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ECM 33 Approccio diagnostico-terapeutico ai comuni stati dolorosi di natura infiammatoria Settembre 2012 19 Approccio

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 ECM33

Approccio diagnostico-terapeutico

ai comuni stati dolorosi di natura infi ammatoria

Settembre 2012 19

Approccio Approccio Approccio Approccio diagnostico-terapeutico diagnostico-terapeutico

Approccio

ECM33

Approccio diagnostico-terapeutico ai comuni stati dolorosi di natura infiammatoria

indiceModulo 1 pag.3

PrinciPidifisioPatologiadeldolore

Modulo 2 pag.7

MeccanisMod’azionedeifans

Modulo 3 pag.15

PrinciPalistatidolorosiacutidicarattereinfiaMMatorioelorotrattaMento

Modulo 4 pag.19

PrinciPalistatidolorosicronicidicarattereinfiaMMatorioelorotrattaMento

numero 19 - anno V - settembre 2012Autorizzazione Tribunale di MilanoN° 70 del 29 gennaio 2008

© Elsevier Srl 2012Pubblicazione protetta a norma di legge dall’Ufficio pro-prietà letteraria, artistica e scientifica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dedicata all’aggiornamento professionale. La pubblicazione o ristampa di articoli o immagini della rivista deve essere autorizzata per iscritto dall’editore.

EditoreElsevier SrlVia Paleocapa, 720121 Milano - ItaliaTelefono +39 02 88184.1Telefax +39 02 88184.301www.elsevier.it

Direttore ResponsabileEmile Blomme

Progetto graficoGiorgio Gandolfo

StampaArti Grafiche MiglioriniMelzo (Mi)

PresentazionedelcorsoTitoloApproccio diagnostico-terapeutico ai comuni stati dolorosi di natura infiammatoria

Responsabile scientificoAlberto PaneraiDipartimento di Scienze Framacologiche e Biomolecolari, Università degli Studi di Milano

DestinatariProfessione: Medico chirurgoDisciplina: medicina fisica e riabilitazione; medicina dello sport; pediatria; pediatria (pediatri di libera scelta); reumatologia; ortopedia e traumatologia; otorinolaringoiatria; medicina generale (medici di famiglia)Professione: FarmacistaDisciplina: farmacia territoriale; farmacia ospedaliera

Razionale del corsoI farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) sono farmaci di prima scelta nel trattamento degli stati dolorosi, acuti e cronici, e la loro maggiore o minore efficacia è fortemente correlata alle caratteristiche delle singole molecole, che non presentano un uguale profilo d’azione e di efficacia verso il processo infiammatorio. La natura di tali differenze è prevalentemente da ricercarsi nel ruolo della singola molecola nella cascata dell’acido arachidonico. Inoltre, le caratteristiche specifiche di farmacocinetica e farmacodinamica ottenute con particolari formulazioni condizionano la biodisponibilità delle diverse molecole, con notevoli differenze in termini di rapidità e/o prolungamento della risposta terapeutica. Conoscere i fondamenti alla base dell’approccio diagnostico-terapeutico ai più comuni stati dolorosi di natura infiammatoria permette di impostare la migliore strategia terapeutica, sce-gliendo all’interno della classe dei FANS la molecola più idonea ed efficace.

ECM FADIl superamento del test finale consentirà di ottenere 5 crediti formativi. (ID. ECM: 155-39795)

Durata del corsoIl tempo necessario per completare il percorso formativo è di 5 ore.Il corso sarà attivo dal 28 settembre 2012 al 28 settembre 2013.

Come iscriversi e partecipare al corsoDopo aver letto il materiale didattico contenuto nella presente rivista,collegarsi all’indirizzo internet:

http://fad-dolore-fans.ecm33.it

Registrarsi alla comunità Medikey o digitare le proprie credenziali Medikey; si accederàai contenuti online da visionare prima della compilazione del questionario finale utile al finedi ottenere i crediti ECM.

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modulo 1Approccio diagnostico-terapeutico ai comuni stati dolorosi di natura infiammatoria

Definizione di dolore

Nella definizione della IASP (International Asso-ciation for the Study of Pain) il dolore è definito come “un’esperienza spiacevole sensoriale o emozionale associata a un effettivo o potenziale danno tissutale, ovvero descritta nei termini di un danno tissutale”. Successivamente è stata introdotta la connotazione di esperienza sog-gettiva, riconoscendo l’individualità del dolore e la centralità del paziente. Il dolore presenta due componenti: una percet-tiva (la cosiddetta nocicezione), riguardante la ri-cezione e il trasporto al sistema nervoso centrale di stimoli potenzialmente lesivi per l’organismo; e una affettiva (l’effettiva esperienza del dolore), responsabile della percezione di una sensazione spiacevole.Il dolore costituisce un meccanismo essenziale per la difesa dell’organismo in quanto, segna-lando una lesione, permette di evitare ulteriori danni. A sua volta, però, diventa una malattia se persiste dopo che la lesione supposta essere alla sua origine si è risolta e quindi si rende au-tonomo dalla lesione.

Caratteristiche del dolore

Il dolore può essere di vari tipi. Infatti è descri-vibile come “pungente”, “tirante”, “bruciante”, “pruriginoso”, “a sbarra”, “compressivo”, ecc. Comunque, rappresentando un’esperienza per-sonale, ha un valore soggettivo difficilmente quantificabile, anche da un punto di vista lingui-stico. Più agevole è la classificazione in base alla durata. Sotto questo profilo il dolore è distinto in:• transitorio: si ha l’attivazione dei nocicettori

(vedi sotto) che causano la trasmissione degli stimoli dolorosi, senza che vi sia danno tissu-tale. Scompare contestualmente al termine dello stimolo;

• acuto: è di breve durata, e il rapporto di causa/effetto di solito è evidente. Il dolore acuto rap-presenta il “segnale” di una ferita, una lesione o una degenerazione organica. L’approccio terapeutico prevede che si curi la malattia di base e, con strumenti adeguati, si allevino i do-lori. Questi ultimi scompaiono quando si ha la riparazione del danno che ne è stato la causa;1

• ricorrente: è il dolore che si ripresenta con caratteristiche simili, come spesso accade nelle cefalee o nel dolore osteoarticolare e nella lombosciatalgia (mal di schiena);

• persistente: è definito così se permane lo stimolo che causa il dolore, stimolo detto anche nocicettivo;

• cronico: è associato a profonde modificazioni biochimiche e anche di personalità, che rap-presentano fattori di mantenimento del dolore in modo indipendente dalla permanenza dello stimolo.

Origine, trasmissione e percezione del dolore

I nocicettori sono il primo componente della “catena del dolore”.

La nocicezioneI nocicettori sono neuroni con terminali liberi che si riscontrano ovunque nel tessuto connettivo. Le fibre nocicettive vengono distinte in due classi: le fibre C e le fibre A-d. Le seconde sono a condu-zione rapida, mentre le prime (non mielinizzate) sono a conduzione lenta. È possibile distinguere il tipo di fibra coinvolta da come il dolore viene percepito: le fibre A-d, dopo uno stimolo algico, suscitano una sensazione pungente, acuta (limitata nel tempo) e superficiale, mentre la percezione trasmessa dalle fibre C è ottusa, duratura e profonda (Figura 1).Fondamentale, nell’insorgenza dei segnali che sono percepiti come dolorosi, è il ruolo svolto dai diversi sistemi di trasmissione del segnale utiliz-zati dai nocicettori, che possono essere canali ionici i quali hanno la funzione di trasformare lo stimolo nocivo in attività elettrica da trasmettere lungo il neurone e ai neuroni successivi della catena,2,3 oppure recettori metabotropi che tra-sformano il segnale in un messaggio biochimico.

La proiezione a livello corticaleGli stimoli dolorifici sono percepiti come tali solo a livello della corteccia cerebrale, dopo essere stati sottoposti a elaborazione a livello dei nuclei sottocorticali.4 Lo stimolo doloroso segue una sua via specifica che dalla periferia raggiunge il midollo spinale e sale attuando lungo il percorso anche contatti sinaptici con componenti del si-

parolechiave

inpillole

Principidifisiopatologiadeldolore Obiettivi del modulo:definire e classificare il dolore in base al tipo e alla durata; illustrare la trasmissione dello

stimolo doloroso; descrivere il dolore cronico e la sensitizzazione periferica e centrale; spiegare il

ruolo dei mediatori dell’infiammazione.

Dolore

Dolore cronico

Infiammazione

Nocicettore

Prostaglandine

Sensitizzazione

ÂÂ Il dolore fisiologico è un meccanismo essenziale per la difesa dell’organismo poiché, segnalando una lesione tissutale, permette di evitare ulteriori danni. Si tramuta però in malattia, dolore patologico, se diviene autonomo dalla lesione e si automantiene.

ÂÂ Spesso il dolore cronico ha queste ultime caratteristiche, protraendosi oltre la durata dell’evento da cui è originato.

ÂÂ Tale sindrome dolorosa è dovuta a processi di sensitizzazione periferica e centrale che permettono a stimoli non dolorosi di divenire tali o di rafforzare la risposta a stimoli algici.

ÂÂ I mediatori dell’infiammazione, quali le prostaglandine, giocano un ruolo importante nella sindrome dolorosa e vanno considerati a tutti gli effetti facilitatori della risposta a stimoli dolorosi, agendo sia perifericamente che centralmente.

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 modulo 1Approccio diagnostico-terapeutico ai comuni stati dolorosi di natura infi ammatoria

stema limbico, che ne condizionano la coloritura affettiva, fi no alla corteccia, passando per l’in-sula. La percezione cosciente della sensazione dolorosa si ha dunque a livello della corteccia cerebrale, ma ha il suo punto fondamentale di percezione a livello insulare, dove viene perce-pita come alterazione dell’omeostasi corporea.

Il dolore cronicoIl dolore cronico (Figura 2) ha un rilievo parti-colare nella pratica medica. Esso viene defi nito come un dolore che persiste per mesi dopo una lesione e oltre il naturale decorso di una patologia acuta, oppure che è associato a processi pato-logici cronici che causano dolore continuo e/o intermittente per la durata di mesi o anni, o che ancora può continuare in assenza del permanere di una patologia.5

Alla luce di quanto detto, si può affermare che esistono forme di dolore “utili” e altre “non utili” o “inutili”. Il dolore è utile se agisce come campa-nello d’allarme, segnalando la presenza di una potenziale causa di danno, più o meno severo, all’organismo. Ciò si riferisce principalmente alle forme di dolore acuto. Il dolore cronico, invece, non ricopre il ruolo di sistema d’allarme, e per-tanto è da ritenersi “inutile” e bisogna tentarne la cura.

L’ipersensibilità al dolore

Allodinia e iperalgesiaSi è detto che il dolore cronico può sussistere anche in mancanza del persistere di una pa-tologia che lo ha inizialmente provocato. Tale affermazione sembra in contraddizione con la

Dolore seguente

Neuroni nocicettoriTessuto connettivo sensibile

Midollo spinale

C (lento)

A-d (veloce)

A-d C (dolore nocicettivo)

Inte

nsità

Tempo

Primo dolore

Figura 1 Tipi di nocicettori.

Filtri di percezioneaprono

Escrezione dimediatori immunitari

Sostanzealgostimolanti

Modiche metabolichedei recettori (ipersensibili)

Crescita aumentata(plasticità) di dendriti Sistema

limbico

Stimolopersistente

Neuronespinale

Inter-neuroni

Neuroninocicettori

Organi

+/–

Organi

Corteccia cerebraleSensazione di dolore

Figura 2 Cronicizzazione del dolore.

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teoria per cui è indispensabile la presenza di uno stimolo nocivo affi nché abbia origine la sensa-zione di dolore. In tale contesto va introdotto il concetto di sensitizzazione, che svolge un ruolo fondamentale in tante forme di dolore cronico.Nel dolore cronico, la percezione può divenire superiore a quanto atteso, o stimoli general-mente non dolorosi possono essere percepiti come dolorosi. La sensitizzazione delle vie del dolore, che porta all’ipersensibilità al dolore, può manifestarsi in due modi:1) la soglia dolorifi ca si abbassa fi no al punto

che stimoli normalmente non in grado di originare dolore lo inducono. Questa forma di ipersensibilità al dolore è chiamata allodinia;

2) la risposta agli stimoli dolorosi aumenta, in modo che questi inducono un dolore supe-riore a quello evocato dallo stesso stimolo in precedenza; in tal caso si usa il termine di iperalgesia.

In altri termini, il soggetto viene “sensitizzato” a stimoli che di solito non causano dolore o lo suscitano in modo più intenso dell’atteso. Si di-stinguono due meccanismi all’origine della sensi-tizzazione al dolore, a seconda che quest’ultima sia centrale o periferica.6

La sensitizzazione perifericaLa sensitizzazione periferica consiste in un abbassamento della soglia al dolore e in un au-mento della risposta dei nocicettori. La sensitiz-zazione periferica contribuisce all’ipersensibilità dolorifi ca che si determina in corrispondenza di un danno tissutale o di un processo fl ogistico, ed è strettamente legata all’azione delle molecole infi ammatorie che vengono rilasciate localmente. In caso di sensitizzazione periferica la soglia di attivazione dei nocicettori si abbassa conside-revolmente, diventando così questi ultimi più sensibili agli stimoli algici.

La sensitizzazione centraleLa sensitizzazione centrale è causata da un aumento dell’eccitabilità di neuroni del sistema nervoso centrale (midollo spinale), cosicché sti-moli di per sé di breve durata vengono trasformati in stimoli continui. La sensitizzazione centrale è responsabile dell’allodinia meccanica, ossia del dolore ad esempio evocato in risposta allo sfregamento della cute, fi no ad arrivare al caso di alcuni pazienti con danno neuronale per i quali il solo soffi are sulla cute può provocare dolori lancinanti.Alla base di questo tipo di sensitizzazione pos-

siamo evidenziare un meccanismo per cui i terminali centrali della fi bra che conduce il dolore rilasciano una serie di molecole di segnalazione, tra cui il glutammato (aminoacido eccitato-re), neuropeptidi e modulatori sinaptici. Questi trasmettitori/modulatori si legano a recettori specifi ci in corrispondenza dei neuroni midollari, attivando vie di segnalazione intracellulari che causano l’attivazione di recettori NMDA per il glutammato, che porta a un aumento della sintesi di nitrossido (NO), che viene liberato, diffonde in modo retrogrado verso la presinapsi e potenzia la liberazione di glutammato, instaurando un ciclo vizioso che si automantiene: glutammato-NO-glutammato (Figura 3).

I mediatori dell’infi ammazione

In precedenza si è accennato all’attività di mo-lecole pro-infi ammatorie rilasciate in sede di danno tissutale o fl ogosi e che promuovono la sensitizzazione periferica e centrale.7 Tra questi mediatori dell’infi ammazione sono compresi gli eicosanoidi (prostaglandine e leucotrieni), la bradichinina, la serotonina, l’ATP/ADP, varie citochine e chemochine e le specie reattive

RecettoreAMPA

Attivazione dei recettori NMDAper spiazzamento del Mg2+

Azione dell’NO a livello pre-sinapticocon maggiore liberazione di sostanza P ed EAA

EAA: aminoacidi eccitatori; cNOS: ossido nitrico sintetasi costitutiva; NO: ossido nitrico; PTN: neurotrasmettitore del dolore.

Stimoli algicicondotti dalle �bre A-D e C

Incremento del rilascio di sostanza P e di EAA

RecettoreNK-1

RecettoreNMDA

Ca2+

cNOS

L-argininaPTN

NO

Glia

Ingresso di Ca2+ nella cellula

Attivazione della cNOS

Trasformazione di L-arginina in NO

Figura 3 La concezione classica del dolore cronico. Modifi cata da Watkins LR, Maler SF. J Intern Med 2005:257:139-55.

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dell’ossigeno (Figura 4).8 Alcuni di tali mediatori attivano direttamente i terminali dei nocicettori periferici, segnalando la presenza di tessuto infi ammato e causando l’insorgenza di dolore. La prostaglandina E2, liberata da cellule attivate, modifi ca la sensibilità al dolore potenziando la risposta dei nocicettori periferici alle altre so-stanze e, in conclusione, abbassando le soglie di nocicezione. I mediatori dell’infi ammazione possono pertanto essere defi niti a pieno titolo “facilitatori della risposta dolorifi ca” (Figura 5).Tutto ciò spiega il motivo per il quale la terapia del dolore spesso si interseca con il trattamento dell’infi ammazione. In queste situazioni cliniche, che costituiscono la forma più frequente di dolore nella pratica medica, l’approccio terapeu-tico più utilizzato si basa sull’impiego di farmaci antinfi ammatori non steroidei (FANS).

Tessutoparenchimale

Neuronenocicettivo

Lesione

IstaminaAlgesici

SostanzaP

Capillaresanguigno

Cellulaimmunitaria

Tessuto connettivo lassoMatrice basale

Figura 5 I mediatori dell’infi ammazione quali “facilitatori della risposta dolorifi ca”.

PeraPProfondire

1. Guyton AC, Hall JE. Textbook of medical physiology,

11th edition. WB Saunders Company, Philadelphia,

2006.

2. Basbaum A, Bautista DM, Scherrer G, Julius D.

Cellular and molecular mechanisms of pain. Cell

2009;139(2):267-84.

3. Liu L, Yang T, Bruno MJ, et al. Voltage-gated ion

channels in nociceptors: modulation by cGMP. J

Neurophysiol 2004;92(4):2323-32.

4. Hofbauer RK, Rainville P, Duncan GH, Bushnell MC.

Cortical representation of the sensory dimension of

pain. J Neurophysiol 2001;86(1):402-11.

5. Manchikanti L, Singh V, Bakhit CE, Fellows B.

Interventional techniques in the management of

chronic pain: Part 1.0. Pain Physician 2000;3(1):7-

42.

6. Sarzi-Puttini P, Atzeni F, Mease PJ. Chronic

widespread pain: from peripheral to central

evolution. Best Pract Res Clin Rheumatol

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7. Riley J, Boulis NM. Molecular mechanisms of

pain: a basis for chronic pain and therapeutic

approaches based on the cell and the gene. Clin

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8. Ji RR, Gereau RW 4th, Malcangio M, Strichartz

GR. MAP kinase and pain. Brain Res Rev

2009;60(1):135-48.

Dannotissutale

Mastocitao neutro�lo

Sostanza P

Istamina

NGFBradichinina

5-HTProstaglandina

ATP: adenosina trifosfato; CGRP: peptide correlato geneticamente alla calcitonina; DRG: ganglio della radice dorsale; NGF: fattore di accrescimento del tessuto nervoso.

ATP H+

CGRPSostanza P

Vaso sanguigno

Midollo spinale

DRG

Stimolo Recettore

NGF TrkABradichinina BK2 Serotonina 5-HT3

ATP P2X3

H+ ASIC3/VR1Lipidi PGE2/CB1/VR1Calore VR1/VRL-1Pressione DEG/ENaC?

Figura 4 I mediatori dell’infi ammazione nella risposta dolorifi ca.

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Approccio diagnostico-terapeutico ai comuni stati dolorosi di natura infiammatoriamodulo 2

Gli eicosanoidi

Il termine eicosanoidi risale alla parola greca eikosi, che significa “20”, in relazione al numero di atomi di carbonio contenuti negli acidi grassi precursori di tali molecole. Si è visto come un eicosanoide, la prostaglandina E2 (PGE2), abbassi la soglia di risposta dei nocicettori agli stimoli algici, agendo così da facilitatore della risposta dolorifica. La PGE2 non è l’unico eicosanoide con questo effetto, ma certo è il più rilevante. L’inibizione della sintesi delle PG è l’azione fondamentale dei farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS). Prima di analizzare questi farmaci bisogna soffermarsi sugli eicosanoidi, approfondirne funzioni e modalità di biosintesi, e specificare a che livello della loro produzione operano i FANS.

Biosintesi degli eicosanoidiLa biosintesi degli eicosanoidi è vincolata alla disponibilità di acido arachidonico (Figura 6). Quest’ultimo risiede nei lipidi di membrana ed è rilasciato da questi in seguito all’azione di una classe di enzimi dei quali il principale è la fosfoli-pasi A2. Una volta liberato, l’acido arachidonico è in parte rapidamente metabolizzato per opera di vari sistemi enzimatici, i più importanti dei quali sono le ciclossigenasi (COX) e le lipossigenasi (LOX).

Prodotti delle COXLe COX ossidano e ciclizzano l’acido arachido-nico non esterificato formando la prostaglan-dina endoperossido (PGG2), che viene subito trasformata in prostaglandina H2 (PGH2). Da questo precursore si diramano diverse vie che portano alla sintesi di PG, prostacicline e trom-bossani, molecole complessivamente chiamate prostanoidi. I principali prostanoidi prodotti da queste vie biosintetiche sono le prostaglandine PGE2, PGF2a, PGD2 con i suoi prodotti di deidratazione, tra i quali la prostaciclina PGI2 e il trombossano (Tx) TxA2. Gli enzimi che sintetizzano i prostanoidi finali sono espressi in modo piuttosto selettivo nei vari tipi cellulari, così che la maggior parte delle cellule produce solo uno o due prostanoidi. Per esempio le piastrine producono quasi solo il TxA2, mentre i macrofagi attivati sintetizzano principalmente PGE2 e TxA2.

Dalle cellule i prostanoidi sono rilasciati tramite trasporto facilitato attraverso il trasportatore di PG e, forse, altre strutture subcellulari non perfettamente identificate.

Isoforme delle COX: COX-1 e COX-2Esistono due isoforme delle COX, la COX-1 e la COX-2. La COX-1 è espressa in modo costi-tutivo dalla maggior parte delle cellule, mentre la produzione di COX-2 può essere indotta da stimoli chimici (citochine, per esempio), biofisici o da ormoni. La COX-2 però non è solo un enzima inducibile: è infatti espressa costituti-vamente in alcune aree del cervello, del rene e dello stomaco.9 Data la diversa inducibilità tra i due tipi di COX, alla COX-1 si attribuisce il ruolo di controllo di funzioni fondamentali, come la citoprotezione gastrica, mentre si ritiene che la COX-2 sia la maggiore fonte di prostanoidi nelle malattie flogistiche e neoplastiche. È possibile che questo dualismo sia semplicistico e che esistano alcuni processi fisiopatologici in cui i due enzimi svolgano attività uniche e altri in cui operino in modo coordinato.10 Sono le COX a rappresentare il bersaglio molecolare dei FANS.

Prodotti delle lipossigenasi (LOX)Le LOX trasformano l’acido arachidonico in acidi idroperossi-eicosatetraenoici (HPETE). Questi sono poi convertiti nei relativi idrossiacidi grassi (HETE), sia spontaneamente sia enzimatica-mente, mediante una perossidasi. Successive reazioni operate dalla 5-LOX danno vita ai pro-dotti finali di questa via biosintetica, i leucotrieni (LT), che hanno un ruolo di rilievo nell’innesco e nella durata delle risposte flogistiche e sono proalgogeni e costrittori della muscolatura liscia, ad esempio quella bronchiale. Gli eicosanoidi bioattivi sono LTB4, LTC4, LTD4 e LTE4.

Effetti biologici degli eicosanoidiGli eicosanoidi svolgono molti effetti biologici. Vengono descritti sotto i principali, con maggiore risalto dato a quelli più importanti nella pratica medica.

Sistema cardiovascolarePGE2 e PGD2 sono vasodilatatrici e ipotensive. PGF2a stimola la vasocostrizione dei vasi polmo-nari, senza modificare i livelli pressori sistemici. PGI2 induce un potente rilasciamento della

parolechiave

inpillole

Meccanismod’azionedeifans Obiettivi del modulo:illustrare la struttura, la biosintesi e le funzioni

biologiche degli eicosanoidi; offrire una classificazione dei FANS; distinguere le attività comuni a tutti i FANS da quelle caratteristiche

delle singole sottoclassi.

Ciclossigenasi

Eicosanoidi

FANS

Leucotrieni

Lipossigenasi

Prostaglandine

ÂÂ Gli eicosanoidi, in particolare la prostaglandina E2, riducono la soglia di risposta dei nocicettori agli stimoli dolorifici.

ÂÂ Si distinguono due classi di eicosanoidi: i prostanoidi e i leucotrieni. Entrambi derivano dall’acido arachidonico, ma sono diversi gli enzimi implicati nella reazione biochimica.

ÂÂ I farmaci antinfiammatori non steroidei inibiscono la produzione di prostaglandine e svolgono attività antinfiammatoria, analgesica e antipiretica. I disturbi gastrointestinali rappresentano il più frequente effetto collaterale.

ÂÂ I farmaci antinfiammatori non steroidei tradizionali inibiscono in modo non selettivo i due tipi noti di ciclossigenasi: COX-1 e COX-2. Più di recente sono stati sviluppati farmaci antinfiammatori non steroidei inibitori selettivi della COX-2 (denominati coxib) che causano una minore incidenza di effetti avversi gastrointestinali, mentre per alcuni di questi si è notata una maggiore incidenza di effetti avversi cardio- e cerebrovascolari.

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Approccio diagnostico-terapeutico ai comuni stati dolorosi di natura infiammatoriamodulo 2

muscolatura liscia vascolare, causando così ipotensione. TxA2 è un potente vasocostrittore. LTC4 e LTD4 inducono ipotensione, inoltre han-no effetti importanti sul microcircolo, favorendo – nelle cellule endoteliali delle venule postcapillari – l’essudazione di plasma con una potenza molte volte superiore a quella dell’istamina.

PiastrineTxA2 è il prodotto principale della COX-1 nelle piastrine, di cui induce l’aggregazione. Inoltre potenzia il segnale di altri agonisti piastrinici più potenti, come la trombina e l’adenosina difosfato (ADP). Le sue azioni sono bloccate da PGI2, che inibisce l’aggregazione piastrinica in risposta a ogni agonista noto.

Muscolatura lisciaA livello extravasale, le PG hanno, in distretti diversi, effetti di rilasciamento o contrazione della muscolatura liscia. Gli LT, invece, provocano generalmente la contrazione della muscolatura liscia. Questo effetto di contrazione è partico-larmente importante poiché spiega per quale motivo chi assume la maggior parte dei bloccanti delle COX, potenziando la via metabolica delle LOX, può andare incontro a broncocostrizione e, se asmatico, ad attacchi di asma (la cosiddetta allergia all’acido acetilsalicilico).

OcchioPGF2a riduce la pressione intraoculare, aumen-tando il deflusso di umore acqueo; nella terapia del glaucoma ad angolo aperto possono essere efficaci gli agonisti recettoriali delle PGF.

Sistema endocrinoI più importanti effetti endocrini delle PG riguar-dano il metabolismo osseo (vedi sotto) e l’inizio del parto, prima dell’azione dell’ossitocina. Tra i metaboliti delle LOX, il 12-HETE induce un au-mento della sintesi e liberazione di aldosterone.

Metabolismo osseoLe PG svolgono una potente attività di modula-zione sul metabolismo osseo. PGE2 interviene su apposizione e riassorbimento del tessuto osseo regolando l’attività di osteoblasti e oste-oclasti, influendo direttamente sulla solidità e composizione dell’osso. Nello specifico, le PG favoriscono il riassorbimento osseo in condizione di scarico di lavoro dell’osso e l’apposizione in condizioni di carico. Resta un problema ancora controverso il fatto che molti effetti delle PG sull’osso differiscano tra gli studi in vivo e in vitro.

Reni e diuresiLe PG influiscono sull’escrezione renale di sali e acqua, modificando il flusso ematico renale e agendo direttamente sui tubuli. PGE2 e PGI2, in particolare, aumentano il flusso ematico e stimolano la diuresi. Le PGE, inoltre, inibiscono il riassorbimento di acqua da parte dell’ormone antidiuretico. Le PG stimolano l’increzione di renina con un meccanismo indiretto, dovuto al loro effetto vasodilatatore e ipotensivo.

Risposta immunitaria e infiammatoriaGli eicosanoidi hanno un ruolo fondamentale nella risposta immunitaria e infiammatoria, ed

è questa la base dell’attività antinfiammatoria dei FANS. Gli LT svolgono invece un ruolo pro-infiammatorio. LTB4 è infatti un potente agente chemotattico per neutrofili, eosinofili e monociti; LTB4 inoltre favorisce la produzione di superossido e induce macrofagi e linfociti a sintetizzare citochine pro-infiammatorie. I prostanoidi generalmente inibiscono la rispo-sta immunitaria adattativa (antigene-specifica), mentre stimolano la risposta immunitaria inna-ta (infiammatoria). In effetti, somministrando per via intradermica o endovenosa piccole quantità di PG si riproducono molti fenomeni della risposta infiammatoria. Iniettando PGE2 o PGI2 si hanno eritema e aumento del flusso ematico locale.

Sistema nervoso e risposta dolorificaTra gli effetti sul sistema nervoso centrale esercitati dagli eicosanoidi va prima di tut-to considerata la loro partecipazione alla regolazione della temperatura corporea. In particolare, l’iperpiressia è indotta da agenti pirogeni, sia endogeni sia esogeni, i quali usano come mediatore PGE2. PGD2 e TxA2, invece, non inducono ipertermia. Le PG, co-me accennato nel modulo 1, contribuiscono a insorgenza e mantenimento della risposta dolorifica sia a livello centrale sia periferico. La sintesi di fosfolipasi A2 e COX-2 aumenta in corrispondenza di processi infiammatori. Con-temporaneamente, si osserva una maggiore produzione di PGE2. Perifericamente, PGE2 e PGI2 sensitizzano i terminali dei nocicettori agli stimoli dolorosi, portando a un abbassa-

O2

2 O2

CO2HCO2H

CO2H

O

CO2HOO

OH

CO2H

O

O

OH

Acido arachidonico5-lipossigenasi

HOH

H

OH

HH

HO

HOH

O

PGE2

TXA2

PGH2

PGE2: prostaglandina-E2; PGH2: prostaglandina-H2;PGI2: prostaciclina; TXA2: trombossano.

Ciclossigenasi

Leucotriene A

HO2C

OH

O

OH

PGI2

Figura 6 Biosintesi degli eicosanoidi.

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Approccio diagnostico-terapeutico ai comuni stati dolorosi di natura infi ammatoria modulo 2

mento delle soglie di nocicezione. A livello centrale PGE2 può elevare l’eccitabilità delle vie deputate alla trasmissione degli stimoli dolorifici in corrispondenza del midollo spina-le. Anche LTB4 opera come facilitatore della risposta dolorifica. In breve, si può dire che il rilascio di questi eicosanoidi durante i proces-si infiammatori amplifica e facilita la risposta

dolorifica. Si ritiene inoltre che la COX-2 sia coinvolta nella patogenesi di diverse malattie neurodegenerative, e tale ruolo è materia di ricerche particolarmente attive, anche con test clinici, allo scopo di valutare se inibitori selettivi della COX-2 possano essere utilizzati con vantaggio nella terapia di patologie come Alzheimer e Parkinson.

I FANS

Meccanismo d’azioneI FANS agiscono attraverso l’inibizione delle COX. Tale inibizione può essere non selettiva per COX-1 e COX-2 oppure più o meno selettiva per la COX-1 o la COX-2 (Figura 7). Si ritiene che l’azione inibitoria sulla COX-2 sia in gran parte responsabile degli effetti antipiretici, analgesici e antinfi ammatori dei FANS, laddove l’inibizione della COX-1 renderebbe conto in larga parte, ma non in modo esclusivo, degli effetti avversi gastrointestinali.11 Per questa ragione negli ultimi anni la produzione di inibitori selettivi della COX-2 ha avuto un forte impulso, nella speranza di disporre di FANS con un profi lo di tollerabilità mi-gliore rispetto a quello delle molecole precedenti.Il meccanismo comune all’azione di tutti i FANS è il blocco del catabolismo dell’acido arachi-donico, bloccando l’attività delle COX, mentre non inibiscono le LOX, la cui via metabolica può essere addirittura potenziata dal blocco delle COX, aumentando la sintesi di leucotrieni (vedi sopra) (Figura 8). Questo meccanismo non si manifesta ad esempio con il ketoprofene, che al contrario del meccanismo sopra descritto è in grado di inibire parzialmente le LOX bilanciando l’azione sui due enzimi COX e LOX, ed evitando pertanto la contrazione della muscolatura liscia con conseguente broncocostrizione. Inoltre, gli ormoni steroidei inibiscono la fosfolipasi A2 e quindi la sintesi di acido arachidonico, cioè agi-

Prostaglandine Trombossano

Protezionedella mucosa

gastrointestinale

Prostaglandine

Mediazione di dolore,inammazione

e febbreEmostasi

COX-1costitutiva

COX-2inducibile/costitutiva

Mucosa gastrointestinale Piastrine

FANS inibitorinon selettivi delle COX

Acido arachidonico

CO2H

FANS inibitoriselettivi della COX-2

Figura 7 Meccanismo d’azione dei FANS. Modifi cata da Vane JR, Botting RM. Infl amm Res 1995;44(1):1-10.

Fosfolipide

Acido arachidonico

Ø Prostanoidi Ø Leucotrieni

Glucocorticoidi

Fosfolipasi A

FANS

• Aggregazione piastrinica• Vasocostrizione

Ø TXA2• Ø LTC4 Ø LTD4 Ø LTE4 (broncocostrizione e aumento della permeabilità vasale)

Ø LTB4 (chemiotassi)• Vasodilatazione• Antiaggregazione piastrinica• Perfusione renale

Ø PGI2• Vasodilatazione• Aumento della permeabilità vasale• Iperalgesia

Ø PGE2

Ciclossigenasi (COX) Lipossigenasi (LOX)

Figura 8 Blocco delle COX e attivazione della via delle LOX.

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scono a un livello metabolico precedente l’attività sia di COX-1 sia di COX-2, ma hanno solo effetto antinfiammatorio e non l’effetto analgesico che invece hanno i FANS.Il primo FANS a essere impiegato in terapia è stato l’acido acetilsalicilico. Questo farmaco è in uso da oltre un secolo e il fatto curioso è che il suo meccanismo d’azione (ossia l’inibizione della sintesi di PG) è stato individuato solamente all’inizio degli anni Settanta.12 Fino a quell’epoca la molecola era usata in modo empirico, in virtù delle sue evidenti proprietà terapeutiche, senza che si conoscessero le sue reali attività. L’acido acetilsalicilico, tuttavia, oltre a detenere il primato di primo FANS della storia, ha un’altra peculiarità che lo distingue da tutti gli altri farmaci della sua classe: modifica in maniera covalente (attraver-so un’acetilazione) e irreversibile le COX, e per questo la sua durata d’azione è strettamente vincolata al ricambio delle COX nei tessuti, specificatamente nelle piastrine. Viceversa, la durata d’azione degli altri FANS, che agiscono inibendo in modo reversibile le COX, è da met-tere in rapporto alla biodisponibilità del farmaco.Il turnover dell’enzima dopo inibizione da acido acetilsalicilico è di particolare rilievo nel caso delle piastrine: queste, non essendo dotate di nucleo non possiedono una biosintesi proteica, pertanto l’inibizione della COX-1 nelle piastrine (e quindi di trombossani) si mantiene per tutta la vita della piastrina stessa e per recuperare dall’azione inibitoria da acido acetilsalicilico serve un tempo compreso tra 8 e 12 giorni, corrispondente al periodo di ricambio delle piastrine. Questa è la ragione per cui si può usare un basso dosaggio di acido acetilsalicilico per ottenere un effetto di inibizione dell’aggregazione piastrinica nella prevenzione delle patologie cardiovascolari di origine trombotica.La gran parte dei FANS, pur appartenendo a diverse famiglie chimiche, ha in comune la carat-teristica di essere acidi organici. Di conseguenza i FANS mostrano un buon assorbimento per via orale, un forte legame alle proteine plasmatiche e un’eliminazione renale per filtrazione glome-rulare o secrezione tubulare; inoltre, tendono ad accumularsi dove siano in corso processi flogistici. L’emivita dei FANS è variabile, con limiti molto ampi.

Effetti terapeuticiTutti i FANS, compresi quelli che inibiscono in modo selettivo la COX-2, causano effetti antipi-retici, analgesici e antinfiammatori.

AnalgesicoI FANS sono considerati blandi analgesici. Quando si utilizzano occorre sempre tenere conto del tipo di dolore e della sua intensità. I FANS appaiono efficaci in modo particolare

quando il processo flogistico ha causato una sensitizzazione dei nocicettori. Comunque, la massima efficacia dei FANS è decisamente inferiore a quella degli oppioidi. Rispetto a questi ultimi, però, i FANS non causano gravi effetti avversi sul sistema nervoso centrale, quali depressione respiratoria o sviluppo di farmaco-dipendenza, né effetti periferici/centrali come la stipsi. Inoltre i FANS non incidono sulla perce-zione di segnali sensoriali diversi rispetto a quelli del dolore. I FANS, sempre in relazione all’entità del dolore, si dimostrano validi soprattutto nel trattamento del dolore cronico post-operatorio e del dolore da processi infiammatori. Un dolore nel quale sono particolarmente efficaci è il dolo-re mestruale. Il rilascio di PG dall’endometrio nel corso della mestruazione può suscitare svariati sintomi della dismenorrea primaria: il trattamento di questa condizione mediante FANS si è rivelato efficace.

AntipireticoI FANS sono antipiretici efficaci e, come dice il termine antipiretici, non modificano la tempera-tura basale. In caso di impiego di FANS come antifebbrili, conviene sceglierne uno a rapido inizio d’azione.

AntinfiammatorioL’uso clinico più rilevante dei FANS in ambito antinfiammatorio riguarda il trattamento di pato-logie a carico dell’apparato muscolo-scheletrico, come l’artrosi, l’artrite reumatoide e l’osteoartrite. In queste malattie i FANS alleviano i sintomi mag-giori, quali dolore e infiammazione, ma non sono in grado di modificare il decorso della malattia. È questo il motivo per cui non vengono conside-rati farmaci che modificano la malattia (disease-modifying antirheumatic drugs, DMARD).

Altri impieghiEsistono altre condizioni patologiche che pos-sono trarre beneficio dai FANS. Di seguito sono esposti alcuni cenni su tali malattie.Mastocitosi sistemica. In questa patologia, che si caratterizza per un eccesso di mastociti, si manifestano severi episodi ipotensivi causati dal rilascio di alte quantità di PGD2. Le crisi di ipotensione vengono trattate con antagonisti dell’istamina associati a FANS, quali acido ace-tilsalicilico o ketoprofene.Cancro del colon. Studi epidemiologici hanno evidenziato che l’utilizzo frequente di acido ace-tilsalicilico è associato a un dimezzamento del rischio di cancro del colon. Di qui l’interesse per un suo impiego come metodo preventivo della neoplasia. Da sottolineare, inoltre, che celecoxib (COX-2 selettivo) era stato approvato per il tratta-mento della poliposi adenomatosa familiare, una malattia ereditaria contraddistinta dalla presenza

di numerose lesioni in corrispondenza del colon con evoluzione carcinomatosa durante la sesta decade di vita, ma poi l’indicazione è stata revo-cata per i danni cardiovascolari derivanti dall’uso cronico di anti-COX-2.

Effetti collateraliNonostante i FANS siano tra i farmaci più utilizzati nella pratica medica, presentano una serie di effetti collaterali che possono anche essere di notevole gravità. Di solito, la probabilità che si manifestino effetti collaterali aumenta con l’età, e nel paziente anziano è sempre opportuno iniziare la somministrazione di FANS con un dosaggio ridotto rispetto a quello impiegato nell’adulto normale.

GastrointestinaliPossono presentarsi dolore addominale, nau-sea, anoressia, ulcere, anemia, emorragia, perforazione, diarrea. La comparsa di ulcere gastriche o intestinali si osserva nel 15-30% dei pazienti che assumono abitualmente FANS. Tali effetti sono dovuti innanzitutto all’inibizione della COX-1; di conseguenza, gli inibitori della COX-2 determinano meno danni, sotto questo profilo. La minore incidenza di effetti avversi gastroin-testinali da parte degli inibitori della COX-2 ha rappresentato, in un primo momento, il razionale per la loro approvazione da parte delle Autorità regolatorie. Tuttavia la realtà non è così rosea. Le COX-2 inducono, a livello gastrico, la sintesi di lipoxina, una sostanza che ha la proprietà di indurre la riparazione di danni gastrici. Il loro blocco, quindi, inibisce la riparazione di danni già presenti: ad esempio, se un paziente è già porta-tore di danno gastrico (da FANS, da stress, ecc.) sarà fondamentalmente danneggiato dall’uso di inibitori delle COX-2, senza considerare che, a livello gastrico, la sintesi di lipoxina è potenziata dall’uso di inibitori delle COX-1.

RenaliSia gli inibitori delle COX-1 sia gli inibitori delle COX-2 inducono vasocostrizione a livello renale e quindi una diminuzione della funzionalità renale che sarà, ovviamente, più grave nell’anziano. Si può quindi manifestare ritenzione di sale e acqua e, di conseguenza, possono svilupparsi edema con peggioramento della funzione renale in pazienti affetti da malattie cardiache, renali oppure con cirrosi epatica, minore efficacia delle terapie antipertensive diuretiche, ridotta escre-zione di urati (specie con l’acido acetilsalicilico) e iperpotassiemia.

NeurologiciSi possono avere episodi di cefalea, vertigini, confusione, depressione, abbassamento della soglia convulsiva, iperventilazione (da salicilati).

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EmatologiciSi ha inibizione dell’attivazione piastrinica, con aumento del rischio di emorragie.

OstetriciNelle donne gravide l’impiego di FANS determina un prolungamento della gestazione e potrebbe rendere più difficile il travaglio.

AllergologiciSi possono avere reazioni di ipersensibilità quali rinite vasomotoria, edema angioneurotico, asma, urticaria, vampate, ipotensione, shock.

AngiocardiologiciDa citare la chiusura del dotto arterioso.

PneumologiciAttacchi di asma in soggetti anche non mani-festatamente asmatici, dovuti all’aumento della sintesi di leucotrieni indotta dal blocco delle COX e conseguente potenziamento della via metabolica dell’acido arachidonico che utilizza le LOX (vedi anche figura 8).

Interazioni con altri farmaciTra gli antipertensivi, i FANS riducono l’efficacia degli ACE-inibitori in quanto, bloccando la sintesi di PG, causano vasocostrizione. Si può avere maggiore incidenza o gravità di ulcerazioni in sede gastrointestinale se i FANS sono assunti insieme a steroidi o, molto grave, se viene attuata una terapia che associa inibitori delle COX-1 e delle COX-2. Ciò avviene perché gli inibitori delle COX-1 possono indurre un danno gastrico che, almeno in parte, non può essere riparato dall’aumento di lipossina, perché

la sua sintesi è bloccata dagli inibitori delle COX-2 (vedi sopra). Inoltre, i FANS possono elevare il rischio di sanguinamento in pazienti che usano anticoagulanti come il warfarin.Molti FANS si legano con grande affinità alle proteine plasmatiche e ciò può impedire che altri farmaci si leghino alle medesime proteine o che farmaci già legati ne possano essere dissociati aumentando la loro quota libera e quindi attiva (possibili tossicità). Questa situazione può veri-ficarsi in persone che assumano, oltre ai FANS, warfarin, sulfaniluree o metotrexate. Il dosaggio di questi farmaci va eventualmente ridotto per prevenire la comparsa di eventi avversi correlati alla presenza in circolo di un’eccessiva quantità di composto libero.

La scelta della molecolaScegliere un FANS per un trattamento antipi-retico o antidolorifico è, nella maggior parte dei casi, piuttosto agevole. Si darà la preferenza a un FANS a rapido inizio e breve durata d’azione in caso di febbri che accompagnano infezioni virali, danni lievi all’apparato muscolo-scheletrico, dolore post-operatorio di lieve-media entità; invece si punterà su molecole a durata d’azione maggiore qualora, per esempio, vada trattato un dolore post-operatorio severo o malattie croniche come osteoartrosi e artrite.Quando si devono trattare patologie croniche, tuttavia, si è visto che esistono notevoli diffe-renze di risposta tra individui ai quali è stato somministrato il medesimo FANS, e anche in singoli individui sottoposti a terapie con diversi FANS. Per questa ragione conviene iniziare il trattamento delle malattie croniche sommini-strando un FANS per una settimana o due e,

in caso di risposta soddisfacente, continuare con il medesimo farmaco. In ogni caso, prima che si inizi il trattamento, bisogna raccogliere informazioni da ogni paziente circa l’eventuale efficacia o inefficacia riscontrata con i trattamenti pregressi e la comparsa di fenomeni di ipersen-sibilizzazione rispetto a qualsiasi FANS. Operata la scelta della molecola, occorre inizialmente prescrivere bassi dosaggi in modo da verificare la tollerabilità del paziente al FANS. In seguito è possibile aggiustare la posologia così da ottimiz-zare l’efficacia terapeutica o limitare al massimo gli eventi avversi.Quanto agli inibitori selettivi della COX-2, alcuni studi hanno dimostrato che alcuni di questi possono fare aumentare il rischio di eventi cardio- e cerebrovascolari. Alla base starebbe l’inibita produzione di PGI2 e di conseguenza una maggiore probabilità di fenomeni trom-botici. Quando si vuole ricorrere a un inibitore selettivo della COX-2, questo va usato alla dose più bassa possibile per il più breve periodo di tempo possibile. Pazienti con malattie cardio-vascolari o con fattori di rischio protrombotici non dovrebbero, in genere, essere trattati con questi farmaci.

Le differenti sottoclassiDi seguito, sono descritte le più importanti sot-toclassi dei FANS, sottolineando le differenze che possono aiutare il medico nella scelta di un principio piuttosto che un altro, a seconda del singolo paziente e della malattia dalla quale risulta affetto. Data l’ampiezza del tema, vengono qui analizzati soltanto gli aspetti essenziali. Per un’esposizione più dettagliata si rimanda alla letteratura specialistica (Tabella 1).

Tabella 1. Le principali sottoclassi dei FANS

Classe chimica Molecole rappresentative

Salicilati Acido acetilsalicilico, acetilsalicilato di lisina, benorilato

Para-aminofenolici Paracetamolo

Indolici Indometacina, sulindac

Aril-acetici Diclofenac, fenclofenac, bromfenac1

Piranocarbossilici Etodolac, ketorolac

Aril-propionici Ibuprofene, flurbiprofene, naprossene, ketoprofene

Fenamati (aril-antranilici) Acido mefenamico, acido flufenamico, acido meclofenamico

Pirazolonici Fenilbutazone, azapropazone, fenazone

Sulfanilamidi Nimesulide2

Coxib Celecoxib, rofecoxib3, etoricoxib, lumiracoxib, valdecoxib3

1 Ritirato dal commercio, disponibile come preparazione per uso oftalmico. 2 Ritirato dal commercio in alcuni Paesi, disponibile con limitazioni prescrittive in Italia.3 Ritirato dal commercio.

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Approccio diagnostico-terapeutico ai comuni stati dolorosi di natura infi ammatoria modulo 2

Acido acetilsalicilico e salicilatiL’acido acetilsalicilico è tuttora il farmaco anal-gesico, antipiretico e antinfi ammatorio più usato ed è la molecola di riferimento per tutti gli altri FANS. Il picco di concentrazione plasmatica è raggiunto abbastanza velocemente, dopo circa un’ora. Si lega per l’80-90% alle proteine plasmatiche. Come antiaggregante piastrinico il dosaggio caratteristico è di 40-80 mg/die, come analgesico/antipiretico è di 325-650 mg ogni 4-6 ore, mentre per la terapia delle febbri reumatiche si usa 1 g ogni 4-6 ore negli adulti e nei bambini la dose è di 10 mg/kg ogni 4-6 ore. Come detto l’acido acetilsalicilico provoca l’inibizione irreversibile della COX-1; gli effetti collaterali di maggiore importanza sono lesioni gastrointestinali, prolungamento del tempo di sanguinamento e reazioni di ipersensibilità. Non deve essere somministrato a bambini affetti da malattie febbrili acute (pericolo di sindrome di Rett). Un altro salicilato utilizzato nella pratica clinica è difl unisal, un difl uorofenil derivato dell’acido salicilico. Questo farmaco agisce co-me inibitore competitivo delle COX. Ha un lieve effetto antipiretico, quasi certamente in ragione della sua limitata capacità di oltrepassare la barriera emato-encefalica. In compenso la sua attività analgesica e quella antinfi ammatoria sono 4-5 volte superiori a quelle dell’acido acetilsalicilico, rispetto al quale determina con minore frequenza l’insorgenza di effetti avversi a livello piastrinico e gastroenterico. Il principio, che si lega per il 99% alle proteine plasmatiche, raggiunge il picco plasmatico entro 2-3 ore. Il dosaggio caratteristico corrisponde a 250-500 mg ogni 8-12 ore.

Derivati dell’acido acetico: indometacina, sulindac, etodolacIndometacina è un inibitore non selettivo del-le COX (con maggiore effetto anti-COX-1). Nonostante sia molto più potente dell’acido acetilsalicilico (da 10 a 40 volte), il suo impiego si è ridotto a causa della sua tossicità e per la disponibilità di alternative più tollerate. Ciò non toglie che sia ancora oggi a livello internazionale il FANS di riferimento per gli effetti antinfi amma-tori e sul sistema immunitario. Il picco plasma-tico è raggiunto entro 1-2 ore, mentre il legame alle proteine plasmatiche è circa del 90%. La posologia è di 25 mg 2-3 volte al giorno. I più rilevanti effetti collaterali sono cefalea frontale, neutropenia, trombocitopenia ed effetti allucina-tori, che interessano dal 3% al 50% dei soggetti che assumono il farmaco e sono di livello tale da indurre i pazienti a sospendere la terapia nel 20% dei casi. Sulindac, anch’esso inibitore non selettivo delle COX-1, è stato messo a punto con l’obiettivo di disporre di un analogo attivo di indometacina, ma con il pregio rispetto a

quest’ultima di dare minori effetti collaterali. I picchi plasmatici sono raggiunti in 1-2 ore. Pur avendo una tossicità inferiore rispetto all’indo-metacina, il 20% dei soggetti trattati lamenta effetti avversi gastrointestinali e il 10% a livello del sistema nervoso centrale. Etodolac mostra invece una relativa selettività per la COX-2 e, per questa sua caratteristica, mostra una minore frequenza di effetti avversi gastrointe-stinali a confronto dell’acido acetilsalicilico e di altri inibitori non selettivi delle COX. Vanta una potenza circa 6 volte maggiore rispetto a quella dell’acido acetilsalicilico.

FenamatiSono molecole che derivano dall’acido fenilan-tranilico. In questa sottoclasse sono compresi gli acidi mefenamico, meclofenamico e fl ufenamico. Si tratta di principi attivi che in realtà non mostra-no evidenti vantaggi a confronto di altri FANS. Per di più, la loro somministrazione si associa con frequenza elevata alla comparsa di effetti collaterali a livello gastroenterico.

Tolmetina, ketorolac e diclofenacTolmetina possiede tutte le attività tipiche dei FANS: antifl ogistica, antidolorifi ca e antifebbrile. Il dosaggio corrisponde a 400-600 mg ogni 8 ore. Ketorolac si distingue invece per una potente azione analgesica associata a una modesta attività antifl ogistica. Si tratta di uno dei FANS somministrabili anche per via endovenosa. Il

dosaggio è di 10 mg ogni 4-6 ore se assunto per os e di 30 mg ogni 6 ore se iniettato per via parenterale. È stato soggetto a intensa restrizione delle indicazioni e del tempo di utilizzo a causa dell’elevata tossicità gastrointestinale.Diclofenac è un FANS che mostra attività an-tinfiammatoria, analgesica e antipiretica, con una selettività leggermente spostata verso la COX-2; l’insorgenza di effetti collaterali in sede gastrointestinale è pari al 5-15%. In una minima quota di pazienti, inoltre, si nota un incremento delle transaminasi, in genere reversibile, fino a valori tre volte superiori a quelli normali. La posologia è di 50 mg ogni 8 ore oppure di 75 mg ogni 12 ore. Di interesse è il preparato in cui diclofenac è in combinazione con miso-prostolo, un analogo della PGE1 caratterizzato da attività protettiva nei confronti della mucosa gastrica; questo preparato riduce l’incidenza di effetti avversi gastrointestinali e ha un costo inferiore rispetto agli inibitori selettivi della COX-2.

Derivati dell’acido propionico: ibuprofene, naprossene, fenoprofene, ketoprofene, fl urbiprofene, oxaprozinI principi attivi dei farmaci appartenenti a questa sottoclasse sono di largo impiego. Sono tutti inibitori non selettivi delle COX. Ibuprofene è il capostipite di questa sottoclasse. E’ rapida-mente assorbito e a scopo analgesico é usato al dosaggio di 200-400 mg ogni 4-6 ore; come

ng/m

l

ore

9000

8000

7000

6000

5000

4000

3000

2000

10000,25 1,50,75 2 2,75 3,5 4

Ketoprofene sale di lisinaKetoprofene

Figura 9 Picco plasmatico di ketoprofene sale di lisina. Confronto tra le curve di concentrazione plasmatica di ketoprofene (50 mg) e ketoprofene sale di lisina (80 mg), rilevate dopo somministrazione orale. Il grafi co evidenzia come la prima molecola abbia una velocità di assorbimento (e quindi di azione) molto superiore rispetto alla seconda.Modifi cata dal riferimento bibliografi co 13.

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antinfiammatorio è impiegato fino ad un dosaggio massimo di 1800 mg nelle 24 ore. Nonostante sia considerato meglio tollerato di acido acetil-salicilico e indometacina, ibuprofene provoca effetti avversi a livello gastroenterico nel 5-15% dei pazienti. Naprossene esercita un’attività antinfiammatoria che raggiunge il picco dopo 2-4 settimane di trattamento. Nell’anziano il rischio di tossicità aumenta a causa del ridotto legame alle proteine plasmatiche e per la ritardata eliminazione. Il dosaggio tipo è di 250 mg ogni 6 ore. Pochi cenni su fenoprofene: nel 15% dei pazienti si notano effetti collaterali di modesta entità, e la posologia caratteristica è di 200 mg ogni 4-6 ore. Ketoprofene è un inibitore non selettivo delle COX con spiccate proprietà antinfiammatorie, ma anche analgesiche e antipiretiche, costituito dalla miscela racemica di due isomeri di cui solamente l’isomero S svolge una significativa attività di inibizione sulle COX, mentre l’isomero R ha una potenza molto inferiore. Attraverso la sali-ficazione di ketoprofene con la lisina si è ottenuta una nuova molecola (ketoprofene sale di lisina) caratterizzata da migliore solubilità e diffusibilità nei tessuti bersaglio, e quindi da un più rapido e completo assorbimento del principio attivo e con-seguenti vantaggi in termini di rapidità e ampiezza di risposta antinfiammatoria (Figura 9). L’elevata efficacia antiflogistica può essere correlata anche alla capacità di inibire, se pure in misura minore, anche la via delle LOX e quindi evitare gli effetti pro-flogistici e pro-algesici degli LT. Il farmaco svolge azione stabilizzatrice sulle membrane liso-somiali (effetto “clorochina-simile”) ed è in grado di antagonizzare gli effetti della bradichinina, un altro mediatore della flogosi e del dolore.13 La forte attività antalgica va inoltre attribuita alla capacità di stimolare il rilascio di endorfine, diminuire la sintesi di sostanza P e possibilmente portare a un potenziamento del sistema serotoninergico. La posologia di ketoprofene sale di lisina è di 80 mg tre volte al giorno. Effetti collaterali, di solito gastrointestinali, sono frequenti (in circa il 30% dei pazienti) ma di entità lieve. Oxaprozin, infine, si contraddistingue per la lunga emivita che ne permette la somministrazione ogni 24 ore (600-1800 mg). L’inizio dell’azione è però lento e, pertanto, non appare idoneo come antipiretico o analgesico in fase acuta.

Acidi enolici (oxicami)I farmaci più importanti di questa famiglia sono piroxicam, meloxicam e nabumetone. Si tratta di inibitori non selettivi delle COX (meloxicam pre-senta una lieve selettività per la COX-2). La loro efficacia appare sovrapponibile a quella di acido acetilsalicilico e naprossene per il trattamento a lungo termine dell’artrite reumatoide o dell’artrosi.

Il principale vantaggio di queste molecole risiede nell’emivita protratta, dovuta alla presenza di un circolo enteroepatico, tale da consentire una sola assunzione ogni 24 ore.

NimesulideÈ una sulfoanilide caratterizzata da una relativa selettività per la COX-2, non molto differente da quella di celecoxib (vedi sotto). Svolge attività antinfiammatorie, analgesiche e antipiretiche. Recentemente ne è stato vietato l’uso negli stati dolorosi cronici (osteoartrite, artrosi), dato che il rapporto rischio/beneficio nel trattamento cronico non è da considerarsi sufficientemente positivo a causa della sua tossicità epatica.

Inibitori selettivi della COX-2Fanno parte di questa sottocategoria rofecoxib, celecoxib, lumiracoxib, parecoxib, valdecoxib, etoricoxib.14 Si è già accennato a come questi farmaci (celecoxib solo in parte) siano selettivi per la COX-2, un enzima inducibile da stimoli infiammatori ma, seppure in modo indiretto, sia-no anche coinvolti nella funzione citoprotettiva dell’epitelio gastrointestinale. Tale caratteristica ha fatto nascere la speranza di poter disporre di FANS gravati da minori effetti collaterali rispetto agli inibitori delle COX non selettivi. Gli esiti clinici hanno in parte confermato le attese, ma si sono registrati anche dati non positivi. Difatti, dopo l’autorizzazione all’immissione in commercio, in alcuni trial clinici di confronto tra

celecoxib e rofecoxib con inibitori delle COX non selettivi soltanto lo studio comparativo tra rofecoxib e naprossene ha evidenziato una minore incidenza di effetti gastroenterici per il primo (dal 4% al 2%). Nel caso di celecoxib una ricerca ha comprovato l’aumento dose-dipendente dell’incidenza di eventi cardio- e cerebrovascolari.15 Nel complesso, questa ca-tegoria di FANS non ha ancora dato risultati adeguati alle aspettative.

Un FANS non-FANS: paracetamoloCome antidolorifico costituisce un’alternativa efficace e superiore all’acido acetilsalicilico, ma non ha effetto antinfiammatorio.16 Perciò, mentre è indicato come analgesico, molto vicino come efficacia alla codeina, non deve essere sommi-nistrato in sostituzione dell’acido acetilsalicilico o di altri FANS in caso di patologie infiammatorie. Ben tollerato a livello gastrico e renale, è indicato, in particolare, come analgesico e antipiretico in soggetti che presentano controindicazioni ai FANS: soggetti con ulcera o ipersensibilità all’acido acetilsalicilico, bambini con malattie febbrili. La posologia è di 325-1000 mg per os, senza superare i 4000 mg. Il problema più grave correlato a paracetamolo è, in caso di sovrado-saggio, la possibilità che si sviluppi una necrosi epatica, a volte fatale. Va però sottolineato che l’utilizzo cronico di 2 g al giorno del farmaco non determina pericoli di insorgenza di questo grave evento avverso.

Od

ds

ratio 35

30

25

20

15

10

5

0KT

<200 mg/dieIBU

≥1800 mg/dieIBU

1200-1799mg/die

NPX≤750 mg/die

NMS≥200 mg/die

DCF75-149 mg/die

KT: ketoprofene; IBU: ibuprofene; NPX: naprossene; NMS: nimesulide; DCF: diclofenac.

Figura 10 Rischio di sanguinamento di ketoprofene rispetto ad altri FANS a dosi terapeutiche. Modificata dal riferimento bibliografico 17.

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Tollerabilità gastrointestinale dei FANSEffetti collaterali, di solito gastrointestinali, sono frequenti (in circa il 30% dei pazienti) ma di entità lieve. Va precisato, comunque, che il profi lo di tollerabilità sistemica dei FANS varia in funzione del dosaggio:17 in particolare il profi lo per ke-toprofene è favorevole in quanto il suo grado di gastrolesività è maggiore ad alte dosi, non raggiunte con i dosaggi abitualmente prescritti in Italia, che sono assai minori e quindi molto meno associati al rischio di gastrotossicità (Fi-gura 10). Confrontando quindi il farmaco con i dosaggi dei FANS su prescrizione più utilizzati in pratica clinica si osserva (Figura 11), alle dosi terapeutiche usate nel nostro Paese, un indice di rischio sovrapponibile, se non inferiore, agli altri FANS solitamente considerati meglio tollerati a livello gastrointestinale.18

IRR 3,5

3,0

2,5

2,0

1,5

1,0

0,5

0IBU NMSKSL DCF PRX

IBU: ibuprofene; KSL: ketoprofene sale di lisina; NMS: nimesulide; DCF: diclofenac; PRX: piroxicam.

Figura 11 Indice di rischio relativo di sanguinamento gastrointestinale per vari FANS utilizzati in Italia analizzati nel biennio 2007-2009. Modifi cata dal riferimento bibliografi co 18.

PeraPProfondire

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15  ■

Approccio diagnostico-terapeutico ai comuni stati dolorosi di natura infiammatoriamodulo 3

Introduzione

Generalmente in medicina generale si distin-guono un percorso diagnostico-terapeutico per il dolore la cui causa è nota e verosimilmente reversibile (in genere si tratta di dolore acuto) e un percorso per il dolore cronico, che può avere una durata prevedibile, come nel caso di molte patologie neoplastiche, o per il quale si deve prevedere un decorso ricorrente o francamente cronico per lunghi periodi, anche tutta la vita, del sistema osteo-muscolare o il dolore neuropatico e la cefalea.I più comuni casi di riscontro quotidiano sono relativi a patologie acute di carattere doloroso come le infiammazioni delle vie aeree, gli stati febbrili, i traumi dei tessuti molli e le altre pato-logie con preponderante componente dolorosa e infiammatoria.

Flogosi delle vie respiratorie

Le infezioni delle vie dell’apparato respiratorio interessano sia le basse sia le alte vie aeree. Poiché l’eziologia dell’infiammazione delle vie respiratorie può avere cause diverse, si rende necessario identificare subito quei pazienti che possono sviluppare complicanze e per i quali è previsto un trattamento con antibiotici. Il trat-tamento con antibiotici è raccomandato, infatti, solo in casi specifici di patologia batterica o con segni o sintomi suggestivi di complicanze gravi o di rischi di complicanze per malattie pregresse (cardiache, polmonari, renali, epatiche, neuro-muscolari).Tachipnea, dispnea e incapacità a deglutire sono tutti segni di un’imminente perdita della capacità di pervietà delle vie aeree. Anche in questo, come in molti altri ambiti, prevale tra i medici la tendenza ad adottare un approccio di tipo empirico, basato sulla conoscenza del paziente, sulla sua storia clinica e sull’obiettività. Su questi presupposti si fondano anche i criteri di scelta delle prescrizioni farmacologiche. Per il trattamento della sintomatologia algica e infiammatoria i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) sono considerati farmaci d’ele-zione nella scelta della terapia. Ketoprofene sale di lisina costituisce, per questa classe di

farmaci, il principio attivo maggiormente utiliz-zato nella flogosi delle vie aeree. Grazie alle sue caratteristiche riesce infatti a raggiungere una concentrazione maggiore nei tessuti e nei fluidi respiratori piuttosto che a livello plasmatico, co-me dimostrato da Lapicque et al. che ne hanno calcolato la concentrazione nel tessuto tonsillare di 15 pazienti sottoposti a una singola iniezione intramuscolare (100 mg).19

Ricerche sperimentali condotte da De Lorenzi hanno rivelato l’efficacia di ketoprofene sale di lisina rispetto a nimesulide nel trattamento della flogosi delle vie respiratorie. Lo studio clinico in doppio cieco prevedeva la somministrazione di ketoprofene sale di lisina (80 mg tid) e nimesu-lide (100 mg bid) a un gruppo di 120 pazienti randomizzati con affezioni flogistiche delle vie superiori per un arco di tempo massimo di 7 giorni. I pazienti trattati con ketoprofene sale di lisina hanno mostrato in misura maggiore, rispetto ai soggetti trattati con nimesulide, una riduzione ≥60% degli elementi principali dell’af-fezione flogistica, la triade infiammatoria dolore, edema e iperemia (Figura 12).

Figura 12 Pazienti con riduzione della flogosi respiratoria (edema, dolore, iperemia) ≥60% dopo assunzione di ketoprofene sale di lisina (80 mg tid) o nimesulide (100 mg bid). Modificata da De Lorenzi. Dossier registrativo 1997.

Paz

ient

i res

pon

der

(%) 100

80

60

40

20

0Ketoprofenesale di lisina

Nimesulide

parolechiave

inpillole

Principalistatidolorosiacutidicarattereinfiammatorioelorotrattamento

Obiettivi del modulo: evidenziare i principali stati infiammatori

a carattere acuto e indirizzare il trattamento farmacologico più idoneo sulla base delle

più recenti evidenze sperimentali in materia.

Dolore acuto

Centro di termoregolazione ipotalamico

PGE2

Tendinite e borsite

FANS e oppioidi

Low back pain

ÂÂ L’eziologia delle infezioni delle basse e delle alte vie aeree può essere di varia origine e il quadro sintomatico per queste patologie è quasi sempre di natura infiammatoria.

ÂÂ Agendo a livello ipotalamico, i farmaci antinfiammatori non steroidei riportano ai livelli fisiologici la temperatura corporea quando questa è al di sopra della norma (iperpiressia), mentre non hanno alcun effetto sulla regolazione della temperatura quando questa è nella norma.

ÂÂ Ketoprofene è il farmaco d’elezione per il trattamento del dolore acuto di natura traumatica per favorire il ritorno del paziente a svolgere le normali attività della vita quotidiana.

ÂÂ Nel dolore post-operatorio l’impiego concomitante di farmaci antinfiammatori non steroidei e oppiacei spesso permette di ottenere un’analgesia più efficace rispetto all’impiego dell’uno o dell’altro farmaco in monoterapia e riduce gli effetti collaterali specifici delle due classi di farmaci.

■  16

Approccio diagnostico-terapeutico ai comuni stati dolorosi di natura infi ammatoria modulo 3

Stati febbrili

Nell’adulto un’attenta anamnesi del paziente, un’approfondita visita e le analisi cliniche portano solitamente a identifi care la causa di uno stato. La febbre è una delle più frequenti manifestazioni di malattie e compare in numerosissime affezioni, tra loro estremamente differenti per natura e gra-vità. Il meccanismo fi siopatologico della febbre può essere costituito da un abnorme aumento della produzione di calore o da una riduzione della dispersione del calore prodotto.Le prostaglandine, in particolare della serie E (PGE), sono coinvolte nel determinare lo stato febbrile. In seguito a infezioni la loro concen-trazione nel liquido cerebrospinale aumenta e c’è evidenza che l’aumento di temperatura generato da agenti endogeni inducenti febbre come interleuchina-1 sia mediato dalle PGE2. In questo quadro l’azione antipiretica dei FANS è dovuta almeno parzialmente all’inibizione della sintesi della PGE2 a livello dell’ipotalamo. I FANS riportano a livello normale il set point ipotalamico. Quando ciò accade si attivano i meccanismi di regolazione per ridurre la tempe-ratura corporea (dilatazione dei vasi superfi ciali, sudorazione, ecc.). Agendo a livello ipotalamico i FANS, quindi, riportano a livelli fi siologici la temperatura corporea in caso di iperpiressia, mentre non hanno alcun effetto sulla regolazione della temperatura quando questa è nella norma.La letteratura scientifi ca ad oggi rivela un mag-gior effetto antipiretico di ketoprofene rispetto ad altri FANS e a paracetamolo. Un recente studio clinico condotto su un gruppo di 316 bambini con febbre di età compresa tra i 6 mesi e i 12 anni ha messo in evidenza l’effetto terapeutico antipiretico di ketoprofene in misura maggiore rispetto a paracetamolo. I pazienti sono stati ran-domizzati e sottoposti alla somministrazione di una dose singola di ketoprofene o paracetamolo per via orale. È stata effettuata una misurazione della temperatura timpanica dal momento della somministrazione del farmaco a intervalli di tempo regolari nelle successive 4 ore. Il fi ne è stato quello di rilevare in maniera quantitativa il raggiungimento di una temperatura corporea <37,8 °C e il tempo di insorgenza dell’effetto antipiretico. I risultati ottenuti hanno eviden-ziato un’azione antipiretica signifi cativamente maggiore (p <0,001) di ketoprofene in termini di manifestazione e durata dell’effetto stesso (Figura 13).20

Un altro studio ha coinvolto 301 pazienti di età compresa tra 1 e 14 anni che sono stati condotti al Pronto Soccorso segnalando uno stato feb-brile di grado elevato, con temperatura ≥38 °C e necessità di terapia antipiretica. I soggetti sono stati randomizzati all’assunzione di ibuprofene,

ketoprofene o paracetamolo. La registrazione della temperatura timpanica è stata effettuata a 30, 60 e 120 minuti dalla somministrazione del farmaco e ancora dopo 4 e 6 ore. La riduzione della temperatura indotta dai tre farmaci è risul-tata pressoché la stessa fi no a 1 ora dall’assun-zione, per poi manifestarsi in maniera signifi cativa nei pazienti randomizzati a ketoprofene, con uno scarto di temperatura che persisteva sino a 4 e 6 ore successive alla somministrazione.21

La maggiore effi cacia e la rapidità di azione di ketoprofene rispetto ad altri FANS nel controllo della febbre sono state messe in evidenza da

uno studio comparativo effettuato su 64 bambini affetti da stato febbrile. Ketoprofene è risultato più incisivo rispetto a ibuprofene e naprossene in termini di velocità di comparsa e durata dell’ef-fetto stesso. La ricerca è stata utile ai fi ni della pubblicazione delle linee guida per l’utilizzo dei FANS in età pediatrica (Figura 14).22

Stati traumatici dei tessuti molli

I traumi dei tessuti molli come tendinite, borsite e sindrome della cuffi a dei rotatori rappresentano

Tem

per

atur

a (°

C) 39,5

39

38,5

38

37,5

37

36,5Tempo (minuti)

37,80 3015 60 120 180 240

ParacetamoloKetoprofene

Figura 13 Andamento temporale delle variazioni della temperatura dopo somministrazione di ketoprofene o paracetamolo. Modifi cata dal riferimento bibliografi co 20.

Dt (°

C) 0

–0,5

–1

–1,5

–2

Tempo (ore)84 6210 0,

250,

5

Ketoprofene 1 mg/kgIbuprofene 6 mg/kgFenoprofene 10 mg/kgNaprossene 2 mg/kg

Ketoprofene 1 mg/kgIbuprofene 6 mg/kgFenoprofene 10 mg/kgNaprossene 2 mg/kg

Ketoprofene 1 mg/kgIbuprofene 6 mg/kgFenoprofene 10 mg/kgNaprossene 2 mg/kg

Ketoprofene 1 mg/kgKetoprofene 1 mg/kgIbuprofene 6 mg/kgIbuprofene 6 mg/kgFenoprofene 10 mg/kgFenoprofene 10 mg/kgNaprossene 2 mg/kgNaprossene 2 mg/kg

Figura 14 Andamento della temperatura dopo terapia con alcuni FANS in bambini febbrili. Modifi cata dal riferimento bibliografi co 22.

17  ■

Approccio diagnostico-terapeutico ai comuni stati dolorosi di natura infiammatoriamodulo 3

un problema di grande importanza sia per il coinvolgimento degli aspetti funzionali sia per la necessità del soggetto di ritornare rapidamente a una normale vita quotidiana. Il dolore provocato da tendinite e borsite può essere molto forte e cronicizzarsi, trasformandosi in un problema di grave entità. La terapia di questi disturbi varia dall’adottare le misure di emergenza come il raffreddamento (è raccomandabile l’utilizzo del ghiaccio per 10-15 minuti per 2 o 3 volte al giorno nel caso di tendinite o borsite) all’utilizzo di FANS con durata e dosaggio in relazione all’entità del danno diagnosticato. In questo quadro clinico è anche rilevante la velocità di induzione dell’effetto antalgico del farmaco nella riduzione dello stato di dolore provocato dal trauma. Uno studio clinico in doppio cieco comparativo a placebo è stato effettuato per la valutazione di efficacia e tollerabilità di ketoprofene sale di lisina in formulazione in bustine per uso orale (80 mg tid) in 120 pazienti con affezioni flogistiche dell’apparato muscolo-scheletrico (reumatismo extra-articolare, periartrite della spalla, tendinite, borsiti ecc.). I risultati ottenuti hanno mostrato una riduzione significativa della sensibilità do-lorosa già a 30 minuti dalla somministrazione, sottolineando così l’efficacia del farmaco nei pazienti affetti da tali patologie.23

In uno studio controllato in doppio cieco con-dotto su 165 pazienti con traumi sportivi, ke-toprofene (50 mg tid) si è dimostrato superiore

a ibuprofene (600 mg bid) sia in termini di più rapida comparsa dell’effetto antalgico dopo la prima dose, sia considerando la percentuale di pazienti che presentavano una riduzione del dolore ≥50% rispetto al basale a parità di eventi avversi (p ≤0,05) (Figura 15).

Stati post-chirurgici

Indipendentemente dal successo o dalla tecnica adottata, ogni intervento chirurgico provoca un danno dei tessuti e il rilascio di potenti media-tori dell’infiammazione. L’intervento chirurgico condotto in anestesia generale o con tecnica di anestesia loco-regionale è considerato una condizione di stress e, per prevenire le com-plicanze e aumentare la qualità del controllo post-operatorio, è cresciuto l’interesse sulla vigi-lanza dei pazienti in fase post-operatoria. Senza trattamento antalgico, infatti, l’input sensoriale proveniente dai tessuti lesi sovrastimola il midollo spinale e provoca un successivo potenziamento delle risposte (sensibilizzazione centrale). I re-cettori del dolore situati alla periferia diventano anch’essi più sensibili dopo una lesione (sensibi-lizzazione periferica). Da ciò la necessità di inter-venire nel dolore post-chirurgico con trattamenti farmacologici mirati e a rapido inizio di azione. Gli analgesici oppiacei sono un’opzione impor-tante nel trattamento farmacologico del dolore post-operatorio, specialmente per gli interventi chirurgici più importanti e che provocano dolore grave. Negli interventi di chirurgia ortopedica la durata del dolore di grado moderato-severo è in genere non inferiore a 5-7 giorni, in relazione alle caratteristiche dell’intervento stesso e alle condizioni generali del paziente, e può protrarsi con stati dolorosi di entità minore per periodi più lunghi. L’impiego concomitante di FANS e oppia-cei spesso permette di ottenere un’analgesia più efficace rispetto all’impiego dell’uno o dell’altro farmaco in monoterapia.Uno studio comparativo ha dimostrato l’efficacia della somministrazione di ketoprofene (100 mg bid) e diclofenac (75 mg bid) per 3 giorni di trattamento. L’effetto analgesico si è manifestato entro i 15-30 minuti dalla somministrazione, con un esordio più rapido per ketoprofene rispetto a diclofenac. La percentuale di pazienti nei quali si è manifestata una riduzione dello stato doloroso nei primi 20 minuti è stata del 92% nel braccio ketoprofene e dell’84% nel braccio diclofenac (Figura 16). Lo studio inoltre ha dimostrato che la durata dell’effetto antalgico di ketoprofene (12 ore) è maggiore rispetto a quella di diclofenac, e ha quindi ridotto la necessità di dosi supple-mentari di oppiacei.24

Questi ultimi sono oggi considerati il modello farmacologico di riferimento per il dolore di

grado severo. Studi comparativi tuttavia hanno messo in luce l’efficacia di ketoprofene rispetto a molecole standard di riferimento come peti-dina o morfina nel trattamento del dolore post-chirurgico in alcuni tipi di intervento. Uno studio comparativo in doppio cieco condotto su 59 pazienti che avevano subito interventi chirurgici dolorosi particolarmente comuni (artrolisi del gi-nocchio, legamentoplastica, chirurgia del tunnel carpale o del piede) ha evidenziato una maggiore efficacia di ketoprofene (67% di pazienti liberi da dolore) rispetto all’oppioide petidina (63%) e una durata dell’effetto analgesico maggiore (9,2 vs 8,0 ore). Nella procedura di chirurgia carpale l’effetto antalgico di ketoprofene è stato ancora più evidente in termini di durata (10 vs 8 ore). ketoprofene dunque agisce più attraverso il suo effetto analgesico a livello centrale che attraver-so l’azione antinfiammatoria; il rischio di effetti collaterali è ridotto e non induce depressione respiratoria e dipendenza come l’oppioide.25

In un altro studio clinico in doppio cieco 161 soggetti sottoposti a intervento chirurgico so-no stati randomizzati alla somministrazione di ketoprofene in dose singola (50 o 150 mg) o in alternativa a ricevere in associazione codeina (60 mg) e paracetamolo (650 mg) in dose singo-la allo scopo di valutare efficacia e sicurezza dei farmaci impiegati nel trattamento. Alla sesta ora dalla somministrazione ketoprofene è risultato maggiormente efficace in termini di velocità di comparsa dell’effetto antalgico e durata dello stesso rispetto alla terapia combinata parace-

Figura 15 Risposta antalgica, definita come riduzione del dolore ≥50% alla sesta ora, in pazienti con traumi agonistici dei tessuti molli riceventi ketoprofene (50 mg tid) o ibuprofene (600 mg bid). Modificata da Robbins et al. Curr Ther Res 1990;48:780-9.

Res

pon

der

(%) 100

80

60

40

20

0Ketoprofene Ibuprofene

76%

58%

Figura 16 Percentuale di pazienti liberi da dolore post-operatorio dopo 15-20 minuti dalla somministrazione di ketoprofene (100 mg) vs diclofenac (75 mg). Modificata dal riferimento bibliografico 24.

Paz

ient

i lib

eri d

a d

olor

e (%

) 100

80

60

40

20

0Ketoprofene Diclofenac

92%84%

■  18

Approccio diagnostico-terapeutico ai comuni stati dolorosi di natura infi ammatoria modulo 3

tamolo/codeina. Inoltre nel braccio ketoprofene l’insorgenza di effetti avversi come stanchezza o sonnolenza è stata signifi cativamente minore (p ≤0,05) rispetto agli effetti collaterali riscontrati nei pazienti trattati con paracetamolo/codeina. I risultati indicano che ketoprofene presenta una maggiore sicurezza a entrambi i dosaggi testati.26

Le PGE svolgono ruoli diversi nei processi di calcifi cazione ossea ed è quindi raccomandabile che il farmaco utilizzato nella terapia post-chi-rurgica non interferisca con i processi riparativi. Il trattamento farmacologico del dolore post-operatorio, specie in ambito ortopedico, deve prevedere l’utilizzo di farmaci in grado di evitare la formazione di calcifi cazioni periprotesiche e ridurre il rischio di osteopenia da prolungata immobilizzazione. Come è stato dimostrato da diversi studi sperimentali l’utilizzo di ketoprofene non interferisce con i processi riparativi del tessuto osseo.27

Lombalgia

Il dolore lombosacrale (low back pain o lumba-go) è oggi una patologia molto comune, la cui eziologia è ancora poco conosciuta. La lom-balgia viene considerata come la più frequente condizione di disabilità fi sica nella popolazione

lavorativa e come un’importante causa di con-sumo di farmaci. Sebbene tale patologia sia un problema che si verifi ca maggiormente in età adulta, ad oggi la letteratura ne riporta innume-revoli casi anche in età pediatrica e giovanile,28 con un ricorso alle cure mediche tuttavia molto meno diffuso. La diagnostica clinica comprende come di consueto anamnesi, ispezione (deam-bulazione, movimenti ecc.) e palpazione (apofi si, muscoli lunghi del dorso, punti mialgici principali, borsa del trocantere e trocantere). Una parte fondamentale della diagnostica delle lombalgie è rappresentata dalla diagnostica per immagini, cominciando dalla radiografi a convenzionale. In tale contesto è importante la diagnosi precoce in pazienti che possano sviluppare una patologia cronico-degenerativa (chronic low back pain) per stabilire un approccio farmacologico idoneo a evitare tale progressione. I principali fattori di rischio sono rappresentati dall’avanzare dell’età e da fattori predisponenti che nei casi di cedi-mento dei dischi lombari inducono compres-sione nervosa con compromissione ischiatica e lombosciatalgia. Relativamente al trattamento farmacologico, la terapia, affi ancata dalle proce-dure di riabilitazione, prevede la riduzione della sintomatologia, in primo luogo del dolore e della contrattura muscolare. Il paziente con lombalgia nell’immediatezza deve quindi essere curato dal punto di vista algologico nell’attesa di completare l’iter diagnostico e la programmazione dell’even-tuale terapia causale.L’impiego dei FANS è altamente effi cace nella lombalgia acuta e cronica e in tale quadro generale ketoprofene è stato testato verso in-dometacina in pazienti affetti da dolore acuto e verso diclofenac in soggetti con diagnosi di lombalgia cronica. Tali studi prevedevano una valutazione della velocità di comparsa dell’effetto antalgico e del numero di pazienti liberi da dolore nella prima settimana di trattamento. Nel primo caso lo studio clinico è stato effettuato su 115 pazienti randomizzati a ricevere ketoprofene e indometacina: i dati riportati hanno evidenziato una maggiore percentuale di soggetti responder all’effetto analgesico di ketoprofene rispetto a indometacina (61% vs 46,9%) già alla prima ora dalla somministrazione e una maggiore durata d’azione di ketoprofene.29 Nello studio compa-rativo volto a valutare l’impiego di ketoprofene e diclofenac nella lombalgia cronica 155 pazienti randomizzati hanno ricevuto ketoprofene (150 mg/die) o diclofenac (75 mg/die). Per i primi si sono verifi cati in misura maggiore miglioramento della sintomatologia globale con sollievo dal dolore, aumento della mobilità e riduzione della rigidità, dimostrando una superiorità di keto-profene verso diclofenac (71,4% vs 62,36% dei pazienti responder al trattamento a 7 giorni dalla somministrazione)30 (Figura 17).

Figura 17 Miglioramento della sintomatologia globale (dolore, mobilità, rigidità) dopo somministrazione di ketoprofene (150 mg/die) o diclofenac (75 mg/die) per 7 giorni. Modifi cata dal riferimento bibliografi co 30.

Paz

ient

i (%

) 100

80

60

40

20

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19  ■

Approccio diagnostico-terapeutico ai comuni stati dolorosi di natura infiammatoriamodulo 4

Stati cronici osteoarticolari

La maggior parte della letteratura sul dolore cronico stabilisce un tempo di 6 mesi per differenziare il dolore cronico da quello acuto, come indicato anche dall’American Society of Interventional Pain Physicians (ASIPP). Si assu-me, infatti, che il dolore diventi “cronico” quando persiste per un periodo maggiore di 6 mesi oltre la guarigione dalla malattia che lo ha causato. Questa suddivisione tuttavia è alquanto artifi-ciosa poiché spesso il dolore continua perché non si è ancora trovata la causa. È pur vero che il dolore che persiste per molto tempo è causato per la maggior parte dei casi da patologie che non sono suscettibili di un trattamento che vada a incidere sulla causa dell’insorgenza delle stes-se, per esempio le malattie osteo-degenerative e lo svilupparsi di dolore neuropatico.Il dolore cronico rappresenta la principale moti-vazione di ricorso al medico e, come è noto da tempo, il dolore di tipo osteoarticolare costituisce la causa più diffusa di accesso in un ambulatorio, specie nella popolazione adulta e geriatrica. Si stima che il 20% dell’attività del medico di medicina generale sia rivolto al trattamento degli stati dolorosi di tipo osteoarticolare e che il 25% circa dei pazienti ricoverati in reparto internistico sia affetto da dolore cronico di tale genere. L’aggiornamento clinico e fisiopatologico su queste tematiche è dunque fondamentale per un moderno approccio terapeutico. Le ma-lattie reumatiche comprendono un eterogeneo gruppo di infermità, la maggior parte delle quali presenta un andamento progressivo e cronico a esito spesso invalidante, tanto da comportare un significativo peggioramento della qualità di vita per tutta la durata del loro decorso. L’incidenza maggiore si riscontra nel mondo occidentale, con un indice di morbilità, sul totale delle pato-logie, pari a circa il 20%.Le malattie reumatiche si possono suddivi-dere in patologie degenerative, rappresentate principalmente da sindromi osteoartrosiche, e in quelle a carattere prevalentemente infiam-matorio rappresentate dalle artriti. Sono tutte contraddistinte dalla presenza di dolore cronico rispettivamente di tipo meccanico e a carattere infiammatorio. Dal momento che tutte le malattie reumatiche presentano dolore, il dolore cronico

degenerativo rappresenta dunque uno dei più importanti e complessi problemi della medicina moderna, che richiede un approccio terapeutico sempre più attento, consapevole, precoce e continuativo.La malattia reumatica a carattere degenerativo che più frequentemente si manifesta con dolore cronico è rappresentata dall’osteoartrosi (OA), specialmente nella localizzazione della colonna cervicale, delle mani e delle grandi articolazioni degli arti inferiori – coxofemorali e a carico delle ginocchia – così come al rachide in toto. Le malattie reumatiche con patogenesi prin-cipalmente infiammatoria cronica invece sono rappresentate dalle artriti, soprattutto l’artrite reumatoide (AR), patologia autoimmune a de-corso cronico-infiammatorio e caratterizzata da dolore, tumefazione e distruzione progressiva del tessuto osseo e cartilagineo, disabilità funziona-le, coinvolgimento sistemico e compromissione della qualità della vita.

Osteoartrosi

L’OA è una patologia a carattere cronico dege-nerativo a carico della cartilagine articolare con foci degenerativi in corrispondenza dei carichi articolari e assottigliamento complessivo della stessa, cui si accompagnano alterazioni morfo-logiche della sinovia e compromissione dell’osso subcondrale con osteofitosi. Questa malattia insorge quando si attua una lenta, progressiva e irreversibile alterazione delle strutture portanti dell’articolazione. Le cause predisponenti sono rappresentate da fattori sistemici e locali.Tra i fattori sistemici bisogna considerare in primis quelli di natura genetica, per coloro che hanno precedenti in famiglia; ad esempio l’artrosi delle dita riconosce spesso una trasmissione familiare. Altri fattori, di natura sistemica, sono rappresentati dal sesso e dall’età: le modifica-zioni della cartilagine senile comportano una perdita di elasticità e resistenza alle sollecitazioni e favoriscono l’azione lesiva di altri fattori; sembra inoltre che prima dei 45 anni il sesso maschile sia quello più colpito da tale patologia – quello femminile dopo tale età. L’obesità è un altro fattore favorente l’insorgenza dell’OA, specie a carico delle articolazioni portanti, determinando un aumento del “carico” su di esse. Infine, an-

parolechiave

inpillole

Principalistatidolorosicronicidicarattereinfiammatorioelorotrattamento

Obiettivi del modulo: conoscere i più comuni stati di dolore cronico osteoarticolare e valutare sulla base del profilo

rischio/beneficio del farmaco la terapia più efficace e idonea a una maggiore

compliance per il paziente.

Dolore cronico

Cartilagine articolare

Osteoartrite

FANS e steroidi

DMARD

Farmaci biologici

ÂÂ Il dolore cronico rappresenta la principale causa di ricorso al medico e di ricovero in reparto internistico, specie in età adulta e geriatrica.

ÂÂ Le due principali patologie con manifestazione di dolore cronico articolare sono rappresentate dall’osteoartrosi e dall’artrite reumatoide.

ÂÂ La molecola ideale per il trattamento farmacologico dell’osteoartrosi è quella che agisce a livello centrale con un effetto antalgico e a livello periferico con un effetto antinfiammatorio.

ÂÂ L’uso combinato di farmaci a effetto sintomatico quali antinfiammatori non steroidei, steroidi e antireumatici modificanti la malattia consente in molti casi un controllo soddisfacente dei sintomi e della progressione dell’artrite reumatoide.

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Approccio diagnostico-terapeutico ai comuni stati dolorosi di natura infiammatoriamodulo 4

che alcune alterazioni del sistema endocrino, come diabete mellito e gotta, dismetabolismo, turbe vascolari, e alcuni fattori climatici sono stati chiamati in causa come possibili fattori di rischio sistemici. I fattori locali predisponenti l’OA sono principal-mente rappresentati da sovraccarico funzionale, alterazioni morfologiche e della dinamica artico-lare e fattori meccanici che intaccano l’equilibrio articolare. È noto, infatti, che molte attività pro-fessionali e sportive sono ritenute responsabili dell’insorgenza della malattia dal momento in cui le articolazioni vengono sottoposte a un carico abnorme a causa dell’attività svolta. Le malformazioni o le malposizioni articolari sono soprattutto importanti nell’artrosi del ginocchio, piuttosto frequente nella popolazione femminile, probabilmente a causa di microtraumi ripetuti e di lussazioni.Il quadro clinico dell’OA è caratterizzato da alcuni elementi semeiologici peculiari che rendono comunemente agevole la diagnosi. Il dolore ha le caratteristiche del dolore meccanico, di intensità variabile, presente generalmente con un peggioramento al carico e al movimento, che si riduce o scompare al riposo e durante la notte. Benché per decenni l’OA sia stata ritenuta una patologia non infiammatoria, o comunque a bassa componente flogistica come si nota dalla dizione stessa di OA, diversa da quella anglo-sassone di osteoarthritis, negli ultimi 20 anni la componente infiammatoria è venuta sempre più assumendo il ruolo di fattore di innesco e progressione della malattia.31 Evidenze recenti suggeriscono che l’entità del danno tissutale di natura infiammatoria giochi un ruolo rilevante nel-la variazione del meccanismo stimolo-risposta del sistema nocicettivo e nella generazione dei fenomeni di ipersensibilizzazione periferica e centrale, probabilmente mediati da fattori di crescita nervosa, con conseguente iperalgesia, come è stato rilevato da studi su pazienti con osteoartrosi del ginocchio e della mano.32-34

La molecola ideale per il trattamento farma-cologico dell’OA quindi è quella che agisce a livello centrale con un effetto antalgico e a livello periferico con un effetto antinfiammatorio. Studi clinici dimostrano che ketoprofene pre-senta le suddette caratteristiche ed è in grado di esplicare un’azione antalgica a livello spinale e sovraspinale tramite interazione con il sistema serotoninergico,35 rilascio di oppioidi endogeni come le b-endorfine ed effetto inibitorio sul rilascio di sostanza P, responsabile dell’infiam-mazione neurogena. Torri et al. hanno testato la mediazione di keto-profene sale di lisina e di acido acetilsalicilico (ASA) nei suddetti meccanismi su pazienti an-ziani con OA di grado severo. Da tale studio è emerso che ketoprofene somministrato oralmen-

te in dose singola ha determinato un aumento della concentrazione di b-endorfine a livello plasmatico e una riduzione della sostanza P già a partire dai primi 30-40 minuti di assunzione del farmaco. In particolare, la riduzione della sostanza P persisteva fino a dodici ore dalla somministrazione, con conseguente riduzione dei sintomi dolorosi. Gli stessi risultati invece non sono stati riscontrati con la somministrazione di ASA36 (Figure 18-20).Attraverso uno studio clinico in aperto sono stati messi a confronto i parametri attestanti l’efficacia di ketoprofene e indometacina nel trattamento della coxartrosi. Centotredici pazienti sono stati randomizzati a ricevere indometacina (50 mg bid in capsule) e ketoprofene (200 mg/die in capsule a rilascio controllato) per un mese. Nessuna differenza tra i due farmaci è stata riscontrata nella manifestazione di effetti avversi a carico del sistema gastrointestinale. Indometacina invece ha indotto effetti indesiderati a livello centrale, come vertigini e cefalea, non riscontrati nei pazienti trattati con ketoprofene.37 Come dimostrato da ulteriori studi sperimentali, la bassa incidenza di effetti indesiderati e dan-no a livello gastrico migliora la compliance del paziente sottoposto a trattamento e identifica in ketoprofene sale di lisina il farmaco d’elezione per il trattamento di dolori osteoarticolari.38

Artrite reumatoide

L’AR è una patologia autoimmune a decorso cronico-infiammatorio, a eziologia sconosciuta ma verosimilmente multifattoriale. Essa è definita classicamente come una poliartrite simmetrica a evoluzione erosiva e può presentarsi in tutte le età, con un picco di incidenza nelle donne di 40-50 anni, il che giustifica una maggiore prevalenza complessiva nel sesso femminile. Il decorso clinico è estremamente variabile: si mantiene su forme lievi o progredisce verso for-me aggressive che evolvono rapidamente verso la disabilità. In numerosi pazienti si evidenzia un andamento caratterizzato dall’alternarsi di fasi di attività e di quiescenza, che conduce alla distruzione e alla deformità articolare con grave impedimento funzionale. Nella maggior parte dei casi un’AR non adeguatamente diagnosticata e trattata è destinata a un’evoluzione in deformità delle lesioni articolari in un tempo più o meno lungo.Nella maggior parte dei casi la malattia ha un esordio subdolo, con segni e sintomi che pos-sono essere sottovalutati sia dal paziente sia dal medico. La malattia si caratterizza sin dalle fasi iniziali per la presenza di un complesso e varie-gato corteo sintomatologico: dolore, rigidità con riduzione della mobilità articolare, ecc. Possono

essere presenti sintomi sistemici come astenia, malessere generale, febbricola e depressione fin dalle fasi iniziali di malattia o addirittura prima dell’esordio. Nel corso dei mesi successivi si instaurano le classiche deformità articolari e si consolidano le alterazioni biochimiche e radio-logiche che, nelle fasi iniziali, possono essere scarsamente rilevanti. A malattia conclamata il quadro tipico è quello di una poliartrite simmetrica che interessa le artico-lazioni metacarpofalangee e interfalangee pros-simali delle mani e i polsi, le metatarsofalangee e interfalangee prossimali dei piedi e le caviglie. Tumefazione articolare con calore locale, dolora-bilità, dolore spontaneo e impotenza funzionale sono i segni tipici. Colpiti con minore frequenza, e di solito in fasi più avanzate di malattia, sono le ginocchia, i gomiti, le spalle e le anche. Le linee guida per il trattamento dell’AR mirano a preservare lo stato funzionale, a prevenire o limitare il danno osteoarticolare e a indurre la remissione. Il corredo terapeutico a disposizione per l’AR include farmaci sintomatici che consen-tono il controllo delle manifestazioni cliniche e farmaci capaci di contrastare o arrestare l’evo-luzione della malattia (disease modifying anti-rheumatic drugs, DMARD) come metotrexate, ad oggi il farmaco di riferimento. L’uso combinato e precoce di farmaci a effetto sintomatico, FANS e steroidi, e DMARD (metotrexate da solo o in combinazione con altri) consente in molti casi un controllo soddisfacente sia dei sintomi sia della progressione della malattia. Il termine DMARD rappresenta un concetto ela-stico che può essere esteso fino a inglobare una quantità di farmaci con struttura chimica diversa e meccanismi d’azione differenti (metotrexate, sulfasalazina, penicillamina ecc.). La casualità e l’intuizione clinica sono state alla base della sco-perta dell’azione antireumatoide di questi farma-ci. In tale patologia i DMARD migliorano i sintomi e possono ridurre l’attività della malattia, come documentato dalla riduzione del numero delle articolazioni rigonfie, dall’attenuazione del dolore, dalla diminuita disabilità e dalla diminuzione della concentrazione plasmatica delle proteine di fase acuta. Rimane però alquanto controverso se questi trattamenti siano in grado di fermare una malattia in progressione da tempo. Come già detto, metotrexate è considerato il far-maco di riferimento nella terapia antireumatoide: antagonista dell’acido folico con attività citotos-sica e immunosoppressiva, ha un’azione più rapida rispetto agli altri DMARD e probabilmente presenta meno effetti collaterali,39 sebbene in alcuni casi sia stata riscontrata fibrosi polmonare. Il trattamento con metotrexate viene prolungato in oltre il 50% dei pazienti per 5 anni o più, mentre circa la metà dei pazienti cessa il trattamento con gli altri DMARD entro i primi 2 anni a causa

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Approccio diagnostico-terapeutico ai comuni stati dolorosi di natura infi ammatoria modulo 4

degli effetti indesiderati o della mancata effi cacia. Sulfasalazina è uno dei farmaci di prima scelta nel Regno Unito e porta alla remissione dell’AR attiva, ma presenta effetti collaterali più comuni come disturbi gastrointestinali, malessere o mal di testa. Si possono osservare reazioni cutanee e leucopenia, reversibili con la cessazione del trattamento farmacologico. È stata riportata anche una riduzione reversibile della produzione di sperma. Penicillamina è una dimetilcisteina prodotta dall’idrolisi della penicillina che viene impiegata nell’AR nel suo isomero D. Effetti inde-siderati che potrebbero richiedere la sospensio-ne della terapia si manifestano tuttavia nel 40% dei pazienti trattati con penicillamina. Evidenze sperimentali dimostrano che clorochina, una 4-amino-chinolina principalmente utilizzata nel trattamento e nella prevenzione della malaria, può portare alla remissione dell’AR, ma non ritarda la progressione del danno osseo.Nonostante l’applicazione di questi complessi protocolli terapeutici dati dalla combinazione di FANS, steroidi e DMARD, il dolore può persistere sia come sintomo di fondo sia come dolore incidente (breakthrough pain) da esacerbazione occasionale della fl ogosi. Il fallimento di questo approccio terapeutico, con mancato controllo dei sintomi soggettivi e della progressione della malattia, autorizza, secondo le più recenti indi-cazioni, il ricorso ai farmaci biologici. È risaputo infatti che alla base dello sviluppo dei farmaci biologici c’è il progresso delle conoscenze sul ruolo di alcune citochine infi ammatorie, come il tumor necrosis factor α (TNFα), l’interleuchi-na-1 (IL-1) e l’IL-6, nella patogenesi dell’AR. I farmaci biologici utilizzati nell’AR sono anticorpi o recettori solubili rivolti al blocco o alla diminu-zione dell’attività di diverse citochine (IL-1, IL-6) e soprattutto del fattore necrotizzante (TNFα) . Con l’impiego di tali agenti è possibile effettuare trattamenti mirati su aspetti specifi ci dell’AR.I FANS devono far parte del piano terapeutico dei pazienti sintomatici, previa valutazione della situazione gastrointestinale, renale e cardiova-scolare. Per le peculiari caratteristiche cliniche dell’AR, il FANS ideale dovrebbe possedere uno spiccato tropismo per la cavità articolare ed essere dotato di elevata capacità di inibire la sintesi locale di citochine infi ammatorie.È stato dimostrato che ketoprofene sale di lisina possiede queste caratteristiche, tramite studi mirati a testarne l’effetto analgesico, il tropismo per la cavità articolare e la sua capacità di inter-ferire con le citochine infi ammatorie in situ. Un primo studio condotto da Chevallard et al. è stato effettuato su un gruppo di 34 soggetti affetti da patologie reumatiche di varia natura. All’interno di questo, un sottogruppo di 20 pazienti è stato trattato con ketoprofene sale di lisina (320 mg) per via orale per un periodo pari a 10 giorni;

Varia

zion

e d

elle

b-e

ndor

�ne

(%) 200

150

100

50

0

-500,5 21 6 124

Tempo (ore)

KSLASA

Figura 18 Incremento delle concentrazioni plasmatiche di b-endorfi ne dopo somministrazione di ketoprofene sale di lisina (KSL) o acido acetilsalicilico (ASA). Modifi cata dal riferimento bibliografi co 36.

Dol

ore

(pun

tegg

io) 3

2

1

00,5 21 6 124

Tempo (ore)

KSLASAASA

Figura 19 Andamento temporale del dolore dopo somministrazione di ketoprofene sale di lisina (KSL) o acido acetilsalicilico (ASA).Modifi cata dal riferimento bibliografi co 36.

Varia

zion

e d

ella

sos

tanz

a P

(%) 5

0

-5

-10

-15

-200,5 21 6 124

Tempo (ore)

KSLASA

Figura 20 Riduzione delle concentrazioni plasmatiche di sostanza P. Modifi cata dal riferimento bibliografi co 36.

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Approccio diagnostico-terapeutico ai comuni stati dolorosi di natura infi ammatoria modulo 4

l’indagine mirava alla valutazione dei principali parametri clinici associati all’AR come dolore spontaneo, sensibilità, limitazione funzionale e durata della rigidità articolare mattutina. I risultati ottenuti sono indice di una riduzione di quasi tutte queste sintomatologie in misura signifi cativa (p <0,05), a eccezione della limitazione funzio-nale (Figura 21), e di una buona tollerabilità da parte dei pazienti, soprattutto relativa alla bassa incidenza di danni a livello gastrico.38

In un ulteriore studio40 l’effetto di ketoprofene sale di lisina e naprossene è stato valutato in relazione alla riduzione della percezione algica di 26 pazienti affetti da AR. La ricerca pre-vedeva, oltre all’analisi dei parametri implicati nei meccanismi dolorifi ci, al fi ne di valutare la compliance nei soggetti implicati nello stu-dio, anche la valutazione della concentrazione intra-articolare di PGE2 per rilevare in misura quantitativa l’azione antinfi ammatoria dei principi

attivi impiegati nello studio clinico. La sommini-strazione di ketoprofene sale di lisina è risultata maggiormente effi cace rispetto a naprossene in termini di riduzione della sintomatologia. Per quanto riguarda il secondo focus dello studio, è stato possibile rilevare che le concentrazioni sinoviali della PGE2 sono risultate sensibilmente più basse nei pazienti randomizzati a ricevere ketoprofene sale di lisina rispetto a quelli che ricevevano naprossene (Figura 22).

Varia

zion

e (%

) 0

–5

–10

–15

–20

–25

–30

–35

Limitazionefunzionale

Durata dellarigidità mattutinaSensibilità

Dolorespontaneo

*

*

*To

llera

bili

tà (%

) 80

70

60

50

40

30

20

10

0Buona EccellenteDiscretaScarsa

A B

* p<0,05

Figura 21 Variazione percentuale rispetto al basale dei principali parametri sintomatologici in una sottopopolazione di 20 pazienti con artrite reumatoide trattati con ketoprofene sale di lisina per os per 10 giorni (A). Valutazione fi nale della tollerabilità per tutti i 32 pazienti valutabili alla fi ne del trial (B). Modifi cata dal riferimento bibliografi co 38.

Figura 22 Inibizione della sintesi di PGE2 nel liquido sinoviale in pazienti trattati con ketoprofene sale di lisina o naprossene. Modifi cata dal riferimento bibliografi co 40.

PG

E2

(inib

izio

ne %

) 0

–10

–20

–30

–40

–50

–60

–70

–80

Ketoprofenesale di lisinaNaprossene

PeraPProfondire

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