19 - Contro Il Materialismo Volgare

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Quaderni del Gruppo di Ur XIX CONTRO IL MATERIALISMO "VOLGARE" I Edizione: Maggio 2007 Il Kalki Avatara Ogni quaderno del Gruppo di Ur raccoglie, in forma organica e sintetica, quanto emerso nell'omonimo forum, in relazione ad un determinato argomento. In esso si trovano, perciò, sia citazioni degli autori studiati, sia commenti. I quaderni si devono considerare in continuo aggiornamento, dal momento che l'emergere di nuovo materiale sull' argomento trattato può rendere opportuna una nuova edizione.

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Quaderni del Gruppo di Ur

XIX

CONTRO IL MATERIALISMO "VOLGARE"I Edizione: Maggio 2007

Il Kalki Avatara

Ogni quaderno del Gruppo di Ur raccoglie, in forma organica e sintetica, quanto emersonell'omonimo forum, in relazione ad un determinato argomento. In esso si trovano, perciò, siacitazioni degli autori studiati, sia commenti. I quaderni si devono considerare in continuoaggiornamento, dal momento che l'emergere di nuovo materiale sull' argomento trattato puòrendere opportuna una nuova edizione.

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PremessaQuesto quaderno raccoglie i messaggi relativi al Materialismo. E' suddiviso in tre parti:La parte a) accenna alla differenza profonda esistente tra il materialismo volgare e ilmaterialismo ermetico (di Kremmerz), termine che preferiamo attualmente non usare, per imotivi che verranno esposti.La parte b) si occupa del problema degli "indivisibili", cioè dell'atomismo (nel senso filosoficoantico e non in quello chimico moderno), da un punto di vista empirico esteriore (scienzasperimentale) o interiore (ascesi) e dal punto di vista razionale.La parte c) affronta il problema "mente cervello", esaminando in dettaglio l'approccio deipensatori materialisti dell'ultimo secolo.

a) Il "Materialismo" Ermetico di KremmerzDeo Ame: Kremmerz, come molti altri Maestri, faceva uso, nel suo insegnamento, di quegliaccorgimenti ad hoc (adatti a certi allievi di una certa epoca) che in Oriente son detti "abilimezzi" (scr. : upaya). Così, prevedendo egli il diffondersi del materialismo, tentò di trasformarlo,facendo sua questa parola, ma ben distinguendo tra materialismo ermetico (il suo, da intendersi- anche se un po' forzatamente - come unità di tutte le cose) e quello "volgare" dei comunifilosofi e scienziati, che non permette alcun ascenso iniziatico. Un suo allievo, GiacintoMuciaccia, si mosse, in analoga maniera, negli ambienti del marxismo, per tentare ditrasformare (almeno nelle cerchie più evolute) il materialismo dialettico di Marx in quelloermetico di Kremmerz. Si tratta in fondo del vecchio trucco degli ermetisti, che fecero proprio il termine"alchimia", distinguendo però la loro da quella "volgare". Vi è anche relazione con i quattrosignificati delle scritture (letterale, allegorico, morale, anagogico) tutti "racchiusi", secondo Dante(Convivio), in quello letterale, proprio come i quattro corpi (saturnio, lunare, mercuriale, solare)son tutti "racchiusi" nel saturnio. Ma i risultati non son stati buoni, giacchè è stato, visti i tempi,proprio il materialismo inteso in senso "volgare" a prevalere nettamente. Si è che gli "abilimezzi" funzionano se diretti "ad personam", piuttosto che ad intere generazioni, formateinevitabilmente da individui assai diversi tra loro. Ma il tentativo andava fatto. Oggi questaspecifica terminologia kremmerziana appare controproducente, così da indurre in errore ad es.uno studioso come Piero Di Vona (Giuliano Kremmerz, Edizione di AR, Padova, 2005), checritica a torto Kremmerz, perchè non lo capisce. Ma non lo capisce perchè, come abbiamodetto, questa terminologia è, in fondo, un po' forzata.EA: Il Buddhismo Vajrayana enumera cinque forme di "saggezza", che costituiscono unamente perfettamente illuminata. Esse sono:

1. la saggezza della realtà ultima2. la saggezza simile a uno specchio 3. la saggezza dell'uguaglianza 4. la saggezza discriminante 5. la saggezza che tutto realizza.

Bagliori soprattutto della III e della IV saggezza si possono trovare anche nei comuni filosofi. Seè prevalente la "saggezza dell'uguaglianza", il filosofo tenderà a professare una visionemonistica della realtà. Al contrario, se è prevalente la "saggezza discriminante" egli tenderà avisioni dualiste o pluraliste. L'errore sta sempre nell'esagerazione. Se la saggezza discriminantemanca quasi del tutto, allora il monismo diventerà la famosa "notte in cui tutte le vacche sononere", che giustamente Hegel stigmatizzava.Se, al contrario, è la saggezza dell'uguaglianza a far difetto, allora il filosofo tenderà ad elevare

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barriere così elevate tra le cose che discerne, da risultargli poi ostico o impossibile spiegareplausibilmente le relazioni tra loro esistenti.Volendo costruire un sistema monistico, si hanno sostanzialmente tre possibilità, corrispondentiai tre aspetti del trimundio: il materialismo corrisponde alla terra, lo spiritualismo (ivi compresol'idealismo) corrisponde al cielo, l'empirismo (ivi compreso il positivismo) all'uomo. Da un puntodi vista materialista è veramente difficile comprendere il cielo. Da un punto di vista spiritualista èdifficile tener conto adeguatamente della terra. Il monismo adeguato all'uomo (questo abitantedel "luogo di mezzo") è dunque l'empirismo, giacchè anche materia e spirito non sono per luiche esperienze. Il mercurio amalgama tutti i metalli direbbero gli alchimisti.Kremmerz avrebbe perciò potuto chiamare la sua dottrina "empirismo filosofico", come feceSchelling, in un certo periodo della sua evoluzione filosofica, o "empirismo radicale" comepropose W. James; dove l'aggettivo "radicale", lungi dall'indicare l'esclusione della ragione,indica invece che si tiene conto di tutta l'esperienza, compresa quella interiore e quella"sovrannaturale", e non solo di quella esteriore (atteggiamento quest'ultimo che prelude almaterialismo volgare).Kremmerz, però, sapeva bene che alla fine di un ciclo, gli pseudo-filosofi ritengono superato lostesso empirismo e si crogiolano, proprio come maiali in un porcile, nel materialismo volgare(che rimane tale anche quando lo si infioretta con paroloni e presunte formule matematiche).Dunque, come ha indicato Deo Ame, tentò la carta di proporre un "materialismo ermetico", cheraddrizzasse quello volgare. Ma ben pochi materialisti si accostarono alla sua dottrina e,ovviamente, negli spiritualisti essa può suscitare qualche perplessità. Oggi, convienecombattere il materialismo volgare senza mezzi termini, essendo esso una fede inferiore epiù pericolosa degli stessi monoteismi religiosi esclusivisti.

b) Il Problema degli "Indivisibili"

di Ea

Da un punto di vista linguistico, il verbo esistere equivale al verbo essere, quando quest'ultimoviene utilizzato senza una parte nominale (ad es. "Io sono colui che è" = "Io sono colui cheesiste") . Assumeremo, per ora, il termine esistere nel suo significato più generico, senza alcunpregiudizio realistico, idealistico o di qualsiasi altro tipo. Una prima specificazione dell'esistenza è il suo diversificarsi in esistenza dipendente edesistenza autonoma. Una cosa esiste in modo dipendente, quando la sua esistenza dipende inmaggiore o minore misura da altre cose. Si può invece chiamare esistenza autonoma quella diun ente che non dipende da nessun altro, eccetto sé stesso. Ad es. l'esistenza del corpo umanonon è autonoma, giacchè dipende da svariati fattori: la fecondazione delle cellule germinali, lanutrizione, la respirazione, la buona salute, l'assenza di incidenti letali etc. Analogamente,l'esistenza di una immagine mentale dipende dalla mente che la crea, da eventuali stimolisensoriali o ricordi etc.Un oggetto esistente autonomamente non deve essere disaggregabile, perchè, venendo menola sua aggregazione, l'esistenza stessa dell'oggetto cesserebbe. Ora, nessun oggetto fisico sidimostra essere un tutto unitario, dal momento che tutti appaiono come aggregati scomponibiliin parti e queste parti risultano a loro volta scomponibili in altre parti. Un carro, ad esempio, èformato da un cassone, dagli assi e dalle ruote e cessa di esistere quando tali parti vengono traloro separate; a sua volta una ruota è formata dal mozzo, dai raggi e dal cerchione e cessa di

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esistere quando tali parti vengono disassemblate. Per salvare , in qualche modo, l'autonomiadel mondo fenomenico, alcuni filosofi, a cominciare dai greci Leucippo e Democrito e da talunipensatori indù [in particolare alcuni della scuola cosmologica (vaisesika) e logica (naiyayika)],sostengono allora che esistono particelle ultime di materia non ulteriormente scomponibili.I tentativi di indagine relativi agli indivisibili sono sostanzialmente di due tipi: indaginisperimentali e indagini razionali. Cominciamo dalle prime, che possono essere ulteriormentesuddivise in indagini esteriori (esperimenti scientifici) ed indagini interiori (introspezioni).

b1) Ricerca Scientifica degli Indivisibili

Gli esperimenti scientifici sembrano dimostrare che la divisibilità di una particella dipende, inultima analisi, solo dall'energia e dagli strumenti a nostra disposizione, che possono essereinsufficienti in una certa epoca e sufficienti in una successiva. Se gli atomisti da Leucippo aDalton poterono solo ipotizzare l'esistenza degli atomi, senza poter fisicamente indagare su diessi, a partire dalla fine del XIX sec. questo studio potè farsi e si sono scoperte le particellesubatomiche. Gli atomi chimici sono stati cioè scomposti in svariate particelle, tra cui le piùimportanti sono i nucleoni (protoni e neutroni) e gli elettroni. Il termine atomo è rimasto in chimica, ma è oggi usato, non più nel senso di "indivisibile", bensìnel senso di "individuo chimico", cioè di una particella che è sì scomponibile, ma che, se vienescomposta, perde le caratteristiche dell'elemento a cui appartiene. Oggi è praticamenteaccertato che i nucleoni siano formati da quark e, riguardo a quest'ultimi, già si ipotizza chesiano formati da subquark. Gli elettroni risultano, invece, a tutt'oggi, troppo piccoli per indagarnela struttura. Ma domani? In conclusione gli esperimenti scientifici possono solo condurre ad affermazioni del tipo: "Inbase alle conoscenze e agli strumenti attuali, queste sono le particelle più piccole da noiconosciute. Non possiamo sapere se in futuro ne conosceremo di più piccole".

b2) Ricerca Cenestesica degli Indivisibili

In Oriente, vi è chi ha cercato di studiare la natura particellare della materia nell'ambitodell'ascesi interiore. E' a tutti noto che gli esseri umani hanno un certo grado di percezione, detta tecnicamentecenestesi, dei fenomeni che si verificano all'interno del proprio corpo. La profondità dellacenestesi è differente nei vari individui : alcuni ad es. non hanno praticamente coscienza delloro battito cardiaco, se non nell'insorgere di patologie, mentre altri percepiscono tale battito inqualsiasi zona corporea ripongano la loro attenzione. In generale , la cenestesi può essere sviluppata esercitando appropriatamente la capacità diattenzione e taluni asceti hanno cercato di svilupparla fino al punto di percepire i fenomenimicroscopici , che si verificano nel nostro organismo. Descriveremo brevemente tale tecnica,una variante della quale è largamente usata in una attuale scuola buddhista birmana, fondatadal maestro Sayagyi U Ba Khin. La pratica si divide in due parti principali: la concentrazionedell'attenzione (samatha in lingua pali) e l'attenzione investigante (vipassana). Perconcentrare l'attenzione, si può scegliere una zona circoscritta del corpo; una delle più usate èl'area in cui l'aria inspirata entra nell'organismo. Tale area comprende la punta del naso,l'interno delle narici e il labbro superiore. A seconda della conformazione del naso e del viso,ciascuno avverte maggiormente il contatto con l'aria in un punto diverso di tale area. Nonbisogna modificare artificialmente la meccanica del respiro, nè seguire il percorso dell'aria, maconcentrarsi unicamente sul suo contatto con l'area suddetta. Nel caso di distrazioni, bisognapazientemente riportare l'attenzione su di esso. Col procedere della pratica, il respiro tende afarsi più soave e richiede perciò un'attenzione maggiore per essere percepito. A questo punto siabbandona la concentrazione dell'attenzione , per passare alla fase dell'attenzione investigante(vipassana). Si comincerà con l'osservare la stessa ristretta area del labbro superiore , utilizzataper la concentrazione, notando qualsiasi tipo di sensazione fisica appaia. All'inizio sipercepiranno le sensazioni più appariscenti, come prurito, dolore, pressione, vibrazione, o di

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qualsiasi tipo esse siano. Occorre osservarle con chiarezza e con equanimità senza permetterealla mente di giudicare o speculare su di esse. Si osservino e basta. Ora il praticante è pronto aosservare metodicamente tutto il corpo. Muove la propria attenzione dall'area sotto le narici auna piccola area sulla cima della testa e a osservare qualsiasi sensazione si manifesti,sensazioni fisiche, naturali, quali pressione, prurito, formicolio, dolore, caldo, freddo,qualsiasisensazione. Gradualmente poi il praticante comincerà a osservare ogni parte del corpo, dallatesta, alle braccia, al torace, al collo, alle gambe, continuando a considerare ogni sensazioneosservata con la massima equanimità possibile, piacevole o spiacevole che sia. Si prosegueaffinando e perfezionando la percezione dei fenomeni, così come appaiono, perseverandonell'osservazione del corpo. Il metodo di base consiste nell'esplorazione dettagliata di ogni partedel corpo, muovendo la propria attenzione in diverse maniere a seconda dell'intensità e dellaqualità delle sensazioni. Per questo scopo vengono praticate gradualmente differenti maniereper osservare il corpo sempre più completamente e profondamente, con una continuità dipratica. L'osservazione ininterrotta delle sensazioni corporee permette di fare l'esperienzadiretta che l'organismo è un insieme di fenomeni in continuo mutamento, un succedersi difenomeni energetici, che durano periodi di tempo molto brevi e che interagiscono a frequenze evelocità elevatissime. Al momento opportuno, il praticante focalizza tutta la sua attenzionedentro di sé, con spirito indagatore, per esaminare punto per punto e sentire la radiazione, lavibrazione e l'attrito provocati dal rapido movimento rotatorio di un numero infinito di particelle(dette kalapa). Il corpo umano, per così dire, è la somma di innumerevoli milioni di milioni diparticelle che collassano e si riformano continuamente. Il corpo umano non è altro che energia,condizionata dalla forza dei nostri atti, parole o pensieri. Il fattore radiazione (tejo),predominante in una particella determina una sensazione di bruciore, propagantesi in ogniparte del corpo; l'incessante rinnovarsi delle particelle estinte, dovuto alla continua immissionedi valori alimentari crea la vibrazione; il collassare e il rinnovarsi di queste particelleindividualmente e collettivamente causa l'attrito. Sulla scorta di tali esperienze interiori, ibuddhisti della scuola realista (vaibhasika) e una parte dei buddhisti seguaci delle scritture(sautrantika) conclusero che le particelle esperite erano le più piccole particelle di materiaesistenti e che esse non fossero ulteriormente divisibili, da un punto di vista spaziale. Nonfurono invece di questo parere molti altri buddhisti e cioè l'altra metà degli studiosi dellescritture (sautrantika), gli idealisti (vijnavadin) e i seguaci della via di mezzo (madhyamika). Unesponente di quest'ultima scuola, Aryadeva, obietta, tra l'altro, che percepire un oggettosignifica distinguere le sue parti le une dalle altre. Pertanto, un'ipotetica particella priva di partinon potrebbe essere percepita neppure da un asceta. Da parte nostra, non abbiamo nessuna difficoltà a credere ai risultati del training surriportato,del resto facilmente riproducibile. Tuttavia nulla garantisce all'asceta che non esistanoparticelle più elementari rispetto a quelle che egli riesce a percepire; infatti egli non puòescludere che, approfondendo ulteriormente la cenestesi, non si possano percepire particelleancora più piccole. Ci sembra molto probabile (per le loro caratteristiche) che i kalapacorrispondano alle molecole, piuttosto che a particelle indivisibili. Si può concludere che nessunmetodo empirico, nè quello esteriore degli scienziati, nè quello interiore degli asceti puòportare a qualcosa di conclusivo riguardo al problema dell'esistenza o meno di particelleultime materiali, giacchè non si può mai essere certi che le particelle esperite sianonecessariamente non ulteriormente divisibili. Non rimane che accertarsi, e lo faremo nel seguito,se il "foro competente" a dare un giudizio valido sulla questione non sia, per caso, il "tribunaledella ragione".

b3) L'Approccio Razionale al Problema delle "Partes Minimae"

Affrontando il problema da un punto di vista logico, taluni dei filosofi induisti o buddhisti,appartenenti alle già citate scuole favorevoli all'atomismo, ritennero necessaria l'esistenza degliindivisibili per evitare un regressus (o progressus) ad infinitum nella scomposizione dellesostanze. Ciò equivale a ritenere che un regressus o progressus ad infinitum non sia, in generale, un

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procedimento possibile o lecito. Ma è veramente così? Bertrand Russel, ne "I principi dellamatematica", ha dimostrato che un regresso infinito può essere di due generi: uno illecito eduno perfettamente lecito. Il regresso illecito si ha comunemente nelle definizioni circolari. Il regresso lecito è invece abitualmente usato in matematica. Ce ne serviamo, ad es., percostruire la sequenza dei numeri interi, che si ottiene aggiungendo una unità al numeroprecedente, a partire da uno : 1 ; 1+1=2;2+1=3 ; 3+1=4; 4+1=5 e così via ad infinitum. Ce neserviamo anche per dividere un qualsiasi numero in frazioni sempre più piccole : 1; 1:2=1/2;1/2:2=1/4; 1/4:2=1/8; 1/8:2=1/16 e così via ad infinitum. E ammettiamo che anche gli entigeometrici estesi, ad es. una retta o un segmento, si possano suddividere all'infinito. Non esisteperciò motivo per cui le sostanze materiali, che sono dotate anch'esse di estensione, nonpossano essere suddivise all'infinito. I filosofi che si servirono di tale argomento filosofico perdimostrare l'esistenza di particelle indivisibili, caddero in un errore che in filosofia si chiamapetizione di principio e consiste nell'assumere a priori come evidente proprio ciò cheoccorrerebbe invece dimostrare. Dovendo essi dimostrare che un oggetto non si potevasuddividere all'infinito, dissero che ciò non era possibile perchè tale procedimento era unregressus ad infinitum; il che è praticamente come dire : "un oggetto non, si può suddividereall'infinito, perchè ... un oggetto non si può suddividere all'infinito"! Le posizioni dei filosofi atomisti vennero confutate, in via definitiva, nel VIII sec. da Santaraksitae Kamalasila, appartenenti alla scuola buddhista della "Via di Mezzo" (Madyamika). Taliobiezioni, che sono assai simili a quelle del loro contemporaneo vedantino Shankara, sipossono riassumere come segue.Tra i filosofi sostenitori dell'esistenza di particelle indivisibili, alcuni concepiscono tali particellecome spazialmente estese (ad es. i naiyayika più antichi), altri come inestese (ad es. i nayayikapiù recenti) ed è evidente che tertium non datur. Esaminiamo per prima l'ipotesi che siano spazialmente estese. Ciò è impossibile già per il fatto che una estensione, per quanto piccola, è sempre suscettibile difrazionamento: come può essere, ad es. che tali particelle non abbiano una parte centrale eduna periferica? e, rispetto ad un opportuno sistema di riferimento, una parte destra e unasinistra, una parte alta e una bassa, una parte anteriore ed una posteriore? Ma ammettiamo pure momentaneamente, per assurdo, che sia così e chiediamoci : "Comepotrebbero combinarsi tra loro?". Non potrebbero combinarsi attraverso un contatto parziale, perchè ciò indicherebbe,contraddittoriamente, che sono formate da parti. Non potrebbero neppure combinarsi totalmente, perchè allora, per quante particelle fossero traloro combinate, esse occuperebbero sempre lo spazio di una sola particella e non potrebberomai dare luogo agli oggetti macroscopici. Esaminiamo poi l'ipotesi che siano spazialmente inestese. Innanzi tutto è ben difficile che qualcosa di inesteso possa considerarsi corporeo (materiale) eperciò si dovrebbe ammettere che ciò che è corporeo è formato da entità incorporee. Inoltre, una combinazione di elementi inestesi non può mai costituire un corpo esteso, propriocome una somma di zeri non può mai dare per risultato un numero diverso da zero.Se si obietta che eppure taluni ammettono che una sequenza di punti inestesi formino una retta,basterà rilevare, come fece anche Leibniz, che suddividendo una retta non si ottengono maipunti inestesi, bensì dei segmenti piccoli a piacere ma mai nulli, dei quali quelli che chiamiamo"punti" non sono che le estremità.Si deve concludere che non possono esistere particelle indivisibili e che pertanto tutti glioggetti materiali e le loro parti, per quanto piccole, sono degli aggregati e come tali, inbase a quanto già detto all'inizio, non sono entità esistenti autonomamente. Secoli più tardi, nella Critica della Ragion Pura, E. Kant classificò il problema degli indivisibili trale "antinomie della ragione pura" e ne diede, pur con altra terminologia, una soluzione analoga aquella di Santaraksita, Kamalasila e Shankara. Non deve stupire che il problema in questioneabbia una soluzione razionale e non abbia invece una soluzione sperimentale esteriore ointeriore. La sperimentazione, infatti, non può che procedere ad infinitum, proprio come lascomposizione delle sostanze che studia. Poichè invece la credenza negli indivisibili è unafallacia puramente logica, essa ha una soluzione altrettanto logica.

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b4) Dibattito

Tullio Quasimodo: Ritengo che la confutazione della teoria degli indivisibili, che era ben notasoprattutto nella forma kantiana, sia stato spesso passata sotto silenzio nel secolo scorso,perchè minava dalle fondamenta le pretese del materialismo. Senza gli indivisibili viene infatti amancare a tutta la materia quel che Ea ha chiamato "esistenza autonoma" e perciò essa va adipendere inevitabilmente da qualcos'altro. EA: A volte Kant è stato semplicemente (ed involontariamente) equivocato. Ne è un esempioquanto ha scritto, qualche tempo fa, Piergiorgio Odifreddi, nel saggio "Il Teorema di Gödel el'Intelligenza Artificiale" (http://www.vialattea.net/odifreddi/godelia.htm):"Egli [Kant] mostrò, mediante quattro antinomie, che le idee trascendentali sono contraddittorie,e ne dedusse la seguente conclusione: se si richiede completezza dalla ragione, permettendo laconsiderazione di idee 'al limite', si cade nell'inconsistenza. In particolare, le idee trascendentalisono le colonne d'Ercole dell'intelletto, e chi pretenda di oltrepassarle è destinato ad annegarenella contraddizione. La conclusione di Kant si può riformulare dicendo che se la ragione vuoleessere consistente, non può essere completa (nel senso di poter decidere ogni problema cheessa si ponga)". E' evidente che Odifreddi, leggendo la Critica della Ragion Pura, si è fermato alla I parte dellaDialettica Trascendentale, dove Kant si limita a presentare le antinomie senza risolverle. Seavesse portato la sua attenzione anche sulle sezioni 6-9 del II capitolo, si sarebbe accorto cheKant, invece, prosegue nella sua argomentazione, fino ad una "Soluzione critica delconflitto cosmologico della ragione con sé stessa".Tullio Quasimodo: Autori come Nietzsche, Jaspers, Abbagnano ed Evola hanno fatto notarecome spesso le teorie filosofiche abbiano delle basi irrazionali. Nel caso del materialismo delsecolo scorso, i moventi irrazionali sono stati soprattutto il desiderio di combattere l'arroganzadi preti e capitalisti. Una forma di atteggiamento sadomasochistico in cui si sminuiscono tutti gliuomini (e se stessi) per colpire alcune categorie. Un po' come fece Sansone quando sacrificòse stesso, pur di vendicarsi dei Filistei. Oltre all'ovvio difetto di sminuire gli uomini, ilmaterialismo non è affatto riuscito nel suo intento: di preti arroganti ce ne sono ancora (e nonsolo nel cristianesimo) e i capitalisti hanno trovato nel materialismo una scusa ulteriore per ilproprio egoismo. La cosa più buffa è che il materialismo ha dato luogo ad un mucchio di quelliche Evola definirebbe "filosofi da salotto". Immaginatevi un materialista che torna a casa etrova la moglie in amplesso con un altro uomo. Cosa fa? - "Come minimo si incazza" - diretevoi. Proprio così, cioè si comporterà come se la moglie e l'altro uomo fossero dotati ... di liberoarbitrio! Dovrebbe invece dire a se stesso: "Mia moglie e quell'uomo son fatti di materia, dunqueil loro sistema nervoso è soggetto a leggi deterministiche o probabilistiche, contro le quali, inogni caso, essi non possono nulla. Dunque son esenti da ogni colpa". E dovrebbe ... richiuderegentilmente la porta.Sadescan: Altrettanto buffa (o triste?) è la risposta che il materialista dovrebbe dare pergiustificare la sua "incazzatura": "Anch'io ho un sistema nervoso soggetto a leggideterministiche o probabilistiche che, in questa circostanza, a dispetto delle teorie filosoficheche esse inducono nella mia mente, mi hanno obbligato ... ad incazzarmi".G. Vatinno: Scusa, ma mi sa che anche lo spiritualista si incazza ma ammanterebbe la cosa dialti valori morali "traditi" non capendo, appunto, che il sesso ha una fortissima componentematerialistica.Tullio Quasimodo: Forse non mi sono spiegato. Non erano in discussione le componenti delsesso (di qualunque natura esse siano) e gli eventuali valori morali connessi, ma il fatto che ilmaterialista incazzandosi va implicitamente ad ammettere nei due fedifraghi il libero arbitrio,cosa che la sua dottrina non gli consente. Lo spiritualista, invece, ammette (di solito e in unamisura variabile che qui non discuto) il libero arbitrio, perciò, ammesso che si incazzi come dici,

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perlomeno non è in contraddizione con la sua dottrina. Per "filosofi da salotto" Evola intendevainfatti proprio coloro che espongono teoricamente dottrine, palesemente smentitequotidianamente dalla loro stessa vita pratica. Quello della coppia in amplesso non era che unodegli innumerevoli esempi possibili: ad es. il materialista può incazzarsi con il figlio che non hafatto i compiti ed anche in questo caso contraddice la sua dottrina materialista (nonpossedendo, in base ad essa, il figlio libero arbitrio). Devo comunque confessare che mistupisci: di evoliani ne ho conosciuti tanti, ma evoliani materialisti mai.G.Vatinno: Infatti io sono un fisico ma anche studioso di evola (sic). La cosa che non capisco e'la relazione tra materialismo e libero arbitrio. Ad esempio in meccanica quantistica esiste il"libero arbitrio" per le particelle ed in genere non e' vero che un materialista non creda nel liberoarbitrio. A livello umano basta pensare alla teoria del caos. Piuttosto sono certe correnti spiritualia credere ad esempio al karma.EA: Credi dunque che per un fisico sia obbligatorio esser materialista?Tullio Quasimodo: Parlare di libero arbitrio, per le particelle, è un eufemismo semanticamentescorretto. Il principio di indeterminazione di Heisemberg costringe i fisici a parlare in termini diprobabilità, anzichè di determinismo. Ma paragonare le probabilità che ha un elettrone (ditrovarsi qui piuttosto che là, nel limitato spazio di un orbitale) ad una consapevole sceltaumana non ha fondamento.Del resto ammesso (e non concesso!!!) che le singole particelle avessero veramente il liberoarbitrio ... povero essere umano! Verrebbe a dipendere dal comportamento bizzarro di miliardi diqueste particelle!Non basta che un materialista dica di credere nel libero arbitrio (nel caso dell'uomo), mabisogna dimostrare che tale credenza è coerente con l'ipotesi materialista, tutta intrisa di leggideterministiche o probabilistiche, anche per quanto riguarda il sistema nervoso. Nè bastamettersi in bocca parole come "caos" per risolvere la questione: infatti, le teorie del caos, comesai, sono anch'esse o deterministiche o probabilistiche. Cosa hanno a che fare con unconsapevole libero arbitrio?La nozione di karma è una delle più facili a capirsi per l'uomo comune ed è perciò inevitabileche talune religioni se ne servano; tuttavia esse ammettono che il karma possa essere "sciolto"tramite l'ascesi. Dunque il karma non è affatto qualcosa di deterministico, ma è piuttostouna "abitudine dello spirito", superabile proprio con il libero arbitrio.Venvs Genitrix: In effetti, parlare di libero arbitrio, per le particelle non ha più fondamentodell'affermare che un elettrone energeticamente eccitato (come dicono abitualmente chimici efisici) ha ... delle pulsioni sessuali! Sarebbe preferibile che gli scienziati coniassero termininuovi, anzichè prelevare termini dal linguaggio comune ed utilizzarli con nuovosignificato. Pur essendo i due significati di solito distinguibili, perchè usati in differentecontesto, può infatti succedere, anche agli addetti al settore (come è capitato a Giuseppe), chesi finisca ugualmente col confonderli.

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C) Il problema mente-cervello

Premessa

di

Tullio Quasimodo

Inutile dire che chi segue un forum come "Gruppo di Ur" distingue ovviamente tra mente ecervello e per lui non esiste alcun problema in merito. Tuttavia, è altrettanto evidente che unodei "cavalli di battaglia" dell'anti-tradizione e della contro-iniziazione è la pretesa di ridurre tuttal'attività mentale a quella cerebrale. Così che, probabilmente, si dà una mano alla Tradizione,esaminando le principali teorie materialistiche della mente e dimostrandone l'insufficienza.

c1) Il comportamentismo

di

Sadescan

Ritengo che un'analisi delle ipotesi materialiste contemporanee, relative al problema mente-cervello, sia senz'altro importante, perchè manca uno studio di tal genere, dal punto divista del pensiero tradizionale. Possiamo iniziare dalla prima di queste ipotesi, in ordine ditempo, cioè dal cosiddetto Comportamentismo, una dottrina antitradizionale, che ha avuto uncerto periodo di successo in psicologia. Tale concezione si è manifestata in due correnti: -Il comportamentismo metodologico (Watson 1925) che accetta come dati per larielaborazione teorica i comportamenti osservabili, escludendo ogni riferimento all’introspezionee quindi a eventi interni, inosservabili esteriormente. Questa corrente professa perciò più unastrategia di ricerca, che una dottrina vera e propria.-Il comportamentismo logico (Hempel 1949, Ryle 1949) il quale, facendo un passo oltre,sostiene che le asserzioni psicologiche significano (cioè stanno per) comportamenti odisposizioni al comportamento. Dire che "Giovanni ritiene che stia per piovere", per icomportamentisti logici, significa affermare che Giovanni è, ad es., "disposto" a chiudere lefinestre, portare al riparo i suoi oggetti che si trovano allo scoperto e prendere con sé unombrello nel caso decida di uscire. Rispetto al comportamentismo metodologico, quello logicoha maggiormente il carattere di "dottrina" ed è perciò quello su cui si soffermerà più a lungola nostra analisiLa prima delle obiezioni, che si possono muovere al comportamentismo, proviene ovviamentedal fatto che nega la nostra comune esperienza soggetiva quotidiana. Incredibilmente, i

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comportamentisti logici pretendono di ridurre tutta la nostra vita mentale unicamente a schemi dicomportamento oggettivamente osservabili, non lasciando spazio alcuno a esperienzesoggettive come il sentire o il pensare. Se non conoscessimo bene il fascino maligno,pressochè ipnotico, che il materialismo esercita sui suoi accoliti, sembrerebbe incredibile che unuomo, per quanto folle, possa negare la propria esperienza introspettiva. I comportamentisti,proprio a causa della evidente assurdità delle loro teorie sono diventati i protagonisti di certebarzellette. Famosa è quella che parla di un lui e di una lei, entrambi comportamentisti, chefanno l'amore. Terminato il quale, lui dice: "Per te è stato stupendo! E per me?" Ilcomportamentista maschio ha infatti potuto osservare nella partner quei comportamenti ritenuticaratteristici di un atto sessuale "stupendo". Non avendo invece potuto osservare il propriocomportamento (ad es. le espressioni del suo viso) e non potendo fare appello alle propriesensazioni introspettive, rigorosamente nulle per un comportamentista, è costretto a chiederealla partner il risultato dell'osservazione, fatta da lei su di lui. Inutile dire che, per una persona"normale", è vero invece il contrario: le sue sensazioni gli dicono se per lui l'atto è statostupendo e semmai il dubbio può sorgere in merito a ciò che ha provato la partner, non potendodirettamente avvertire le sensazioni interiori di lei. Il comportamentismo è un vero e propriocapovolgimento della verità. E' dunque una delle dottrine antitradizionali più grossolane, cioèpiù facilmente smascherabili, anche se, servendosi di personalità più o meno accreditate in certiambienti accademici, ha avuto una non trascurabile diffusione.Oltre alla fondamentale obiezione appena vista, enunciabile da chiunque disponga anchesoltanto del "senso comune", vi sono altre obiezioni più "tecniche", formulate dagli "addetti ailavori". Le riassumo brevemente:-Nell'analisi comportamentista emerge un problema di "circolarità" (Chisholm 1957): peranalizzare in termini di comportamento le "credenze" si fa riferimento ai desideri e peranalizzare i desideri si fa riferimento alle credenze. Perciò non si spiega in realtà nessuno deidue.- Secondo il comportamentismo logico, è possibile (come nell'esempio visto sopra su Giovanni)tradurre gli enunciati sulla mente in enunciati sul comportamento. Molti degli enunciati risultantida questa traduzione hanno forma ipotetica, poichè i fenomeni mentali a cui si riferiscono sonopiù frequentemente disposizioni al comportamento che effettivi comportamenti. Icomportamentisti non sono mai stati capaci di chiarire la nozione di "disposizione",specificando in modo inequivoco quali antecedenti siano necessari, negli enunciati ipotetici, perprodurre una adeguata analisi disposizionale dei termini mentali (Hampshire 1950, Geach1957).- Il comportamentismo trascura le relazioni causali che intercorrono tra stati mentali ecomportamento (Lewis 1966). Identificando ad es. il piacere con un insieme di comportamentiche manifestano gioia, il comportamentismo finisce col trascurare il fatto che il piacere è anche"causa" di certi comportamenti.Il comportamentismo metodologico può sembrare meno pericoloso di quello logico. E' veroinvece il contrario: fingendo di non voler assurgere ad una vera e propria dottrina, offre il fiancoa minori obiezioni. Ciò rende la sua azione più subdola, perchè è del tutto evidente, ad es.,che una psicologia che, metodologicamente, decide di non tener conto dell'introspezione, tagliafuori, "ipso facto", qualsiasi considerazione delle varie forme dell'ascesi interiore, che hanno percardine proprio la presenza mentale ai fenomeni interiori.

c2) L'identità dei tipi

di Leo

Dopo che Sadescan ha esaminato il comportamentismo, possiamo rivolgere la nostraattenzione a quelle successive dottrine materialiste, conosciute come "teorie dell'identità". Leprincipali sono due, dette rispettivamente "identità dei tipi" (type-type identity) e "identità delleoccorenze" (token-token identity). Cominceremo con l'esaminare la prima in ordine temporale e

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cioè l'identità dei tipi. Secondo questa teoria, sostenuta tra gli anni Cinquanta e Sessanta daHerbert Feigl e dai filosofi della cosiddetta “scuola australiana” (U. T. Place, J. J. C. Smart, D.M. Armstrong), gli stati mentali sono stati fisici del cervello. Ad es. un pensiero è unparticolare stato del cervello. Ogni volta che si realizza questo stato del cervello si avrànecessariamente quel pensiero. Tutti gli stati fisici di un particolare tipo sono anche stati mentalidi un particolare tipo. «La coscienza è soltanto un ulteriore stato cerebrale (…) che può essereidentificato contingentemente con uno stato del cervello, [esso sarà quindi] un processo in cuiuna parte del cervello analizza [scans] un'altra parte del cervello. Nella percezione il cervelloanalizza l'ambiente. Nella consapevolezza della percezione un altro processo nel cervelloanalizza l'attività di analisi.» (D.M. Armstrong, A Materialist Theory of the Mind, 1968, p. 94). Adifferenza del comportamentismo, l'identità dei tipi ammette che possano esistere statiinterni al cervello, non necessariamente correlati al comportamento.La prima smentita dell'identità dei tipi si ha già a livello sperimentale: tale identitàdovrebbe infatti comportare una concomitanza temporale tra determinati tipi di eventi mentali edeterminati tipi di eventi cerebrali, concomitanza che però non è mai stata rilevata. Nessungenere di ricerca neurobiologica ha mai mostrato, per esempio, un tipo specifico di processicerebrali verificarsi costantemente in concomitanza al “credere qualcosa”, oppure allo “sperarequalcosa”, etc.Si può semmai osservare una relazione di causalità tra date alterazioni cerebrali e determinatideficit psicologici e comportamentali nel soggetto. Così, ad esempio, alla distruzione dei nucleidel rafe, della formazione reticolare alla base del cervello, corrisponde la scomparsa nelsoggetto del sogno (Jouvet, 1965). Perciò Armstrong ha proposto una variante "causale" dellateoria dell'identità, secondo la quale uno stato mentale ha una connessione di causa con unostato fisico dal quale è provocato. Inutile dire che una teoria dell'identità, basata sulla causalità,è una contraddizione in termini. Infatti, dire che A causa B non implica affatto che A siauguale a B, anzi è normalmente vero il contrario: ad es. un sasso lanciato nello stagno provocadei cerchi concentrici nell'acqua, ma nessuno penserebbe di affermare una identità tra il lanciodel sasso (la causa) e i cerchi (l'effetto). Il venir meno dell'esplicazione di certe funzioni mentali, quando viene alterata una certa partedel cervello, è del tutto simile al caso in cui, ad una persona che sta scrivendo, si rompe lapunta della matita: è ovvio che egli (a meno di non prendere un'altra matita) non potrà piùscrivere. Nessuno, sulla base di questa impossibilità, si sognerebbe però di identificare ilsoggetto (l'uomo che scrive) con il mezzo materiale (la matita), eppure è proprio ciò che fannoi seguaci dell'identità dei tipi, e i materialisti in genere, quando identificano la mente (il soggetto)con il cervello (il mezzo materiale).

c3) L'identità delle occorrenze

di Leo

Il "monismo anomalo", presentato da Davidson nel suo saggio “Mental Events” (1970), è unadelle versioni dell’identità mente-cervello, nella forma che viene chiamata “identità delleoccorrenze". Essa sostiene che tutti i pensieri sono identici a stati cerebrali, ma prevede chepensieri dello stesso tipo possano non essere stati cerebrali dello stesso tipo. Questateoria si basa sulla distinzione tra tipo (specie) e occorrenza (esemplificazione individuale dellaspecie): secondo Davidson, una proprietà mentale (p. es., il dolore in generale) ammettediverse realizzazioni fisiche e perciò non è identica ad una proprietà fisica determinata, ma ildolore particolare che qualcuno prova in un dato istante (l’evento psicologico o occorrenzapsicologica) è identico all’evento fisico corrispondente (occorrenza fisica), ad es. l'avereGiovanni mal di denti all'istante t, è in relazione di identità con il trovarsi il cervello di Giovanni inun certo stato fisico nel medesimo istante t. Venendo meno l'identità dei tipi, non vi sono leggidi correlazione psico-fisiche rigorose (anomalìa): non c'e nessuna severa legge deterministica

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per cui eventi mentali possano essere predetti e spiegati e non c’è neppure modo di ridurre ilvocabolario mentale a quello fisico (anti-riduzionismo linguistico). In conclusione, il regnomentale non può essere oggetto di investigazione scientifica.Il criterio di identità proposto da Davidson è che “due eventi sono identici se hanno le stessecause e gli stessi effetti". Come Quine ha dimostrato in "Events and Reification, "[1985] si trattadi un criterio irrimediabilmente circolare, giacchè per dire se “l’occorrenza dell’evento fisico A”ha gli stessi effetti (o cause) della “occorrenza dell’evento mentale B” (vista la non investigabilitàscientifica di quest'ultimo) non vi sarebbe altro modo che sapere a priori... se le due occorrenzesono o meno identiche! In altri termini tutta l'ipotesi di Davidson non è che una petizione diprincipio, giacchè quell'identità tra occorrenza e occorrenza che dovrebbe venire dimostrata,non può esserlo nè empiricamente, nè logicamente.In "Reply to Quine on Events" [1985] Davidson abbandona il suo criterio di identità a favore diquello di Quine, secondo il quale due eventi sono identici se e solo se essi occupanoesattamente la stessa localizzazione spazio-temporale. Ma anche in tal caso si ha una petizionedi principio, perchè bisognerebbe dimostrare e non semplicemente asserire che le occorrenzementali hanno:1) una qualsivoglia localizzazione spazio-temporale;2) che essa si trovi del medesimo spazio-tempo del corpo fisico;3) e che infine tale localizzazione sia identica a quella delle corrispondenti occorrenze fisiche. Tutto ciò è ovviamente impossibile, vista la non investigabilità scientifica del mondo mentale,asserita da Davidson.

c4) Funzionalismo della Scatola Nera

di Tullio Quasimodo

Come già sappiamo, Watson e i comportamentisti sostengono che l’unica possibilità di renderescientifica la psicologia sia lo studio del comportamento manifesto e che la mente non sia altroche una scatola nera (black box), non analizzabile con parametri scientifici. Per evitare l'accusadi trascurare le relazioni di causa tra stati mentali, Lewis (1) e Grice (2), hanno introdotto unavariante "funzionalista" della psicologia della scatola nera. Essa asserisce che due diversi staticerebrali sono occorrenze dello stesso tipo di stato mentale, se svolgono nella vita di unorganismo la medesima funzione, cioè se e solo se hanno le stesse relazioni causali con glistimoli che l'organismo riceve (input), con il comportamento esteriore dell'organismo stesso(output), e con gli altri stati mentali. Questa teoria cerca di evitare anche la circolarità, insita nelcomportamentismo, di analizzare le credenze in termini di desideri e i desideri in termini dicredenze. Essa sostiene ad es. che la mia credenza secondo cui la pioggia è imminente è unostato causato in me dalla percezione del progressivo addensarsi delle nubi e del bruscoaumento dell'intensità del tuono; essa sommata al mio desiderio di evitare che la casa si allaghi,fa sì che io chiuda le finestre. Poichè si possono definire le credenze nei termini delle loro relazioni causali, tali relazionipossono sostituire il termine credenza. Ad es. anziché dire "la credenza che sta per piovere,sommata al mio desiderio di evitare che la casa si allaghi, fa sì che io chiuda le finestre", possosostituire "la credenza che sta per piovere", introducendo un quantificatore esistenziale del tipo"vi è un x tale che" e ottenendo l'enunciato: "vi è un x tale che la percezione del progressivoaddensarsi delle nubi e del brusco aumento dell'intensità del tuono causa x e x, insieme aldesiderio di evitare che la casa si allaghi, causa il comportamento di chiudere le finestre". Inmodo analogo, secondo i funzionalisti della scatola nera, si potrebbero eliminare termini come"desiderio" e "percezione", cioè ogni termine psicologico residuo, dimostrando così che gli statimentali altro non sono che insiemi neutrali di relazioni causali e che perciò non esiste nulla dispecificamente mentale.Essi ritengono così, con espedienti linguistici, di poter provare il materialismo, quasi fosse vero

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che basta cambiare parole indicatrici di nostre indubitabili esperienze mentali comecredenza, desiderio, percezione etc. con termini inespressivi come x, y, z, etc. pereliminare quelle esperienze mentali stesse. In realtà, nè Lewis, nè Grice, nè altri sono maiandati al di là di una semplice enunciazione di possibilità. Infatti anch'essi sanno benissimo chese adoperassero frasi infarcite di incomprensibili lettere incognite al posto di termini descriventistati mentali, diventerebbe per loro impossibile qualsiasi attività teoretica e pratica e, moltoprobabilmente...verrebbero chiusi in manicomio!

(1) Lewis, D. 1972: ‘Psychophysical and Theoretical Identifications’, Australasian Journal ofPhilosophy, 50, 249-258.Lewis, D. 1994: ‘Reduction of Mind’. In Guttenplan, S. (ed.) A Companion to the Philosophy ofMind, Oxford, Blackwell.(2) H. Paul Grice, 1975. Logic and Conversation, pages 41–58. Syntax and Semantics, Vol. 3:Speech Acts (P. Cole and J. L. Morgan, eds.). Academic Press, USA–New York (NY).

c5) La Teoria Computazionale della Mente di Leo

Continuando nell'analisi del problema mente-cervello passiamo ad esaminare la cosiddettaipotesi computazionale della mente. Secondo il "funzionalismo computazionale", la mente è unprogramma (un software) e il cervello è il suo hardware, e l'esecuzione di quel programmain quel hardware ha come risultato il comportamento esteriore dell'organismo. In base al cosiddetto "test di Turing", ideato dal matematico inglese Alan Mathison Turing,nello scritto Computing Machinery and Intelligence (1950), "un computer è paragonabile a unessere umano, quanto a intelligenza, se gli esseri umani non possono distinguere le prestazionidella macchina da quelle di un essere umano". Supponiamo che un esaminatore umano sia difronte a due porte chiuse. Dietro una delle due porte c'è un uomo e dietro l'altra un computer.L'esaminatore può comunicare con ciascuno dei due attraverso una telescrivente, cioè puòrivolgere una domanda attraverso la tastiera della telescrivente e ricevere la risposta allo stessomodo. All'uomo è stato detto di rispondere in modo da aiutare l'esaminatore a riconoscerlo eTuring ritiene che la strategia migliore, a questo scopo, sarebbe quella di dire in ogni caso laverità. Il computer, al contrario, è stato programmato a imitare l'essere umano, e costruirà le suerisposte con questo fine, senza preoccuparsi della loro verità. Ad es., se l'esaminatorechiedesse di operare un lungo calcolo, il computer, che potrebbe fornire la risposta in brevetempo, la differirebbe deliberatamente, per simulare tempi di calcolo umani, e introdurrebbeeventualmente qualche piccolo errore. Inoltre di fronte a una domanda del tipo "Ti piacciono lefragole alla panna?", il computer darebbe risposte false del tipo: "Sì, molto. Le mangio spessocome dolce in estate". Il problema dell'esaminatore è di decidere, sulla base delle rispostericevute, in quale stanza sia il computer e in quale l'uomo; se non riesce a distinguere, dopo unaserie di prove, il computer dall'uomo, con una certa sicurezza e continuità, allora, secondoTuring, il calcolatore è paragonabile a una mente umana.Il termine intelligenza artificiale venne coniato pochi anni dopo, nel 1956, dallo statunitenseJohn McCarty. Circa la portata dell'I.A., si svilupparono due interpretazioni diverse:l'interpretazione forte dell'I.A. e l'interpretazione debole.Secondo l'interpretazione forte, sostenuta ad es. da Allen Newell e Herbert A. Simon, uncalcolatore che superi il test di Turing, sarebbe a sua volta dotato di mente. Si tratterebbe a tuttigli effetti di una macchina pensante, esattamente come quella umana. L'interpretazionedebole (sostenuta ad es. da John Searle e Hubert Dreyfus), al contrario, ritiene che un talecalcolatore sarebbe soltanto un ottimo strumento per controllare i nostri ragionamenti (perstabilire rapidamente se sono giusti o sbagliati), ma non una mente che pensa. I teorici dell'I.A. forte credono che si possano creare macchine che siano menti pensanti, in

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quanto considerano il pensiero esclusivamente come una manipolazione di simboli. Invece, iteorici dell'I.A. debole ritengono che le macchine non pensino, perché il computer non è ingrado di dare un significato ai simboli che connette: è un ente sintattico (cioè capace di eseguireregole formali), ma non un ente semantico (cioè in grado di comprendere il significato degli attiche compie). Secondo Searle, perciò, il computer può simulare il pensiero umano, ma nonreplicarlo effettivamente, in quanto è privo di coscienza e di reale capacità di comprensione.Searle, per confutare le tesi dell'I.A. forte, ha ideato anch'egli un singolare esperimento mentale:il cosiddetto "test della stanza cinese". Searle suppone che un individuo, che non sa il cinese,sia chiuso in una stanza. Alcune persone, esterne alla stanza, passano a quest'uomo deisimboli in cinese e delle regole - nella sua lingua (ad es. l'inglese) - che fanno corrispondere acerti insiemi di simboli altri insiemi di simboli. In base a queste regole, l'uomo restituisce deinuovi ideogrammi agli individui che stanno fuori. L'uomo chiuso nella stanza ignora che i primisegni sono delle frasi in cinese e che i secondi che lui fornisce sono delle risposte appropriate aquelle frasi. Tuttavia, se segue le regole, il suo comportamento linguistico è esteriormenteindistinguibile da quello di un normale parlante in cinese. Ora, nel caso descritto, non si puòsostenere che l'uomo chiuso nella stanza, pur fornendo le stesse risposte che fornirebbe uncinese, conosca davvero la lingua cinese. Infatti, l'uomo in questione si limita ad eseguire delleprescrizioni che non capisce. In modo analogo, non si può dire che conosca davvero il cineseuna macchina che disponga di programmi simili alle regole che l'uomo segue nella stanza delsuddetto esperimento. Non è vero, perciò, come pensano i seguaci dell'I.A. forte, che "se uncomputer si comporta come se capisse il cinese, allora il sistema capisce davvero il cinese" (J.R. Searle, Menti cervelli e programmi. Un dibattito sull'intelligenza artificiale, CLUP-CLUEB,Milano 1984).Alle conclusioni di Searle è stato obiettato che, nell'esperimento della stanza cinese è l'interosistema - comprendente la stanza più il suo contenuto - e non l'individuo a comprendere ilcinese. A tale obiezione, Searle ha replicato che non c'è nessun modo grazie al quale il sistemanel suo complesso possa giungere alla reale comprensione degli ideogrammi cinesi. Infatti, sel'individuo che è nella stanza cinese non ha nessuna maniera di comprendere il significato deisimboli, non ce l'ha nemmeno l'intero sistema. Da parte sua, Hubert Dreyfus ha affermato, nel 1972, che alla base della I.A. forte è posto unconcetto di mente del tutto erroneo, quello cioè di una mente che, come un dispositivocalcolatore, utilizza dati discreti e atomici, applicando regole precise in passi distinti. Questamente non coincide con quella umana che è olistica, perchè coglie le parti nella totalità, esituazionale, perchè "una data situazione di un essere umano dipende dai suoi obiettivi, i quali,a loro volta, sono in funzione del corpo e dei suoi vari bisogni ... questi bisogni non vengonostabiliti una volta per sempre, ma vengono interpretati e determinati attraverso l'acculturazione".Inoltre l'intelligenza umana implica un senso comune che guida l'interpretazione del mondo.Non è perciò possibile dire che un computer dispone di un' intelligenza umana, perché talemacchina è una entità senza corpo e quindi non è in situazione, e perché è impossibileincludere in essa il senso comune, che è formato da credenze non oggettivabili (H. Dreyfus,Che cosa non possono fare i computer, Armando, Roma 1998).Le difficoltà riscontrate, utilizzando una definizione forte dell'I.A., hanno in pratica determinato ilcrollo del funzionalismo computazionale, non essendo la mente, per i motivi visti, assimilabile adun software.

c6) Materialismo eliminativo di Tullio Quasimodo

Il punto di partenza dell’eliminativismo è la constatazione che le neuroscienze non sono ingrado di dimostrare alcuna corrispondenza tra mente e cervello, del genere di quelle previste ades dalla teoria dell' "identità dei tipi" (vedi sopra). Se non vi è identità, sostengono i materialistieliminativi, allora "cose" come i fenomeni mentali "debbono" essere inesistenti. Verrebbe voglia

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di chiudere il discorso con loro, semplicemente osservando che, dalla premessa "C non èidentico a M", non si può certo inferire che "M non esiste". Ma proseguiamo ugualmente.E' possibile far propria l'ipotesi eliminativista da due punti di vista differenti, che non siescludono a vicenda, giacchè spesso uno stesso autore assume entrambi i punti di vista.L'atteggiamento più radicale dell'eliminativismo viene assunto quando si nega l'esistenza dellamente e quello, apparentemente meno radicale, quando si nega la veridicità del linguaggio chene parla (la cosiddetta "psicologia del senso comune"). Queste due prospettive, che vengonochiamate, rispettivamente, "eliminativismo verso la mente" ed "eliminativismo verso la psicologiadel senso comune", possono, a loro volta, differenziarsi ciascuna in una forma più "forte" e inuna più "debole". L'eliminativismo verso la mente comprende infatti la posizione "hard" di chi èeliminativista nei confronti della mente comunque concepita e quella, più "soft", di chi èeliminativista nei confronti della mente in quanto sostanza. Analogamente, l'eliminativismo versola psicologia del senso comune comprende sia la posizione più netta di chi ritiene falsa, edestinata ad essere soppiantata, la psicologia del senso comune e quella, più debole, di chi laritiene falsa, ma eliminabile solo in teoria e non in pratica. Analizziamo più da vicino questevarie accezioni del materialismo eliminativo:- Eliminativismo "forte" verso la mente. Questa forma del materialismo eliminativo, la più radicale fra tutte, sostiene che non esistealcunché (né sostanze, né proprietà, né eventi) di ciò a cui ci si riferisce, quando si parla difenomeni mentali. Questa teoria è stata in pratica ereditata dai comportamentisti radicali comeJohn B. Watson (la posizione dei quali è già stata confutata in questo forum), i quali supposeroche il comportamento non avesse cause mentali e trattarono idee e immagini mentali comeingannevoli abitudini verbali. Cadendo questa prima forma sotto le stesse crtiche rivolte alcomportamentismo, oggi è più frequente la versione "debole", ma non meno problematica,che passiamo ad esaminare.- Eliminativismo "debole" verso la mente. Negare l'esistenza di una sostanza mentale non significa essere necessariamente materialisti.Anche idealisti come Fichte hanno concepito il pensare come un atto e non come una sostanza.Tali scelte filosofiche sono spesso legate al linguaggio della propria epoca. Ai tempi diAristotele, il termine sostanza non aveva ancora quel significato di passività che aveva acquisitoai tempi di Fichte, quando era ormai, nel linguaggio abituale, identificata con la materia. DunqueAristotele non sentì come necessario quel "distinguo", che apparve invece indispensabile aFichte. Anche i materialisti, che aderiscono all'eliminativismo debole verso la mente, ammettonol'esistenza di processi mentali (cogitatio) ma non l'esistenza di "cose" come i fenomeni mentali(res cogitans). Avendo però un punto di vista diametralmente opposto a quello di Fichte, essi sidanno praticamente la "zappa sui piedi", perchè in un ambito materialista esistono solomateria ed energia (materiale). Avendo negato (come gli eliminativisti fanno, perchègiustamente le ritengono insostenibili) le teorie dell'identità tra processi cerebrali (materiali edenergetici) e quelli mentali, questi ultimi cosa mai potrebbero essere?- Eliminativismo "forte" verso la psicologia del senso comune. La terza forma del materialismo eliminativo è stata formulata, nei primi anni Sessanta, dagliepistemologi Paul K. Feyerabend e Richard Rorty (che ha successivamente abbandonato taleposizione, a differenza di Feyerabend). Il maggior sostenitore di questa posizione, Paul M.Churchland, così la descrive:"Il materialismo eliminativo è la tesi secondo la quale la concezione che comunemente abbiamodei fenomeni psicologici costituisce una teoria radicalmente falsa - una teoria così manchevoleche sia i suoi princìpi sia la sua ontologia finiranno per essere soppiantati, invece di essereprogressivamente ridotti, una volta che le neuroscienze saranno state completamentesviluppate. La nostra reciproca comprensione e perfino la nostra introspezione potranno alloraesser ricostituite all'interno della cornice concettuale delle neuroscienze, ovvero di una teoriache, secondo quanto possiamo attenderci, sarà di gran lunga più potente della psicologia delsenso comune che verrà a sostituire e, in generale, più sostanzialmente integrata con la scienzafisica". [Churchland, Paul.1981. "Eliminative Materialism and the propositional Attitudes",Journal of Philosophy 78).Il nucleo della psicologia del senso comune, così come viene pensata e attaccata da

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Churchland, è costituito da quelli che Bertrand Russell chiamava "atteggiamenti proposizionali".Ne sono esempi: "credere che x", "sperare che y", "sapere che z", ecc., dove x, y, z rappresentano una proposizione.Dalla possibilità che la psicologia del senso comune sia radicalmente falsa, i materialistieliminativi credono, di solito, di poter inferire la correttezza dell'atteggiamento eliminativo versola mente in senso "forte" o "debole".L'assurdità di questa inferenza è stata messa in evidenza da Searle (Searle J. R., TheRediscovery of the Mind, Mit Press, Cambridge Mass. 1992). Dire che credenze, desideri,speranze, paure ecc. non esistono perchè la descrizione della realtà, fornita da un'ipoteticaperfetta neurobiologia futura, potrebbe soppiantare quella della psicologia del senso comune èpiù o meno come dire che non esistono case alberi e montagne, sol perchè la descrizione dellarealtà, fornita dall'attuale fisica quantistica, ha soppiantato quella della fisica antica. Inutile direpoi che quel che Churchland psicologia del senso comune è perlomeno basata sull'innegabileesperienza diretta di milioni di persone di ogni epoca e non sulle personali fantasie di qualchestudioso materialista. Al contrario, i seguaci della psicologia popolare potrebbero ribattere aChurchland e compari che uno che nega credenze, desideri, afflizioni ecc. non può che esserepazzo e chiedere (anche in Italia) l'immediata riapertura dei manicomi.- Eliminativismo "debole" verso la psicologia del senso comune. La quarta versione del materialismo eliminativista è una versione attenuata di quella diChurchland. Si tratta della tesi, anch'essa implausibile per Searle, secondo cui: "espressionicome «credenza», «desiderio», «paura», «speranza», ecc. andrebbero intese come sempliciespedienti verbali, privi di qualunque riferimento a fenomeni mentali intrinseci. Una terminologiasiffatta può essere utile per spiegare il comportamento e formulare delle previsioni sulmedesimo, ma non va presa alla lettera come se ci si riferisse a fenomeni mentali reali,intrinseci e soggettivi. Coloro che aderiscono a questo punto di vista ritengono che la scelta diutilizzare la terminologia del senso comune dipenda dall'«atteggiamento intenzionale» che siassume nei confronti di un certo sistema" (Searle, cit.1992). Daniel Dennett, che chiama"atteggiamento intenzionale" l'atteggiamento di chiunque usi la psicologia del senso comune perprevedere il comportamento di qualcosa (persona, animale, computer etc), è il rappresentantedi una versione "molto debole" di questa posizione. Egli infatti precisa: la "decisione di adottarequesta strategia è pragmatica, non è intrinsecamente giusta o sbagliata" (Dennett D.,"Intentional Systems", in Brainstorms, MIT Press, Cambridge MA, 1971). A chi dà per scontatoche una descrizione in termini neurobiologici dell'attività mentale sia più vera di una basatasull'introspezione, sono da ricordare le profetiche parole di Leibniz:"Inoltre, dobbiamo confessare che la percezione e ciò che da essa dipende non è spiegabile intermini di ragioni meccaniche, vale a dire attraverso forme e movimenti. Immaginiamo cheesista una macchina le cui strutture consentano ad essa di pensare, sentire e avere percezioni;potremmo pensare di ingrandirla, mantenendone le proporzioni, in modo da poterci entraredentro, come si entra in un mulino. Così, se ne ispezioniamo l'interno, troveremo solo parti chespingono l'una l'altra, e non troveremo mai qualcosa che possa chiarire una percezione. E cosìnoi cercheremo la percezione nella sostanza pura, e non nella composta, o in principimeccanici" (G.W. Leibniz, Monadologia, 1714).

c7) Il connessionismodi Leo

Ritornando a Churchland, del quale ha parlato Tullio, egli rifiuta il modello computazionale dellamente, caratterizzato dal funzionamento seriale che abbiamo evidenziato nello scorso mesaggioe propone invece un paradigma basato sul connessionismo (reti neurali), cherappresenterebbe secondo lui più adeguatamente il modo di operare del cervello (esecuzione di

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più compiti in parallelo). Crollato infatti il paradigma dell'I.A. "forte", legato al funzionalismocomputazionale, un gruppo di studiosi, tra i quali D.E. Rumelhart e Mc Clelland (1986),rilevarono che è troppo profonda la differenza tra le architetture cognitive del cervello umano equelle del calcolatore classico e sentirono l'esigenza di ideare sistemi nuovi, detti"connessionisti", che mirano a ricreare l'intelligenza attraverso le reti neurali. Queste sono uncomplesso di "nodi" collegati tra loro da connessioni, che trasmettono attivazione o inibizione daun nodo a un altro. Si cerca, cioè, di ricostruire, con strumenti informatici, la fitta rete di sinapsiche legano fra loro i neuroni cerebrali. Un aspetto caratterizzante delle reti neurali è che in esse la conoscenza necessaria a svolgereun dato compito non è rappresentata da simboli distinti che vengono trasformati in base aregole, ma è diffusa tra tutti i nodi della rete che concorrono ad elaborala. Per questo motivo, laconoscenza insita in una rete neurale e la sua elaborazione sono dette "subsimboliche".Secondo i connessionisti, i processi cognitivi, fra i quali il pensiero, non sarebbero il prodotto diprocessi computazionali simbolici, ma emergerebbero dal comportamento complessivo dimoltissime unità subsimboliche che, prese singolarmente, non potrebbero generarli.Nonostante gli iniziali entusiasmi, quando si è tentato di applicare le reti neurali alla riproduzioneartificiale delle facoltà cognitive superiori, i sistemi connessionisti hanno rivelato non pochi limitie finora nessuno è stato in grado di dimostrare come dal concorrere di moltissimiprocessi di elaborazione paralleli e subsimbolici possa effettivamente emergere ad es. lacompetenza linguistica o la capacità di ragionare in modo deduttivo.Inoltre connessionismo e computazionalismo, benché opposti nella procedura di analisi dellamente, hanno tuttavia alcuni limiti in comune: in particolare l'idea di una mente limitata adun'attività essenzialmente teoretica e di calcolo (come quella ipotetica di un giocatore di scacchiche riuscisse ad isolarsi dal suo ambiente) e perciò ben diversa dalla mente reale, cheinteragisce costantemente con un corpo ed è influenzata da emozioni, sensazioni e necessità diadattamento istantaneo ad un ambiente dinamico. E' propria questa l'obiezione più comune cheviene rivolta al connessionismo, sin quasi dal suo primo apparire.Non si può poi non notare come, a dispetto della pretesa di Churchland di sostituireinteramente la psicologia del senso comune, i connessionisti non possano, invece,minimamente far a meno di essa, essendo l'unico termine effettivo di confronto con cuivalidare i loro risultati, che rimarrebbero altrimenti campati per aria.

c8) Il Materialismo Camuffato di Tullio Quasimodo

Il caso di John Searle è assai singolare. Egli, proprio come noi, è critico nei confronti delle varieforme che ha assunto il materialismo contemporaneo. Tuttavia la "pars costruens" della suateoria non è meno incredibile delle teorie che egli critica.Searle (1), ritiene che l’apparato dottrinale filosofico di matrice cartesiana, con attaccamento acategorie e terminologie classiche, sia responsabile della postulata opposizione tra fisico ementale, tra corpo e mente. Ed ha perciò effettuato un tentativo per trovare una sorta di"compromesso" tra il dualismo in senso forte ed il riduzionismo materialistico. Secondo Searle lacoscienza è un aspetto biologico del cervello: è prodotta dai processi cerebrali ma non puòessere ridotta a questi processi perché è un "fenomeno in prima persona" mentre i processicerebrali sono "fenomeni in terza persona". Paragona il problema mente-corpo al modo in cuil'elettricità scaturisce dagli elettroni, ma - precisa - mentre i fisici possono spiegare come lecaratteristiche dell'elettricità corrispondano alle caratteristiche degli elettroni, noi non possiamospiegare come le caratteristiche della coscienza emergano dalle caratteristiche dei neuroni. Larelazione fra gli stati mentali e gli stati cerebrali sarebbe, secondo Searle, causale in entrambele direzioni; egli chiama questa relazione fra cervello e coscienza "non-event causation".E’ evidente che questo tipo di posizione ripropone gli stessi problemi delle teorie classiche del materialismo, perché assume comunque l’esistenza di una coscienza materiale dalle proprietà

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"misteriose", "emergente" dall'attività cerebrale, ma non deducibile dallo studio del sistemanervoso: troppo comodo attribuire alla materia attività spirituali e poi, ben sapendo di nonpoterle spiegare, cavarsela dicendo appunto che sono, per loro natura, inspiegabili!

(1) Searle J.R.: La riscoperta della mente (The rediscovery of the mmd, MIT, 1992) BollatiBoringhieri, Torino, 1994.

c9) Dibattito

Venvs Genitrix: In pratica John Searle non ha fatto che riproporre una teoria già enunciata,circa un decennio prima, dal neurofisiologo Roger Sperry, secondo il quale: "la coscienza ècollegata con la materia cerebrale ma non è ad essa riducibile". (1) Sperry ha anche introdottoil concetto di causalità top-down ("dall'alto verso il basso"), cioè una causalità del tutto sulleparti, che egli riteneva intervenisse nelle interrelazioni causali che intercorrono tra mente ecervello. L’idea della causalità top-down è stata successivamente adottata da un certo numerodi altri autori, tra cui lo stesso Searle, che però ammette contemporaneamente anche unacausalità inversa down-top. Che, nonostante certe premesse, anche la posizione di Sperry nonsia che una forma di materialismo è confermato da quanto egli dice sul libero arbitrio, tentandoaddirittura di convincere il lettore che è meglio non averlo: "... forse, dopotutto, è meglio essereinglobati fermamente nel flusso causale delle forze cosmiche, ed esserne parte integrantepiuttosto che essere fluttuanti e liberi da ogni contatto. Tutte le nostre capacità decisionali sonoprobabilmente predeterminate, non dipendenti da un libero arbitrio".Tarquinio Prisco: Un testo interessante, in relazione al problema mente-cervello, è"Intelligenza umana e intelligenza artificiale" (Rubbettino ed., 2002), scritto da FrancescoLerda, per molti anni professore di Teoria delle Macchine Calcolatrici, presso l'Università diTorino. Egli critica le pretese della cosiddetta Intelligenza Artificiale Forte, ma anche posizioniambigue come quelle di Searle, Penrose e Sperry. Il suo saggio esamina il comportamentoumano in vari campi: Matematica Logica, Fisica, Arte, Letteratura, Musica, Teatro, Arti figurativeecc. e, in tutti, mette a fuoco la complessità del pensiero creativo, che rende assai problematicala sua delimitazione in schemi rigidi. Da qui la sua affermazione che: "è certamente vero chediverse attività mentali umane, anche al di fuori dei calcoli numerici, sono di tipo algoritmico: manon esiste alcun serio argomento scientifico che renda sia pur soltanto plausibile supporre chela stessa cosa valga per tutta l'attività della mente umana". Lerda si dice d'accordo con il logicorusso Yuri I. Manin, secondo il quale l'algoritmo non è in grado di giustificare l'intelligenza più diquanto la biologia sia in grado di giustificare la vita. E tuttavia assurdamente "si continua arifiutare di prendere in considerazione una realtà 'spirituale' distinta da quella materiale, inparticolare una mente distinta dal cervello". E' proprio la prospettiva interazionista di una mentedistinta dal cervello che Lerda fa sua, come già prima di lui Popper ed Eccles che, ne "L'io e ilsuo cervello" (The Self and Its Brain,1977), affermano: "l'intero mondo di eventi mentali ha unaesistenza altrettanto autonoma quanto il mondo materia-energia".Tullio Quasimodo: In effetti la teoria di Roger Penrose, uno dei leaders in "General Relavitiy" ,è ingannevole quanto e forse più di quelle di Searle e Sperry. Da un lato egli può sembrarequasi un platonico, perchè non solo accetta, come Eccles e Popper, la distinzione dei tremondi degli oggetti, delle sensazioni e delle idee ma, a differenza loro, afferma che la verarealtà è il mondo delle idee, di cui gli altri due sono soltanto riflessi: una posizione inverosorprendente per chi, come vedremo è in realtà un riduzionista materialista. Penrose dice ad es.: «Quanto sono "reali" gli oggetti del mondo matematico? Da un certo puntodi vista pare che in essi non possa esserci niente di reale. Gli oggetti matematici sono soloconcetti; essi sono le idealizzazioni naturali dei matematici, spesso prodotte sotto lo stimolodell'ordine apparente di certi aspetti del mondo che ci circonda, ma sono nondimenoidealizzazioni mentali. Possono essere altro che mere costruzioni arbitrarie della mente umana?Al tempo stesso, questi concetti matematici sembrano avere non di rado una profonda realtà,

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del tutto sottratta alla volontà di un qualsiasi matematico. È come se il pensiero umano fosseguidato verso una qualche verità esterna eterna: una verità dotata di una realtà propria, e che èrivelata solo in parte a ciascuno di noi. [...] La matematica è invenzione o scoperta? Quando unmatematico ottiene i suoi risultati sta solo producendo complesse costruzioni mentali che nonhanno alcuna realtà di fatto, ma la cui potenza ed eleganza sono semplicemente sufficienti aingannare persino i loro inventori, inducendoli a credere che queste mere costruzioni mentalisiano "reali"? Oppure i matematici scoprono davvero verità già "esistenti": verità la cui esistenzaè del tutto indipendente dalle attività del matematico? Io penso che a questo punto dovrebbeessere chiaro al lettore che io aderisco alla seconda concezione, almeno per quanto riguardastrutture come i numeri complessi e l'insieme di Mandelbrot» (R. Penrose, La mente nuovadell'imperatore, Milano 1998, pp. 133-136). Dunque Penrose aderisce all'assunto che esista un mondo di stati di coscienza e che la mentepossa accedere a tale mondo. Ma il suo mondo delle idee, a differenza di quello platonico,è un mondo meramente fisico: le informazioni pre-coscienti (protoconscious) sarebberocodificate nella geometria spazio-temporale all'interno della scala di Planck (1), e la nostramente avrebbe accesso ad esse (cioè diverrebbe cosciente) quando un particolare processoquantistico, che ora discuteremo, avviene nel nostro cervello.

(1) In fisica, la scala di Planck è la scala di riferimento che definisce il limite di applicabilità delleleggi fisiche attuali (Meccanica quantistica e relatività).

A differenza di Searle, il cui modello è causale-deterministico, quello di Penrose è probabilistico,perchè tenta di rifarsi alla Meccanica Quantistica. Il fisico inglese è particolarmente colpito dalfenomeno della "coerenza quantistica", cioè da quel processo fisico in cui un gran numero diparticelle agisce coralmente, assumendo le caratteristiche e le qualità di una unica macro-entitàe consentendo il verificarsi di fenomeni come l'emissione Laser o la Superconduttività. Unfenomeno simile - ipotizza Penrose - potrebbe avvenire anche a livello dei tubuli che formano ineuroni. L'evento cosciente nell'uomo, il passaggio cioè dallo stato di pre-coscienza allo statodi coscienza, avverrebbe al raggiungimento da parte dei tubuli dello stato di massima"eccitazione coerente". Il tempo di transizione dalla fase pre-cosciente alla fase cosciente, conla conseguente attivazione del segnale motore che consente, ad es., di muovere un arto,durerebbe circa mezzo secondo. Il susseguirsi delle transizioni dal livello minimo al livellomassimo di coerenza dei tubuli, costituirebbe il "corso della coscienza", lo scorrere deltempo (Penrose Roger: Ombre della mente. Alla ricerca della coscienza, Milano, 1996).Ignazio Licata (2) ha messo in evidenza che così com'è, quella di Penrose è una teoria chenon regge, proprio per la questione della coerenza quantistica, che non può conservarsi nel"rumore termico" del cervello e infatti non vi è alcuna evidenza sperimentale di quanto egliafferma.

(2) Full Professor of Theoretical Physics presso l' Institute for Basic Research , Palm Harbor,Florida, USA. ed autore di "Osservando la Sfinge - La Realtà Virtuale della Fisica Quantistica",Roma, 2003

Secondo Penrose, "Perché la fisica sia in grado di contenere qualcosa di così estraneo alpresente quadro scientifico come il fenomeno della coscienza, ci dobbiamo attendere unmutamento profondo - che alteri le fondamenta stesse delle nostre opinioni filosofiche sullanatura della realtà". Il candidato più probabile per produrre il cambiamento auspicato - egliafferma - sembrerebbe essere una teoria quantistica della gravità, ancora da scoprire, chepotrebbe gettare nuova luce su fenomeni come la coerenza quantistica o la non località.Dunque Penrose propone una teoria priva della benchè minima evidenza sperimentale,sperando che una - tutta da venire - teoria quantistica della gravità possa supportarla. Mache bell'esempio di metodo scientifico!Tarquinio Prisco: In effetti il materialismo è, in tutto è per tutto, una fede in un dio chiamatomateria, che crea fantocci viventi, per poi divertirsi, come un bimbo capriccioso, asmembrarli dopo qualche tempo. Quel che duole è che questa fede sia attualmente una delle

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più finanziate, con la scusa delle ricadute tecnologiche di certe ricerche. Ora, si può benissimomigliorare la tecnologia, senza doversi sorbire certi deliri ideologici. Preghiamo perciò i governi(tutti i governi!) di non finanziare, d'ora in avanti, i progetti di ricerca apertamente o velatamentematerialisti, in misura maggiore delle altre fedi.