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Corso di Laurea Specialistica Europea in Ingegneria Edile/Architettura 0067 CORSO DI TECNOLOGIA DEI MATERIALI E CHIMICA APPLICATA (Prof. ssa M. C. Bignozzi) LABORATORIO PROGETTUALE DI TECNOLOGIE EDILIZIE – TECNOLOGIA DEI MATERIALI (Ing. A. Fregni, Ing. S.Bandini) A. A. 2010/2011 I materiali da costruzione nell’ambiente di servizio: degrado e manutenzione Degrado del legno strutturale: METODI DI PROTEZIONE Filippo Conti 0000311793 A. A. 2010/2011

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Corso di Laurea Specialistica Europea in Ingegneria Edile/Architettura 0067

CORSO DI TECNOLOGIA DEI MATERIALI E CHIMICA APPLICATA (Prof. ssa M. C. Bignozzi) LABORATORIO PROGETTUALE DI TECNOLOGIE EDILIZIE – TECNOLOGIA DEI MATERIALI

(Ing. A. Fregni, Ing. S.Bandini) A. A. 2010/2011

I materiali da costruzione nell’ambiente di servizio: degrado e manutenzione

Degrado del legno strutturale:

METODI DI PROTEZIONE

Filippo Conti 0000311793

A. A. 2010/2011

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Degrado del legno strutturale: Metodi di protezione 2

Indice: 1. Nozioni di base. Pag. 3 2. Umidità e variazioni dimensionali. Pag. 3 3. Degrado del legno: Pag. 5 3.1 Azione degli agenti non biologici. Pag. 5 3.2 Azione degli agenti biologici. Pag. 5 3.2.1 Funghi. Pag. 6 3.2.1 Insetti. Pag. 8 3.2.2 Batteri e organismi marini. Pag. 10 4. Durabilità naturale del legno. Pag. 10 5. Protezione e preservazione del legno. Pag. 11 6. Scelta del trattamento. Pag. 15 7. Metodi di applicazione per legname strutturale in opera. Pag. 16 A. Allegato: Procedura decisionale. Pag. 17 8. Bibliografia. Pag. 18

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1. Nozioni di base: Ciò che identifica il legno, rispetto a tutti gli altri materiali, è la sua origine organica. Nasce e cresce già come “struttura”, come eccezionale struttura, capace di resistere ad azioni orizzontali e verticali notevoli (2). La Figura 1, mette in evidenza alcune parti fondamentali: il cambio, tessuto generatore di cellule attraverso le quali si formano la corteccia e il floema verso l'esterno e le cellule legnose verso l'interno. La corteccia ha la funzione principale di proteggere il fusto, mentre nel floema,

scorrono le sostanze nutritive elaborate dalle foglie, dirette alle varie parti dell’albero. Il tessuto per la funzione meccanica è formato da cellule fusiformi o fibre, disposte parallelamente all’asse del fusto mentre il tessuto di riserva o parenchimatico da cellule che nella loro cavità contengono sostanze che servono allo sviluppo dell’albero. Le dimensioni delle cellule non sono costanti nel tempo, ma vengono influenzate dall’ambiente, dal clima e dall’andamento stagionale (1). La sezione trasversale del tronco risulta caratterizzata dagli anelli di accrescimento; ogni anno si aggiunge un anello periferico e pertanto si può conoscere l’età dell’albero. Gli ultimi anelli di accrescimento, costituiscono quella parte periferica del fusto, chiamata alburno. La parte più interna, più scura, perché costituita da cellule lignificate che non concorrono più ad alcuna funzione vitale, svolgenti azioni prevalentemente statiche, si chiama durame (2).

2. Umidità e variazioni dimensionali: Il legno è un materiale igroscopico che può assorbire umidità sia dall’atmosfera sia direttamente come acqua liquida. Le sue cellule possono contenere acqua nella loro cavità (acqua libera nel lume) e nelle pareti (acqua adsorbita) (1). L’acqua nelle pareti delle cellule del legno, oltre a influire sulle proprietà meccaniche e fisiche, ha un ruolo importante sul comportamento in esercizio del legno, in quanto ne regola le variazioni dimensionali ed è determinante per l’attacco biologico come si vedrà più avanti. Dopo il taglio, il legno verde diminuisce la sua umidità per portarsi ad un valore di equilibrio con l’ambiente; questo processo avviene durente la stagionatura e, se non si è completato, continua anche durante la successiva esposizione nell’ambiente di esercizio. Il contenuto di umidità del legno è in genere definito come percentuale di massa Um:

Um =Mumido Msecco

Msecco100 =

Macqua

Msecco100

dove: Um = contenuto di umidità referito alla massa (%), Mumido = massa del campione umido (kg); Msecco = massa del campione essiccato (kg), Macqua = massa di acqua presente nei pori (kg) (1). Tale valore, in condizioni di equilibrio e in assenza di bagnatura, dipende dall’umidità relativa dell’ambiente e dalla temperatura, come mostrato nella Figura 2. Ad esempio, in condizioni riparate dalla pioggia, in un ambiente con umidità relativa costante del 70% e temperatura di 25 °C, il

Figura 1 Nomenclatura delle parti del tronco di una resinosa sezionata (2).

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contenuto di umidità è di circa il 12% (questa rappresenta la condizione normale, spesso presa come riferimento per lo studio delle proprietà del legno) (1). L’umidità del legno, anche dopo la stagionatura, non è costante, ma può variare in funzione delle condizioni ambientali (temperatura, umidità, velocità dell’aria, ecc.). Risulta che anche in esercizio gli elementi di legno possono subire variazioni periodiche di umidità e quindi possono variare le loro dimensioni. Partendo dalla superficie, l’acqua viene assorbita se il legno ha un contenuto di umidità inferiore a quello di equilibrio con l’ambiente in cui si trova, mentre viene ceduta nel caso contrario (desorbimento). Quando l’umidità è inferiore a circa il 30% (punto di saturazione delle fibre) l’acqua è solo adsorbita all’interno delle pareti delle cellule e non è presente acqua libera nel lume. Il motivo principale dell’adsorbimento del vapor d’acqua nelle pareti cellulari è la sua attrazione per idrolisi con i costituenti chimici del legno, soprattutto la cellulosa. Lo strato di molecole d’acqua che si frappone alle macromolecole di cellulosa determina così l’espansione del legno. Quando l’umidità dell’ambiente è elevata oppure il legno è a contatto con acqua liquida, l’acqua può anche entrare per condensazione capillare o assorbimento capillare nei vuoti delle pareti cellulari. L’adsorbimento e il desorbimento dell’acqua nelle pareti delle cellule del legno al di sotto del punto di saturazione delle fibre sono accompagnati da variazioni dimensionali, rispettivamente di rigonfiamento e di ritiro (1). Il legno ha un comportamento anisotropo nei confronti di queste variazioni dimensionali, come mostrato, ad esempio, in Figura 3, dove si osserva un ritiro trascurabile nella direzione longitudinale e un ritiro maggiore nella direzione tangenziale rispetto a quella radiale (1). Le variazioni dimensionali indotte dalle variazioni di umidità e temperatura, soprattutto se ripetute nel tempo, possono portare al degrado del legno anche in esercizio. Negli elementi strutturali si possono generare difetti come l’apertura di cricche, la variazione della forma della sezione trasversale, l’apertura di giunti, ecc. I fenomeni possono essere accentuati dalla presenza di difetti nel legno, come i nodi. Le conseguenze possono essere di vario tipo, da effetti solo estetici, alla difficoltà di chiusura e apertura dei serramenti, allo sviluppo di sforzi interni, ecc. Per controllare le variazioni dimensionali del legno si possono contenere le variazioni di umidità e

temperatura. L’applicazione di pitture sulla superficie del legno, a causa della loro permeabilità all’acqua, non modifica significativamente il contenuto di umidità di equilibrio; tuttavia può consentire di ritardare le variazioni di umidità, e quindi quelle dimensionali, nel caso di alternanza di condizioni di asciutto e bagnato. Si possono anche applicare sostanze idrorepellenti che penetrano nelle cellule e forniscono una migliore protezione all’ingresso dell’acqua. In alternativa, si possono contrastare le variazioni dimensionali mantenendo il legno sempre in condizioni di elevata umidità. Ad esempio, impregnando il legno con soluzioni di sali a base di cloruri, il ritiro può iniziare solo a umidità ambientali molto basse (1); si possono anche utilizzare sostanze polimeriche come il glicole di polietilene, resine fenol-formaldeide oppure monomeri metacrilati o vinilici che

Figura 2 Umidità nel legno in equilibrio con un ambiente in funzione della temperatura e dell’umidità relativa (1).

Figura 3 Esempio di variazione dimensionale del legno in seguito a variazioni di umidità (1).

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vengono poi fatti polimerizzare ad alta temperatura. Infine si possono impiegare delle cere che riempiono i vuoti delle celle, impedendo l’ingresso dell’acqua. Questi metodi sono, comunque, costosi e applicati solo a semilavorati di pregio. Il metodo più efficacie per contrastare le variazioni dimensionali del legno è di stagionarlo accuratamente fino al valore di umidità medio atteso nell’ambiente di esposizione (in quanto i maggiori problemi sono dovuti all’elevato contenuto di umidità iniziale nel legno verde) e di evitare, se possibile, l’esposizione a cicli di asciutto e bagnato (1). 3. Degrado del legno:

3.1 Azione degli agenti non biologici: Fra i principali agenti di degradamento si ricordano: Luce visibile, raggi U.V. e radiazioni di altro tipo: La radiazione solare, e in particolare la sua componente U.V., causa in ambiente areato un’ossidazione fotochimica degli strati superficiali del legno, determinando un’iniziale ingiallimento o imbrunimento dei legni di colore chiaro oppure uno sbiancamento dei legni di colore scuro (4). Successivamente il colore tende a virare verso il bruno pallido e infine al grigio con variegature biancastre. In assenza di ossigeno, oppure in presenza di filtri anti-U.V. (ad esempio strati di apposita vernice protettiva) le variegature di colore del legno diventano quasi insensibili. L’alterazione fotochimica coinvolge soprattutto la lignina, cioè il costituente che conferisce al legno la tonalità bruna. Le radiazioni elettromagnetiche di elevata frequenza e le radiazioni ionizzanti possono modificare profondamente la struttura molecolare del legno fino alla sua disgregazione completa, ma soltanto a intensità elevate, normalmente non riscontrabili in opera. Temperatura: Temperature a partire dagli 80-100 °C, mantenute per periodi sufficientemente lunghi, possono indurre alterazioni permanenti nel legno tali da configurarsi come un vero e proprio inizio di degradamento termico. Nel caso in cui il legno rimanga per periodi estremamente lunghi in condizioni di elevata temperatura e pressione in assenza di ossigeno si ha il fenomeno della carbonizzazione che porta il materiale a trasformarsi, per stadi successivi, in lignite, litantrace e infine antracite (carbon fossile) (4).

Agenti chimici: A differenza di molti altri materiali da costruzione (cemento armato, materiali lapidei), il legno non risente in modo significativo dell’azione degli inquinanti contenuti nell’aria e nelle acque meteoriche. La buona stabilità chimica delle macromolecole che compongono la parete cellulare lo rendono anche adatto per resistere – a temperature elevate – all’azione di molti sali, solventi organici e soluzioni acquose acide o alcaline (4).

3.2 Azione degli agenti biologici:

Il legno risulta sensibile all’azione di molte categorie diverse di organismi viventi, le quali possono trovare in esso semplicemente un comodo rifugio oppure direttamente o indirettamente il nutrimento necessario allo svolgimento del proprio ciclo vitale (4). Le più comuni cause di alterazione del legname strutturale in opera sono funghi e insetti.

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3.2.1 Funghi:

Generalità e ciclo vitale: I funghi che attaccano il legno sono organismi vegetali parassiti o saprofiti che hanno origine da spore del diametro di alcuni millesimi di millimetro. Le spore, estremamente resistenti alle condizioni ambientali più avverse, si mantengono inattive per periodi anche molto lunghi in attesa di arrivare a contatto con legno sufficientemente umido. A questo punto esse germinano emettendo ife filiformi che si aggregano a formare cordoni o masse più o meno compatte; in alcuni casi le ife penetrano nei lumi cellulari attraversando le perforazioni e le punteggiature esistenti, in altri casi la punta dell’ifa è in grado di secernere enzimi che degradano chimicamente le macromolecole delle pareti cellulari, perforando queste ultime (4). Le ife, estendendosi nel legno umido, ne alterano la colorazione, facendogli assumere tonalità biancastre, brune, verdastre, nerastre, grigie, rosate, azzurre ecc. L’insieme delle ife prende il nome di micelio, che ad attacco avanzato spesso risulta ben visibile sotto forma di una massa cotonosa biancastra. Il corpo fruttifero (visibile in superficie, spesso di notevoli dimensioni e a forma di cappello, di mensola, oppure di crosta irregolare) costituisce una fase ulteriore dello sviluppo del fungo, e precisamente quella in cui vengono prodotte le nuove spore, poi asportate dalle correnti d’aria (4). L’attacco fungino inizia normalmente a spese del contenuto delle cellule parenchimatiche, ricche di sostanze nutritive come carboidrati semplici (amidi), per poi eventualmente estendersi anche alle macromolecole di cellulosa e lignina della parete cellulare, disgregate dalle terminazioni delle ife medianti lisi enzimatica. E’ evidente che l’alburno sarà attaccato più facilmente, essendo più ricco di sostanze nutritive semplici, mentre il durame viene più difficilmente degradato grazie alla presenza di estrattivi inibenti (4).

Condizioni favorevoli all’attacco: I fattori che controllano lo sviluppo dei funghi nel legno sono principalmente (4): Fattori fisici:

Temperatura: esistono funghi lignivori mesofili che si sviluppano nel campo di temperature

compreso fra +10 °C e +30 °C, psicrofili in grado di svilupparsi a temperature comprese fra +3 °C e +10 °C e termofili che prediligono temperature comprese fra +30 °C e +50 °C. Le spore hanno una ben maggiore resistenza, potendo sopportare senza perdere la facoltà germinativa temperature oscillanti fra -150 e +100 °C.

Umidità: l’umidità minima che ancora consente lo sviluppo dei funghi nel legno è dell’ordine del 18-20%; si tratta comunque del limite inferiore, in corrispondenza del quale solo certi tipi di funghi rimangono attivi, talora anche grazie a meccanismi di “sintesi” di acqua attraverso la degradazione chimica del legno oppure di trasporto di acqua da zone più umide; per contro, umidità eccessive portano a un rallentamento o arresto di molti tipi di attacco fungino a causa della scarsità di ossigeno (asfissia): ciò spiega la buona durata in opera di molti legnami se immersi permanente in acqua o nel terreno umido.

Luce: non svolgendo alcuna fotosintesi, il fungo non ha bisogno di luce, salvo nella fase di sviluppo del corpo fruttifero in cui una certa illuminazione è necessaria per una completa maturazione.

Fattori chimici:

Ossigeno: molti funghi lignivori sono aerobi, per cui un certo apporto di ossigeno è

indispensabile al loro sviluppo; come detto in precedenza, l’eccesso di acqua nei lumi

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cellulari può portare all’asfissia delle ife e quindi al blocco dello sviluppo dell’attacco; altri funghi posso svilupparsi anche in condizioni anaerobiosi (funghi della carie soffice).

Azoto: si tratta di un elemento nutritivo la cui abbondanza nel legno condiziona il tasso di sviluppo del fungo;

pH: ben pochi funghi lignivori tollerano una reazione alcalina, mentre in generale trovano condizioni ottimali di sviluppo in ambiente leggermente acido.

Dal punto di vista tecnologico è conveniente classificare i funghi che degradano il legno in base alle caratteristiche del loro attacco (4): Funghi cromogeni:

Invadono le cellule parenchimatiche a spese del lume cellulare senza intaccare chimicamente le pareti cellulari e le loro ife si limitano a impartire al legno una colorazione anomala. L’attacco e lo sviluppo del fungo avvengono nel legno a umidità maggiore del 30%.

Funghi cariogeni: Attaccano anche la parete cellulare demolendo la cellulosa e la lignina con enzimi selettivi e dando origine alla cosiddetta carie o marciume del legno. L’attacco e lo sviluppo del fungo avvengono nel legno a umidità maggiore del 20%. In base alle modalità di attacco si possono distinguere tre forme principali di carie: Carie Bruna:

Il fungo idrolizza a glucosio prevalentemente la componente cellulosica della parete, tramite l’azione di cellulasi in presenza di acqua; rimane intatta la matrice di lignina, appunto di colore bruno, che nel legno umido ha consistenza “burrosa”, mentre nel legno stagionato presenta sottili e profonde linee di sfaldatura, come mostrato in Figura 4, che formano un reticolo a maglia grosso modo parallelepipeda (appunto anche detta “carie a cubetti”).

Carie Bianca: Questo tipo di alterazione affianca all’idrolisi della cellulosa anche l’ossidazione della lignina, in proporzioni variabili a seconda della combinazione legno-fungo; il legno dapprima schiarisce, per poi ridursi a una massa fibrosa biancastra, visibile in Figura 5, talora concentrata in cavità intervallate da legno apparentemente integro.

Carie Soffice: Si riscontra in legni a umidità estremamente elevata, ad esempio legni permanentemente immersi in acqua; il legno attaccato da carie soffice si presenta, se umido, più scuro e soffice al tatto, come è possibile vedere in Figura 6, mentre da secco è solcato da fessurazioni intersecantesi tra loro. Questa carie, a differenza delle precedenti, avanza piuttosto lentamente e spesso è limitata a uno strato superficiale.

Figura 4 Esempio di attacco da carie bruna (6).

Figura 5 Esempio di attacco da carie bianca (6).

Figura 6 Esempio di attacco da carie soffice (7).

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Principali conseguenze dell’attacco fungino sul legno: La prima conseguenza di un attacco da parte di funghi è l’alterazione del colore naturale del materiale, dando origine a macchie, aloni, striature e variegature che vanno dal biancastro al roseo fino al verde-bruno o al grigio-nerastro (4). Tali alterazioni cromatiche devono essere considerate come stadi iniziali di vere e proprie carie del legno, in cui il materiale perde progressivamente peso e consistenza, con grave diminuzione della resistenza meccanica. Occorre sottolineare che a modeste perdite di massa corrispondono notevoli perdite di resistenza (a titolo di esempio, a una perdita di peso del 5% può corrispondere una perdita di resistenza a compressione assiale del 75%). E’ consuetudine esprimere qualitativamente lo stato di avanzamento della carie parlando di:

Legno ancora sano: quando il legno presenta una lieve alterazione di colore, ma offre una normale resistenza all’infissione del chiodo e “tiene” bene quest’ultimo; se percosso, il legno rimanda un suono chiaro e netto; tentando di staccare una piccola scheggia di legno, questa si rompe alcuni centimetri a destra o sinistra dal punto di leva.

Carie incipiente o dura: quando il legno ha già cambiato colore, il chiodo s’infigge un po’

troppo facilmente ma “tiene” ancora bene; se percosso, il legno rimanda un suono incerto e un poco smorzato; alla prova della scheggia, il segno si rompe assai vicino al punto di leva.

Carie avanzata o “molle”: quando il legno riceve con facilità il chiodo e successivamente

non lo “tiene” più saldamente; se percosso, il legno rimanda un suono sordo, quasi soffocato; la prova della scheggia non è in sostanza effettuabile perché il legno cede immediatamente nel punto di leva.

3.2.2 Insetti:

Se il degradamento del legname in opera dovuto ai funghi è spesso più grave di quello riferibile agli insetti, occorre tuttavia sottolineare che questi ultimi sono in grado di attaccare il legname ben stagionato, ponendo problemi anche in situazioni in cui i funghi non destano alcuna preoccupazione. Il danno tipicamente provocato dagli insetti nel legno stagionato è dato dallo scavo di gallerie all’interno del materiale. Tali gallerie sono scavate principalmente dalle larve dotate di robustissime mandibole. Demolendo il legno, le larve si nutrono di alcune categorie di estrattivi (amidi e sostanze di riserva), oppure di componenti della parete cellulare, lasciando dietro di sé il cosiddetto rosume o rosura, formato da polvere di legno mescolata a escrementi, sotto forma di granuli, cirri oppure polvere impalpabile (4). L’aspetto, il diametro e l’andamento delle gallerie, nonché la granulometria del rosume, come si può vedere in Tabella 1, sono caratteri diagnostici tramite i quali l’esperto identifica il gruppo tassonomico responsabile dell’attacco. Quest’ultimo risulta evidente all’esterno in virtù dei fori presenti sulla superficie legnosa, che sono detti fori di sfarfallamento. Il ciclo vitale degli insetti xilofagi avviene come di seguito (4): deposizione delle uova da parte della femmina adulta fecondata, sviluppo della larva per un periodo assai variabile, dopo il quale si dirige verso la superficie del legno; al di sotto di essa si ricava una celletta in cui s’impupa, per poi completare la metamorfosi in insetto perfetto, rompendo quindi l’ultimo diaframma di legno e sfarfallando all’esterno. A questo punto l’adulto va alla ricerca dell’individuo di sesso opposto per l’accoppiamento, dando inizio a un nuovo ciclo vitale. Spesso il gradimento degli insetti si rivolge in primo luogo all’alburno (ricco di sostanze nutritive) e al legno primaticcio (più tenero), nonché al legno soggetto a iniziale alterazione da funghi.

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Tabella 1 Descrizione dei principali insetti xilofagi. Il tipo di danno è sia estetico (fori in superficie) che meccanico in quanto le gallerie riducono la sezione resistente efficace del pezzo. Tra una galleria e l’altra, tuttavia, il legno conserva sostanzialmente le sue proprietà meccaniche originali, per cui un moderato attacco d’insetti, può non aver modificato significativamente la capacità portante di una trave lignea. Ai fini diagnostici è importante sottolineare alcune eccezioni rispetto alla descrizione appena presentata ovvero insetti che scavano gallerie e lasciano fori sulla superficie del legno, ma non sono in grado di attaccare il materiale stagionato. Si tratta principalmente di Platipodidi e Scolitidi, le cui femmine adulte scavano nel legno allo stato fresco gallerie destinate alla deposizione delle uova; tali gallerie si ricoprono rapidamente di muffe (funghi del genere Ambrosia) conferendo al foro di entrata visibile dall’esterno un caratteristico alone nerastro. Le larve di questi insetti non sono in grado di rodere il legno, e si nutrono dell’Ambrosia (4). I due principali tipi d’insetti che causano il degradamento del legno sono coleotteri, insetti che allo stato adulto sono caratterizzati da un rivestimento esterno (esoscheletro) molto sclerificato e termiti. Le specie di coleotteri che vivono a spese del legno in opera sono diverse e comunemente vengono indicate col nome di tarli, capricorni, ecc. e si riportano in Figura 7 i più conosciuti, sia per la pericolosità sia per frequenza di attacco.

Famiglia: Nome Scientifico

Fori di Sfarfallamento Rosume Descrizione

Anobidi: -Anobium punctatum Degeer

(o “tarli”) - Xestium rufovillosum Degeer

(o “orologi della morte”)

Circolari 1,5-3 mm di diametro

A margine chiaro

Caratteristica forma ellissoidale al microscopio

Sono noti come “orologi della morte” per i rapidi picchiettii ripetuti a

frequenti intervalli, ottenuti dall’adulto battendo la fronte sulle pareti della galleria come richiamo

sessuale.

Lictidi: -Lyctus brunneus Stephens

Circolari 1,5-2 mm di diametro

A margine chiaro Farina impalpabile

I danni possono essere veramente enormi, anche grazie alla capacità di

svilupparsi con cicli brevi (uno l’anno), riducendo le strutture in

finissima polvere. Cerambicidi:

-Hilotrupes bajulus (o “capricorno delle case”) -Hesperophanes cinereus

Tipicamente ellittici 7x4 mm

Farina grossolana giallastra

Raggiungono da adulti anche alcuni centimetri di lunghezza. Il senso delle gallerie è il più vario, raggiungendo

anche il centro della sezione.

Termiti (Isotteri) -Reticulitermes lucifugus Rossi (o “termite del legno umido”) -Calotermes flavicollis Fabr. (o “termite del legno secco”)

/ /

Il Reticulitermes, più pericoloso, nidifica nel terreno umido, da cui gli

operai partono per raggiungere il legno anche a notevoli distanze. La

superficie del legno attaccato rimane assolutamente intatta, mentre diventa all’interno una specie di cartapesta.

Figura 7 Esempi d’insetti che frequentemente attaccano strutture lignee. Da sinistra a destra: Hylotrupes Bayulus (o “Capricorno delle case”), Anobium Punctatum, Xestobium Rufovillosum (o “Orologi della morte”), Lyctus, Hesperophanes, Termiti (8).

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3.2.3 Batteri e Organismi marini: Alcuni batteri attaccano il legno fresco, poiché non hanno bisogno di ossigeno (sono anaerobi). La loro azione, se protratta per lungo tempo come nel caso di uno stoccaggio in acqua, porta alla distruzione delle membrane delle punteggiature (aumento della permeabilità), e al consumo delle sostanze di riserva; le caratteristiche meccaniche non ne vengono invece alterate. Un altro tipo di attacco batterico si può verificare negli alberi in piedi. Il caso più importante in Italia è l’attacco batterico detto “cuore nero” sul pioppo, in particolare sugli ibridi coltivati. In questo caso, l’umidità del “cuore” è assai elevata, con conseguenti difficoltà di essiccazione, e lo sfogliato ottenuto viene notevolmente deprezzato (5). Un attacco analogo viene spesso segnalato anche per l’abete bianco (“cuore bagnato”). Gli organismi marini più frequentemente segnalati come agenti di degradazione del legno sono le Teredini (molluschi) e la Limnoria (crostacei). Essi attaccano palificazioni di pontili, legname nei porti, imbarcazioni di legno. I danni provocati possono essere ingenti, poiché l’estensione delle gallerie può ridurre parecchio la sezione resistente del legno (5). 4. Durabilità naturale del legno: La durabilità naturale del legno, intesa come la capacità di resistere all’attacco di un agente biologico senza alcun trattamento preservante, varia significativamente da specie legnosa a specie legnosa e, per una stessa specie legnosa, è maggiore nel durame rispetto all’alburno (4). La UNI EN 350-1 “Durabilità del legno e dei prodotti a base di legno. Durabilità naturale del legno massiccio. Guida ai principi di prova e classificazione della durabilità naturale del legno” suddivide le specie legnose in varie classi, riportate nella Tabella 2, in base alla capacità di resistere all’azione demolitrice di specifici organismi xilofagi in condizioni normalizzate e di attacco: si rileva la sostanziale non durabilità dell’alburno di qualsiasi specie legnosa nei confronti dei funghi xilofagi e la necessità di definire la durabilità del durame di una specie legnosa separatamente per i vari tipi di agenti biologici distruttori del legno (funghi, diversi gruppi di coleotteri, termiti ecc.) (5). E’ opportuno inoltre distinguere: Durabilità: Intesa come potenzialità di durare della particolare specie legnosa, che può essere naturale, se riferibile alla presenza nel durame di estrattivi in grado di proteggere il materiale, oppure conferita, se ottenuta mediante immissione nel legno di appositi prodotti a opera dell’uomo (trattamenti preservanti).

Durata: Intesa come durata effettiva in opera di un manufatto, dipendente dalla combinazione di durabilità del legno, caratteristiche del manufatto ligneo e condizioni di servizio in cui il pezzo si trova.

La classificazione della durabilità naturale sopra descritta trova il suo complemento nella classificazione delle condizioni ambientali in cui il legno viene messo in opera, condizioni che possono comportare un rischio più o meno elevato di degradamento dovuto ad agenti biologici (5). La norma UNI EN 335 prevede cinque Classi di rischio biologico riportate nella Tabella 3.

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5. Protezione e preservazione del legno: La protezione del legno comprende in generale le misure di qualsiasi tipo idonee a prolungare la durata in opera (1). Quando la protezione viene realizzata mediante l’introduzione nel legno di sostanze chimiche, allora si parla di preservazione del legno. Il ricorso alla preservazione per gli elementi lignei strutturali in opera, costosa e spesso potenziale fonte di problemi sanitari e ambientali, deve avvenire di regola quando oltre ogni altra misura di protezione si rivela insufficiente o inapplicabile nella situazione contingente (4). Fra le misure di protezione non chimiche si possono citare le seguenti: Uso di specie legnose naturalmente durabili; Controllo dell’umidità del legno in opera: mantenendo il legno costantemente al di sotto del

20% si eviteranno gli attacchi Fungini, ma non quelli d’insetti; tale controllo dovrà tenere conto di tutti i possibili meccanismi di apporto di umidità al legno: stato di stagionatura del materiale

Tabella 3 Classi di rischio biologico definite dalla UNI EN 335 (5).

Tabella 2 Classificazione della durabilità naturale e della trattabilità di alcune delle specie legnose più comuni secondo la UNI EN 350-1 (5).

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al momento della messa in opera, infiltrazioni di acqua piovana, risalita capillare di acqua dal terreno, contatto con materiali porosi bagnati, condensazione di umidità atmosferica, insufficiente ventilazione di ambienti tendenzialmente umidi ecc.;

Progettazione ed esecuzione dei dettagli costruttivi in modo da evitare ogni ingresso e/o ristagno di acqua nei manufatti; ad esempio: favorire lo smaltimento dell’acqua piovana, aerare le testate delle travi agli appoggi, ventilare sottotetti e altri locali potenzialmente umidi onde evitare formazione o permanenza di condense, prevedere scossaline o altre protezioni delle parti che ricevono direttamente la pioggia sulle sezioni trasversali ecc.;

Realizzare barriere fisiche impenetrabili agli insetti: reti a maglia sottile per le aperture di aerazione, oppure, nel caso di rischio di attacchi di termiti, setti di acciaio o cemento armato in corrispondenza di fondazioni, tubature, canali di scolo ecc.

I trattamenti preservanti sono, come già detto, di natura chimica, e possono essere classificati secondo diversi parametri quali (4): Scopo:

Trattamenti curativi: Volti a bloccare un attacco in corso, provocando la morte di tutti gli organismi xilofagi presenti nel legno.

Trattamenti preventivi: Volti a impedire qualsiasi futuro attacco.

Efficacia nel tempo:

Trattamenti temporanei:

Proteggono il legno per un tempo relativamente breve.

Trattamenti permanenti: Sono volti a conferire una sufficiente durabilità al legno per un tempo relativamente lungo; in genere l’efficacia dei trattamenti preservanti non supera l’arco di qualche anno, e occorre ripeterli.

Profondità di penetrazione: Trattamenti superficiali:

Di efficacia limitata, sono però economici e non richiedono grandi attrezzature.

Trattamenti in profondità: Più efficaci dei precedenti, sono però più costosi e richiedono attrezzature industriali adeguate (autoclave).

Procedimento impiegato:

Trattamenti non a pressione:

Si tratta di applicare il preservante a pennello, a spruzzo, per immersione, per diffusione ecc. Nel trattamento a immersione, applicato generalmente ai semilavorati, il materiale viene posto in vasche e tenuto a contatto con il preservante per un periodo di tempo che è in funzione della specie del legno, della natura del preservante e della forma e dimensione del

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legno da trattare, variabile quindi da pochi secondi a diverse ore. Il trattamento a spruzzo, effettuato con vaporizzatori appositi, è quello più applicato su grandi quantità di legname, come i depositi sotto tettoie e le cataste nei piazzali. Il trattamento a pennello è applicato invece su materiale finito e messo in opera, in particolare viene usato nel trattamento curativo, dove la scelta del prodotto preservante e del metodo di applicazione è fatta in funzione del tipo di danno che presenta il legno (5). (penetrazione: da 1-2 a 5 mm circa)

Trattamenti a pressione: Possono essere a pressione maggiore o minore di quella atmosferica e assicurano una buona penetrazione del preservante nel legno. Sono eseguiti in autoclave, dove il legno è sottoposto a cicli di vuoto e/o pressione, a seconda del metodo applicato (a cellula piena/Bethell – vuota/Rueping), in modo da favorire la penetrazione del preservante nell'interno del legno. I tempi e i valori di vuoto e pressione variano a seconda della specie legnosa, delle dimensioni del legno e della natura del preservante (5). Questi metodi sono applicati a legno che verrà messo in opera nel terreno o comunque dove il rischio di attacco biologico è molto elevato.

Trattamenti curativi particolari: Fumigazioni, gassazioni, eliminazione dell’ossigeno (anossia), bombardamento con radioisotopi, applicazione di radiofrequenze o microonde (questi ultimi, a rigore, non rientrano fra i trattamenti chimici preservanti, bensì fra le misure di protezione in genere).

Prodotti preservanti: Trattamenti con prodotti oleosi naturali:

Derivano dalla distillazione frazionata del catrame di carbone; il creosoto, tossico e applicabile solo in autoclave, è uno dei preservanti più efficaci e permanenti nel legno. Data la sua natura oleosa idrorepellente, conferisce al legno una maggiore stabilità e ne riduce notevolmente spaccature, fessurazioni e distorsioni (10). Il trattamento del legname con creosoto è indicato per impieghi caratterizzati da alto rischio di attacco biologico, nei quali il legno è a contatto col terreno ed esposto alle intemperie, come le traverse ferroviarie o il legname immerso nell’acqua di mare (11). In seguito alla Direttiva 2003/2/CE, l’utilizzo del creosoto ha restrizioni d’uso ed è proibito per legni destinati ad arredo urbano, edifici civili, giochi per giardini, imballaggi.

Trattamenti con prodotti in solventi organici: Sono costituiti da un composto attivo, insetticida e/o fungicida, disciolto in un solvente organico; tra i solventi più frequentemente utilizzati si ricordano il gasolio, il kerosene e il solvente nafta mentre le sostanze attive più comunemente impiegate sono il naftenato di rame, il naftenato di zinco, e il pentaclorofenolo (12). Si specifica che ultimamente si rivolgono sempre maggiori sforzi nella ricerca e nello sviluppo di nuovi e più sicuri prodotti, con attenzione rivolta verso la massima efficacia con il minor impatto ambientale. Tra gli

Figura 8 Esempio di trattamento a pressione in autoclave (9)

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insetticidi ad esempio, in sostituzione degli idrocarburi clorurati, vietati nel nostro paese, sono stati introdotti gli organofosfati, i carbammati e i piretroidi (11). Questi trattamenti sono applicabili su elementi in opera sia a scopo preventivo sia curativo.

Trattamenti con prodotti solubili in acqua: Sono generalmente costituiti da una miscela di sali inorganici disciolti nell’acqua. Il più famoso è il CCA (soluzione a base di rame, arsenico e cromo), però oggi rimpiazzato da altri composti ternari in cui l’arsenico, di cui la Direttiva 2003/2/CE ne vieta l’utilizzo, è sostituito da prodotti meno tossici come boro (CCB), fosforo (CCP), fluoro (CCF), anche se questi rimangono più dilavabili (11). Come solvente per i preservanti del legno l’acqua presenta diversi vantaggi, poiché, oltre ad essere a basso costo e largamente disponibile, penetra facilmente nel legno e non è tossica; tuttavia comporta anche degli svantaggi perché provoca instabilità dimensionale nel materiale e perché, come già detto, i prodotti in essa disciolta sono facilmente dilavabili (11).

Trattamenti con prodotti in forma gassosa: Fumiganti, sublimanti (applicabili su elementi in opera, a scopo curativo, ma non preventivo).

Causa del degrado:

Contro insetti:

Prima di procedere al trattamento bisogna stabilire se l’attacco è esaurito oppure se è ancora in atto e i segni più evidenti di un attacco in atto sono la presenza di fori di sfarfallamento a margine netto e chiaro, di coni di segatura sopra o sotto il materiale in esame e d’insetti xilofagi nell'ambiente (13). In un’infestazione in atto non è da sottovalutare la presenza di pochi fori di sfarfallamento nel legno, perché c'è il rischio dell'aumento del danno nel tempo e della diffusione dell'infestazione su altro materiale ligneo ancora indenne, per cui è necessario intervenire tempestivamente. Nel caso in cui si sospetti la presenza di larve nell'interno, l'indagine esterna può essere utilmente coadiuvata dall'esame radiografico, che rileva eventuali larve nelle gallerie e permette di valutare anche le condizioni del legno nell'interno senza danneggiarlo. Accertata la presenza di un attacco in atto, si procede con la disinfestazione del materiale ligneo tramite prodotti capaci di raggiungere e uccidere le larve che si trovano nelle gallerie interne, senza danneggiare il legno. Le sostanze comunemente usate sono insetticidi disciolti in solventi organici e gas tossici, mentre si consiglia di evitare l'uso di prodotti in soluzione acquosa che possono causare variazioni dimensionali del legno (4). Il trattamento deve essere eseguito con estrema cura, tramite iniezioni dell'insetticida nei fori di sfarfallamento. In un trattamento curativo è necessario che l'insetticida penetri più profondamente possibile nell'interno del legno. E' da tener presente che l'assorbimento medio generalmente è di circa 120 g/m2 di legno sano dopo una mano mentre nelle applicazioni successive si ha un assorbimento molto inferiore. Nel legno attaccato da insetti l'assorbimento è facilitato dalle gallerie larvali che favoriscono la penetrazione del liquido nell'interno del legno (13). Nel caso di massima degradazione del legno, si possono impiegare specifici preservanti contenenti anche resine sintetiche, che una volta evaporato il solvente, formano con il rosume degli insetti una massa solida nell'interno delle gallerie larvali conferendo così una maggior consistenza al legno (13). Nel caso di un attacco da termiti sotterranee è necessario individuare e distruggere il nido e successivamente effettuare un trattamento chimico nel suolo intorno alla costruzione per impedire l'accesso alle termiti oppure si utilizza una nuova metodologia a bassissimo

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impatto ambientale che impiega esche alimentari cellulosiche formulate con Esaflumuron, un Regolatore di Crescita degli insetti, con effetto chitino-inibitore, trasmesso dagli stessi operai al nido ritornando alla colonia (4).

Contro i funghi: Nel caso di legno attaccato da funghi da carie, alterazione che si riscontra su legno messo in opera in particolari condizioni di umidità bisogna tener conto che questi funghi, demolendo i costituenti principali della parete cellulare, diminuiscono notevolmente le caratteristiche fisico-meccaniche del legno. Una trave portante attaccata da funghi deve essere quindi consolidata poiché vi è sempre il rischio di un crollo e se l'attacco da funghi si riscontra su travi che non hanno interesse storico o artistico ne è consigliabile la sostituzione. Riguardo al risanamento, per prima cosa è necessario eliminare la fonte di umidità che ha permesso l'insediamento dei funghi nel legno e in seguito deve essere effettuato il trattamento con fungicidi in solvente organico (13).

6. Scelta del trattamento: L’efficacia di un trattamento preservante può essere valutata sulla base dei seguenti criteri (4):

Prestazioni principio attivo: Tossicità (per contatto o per ingestione) nei confronti degli organismi xilofagi.

Penetrazione: Profondità raggiunta dal principio attivo (e non soltanto dal solvente, destinato comunque a volatilizzarsi in un tempo solitamente breve). Questo parametro è funzione sia della classe di impregnabilità, sia del tipo di trattamento preservante (con o senza pressione).

Ritenzione:

Si esprime, a seconda dei casi, in kg per m3 di legname impregnato oppure in g per m2 per i trattamenti superficiali.

Permanenza e stabilità: In base a una più o meno spiccata volatilità e/o dilavabilità del principio attivo, occorrerà prevedere un rinnovo periodico del trattamento preservante.

Dal punto di vista puramente tecnologico, comunque, i principali parametri da considerare per valutare la necessità, la fattibilità e l’efficacia di un trattamento preservante sono i seguenti tre:

La classe di rischio biologico in cui ricadrà il legname in opera; La classe di durabilità della specie legnosa; La classe di impregnabilità della specie legnosa.

I primi due parametri sono già stati illustrati rispettivamente nelle Tabelle 3 e 2 mentre il terzo parametro, e cioè la classe di impregnabilità, è descritto dalla Tabella 4 adattata dalla UNI EN 351-1:2008. Si sottolinea che l’impregnabilità è correlata alla profondità di penetrazione raggiungibile da un liquido nel legno a seguito di trattamenti a pressione più o meno prolungati e che risulta un carattere estremamente variabile in funzione delle diverse provenienze geografiche e dello stato di essicazione o stagionatura del materiale al momento del trattamento preservante (5).

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Si sottolinea inoltre che i preservanti del legno sono considerati “presidii medico-chirurgici” e sottoposti ai regolamenti del Ministero della Sanità. I preservanti risultano più o meno tossici ai mammiferi a seconda dei principi attivi in essi contenuti e della loro concentrazione. Rischi per la salute degli operatori si possono avere sia durante il trattamento del legno, specialmente quando questo viene eseguito con mezzi artigianali, sia durante la lavorazione del legname trattato, per inalazione di polvere di legno contaminata dal preservante. 7. Metodi di applicazione per legname strutturale in opera:

Trattamenti superficiali: Questi metodi sono definiti nella uni en 351-1:1998 come procedimenti che non presentano caratteristiche destinate a modificare la resistenza naturale del legno alla penetrazione di un preservante nella sua forma pronta all’uso. E’ previsto per essi l’impiego di attrezzature relativamente semplici e non una particolare qualificazione da parte degli operatori. Con questi metodi superficiali (applicazioni a pennello, a spruzzo, a spazzola) il legno viene rivestito da una sottile “camicia” protettiva. L’efficacia del trattamento è in primo luogo preventiva, poiché la limitatissima penetrazione al di sotto della superficie legnosa (1-2 mm nelle superfici laterali, fino a qualche centimetro nelle sezioni di testa) non consente di norma l’uccisione delle larve d’insetti e dei funghi attivi all’interno dell’elemento (4).

Trattamenti di impregnazione: Nella norma UNI EN 351-1:1998 si definisce “impregnazione” il trattamento preservante che presenta caratteristiche (o comporta l’uso di tecniche) destinate a modificare la resistenza naturale del legno alla penetrazione di un preservante nella sua forma pronta all’uso. I metodi normalmente utilizzati per il trattamento in autoclave dei segati (“a cellula piena”, “a cellula vuota”, “Vac-Vac” ecc.) sono ovviamente improponibili per il materiale in opera. Una tecnica invece utilizzabile è quella delle iniezioni profonde, in cui il preservante viene iniettato a pressione più o meno elevata all’interno di fori praticati a diverse profondità nel legno. Il metodo risulta di maggiore efficienza nell’alburno, mentre di norma il preservante non riesce a diffondersi adeguatamente all’interno del durame, anche ricorrendo a pressioni elevate. Per assicurare una “copertura” completa quindi, risulterebbe necessario ricorrere a iniezioni distanziate

Tabella 4 Classi di penetrazione del preservante nel legno con le richieste di penetrazione e zone analitiche corrispondenti definite dalla UNI EN 351-1. (*) La zona di legno trattata che viene analizzata e nella quale deve essere presente il quantitativo di preservante considerato idoneo per la protezione del legno (secondo le prove biologiche prescritte in UNI EN 599/1) in riferimento alle varie classi di rischio biologico.

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di una decina di centimetri al massimo, con conseguente elevatissimo numero di fori che rimarrebbero sull’elemento a trattamento eseguito. Per tali motivi, l’adozione di questo metodo deve essere attentamente valutata caso per caso, ricorrendovi solo laddove le condizioni operative consentano ai benefici di superare le notevoli controindicazioni (4).

Particolari metodi curativi: Alcuni trattamenti efficaci contro le gravi infestazioni d’insetti xilofagi, anche se pericolosi per la tossicità dei composti e la difficile controllabilità dei gas, consistono nel circondare il manufatto ligneo con un’atmosfera tossica, ad esempio in gas velenosi quali il bromuro di metile o altri, in modo tale da sterminare tutti gli individui presenti nel legno e sradicare l’infestazione in corso. Non pericolosi, ma pur sempre da eseguire a cura di esperti, sono i metodi di disinfestazione del legno praticata mantenendo il materiale in atmosfera priva di ossigeno (ad esempio in azoto, oppure anidride carbonica). Il vantaggio della non tossicità dei gas utilizzati è bilanciato dalla difficoltà a mantenere l’ossigeno a livelli sufficientemente bassi da ottenere la morte per asfissia degli insetti xilofagi. Questi metodi hanno sempre carattere esclusivamente curativo, per cui la protezione del legno dopo la disinfestazione dovrà essere necessariamente affidata a un opportuno trattamento preservante, ad esempio a pennello, a spruzzo o simile (4). A. Allegato:

Procedura decisionale:

Si fornisce in allegato una sintesi del processo decisionale (4), utile al progettista per effettuare le scelte più appropriate.

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Bibliografia: (1) Bertolini, L. (2006). Materiali da costruzione. Volume II - Degrado, prevenzione, diagnosi,

restauro. Torino: CittàStudi Edizioni. (2) Laner, F. (2005). Diagnostica delle strutture lignee. Verona: Flap Edizioni. (3) Natterer, J., Herzog, T., & Volz, M. (1999). Atlante del legno. Torino: UTET. (4) Uzielli, L. (2003). Il manuale del legno strutturale. Genova: Mancosu Editore. (5) Gambetta, A. (2001) Durabilità e Protezione del Legno. CNR.pdf (6) http://www.urbantree.it/le_carie.html (7) http://dau049.poliba.it/admin/doxer/doc/26_1277368548.pdf (8) http://www.tettoepareti.com/TEPL_MARZO_07_DURABILITA_LEGNO.pdf (9) http://www.ivse.com/it/ (10) http://www.timberengineering.it/unifi/documenti-unifi/Tecnologia%20del%20legno.pdf (11) http://www.infobuilddossier.it/view_approfondimenti.php?id=49&id_dossier=1 (12) http://www.grupponulli.it/ (13) http://www.ricercaforestale.it/