSI CURA DELLA PERSONA MORENTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179

Laura Migliorati e Carlo CristiniAPPUNTI SULLA COMUNICAZIONE E SULL’ESPERIENZA DEL MORIRE . . . . . . . . . . . . 185

Carlo Cristini e Giovanni Cesa-BianchiNASCERE, VIVERE E MORIRE FRA LA PRIMA E L’ULTIMA CREATIVITÀ . . . . . . . . . . . 205

Adelaide Conti LA MORTE ED IL MORIRE: ASPETTI ETICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221

Giovanni ZaninettaHOSPICE: UN LUOGO DOVE MORIRE? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 243

Guido SalaMORTE E EUTANASIA IN MEDICINA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 251

Carlo CristiniCONCLUSIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 279

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PREFAZIONE

MARCELLO CESA–BIANCHI

Nella storia dell’umanità si è susseguita intorno alla morte una mol-teplicità di simboli, rappresentazioni, miti e riti. Ma la società moder-na, evoluta in numerose direzioni, tende a rifiutare, negare, rimuovereil pensiero e la realtà della morte. È come se si cercasse di eluderla,considerarla estranea, allontanarla, renderla silenziosa e invisibile.

Il tema del morire è diventato sempre più di competenza delle strut-ture sanitarie e assistenziali. Un tempo, nella comunità contadina, simoriva in famiglia, nella propria casa, accompagnati e sostenuti dalmedico di fiducia e dai parenti. Con l’avvento dell’era industriale epost–industriale la gestione della morte è stata progressivamente dele-gata agli ospedali e alle case di riposo. Inoltre l’incremento di patolo-gie neoplastiche e di molte altre a prognosi sfavorevole ha comportatol’istituzione di centri per le cure palliative e di ‘hospice’ per l’acco-glienza dei malati terminali.

Il mondo contemporaneo, da una parte osserva, ascolta o legge difrequenti notizie inerenti alla morte, alla sua fatalità, spesso rappresen-tata in forma violenta o come fonte di spettacolo; dall’altra sembraimpreparato ad affrontarla, a riconoscerla come atto che compie e defi-nisce la vita. Indifferenza, cinismo, spettacolarizzazione, ossessività,sfide estreme appaiono come atteggiamenti sempre più diffusi; forsesono modalità che riflettono una tendenza alla negazione del significa-to che il morire e la sua memoria portano con sé.

Il modo in cui si muore rappresenta sicuramente un indicatore delgrado e del senso etico e civile di una comunità.

Il tema del morire implica una considerazione ampia dell’essereumano, della sua storia e della sua vita. Quando si parla della morte siintersecano, confluiscono differenti percorsi e orientamenti culturali.Vengono in mente il culto riservato ai defunti nel passato e da altri

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popoli, le domande esistenziali sull’uomo, i riflessi emotivi connessialla scomparsa di una persona cara e al pensiero della propria fine, ilproblema dell’assistenza e del dolore, le questioni etiche.

Chi muore desidera spesso un dialogo, un conforto, un motivo diserenità. Come muore l’uomo del nostro tempo e quanto comprendia-mo della sua esperienza? Saperne di più sul morire degli essere umani,aiutarli ad esprimere ciò che sentono, comunicare con loro fino al ter-mine significa approfondire il senso di sé e del proprio destino, conti-nuare la ricerca sulla conoscenza della vita e del suo mistero.

La società diventa sempre più vecchia, aumentano gli anziani che sirivolgono alle istituzioni assistenziali e viene progressivamente meno ilsupporto domiciliare dei familiari nei confronti di chi è più fragile:disabili, vecchi in difficoltà, malati, specie in condizioni croniche e ter-minali. Curare, assistere, accompagnare i morenti nelle corsie ospeda-liere, nei reparti geriatrici, oltre che negli hospice, rappresenta — ognigiorno più frequentemente —, un’esigenza sociale e sanitaria, maanche una profonda esperienza umana e clinica: un requisito essenzia-le della formazione professionale di medici e infermieri.

Gli operatori socio–sanitari raramente dispongono di una prepara-zione specifica per affrontare il problema del morire dei loro assistiti edelle reazioni emotive dei familiari dei pazienti.

Ai medici, agli infermieri, a chi assiste un malato terminale, unapersona che muore si richiedono sensibilità, capacità relazionali, quali-tà umane. Emotività, atteggiamenti, parole e silenzi, comportamentidevono essere calibrati nell’interazione con il morente.

La relazione fra curante e paziente in fase terminale implica la ricer-ca di un incontro, di una conoscenza e di una intesa reciproche, soprat-tutto in termini di ascolto, disponibilità, fiducia, accompagnamento.Nell’esperienza e nella continuità relazionali possono emergere le lineedi un comportamento da parte dei curanti che siano comprensibili eutili per i morenti. Ma spesso è chi muore ad insegnare qualcosa a chirimane. Scriveva Michelangelo a Giorgio Vasari sulla morte dell’amicoUrbino: «La grazia è stata, che dove in vita mi faceva vivo, morendom’à insegnato a morire». L’esperienza comune, intersoggettiva facilital’esplorazione dell’animo umano, dispone all’incontro con l’altro e conse stessi, nell’intento di scoprire il volto interiore, il senso della propria

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identità, spesso nascosti o confusi dalla sofferenza. A volte, forse, siabbassa lo sguardo sul morire per non vedere pienamente l’essenza delvivere, di come e perché si vive. Si tende a pensare all’angoscia di ciòche sarà e quasi mai a quella che da tempo, forse da sempre, è rimastasenza risposte nella vita di chi muore.

L’accompagnare un morente è un’opera delicata, attenta, misurata,difficile. È un continuo esercizio di apprendimento, di confronto fra ilvivere e il morire. E più di ogni altro richiede una qualificata e conti-nua formazione.

La preparazione professionale nell’affrontare e gestire il problemadella morte — dell’altro e della propria —, può conferire maggiore sicu-rezza, forza e serenità nel curare e assistere, specie se le esperienze quoti-diane vengono condivise ed elaborate con altri operatori, nella prospetti-va di un reale lavoro di équipe in cui vengono coinvolti anche i familiari.Un’adeguata formazione rimane l’elemento centrale sul quale agire peroffrire efficaci capacità relazionali e modalità comunicative che consenta-no al malato terminale di attivare ogni sua risorsa e di sentirsi partecipedel proprio destino. Il morente attraverso una relazione condivisa, empa-tica può riscoprire fiducia, speranza, voglia di essere e di vivere fino infondo il suo morire. Il curante può aiutare il malato, specie nelle fasidepressive, a reagire, a fare appello alle sue capacità umane, a ritrovare lavolontà di combattere e di continuare, ad attivare quella “vis medicatrixnaturae”, quella potenzialità creativa del vivere, talvolta in grado di favo-rire recuperi imprevedibili, di conservare la consapevolezza della propriacondizione esistenziale, di completare la biografia personale. La riscoper-ta delle capacità di prendersi cura di sé, di essere protagonisti e interpretidella propria vita, anche nelle fasi terminali, di avere fiducia e speranzaappaiono indispensabili per una ripresa emotiva e funzionale.

La relazione assistenziale e terapeutica si compenetra a quellaumana, con i suoi significati, pensieri, sentimenti, esperienze. Spessoanche i medici, gli infermieri richiedono un aiuto per scoprire, appro-fondire, sostenere le proprie qualità e risorse interiori, per riconosceree mobilitare la propria forza creativa al fine di richiamare la presenzaattiva del malato terminale.

L’orientamento culturale dell’assistenza al morente deve innanzitut-to considerare il processo del divenire, dagli inizi alla fine.

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Dal neonato al vecchio, al morente non muta il valore intrinseco, ilsenso della natura umana che trapassa il confine temporale; è la vita chesi sviluppa, apprende, si forma e si compie, in ogni fase. I significati del-l’esistenza non si esauriscono prima del suo termine, nemmeno un istan-te prima. La vita procede sempre alla ricerca della propria identità. Ilmalato terminale, il morente continuano a vivere; la dignità di un’esisten-za non è misurabile in termini quantitativi. Fino al suo compimento la vitatrasmette senso, storia, unicità e memoria di una persona. Il morire è l’op-portunità ultima di commutare il significato di una narrazione, la rappre-sentazione definitiva, ancora capace di sorprendere.

Morire tra persone che si conoscono, in un ambiente familiare aiuta atrovare serenità. Morire con l’aiuto di chi sa capire, nella propria casa, trale persone che si amano e che ci amano, nella consapevolezza che il pro-prio progetto esistenziale si è completato, è forse la speranza di ognuno.La morte naturale, dal volto familiare di un tempo, può avvenire ancheoggi. La morte dolce, serena, consapevolmente vissuta, è una morte pos-sibile per molti. Si legge in un libro tibetano: «Importa poi che la mortenon ci sorprenda inconsapevoli. […] Guai ad essere distratti, smarriti etorpidi. Bisogna guardare in faccia placidamente la sorte che incombe,vincere con mente serena e lucida il turbamento che l’imminente misteroinduce nell’animo; restare in attesa calma e vigile, nella certezza che lamorte è molto più che una fine: è un principio». Certamente è la testimo-nianza di una storia, di un’interpretazione della vita.

Si muore, ognuno come sa o come può, ma alla fine gli ultimi segnalidi vita prima del silenzio, concludono l’esistenza, il racconto, la biografiadi un essere umano. Si chiudono gli occhi sull’esperienza, sul mondoconosciuto e si aprono i ricordi al futuro, all’eredità della memoria.

Questo pregevole e coraggioso volume presenta vari orientamenti,dinamiche, pensieri e sentimenti che si intrecciano sulla morte e sulmorire. Ma ciò che accomuna i diversi contributi è l’affermare il rispet-to e la dignità di chi muore, il volto umano e culturale del morire, qualeesperienza significativa, essenziale del vivere, del comprendere e delconoscere, alle soglie del mistero e della realtà dell’uomo.

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PRESENTAZIONE

FRANCESCO DE FERRARI

Ogni forma di vita ha un inizio ed una fine, nasce e muore. Se si con-sidera l’evoluzione di una specie, il morire naturale dei singoli viene acostituire una possibilità di adattamento per la conservazione e la pro-spettiva di altri loro simili. «E nulla sotto il cielo si vede di nuovo/Mala forma si muta in un’altra nuova/E questo mutamento nel mondo sichiama/Vivere/E Morire quando la forma migra nell’altra», scrivevaPierre de Ronsard in Hymne de la mort. E sosteneva Edgar Morin neL’uomo e la morte: «Il problema più appassionante, più misteriosoancora di quello dell’origine della vita, è proprio il problema dellamorte». Perché si muore? È la domanda che da sempre ha interessato einterrogato filosofi, antropologi, etnologi, biologi, medici, psicologi,artisti, donne ed uomini di ogni tempo e che rimanda ad un altro que-sito: perché e come si vive? È ampia la letteratura sull’argomento.Sappiamo di vivere e di morire, abbiamo la certezza dell’uno e dell’al-tro. Si può vivere per molti anni, anche per oltre un secolo e poi «simuore una volta sola, e per tanto tempo!», come diceva ironicamenteMolière ne Il dispetto amoroso. Morire è un processo biologico, inscrit-to nelle regole e nei programmi della vita; il cadavere è un elementooggettivo, osservabile, riconoscibile. Morire è anche un avvenimentopsicologico, sociale e culturale. «La morte non è tutta uguale, uguale èessere morto», scrive José Saramago in Memoriale del convento, seb-bene ogni cadavere possa evocare sensazioni, atteggiamenti, reazionidifferenti. Si muore in diversi modi: improvvisamente per un eventoorganico acuto o dopo una lunga malattia, per incidente, una catastro-fe, una fatalità, per mano altrui, a volte volontariamente. Si muore dasoli, in un letto anonimo, per strada, dimenticati, anche in un obitorio,oppure circondati dalle persone più care, sostenuti, accompagnati nel-

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l’ultima esperienza della vita, amati e ricordati. Se tutti gli individuimuoiono, diversa è la causa biologica ed ancora più differente è il modoin cui ognuno vive il finire della propria esistenza. Sono numerosi i fat-tori che influenzano la qualità del morire, le sue sofferenze e inquietu-dini, l’ultima, definitiva memoria, fra disperazione e speranza, depres-sione e serenità.

I contributi presenti in questo volume riflettono un orientamentointerdisciplinare nell’affrontare il tema complesso della morte e delmorire che coinvolge varie dimensioni culturali, educative e sociali,diversi atteggiamenti e modalità del pensare e del sentire, nel rispettodella dignità della persona che volge al termine della propria vita e diquanti la assistono.

Alessandro Porro e Carlo Cristini esaminano il problema e la prati-ca della cremazione, attraverso una rassegna storica sui costumi, le tra-dizioni e le esigenze cinerarie riguardo al culto ed all’eliminazione deimorti, soprattutto in Europa e in Italia, specialmente nei casi di guerree calamità naturali. Nei tempi moderni la cremazione si va sempre piùdiffondendo, presenta vantaggi igienici ed ecologici e svantaggi essen-zialmente medico–legali. Ma la scelta fra inumazione e cremazioneimplica fondamentalmente considerazioni psicologiche e culturali, allabase del rapporto con il defunto ed i processi di memoria.

Alessandro Porro descrive uno specifico percorso storico del morirein ospedale, un tempo luogo di accoglienza delle persone più povere esfortunate. Chi aveva la possibilità moriva nell’ambiente domestico.Scarse erano le norme igieniche nelle “crociere” ospedalieredell’Ottocento e peculiari le morti per infezione; triste e designata, nel-l’epoca oscurantista del secolo successivo, la sorte dei disabili. Ma visono esempi di morti consapevoli ed altre tratte da fonti letterarie fracarenza di umanità e presenza rassicurante e significativa.

Giuseppe Ricca analizza il tema della morte e del morire attraverso unosguardo antropologico. Nell’atto del morire l’uomo scopre la sua unicità,mentre la comunità ne rende testimonianza tramite comportamenti collet-tivi. La morte viene considerata un fatto sociale e culturale, storico e ritua-le che si esprime mediante i simboli, le norme, la partecipazione e il soste-gno del gruppo nel favorire l’elaborazione del lutto e la ricomposizione di

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un equilibrio, di un ordine nell’ambito delle relazioni familiari e comuni-tarie. La ritualizzazione collettiva inizia quando si apprende la notizia diuna morte, accompagnano il morente e il defunto negli ultimi passaggi econtinua negli itinerari del ricordo o delle credenze relative ad una vitaultraterrena. Nella società moderna tende a perdersi la fenomenologia edi signifiacati del rito e dei suoi simboli. Il morente è spesso solo e la morteè burocratizzata, negata, priva di uno spazio, diventa un nonluogo espro-priato di senso e di valore.

Sergio Tramma definisce la morte la “grande clandestina” del nostrotempo. Le uniche morti pubbliche sono quelle massmediatiche. Sonocambiate le strutture, le patologie e il loro decorso, le cause di morte, ilsentimento religioso e le pratiche rituali e simboliche connesse; si muoresempre più in età avanzata e si è sempre meno competenti nell’affrontareil problema. L’indirizzo pedagogico considera i cambiamenti possibili nelprocesso del morire, privi di un’enfasi consolatoria. Viene delineata unadistinzione fra morte in età anziana e quella che precede la vecchiaia; laprima può essere considerata naturale, ma spesso sottaciuta e banalizzata,la seconda è generalmente legata ad un evento acuto, medicalizzata,impropria. Si sottolinea l’importanza di facilitare l’espressione comunica-tiva dei malati e di chi li assiste, di costruire relazioni valide ed efficaci,di preparare operatori “intenzionalmente” educativi, disposti all’ascolto,al sostegno, all’orientamento progettutale.

Caterina de Nicola considera il morire come un percorso verso unameta che rievoca l’idea di insuccesso e fallimento in chi, fra i curanti,si pone esclusivamente come obiettivo la restitutio ad integrum, ma chepuò costituire un’esperienza ricca di significato, un richiamo alla qua-lità ed al senso dell’esistenza, mediante il coraggio di affrontare l’im-pegno emotivo del finire di una vita, compresa la propria. La societàcontemporanea impartisce alla morte varie censure: verbale, visiva,fisica, conoscitiva. La malattia neoplastica suscita spesso paura, ilmalato oncologico rischia di essere allontanato da amici e conoscenti.Viene rimarcata la correlazione fra percorso assistenziale e strategiecomunicative, la distinzione fra guarire e curare, tipiche della medicinapalliativa; si riportano i vantaggi e gli svantaggi di un’assistenza domi-ciliare, l’importanza del coinvolgimento e del sostegno ai familiari neiprogrammi di cura e nelle scelte operative; essi devono essere prepara-

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ti nell’affrontare le varie situazioni che la patologia neoplastica puòindurre, specialmente sul piano comunicativo, anche quando il pazien-te appare agitato, confuso o in stato di sonnolenza: una sorta di sfidarelazionale. Un’attenzione è rivolta ai problemi clinici più frequenti:anoressia, astenia, dolore, dispnea, stipsi; in particolare sono descritti itimori ed i pregiudizi riguardo al dolore oncologico, i possibili rimedi.Il malato deve essere reso partecipe delle cure e dei loro rischi, si poneil problema del consenso informato, del comportamento eticamentegiustificabile e della carta dei diritti dei morenti.

Micaela Lo Russo si concentra sul tema dell’assistenza al morente e sichiede quali sono le esigenze di una persona che sta per morire.Innanzitutto è da tutelare la soggettività, la globalità e la centralità delmalato, prestare attenzione ai familiari, costruire un gruppo di lavoro, rea-lizzare una rete di servizi. Viene sottolineato il passaggio culturale ed ope-rativo dal «to cure» al «to care». Criticità, intensità e appropriatezza sonoi fattori da tenere sempre presenti nella predisposizione e nell’applicazio-ne di un piano assistenziale. Si richiama la necessità di un intervento tem-pestivo, già dalle prime fasi della malattia, delle cure palliative, di una for-mazione professionale specifica, di un adeguato contesto ambientale erelazionale, della attuazione di strutture territoriali e residenziali integra-te: terapie ambulatoriali, assistenza domiciliare, day hospital, hospice, delquale vengono tratteggiate le principali caratteristiche.

Giovanni Cesa–Bianchi e Carlo Cristini approfondiscono gli aspettipsicologici del morire: gli atteggiamenti, le reazioni, i comportamenti.La morte è sempre degli altri, raramente la propria. È un evento certo,naturale, ma nel contempo rifiutato, negato. Ciò che si prova al pensie-ro o al contatto con la morte si può collegare ai processi di memoria,transgenerazionali e antropologici. Già Freud esplorava la concezionedella morte presso numerosi popoli primitivi, dei loro riti e tabù che siritrovano ancora radicati in molti ambiti della società moderna. Non sivogliono vedere i segni esteriori della morte, non si è propensi ad accet-tarne la realtà, si fatica ad elaborare il lutto di una persona scomparsa.Ma è solo la piena consapevolezza del morire che permette di guarda-re in profondità e più chiaramente il vivere.

Antonio Imbasciati esplora il mondo delle angosce di morte, quellearcaiche, della prima infanzia che tendono a ripresentarsi negli opera-

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tori che entrano in contatto con persone colpite da patologie gravi oinguaribili. L’orientamento psicoanalitico ha studiato e descritto i mec-canismi alla base dell’instaurarsi delle angosce di morte, considerateprimariamente angosce inconsce di distruggere qualcosa di indispensa-bile dentro di sé, oppure attivate dall’idea che qualcuno possa morireper colpa propria. «Le ricerche sulle origini e lo sviluppo della menteevidenziano come l’angoscia di morte sia connaturara allo sviluppodella mente». Quando si perde qualcuno è come perdere una parte disé. È quanto accade in genere agli operatori quando il malato muore ese ne difendono., in vario modo. Ma non è facile contenere, elaborarele primitive angosce di morte frequentemente sollecitate. Si possonodeterminare particolari situazioni di disagio, sindromi da stress, patolo-gie psicosomatiche anche gravi, condizioni di un diffuso burn–out.Diventano irrinunciabili una formazione psicologica degli operatori edun supporto psicologico continuato.

Anna Della Vedova esamina i vissuti degli operatori nei confronti delbambino in fase terminale e dei suoi genitori. Il bambino è proiettato versoil futuro, il suo morire contrasta con il senso della vita. Assistere un bam-bino morente implica un carico emozionale particolarmente intenso eimpegnativo che espone facilmente gli operatori al rischio di difese e com-portamenti disadattivi. Viene presentata un’esperienza di formazione conun gruppo con infermieri pediatrici attraverso le loro testimonianze, atteg-giamenti, riflessioni e reazioni emotive. Ciò che accade al piccolo pazien-te può entrare in risonanza con aspetti personali degli operatori; il gruppodi lavoro, soprattutto se guidato, può contenere e lenire le sofferenze del-l’infermiere, attivate dal rapporto con il bambino malato. La relazione, isuoi significati, rappresenta lo strumento di elezione nell’accompagna-mento del paziente in età infantile e nel sostegno dei suoi genitori. I bam-bini, anche molto piccoli, sanno cogliere la gravità delle loro condizioni,percepire la disponibilità di chi sta loro intorno, comprendere il significa-to della morte; si tratta spesso di trovare le parole, il momento, il luogo piùconsoni per esprimerle.

Il contributo di Maria Antonietta Aveni Casucci, Carlo Cristini eGiovanni Cesa–Bianchi si riferisce alla tematica della morte in vecchia-ia e della relazione fra curanti e paziente anziano. La maggior parte deivecchi non teme la morte, ma il dolore che può precedere la fine del-

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l’esistere. Da giovani la morte è trascendente, la vita immortale, da vec-chi il morire diventa immanente, naturale. Invecchiare e morire fannoparte della biologia dell’essere umano. I curanti, specie quelli che lavo-rano nelle strutture residenziali per anziani, negli hospice, hanno unrapporto continuo con la morte e possono assumere vari atteggiamenti,provare diverse reazioni emotive, dei quali non sono sempre consape-voli e preparati a gestire, a contenere. Si ribadisce il valore di un lavo-ro di gruppo interdisciplinare, di una formazione psicologica degli ope-ratori. La cultura medica parcellizzata in settori sempre più specialisti-ci, centrata sulla guarigione, sulla restituzione della salute e dell’auto-nomia, fatica a ritrovare l’unitarietà della dimensione umana e clinicadi chi soffre di una malattia, a curare ed accompagnare l’anziano disa-bile, il morente. L’interazione attenta e sensibile può modulare la qua-lità delle cure e del percorso terminale.

Emma Carli focalizza il suo intervento sul prendersi cura della per-sona morente. Si nasce e si muore in una condizione di massima dipen-denza, di accudimento tradizionalmente svolto dal mondo femminile.La professione infermieristica ha trasformato il ruolo assistenzialedella donna nell’ambito familiare in un sapere ed un’opera specifici. Ilmorire è un’esperienza “speciale’, ogni volta diversa; si può considera-re una “buona morte” soltanto quella vissuta con qualcuno in grado dicapire e con–patire. Le reazioni degli operatori sanitari, come la pauraed il rifiuto, possono essere proiettate sul morente: una persona darispettare, conoscere, capace di costruire relazioni, di vivere con digni-tà il suo morire. Vengono infine riportati i disturbi fisici più rilevanti edalcuni consigli pratici nella prospettiva di un’assistenza e di una curacomplessive sino al termine.

Laura Migliorati e Carlo Cristini, dopo aver accennato alle modali-tà ed ai significati dei rituali elaborati intorno alla morte, del passato edel presente, riportano vari esempi, testimonianze di persone in faseterminale, anche dei loro parenti, le reazioni che essi provano, i passag-gi che affrontano per raggiungere una condizione di possibile serenità:dalla negazione, alla paura, alla rabbia, ai tentativi di negoziazione, alladepressione, all’accettazione dell’inevitabile. Sono vissuti che si alter-nano, si combinano, si mescolano in rapporto alle caratteristiche indi-viduali ed al clima relazionale dell’ambiente di cura ed assistenza. La

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comunicazione di una malattia a prognosi sfavorevole appare il piùdelle volte impegnativa e problematica. È una comunicazione che sisviluppa nella relazione di fiducia e rispetto che medico e malato insie-me costruiscono e nella quale sono spesso coinvolti i familiari, oltrealle altre figure professionali. La conoscenza della verità oggettiva esoggettiva della malattia e della sua evoluzione costituisce un processointerattivo che riconosce la disposizione e la dignità del paziente, ilsapere e la responsabilità del curante.

Carlo Cristini e Giovanni Cesa–Bianchi considerano il processocreativo che si svolge lungo l’intero arco della vita, dall’inizio alla fine.Si nasce e si muore continuamente nel viaggio di scoperta di sé. Si hasempre l’opportunità di fare esperienze, di apprendere, di vivere finoagli ultimi istanti. Si può completare, specialmente quando si è liberidal dolore, la propria esistenza, conservare uno spirito innovativo,costruire ricordi, morire serenamente. Vengono riportate brevi note bio-grafiche di grandi artisti che fino al termine dei loro giorni hanno sapu-to mantenersi lucidi, attivi, consapevoli, creativi. Morire è l’atto epilo-gativo di una storia, di un’interpretazione personale della vita, lo si puòdeclinare e vivere in vari modi, anche attraverso l’ultima conquistacreativa di se stessi.

Adelaide Conti affronta il delicato e discusso tema dell’etica in rap-porto ai processi della morte e del morire, ai malati terminali, fra codi-ci deontologici, convenzioni e comitati internazionali, dibattiti e consi-derazioni di esperti. Controllare il divenire della morte, ritardarla oanticiparla, programmare e decidere quando una vita finisce si confron-ta con il diritto e la difesa dell’esistenza individuale, la dignità e l’au-tonomia dell’uomo da non asservire al tecnicismo ed alle sue esaspera-zioni. Si pone spesso il dilemma fra accanimento terapeutico, astensio-nismo e rischio di omissioni. I codici deontologici del medico e dell’in-fermiere indicano generalmente le strategie da seguire. Viene eviden-ziata l’importanza del ruolo attivo del malato, della relazionemedico–paziente, delle capacità di dialogo, ascolto e comprensione,della ricerca di un’alleanza e di una continuità terapeutiche, della per-sonalizzazione degli interventi, del coinvolgimento, in molte situazio-ni, dei familiari. Il rifiuto delle terapie e le direttive anticipate delpaziente, la valutazione della “futility” del medico, la delega ai familia-

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ri sono problemi che suscitano di frequente controversie etiche e nor-mative, non sempre facili da dirimere, come per la questione dell’euta-nasia. Il concetto di qualità di vita viene sottolineato nella sua prospet-tiva dinamica, di valutazione oggettiva e soprattutto soggettiva da partedel paziente.

Giovanni Zaninetta traccia le linee–guida essenziali riguardo all’ho-spice e alle cure palliative. Dal primo hospice italiano, realizzato aBrescia nel 1987, agli oltre cento attuali sparsi sul territorio nazionale,l’atteggiamento iniziale e generale di diffidenza nei confronti di questestrutture si è progressivamente modificato. L’hospice costituisce unpunto nodale del progetto assistenziale per pazienti in fase avanzata eirreversibile di malattia cronica, in grado di prendersi cura in modoadeguato del malato e dei suoi familiari, un luogo dove poter vivere nelmigliore modo possibile l’ultima fase della vita. L’hospice non deverappresentare una variante aggiuntiva, privilegiata di strutture residen-ziali per anziani e nemmeno una parente povera dei reparti ospedalieri,ma una realtà con una sua specifica entità e collocazione nel processodi accompagnamento dei malati terminali. È fondamentale il lavoro diéquipe multiprofessionale e multidisciplinare quale strumento relazio-nale e di cura per i pazienti e le loro famiglie, ma anche di prevenzio-ne del burn–out negli operatori.

Guido Sala, prima di esprimere alcuni concetti sull’eutanasia, per-corre la storia della medicina degli ultimi secoli. Attraverso vari autoririchiama i passaggi più significativi dell’evoluzione scientifica e degliatteggiamenti della medicina. Non si muore perché compare la malat-tia, ma compare la malattia perché si è destinati a morire. Si afferma,in particolare nell’Ottocento, la naturalità della morte, ma anche l’uni-cità dell’individuo, del suo corpo malato, a fronte di patologie comuni;la medesima affezione descrive percorsi clinici differenti. Si poneanche il problema della diagnosi differenziale. Si è lontani, nonostanteintuizioni e ricerche, da misure preventive ed efficaci nel contrastare lenumerose morti per infezioni. È una medicina abituata ad operare incondizioni di continua precarietà. La mortalità infantile risulta elevata.Le epidemie mietono vittime quanto le guerre. Non vi è tempo, néoccasione per parlare di “buona morte’. La scoperta di antibiotici e vac-cini, i progressi della medicina e della chirurgia, supportati da una tec-

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nologia sempre più perfezionata ha radicalmente modificato il rappor-to fra medico e paziente, salute e malattia, qualità e durata della vita,inizio e fine dell’esistenza. Il medico che tiene per mano il suo pazien-te mentre muore, non è più una realtà diffusa, ma diventa un’immagi-ne poetica, romantica, d’altri tempi. Si evidenziano il diritto alla cura,l’avvento della medicina alternativa, il declino dell’esperienza clinica,l’emergere degli aspetti legali, il problema dell’eutanasia, all’inizio peri malati neoplastici in fase terminale, afflitti da dolori incontrollabili; siprofila il rischio di un’estensione ad altre, varie patologie, tramite ladecisione di una sorta di “tribunale’. L’ambivalenza e la confusione sultema appaiono rilevanti. Non viene esplicitata, ma sembra intuibile, lacondizione di solitudine, quale possibile fattore discriminante.

Un libro che considera il tema del morire sotto vari aspetti – storico,antropologico, filosofico, medico, infermieristico, pedagogico, psicolo-gico, etico e assistenziale —, può essere di aiuto a medici, psicologi,infermieri, caregiver, ricercatori, studenti delle scienze umane e dellasalute — specialmente nei corsi di laurea in medicina e in infiermieri-stica —, che affrontano o affronteranno nella loro professione, nel loroimpegno verso la conoscenza profonda dell’altro e la scoperta di sestessi, il dolore, la sofferenza, il declinare e il morire dei loro pazienti.

Si vive imparando, si muore lasciando in eredità ciò che abbiamoimparato, sul vivere e il morire.

Scriveva Emmanuel Lévinas ne La morte e il tempo: «Pensare ilsenso della morte — non per renderla inoffensiva, né per giustificarla,né per promettere la vita eterna, ma per tentare di mostrare il senso cheessa conferisce alla natura umana».

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