16 - Ars Hermetica

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Quaderni del Gruppo di Ur XVI ARS HERMETICA I Edizione Agosto 2006 - II Edizione Novembre 2007 L'Arcangelo Dada

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Quaderni del Gruppo di Ur

XVI

ARS HERMETICAI Edizione Agosto 2006 - II Edizione Novembre 2007

L'Arcangelo Dada

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Ogni quaderno del Gruppo di Ur raccoglie, in forma organica e sintetica, quanto emerso nell'omonimoforum, in relazione ad un determinato argomento. In esso si trovano, perciò, sia citazioni degli autoristudiati, sia commenti. I quaderni si devono considerare in continuo aggiornamento, dal momento chel'emergere di nuovo materiale sull' argomento trattato può rendere opportuna una nuova edizione.

INTRODUZIONE

La I edizione di questo quaderno prendeva in considerazione la produzione artistica dei membri di Ur,limitatamente ai componimenti presenti in Ur/Krur e ad altri ad essi in qualche modo correlati. Lo scopoera - si diceva - non sostituirsi "al lavoro degli specialisti in letteratura, ma solo fornir loro i giusti spunti edesempi, affinchè lo studio della letteratura esca dallo stucchevole ambito, nel quale la criticamaterialistica e parolaia ha reiteratamente preteso di rinchiuderlo".In questa II edizione, si è pensato di aggiungere, come termine di confronto, alcuni inni antichi emoderni ed un cenno a quelle importantissime formule di invocazione che sono gli Indigitamenta.

1a) Venvs Genitrix ed Ea: I due periodi Artistici di J.Evola. 1b) Julius Evola: Stimmungen (a cura di Ea)2a) Girolamo Comi: L'Urgenza della Luce (a cura di Gic)2b) Girolamo Comi: Critica della critica (a cura di Gic)2c) Girolamo Comi: Il Cantico del Suolo (a cura di Gic, con una nota di Fabritalp)2d) Girolamo Comi: Dal Cantico del Tempo e del Seme (Estratti a cura di Gic)3a) Arturo Onofri: Nuovo Rinascimento come Arte dell'Io (Sintesi a cura di Oso)3b) Arturo Onofri: Una Volontà Solare (a cura di Oso, con una nota di Sipex)3c) Arturo Onofri: L'Uomo Calorico cioè Saturno (a cura di Oso)3d) Arturo Onofri: Fra il Glaciale Profumo del Sereno (a cura di Oso)4a) Nicola Moscardelli: Le Ali Perdute (a cura di Sirio)4b) Nicola Moscardelli: Resurrezione (a cura di Sirio)4c) Nicola Moscardelli: Mesi e Segni (a cura di Sirio)4d) Nicola Moscardelli: Il Sogno del Pastore (a cura di Sirio)4e) Nicola Moscardelli: La Stella del Pastore (a cura di Sirio)5a) Emilio Servadio: Da Segreti del Mestiere (Estratti a cura di Es, con una nota di Ea)5b) Emilio Servadio: Angoscia (a cura di Es)5c) Emilio Servadio: Canto dell'Ebreo Errante (a cura di Es, con una nota di Occhi di Ifà)5d) Emilio Servadio: Fioritura (a cura di Es)5e) Emilio Servadio: Liriche (a cura di Es)6) Massimo Scaligero: Trasmutazione Calcarea (a cura di Massimo)7a) Guido de Giorgio: I Poeti (a cura di Havismat)7b) Guido de Giorgio: Salmo del Poeta (a cura di Havismat)7c) Guido de Giorgio: O Tu (a cura di Havismat).8) Inni e Indigitamenta: Introduzione di Abraxa8a) Carmen Arvale (a cura di P. Negri, Sipex, Unltraviolet, Ekatlos, Tarquinio P. ed Ea)8b) Ovidio: Dall' Inno a Mercurio e Invocazione del mercante a Mercurio (a cura di Ida La Regina)8c) Mesomedes: Inno a Calliopea (a cura di Ekatlos)8d) Costantino Kavafis: Itaca (a cura di Occhi di Ifà)8e) Platone: Inno a Pan (a cura di Ekatlos)8f) INDIGITAMENTA (a cura di Venvs G., Ekatlos e Sipex)

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1a) I Due Periodi Artistici di Julius Evola

Venvs Genitrix: Nel capitolo L'Arte Astratta e il Dadaismo, presente nella sua biografia, Il Cammino delCinabro (1972), Evola, dopo aver ricordato l'edizione 1969 della sua raccolta di poesie "Raaga Blanda",ebbe a scrivere: "Non scrissi, però, poesie nè dipinsi più dopo la fine del 1922". Questo brano è piuttostoimportante, perchè dimostra che i dipinti evoliani del suo "secondo periodo artistico" non furonorealizzati prima degli anni '70 e che perciò è errata la datazione di alcuni di essi negli anni '60, che sipuò trovare anche in testi specializzati. Ovviamente, a meno di non pensare che egli abbia detto ... unabugia.Datazione a parte, non ho notizia di testi teorici di Evola sull'arte, scritti in questo secondo periodo eperciò è, almeno per me, un mistero il motivo di questo suo ritorno all'arte. Tra i suoi nuovi dipinti nonmancano "paesaggi interiori", affini a quelli del primo periodo, ma compaiono anche altri temi: ad es.quello che è probabilmente il primo tra i nuovi dipinti (perchè se ne ha notizia già nella rivista Playmendel Marzo 1971) ha per titolo "Nudo di Donna (afroditica)". Esso fa coppia con un altro dal titolo "LaGenitrice dell'Universo". Per completare il trittico degli archetipi femminili, ricordati da Evola in Rivoltacontro il Mondo Moderno, manca solo il dipinto dell'Amazzone.

Evola-Nudo di Donna Afroditica Evola-La Genitrice dell'Universo

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EA: L'atteggiamento di Evola nei confronti dell'Arte è probabilmente uno degli aspetti chiave di tutta lasua esistenza. Iniziando la sua attività culturale proprio come artista, si pose il problema di quale ruolol'Arte dovesse svolgere per lui. Ne propose una soluzione definitiva nella Fenomenologia dell'IndividuoAssoluto, dove l' "Arte pura" appartiene alla II epoca (epoca della Personalità), superando perimportanza 'coscienza' scientifica, filosofica e mistica, ma tuttavia non rientrando nella III epoca(epoca della Dominazione). Volendo imboccare con determinazione tale terza epoca, Evola, diconseguenza, abbandonò l'Arte. Per intendere tale decisione, occorre tener presente il solipsismo chepervadeva l'attività evoliana di quell'epoca. Non è che lArte occupasse necessariamente il postoassegnatogli da Evola, anzi nella maggioranza delle tradizioni essa svolge ruoli importanti anchenella III epoca: si pensi ad es. ai carmi rituali, che sono ad un tempo poesia e formula magica, e aiquadri di certi pittori-maghi, che costituiscono vere e proprie 'sigillazioni' della loro volontà. Dunque l'artesi chiudeva nella II epoca per Evola e solo per lui. Ci si può chiedere il perchè di una scelta così fuori del comune. Da un lato, potè trattarsi della volontàdi purificarsi da quello che potè sembrargli un attaccamento, allontanandosi da una attività per laquale sentiva una naturale e forte propensione: l'Arte appunto. Ma c'è anche un altro motivo piùprofondo: Evola aveva notato che uno dei maggiori problemi degli occultisti era il cadere in formedi visionarismo e scelse di scavalcare a piè pari questo ostacolo, rinunciando alle visioni. Lo diceesplicitamente, scrivendo con lo pseudonimo di Iagla, in Introduzione alla Magia, in un brano del saggio"La Legge degli Enti", che altri hanno già citato: "Conobbi le 'presenze', conobbi ciò che è, senza averecorpo. Ma non sotto specie di imagini astrali, invece 'intensivamente', come sensazioni di 'campi di forza'- per usare questo termine molto espressivo dei fisici. Il mio atteggiamento costante di volontà mi portò arapporti immedesimativi e 'sprofondamenti' che paralizzavano la visione. Conobbi, in ogni modo, chefulmini, tuoni e tempeste non vi sono soltanto nel mondo fisico. Divenni prudente. Seppi rinunciare amolto, a fine di tener fermo nel campo al quale via via mi restringevo".Poichè soprattutto l'arte pittorica, ma anche, in genere, quella poetica presuppongono invece levisioni, occorreva per coerenza allontanarsi da esse. Come abbiamo già detto, nel periodo di Ur,l'atteggiamento esageratamente solipsistico di Evola si era smorzato e l'Io era stato piùappropriatamente sostituito dal "Noi" iniziatico. Perciò Evola, visti anche gli esempi di Onofri, Comi,Servadio etc, era perfettamente consapevole di ciò che l'arte poteva offrirgli, ma fu ugualmenteirremovibile. Ne è una controprova l'altro saggio di Intr. alla Magia, "Poesia e Realizzazione Iniziatica",scritto poco dopo la morte di Onofri. Leggendolo, chiunque avverte che l'esposizione è frammentaria e'trattenuta' e che si sarebbe potuto dire molto di più. Anche l'affermazione evoliana "dovremmo rilevarediverse 'irregolarità' negli elementi di 'scienza occulta' antroposoficamente influenzati accettati dall'Onofri(ci sarebbe impossibile sottoscrivere alle posizioni dottrinali da lui abbozzate nel libro NuovoRinascimento come Arte dell'Io)" lascia perplessi: come sta dimostrando il nostro Oso, [vedi oltre inquesto stesso Quaderno], i significati di quel trattato sono esprimibili in un linguaggio assolutamenteuniversale, e perciò prescindendo da specifiche coloriture antroposofiche. Si ha dunque nettal'impressione che, nel suddetto saggio, Evola sia restio ad aggiungere qualsivoglia argomentazioneteorica, che lo indurrebbe necessariamente a dover riconsiderare anche le proprie posizioni.Fu senza conseguenze la sua scelta nei confronti dell'Arte? Ovviamente no: se tale determinazione glifece scudo nei confronti di eventuali flussi visionari incontrollati, d'altro canto tagliò anche ilcontatto consapevole con gli elementi sottili (tanmatra), che hanno come precipua forma dimanifestazione proprio quella dei colori interiori. Ricordiamo che appunto come uno svanire neglielementi-colori è spesso descritta quella "soluzione del corpo fisico", che è caratteristica della fase piùavanzata dell'alchimia.A un livello più modesto dello svanire dell'intero corpo materiale, può collocarsi lo svanire di malattie ecomplessi morbosi, onde sempre l'alchimia fu connessa con la medicina. Evola, nel 1945 a Vienna acausa di un bombardamento, subì un incidente che gli arrecò una paresi parziale degli arti inferiori. Ariguardo, ne Il Cammino del Cinabro (1972) scrive di tale contingenza: "...coglierne il suo senso piùprofondo per l'insieme della mia esistenza: questa sarebbe stata dunque l'unica cosa importante ... Delresto nel punto in cui, per via di una maggiore luce, un 'ricordo' del genere fosse affiorato o affiorasse,sarebbe data sicuramente anche la possibilità di rimuovere, volendolo, lo stesso fatto fisico. Ma la nebbiaa tale riguardo non si è ancora sfittita". Sono convinto che, negli ultimi anni della sua vita, unbarlume di quel platonico 'ricordo' dovette in lui affiorare: intuì quale scotto aveva pagato, rifiutandosic et simpliciter le visioni interiori. Tornò allora ad esse e all'Arte e a dipingere i suoi "PaesaggiInteriori", che stanno oggi a testimoniare il suo vecchio e nuovo Opus Lucis. Tuttavia, era troppo tardi perrealizzare l'Opus Completum in una sola vita, "in un solo cranio", come si dice in Oriente.Riguardo ai due quadri sugli archetipi femminili, ritengo che si tratti proprio di un dittico e non di un

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trittico incompiuto, perchè, più che alla sua tipologia delle "razze dello spirito", egli, in quei quadri,sembra rifarsi ad un passo della Metafisica del Sesso (già ricordato nel Quaderno sui Fedelid'Amore): "... nel complesso di tutto quanto è evocazione e partecipazione possono venire distinte duevie che, rispettivamente, stanno nel segno dei due archetipi femminili fondamentali: Demetra e Durga. Laprima via si basa sul principio femminile-materno considerato come scaturigine del sacro, e conduceverso una immortalità, una pace e una luce quasi sulla stessa linea di ciò che nello stesso ambitoprofano e umano può venire a chi prende rifugio presso la donna materna; ... La stessa figura di donna sipotenzia nel mito nei termini della Vergine celeste e della Madre divina mediatrice. L'altra via passainvece per Durga, il femminile afrodisiaco abissale, e può essere tanto via di perdizione quanto via disuperamento della Madre nel segno di quelli che noi abbiamo chiamato i Grandi Misteri in sensoproprio".Orbene, tale doppia scelta non si presenta solo nel campo della metafisica del sesso, ma sulla viaermetica in genere ed Evola, nella nostra ipotesi, si accorse che, per quanto riguarda le visioni, egli dagiovane aveva scelto proprio l'apparentemente sicura via 'materna', si era cioè protetto esageratamenteda quei pericoli che le visioni interiori indubbiamente presentano.L'insegnamento basilare, concernente le visioni, è che esse non vanno "nè abbandonate, nèseguite". Nel suddetto Quaderno sui Fedeli d'Amore, parlando dei comuni sogni, è stato indicato che giàl'interpretare le visioni, l'elucubrare su di esse, è un errore, perchè costituisce un aspetto del "seguire",dell'attaccarsi ad esse. Evola, nella fase centrale della sua vita, errò invece in senso opposto,imponendosi di "abbandonare" forzatamente le visioni. Solo negli ultimi anni probabilmente comprese deltutto questo aspetto dell'Arte della Bilancia.

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1b) Julius Evola

Stimmungen

Stimmungen (tendenze) è un insieme organico di quattro brevi componimenti evoliani, chefanno parte della raccolta Raaga Blanda. Le poesie di tale raccolta risalgono al periodo1916-1922 e le Stimmungen sono tra le primissime composizioni. Esse sono quattroistantanee di quattro diverse stagioni: un furioso temporale estivo che va scemando inriva al mare, un reiterato crepuscolo invernale ventoso e piovigginoso, una giornataprimaverile del popolo dei fauni, un autunno di altra epoca ove il diminuire della luce solaree i primi freddi si rispecchiano nelle lente voluttà di un luogo riparato. Nell'opera "Rivoltacontro il Mondo Moderno" Evola, in relazione alla dottrina dei cicli cosmici, dirà: - Valerilevare che tutto ciò non rimanda ad un fatalismo; ...Anche per tal via si conferma ...laconcezione qualitativa del tempo vivente, nel quale ogni ora e ogni tratto ha il suo voltoe la sua "virtù" -. Ha cioè..."tendenze". I versi, eccezion fatta per i punti esclamativi, sono senza punteggiatura. Sono gli spazibianchi e le iniziali maiuscole dei capoversi a indicare le pause di lettura.

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Un vento incolore va per gli sbadigli della solitudine e asperge neri crisantemiCome sempre sorde e possenti sotto il cielo piovoso marciano senza meta grandi moltitudiniUn mare sporco ribolle ancora dopo la tempesta esso ha lasciato relitti di ignoti naufragisulle sponde e ora dei vecchi li raccolgono pei loro fuochiVi è una sognante sfilata di vascelli-fantasma al tramonto, o mia anima!Una berceuse pallida e antica nel mio sangue verso i salici curvi sull'acquitrino.

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Nei crepuscoli piovigginosi andava pel fangoso stradone suburbanoPortava un peso troppo greve per lui il vento gli frustava il voltoMucchi di rifiuti addossati alla muraglia bruciavano insensibilmente mandando lente spire difumoOgni cosa era triste e grande e abbandonataOgni cosa gli sembrava essere stata già vista già soffertaNell'ombra dall'odor di resina coppie avvinte e un rotolio lontano di carri gli stringeva ilpettoIl cielo sbiadito agonizzava nel ventoCome lui come lui

3

Tepide rose s'incurvano chiome aeree tessono in un opale stemperato mobili cerchiVi sono festoni fra le piante pel passaggio di un popolo propizio in tulle freschezza digiovane primavera sotto un cielo celeste-maiolica ai balconi piccoli fauni applaudonoalle orchestrine che se ne vanno alla campagna a passo di minuettoAl disopra delle cupole di raso vi sono grandi girandoleUna lieve brezza sulle colline fra i fiori di pesco e le zàgare fa aprire grandi occhi stupitiSoltanto nell'iperbole silenziosamente scrosciante del meriggio alcuni servitori in neroescono a raccogliere veli scuri che sono distesi sul paesaggio e di cui forse nessuno si èaccorto.

4

E' giunto il tema di novembre addioUltime partenze di galee amarantoO vapori di pioggie ancora tepide sui viali deserti!I primi brividi e i primi tenui veli nel paesaggio interioreNello scoloramento della seteria dell'anima si raccoglie la suadente sapienza di lente voluttàin questo buen retiroNella sua mezza luce fluttuano spire azzurrine di sigaretta in specchi appannati violette eargento profumo caldoChiudi chiudi le porte della serraTu sei vicina strana cosa viziosa tu attendi distesa le mie mani che ti liberino dalle vestiper offrire le lunghe carezze al tuo giovane corpo nudo al sorriso ambiguo di quella testa distatua khmera che sola emerge là in fondo nella penombra dove già filtra unamonotona ebrezza

2a) Girolamo Comi

L'Urgenza della Luce

Un concetto fondamentale della poetica di Girolamo Comi è quello di "Stato Poetico". Il termine fuereditato, con ogni probabilità, da Paul Valéry con cui Comi fu in amicizia, nel periodo trascorso inFrancia, antecedentemente alla I Guerra Mondiale. Tuttavia il suo significato fu inevitabilmentemodificato dalle conoscenze esoteriche di Comi. Ad esso dedicò due opere in prosa: Poesia eConoscenza, Roma 1932 e Necessità dello stato poetico, Roma 1934.

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In un manoscritto, riportato da Donato Valli in G.Comi -Opera Poetica -Ravenna -1977 - p.397, così ilpoeta, negli anni '50, descrive sinteticamente il suddetto stato:"Lo stato poetico - e la poesia che ne discende - e quali io li intendo e li coltivo, sono pur sempre uno'stato' di volontà e di possibilità 'progressiva' presieduta e nutrita di pazienti e amorose discipline".Dell'intima connessione di tale stato con la "luce" della presenza mentale così Comi parla in "Note inAttesa e in Vista dello Stato Poetico" (La Torre n° 2, 15 Febbraio 1930):"La luce supera e soffoca ogni nostra più solare ipotesi lirica, ma sembra che la superi e la soffochi per'suggerirci' un respiro e una ispirazione più fitti, e una persuasione incorruttibile. Perchè la nostraefficienza centrale vibri e si ramifichi, ecco le stagioni inattese (per quanto previste e catalogate) ed eccoun tramonto più impetuoso degli altri (per quanto agli altri identico) e un'aura più palesemente fraterna divetusti siti e d'immediato cielo. Realizzare ogni giorno più luce 'nella stessa luce' è riconoscere che inogni uomo 'giace' un candidato fatale allo 'stato poetico'. "I medesimi concetti sono espressi nei versi de L'Urgenza della Luce, un breve componimento, che faparte della raccolta Nel Grembo dei Mattini (1931):

L'urgenza della luce nella moledell'anima riaffiora fin negli occhi,

ed ogni sguardo è un inno che ha del solela risonanza aurea... E ne traboccala sacra essenza in arcane parole.

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2b) Girolamo Comi

Critica Della Critica

Nel 3° numero della rivista "La Torre" (1930) apparve l'articolo di Girolamo Comi (Momus) "Critica dellaCritica", riguardante la critica d'arte.La base di ogni critica d'arte è la fenomenologia dell'oggetto artistico, cioè lo studio e la descrizionedell'oggetto d'arte, così come esso appare. Sembrerebbe scontato, ma non lo è. Soprattutto i criticid'arte digiuni di esoterismo trascurano questa fase, tutti tesi a pervenire ad un giudizio di valore (che nondi rado risente in larga parte dei loro preconcetti) o a trovare "influenze" da parte di questo o quell'altroautore del passato. Essi dovrebbero invece tenere ben presente che se è erroneo fermarsi al significatoletterale e apparente di un'opera, perchè, come dice Comi, "la Tradizione autentica non sonnecchia nellalettera e nelle lettere, ma nello spirito non ancora identificato delle medesime"; tuttavia, come Danteevidenziò nel Convivio, il significato letterale di un'opera non è affatto trascurabile, giacchè essoracchiude gli altri tre (allegorico, etico e anagogico). Perciò è del tutto inutile tentare "interpretazioni" diun'opera d'arte, se lo studio fenomenologico di essa non è completo. Tale studio si serve di una delle piùprimordiali facoltà della mente umana e cioè del "notare" o "prender nota", facoltà basilare non solo nellacomune vita quotidiana, ma anche nelle tecniche iniziatiche imperniate sulla presenza mentale. Il mododi usare correttamente tale facoltà venne poeticamente espresso dalle terzine zen di Basho. Dice ad es.il suo più noto haiku:

Vecchio stagnoTonfo di rana

Suono d'acqua

***

La nostra critica letteraria considerata nei suoi sommi pontefici ufficiali e ufficiosi, non manca di«mestiere» né di strategia, né - in un certo senso - di agilità tecnica e culturale: ma difetta, visibilmente,di ossigeno (impagabile quello...) nonché di una persuasione interiore sua propria.Si può affermare che essa manca addirittura di fiato spirituale e che la sua ragione d'essere è circoscritta

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e legittimata soltanto da necessità d'ordine giornalistico o dilettantistico, sindacale o professionale. Incompenso fornisce e si gloria di una sensibilità epidermica di prim'ordine e di una suscettibilità«cerebro-spinale» notevolissima.Da una parte schiava di riferimenti universitari e cattedratici e di substrati pseudo-tradizionali (quando sicapirà che la Tradizione autentica non sonnecchia nella lettera e nelle lettere, ma nello spirito nonancora identificato delle medesime?) dall'altra, presidiata dall'ombra monumentale dei soliti canoni«classici» sia d'ordine retorico che patriottico e moralistico, essa esita o si rinsangua fra la mezzastroncatura e la mezza apologia, fra la dissertazione prolissa e il sermone accademico, fra il paradossotruccato da luogo-comune e il luogo-comune truccato da paradosso. Sta fra il sì e il no, fra l'avere el'essere, fra il pettegolezzo e il partito preso, fra la politica e il vangelo. Continua a lamentareinlassabilmente l'assenza dello scrittore-tipo, del vate dantesco dei tempi moderni e - salvo i soffiettid'uso che qua e là dispensa per amor patrio generico o per opportunismo specifico - lacrima e falacrimare sui destini della nostra era letteraria.Se gli autori non sanno quel che vogliono (tolti i premi, i banchetti e i battibecchi) non si sa molto meglioquel che vuole la critica; capacissima, d'altra parte, in un momento di buon umore o di isterismo, diconsacrare per esempio un romanzo come Gli indifferenti o un poetucolo come il Bartolini.Noi che vediamo le cose un po' dall'alto - non solo perché abitiamo «LA TORRE », ma anche perchéaffrancati da ogni velleità d'arrivismo piazzaiolo - pensiamo che sarebbe il momento di smetterla con lelamentele e i rimpianti, con le statistiche e i paralleli, con le consacrazioni e le sconsacrazioni, e diliberare le terze pagine dei giornali, come le ultime pagine delle riviste, dalla falange dei becchini e degliesegeti.Se tale falange - per ragioni dipendenti da ingranaggi e da statuti irrevocabili - deve sussistere eimperare, ebbene, sia. Ma cambi panni e insegne e cominci, lei che predica, a esser compresa di unpossibile stato di grazia o di dignità superiore. Si renda conto che lo stato aristocratico del pensiero e delgiudizio non va confuso col mestiere democratico del pedagogo che fornica con la cultura grafica degliinventari, dei panorami e dei manuali letterari.Lo spirito, anche se unicamente invasato di letteratura, reclama un'altra tenuta e presuppone un'altraspecie di dignità e di fervore.

2c) Girolamo Comi

Cantico del Suolo

Durante il II anno della rivista Ur, venne pubblicata una composizione di G. Comi, il "Canticodel Suolo", che è assente in Introduzione alla Magia (Bocca, 1955) perchè, salvopiccolissime modifiche, quasi sempre di punteggiatura, era stata ripubblicata integralmente,appena l'anno prima, nell'antologia "Spirito d'Armonia" (Lucugnano, 1954). In tale antologia,il Cantico del Suolo è l'ultima composizione della prima raccolta, intitolata "Lampadario-Boschività Sotterra - Smeraldi" (1912-1928) e precede perciò immediatamente il "Canticodel Tempo e del Seme" (1929-30). Chi possiede l'edizione Tilopa di Ur, può trovare ilCantico del Suolo a pag. 337 del II vol.

Sgretolio d'arie mineralizzatenell'immobile impeto che arma

la mia zolla di un'ansia antica e calma,perchè solare - e tutta vellutata

d'inviolabile verginità, cantiin alberi, in Parola e in prati infanti,

la radice che mi è stata donata.

Nell'edizione 1954, la lineetta dopo l'aggettivo "solare" è sostituita da una virgola. La virgoladopo "verginità" è invece sostituita da una lineetta. "Parola" non compare più in maiuscolo eil punto fermo dopo "donata" è sostituito da puntini di sospensione. Dunque sono variate

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solo alcune pause, pur importanti, di lettura, ma non il contenuto, similmente a quantovedremo per alcune delle prossime strofe.

Comi gioca sul doppio significato delle parole: lo spettacolo naturale si fa simbolo dellapratica interiore e questa sembra manifestarsi in quello. La densa e vibrante brezzasalsoiodica (mineralizzata) che si frange sulla terra, immobile eppur protesa, da anticaepoca, verso il mare, è immagine esteriore del moto immobile, dell'impeto statico dellaconcentrazione mentale, che guida i venti sottili corporizzati, che si dividono e si dirigonoin ogni direzione per vivificare l'immobile e calmo corpo saturnio.Esteriormente, le sementi germogliate (radici), dono della Terra in Primavera, solari nellaloro espansione e, grazie alla loro cedevolezza, inviolate dal terreno che pur le stringe,daranno vita, in un ritmico e progressivo canto di vittoria sulla materia inerte, ad alberi, alverboso fruscio di rami e foglie e all'erba giovane dei prati. Interiormente, l'immaginazione concentrativa si porta sul centro-radice, igneo di luce,emanante beatitudine, inviolabile dalla comune coscienza. Il canto del mantra si snodaserpentino nell' "albero della vita" - centrale rispetto agli "alberi del bene e del male" - e sitramuta in diverso e più adatto logos, animando ciascun centro sottile e poi saturando dinovella vita l'intera corporeità.

Nel mio stare, rimuovermi e spaccarmiin memorie di scheletri e in volumi

di letargici umori e buio d'occhi,io mi ripeto in spirito ed in carmidi forze caste e polari barlumi

di calici di cielo ininterrotti.

Nell'edizione 1954, "polari" è sostituito da "intensi" e "calici" è sostituito da "sapori".

In questa seconda strofa emergono, e questa volta nettamente, altre modalità della praticaascetica: l'alternarsi della immobilità meditativa e del movimento, il dividere l'attivitàmeditativa stessa nella contemplatio mortis (memento mori) e nella esplorazione, adocchi chiusi, degli spazi interiori (volumi) dell'area alta della testa. In essa tradizionalmenterisiede, e da essa discende, l'umore flemmatico, causa, tra le altre cose, di una reattivitàcalma e, all'eccesso, letargica. A proposito di questa localizzazione, dice Erodoto nel IVLibro delle Storie: "Ecco infatti cosa fanno i nomadi libici, se proprio tutti non saprei dirlo concertezza, ma certo parecchi di loro. Quando i loro bambini hanno quattro anni, con grassoestratto dalla lana di pecora gli cauterizzano le vene sulla sommità del capo, altri invece levene delle tempie, allo scopo di impedire per sempre all'umore flemmatico che scorre giùdalla testa di nuocere alla salute del ragazzo. E dicono di essere sanissimi grazie a ciò. Edeffettivamente i Libici sono i più sani fra quanti uomini conosciamo; che questa ne sia laspiegazione non potrei affermarlo con certezza, ma è un fatto che sono sanissimi. Nel casoche i bambini, mentre li cauterizzano, vengano presi da convulsioni, hanno trovato unrimedio: li salvano aspergendoli con orina di capro".Le suddette meditazioni richiedono il reiterarsi dell'atto dello spirito, ma sono anchepropiziate dalla ripetizione di carmi, costituiti di forze pure (parole di potenza, logodinami,mantra) e generanti intense luci interiori - barlumi "polari", cioè paragonabili ad auroreboreali - connesse ad un senso continuato di beatitudine (sapori o calici di cielo).

Membra di luce spente in sordi suonidi magnetici passi, ed in figuredi miti, di voleri, d'abbandoni

pesano sulle inerzie vigili ed oscuredei miei corpi gremiti di stagioni.

E la mia fonda purità si compie- fra climi inquieti e tra fami mute

in selve di continua saluteed in spaziosità di tombe e d'ombre ...

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Nell'edizione 1954, la virgola dopo "passi" è sostituita da una linea; "di voleri, d'abbandoni"diventa "di voleri e d'abbandoni,". Il punto dopo "stagioni" è sostituito da tre punti; l'aggettivo"fonda" è sostituito da "grezza". Dopo "mute" si trova una linea; "ed" diventa "e"; i puntini disospensione dopo "d'ombre" sono sostituiti dal punto fermo.

Viene descritta un'ulteriore tecnica. Un corpo di luce immaginale viene creato incorrispondenza e sulla base di quelli (fisico e sottile) già esistenti ed annosi, che sono sìsensibili (vigili), ma in gran parte oscuri per la coscienza e il controllo volitivo. Una voltacreato viene "materializzato" (spento), cioè trasfuso nel corpo fisico, sia tramite "passimagnetici", consistenti esteriormente in un picchiettare delle mani su determinati punti delcorpo, sia con l'ausilio della immaginazione, durante la quale il corpo divino, scelto tra variee opportune figure mitologiche, viene volontariamente identificato con la propria compaginepsico-fisica, per poi lasciar cadere la visualizzazione. Così la purità corporea primapotenziale (fonda o grezza) si realizza tra tempeste interiori e desideri resi silenti. Lelocalità che propiziano queste pratiche sono i boschi sempreverdi, simboli dell'eterna vitalitàdel corpo glorioso, ma anche la vista di quei cimiteri di campagna, che con le loro tombe ele ombre dei cipressi offrono, in relazione alla comune corporeità, quel continuo "mementomori" (al quale l'autore ha già accennato in versi precedenti) che incita alla pratica.

Saturo di cascami d'elementimi seleziono in aridità d'aspri

stati d'attesa - ed incrinato d'astrisuscito nelle lave e nei fermenti

delle mie moli e dei miei giacimentirespiri di diaspri e d'alabastri.

E so volere e alimentare la potenzache langue nel marciume e vibra nei basalti

del mio asse tutt'ossa e tutto smaltid'erbosi succhi e di sonora essenza.

Nessun cambiamento di rilievo nella versione del 1954. Solo una virgola in più è presentedopo "elementi".

In questi versi il linguaggio diventa decisamente alchimistico. La pratica del pilastromediano, descritta in alcuni passi precedenti, sta portando taluni frutti. Come risultatosecondario (cascàme) di quelle pratiche, il poeta è saturo dei cinque elementi e neconsegue un senso di svogliatezza, di aridità spirituale, di incapacità di continuare nellameditazione, di attesa penosa, da superarsi con un libero atto di volontà (selezione).Quando, al contrario, sono i difetti legati ai "pianeti" ad incrinare la quiete della meditazione,riscaldando i liquidi corporei e producendo irrequietezza nelle carni e nelle ossa, occorredominarli, agendo con respiri che trasformano (diaspri) le sensazioni e accumulano(alabastri) nuova energia.In ogni caso occorre poi con determinazione tornare alla pratica principale e alimentare lapotenza che langue in basso e vibra come in rocce ignee (basalti) alla base dell'assecentrale, che è osseo, ma scintillante di succhi vitali e risuonante di suoni interiori.Di particolare rilievo, in queste strofe, il simbolismo basato sulla classificazione dellerocce : metamorfiche (diaspri), sedimentarie (alabastri) e ignee (basalti).

... Solarità del mio quarzo - salivedei miei fossili sali - ère boschive

dei miei catrami, dei miei crolli bruschiin falde di miniere velate di muschi ...tutte vi spremo donandovi il meglio

d'ogni mio sonno e d'ogni mio risveglio.Fibre dorate di respiri - e linfe

d'idee, di dei, d'animali e di ninfe,si son rifatte morbide strutture

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d'anonimi equilibri - sono steli- nell'eco cava delle mie fratture -

di risonanze sottili di cieli.

Nella versione del 1954 mancano i puntini all'inizio della strofa. Dei puntini di sospensionesostituiscono invece il punto dopo "risveglio" e quello dopo "cieli". I versi che iniziano con"Fibre dorate" costituiscono una strofa a sé stante.

Non mancano tra le pratiche interiori del poeta quelle notturne: prima tra tutte quella del"sole di mezzanotte", di cui il quarzo citrino è simbolo, ma anche supporto materiale dipreparazione alla pratica stessa, mediante concentrazione su di esso, prima di andare adormire. La pratica vera e propria è quella che in sanscrito prende il nome di kechari mudrae consiste nel dirigere la lingua all'indietro, contro la parte superiore del palato. Sul pianosottile, le forze devolute normalmente alla fonazione, e al tipo di pensiero che la consente, siritraggono, generando uno stato di quiete analogo a quello di sonno, ma creatovolontariamente. Come effetto secondario della posizione della lingua si produconoparticolari salive (sottili e grossolane) che possono anche essere oggetto di relativepratiche. Temporalmente queste sono scandite dalle vigilie della notte, cioè dai turni dellesentinelle, che nell'antica Roma erano quattro, ma in altre tradizioni, ad es. quella buddhista,sono in numero di tre. E' questa anche la scelta di Comi, giacchè egli paragona le fasi delladistillazione delle forze vitali (catrami) alle tre epoche vegetative (ere boschive) di Maggio,Luglio e Settembre. A pratica avanzata, sono certi eventi interiori a determinarel'evolversi della pratica, come ad es. il comparire di quel senso di vertigine o di precipitare,che fa sobbalzare l'uomo comune quando se ne accorge, e che il poeta ha imparato adirigere, aggiungendovi fulmineamente una propria immagine interiore: quella di adagiarsisul muschio che ricopre gli acquiferi di una miniera, simboli delle arterie sottili (1).Queste pratiche lo fanno partecipe di un mondo luminoso, fatto di luci a volte di formaastratta (fibre dorate) a volte aggregantisi in immagini più definite di ogni tipo ed equilibratenei colori se i cinque elementi corporei sono in equilibrio.E' un mondo costituito anche di suoni che, pur sperimentabili localmente in connessionecol corpo fluidico (si ripete il simbolismo delle fratture rocciose, sito degli acquiferi),sembrano eco o risonanze di eventi dei "cieli" sottili macrocosmici.

(1) A proposito di eventi "interiori, nella monografia "Conoscenza delle acque" si legge: «Sequesto sapere a te ti riconduce, e, ghiacciato da gelo mortale, senti l'abisso aperto [...]» e,similmente in "La via del risveglio secondo Gustavo Meyrink": «Irrigidisciti tutto, raccoglitibene e costringiti un momento solo alla sensazione che ti traversa con un brivido il corpo[...]». In effetti, leggendo e mettendo un po' in pratica quelle monografie, ho puntualmente avutodei brividi. Fra l'altro mi è anche capitato con esercizi dei quali ho scritto altrove, comequello da me riportato sull'immaginarsi "al centro" e con uno sul potere della volontà.Probabilmente questi eventi sono dovuti alle stesse cause immediate/superficiali dellesensazioni comuni, ma sembra di intuire che dietro le quinte abbiano un'origine sottile,"occulta"... [N. d. Fabritalp]

Coi miei blocchi di vertebre montanie con le mie epidermidi sative

combaciano tenacie votivedi ritorni di soli e di fogliami:

e ogni consumo di faune e di floreche mi solca e mi colma - m'affratella

alla natività di una zolla gemellache si risolve in pollini d'aurore.

Nella "versione Ur", dopo "fogliami" vi è un punto fermo, da ritenersi un probabile errore di

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stampa, visto che il successivo "e" è minuscolo. Perciò riteniamo giusta e adottiamo lapunteggiatura del 1954, cioè i due punti. Altre differenze tra le due versioni non ce ne sono.Il ciclo iniziatico del giorno e della notte prevede una pratica continua, comprendente anchei momenti di nutrizione. Anzichè abbandonarsi a posizioni curve o scomposte come fal'uomo comune, occorre mantenere la spina dorsale eretta come una montagna e porre lapropria attenzione alle parti della superficie corporea (epidermidi) "coltivabili"sensorialmente con la nutrizione: in questo modo vengono a coincidere la volontà magica diuna riacquisizione di piene consapevolezze (soli) e quella di un ripristino di forze vitali(fogliami). Inoltre, ogni pasto, di alimenti sia animali sia vegetali, non solo migliora laconsapevolezza del praticante, attraversando l'organismo e nutrendolo, ma può costituireanche possibilità di trasmissione iniziatica e di pratiche di catena (epulae iniziatiche).

2d) Dal "Cantico del tempo e del seme"

di Girolamo Comi

L'ultimo numero de "La Torre" (n° 10, 15 Giugno 1930) annunciava, in una nota, l'uscitadel Cantico del Tempo e del Seme di G. Comi, presso la casa editrice "Al tempo dellaFortuna", Via delle Convertite 18 (Libreria Modernissima) Roma, al prezzo di L. 10. IlCantico, in questa veste definitiva, presenta una parte introduttiva in prosa ove, per quantoriguarda in specifico il titolo, si dice: "Seme e tempo sono luce affrancata dal peso dell'etàatmosferica e umana; sono frutti e respiri sempre imminenti nell'antica gioventù delle carni enella sempre attuale perennità dello spirito: in un battito solo riuniti celebrano e consacrano,nella segreta organicità di noi, l'universa salute dei miti e del sesso".Nel seguito elenchiamo i componimenti poetici presenti, intitolandoli con il primo verso.A fianco, in parentesi, è indicata l'eventuale anteprima in Krur o ne La Torre e/o l'eventualepresenza nella successiva antologia Spirito di Armonia (Lucugnano, 1954).

Forze che vela un sonno risalite (Spirito d'Armonia.)

Il vivo evento d'essere tessuti (Krur)

Fulgori chiusi in te non mai svelati (Krur - Spirito d'Armonia.)

Nel corridoio di non molte parole

Dalle radici è luce la figura (Spirito d'Armonia.)

Essenza d'ogni mondo (Spirito d'Armonia.)

Rivuole il suo destino

Gemme di vulve - sfrangiate in figure

Forze fraterne dell'elemento e del verbo

Si disegna uno scheletro votivo (Spirito d'Armonia.)

Nel variare apparente dei nomi

Il consumo fatale di me stesso (Krur)

Se s'allontana il corpo gaudioso

All'organicità di tutto riunito

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Corpo celeste del tempo

Il tempo non passa traspare (Krur - Spirito d'Armonia.)

La gioventù di noi in noi permane (Spirito d'Armonia.)

In un calice rutila il mistero

D'alberi antichi le fossili spoglie

Questo silenzio è luce virtuale (Spirito d'Armonia.)

Il grande silenzio che cade

Il frutto cade, va oltre se stesso

Oh fiori, radiosa pazienza (Spirito d'Armonia.)

La mattina disgrega le gemme

Di questa polpa di giorni e di notti

Nel'aereo tessuto dei colori

La voce è un corpo ideale di luce

Sillabe della luce - incluse ed echeggianti

La luce dilatata in veemenze calme (Krur)

Vivono i cieli del riflesso denso (La Torre - Spirito d'Armonia.)

Il cielo ha una veemenza così netta (Spirito d'Armonia.)

Nell'albero velato di generazioni (La Torre - Spirito d'Armonia.)

Nella luce che qui perpetua il sole.

Un estratto del poema "Cantico del Tempo e del Seme" , scritto nel periodo 1929-1930, uscìin anteprima sulla rivista Krur e si può ritrovare nel III vol. di Introduzione alla Magia. Ilcantico ripropone lo stesso tema affrontato da Oso in "Appunti sul Logos": il tempo comedurata, colta verosimilmente con la stessa tecnica, che Leo, in "Avviamento all'esperienzadel corpo sottile", così descrive: " Noi dobbiamo cercare di avvertire accanto ad ogniimpressione sensoria una impressione che la accompagna sempre, che è di un genere deltutto diverso - risonanza in noi della natura intima, sovrasensibile delle cose - e che cipenetra dentro silenziosamente." Nella prima poesia, il tempo è descritto come un trasparire. Ciò equivale a dire chel'evidenza è massima per gli avvenimenti presenti, senza per questo annullare gliavvenimenti passati, che sono solo meno visibili, situati in strati più o meno lontani dellamemoria; nè escludere quelli futuri, le probabilità dei quali appaiono come immagini nonancora distinte, anticipatrici dei medesimi. Gli avvenimenti, cioè le mutazioni dei corpi edella luce che li rende variamente visibili, sono percepibili come una sorta dicomposizione musicale, nella quale ogni nota è semenza di quella successiva equest'ultima maturazione della precedente. Con la pratica esoterica, nasce un nuovo sensodi sé: l'energia sottile, che muove il corpo, è avvertibile come un istinto luminoso, e il suoagire come canti, prodotti ad ogni scaturire della rinata parola vivente. Leo ha anche dettoche tale nuova percezione "è un annullamento del senso dello spazio - mentre resta unaattività di successione, un senso diverso, interiore, ritmico del tempo". Comi gli fa eco,dicendo che è all'orizzonte (agli orli di tutti i paesi) che lo spazio sembra esser scioltodall'azione del divenire (la torrenzialità del tempo), in sonorità che si mescolano ai colori

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del cielo. Ed è sempre il tempo che, con l'alternanza luminosa, modula la mercurialitàcosmica (il segreto argento) nel succedersi dei giorni e delle notti in unità cicliche piùgrandi, come i petali nelle corolle.

I

Il tempo non passa: - trasparein inni d'eterna semenza

nei corpi e nell'iride densad'ogni stagione solare.

Fa le tue membra raggiantid'un istinto di luce incisivo

che scolpisce e riassume i suoi cantinelle albe del verbo nativo.

Agli orli di tutti i paesila sua torrenzialità scioglielo spazio del suolo, le zollein sonori orizzonti turchesi.

Ed irrompe in fulgori dirottinella tenebra dell'elemento,

per sfrangiarne il segreto argentoin corolle di giorni e di notti.

Nella seconda composizione, l'attenzione si porta decisamente sulla scaturigine diquell'istinto luminoso al quale accennava la prima poesia. E' il mondo di quei fosfeni, che ilmondo profano considera ingenuamente come residui dell'attività ottica. Si tratta invece diun aspetto di quella "materia" sottile (elementi elementanti) che ad occhi chiusi, da svegli,appaiono come barlumi cangianti e caotici, ma che si organizzano invece nelle immaginidella nostra memoria e dei nostri sogni. Al poeta essi si svelarono, per la prima volta, comeveste percepibile dell'agire delle forze vitali (gli aliti d'essenza). Viene ribadito che questoagire si presenta anche come un canto, un suono interiore, avvertibile soprattutto tra gli spazi esistenti tra un pensiero discorsivo e un altro, innumerevoli come i pensieri stessi (losciame dei silenzi) e che permette allo spirito di diffondere il suo atto, in vampe vitali, intutto il suo microcosmo, fino alle sedi del sempre rinascente atto sensoriale. L'auraindustruttibile di elementi sottili che proteggono il "corpo mercuriale" opera, seguendo ilritmo del respiro, quell'eterizzazione del sangue (cioè quella parziale trasmutazione, nelcuore, del sangue in luce) preludio, sia pur distante, di ciò che, nell'adepto perfetto, èl'eterizzazione di tutto il corpo grossolano

II

Fulgori chiusi in te, non mai svelatise non come barlume ed apparenza

d'imponderabili aliti d'essenzagelosi del mistero in cui son nati,

Cantano nello sciame dei silenzil'evento dello spirito, dispersoin vegetali vampe d'universoe nel nativo gemito dei sensi.

Ma una indistruttibile aura di salutenella tenacia del respiro scande

gli intervalli celesti e le volutedel mistero nudrito del tuo stesso sangue.

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Confrontando "Dal cantico del tempo e del seme" pubblicato su Krur con lo stesso Canticopresente nell'antologia "Spirito d'Armonia" (che raccoglie la produzione lirica di GirolamoComi del periodo 1912-1952, secondo una scelta dello stesso autore) si può osservare chesolo le prime due poesie della "versione Krur" del Cantico sono presenti, e in diverso ordine,nella suddetta antologia. Le ultime tre sono assenti e sostituite da un maggior numero dicomponimenti. Il diverso ordine delle prime due poesie indica che l'autore non dava moltopeso all'ordine di lettura, essendo ciascuna da considersi compiuta in sé stessa, purlumeggiando diversi aspetti del medesimo tema. La mancanza delle tre ultime composizioninell'antologia indica probabilmente che Comi le riteneva più adatte al pubblico che leggevaKrur e non ad un pubblico più vasto. Perciò la "versione Krur" del Cantico può ritenersi,come peraltro è logico, una versione più sintetica e più esoterica.Ma passiamo all'esame della terza composizione. L'uomo non è un oggetto, ma unevento vivente e come tale sempre nuovo, tessuto di istanti inafferrabili di tempo. E'libero, senza regole ("sregolato") eppur, corporalmente, racchiuso in quella mineralità, fruttodi compiuti cantici del Logos (il lettore tenga presente quanto dice Oso in "Appunti sulLogos"). Questo modo di essere scioglie e ricoagula di continuo gli involucri ("il peso") cheavvolgono lo spirito, compenetrato in quel coro illimitato che genera ogni ricominciamento("mattine"). Alla base di una tale descrizione c'è un'esperienza che in Oriente è chiamataconoscenza dell'aspetto tremendo della realtà (Vijnanabhairava) spesso personificatanel dio Shiva, il distruttore delle forme: all'occhio interiore dell'asceta si rende evidente che ilcosiddetto mondo reale si dissolve e si ricrea ad ogni istante. Ogni ricreazione sembraalimentata da interiori ricominciamenti, da lente premonizioni, dall'ansia passionale, dallepromesse di un rifiorire. Questa struttura di base ritmica del tempo è il fondamento di altriritmi più lenti ma altrettanto instancabili, primo fra tutti quello del respiro, piacevole perchèci fa sentire vivi. Il suo cambiar di ritmo è legato alle modalità del pensiero ed esso sembrariposarsi, adagiandosi nella durata delle parole, o, come forza pronta a dispiegarsi in nuovicicli vitali, nella semente.

III

Il vivo evento d'essere tessutidi palpiti impalpabili di tempo

o sregolati - carne ed ossa - dentrole miniere di cantici compiuti,

In noi consuma e rielabora il pesod'uno spirito ardentemente steso

nella coralità senza confinedi generazioni di mattine...

Il tempo - alimentato in tutti i porida mattudinità interiori

di spazi intrisi di promesse lented'ansia di sangue e promesse di fiori -

Ci ricollega inesauribilmenteall'organicità voluttuosa

d'ogni respiro che pensa o riposanella parola e dentro la semente.

Il ritmo del Tempo che invecchia il corpo grossolano e infiacchisce le emozioni appare allaconoscenza immaginativa del poeta come una compagine di figure, alcune oscure, altre diluminosità nascente, espressioni di due differenti livelli di energia. La realtà materiale, cheesse scolpiscono, si mostra, a sua volta, come il riflesso delle "indistruttibili nature", cioèdegli aspetti positivi, non-distorti, dell’essere che si configurano in un individuo illuminato :indistruttibilità della presenza della consapevolezza, indistruttibilità della facoltà di apparireagli altri, indistruttibilità della parola magica (logos), indistruttibilità del pensiero magico.L'essere è saldato ad ogni stadio di trasmigrazione ("scatto a scatto") all'immemorabile

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flusso del divenire, come una gemma od una propaggine al suo tronco; ma tale vincolo lolascia, in realtà, intatto ed ecco che si manifesta il seme dell'illuminazione nel fruttodella manifestazione.Se si frammenta nell'arida struttura salina dello scheletro, risale anche, sotto forma di fluidienergetici ("linfe velate di cielo"), lungo quell'axis mundi che è la colonna vertebrale ("lostelo"), trascinando la basale forza che opera in noi come sesso, ridistillandola in quellaoriginaria "aria di proiezione", che è il potere del pensiero.

IV

Il consumo fatale di me stessoè compagine sacra di figure

di notte e d'alba incise nel riflessodelle mie indistruttibili nature.

Quest'essere saldato -scatto a scattoalle gemme e propaggini di tutto

un tronco immemorabile - ma intattodentro cui ridiventa seme, il frutto.

Se si sgretola in sali aridi d'ossa,risale in linfe velate di cielo

nella terrestre magia dello steloche testimonia la nativa forza

del sesso proiettato nel pensiero.

Il poeta descrive i vari stadi di una visione della luce interiore. Dapprima una rosa diluce, luminosamente dilatata, i cui molti e fitti petali appaiono come una marea possente ecalma ove ciascun elemento sottile e grossolano é permeabile agli altri. In uno stadioulteriore, la luce cristallizza in formazioni stabili, simili a intricati grappoli di frutti, mentre leforze vitali si manifestano in una quieta beatitudine.Poi la visione viene rievocata, riportando alla memoria i vasi sottili ove le forze vitalimandano palpiti radiosi e fragranti.La presenza mentale risale i vasi sottili fino ai nodi dei centri di luce, astri infaticabili delcorpo sottile, sempre luminosi, dove fermenta il germe dell'illuminazione. Esso riecheggianei risvegli progressivi, precedenti la pratica "al di là dello sforzo", e matura nelle "indistruttibili nature".

V

La luce dilatata in veemenze calmedi porose maree d'elementi e di carne,

si cristallizza in grovigli di fruttied in riposi estatici di succhi.

La tua memoria che ne aspira i calicied i radiosi palpiti aromatici.

Risale verso i solchi e le fratturedegli astri insonni e delle aurore eterne

dove fermenta e riecheggia il germedei tuoi risvegli e delle tue nature.

Come si è già detto in precedenza, Il Cantico del Tempo e del Seme è stato presentato, daparte di Comi, in varie versioni. Nel quindicinale La Torre (n° 5 - 1 Aprile 1930) pubblicò, conil titolo"Secondo l'Albero", quel componimento che, nell'antologia "Spirito d'Armonia"

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(1954), andrà a costituire la parte conclusiva del Cantico. Tale edizione de La Torre èparticolarmente interessante, perchè contiene tre strofe (le ultime) che non si trovano piùnella versione, meno esoterica, di "Spirito d'Armonia" (1954). Ma gli aspetti interessanti nonfiniscono qui, perchè nel numero precedente de La Torre (n° 4- 15 Marzo 1930 ) nellaraccolta di Aforismi "Riferimenti e Associazioni", Comi stesso aveva fornito, nei primi dueaforismi, alcune chiavi simboliche che sono in armonia con questa parte del Cantico. Leriportiamo come premessa:

La pianta aspira al sole per (una) legge naturale. L'uomo si consuma e si realizza nel sole invirtù di un suo nativo (e inesauribile) impeto soprannaturale.

***

Il 'tronco' dell'albero è 'padrone' di foglie e di frutti per cui il deperire e il perire rientrano nelpiano del fenomeno bruto, senza conseguenze ulteriori. Lo 'scheletro' dell'uomo è schiavo dicarni che vogliono riorganizzarsi e "riunirsi" in corimbi di magiche efficienze. In vista e inattesa di tale unità vediamo deperire e perire i corpi.

***

Nell'albero - velato di generazionid'inni d'effimere stagioni -

circola una fragranza di tempo inviolatoche satura le pause del tuo fiato

d'una coscienza di perennità.

Se ridiscendi verso le radici,ecco la pazienza duttile ed intatta

d'una catena di germogli, fattadi sorde tempre di solarità.

E l'albero si dona aereo e sotterraneo- virtù corale d'indiviso polline -

all'ansia dello spazio che ne accoglieil tronco immediato e l'umore lontano.

L'imponderabile aura delle foglieè palpito di un simbolo solenne

che collega le fibre delle gemmeall'entità dello spirito umano;

ed il tempo che lievita e dilatadi sali d'astri la tenera forza

d'ogni virgulto diventato ramo,

scande ed eterna - per tutta la scorzadella statura dell'albero - l'ebbro

cantico del tuo corpo e del tuo verbo.

La tendenza di Comi, in quel periodo, a commentare egli stesso la sua poesia, ha unaconferma nel n° 7 de La Torre (1 Maggio 1930). Infatti le strofe de La Lettera e Lo Spirito,componimento che andrà a costituire, nell'edizione 1954, la terzultima parte del Cantico delTempo e del Seme, sono precedute da un breve commento dello stesso Comi. Nellaversione 1954, si notano varianti di non grande rilievo. In particolare, nell'ultima strofa,"Radioso" è sostiuito da "Ardente" e "d'immortalità" da "d'eterno". In entrambe le versioni, lapunteggiatura dell'ultima strofa appare più basata sul ritmo che sulle abituali convenzionigrammaticali.

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LA LETTERA E LO SPIRITO

Una "semenza" e un "ritmo" universale di luce, che ne fa calici e frutti, bastano a rituffarcinella mitica maternità della sostanza che ci è data. Lo spirito accoglie e riproduce il travaglioepico di tutte le forze di cui esso è simultaneamente testimone e collaboratore: ma bisognache la sua testimonianza e la sua collaborazione diventino "necessità organica" (nel sanguee nel pensiero) e combacino con le più sintetiche vitalità delle cose e degli esseri. Non bastaaccogliere e riprodurre: bisogna che in questa accoglienza e in questa riproduzione vibri laininterrotta solarità germinale della terra e del cielo.

Vivono i cieli del riflesso densodell'età consumate - dilatati

dall'ebrietà dei corpi e rinsanguatidal respiro del verbo e del silenzio.

E in ogni astro è il peso vivo, il saledello spirito che vibra o che tace

ispirato dall'ausilio tenacedell'acqua, della zolla, della bracee dall'impeto del seme animale.

Radioso scambio fra spirito e sesso,fra tombe e sole, fra notti e auroreintride e colma d'un doppio riflesso

d'immortalità, l'ansia del seme e del fiore.

3) Arturo Onofri

Nuovo Rinascimento come Arte dell'Io

Sintesi a cura di Oso

Il ciclo poetico conclusivo della poesia onofriana, che comprende, in ordine dipubblicazione, Terrestrità del Sole (1927), Vincere il Drago! (1928) e, postumi, Simili aMelodie rapprese in Mondo (1929), Zolla ritorna Cosmo (1930), Suoni del Gral (1932), eAprirsi Fiore (1935), è preceduto dal fondamentale testo teorico Nuovo Rinascimento comeArte dell'Io (1925).La nascita di questo testo è ovviamente in connessione con l'adesione di Onofriall'Antroposofia steineriana, che ha ispirato anche altri artisti del Novecento, come AndrejBelyj e Vasilij Kandinskij. Altri ancora, come Fernando Pessoa o Piet Mondrian, hannotratto invece ispirazione dalla Teosofia.Per comprendere anche solo quel poco della poesia onofriana pubblicato su Ur/Krur, pensosia necessario un sia pur schematico esame delle sue posizioni teoriche, espresse in NuovoRinascimento.

Il primo capitolo del libro, intitolato "Arte Antica e Arte Moderna", si propone di indagare ladistinzione esistente tra l'arte del presente e quella del passato. Onofri specifica che: "Per'passato' s'ha da intendere non solo l'arte egizia, greca e latina, ma anche quella cheattraverso Dante e Giotto impronta di sé il Medioevo e tutto il Rinascimento, e include, a undi presso, l'intero 1500" (p. 25).La prima caratteristica dell'arte moderna è di essere arte cosciente: "A differenza dell'antica,l'arte moderna deve prender coscienza del suo nuovo compito, se vuole realmenteeseguirlo. Questo è il punto. Non si potrà più parlare di veri artisti ingenui, fanciulleschi,inconsci. Ciò non è possibile per il presente, e tanto meno lo sarà per l'avvenire" (p. 24).

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Per questo motivo, l'artista moderno avverte in genere una certa insofferenza, perfino per leforme semplicemente esteriori dell'arte tradizionale, e si sforza di creare, a costo di caderetalvolta in aberrazioni formalistiche, qualcosa di profondamente differente: "Non è piùpossibile rivolgersi al passato e alla tradizione, per derivarne, magari come seguito, unaspinta efficace alla creazione d'arte. Con ciò non si vuol negare la bellezza e la necessitàche reggono le opere mirabili del passato: sarebbe stoltezza. E che alcuni artisti sianocaduti nel tranello di negarle, dimostra soltanto che spesso le migliori intenzioni sono quelleche conducono all'opposto" (p. 24).L'artista antico viveva in simbiosi con la natura e con le forme sacrali della tradizione allaquale apparteneva, e da essi traeva spontaneamente ispirazione. L'artista modernotendendo, per diversa struttura interiore, ad emanciparsi dai dogmi e dalle forme sacreereditate, ed essendo figlio di un'epoca che ha sviluppato all'estremo l'aspetto razionale delsuo essere, non ha altra scelta coerente se non quella di cercare di esprimere unaspiritualità creata e vissuta coscientemente: "L'arte d'oggi è nata e nasce dallo sforzo chel'artista fa per mutare la costituzione dell'anima sua, attraverso il suo interiore lavorioindividuale. E questo sforzo è tanto più creativo quanto più consapevole. Siamo giunti alpunto in cui l'artista, se vuole efficacemente proseguire il suo sforzo creativo, deveprenderne coscienza in modo decisivo; deve trovare addirittura il metodo della suaindividuale trasformazione progressiva verso la diretta comunione con la spiritualità cosmica(p. 33). ... Si sta trasformando l'intera costituzione dell'anima artistica, la quale, invece diguardare ancora verso il proprio passato, è ormai costretta non solo a guardare, ma alavorare consciamente al proprio avvenire (p. 34). ... Noi conosceremo lo Spiritoorganicamente, quale vita reale, non lo penseremo più solamente per via di concettifilosofici" (p. 36).Ritornando sulla differenza tra artista antico e moderno, Onofri offre al lettore una efficacesimilitudine: "Come il bambino nell'utero materno vive della stessa vita della madre, ancoratutt'uno con lei, ma appunto perché è tutt'uno con lei, non può averne alcuna coscienza,perché non ha ancora una personalità sua, indipendente da quella della madre, così noisiamo dovuti uscire dal grembo della realtà divina, appunto per imparare a conoscerla inquanto esseri umani indipendenti da lei, e per questa via dobbiamo ora riconquistarla in noistessi. Dunque una concezione cosmica che s'interiora nel sangue è una concezione chenon si limita ad occupare l'intelletto umano in funzione di concettualità, ma trasforma eplasma, a sua propria stregua, l'interno essere dell'uomo, modificandone, oltre ai pensieri,anche le passioni, le abitudini, le convinzioni profonde e gli atteggiamenti spontanei neirapporti umani, sia pratici sia di sentimento. È interiorata nel sangue quella concezione delmondo che in certo modo non ha più bisogno d'essere pensata intellettualmente peresistere nell'interno dell'uomo, ma è presente nella funzionalità attiva degli organi (anchefisici), in tutta la costituzione d'insieme dell'uomo stesso, nella sua viva realtà spirituale,animica e corporea (p. 42). ... L'uomo dovrà diventar conscio in sé medesimo dell'elementodivino del mondo" (p. 44).E conclude conseguentemente: "La differenza essenziale, dunque, fra arte antica emoderna è questa: che l'arte antica si attuava in quanto l'artista si disponeva in uno stato diaccoglimento soprattutto passivo e inconscio; quella odierna esige, e sempre più esigerà,dall'artista uno stato di iniziativa interiore e di attività individuale che tendaall'auto-trasformazione cosciente dell'uomo-artista" (p. 48).

Nel secondo capitolo, intitolato La Coscienza Critica dentro l'Opera d'Arte, Onofri passaad esaminare più approfonditamente le caratteristiche dell'artista moderno, inerenti al suonuovo e sofferto compito.Ribadendo affermazioni del precedente capitolo, Onofri nota che gli artisti del passato,come Dante o Raffaello, erano espressioni di forze e di tendenze che agivano nella loroepoca, e che confluivano in essi dall'esterno, potenziandone le facoltà estetiche: " E'verissimo che l'arte di un Dante o di un Raffaello è di gran lunga superiore, come risultato,all'arte odierna; ma si ingannerebbero assai coloro che dalla perfezione di quelle opered'arte, quali appaiono a noi, volessero dedurre che Dante e Raffaello avevano una adeguatacoscienza (come uomini individuali) delle forze divine che agivano in loro, ispirandoli comeartisti, e che quelle forze fossero proprie della loro interiorità individuale cosciente. ... Quegliuomini divini appartengono ancora ad un'epoca artistica, in cui la creatività dello spiritooperava, in grandissima parte, all'insaputa dell'artista stesso, non ancora orientata del tuttodal di dentro di lui. Non era ancora effettuato interamente il trapasso verso la coscienzasingola, cioè verso l'auto-coscienza, come abbiamo detto, che si stava solo preparando (p.

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50)". Come è stato indicato da qualcuno, nel Quaderno sui Fedeli d'Amore, MassimoScaligero condivideva questa visione. Tuttavia, in quello stesso Quaderno, è stato anchesottolineato che, da questo punto di vista, soprattutto gli ultimi Fedeli d'Amore rivelano unacerta continuità con i primi Rosacroce e che la forza magica legata a quel mirabilecosmogramma che è la Divina Commedia probabilmente non è estranea - se non nelle suecause, nei suoi effetti - al definitivo trapasso, almeno in Occidente, alla coscienza di tipomoderno.Secondo Onofri, l'artista moderno si trova isolato rispetto alle forze ispiratrici agentinell'antichità e perciò senza impulsi 'esterni' sostenenti la sua ispirazione, che può creareunicamente nella sua soggettività:"L'artista d'oggi non può non lavorare strenuamente con la sua coscienza e sulla suacoscienza, se vuole ritrovare le sorgenti della creazione artistica. Così egli arriva acomprendere di poter oggi realizzarsi artisticamente in proporzione di quanto riesce arealizzare (in sé uomo) la consapevolezza della spiritualità reale che vive in lui, nei suoistessi sforzi d'uomo e d'artista, come anche nell'universo. (p. 57) ... Non è più l'elementoirrazionale (o prefilosofico) quello che costituisce l'essenza dell'arte, come moltissimi ancoraopinano, bensì un elemento ultra-razionale, post-filosofico, che vuole sorgere dall'internacoscienza dell'uomo odierno. Fra l'antica arte irrazionale e la nuova arte ultra-razionale c'è,già oggi, un vero e proprio conflitto, e chi scrive ne sa qualche cosa (p. 60)".Come risolvere il conflitto? cioè il tentativo di far nascere, nella propria interiorità, il solestesso della creatività artistica? : "Ecco che il duplice aspetto della nuova artisticità ci simanifesta simultaneamente: da una parte un'assoluta interiorità, e dall'altra un continuoprender coscienza della trasformazione vivente di questa interiorità, per manifestarlaall'esterno adeguatamente, in un articolato divenire, che sia, nella tecnica artistica, la 'forma'stessa dell'opera d'arte. ... Non già, dunque, che l'artista non debba più guardareall'esterno, e debba negarlo o disinteressarsene. (p. 62) ... Gli esseri e i fatti del mondocircostante non sono più che le viventi immagini della sua ampliata interiorità: della suainteriorità cosmica. Ma prima egli deve aver trasformato se stesso e il suo sangue, mercé lasuperiore coscienza del cosmo, e precisamente mercé una coscienza dell'universospirituale come di una unitaria gerarchia di esseri spirituali. Allora, dentro l'opera d'arte, viveed opera la coscienza stessa dell'artista" (p. 63).Inutile dire che, perchè si possa apprezzare adeguatamente un tale tipo d'opera d'arte, ilcritico d'arte, deve avere anch'egli accesso alla medesima dimensione spirituale dell'artista:"Da ciò si comprende come la critica di un'opera non può essere fatta se non a questacondizione: che il critico non solo partecipi all'evento che s'è svolto nell'artista, ma sia ingrado di osservarlo criticamente (e quindi valutarlo) dentro la propria interiorità cosciente.Altrimenti il fatto artistico o viene respinto, o viene più o meno passivamente subìto, vissuto,ma non conosciuto, compreso" (p. 64).Ne viene anche di conseguenza che l'arte moderna è spesso un po' oscuramente allaricerca di se stessa, così come un po' oscuramente alla ricerca di se stesso è l'uomomoderno, soprattutto quando si mantiene distante dal pensiero iniziatico: "Ciò spiega ancheperché la maggior parte delle opere d'arte odierne, nel loro intimo contenuto, non solopresentano errori, sforzi, deformazioni, arbitrî, oscuramenti, sproporzioni spesso gravissime,ma hanno altresì l'impronta caratteristica di ricerche e di studi. Rispetto ai perfetti capolavoriantichi, le opere d'oggi, ripeto, sono sempre alquanto approssimative. (p. 66) ... L'artistanon sapendo rendersi conto di quanto effettivamente avviene in lui come ispirazione nelsangue, vi legge dentro per approssimazione, cioè la sua ispirazione non è completamentereale, poiché per essere tale essa deve essere portata a piena coscienza dallo sforzointeriore auto-conoscitivo dell'artista medesimo.Gli artisti moderni, sentendo d'istinto questa interna sproporzione, hanno cercato per lo piùdi rimediarvi come hanno potuto (pp. 66-67) ... . Questa è la motivazione, ad esempio, delben noto leitmotiv wagneriano, o delle teorie stereometriche (cono, cilindro, sfera) delCézanne; questa è l'ossessione scientifico-medianica di Poe, o la famosa alchimia del verbodi un Rimbaud o il paradossalismo un po' perverso di un Wilde, o le inversioni di valori di unNietzsche, o le dottrine sociologico-ereditarie di uno Zola, o il paganesimo letterario delCarducci, o le ricerche naturalistiche sulla luce e sui volumi in tutti i plastici, impressionisti,divisionisti, futuristi, cubisti, o le enumerazioni catalogiche di Whitman, o la scala esatonaledi Debussy, ecc. (p. 67) ... L'ispirazione ne risulta mozza, frastagliata in compromessiintellettualistici, che la snaturano più o meno. L'artista si sbaglia, più o meno,nell'interpretazione di quella forza espressiva che in realtà agisce nel suo subcosciente, eche, per essere totalmente se stessa, reclama in lui il consapevole riconoscimento della

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propria originale essenza sovrannaturale. Da questo errore della coscienza artistica sononate le varie formule, le tecniche, le scuole, e tutte le programmatiche sopraffazioniintellettuali, proprie dell'arte odierna, che portano infinite denominazioni, ma sono sempreuna sola ed unica deviazione. Tuttavia, se noi, pur tenendo fermo a questo caratteredeformativo, indaghiamo la natura essenziale dello sforzo artistico moderno, dobbiamoarrivare a riconoscere che oggi, nelle correnti profonde dell'arte, c'è una vera tendenza dirinnovamento, un istinto novello" (pp. 67-68).Onofri è poi critico nei confronti dei molteplici fenomeni di "passatismo" e anche dell'"eclettismo" che spesso li accompagna. Egli li scorge soprattutto in ambito teosofico, ma lipossiamo anche scorgere in taluni "storici delle religioni", troppo propensi ad accostare traloro fenomeni temporalmente distanti; oppure in coloro che pretenderebbero, ancor oggi, difar rinascere forme culturali ormai scomparse e infine in studiosi dell'esoterismo, che hannouna visione statica del "tradizionalismo" o adducono a giustificazione dell'eclettismo l'unitàtrascendente delle religioni: "Ognuno sceglie secondo le sue preferenze personali,disputando poi, con perfetta accademia, contro le altrui convinzioni e preferenze parimentipersonali: platonismo, bramanesimo, vedantismo, taoismo, zaratustrismo, buddismo,ermetismo, ebraismo, cattolicismo, protestantesimo, maomettismo, ecc., quasiché sitrattasse di rivelazioni attuali dello spirito, senza tener conto del loro ordine storico, che solone dà l'intimo significato spirituale, nel corso d'evoluzione dell'umanità".Senza tener conto di tale trasformazione interiore dell'uomo, non è possibile comprendereciò che è ancora valido in quelle forme spirituali e cosa no: "Gli uomini debbono rinnovarsidall'interno della propria spiritualità operante, e non più richiedendo al passato, néall'esterno, i rimedi e le norme della vita. Bisogna volgersi alle reali sorgenti delrinnovamento, vincendo le illusorie opinioni tradizionali, e tutte le velleità dottrinarie,personali o settarie. Altrimenti ci si sentirà sempre più estenuati di forze" (p. 72).Naturalmente non si nega che esista una continuità iniziatica, che si è andata evolvendo nelcorso dei tempi, adeguandosi alle trasformazioni interiori dell'uomo, ma si trova assurda econtroproducente la pretesa di fissare tale continuità in forme antiche, ormai per noiinefficaci e di scambiare esse per l'attuale iniziazione: "Non più dunque dalla tradizione, nédalla polemica contro la tradizione, che è equivalente, ma da un auto-rinnovamentopuramente individuale, può avverarsi un risorgere delle forze artistiche creative. Se l'artistavuole arrivare a plasmare artisticamente, deve prima riplasmare se stesso. Questa sarà lasua prima vera opera d'arte. E da siffatto auto-riplasmarsi egli può attingere l'energiacreatrice dell'Arte (p. 75) ... . E allora, a mano a mano, saliranno novamente dall'interno dilui grandi immagini creative (analoghe a quelle che troviamo nell'Odissea, nel Partenone,nell'Orestiade e nel Prometeo, nell'Eneide, nella Commedia, nel Giudizio Universale, nelCenacolo, nell'Amleto, nelle Sinfonie beethoveniane, nel secondo Faust, nel Tristano e nelParsifal), poiché queste grandi immagini creative non nascono già dal mondo esterno, madal mondo interno dell'uomo, e sono espressioni del contenuto cosmico che è, allo statosubconscio, nell'uomo stesso" (p. 76).Da parte nostra, riteniamo che si possa benissimo continuare a parlare di tradizione,come si fa in questo Forum, a patto di identificarla con la continuità iniziatica,dinamicamente evolventesi con l'uomo e come tale ancor oggi presente. Non è uncaso che molte tradizioni iniziatiche abbiano sentito il bisogno di evolversi nel tempo: sipensi, ad es. alle differenze tra il Buddhismo delle origini e lo Zen o il Tantrismo. Latradizione iniziatica occidentale si è evoluta in modo analogo, anche se spesso piùsotterraneo, ovviamente adattandosi all'uomo occidentale. Se si ha invece una visionestatica della tradizione e la si identifica di conseguenza con forme spirituali ormai morte, nonsi può far altro che concludere, come taluni infatti hanno concluso, che la tradizione stessa èmorta. Ed è inutile prendere a scusa di tale atteggiamento l'immutabilità essenziale delloSpirito, perchè, in ogni caso, non è affatto immutabile il rapporto di tale Spirito con le suemodalità di manifestazione. Il terzo capitolo, intitolato La Volontà nell'Arte Moderna, mette in luce l'importanza, deltutto peculiare, che ha questa umana facoltà, nell'attuale processo di creazione artistica.Onofri comincia col notare che: "Qualunque sia il sistema di segni adottati - parole, note,linee, colori - l'arte è strumento di auto-rivelazione spirituale. La funzione autoconoscitiva edespressionistica, che essa assume di fronte allo Spirito del mondo, è quella stessa che lacoscienza umana riconosce in sé medesima quando guarda al cosiddetto 'mondo esterno'come ad un gigantesco alfabeto espressivo, ad un inesauribile cifrario in funzione di vita

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vivente. Gli stessi ordini di spirituali potenze che hanno creato le forme e gli esseri delmondo esteriore (minerali, piante, animali, uomini, corpi celesti) manifestandosi via viaattraverso di essi, nella lor propria essenza formativa e autoevolutiva, questi medesimi ordinidi potenze si manifestano nell'uomo sotto specie di arte. ... L'uomo stesso, condotto aproseguire, per intimo impulso, per istinto, la volontà creatrice delle potenze spirituali, nonha fatto finora che ripeterne e proseguirne subconsciamente nell'arte la legge, il ritmo el'essenza. D'ora in poi lo dovrà volere deliberatamente" (pp.78-79).Il problema dell'ispirazione artistica si identifica con quello della 'rivelazione': "Nell'arte anticaè la rivelazione che scende, che si dà all'uomo; nella scienza posteriore è l'uomo stesso chevuole innalzarsi alla rivelazione. (p. 82) ... Di questo mutamento della coscienza la stessasintesi creativa (l'arte) per quanto la sua natura glielo permetteva, non ha potuto nonrisentire" (p.83). La rivelazione è sempre presente nell'arte anche quando non è presa inconsiderazione dall'artista o addirittura negata: "Si può affermare che non c'è artista un po'degno di questo nome, il quale non conservi in un cantuccio (sia pure trascurato) della suaanima espressiva l'anelito della rivelazione. ... Non c'è impressione più penosa di quella chedanno gli artisti che negano la rivelazione spirituale. È come se un orologio, potendoparlare, negasse di segnare le ore" (p.84).Onofri mette poi in evidenza le facoltà necessarie all'artista moderno, perchè possarealizzare una autentica sintesi creativa, come anche le deviazioni che facilmente possonopresentarsi in chi si lascia sopraffare da certo utilitarismo: "Per riottenere una vera sintesicreativa, si presupporrebbe oggi un artista che fosse dotato di tre facoltà ben difficili atrovarsi riunite negli artisti:1°) la coscienza dell'unione perduta (da riconquistare) fra fede e conoscenza, fra arte escienza, fra grazia e verità;2°) la volontà capace di trovare la strada e il metodo giusti per attuare consapevolmentel'unione, e attuarla prima di tutto nella vita, come uomo;3°) tale un equilibrio di vita interiore da non perdere mai di vista, pur nello sforzo cosciente edisciplinato, l'insieme da raggiungere, soprattutto conservando l'essenziale armonia dellefacoltà interiori e della vita, armonia senza la quale non è mai possibile arte vera.Dinanzi a un ideale tanto elevato, chi di noi non si sente modesto, e non tende a vacillare?Molti sono oggi gli artisti, che pur avendo intraveduto la luce della mèta, danno indietro erecalcitrano, fino a voltare le spalle alla luce intravista e a negarne beffardamentel'esistenza. Costoro non sono ancora maturi alla nuova creazione, poiché l'essenza d'ognicreazione è il sacrificio in nome del divino che c'è in noi, sacrificio di successo, di quattrini,di fama e perfino di risultati apprezzabili nell'ambito stesso dell'espressione artistica. Ma ègloria più vera aver solamente tentato la via buona, anziché esser riusciti sulla via falsa.Riusciti a che? A illudere se stessi. Questa tendenza auto-illusoria è effettivamente latendenza odierna più difficile a vincersi. Tutto, intorno a noi, cospira a ingigantire in noiquesta tendenza: dalla potenza meccanica alle pseudo-opinioni dei giornali, dal pesomassimo che in tutte le attività della vita hanno oggi raggiunto gl'incompetenti (che sono ilpeso morto da vincere) fino alla dura lotta che richiede la quotidiana esistenza economica diognuno. Tutto cospira a sospingere l'artista lungo la più facile china del successo esteriore;ovvero, ed è il meno peggio che possa capitargli, a stornarlo oltreché dalla soluzione,addirittura dal problema stesso, spingendolo verso altre attività, che non siano quelledell'arte come rivelazione" (pp.84-85).Si deve riconoscere che sono parole ancor oggi attualissime. Ritornando al nostro artistaideale, che significato può assumere oggi, per lui, nel campo specialissimo dell'arte, iltermine 'tradizione'? :"Ogni vera opera d'arte è, a se stessa, la sua propria tradizione, che nasce con l'operastessa, in essa sola rimane vivente, e con essa si esaurisce. Ogni proseguimento, ogniperdurare di quella tradizione, fuori dell'opera che le ha dato origine, è contrasto,opposizione, negazione dello spirito creativo. (Non si parla qui di forme astratte: cioè dimetri, di generi letterari, di argomenti di poemi, ecc. Si parla dell'intimo timbro spirituale, edella situazione essenziale che il suo creatore ha assunto nel mondo). Dunque: in arteindietro non si torna; né si dovrebbe tornare, anche se, per disavventura, si potesse. Alloranon resta altra soluzione del problema fuori di questa: che l'artista sia cosciente delproblema stesso. Egli cioè non può più ignorare che l'essenza della sua arte è la rivelazionespirituale del cosmo in lui uomo; e poiché l'antica capacità istintiva di questa rivelazione gli èandata perduta, egli deve diventar cosciente di ciò che ha da fare, con la sua propriavolontà, per arrivare a riconquistarla. Egli deve imparare, liberamente, dalle forze interioriproprie, il metodo della rivelazione" (pp. 86-87).

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L'autore si rende conto che già accettare ciò urta contro pregiudizi ereditari, che solo l'artistache abbia sviluppato in sé volontà di autodominio può superare. In tale direzione, Onofriindica necessario, innanzi tutto, operare per liberarsi da "tutto quel mondo complesso diimmagini istintive, di pensieri e di sentimenti impulsivi, che vivono all'interno dell'uomo"(p.87) e che costituiscono un "insieme umano involontario, che ha la caratteristica di unmondo determinatosi in lui con la nascita dai suoi genitori, con l'ambiente che diventerà lacerchia personale delle sue abitudini e preferenze, dei suoi pregiudizi e passioni, innati eoperanti nel sangue ereditario. L'uomo deve comprendere che in questo insieme caotico enon suo, che egli porta quale un involucro ostacolante, la sua reale volontà dorme un sonnoprofondo, come la pagliuzza d'oro nello spessore della sua ganga. Bisogna che questaganga sia fusa col fuoco. Il primo atto che egli deve chiedere alla sua propria volontà è cheessa riconosca umilmente di essere sepolta in una farragine arbitraria di elementalitànaturali e aprioristiche, le quali le impediscono di manifestarsi. ... Quanti uomini parlano dilibertà, e magari di libertà assoluta, e si credono liberi, perché si son formati un qualunqueconcetto filosofico della libertà!, ma poi nella realtà della vita non sono che i servi dei propriappetiti e delle proprie ambizioni: quasi mossi da fili esteriori. Ciascuno di noi comincia aconoscere che cos'è la volontà quando avverte l'antitesi fra ciò che in noi viene voluto da uncomplesso di fattori che non si possono chiamare col nome dell'Io, e ciò che proprio l'Iovuole in noi. Quando la volontà non si confonde più con gli appetiti, con le ambizioni, con levelleità, allora solo essa è la volontà. ... Una volontà dunque che esclude già ogni conflitto,avendo riportato tutto alla propria essenza, nella perfetta pacificazione e unione auto-divina;e che pure, malgrado ciò, anzi appunto per ciò, trova in sé sola le motivazioni irrefutabilidell'agire: solo questa è la volontà che agisce, e che è tutt'altra dalla volontà che è agitailludendosi di agire" (pp.87-89).Tuttavia l'assumere che ogni opera d'arte, per la creatività dell'artista, debba esseretradizione a sé stessa non implica affatto il rifiuto di ciò che rimane ancora dottrinariamentevero della passata religiosità ed iniziazione. Ad es. occorre riconoscere che le umanepulsioni non sono solo il risultato dell'ereditarietà e dell'ambiente fisico-sociale umano, madell'ambiente in generale, anche sottile e spirituale, e perciò anche della pressione chepossono esercitare potenze ostili, "esseri spirituali avversi alla volontà superiore e cheprendono nome ed aspetti di istinti, di passioni, di pregiudizi, di ostinazioni, di errori, ma chein realtà sono gli esseri spirituali del male, i quali si servono dell'uomo per i loro propri fini, eson essi che gl'impediscono di volere, perché sono essi che vogliono in lui, pur dandoall'uomo l'illusione di volere" (p.91).Contro l'illusorietà di una libertà già in atto, Onofri arriva a parlare della 'marionetta umana'che è mossa "come da innumerevoli fili interni ed esterni, dei quali essa non si rende conto,e che spesso s'aggrovigliano inestricabilmente" (p.91) e della conseguente necessità di unapresa di coscienza dell'effettiva situazione di partenza, sia dal lato delle possibilità volitive,sia da quello degli ostacoli esistenti, perchè possa poi attuarsi una concreta e non illusoriarealizzazione di sé: "Tutto ciò nessuno può certamente accettarlo se non conosce, oltre chel'enunciato del processo, anche e soprattutto l'esperienza di questa interna e superiorerealtà dell'anima, e nessuno può fare questa esperienza in luogo di un altro. ... Soloriportando la propria volontà umana all'accordo con se stessa, in quanto volontà divina,l'uomo trova l'unione e l'armonia interiore fra il suo io e l'Io dell'Universo. ... Ma l'enunciato,ripeto, conta ben poco, in sé e per sé. Conta solo in quanto noi cerchiamo di tradurlo in atto"(p.92).

Il quarto capitolo, intitolato La Parola, è particolarmente interessante per tutti coloro chehanno apprezzato il saggio di Ur "Appunti sul Logos" e si interrogano su specificicollegamenti di esso con l'arte poetica.Non potevano mancare riferimenti al Vangelo di Giovanni e a Eraclito, che introducono aconcetti simili a quelli da noi trovati nel saggio L'Uomo Calorico cioè Saturno (a suo tempoinviato al Forum):"La Parola-Fuoco era dunque la stessa volontà divina allo stato creativo primordiale ....Quello stesso mondo dunque che ci appare oggi allo stato minerale e contratto, si trovavaallora allo stato diffuso di Parola-calore (p. 97) ... Da quello stadio immensamente-mondo,rarefatto, fluido e compenetrantesi, si è passati a fasi del mondo e a forme sempre piùdense, delineate e disintegrate dall'insieme, fino a raggiungere la forma singola di oggetti edi creature densificate e distinte, che siamo oggi noi stessi, l'uno fuori dell'altro. Questaindividuazione in singole creature è quella che ha dato all'uomo, depositario di quellaParola-fuoco dei primordi, la capacità di rendersi conscio del mondo nei suoi vari aspetti, e

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di poter ritrovare, in virtù di quella stessa Parola, lo spirito unitario della creazioneuniversale, per atto del suo proprio spirito d'uomo individuato in un corpo distinto da unaltro" (p. 98).Se un giorno i supporti materiali, dei quali l'arte si serve, dovessero svanire, per il passarela terra a condizioni più simili a quelle della Parola-fuoco originaria, non per questosvanirebbero la concezione e la creazione spirituale originarie di quelle opere: "Insomma lospirito, l'idea-madre, l'essere originario, l'archetipo vivente di ciascuna delle vere opered'arte (sono vere perciò solo quelle che corrispondono allo spirito di sviluppo della terra)costituiscono la vera realtà di tutti i poemi e di tutte le opere; e sono eterni. Questi archetipiesistevano (spiritualmente) anche prima che quelle opere fossero attuate in terra dagliartisti, ed esisteranno, sebbene diversamente, anche dopo che l'odierna esistenza materialesarà riassunta in ispirito. ... Come l'artista non fece che essere fecondato, nella suaispirazione, da quell'archetipo a cui dette esistenza artistica (per gli uomini) nella materiavisibile e udibile dai sensi, dentro l'opera d'arte, accogliendo quell'archetipo e comeinsufflandolo nella materia delle sue statue, delle sue tele, delle sue poesie, delle suemusiche; così quell'archetipo, però trasformato-umanizzato attraverso l'ispirazione el'interiorizzazione dell'uomo-artista, sopravviverà eternamente, e anche dopo che la suarealtà materiale sarà andata dissolta col dissolversi della terra-minerale" (p. 99).Onofri fa poi una serie di considerazioni sulla Parola quale forza magica e quale valore econclude:"L'uomo-artista dà forma al corpo sensibile ad un essere spirituale, ad uno spirito cheesisterebbe solo nel mondo degli archetipi, nel mondo spirituale, ma del quale l'uomo nonpuò prendere coscienza se non attraverso il velo della trasparente forma, attraverso il corpodi bellezza sovrasensibile che l'artista solo sa adeguatamente plasmare a quell'essere,esprimendolo attraverso l'opera d'arte. E quell'adeguatezza, quell'armonia, quell'accordoche nelle grandi opere d'arte noi intrasentiamo fra lo spirito e l'espressione artistica èl'essenza di ciò che chiamiamo bellezza. Cioè attraverso l'opera d'arte noi uomini possiamovivere l'accordo fra il mondo terreno e il mondo spirituale, fra la terra e il cielo, in quantoquesto accordo lo sentiamo realizzato nell'arte. Fuori di ciò, arte vera non può esistere.Dunque, l'artista nell'ispirazione è spiritualmente fecondato da un archetipo, al quale egli dàforma, dà corpo nella sua espressione artistica. Ma da allora in poi, attraverso questaespressione artistica attuale, attraverso quest'opera d'arte, quell'essere spirituale che viveentro la forma va a sua volta a fecondare pel tramite dei segni espressivi (parola, colori,linee, note, ecc.) innumerevoli altri esseri spirituali, che sono gli uomini capaci di viverel'opera artistica. (Da ciò s'intravede con quale dedizione e meditazione andrebbero lette leopere dei poeti veri). In questo finissimo tessuto creativo, che si avvera fra gli uominimediante l'artista, ciò che domina è dunque lo spirito di comunione, di fusione, diaffratellamento spirituale: lo spirito d'Amore. In questo senso lo spirito di ogni creazione, e lospirito insomma della Creazione stessa, cioè del mondo creato, non è che l'Amore. LaParola creatrice è l'Amore, come vita essenziale della creazione, e codesta parola creatricecircola e ricircola infinitamente nella creazione stessa attraverso e mediante la giustaarticolazione interiore dell'Uomo, per via della parola umana. Solo per indicare unatendenza ch'è implicita e latente nella parola umana, solo per questo, ho voluto accennareora ad un grado di sviluppo della parola, nel quale l'uomo insieme alla parola-suonoemetterà la parola-spirito e coscientemente metterà al mondo, parlando, esseri spirituali chenon possono venire ad esistere fra noi se non per via della parola umana. Parlando,spontaneamente l'uomo modificherà e modellerà anche le altre anime umane, e agirà suisuoi simili con una tale attività plasmante (edificatrice) sull'intimo mondo morale e spiritualedi ciascuno dei veri ascoltatori che già si può indovinare come e perché l'essenza dellaparola sia tutta azione, e come l'etimologia di poesia sia poiein, cioè fare, agire. Infatti illinguaggio è tutto di origine divina-spirituale, e nelle parole, quali noi oggi le abbiamo, èracchiusa l'essenza stessa del mondo: solo che ne acquisteremo coscienza sempre piùintensa e operante, affinché la Parola affluendo sempre più nel nostro interno dal Cosmo neriesca in parole sempre più impregnate della nostra essenza umana cosciente" (pp.101-103).Onofri accenna poi all'importanza della Parola in tutte le antiche tradizioni:"Tutte le leggende degli antichi popoli ci raccontano a chiare note che l'uomo aveva unbarlume di questa potenza magica della parola. (p. 103) ... Certo, la poesia odierna nondimostra troppo di saperne gran che; ma bisogna aiutarla a svegliarsi dal suo dormiveglia,pieno d'incubi" (p.104).Il potere magico non sta tanto nelle parole, come ingenuamente credono coloro che vanno

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alla ricerca di "formule magiche", ma nell'atto creatore che in esse si esprime. Soloripetendo interiormente quell'atto le stesse "formule" possono eventualmente ripeternel'effetto: "È esperienza propria del poeta che l'intimo significato, il vero senso delle paroleche compongono una poesia, non è da cercarsi dentro le parole stesse che compongono lapoesia. Quelle parole possono essere (ognuna in sé) di natura affatto ordinaria e, direi,convenzionale, ma il vero senso poetico consiste in un certo fluido liberatore, che circola frale parole, e tesse miracolosamente, come una rete di musica e di luce, dalla quale le signoleparole vengono, in certo modo, assunte in funzione più alta di vita, e, si può dire,trasumanate. Infatti tutti sanno come sia impresa disperata voler precisare in che cosaeffettivamente consista l'incanto che emana da certi tratti dei più grandi poeti, e che non èmai possibile risolvere nel che cosa, nell'argomento, nel dettato, e tanto meno nelle singoleparole, che per se stesse sono le solite che tutti usano; ma che s'indovina consistere in uncome, in un modus loquendi, in una funzione che il linguaggio umano assume,trascendendo la funzione ordinaria, e facendo intrasentire una lingua angelica, celestiale,nella quale il parlare è un avvivare, un musicalizzare, un suscitare, un accordare il mondocon se stesso, e addirittura un creare il mondo parlando. Anzi, poiché in ogni punto emomento del mondo, tutto il mondo è attivo e presente, il vero argomento di qualunque verapoesia non è che questa sinfonica realtà dell'insieme, sia pure colta in un particolare istante.In tal senso il poeta, come diceva Novalis, non è che un illuminato dal linguaggio. E se noivogliamo tentare di chiarire questa perfetta intuizione, dobbiamo soggiungere che il parlareè per il poeta (quando è poeta) come un arrivare a toccare con la magia delle parolel'essenza dell'universo invisibile, un comunicarsi col mistero divino, un partecipare, peramore parlante, all'atto originario del Verbo creatore. Questa musica trascendentale che ènella vera poesia, questa 'armonia delle sfere' che può vibrare fra le parole, è ciò che formala sublimità della poesia. Allora le parole manifestano, al di là della loro terrestre natura, ilrapporto arcano delle stelle e dei numeri, la sorgente sinfonica da cui sono scaturite tutte lecreature, il fiat primordiale che sillabò in un atto di manifestazione perfetta il cielo e la terra.Il poeta si leverà con tutta la sua coscienza d'uomo, fino a raggiungere realisticamente ladignità di questo compito concreto di uomo fra gli uomini, di rivelatore parlante, di illuminatodel Verbo, di conciliatore, armonizzatore, risanatore, compensatore e liberatore, in cospettoall'Io di tutti gli uomini; e assolverà tale compito con abnegazione perfetta, con amoreimmacolato e dedizione totale. Ecco un aspetto nel destino della futura poesia. Dicemmoche la poesia antica stimolava all'azione, si riferiva all'azione, cioè ad una certa azionesociale da attuare; la poesia futura sarà essa stessa azione, e sarà l'azione dello spirito chearticolando sé nella parola attuerà sulla terra la sua legge, il suo ordine, la sua armoniauniversale. (pp. 108-110) ... Le più grandi rivelazioni e le più ricche musiche dovrà il poetaaccogliere dalle creature che possono far vibrare l'aria col suono della loro interiorità; etalvolta il fremente nitrito d'un cavallo, il cinguettar d'un uccello o la parola più semplice di unumile ignorante, gli narreranno arcani che per nessun'altra via potrebbero venirgli palesati,poiché la sapienza e la potenza della parola non tanto sta nei libri della sapienza, quantonella conformazionie di chiunque e di chicchessia. 'Tutte le cose furono fatte per mezzodella Parola, e neppure una delle cose fatte fu fatta senza di essa' " (p. 110).In particolare, riguardo al poeta-mago del futuro, Onofri così lo descrive: "Egli asseconda,stabilisce e perfeziona misteriose corrispondenze tra i fiori e le stelle, fra il destino dell'uomoe le antiche leggende, fra gli spiriti eccelsi del sacrificio e il povero sasso che sembraabbandonato a se stesso sul sentiero. Un mondo nuovo gli si schiude. ... La storia segretadella terra, e tutte le famiglie degli animali, e le tribù degli uomini, e le colonie di anime nellestelle, e le immense razze e specie delle piante, si offrono collegate da riposti vincoli diaffetto, parlano di sé come d'una sola biografia cosmogonica, e indicano le fasi dellosviluppo di ciascuno come i gradi d'una gamma celeste, le varie note di una sola tastiera; esono esse stesse (le cose) lo scorrere, il salire e il discendere degli angeli in un soloimmenso organo di musiche: sacro corpo del mondo. (p. 111) ... Un innamorato diparentele, uno scopritore di relazioni, per quanto apparentemente lontane, un maestro disimpatie, un'anima d'amore che anela a farsi ostia di comunione parlante fra gli esseriseparati, un articolatore nel suono del cuore umano, un illuminato-illuminatore per mezzodella parola dell'uomo, la quale è l'immagine più alta del Verbo divino, un ministro dellaParola: è questo il poeta dell'avvenire" (p.112).Incarnare un simile ideale di poeta richiede una identificazione con la propria vera essenzache, se si esprime individualmente, è tuttavia anche la medesima in tutti gli esseri: "Questamutua e raggiante pienezza è in ogni attimo della catena eterna, in ogni particella dellapresenza infinita: essa è nel piccolo bruco che abita il filo d'erba, come nell'amore perfetto

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dell'Io Unico che ha per sua casa l'universo. Una familiarità senza limiti unisce il più alto alpiù basso, e in ciascuno è attiva la confluente energia dell'insieme, quale condizionedell'esistenza sua propria. Tutte le creature e i pensieri sono indispensabili al galleggiard'una nuvola negli oceani promiscui dell'aria. Negli organi brevi dell'uomo c'è l'assistenzadelle costellazioni planetarie, la potenza dei monti, la fluidità dei fiumi, la conversazione e ilritrovo dei sublimi esseri che guidano le amicizie terrene e i celesti sistemi: organidell'universo, corrispondenze giganti degli organi umani. Ma l'unità vera, l'intima realtà ditutto questo è solamente nello spirito dell'uomo che va pienamente risvegliandosi alla suadivina coscienza mondiale. Per questo il poeta non può restare più a lungo in un sentimentosoltanto diffuso di pienezza panica, e sognare l'organismo del mondo in parvenze arbitrariee casuali, che sarebbero la sua fantasia personale. Il pronunciatore, colui che articola ilverbo di vita, deve giungere a conoscenza delle originarie intenzioni che sospingono ognigruppo di creature, ogni tribù di fiori, ogni famiglia di spiriti verso il loro destino diredenzione, già manifestato nelle sublimi forme di tutte le cose. Egli cercherà di entrare inquella sublime scuola d'amore dove maestri incorporei insegnano la scienza e la storia dellanatura, la presenza cosciente dell'Io, lo sviluppo e le antecedenze del minerale, il metodo el'arte d'impadronirsi del proprio corpo mortale come d'uno strumento destinato alla paroladei mondi, alla parola che spazia creatrice nelle sue musiche celesti, così come il linguaggiousuale si propaga palesemente nell'aria, ma in figure sonore che dobbiamo afferrare conl'anima veggente. (pp. 114-115) ...Questa grammatica della natura, questa prosodia celeste, questo immenso cifrario di esseri,questa sintassi cosmica, è la tecnica nuova del poeta, è il tirocinio della sua arte, la quale hafinalmente riconosciuto se stessa nelle sue proporzioni adeguate: come azione diarticolatrice cosciente del cosmo" (p. 116).Come abbiamo visto, il presente capitolo accenna alla 'tecnica nuova del poeta' ma, prima dioccuparsi in specifico di essa, Onofri indica al lettore l'intima relazione esistente fra Natura eSpirito: "La Natura è il vivente scenario ove si svolge questa sublime attività tutta Spirito, el'attività dello Spirito è l'essenza reale della Natura terrena ... Madre dell'essere in ognuno dinoi" (p.119). ... Dove l'inno articolato del veggente mòdula la realtà universale, ella scorred'amore nel suo proprio discorso, fiumana della sua propria potenza, fluente versoquell'oceano dell'essere, che è culla della sua nascita, ma pure è nato da lei, dal suo proprioslancio di dedizione al Maschio Creatore del Mondo, che l'ha fecondata di sé nell'eterno"(p.123). E poichè essa, per la sua Potenza, è concausa della nostra piena realizzazionespirituale, l'Autore conclude il quarto capitolo con l'esclamazione: "O Madre piena di Grazia,salvaci dall'oppressione!" (p.123)

In via del tutto logica, il capitolo successivo, cioè il quinto, è intitolato La Tecnica, daintendersi non solo come tecnica poetica, bensì artistica in generale, giacchè riferita "a unaParola nella quale tutti i segni di manifestazione siano compresi; e pertanto ogni pluralismofra le varie arti, ogni tentativo di porre il problema in modo differente per ogni differente arte,sarebbe erroneo e porterebbe soltanto ad accentuare e sopravvalutare le particolariesperienze e preferenze empiriche di questa o di quella arte, senza risultato fecondo perl'essenza del problema stesso" (p.126).Onofri afferma che "in arte la tecnica è tutto" (p. 125), ma occorre approfondire in chesenso:"Può forse esistere una tecnica d'arte, la quale risulti da una formula estrinseca che, unavolta trovata, basti imparare, per poi applicarla a qualunque operazione e combinazioneartistica, a quel modo che la tavola pitagorica si applica a qualunque moltiplicazione? Larisposta, a meno di non vagheggiare non so quali soluzioni stregonesche o puerili, non puòessere che una sola: no. Ma può esistere una tecnica di metodo, dalla quale la soluzione diogni caso artistico emerga sempre differentemente dall'interno dell'artista, in ogni suacreazione, e che pure sia una tecnica essenzialmente identica ogni volta a se stessa?Vorrei appunto mostrare che questa tecnica, non solo può esistere, ma esiste di fatto" (pp126-127).Essa consiste sostanzialmente "in una tecnica spirituale, in una tecnica di orientamentoespressivo, di evocazione metodica dello spirito da manifestare artisticamente. Una tecnicadell'ispirazione del Verbo, non già una tecnica delle parole come strumenti ordinati amanifestare, caso per caso, codesta ispirazione" (p.127). Una sua caratteristicafondamentale è il giusto 'volume' di parole; infatti, "quand'è che il poeta può manifestare,articolare con le parole, l'essenza cosmica stessa, senza che egli scambi, intralci econfonda il mondo dela realtà spirituale con il suo mondo personale ed empirico di

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sentimenti, di attività, di pregiudizi, di concetti, di bisogni pratici? ... Lo stato poetico positivonon sarà mai uno stato di fenesia passiva e inconscia ... (p. 128) Nulla di più personalisticoe anti-creativo del cieco turbine di passioni e d'istinti ... Risultato tipico ne è il sovrabbondaredella materia verbale in rapporto all'essenza, allo spirito dell'espressione, e in cento paginesi trova diluito ciò che avrebe avuto la sua giusta manifestazione forse in dieci o in cinquepotenti tratti verbali. (p. 129) ... Ecco dunque che troviamo risolto un aspetto del problema:un'opera poetica esiste quando il volume, il numero delle parole che la compongono èquello esatto e necessario. Problema matematico dell'arte, che avrà però la sua giustasoluzione implicitamente, se lo porremo così: quando avviene che il poeta può giungereall'espressione poetica giusta, cioè attraverso un materiale verbale esatto? Quand'è che ilcorpo (di parole) di una poesia è perfetto e corrisponde esattamente allo spirito dellapoesia? La risposta a questa domanda è facile, e ci porterà di un passo verso la soluzionedi tutto il problema tecnico. Si può affermare che il poeta realizza un corpo verbale perfettoquando si attiene assolutamente allo spirito della poesia che vuole manifestarsi attraverso dilui, e sa escludere dal campo della sua espressione tutto ciò che non è quel certo spiritoespressivo. (p. 130) ... L'artista deve arrivare a lasciar agire spiritualmente in lui lo spirito diquella certa poesia che vuol nascere al mondo in parole attraverso di lui, e perciò deveportare la sua volontà a coincidere con la volontà di quel certo spirito poetico creativo,rinunciando ad ogni altra velleità personale, più o meno burrascosa. ... La miglior condizioneper giungere a tanto sarebbe, evidentemente, che il poeta potesse conoscere quella volontàpoetica quale un essere oggettivo, così come coi sensi si conoscono gli oggetti del mondosensibile" (p. 131).Ciò ci ricorda da vicino quell'evocazione volontaria e cosciente di un 'corpo divino', "davantia sé" e/o "in sé stessi", di cui si fa largo uso nella Teurgia, sia occidentale, sia orientale. Einfatti Onofri specifica: "Già risulta chiaramente che non si tratta di una passività dellospirito, di una frenesia cieca, di un invasamento spirituale per lasciar che le cose avvenganocome esse credono meglio ... bensì, al'opposto, di un'attiva volontà che riconosce unavolontà superiore alla sua e fa uno sforzo cosciente per diventare essa stessa quellavolontà superiore, la quale viene così ad essere accolta in lei, a identificarsi con lei, e puòcrearsi da sé stessa la sua forma di manifestazione nell'interiore dedizione del poeta.Novalis diceva che le rivelazioni autentiche sono piuttosto il frutto della fredda ragionetecnica e del calmo senso morale, anzichè il frutto di uno sbrigliamento sfrenato e caotico. Eciò facendo, il poeta compie una vera azione auto-creativa. Egli pel primo risulta trasformatodall'opera sua; ed egli stesso, nella sua continua trasformazione spirituale, è la riprovavivente che le opere da lui prodotte sono vive" (pp. 131-132) ... Uno stato di concentrazionevolontaria, astratto da tutto il resto, è l'atto fecondatore per il quale, con la parola umana, sipuò mettere in moto una rivelazione divina. Questo stato di concentrazione è uno stato chenasce e si sviluppa in virtù di uno speciale allenamento interiore, il quale deve esserecondotto e diretto dal poeta stesso con la sua propria volontà. (p. 132) ... Una vera scienzadel Verbo, una logologia (per usare una parola di Novalis) dovrà sorgere via vianell'avvenire, ed è vero che i risultati, nelle varie tempre d'artisti, saranno differentissimil'uno dall'altro, ma è pur vero che il metodo, la via, l'allenamento da seguire rimane uno" (p.133).Come già abbiamo avuto modo di dire, la continuità iniziatica è connessa da un lato alriconoscimento di ciò che permane di valido delle precedenti tradizioni e, dall'altro lato, agliadeguamenti necessari al comparire di esseri umani interiormente e talora anchefisicamente diversi. Per quanto riguarda il primo aspetto, è da segnalare una importantedistinzione dottrinaria che risale al Rig Veda, secondo il quale esistono quattro gradi dellaParola (Vac) : al grado più basso c'è Vaikhari Vac, la Parola 'grossolana', quindi MadhyamaVac, la Parola 'mediana', o sottile, pensata ma non pronunciata, per arrivare al più altolivello del linguaggio individuale Pashyanti Vac, la Parola 'vedente' (dalla radicepash=vedere) identica all'oggetto significato (e perciò Parola magico-causale), oltre la qualec'è Para Vac, il Logos supremo, origine dei primi tre gradi e trascendente rispetto ad essi.Onofri allude ad equivalenti di tutti questi gradi, parlando del metodo interiore del poeta. Egliinfatti distingue:- La parola come mero "sfogo psicologico" e come "mezzo di descrizione, di resoconto, distrumento didattico-espositivo" che, nei suoi due possibili aspetti di 'espressa esteriormente'e 'pensata', equivale ai primi due gradi.- La Parola creatrice umana, che è la parola umana 'nel suo più alto registro di possibilitàattive', vero obiettivo del poeta e, in lui, punto di partenza delle manifestazioni più esterioridella sua attività poetica. La possiamo far corrispondere al III grado.

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- La Parola creatrice divina, equivalente al IV grado:"Questo metodo è indicato nelle prime linee del Vangelo di S.Giovanni, quando il Verbodivino viene chiamato il principio creatore di tutte le cose e di tutte le creature. Un'immaginedel Verbo creatore è appunto la parola umana, ma essa ne è un'immagine in movimento,un'immagine vivente che tende a riprodurre in sé l'attività creatrice divina, in quanto peltramite della parola l'uomo può compiere interiormente un'azione la cui efficacia, sul mondospirituale stesso, si manifesta come modificazione di quel mondo, in qualità di creazione cheopera sull'intero mondo spirituale. C'è dunque un parola creatrice umana, come c'è unaparola creatrice divina. Ma mentre quest'ultima agì direttamente sul mondo come creazionedi creature, di cose e di avvenimenti, la parola può agire solo indirettamente su di essoattraverso lo spirito umano, in quanto la parola si fa consapevolmente azione spiritualedell'uomo che la pronuncia, e che trasforma, attraverso la parola, la propria coscienzad'uomo. Bisogna dunque che la parola dell'uomo sia illuminazione spirituale dell'uomostesso, sia veicolo, tramite di auto-rivelazione; e colui che userà la parola nel suo più altoregistro di possibilità attive, userà la parola come strumento di illuminazione su quella realtàdi presenza che opera in tutto il mondo sotto specie d'uomo. Il poeta, dunque ha dadiventare un auto-illuminato del linguaggio, un auto-illuminato 'dal' linguaggio. Non soltantola parola in quanto mezzo di descrizione, di resoconto, di strumento didattico-espositivo, etanto meno di sfogo psicologico personale, ma la parola in quanto iniziatrice ai misteri, inquanto strumento d'auto-iniziazione ai mondi superiori. Questo è l'interno metodo del poeta.La parola come azione per giungere alle verità soprannaturali: ecco il culto della nuovapoesia, e ad esso deve mirare coscientemente colui che vuol assumere il nuovo grandecompito della poesia" (pp.133-134).Uno degli effetti degli stati di coscienza connessi alla realizzazione spirituale è l'accesso asuperiori piani di esistenza, per l'iniziato reali quanto e forse più del piano dell'esistenzafisica:"Una presa di possesso, mediante la parola poetica, dell'attualità spirituale operante neimondi superiori, è il risultato volontario, e alla fine naturale e spontaneo, che nascerà dallapoesia; giacché la bellezza stessa dell'ordine verbale euritmico, che è realizzata in unpoema, non è che la perfetta rispondenza tra l'avvenimento spirituale interno compiutosi nelpoeta, e la sua stessa capacità di conformarvi adeguatamente la figura verbale che è il suocorpo di parole, bennato e armonioso. Questa proporzione intima, questa concordanza ecorrispondenza nativa, che è l'incanto e la persuasione di un'opera poetica, nascerà ormaidal supremo accordo cosciente tra il Verbo creatore e la Parola umana, nella libera fantasiacreatrice dell'artista. E siffatta intima rispondenza e perfezione, non c'è tecnica di verso o diprosa che possa artificialmente produrla, laddove il poeta non l'abbia conquistata comeilluminazione interiore sua, e alla quale non abbia saputo innalzarsi, con sforzo progressivoe deliberato, nel più profondo della sua aspirazione d'uomo e d'artista, in piena comunionecol mondo spirituale" (p.136).

Continuiamo l'esame dei capitoli rimanenti. Nel capitolo sesto - L'arte nella vita comeespressione della socialità cosmica - Onofri indaga sulla funzione sociale dell'arte e sulconcetto stesso di socialità. E' uno dei capitoli che, dopo le esperienze di "conoscenzaispirativa", che trapelano dalla lettura di Appunti sul Logos, avrebbe potuto forse esserriscritto con maggiore maturità, se l'autore non fosse prematuramente scomparso. Mancainfatti ancora al suo linguaggio un rigore espositivo, che permetta, in tutti i passaggi, unainterpretazione univoca al lettore. Esistono tuttavia dei punti sufficientemente fermi: perOnofri, partecipare al corpo sociale dell'umanità significa prendere coscienza del Sécosmico che è in tutte le esistenze, e in questa fondamentale unità, percepire se stessi e glialtri esseri come parti di quel più vasto Sé. Più precisamente: "L'uomo terrestre sarebbel'opera d'arte degli esseri creatori divini. Questi esseri creatori non sono altro se non sommiartisti che hanno voluto suddividersi in tante scintille divine e abitare esse stesse nellapropria opera d'arte, proseguendo a farla vivere, fino a che gli uomini stessi riconoscendosispiritualmente come Uno, attueranno in terra questa Unità divina cosciente. E l'opera d'artevivente creata dagli esseri eccelsi è appunto la vita degli uomini con il loro divenire terrestre(p. 153). ... Così l'uomo terrestre, dapprima opera d'arte (creatura) degli spiriti divini, diventa,via via, creatura sua propria, opera di sé stesso: opera d'arte auto-cosciente e interamenteumana: come uno scultore che avesse dapprima creato la sua statua, ma solo perinfondervi la sua stessa essenza scultoria creatrice, affidando con ciò alla statua medesimail compito di rimodellarsi da sé, rimodellando anche il mondo da cui fu attinta la sua materia:la sostanza terrestre della sua primitiva figura (p. 171). Come si vede è proprio il concetto

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dell'Unità che si vuol realizzare ad essere incerto, naturalmente anche perl'indeterminatezza abituale di ciò che è ancora di là da venire.

Nel capitolo settimo - Il mondo come opera d'arte dell'Io cosmico - si trova unaesposizione dei principali stati di coscienza (veglia, sonno e morte), più o meno nei terminiche si possono trovare nelle opere di R.Steiner e, in parte, nei saggi di Ur/Krur. Si parla poidel concetto dell'Uomo Cosmico "originario", un concetto antichissimo, appartenente amolte tradizioni, e centrale in quelle Testamentarie (Adam Kadmon) e nell'Antroposofia.Secondo un inno vedico, il Purusha-Sukta del Rig veda, gli dèi fecero l'universo sacrificandol'Uomo Cosmico. La luna è nata dalla sua mente (manas), il sole (surya) dal suo occhio, dalrespiro il vento, dall'ombelico l'atmosfera. dalla sua testa il cielo, dai suoi piedi la terra. Dalui vennero anche le diverse caste brahmana, ksatriya, vaisya e sudra, rispettivamente, dallabocca, dalle braccia, dalle cosce e dai piedi. Il Purusha Sukta dichiara che la Divinità hamigliaia di mani, migliaia di occhi e migliaia di piedi. Ciò significa che la forma collettivadell'Essere Cosmico, l'Umanità, non e altro che la Divinità e che servire l'Umanità vuoldunque dire servire la Divinità. Gli uomini attuali sono divisi su un mucchio di inezie, ilPurusha-Sukta afferma invece che siamo uniti, interdipendenti e ci propone questa fermavolontà: "Resteremo uniti, cresceremo uniti, condivideremo la conoscenza che abbiamoappreso, vivremo uniti senza malevolenza". E' in questi termini che si può concretamentepensare l'Unità in Terra, che Onofri auspica già dal capitolo precedente. Peccato che in quelcapitolo come in questo, in modo del tutto analogo a quanto accadeva nei testi evoliani dellostesso periodo, taluni influssi della allora in auge filosofia idealista vadano più a deformarela dottrina tradizionale, che a spiegarla.La premessa della costituzione di questa Unità risiede, secondo l'autore, soprattutto nelmistero dell'Amore, nell'unione dell'uomo e della donna, per tornare ad essere insieme unindividuo umano completo "e quest'ultimo non è solo il loro figlio carnale, ma un figliospirituale", dedizione di ciascuno "al proprio destino celeste" (p.188).

L'ottavo capitolo, "Conclusione", porta a compimento le riflessioni che percorrono l'interotesto. Più delle conclusioni filosofico-teologiche, appaiono interessanti quelle relative alruolo della poesia futura, intesa quale poesia-teurgia:"L'uomo artista a questo punto impara a conoscere le creature e gli esseri del mondoterrestre e del mondo spirituale, entrando in questi esseri stessi senza perdere il suo Io; eallora le sue rappresentazioni ed esperienze interiori non sono più personali, ma sonooggettivamente reali, quanto e più degli esseri fisici che son percepiti dai sensi, ma hannoaltresì il carattere della piena certezza, perchè oltrechè oggettive, codeste esperienze sonoassolutamente interiori. Queste rappresentazioni sono 'immagini reali' : sono gli esserispirituali, dei quali è tessuto il mondo. (pp. 205-206)L'Arte futura tende a diventare espressione di un'interiorità universalmente umana,realizzata in quanto oggettivamente cosmica, in quanto l'interiorità dell'artista, nata a nuovospiritualmente, ed uscita addirittura dalla sua personalità corporea, prenderà attraverso isegni espressivi (linee, colori, note, parole, gesti) una persona estetica composta dai suoipropri segni espressivi. Sarà l'insieme stesso di un vero quadro a costituire, nell'interno delcontemplatore, una personalità oggettiva formata di linee e colore che appunto gli simanifesterà attraverso i colori e le linee. Una musica creerà un avvenimento animico dicoscienza, e formerà una concreta attuazione spirituale. Una poesia non sarà che il corpospirituale (tessuto di parole) d'una interiorità assolutamente reale, e costituirà un essererealmente esistente col quale noi saremo uniti, in forza della nostra comunione verbalecosciente. Tutte le opere d'arte saranno tanti corpi reali, manifestanti veri e propri esserispirituali. Poichè l'uomo al pari di Colui che rinasce come Spirito Creatore dal suo propriointerno umano, è destinato a creare veri e propri esseri spirituali". (pp. 209-210)Anche se è troppo entusiastico e poco realistico pensare che "tutte" le opere d'arte possanoavere veramente tali caratteristiche, è certamente un bell'augurio per gli artisti-maghi delfuturo.

***

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3b) Arturo OnofriUna Volontà Solare

Dopo aver illustrato in sintesi il trattato teorico onofriano "Nuovo Rinascimento come arte dell'Io",dovrebbe essere agevole comprendere il componimento poetico "Una Volontà Solare", che si trova inIntroduzione alla Magia. Aggiungiamo perciò solo pochissime note a pie' di pagina.

I

L'alto movente ch'eccita ogni stasi 1del passato a riprender contattocol volere che intìma nuove fasiin avanti alla terra, urta di scattole resistenze nere 5illuse di volere.

Volontà d'uomo è solo movimentoverso il proprio rinascere immortale;e il desistere è morte, è il fuoco spentod'antichi dei nel corpo minerale 10ove l'uomo è feticcio irreale, e terriccio.

Dal cherubico volto di Michelesplende in mondialità, senza arrestarsi,l'uomo che crea divine parentele 15fra il suo futuro e gli esseri scomparsiche fu lui stesso, masenza sua volontà.

Raggia, da quel divino aspetto, il fuocodella parola-dio, che uccide il mostro 20superstite nel nostro sangue fioco;e in quel volto risuscita, ma nostro,l'onnipotente aiutogià da noi ricevuto.

Ora il nostro risveglio umano è l'atto 25che induce, fatta spada eccelsa, stasidel passato a riprendere contattocol voler nostro, ch'eccita altre fasiin avanti alla terra.E santa è questa guerra. 30

Note:

5) Vuole un principio della chimica (detto di Le Chatelier o dell'Equilibrio Mobile) che un sistemachimico-fisico in equilibrio, in cui si induca dall'esterno un cambiamento di una delle sue variabili,modifichi il suo equilibrio, in modo da minimizzare il cambiamento stesso. In campo sociale, abbiamol'equivalente principio del "tutto cambia perchè nulla cambi" di gattopardesca memoria. Nel campodell'ascesi, resistenze oscure legate alle abitudini, da vincersi mediante la luce del "conosci te stesso",

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giocano un ruolo del tutto simile.

11) Come si sa, un feticcio sostituisce l'oggetto reale, con il quale è legato da una qualche forma diassociazione di idee, spesso di carattere simbolico. Ebbene il corpo minerale, nell'uomo che vi siidentifichi, è per l'appunto un feticcio, che sostituisce l'uomo reale e integrale.

20) Si veda l'esercizio della Rosacroce di R.Steiner.

30) La "guerra" interiore è l'autentica guerra santa. Giova ripeterlo, visto che da molti secoli si prende ascusa la religione per uccidere e sterminare i propri simili e si ha il coraggio di parlare di guerra santa.Non ci si faccia illusioni: la guerra santa interiore e la guerra esteriore raramente coincidono.

II

La cerchia oppugnatrice che si stringe 1intorno alla tua vita immeritoria,dà forma alla dubbiezza onde eri sfinge,scattandone impeto atto alla vittoria.

La ferrea stretta, è quella, anzi, che spinge 5la tenebrosità di ogni tua scoriaa esprimer sé mercè la tua laringe:sciogliendo la sua morte in forza ustoria.

Tanto più vinci, quanto più ti serra l'ostacolo del mondo che ti plasma 10lavorandoti a fuoco, in piena terra.

Ora che il voler tuo non ti costerna,ma stringe e sbozza un dio dal tuo fantasma,la tua vittoria è pertinacia eterna.

Note:

1-4) La guerra santa della strofa precedente è rivolta contro "l'avvolgente schieramento nemico" che, seda un lato ci schiaccia nell'abituale vita immeritoria, dall'altro, proprio come un incubo notturno, puòindurci in quel dubbio che determina il risveglio. Prima di quest'ultimo, nella fase ancor dubbiosa, l'uomoè come una Sfinge accovacciata, che si chiede incredula se quelle nuove possenti zampe che intravede,così diverse da quelle umane, siano veramente sue. Quando un fulmineo, impetuoso balzo testimonieràdella loro presa di possesso, sarà la vittoria contro i limiti umani, il risveglio. Il simbolo è del tutto analogoa quello, ricordato da Leo, del Serpente Piumato, che riprendendo coscienza delle sue ali, smette distrisciare al suolo e torna "Aquila".

5-8) Secondo R.Steiner, il "loto" della laringe ha sedici "petali", dei quali solo otto funzionano nell'uomocomune. Gli altri otto vanno resi attivi, tramite le "otto rettitudini". A chi ha praticato i "Cinque Esercizi"(vedi in Intr. alla Magia "La liberazione delle Facoltà") si offre ora la possibilità di "trasmutare il veleno infarmaco". Val forse la pena di dir qualcosa più in dettaglio:- Osservando i pensieri vani, irrazionali, frutto di illogiche associazioni, si giunge a coltivare solo ipensieri pieni di significato e di verità: si ottiene così la Retta Rappresentazione.- Osservando l'oziosità frustrata dalla necessità esteriore e i programmi astratti che si rivelano chimere,si impara a fissare l'ordine delle cose che si intende realizzare nell'immediato futuro; a prendere, concalma, decisioni equilibrate, lontane da ogni eccesso e da ogni irrazionalità: si ottiene così la RettaDecisione.- Osservando le ubriacanti parole dei momenti di presuntuosa profezia, nonchè il torrente di parole dellalogorrea difensiva o compiaciuta, si impara ad amare un parlare sobrio ed urbano, chiaro edincoraggiante: si ottiene così la Retta Parola.- Osservando come da ogni azione derivino degli effetti positivi o negativi, nonchè la falsa noia ol'imbarazzo della mente egoica nell'adempiere i compiti quotidiani, si impara ad agire dopo attentariflessione, con nobili intenti, e a portare a compimento con energia le azioni, piccole o grandi, che sonstate decise: si ottiene così la Retta Azione.

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- Osservando i risultati negativi di un'impropria mortificazione del corpo, così come le delusioni nellaricerca della felicità terrena, si apprende l'equilibrio tra i doveri e le aspirazioni spirituali da un lato e leinclinazioni naturali dall'altro: si ottiene così il Retto Sistema di Vita.- Osservando l'inutilità degli ideali astratti, che si concretizzano in frasi fatte e retoriche, si impara che gliideali debbono essere concreti, sia in campo terreno, sia spirituale: si ottiene così la Retta Aspirazione.- Osservando gli errori del passato, si apprende a non sbagliare, osservando ciò che si è fatto di buono,si apprende a come fare ancor meglio: si ottiene così la Retta Memoria.- Osservando i limiti delle possibilità umane, si apprende ad amare l'esercizio spirituale; osservando chel'oscura fede religiosa conferma quei limiti, si impara a ricercare la chiarezza nell'esperienza interiore: siottiene così la Retta Contemplazione.

III

L'erba, che spirita aliti lucenti, 1trilla d'uccelli in iridi di schiume.Ogni zolla è una stella senza lume,che c'invola dal petto ali e concenti,dando un quadruplo volo 5all'uomo triplo e un solo.

Concordanza magnetica mareggiale sue sonorità d'istinti sordinelle faune stellari, i cui ricordierrano sulla terra, a grèggia a grèggia, 10finchè noi non s'indulgaal fio che le promulga.

Le promulga animal, in terra e in acqua,sparpagliandole in gruppi numerati;ma, in parvenza di corpi, son peccati 15d'uomo, che in sue fantasime scialacquaonnipotenza infusa,ch'egli stesso ricusa.

Note:

1-2) L' "erba" di cui si parla non è quella dei prati, ma quella che anima "soffi di luce", cioè il "corpoeterico" o vitale, che appare nell'esperienza del poeta come un armonia di suoni interiori ("trilla d'uccelli")e di colori impalpabili ("iridi di schiume").3-4) Il corpo saturnio (zolla) è "oro inverso" (stella senza lume). E' dalla "sede del cuore" che origina, orain via naturale (sonno, morte) ora in via artificiale (soluzione alchimica), la separazione del mercuriovolatile (ali), che talvolta reca con sé, secondo occulte armonie (concenti), altri "corpi" alchimici.5-6) L'espressione "quadruplo volo" indica i quattro modi (da quello comune a quello perfetto, vediquaderno "La porta ermetica di Roma") di andarsene da questa terra, che sono disponibili per l'uomo ilquale, secondo una delle possibili "ripartizioni", è trino (coesistendo in lui assoluto, ritmi e forme) ed uno(nella sua integralità).7-12) Gli zodiaci animali (la più famosa "fauna stellare" è probabilmente quella cinese) sono il simbolo diquel "locus" del cosmo, che contiene gli insiemi armonici (in "concordanza magnetica") degli impulsiarchetipici delle specie animali. E' per questo motivo che l' "anima animale" è anche detta "corpoastrale". Come le immagini della nostra memoria sono copie delle percezioni originarie, così gli animaliterreni sono copie-ricordo di quegli impulsi archetipici, plasmate dalle forze mediatrici e formatricieteriche. E ciò finchè noi non si rimeriti (uno dei significati del latino indulgere) il "feudo" (fio, dal latinofeudum) che le emana.13-18) Proprio come è impossibile pensare che il Sole sia un'evoluzione dei pianeti, ma al contrario sonoi pianeti ad essersi staccati dalla massa solare, allo stesso modo è erroneo pensare che l'uomo siaun'evoluzione degli animali. Al contrario, per la Scienza dello Spirito, gli animali (a livello astrale eterreno) sono aspetti che l'essere umano evolvente abbandonò nella sua evoluzione ("peccati

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d'uomo") e lasciò nel suo ambiente. Come dice la strofa precedente, lo "zodiaco animale" è un "feudo"dell'uomo. Onofri usa il termine fantasime (variante femminile, meno usata, di fantasmi), secondo unatradizione letteraria, che vuole che fantasia sia "immaginazione di quel che è" e fantasma o fantasima"immaginazione di quel che non è", di ciò che è realmente illusorio.

Se riprendi entro te, volontà buona,sfavillante al mio sangue senza quando, 20gl'impeti che, da sempre, vai versandoin suoli e fiori e faune, onde personabreve ti sei scolpita,da quella immensa vita;

tu salvi delinquenze, ch'hai già sparso 25in polpa d'animali, e passionid'oro, trasfuse in floride stagioni,e fissità d'errori, ond'è sì scarsodi vita il mineraleche fu fuoco mondiale. 30

Nota:Questi versi riprendono e ampliano il concetto precedente, cioè l'opportunità di rimeritarsi quantodall'uomo è stato emanato durante la sua evoluzione: non solo nel regno animale, ma anche il quellovegetale e minerale. Artefice di ciò la "volontà buona", il "volere puro" dirà Massimo Scaligero nelle sueopere. E' essa a permettere la percezione del corpo sottile e, nel centro eterico del cuore,dell'eterizzazione del sangue, cioè della trasformazione di una parte del sangue in luce ("sfavillante almio sangue"), indizio iniziale della possibilità della "soluzione" integrale del corpo fisico.

Reintegri lo spirito indivisoche ha sparso a terra stelle eccelse in bruti,e il sole in fusti vegeti e fronzuti,e il suolo (ch'era te nel paradiso)in pietre senza fiamma: 35teatro del suo dramma.

Il tuo dramma è che torni teco, in alto,trasfuso in sangue tuo d'uomo risorto,il regno della terra, ove sta, mortoin narcòsi tellurica di smalto,il fuoco dei primordi, 40di cui già ti ricordi.

La tua memoria cosmica, infinitain qualità di scheletro, scomponecon volontà di resurrezione,e rioffre al Signore della Vita, 45il Corpo Universalelibero d'ogni male.

Nota:

Si ricorderà (si è già detto in questo forum) che, nel Canone Pali, la formazione di questo mondo èconnessa inizialmente con la perdita di luminosità da parte dei Deva Raggianti e con il conseguenteapparire di luminari esterni (sole, luna, stelle). Ciò si può connettere ad uno dei processi più elementari epiù potenti di ciò che chiamiamo presenza mentale, cioè alla cosiddetta variazione del rapportofigura-sfondo. L'originaria percezione dei Deva Raggianti fu relegata sullo sfondo, quando essi divennerouomini. Ma è sempre latente. Ce lo conferma uno dei testi più venerati dell'antichità, gli Oracoli Caldaici,

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che al versetto 147 affermano: "Se me lo ripeterai più d'una volta [il logodìnamo, la parola di potere],vedrai ogni cosa in forma di leone [di corpo solare, dotato di luce propria]. Perché allora non è più visibilela massa ricurva del cielo, gli astri non brillano più [per contrasto], la luce della luna è velata, non siregge la terra [le cose perdono la loro parvenza materiale]: tutto si vede per folgori". Che la condizionedei Deva Raggianti o della Visione Leonina sia solo una reintegrazione nello stato primordiale e non unacompleta realizzazione è appena il caso di dirlo. Per inciso, anche quanto si è detto sulla Sfinge (che èuomo con corpo di leone) è da riconnettersi con quanto qui accennato.Sipex: Una specie che sembra aver conservato, in parte, la "Visione Leonina" è quella del serpente asonagli. Esso ha due occhi normali posti ai lati della testa; inoltre ha, sotto di essi, due cavità tappezzateda un tessuto nervoso sensibile al calore (raggi infrarossi). Le ricerche hanno rivelato che tali organi delserpente a sonagli sono capaci di captare differenze di temperatura piccolissime, anche di un centesimodi grado. Il serpente elabora automaticamente queste informazioni, ottenendo così una buona immaginedel suo ambiente, che gli consente ad es. di distinguere perfettamente, anche in quella che per noi èl'oscurità più completa, un cespuglio da un topo che si nasconde dietro ad esso. Poichè ogni corpo, chenon si trovi allo zero assoluto della scala Kelvin, emana raggi infrarossi, per il serpente a sonagliqualunque oggetto "brilla", in diversa misura, di luce propria.E' noto che, secondo taluni paleontologi, in diverse altre specie, tra le quali si può includere l'uomo, l'"occhio termico", sensibile ai raggi calorifici, era l'epìfisi o ghiandola pineale, non a caso detta sovente"terzo occhio".

3c) Arturo Onofri

L'Uomo calorico cioè Saturno

Nel saggio "L'Uomo Calorico cioè Saturno", Onofri si servì proprio dell'esempio dellapercezione di differenze di temperatura, come forma originaria di distinzione dei corpi, perfornire un idea del primordiale "manvantara del calore", cioè della condizione originaria o"saturnia" del mondo fisico. Riproponiamo di seguito la lettura di questo scritto postumo diArturo Onofri, al quale abbiamo aggiunto un paio di note e una tavola esplicativa.

La fisica naturalistica odierna distingue tre stati di materia soltanto, e questi stati sichiamano stato solido, stato liquido, e stato gassoso o aeriforme, denominazioni che tutticonosciamo bene, e che rivestono per la nostra esperienza i caratteri della più assolutacertezza. Tutti defmiamo il ferro un corpo solido, l'acqua un corpo liquido e l'aria un corpogassoso o aeriforme.La scienza spirituale, oltre questi tre stati di materia, ne distingue anche un quarto, che inordine di rarefazione precede tutti gli altri e costituisce per così dire il primordiale stato dellamateria universale nel grande momento cosmico in cui l'universo uscì fisicamentedall'essenza della divinità creatrice per diventare da universo potenziale puramentespirituale un universo fisicamente esistente.Questo primordiale stato della materia è il calore.La nostra scienza fisica non lo riconosce come stato di materia in se stesso perché lascienza fisica è esclusivamente basata sui sensi fisici e sul loro coordinatore che èl'intelletto, e con questi sensi fisici non si può più percepire uno stato di materia che siapuramente calore. Noi percepiamo oggi bensì delle sensazioni caloriche, ma le percepiamo,direi, appropriate agli stati più densi della materia.Così diciamo l'aria calda, il marmo freddo, l'acqua tiepida, il ferro rovente ecc. Invecel'iniziato sa per , esperienza diretta che oltre questi aspetti calorici dei cosiddetti tre statidella materia, esiste un vero e proprio quarto stato indipendente della materia, la quale sipresenta allo stato di puro e semplice calore.Pensate di poter vivere in immaginazione in un mondo in cui non esistesse altro che corpi dicalore, e che voi poteste distinguerli l'uno dall'altro soltanto per il variare della temperatura.

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Supponiamo ora di avere dinanzi a noi una figura umana della quale ogni elemento solido,ogni elemento liquido ed ogni elemento gassoso, siano risoluti in calore. Pensate che nonc'è nulla di visibile, di palpabile, di udibile in questo uomo di calore, ma soltanto unamanifestazione che voi percepireste come grado di temperatura differente dall'ambientecircostante.Questa figura umana, composta di null'altro che di calore, se voi la pensate in modo giusto,dovete giungere a sentirla così tenue e rarefatta che le sue dimensioni sono molto, mamolto più ampie delle dimensioni dell'uomo attuale: tanto più ampie che l'Uomo di calore sipuò concepire della vastità stessa dell'universo cosicché non solo i futuri regni animalevegetale minerale sono contenuti potenzialmente in lui ma anche tutti i futuri corpi celestidello spazio cosmico sono composti anch'essi di null'altro che di calore tutti al di dentro di luie costituiscono, per così dire, i suoi organi di calore, dentro quest'uomo puramente calorico,proprio dentro di lui si troverebbe non solamente che ci sono figure di calore dei corpi celestie il disegno calorico dei futuri regni fisici (solido, liquido e gassoso) ma si troverebbe bensìche dentro quest'uomo calorico agiscono anche gli esseri divino-spirituali delle gerarchienella loro essenza spirituale. Possiamo dire dunque che come gli organi di quest'uomocalorico sono i corpi celesti di calore così la sua essenza spirituale è costituita dagli esseridivini-spirituali. Abbiamo perciò dinanzi a noi un essere umano di calore il quale è l'universostesso, ed è un essere composto di esseri: esseri di calore dentro i quali agiscono le entitàspirituali.Questo immenso essere umano di calore e di spirito, che è l'universo stesso, si chiamaoccultamente Saturno. Abbiamo detto che già questo stato di calore dell'universo è unostato fisico, e in un certo senso si può dire che esso sia il primo stato fisico per noiconcepibile, cioè il primo stato fisico in cui si è manifestato l'universo passando da universoincreato, o potenziale, allo stato di universo creato.Questo essere incommensurato, fisicamente manifestato in solo calore è il più lontanoantenato dell'uomo fisico quale noi lo vediamo oggi dinanzi a noi.Ma per poterlo sia pure approssimativamente concepire, badate che non dovete pensare unessere delimitato intorno al quale ci sia poi un certo ambiente fisico, comunque poi questoambiente debba concepirsi. No, dovete sforzarvi di pensare un uomo di calore che abbia leproporzioni dell'universo, e al di fuori di quest'uomo-universo nessuna altra manifestazionefisica, nessun ambiente fisico.Quest'uomo incommensurato, questo Saturno, è immerso nel grembo della divinitàspirituale, e al di fuori di lui non c'è nulla che possa comunque percepirsi fisicamente.Questo essere Saturno, questo universo Saturnio non dovete dunque pensarlo come fornitodi gambe, di braccia ecc. quale un uomo d'oggi, giacché egli non doveva fisicamentetrasportarsi in nessun luogo, né doveva con le mani afferrar nulla che si trovassefisicamente fuori di lui.Perché le cose siano più facili potete pensare una immensa sfera di calore, e nulla al di fuoridi essa, nulla di fisico, ma dentro e fuori di essa, gli esseri divino-spirituali.Se noi volessimo definire questa sfera di calore, non potremmo definirla altrimenti chedicendo così:L'essenza di questa sfera di calore è volontà. Il primo progetto, il rudimento del corpo fisicoumano fu il Saturno., cioè un corpo di puro calore, la cui essenza è volontà. Questaessenza-volontà fu data in sacrificio appunto dai Troni o Spiriti della volontà, perché potesseesistere il primo disegno del corpo umano. Si può dire che il corpo umano ha potutoesistere, perché all'inizio primordiale del mondo i Troni o Spiriti della volontà sacrificaronoqualche cosa della loro essenza, e la sacrificarono esteriorizzandola appunto in forma dicalore.Questa sfera di calore non aveva in sé movimento alcuno, ma in certo modo si può dire cheall'interno vibrasse tutta quanta della spiritualità divina che in lei si specchiava dalcircostante mondo divino spirituale. E questa vibrazione all'interno della massa di calore voinon l'avreste percepita col vostro orecchio oggi, perché era una vibrazione che solol'orecchio spirituale può ascoltare, era la vibrazione della volontà divina quella che vibravanella sfera calore di Saturno. Le potenze divino-spirituali riflettevano sé stesse nella sferacalorica di Saturno, e questo loro riflettersi verso l'interno della sfera la faceva risuonaretutta della divina musica spirituale (verbo). Ora possiamo dire che come l'essenza del caloreè volontà, così l'essenza di questa vibrazione spirituale o musica spirituale è una certatendenza, è la tendenza ad organizzare internamente questa sfera o essere di calore, è latendenza ad organizzare questo essere di calore in organi più densi e a metterli inmovimento. Badate bene che è solo una tendenza ad organizzare, e a condensare il calore.

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Pensate alle celebri figure di Chladni (1). Come si formano esse? Si formano così: seprendete una sabbia fmissima o limatura di ferro sottile e la distribuite in uno strato leggerosopra una lastra di metallo isolata, e passate poi sull'orlo del metallo un archetto di violino,vedrete che secondo la nota che risuonerà dal metallo la sabbia si disporrà in figureperfettamente simmetriche e di differente aspetto a seconda del suono. Tornando aSaturno, pensate che quel suono non era un suono fisico bensì spirituale e che andava amuovere una sostanza molto meno densa della limatura e della sabbia: andava a muovereuna sostanza di puro calore.

Le figure di calore che si formavano in Saturno per effetto della musica divino-spirituale chelo trapassava e permeava tutto, erano in perenne mutamento e perciò non erano vere eproprie figure ma tendenze di figure. Quelle figure di calore, o tendenze di figure, erano leprime disposizioni le prime tendenze alla formazione degli organi del nostro corpo fisico inproporzioni cosmiche. Ricordatevi sempre che non si debbono pensare tali cose attribuendoloro la densità la materialità pesante con la quale si presentano oggi i nostri organi, il cuore,i polmoni, il cervello ecc.Si trattava allora di tendenze all'aggregazione, di tendenze riguardanti una fisica la cuimassima densità era rappresentata dal calore. Ripeto, non v'erano corpi gassosi, non v'eraaria, e tanto meno liquidi e meno ancora solidi, ma solo corpi di calore.Tenete ben fermo inoltre che le dimensioni di questo essere umano o di questo Saturno, odi questa sfera unica erano incommensurate poiché altro non c'era, e quell'essere diSaturno o, se vi piace meglio, quella sfera calorica Saturno era l'universo, era ilmacrocosmo.Orbene dentro questo universo-uomo, dentro questa sfera cosmica di calore, dentro questomacrocosmico uomo di calore pensate il formarsi di quelle prime tendenze (solo tendenze)alla costituzione di giganteschi organi di calore. Queste tendenze alla formazione di organi,queste tendenze di calore sono il primo rudimento di ciò che noi oggi portiamo in noi comeorgani fisici del nostro corpo, cervello, polmoni, cuore(2) ecc.

(1) Ernst Florenz Friedrich Chladni (30 Novembre1756 - 3 Aprile 1827) fu un fisico tedesco.Per gli esperimenti sulle lamine vibranti e per il calcolo della velocità del suono in differentigas è considerato il fondatore dell'acustica moderna [n.d.c.].

Figure di Chladni

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(2) E se voi pensate alla vastità di questi rudimentali organi dell'uomo futuro vedrete cheessi sono tutta una cosa con le future costellazioni. [n.d.a.]

Vedremo in seguito perché da un unico essere fisico di calore o Saturno si arriva via via allascissione in più esseri umani, alla scissione in moltissimi esseri umani in tanti esseri quantisono gli odierni uomini. Per ora basti tener presente questo accenno: gli uomini singoli nonc'erano, ma c'era invece un solo immenso uomo di calore che aveva dentro di sé ledisposizioni, le tendenze a differenziarsi caloricamente in organi. Questi immensi organicalorici erano, diciamo così il campo d'azione delle gerarchie spirituali alle quali i Troniavevano sacrificato la loro essenza di volontà esteriorandola in calore per dare agli altriesseri spirituali un campo d'azione per la loro attività.Questo stato di cose durò un tempo incommensuabilmente lungo, poi tutto Satumo furiassorbito nel grembo divino spirituale e anche la manifestazione fisica di calore (omanvantara del calore) scomparve per un lungo tratto, tratto che occultisticamente sichiama Pralaya, o sonno cosmico.Poi di nuovo tutto riemerse nella manifestazione fisica calorica e dopo una breve ripetizionedello stato Satumo, accadde qualche cosa di nuovo, che possiamo descrivere come segue(3).

(3) La seconda parte del saggio non fu mai scritta [n.d.c.].

***

3d) Arturo Onofri

Fra il Glaciale Profumo del Sereno

Nel numero I del quindicinale La Torre (1 Febbraio 1930) venne ricordata, come già inKrur, la recente scomparsa di Arturo Onofri, con la pubblicazione di una sua Lirica. Vennetratta dal volume "Zolla ritorna Cosmo", pubblicato successivamente nel medesimo anno(edito da Buratti-Torino), ma composto già nel 1927. Come fa già intuire il titolo, Onofri cercadi descrivere come la riconquista di sé conduca l'uomo-zolla a reintegrarsi nella suacondizione primordiale. Nella lirica considerata, emerge pienamente quel simbolismo, cheaccomuna Onofri a Comi e Servadio, in base al quale i "regni della natura" si sostituiscono,nella descrizione, ai corrispondenti aspetti del composto umano.

Fra il glaciale profumo del sereno,che raggela di veglia minerale

ogni sogno di nascerne erbe, in pienobrio di colori, il suolo ànsio trasale.

Semi argentei, sepolti nel suo seno,sospirano agonia: son prenatale

fremito d'esser frùtici di fieno,da rinascerne slanci d'animale.

L'Uomo-tutto, universi veglia ancoraquest'emisfero d'arie intirizziteche di flore irreali s'accalora;

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e prima del suo sonno àlita un etered'oro, ch'esala tante margherite

per quante primavere ha da ripetere.

4a) Nicola Moscardelli

Le Ali Perdute

Dalla stessa raccolta (L'altra Moneta, Modena 1933) nella quale vennero ripubblicati isaggi di Ur/Krur, "La nebbia e i simboli" e "Il rumore", trascriviamo il breve saggio "Le aliperdute". In esso, con molta semplicità, Nicola Moscardelli indica la funzione che accomunail poeta al santo: "Rammentare agli uomini che ... hanno perso le ali!"

Se noi camminando per via perdiamo il bastone, l'ombrello o il cappello, c'è subito prontauna persona cortese la quale lo raccatta e ce lo restituisce: e se per caso noi perdiamo unoggetto senz'accorgercene, è raro che, presto o tardi, non ci giunga all'orecchio una voce:"Chi ha perduto una borsetta di cuoio? Chi ha perduto una chiave?"A quella voce noi ci volgiamo preoccupati, tastandoci le tasche per assicurci di non averperduto nulla: e se invece siamo proprio noi ad aver smarrito l'oggetto, presto ci accostiamoa chi l'ha ritrovato e ce lo facciamo restituire.Di tanto in tanto si sente nel mondo una voce che grida "uomini perchè avete perduto leali?"Nessuno, o quasi si volge a quel grido. La voce incalza: "Uomini, non v'accorgete che aveteperduto le ali?"Qualcuno, raro, si volta a quel grido: ma la grande maggioranza prosegue per la propriastrada senza voltarsi.Eppure le ali dovrebbero essere care all'uomo più di un cappello o di una busta di cuoio:perchè con le ali si vola, ci si solleva dalla polvere e dal fango della terra, si tocca o almenoci si avvicina al cielo.No: al poeta che così grida - perchè quel grido è lanciato dal poeta e dal santo - risponde ilsorriso dei sapienti o la trascuranza degli ignoranti: in questo almeno fratelli. E nessuno vuolrammentarsi del tempo in cui le ali alleggerivano le sue spalle e il cielo inazzurrava le suepupille.Nessuno? No, ciò non è vero. Senza che l'uomo lo sappia egli cerca dal mattino alla sera difarsi ricrescere sugli òmeri le ali perdute. Nel buio della sua giornata egli corre ansimando,nella speranza inconfessata che a sera si senta più leggero per l'incredibile presenza di dueali sulle sue spalle curve.Invece, egli rientra in casa più pesante di come ne è uscito. Perchè egli somiglia ad uno chedesidera aprire una porta e spinge, spinge, senza accorgersi che invece di spingere laporta spinge il muro. E invece di fare le cose che fanno crescere le ali, fa le cose che fannorientrare ancor più nella carne i monconi a cui una volta erano appiccicate.

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4b) Nicola Moscardelli

Resurrezione

Ci si può chiedere come mai, in Ur/Krur, siano comparsi solo saggi e non poesie diNicola Moscardelli. Ad Evola piaceva pubblicare delle anteprime poetiche (come avvenneper gli estratti de "Il Cantico del Tempo e del Seme" di G.Comi, che vide la luce solo versola fine del 1930); nel caso di Moscardelli la cosa era praticamente impossibile visto che,contemporaneamente a Ur/Krur, Moscardelli pubblicò due raccolte: una di prose e poesie:"Le Grazie della Terra (Carabba, Lanciano 1928), l'altra di sole poesie "Il Ponte" (Al tempiodella Fortuna, Roma 1929). Dalla seconda raccolta trascriviamo una lirica, eloquente dalpunto di vista iniziatico, intitolata "Resurrezione".

Allorchè aprile batte alle portema l'inverno non è ancora spetrato

nella terra s'inizia un travaglioe i semi dolorano ansiosidi dissuggellare la zolla

l'invoglio d'ombra che celala luce nascente del fiore.

Alto combattimentotra il movimento vitale

e l'indurimento mortale.

E' il combattimento finalechè ormai lo spessor della crosta terrestre

è meno di un velo:ancora uno slancio, e lo stelo

emergerà dalla zollacome il raggio d'un sole terreno

fratello del canto del galloche insieme annuncia il mattino.

Uguale battaglia ogni dì si combattetra l'uomo morto e il risortonell'aprile infinito della vita.

Come Lazzaro l'uomo alza il capodel sepolcro e batte la fronte

contro la pietra che lo rinserra:dentro le sue gelide membra

il nuovo sangue già correma le ossa impietrate

son lente a disciogliersie il lor movimento

non segue l'onda del sangue pulsanteche dentro già disegna la figura

del prossimo passoma s'inizia e s'arresta di scatto

come un singhiozzo.

Vinta alfine l'ultima forzafranta la scorza tenace

dal sepolcro egli il capo sollevae sulle tenebre assiso

riceve sulle pupilleil fulgore del suo paradiso.

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4c) Nicola Moscardelli

Mesi e Segni

La raccolta "Le Grazie della Terra" (Carabba, Lanciano 1928) è divisa in 12 parti, ciascunaintitolata con il nome di uno dei mesi dell'anno, a partire da Gennaio. Molti deicomponimenti, in prosa o in poesia, indicano la stretta relazione che il poeta vede tra lecaratteristiche dei mesi e il simbolismo dei segni zodiacali. Per darne un'idea, abbiamotrascritto di seguito le brevi poesie, senza titolo, che Moscardelli adopera come proemi diciascuna delle 12 parti.

(Gennaio-Acquario)Tante saranno le grazie dell'anno

tante le gioie e tanti i doloriquante son l'onde che versa sul mondo

ininterrottamente il buon gigante.

(Febbraio-Pesci)Lungo le arene, lucon frutti e fiorianemoni, conchiglie, pesci morti:

son a vederli simili ai pensierivenuti a noi dalle remote età.

(Marzo-Ariete)In mezzo al prato il gregge ammusa (1) l'erba

come s'essa mutasse di sapore:l'Ariete sente dentro le sue vene

come l'albero dentro le sue rame (2)sciogliersi il fuoco della primavera.

(1) Ammusare= dar di muso, come in Dante, Purg. c. 26. "Così, per entro loro schiera bruna,s' ammusa l' una con l' altra formica".(2) Rama è forma femminile di ramo, spesso indica un ramo secondario.

(Aprile-Toro)Il Toro muglia (3) nella glauca sera

e fino i fiori sembrano tremare:quel grido è il grido della primaverache di sé inebria terra cielo e mare.

(3) Mugliare è forma alternativa di Mugghiare, Muggire.

(Maggio-Gemelli)Sotto gli alberi ricchi d'ombre e foglie

passano a coppia gl'innamorati:gli uomini in terra e le stelle nel cielovanno per un medesimo cammino:il silenzio della sera è così grande

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che sembra quello di due bocche unite.

(Giugno-Cancro)Il figlio delle tranquille riviereche a fatica risale la corrente

invidia forse il suo fratello assuntotra due rive di fiamme e di diamanti.

(Luglio-Leone)L'aria bollente somiglia al respiro

del leone affamato:simile ai crini della fulva giubba

è il grano non falciato.

(Agosto-Vergine)Come l'erba si muta di colore

ad una lieva carezza del ventocosì trasale a un subito rossore

la guancia della Vergine sentendoerrare in aria parole d'amore.

(Settembre-Bilancia)Sulla bilancia che misura il tempotanto pesa la luce e tanto l'ombra:nati da una medesima sorgente

da opposte bande guardano la terra.

(Ottobre-Scorpione)L'insetto abominevole e perverso

che striscia lungo il murotramutato in diamante imperiturospande la luce sua nell'universo.

(Novembre-Sagittario)Sotto i dardi del gigante Sagittarioi cuori delle foglie si dissanguano

e lungo i piani e sopra i monti gli alberisembrano arsi da un interno incendio.

(Dicembre-Capricorno)Nell'alta notte dormono gli armenti

e a quando a quando abbaiano i mastini:un altro gregge su nel firmamento

pascola l'oro dei prati divini.

***

4d) Nicola Moscardelli

Il Sogno del Pastore

Come è noto Sirio (Alpha del Canis Major) è la stella più brillante del cielo, così luminosa che il suosplendore é mediamente nove volte superiore a quello di una tipica stella di prima magnitudine. Neiperiodi e luoghi adatti è facile osservarla in pieno giorno anche con un piccolo telescopio. Il nome Sirio(lat. Sirius) deriva con ogni probabilità dal greco "Seìrios" che, oltre ad essere uno dei nomi greci di

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questa stella, (l'altro è Sothis, dall'egizio Sopdet) significa anche "ardente", "bruciante". E' probabile chetale nome derivi da una associazione con il caldo dell'estate e ciò rimanda, per la sua origine, ad un'epoca in cui il levarsi eliaco di Sirio, cioè il suo sorgere all'alba in congiunzione con il sole, siverificava nei mesi estivi. Infatti, in epoca classica, il momento di maggiore calore estivo fu detto"canicola" proprio da una delle tante denominazioni di Sirio, che è "Stella del Cane". Il levarsi eliaco diSirio è ovviamente soggetto alla precessione equinoziale, per cui si calcola che ad es. nel 5500 a.C., siverificò all'equinozio di primavera (segnando, secondo taluni, l'inizio del Kali-Yuga). Tuttavia l'attributo"ardente" potrebbe derivare anche dal fatto che, come testimoniano diversi autori dell'antichità, tra i qualiCicerone, Orazio, Seneca e Claudio Tolomeo, Sirio era una stella rossa (oggi Sirio appare invecebianca).Il Testo delle Piramidi 965° descrive Sirio come la figlia di Osiride. Inoltre viene detto che Sirio si unìcon il Re/Osiride dando alla luce Venere che, nel più ristretto ambito planetario, è, proprio come Sirio,"la stella del mattino". Per la sua unione con Osiride, Sirio fu presto identificata con Iside (Ast in Egizio).Nelle Lamentazioni di Iside e Nephthys, ritrovate in un papiro del IV secolo a.C., Iside asserice di essereSirio, che fedelmente seguirà Osiride nella sua manifestazione come Orione nel cielo. Plutarco, nel De Iside et Osiride [par. 359.C-359.D] afferma:"I sacerdoti egiziani non dicono solo di questi , ma anche degli altri dei, quanti almeno non sianonon-generati ed esenti da morte, che i loro corpi esausti giacciono presso di loro e sono oggetto di culto,mentre le loro anime splendono in qualità di astri nel cielo e chiamano Sothis quella di Iside, per i Greciè il Cane, Orione quella di Horus, l'Orsa quella di Tifone". Nei Testi dei Sarcofagi, Sirio viene identificata con la propria anima e invocata con l'espressione "...omia anima, Sirio, preparami una via, costruisci una scala che giunga a te, Grande Polo, tu che sei miamadre, che io possa andare al posto dove sorge Orione..." Nell'ode del Pascoli "Il Ciocco" è rivelato il segreto di ciò: "... Sirio: occhio del Cane che veglia sopra illimitar di Dio". Sirio è dunque "Sidus vigilans", "Stella vigilante". Sin dal tempo dei Caldei Sirio è "laStella Cane che apre il cammino".Dice il papiro di Ossirinco: "Guardiana e guida dei mari e signora delle foci dei fiumi, o signora Iside, lapiù grande delle dee, il tuo primo nome è Sirio. Tu conduci il sole dall'Oriente all'Occidente e tutti gli deine gioiscono. Allo spuntar delle stelle tutti gli abitatori della terra indefessi ti venerano, e gli animali sacridel santuario di Osiride si rallegrano al tuo nome. Tu mandi la rovina a chi tu vuoi, ma ai rovinati daigrazia e tutte le cose purifichi. Ogni giorno hai tu fissato per la gioia. Tu hai disposto i luoghi umidi esecchi di cui l'universo si compone. Tu hai ricondotto felicemente tuo fratello (Osiride) pilotando da sola edegnamente seppellendolo. Tu hai stabilito i tuoi santuari in tutte le città, per sempre, e a tutti hai dettatole norme ed un ciclo annuale perfetto".Presso i Cristiani il posto del morto-risorto Osiride, ma anche del figlio Horus, fu preso da Cristo equello di Iside-Sirio da Maria Vergine, Regina Coeli. La nascita di Cristo fu annunciata, come si sa, dauna stella e, secondo la tradizione, nell'anno 813, un eremita di nome Pelagio scoprì la tombadell'apostolo Giacomo, in Galizia, guidato da fenomeni straordinari: musiche celestiali, ma soprattutto losplendore di Sirio, onde il nome di Compostela (campus stellae) dato a quel luogo.Come vedremo, nella poesia di Nicola Moscardelli, il tema egizio-cristiano di Sirio e della Stella delMattino hanno grande importanza.La levata eliaca di Sirio, cioè la sua prima apparizione al mattino, sull'orizzonte ad Est, poco prima delsorgere del Sole, varia sia con la latitudine dell'osservatore sia, per la precessione equinoziale, conl'anno di osservazione. A Roma (+41°54' lat. Nord) Sirio si leva eliaco nel mese di Agosto, a partire dacirca il 900 d.C. Per la precessione equinoziale, la levata si posticipa approssimativamente di 1 giornoogni cento anni. Così che attualmente si verifica in data 11 Agosto. Ed è infatti tra le poesie di Agosto de"Le Grazie della Terra" (1928) che Nicola Moscardelli ha posto il componimento "Il Sogno del Pastore". In esso Sirio è chiamata con l'appellativo, datole nell'antica Babilonia, "Stella del Cammino", terminerimasto in ambiente cristiano, perchè come abbiamo visto Sirio è la stella che guida il Cammino diSantiago (San Jacopo di Compostela). Moscardelli, se da un lato fa proprio il simbolismo cristiano diGesù come "Agnus Dei" e, a sua volta, "Pastore di Anime" e quindi il simbolismo Gregge=Anime,dall'altro lato ricorre ad uno dei simboli più arcaici del "cammino", cioè quello della Via lattea=Camminodelle anime.Una caratteristica delle Piramidi di Unas (ultimo re della V dinastia) e di Teti (primo sovrano della VIdinastia) è la presenza dei cosiddetti "Testi delle Piramidi", forse i più antichi testi religiosi scoperti sinoad oggi. La scoperta risale al 1881 e si deve a Gaston Maspero. I Testi, in forma geroglifica, ricoprono lepareti delle due piramidi. Risalgono all’epoca preistorica egizia e sono perciò molto più antichi rispetto alLibro dei Morti. Testimoniano l'antica religione stellare di Osiride-Orione. Secondo questi testi, il re mortosarebbe rinato similmente a Osiride. L'anima del defunto avrebbe raggiunto le stelle di Orione (il Duat)viaggiando nel cielo e per proteggere il suo viaggio viene dato un insieme di formule e riti. Nei Testi di

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Unas si legge ad es.: "O Re, tu sei la grande stella, compagno di Orione, che attraversa il cielo conOrione". Ma se Orione è la "meta", cosa simboleggia la "via"? Il "Nilo Celeste", cioè la Via Lattea, sisnoda nel cielo, toccando varie costellazioni, tra cui Orione. E la splendente Sirio, "vicina" alla meta, ...illumina il Cammino.

Il latte nelle zàngole s'accaglia,il cacio s'insapora nelle còscine,

cola il siero dalle fiscelle:e sogna il pastore.

S'accende all'improvviso la stella del cammino,e ad una ad una si levano assieme le pecore morte,

sbiancate dagli anni e dagli anni:quelle che i nonni dei nonni e i padri dei padri

pascerono lungo i prati sommersiimmobili stanno dinanzi al pastore

che non osa toccarle, e lo guardan con gli occhi

per ove è passata tant'ombraquant'acqua passa dalla sorgente alla fonte:

repente s'ode la musica dei campanial collo degli arieti lontani

e subito l'armento si mette in camminocome il torrente di marzo che sgela,

senza rumore sull'erba novellache pesta manda più odoresì che par d'esser in mare

in un mare profondocon onde di pecore chiare

che montano semprecome se il monte si facesse armento.

Dèstasi il pastore e gli pared'udire ancora la pioggia del gregge,

mentre vanisce entro il suo pettoun biancore di velli

come il colore dei secoli dei secoli passatidentro la terra sepolti

nella profonda terra che tacenella sua inaccessibile pace.

Tanto vicino che quasi gli pare partir dal costatoalzasi il lagno di un redo (1):

levato sui cùbitiguarda il pastore l'armento dormentecome la spuma immota del monte,

e volti gli occhi al cielo la via Lattea gli apparecome il tratturo degli armenti morti.

(1) Puledro o vitello nel periodo di allattamento.

***

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4e) Nicola Moscardelli

La Stella del Pastore

Come abbiamo già visto, nel culto "stellare" egizio, Venere è "figlia" di Sirio e di Osiride e, per la sualuminosità, ha funzioni analoghe a Sirio nell'ambito del nostro sistema planetario. Da un punto di vistasimbolico, nell'esoterismo cristiano, Venere (la "stella" del mattino, la prima che vede sorgere il Sole) è inrelazione con la figura di Maria Maddalena (la prima a vedere il Cristo risorto). La Vergine Maria e MariaMaddalena rappresentano rispettivamente lo "speculum sine macula" (la Sophia più alta) e lo "Speculumcum macula" (la Sophia "caduta", ma in grado di riscattarsi per la sua potenziale identità con l'altra);come tale, Maddalena-Venere è più vicina all'uomo e mediatrice tra questi e la Vergine. Moscardellidimostra di conoscere tale simbolismo e nella poesia "La Stella del Pastore" (in "Le grazie dellaterra"1928) parla della funzione di Venere come mediatrice tra l'iniziato e Maria-Sirio. Indica anchenella medtazione di quiete ("calma tu splendi senza mutamento") ottenuta con la ripetizione di un solonome ("come una voce che ha un solo accento") quella trasformazione in "speculum sine macula", cherenderà possibile e senza errori la successiva meditazione di conoscenza.

Venere che fosti un giorno regina dell'amore carnaleor sei la regina del cielo mattutino e serale:

e il pastore che scende lungo il tratturosotto il tuo occhio si sente sicuro.

Calma tu splendi senza mutamentocome una voce che ha un solo accento.

Al primo accenno della glauca serabrilla di gioia la tua chiara sperae dietro te trascini il firmamento

come il pastore trascina l'armento.Sei tu che ci ricordi la luce della casa

e il canto della rondine sotto la cimasa,il gracilar della gallina nell'aia

e il vecchio mastino che abbaia:sei tu la stella di tutti i campanili

lo stollo di tutti i fienili:chiara e serena, lontana eppur vicina

del nostro cielo ancella e reginache come oggi insegni la strada

al pastore di tutte le contradecosì un giorno insegnerai la via

per riposar sulle ginocchia di Maria.

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5a) Da Segreti del Mestiere

di Emilio Servadio

"Segreti del mestiere" è un saggio pubblicato, da Emilio Servadio, nei primi due numeri della rivista LaTorre (1930). Firmò tale scritto, mantenendo lo pseudonimo di Es, già utilizzato in Krur e formato dallesue iniziali. Il saggio in questione non è un trattato o un trattatello, ma una serie di note, nelle qualiServadio allude, spesso simbolicamente, alla sua attività poetica, rinunciando ad una trattazionesistematica, semplicemente impossibile ponendosi dal suo punto di vista teorico. E' qui inutile riportarel'intero saggio. Preferiamo evidenziare, "accostandoli" tra loro, alcuni concetti che si trovano in notesuccessive.

Da "Segreti del Mestiere"

C'è chi ha definito Dio attraverso una serie di negazioni: è probabile che questa sia la sola strada pergiungere a definire il poeta. Il sentimento della poesia come atto sacro, e del poeta come levita, hafuorviato, per esempio, un certo numero di scrittori di qualità. E' perfettamente giusto che, secondo unatradizione ben nota, ogni uomo in ogni momento della vita, qualunque sia la sua parola, è nellecondizioni del sommo sacerdote, chiuso nel Sancta Sanctorum il giorno dell'Espiazione, che pronuncia ilNome divino. Ma il poeta deve saperlo sempre, e dimenticarsene all'atto della creazione. L'equilibristache si pone dei problemi di statica, cade. Occorre però che questi problemi li abbia immanenti fuori delcirco: che non dimentichi cioè di essere un equilibrista (è il suo modo di risolverli).

Se dovessi definire la caratteristica di ciò che vorrei fosse alla base della poesia (moderna) direi: lasemplicità - destinandomi così a essere frainteso. C'è la semplicità dell'acqua e quella dell'alcoolassoluto. Un cristallo a cui si tolgono le scorie che lo rivestono è semplice. Della poesia si potrebbedire, parafrasando Leonardo, che occorre liberarla dalla prigione delle espressioni superflue. Ilpubblico confonderà sempre semplicità con vuotaggine, con insufficienza.

Il dadaismo è lo sforzo più interessante dei tempi moderni contro il feticcio dell' "amore che spira" cosìcom'esso è inteso dalla pluralità. Mentre il surrealista è il tiratore bendato, che può magari far centro, ildadaista non accetta nè la benda nè le regole del tiro, che ricompone a sua guisa, sparando magari nellaluna: entrambi i sistemi sono sbagliati, ma vi sono gerarchie anche negli errori. Quanto a noi, crediamoche il vero modo sia ancora quello solito, di sparare chiudendo un occhio, e tenendo l'altro ben aperto:ma piuttosto che tirare bendati rivolgeremmo l'arma contro il proprietario del baraccone, o contro noistessi.

Ogni vera creazione poetica è il risultato di una lotta. L'avversario è qui rappresentato da una serie diostacoli invisibili: anzitutto la pagina "che il suo candor difende", secondo quanto scrisse Mallarmè e cheoccorre violare con impeto, anche se gli dèi non "donano" il primo verso, come qualcuno forse ancortroppo ottimista vorrebbe. Vi sono poi le assonanze, i luoghi comuni, le false immagini, le associazionispontanee di deboli idee - tutto un mondo larvale e informe contro cui lo sdegno non serve, e chebisogna respingere con la calma immobile con cui la roccia infrange il torbido torrente in piena - sinchè illivello si abbassa, le acque diventano sempre più chiare, e sul fondo appaiono tremanti le primepagliuzze d'oro.

EA: Il giudizio di Servadio su Dadaismo e Surrealismo concorda in larga parte con quello di Evola che ne"Il Cammino del Cinabro" scrive: "In realtà il movimento a cui mi ero associato, tenendo Tristan Tzara inalta stima, doveva realizzare ben poco di ciò che io in esso avevo visto. Se rappresentò di certo il limiteestremo e insuperabile di tutte le correnti d'avanguardia, tuttavia esso non si autoconsumònell'esperienza di una effettiva 'rottura di livello' di là da ogni arte e da ogni consimile espressione. Aldadaismo fece séguito il surrealismo, il cui carattere dal mio punto di vista era regressivo, perchè essoper un lato coltivò una specie di automatismo psichico gravitando verso gli stati subconsci e inconscidell'essere, tanto da solidarizzare con la stessa psicanalisi, e dall'altro lato si ridusse a trasmetteresensazioni confuse di un "dentro" inquietante e inafferrabile della realtà (specie nella cosiddetta 'pitturametafisica') senza nessuna vera apertura verso l'alto".Si notano comunque due differenze:a) Evola, se si eccettua il suo secondo periodo artistico (anni '70), ritiene che l'arte, ad un certo punto,

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debba autoconsumarsi. Servadio no.b) Il giudizio negativo sul surrealismo non impedisce a Servadio di aderire alla psicoanalisi. Evola èinvece critico sia nei confronti del surrealismo, sia nei confronti della psicoanalisi.ES: Non c'è da stupirsi della posizione di Servadio, perchè se il Surrealismo si riconosceva "figlio" delpensiero psicoanalitico di Freud, questi non accettò minimamente tale paternità.Andrè Breton, autore nel 1924 del primo "Manifesto Surrealista", incontrò Freud a Vienna nel 1921 edebbe con lui anche un breve scambio epistolare. L'incontro non ebbe l'esito che Breton avrebbe voluto,perchè i due erano ideologicamente distanti: per Freud i "matti" sono malati che debbono essere curati;per Breton invece sono da studiare e salvaguardare così come sono, perchè costituiscono un esempio dicome dar libero sfogo a processi mentali irrazionali: esempio da imitarsi nella produzione artistica.La posizione di Freud rimase praticamente la stessa anche quando, a Londra nel 1938 (cioè un annoprima di morire), Stefan Zweig gli fece conoscere Salvador Dalì. Il loro incontro avvenne in un caffè,dove Dalì, su un tovagliolo, fece rapidamente un ottimo ritratto di Freud. Durante l'incontro, Freud fecedue semplici affermazioni complementari: "Nelle opere classiche ricerco l'inconscio, in quelle surrealisteil conscio". Più o meno come dire che le tecniche surrealiste si illudono di poter effettivamente riprodurrevolontariamente i processi inconsci, che entrano invece, proprio perchè non ricercati, in gioco nell'arteclassica. Pertanto, l'unica cosa sensata di fronte alle opere surrealiste è ... cercarne il movente conscio!Dalì ebbe in seguito ad affermare che il giudizio di Freud, riguardo all'arte surrealista, era la condanna amorte delle posizioni dottrinarie, che stavano alla base di questa corrente e che, di conseguenza,occorreva ritornare al classicismo.In realtà, Freud era stato probabilmente diplomatico con Dalì, perchè, riguardo ai surrealisti, avevasempre pensato cose persino peggiori. Il 20 luglio 1938, in una lettera a Stefan Zweig, Freud scrisse:"Caro signore, bisogna realmente che io vi ringrazi della parola di introduzione che mi ha condotto ilvisitatore di ieri. Poiché fino a quel momento ero tentato di considerare i surrealisti, che apparentementemi hanno scelto come santo patrono, come dei pazzi integrali (diciamo al 95%, come per l'alcool puro). Ilgiovane Spagnolo, con i suoi candidi occhi di fanatico e la sua indubbia padronanza tecnica, mi haincitato a riconsiderare la mia opinione. In realtà, sarebbe molto interessante studiare analiticamente lagenesi d'un quadro di tal genere. Dal punto di vista critico si potrebbe tuttavia dire che la nozione d'artesi rifiuta ad ogni estensione quando il rapporto quantitativo tra il materiale inconscio e l'elaborazioneprecosciente non si mantiene entro limiti determinati. Si tratta qui, in ogni caso, d'un serio problemapsicologico."Dunque, anche per non deludere completamente Zweig, Freud ammise che l'innegabile maestriatecnica di Dalì lo tentasse, per un attimo, a riconsiderare il suo giudizio negativo, per poi peròsostanzialmente riconfermarlo subito dopo. Infatti, pur non conoscendo le vicissitudini interiori di Dalì,affermò, in base alla sua esperienza, che qualcosa, nel corso della vita del pittore, doveva averloseriamente intaccato dal punto di vista psicologico.

5b) Emilio Servadio

Angoscia

Emilio Servadio cominciò a scrivere poesie molto presto. Già nel 1921, quando cioèaveva 17 anni, un suo testo poetico, intitolato Ritmi, comparve sul settimanale genovese LaChiosa (1919-1927), diretto da Flavia Steno. Servadio pubblicò il suo primo libro in versi,Licheni (ed. Fratelli Ribet, Torino) nel 1928. Se le prime poesie del libro manifestano unaprobabile risonanza con quelle dell'amico Montale, le ultime evidenziano una sintonia con ilGruppo di Ur e, in specie, con Comi e Onofri. Lo stile di Servadio è tuttavia molto più sobriodi quello degli altri poeti di Ur, come si evince dalla composizione che trascriviamo,Angoscia, nella quale si colgono tentativi della pratica dell'Ars Dormiendi.

Suoni: sussulti di sangue nel sogno tormentosoChe mi intristisce; zolle di colori arcani

Affioranti da strati sotterranei e da orizzonti lontani

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Al mio giacere senza riposo.

Dibattersi - nella densa prigione dell'osso e del tessutoDi un Dio prigioniero che vorrebbe staccarsi

E volare - e cadere o disintegrarsiEntro invisibili abissi di tenebra e di velluto.

***

5c) Emilio Servadio

Canto dell'Ebreo Errante

Chiude la raccolta "Licheni" il Canto dell'Ebreo Errante, personaggio mitico che, avendodileggiato Cristo, è condannato a non morire, finchè Egli non farà ritorno. E' il simbolo deltrasmigrare dell'ente mercuriale, finchè l'avvento del Sole interiore (l'Emmànuel, il Dio inNoi) non ponga fine alla "peregrinazione".

E m'accompagnano all'uscio della dimora e chiudono presto come se una stranaPaura li invada a un tratto che il mio male agli altri si estendaE che l'inestinguibile fuoco che arde nella mia anima, anche nella loro si accenda,E che anch'essi, lasciata la casa, e intrapresa la via,Non abbiano più come pane quotidiano che lo struggimento delle mutazioni, e lamalinconia...Ma resto solo. Milioni di nuovi aspetti nelle antiche stradeE, qualche triste sera, un bisogno di pregare che mi invade.

Nota sull'Ebreo Errante di Occhi di Ifà:

Matteo di Parigi, monaco e cronista del XIII sec., scrive, nella Historia Maior, che nel 1228un arcivescovo d'Armenia si recò in Inghilterra e colà narrò di un certo Giuseppe, presentealla Passione di Cristo, che viveva ancora, tanto da esser stato ospite alla mensadell'arcivescovo prima che egli partisse. Più precisamente "... ai tempi della sentenza controil Cristo, quell'uomo, chiamato allora Cartafilo, era portinaio del pretorio di Ponzio Pilato.Quando Gesù, condannato e trascinato dagli Ebrei, traversò la porta del Pretorio, Cartafilogli diede con disprezzo un pugno nella schiena e gli disse ghignando: Cammina dunque,Gesù, cammina più spedito. Perchè sei così lento? E Gesù guardandolo con fronte e occhiseveri, rispose: Io vado, e tu, tu aspetterai ch'io torni".Da questo episodio nacque la leggenda dell'Ebreo Errante, suffragata dalle parole deiVangeli:"In verità io vi dico, che tra i qui presenti vi sono di quelli che non morranno, prima chevedano il Figlio dell'uomo venire nel suo regno". (Matteo, XVI, 28)."Vi dico in verità che ci sono alcuni dei presenti i quali non gusteranno la morte prima di averveduto il regno di Dio venire con maestà". (Marco, VIII, 39)."Or vi dico in verità, che ci sono alcuni qui presenti i quali non gusteranno la morte finchènon vedano il regno di Dio". (Luca, IX, 27).Si è creduto per secoli che, mentre ad alcuni venne concesso di vivere come premio per laloro fede (ad es. di S.Giovanni Gesù disse a S.Pietro "Io voglio ch'egli dimori fin ch'iotorni"), ad altri fu ugualmente concesso, ma per l'espiazione dei loro peccati.Matteo di Parigi, riferendo le parole dell'arcivescovo, spiega che dopo quelle parole di Gesù,Cartafilo aspetta e ogni tanto vaga per il mondo: "Aveva all'epoca dei fatti narrati circatrent'anni e ogni qualvolta arriva all'età di cento anni è preso da una particolare specie di

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estasi e dopo un periodo di malattia ritorna all'età che aveva quando il Cristo vennemandato a morte. Si dice che sia stato battezzato da Anania, lo stesso che battezzòS.Paolo, ed abbia ricevuto il nome di Giuseppe. Abita per lo più in Armenia o in altri paesidell'Oriente, sempre fra vescovi e prelati. E' religioso e conduce una vita santa, parla assaipoco e solo quando lo richiedano i vescovi o persone assai religiose. Racconta fatti antichi ecircostanze della Passione, e ciò senza scherzo e senza parole frivole, perchè è per lo piùpiangente. Vengono a vederlo da paesi lontani per intrattenersi con lui; e se si trova conuomini rispettabili risponde a tutte le domande ed alle questioni che gli vengono proposte.Rifiuta quanti doni gli sono offerti, contento di una veste e di un cibo semplici. Tutte le suesperanze vede nel fatto che egli peccò per ignoranza".

***

5d) Emilio Servadio

Fioritura

Nel numero 6-7 di Krur (1929) apparve, di Emilio Servadio, la poesia "Fioritura", dedicata aGirolamo Comi (G.C.) . Venne scritta sotto lo pseudonimo di Es, che peraltro non comparenè in testa nè in fondo alla poesia (che riporta invece la data di composizione), maesclusivamente nel sommario della copertina. Questo componimento può considerarsicome una prosecuzione di quanto già espresso in "Angoscia". Ritorna infatti, mostrando piùmaturi frutti, il tema dell'Ars Dormiendi. La quartina finale esprime invece sinteticamentel'alto compito della Poesia Ermetica.

Fioritura

a G. C.

Coppie intrecciate di virginee maniPassano sul mio capo e sul mio petto

Irrorando di stelle e fluidi straniLo scarso corpo che giaceva inetto.

Lo scender lento dell'umana reteSembra togliere e dare alito e spazioAl sangue ed alle falde più segrete

Del fusto che ritrovo e che ringrazio.

Sollevato in un calice ed offertoPiù alto a consumarsi in sacrifizio

Il mio corpo terrestre ancora incertoS'equilibra in riflessi di solstizio.

L'aridità dell'essere mortaleSi placa e si distende in un respiro

Non interrotto, lieve e florealeChe scende da un silenzio di zaffìro.

Mi ridesto , o rinasco, in progressivo

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Dilatarsi di sensi e di orizzontiE mi contemplo nuovo e primitivo

Permeato di nuvole e di fonti.

Di là dal tempo, in sempiterna messeIl vento soavissimo raccoglie

I miei respiri e li confonde e intesseCon gli aromi dei fiori e delle foglie.

Così il canto degli atti e dei portentiRicongiunge lo spirito del ritoAll'incorporeità degli elementi

E lo consacra in dignità di Mito.

giugno 1929

***

5e) Emilio Servadio

Liriche

Nel numero 3 (1Marzo 1930) del quindicinale La Torre, diretto da J.Evola, comparve una composizionepoetica di Emilio Servadio, intitolata Liriche. E', per il contenuto, affine alle poesie da noi già esaminate.L'Ars Dormiendi si riconferma anche qui un aspetto costante della fenomenologia iniziatica descritta daServadio. S'accenna, in particolare, ad un certo grado di controllo del mercurio alato ("presenza d'ali"),connesso ad una risalita delle forze sottili ("Sale e s'afferma in fervido brillare"), già sperimentataprecedentemente ("Spingendo ai cieli il fusto mio d'allora"), ma ora più specificamente connessa ad uno"schiudersi", tra gli altri, del centro coronale ("nuova vita in forma di corona").

I Fragilità delle cime, o fluire

D'equoree carezze, son chimereDegli ultimi germogli! Le miniere

Confondono gli eventi, e l'avvenire ...

Nascer di nuove cellule, o svanireDi sistemi solari - attimi od ere -

Ignora o non discerne il mio giacereDi roseo mondo in lento divenire.

Miriadi d'esistenze, empirealiSonni uniscono in me palpiti e tombe,

Lieviti d'astri e succhi minerali;

E le ascese perenni ed immortaliEntro la falda che mi cela e incombe

Dànno ai miei rami una presenza d'ali.

IIVergine tremo all'alito solare

Che mi desta e m'attira, oltre le zolle,Muto ancòra e difeso tra le avare

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Palpebre delle mie chiuse corolle.

Pur, se una linfa da segrete polleSale e s'afferma in fervido brillare

Di gemme, amo la forza che in me volleCon rami e foglie vivere e parlare.

Nella verde parola oggi discernoQuel che al seme sembrò spento e distrutto,

Vigile ritmo d'estate e d'inverno;

E m'abbandono al ricorrente fluttoPer divino durare, oltre l'eternoAprirmi fiore e ritrovarmi frutto.

IIICredo alla morte, che sepolto ancòraM'offerse un velo iridescente e molle.

E simile ai virgulti oggi mi volleNudo e rinato ai soffi dell'aurora.

Il mio corpo vetusto anima e doraLa stessa forza che plasmò le zolleE schiuse i bocci, e fecondò le polle

Spingendo ai cieli il fusto mio d'allora.

Sento il raggio che penetra - e ridonaLinfe perdute e vividi fermenti

Al germe chiuso nelle antiche scorze.

Or s'apre intatta dalle oscure forzePer mille bocci fragili e lucenti

La nuova vita in forma di corona!

6) Massimo Scaligero

Trasmutazione Calcarea

L'attività poetica ha accompagnato la vita di Massimo Scaligero (Antonio Scabelloni,1906-1980) sin dalla fanciullezza. La sua prima poesia pervenutaci, "Primavera", è datata22 Marzo 1914. Molte delle sue poesie sono poesie d'amore, che vanno arricchendosi, conil passar del tempo, di contenuti iniziatici, e fanno di Scaligero uno dei principali esponentidel'esoterismo poetico nell'Italia del Novecento. Egli è poco noto in tal senso, perchè adifferenza di Onofri, Comi e altri, la sua produzione poetica è stata pubblicata solo postuma(La Pietra e la Folgore, Tilopa, 1985). Scaligero si può considerare, per il contenuto dellesue poesie, come una sorta di moderno Fedele d'Amore. La poesia che proponiamo"Trasmutazione Calcarea", parla di quella "Pietra Vegetabile" che, come dice Kremmerz,"conserva il carattere di un minerale ... eppure è un vegetabile, poiché alla vita vegetativanon ripugna".

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Un figlio di creta,un corpo d'antica creta

con soffio impietrato nel profondo,nell'intimo delle ossa di calce:

creta e calce.Rinascere dall'antica creta,

soffio delle ossa,in magica fiorescenza di luceche riprende vita dall'abisso:

materia dell'infinito,lampeggiamento solitario di Giva (1)

nel grumo dei mondi sofferti,tornare in alto alito celeste

per aereo spazio d'immenso.Amore riprende sogno

interrotto, smagato, dimenticato,per primavera imperituranel ciclo dell'immateriache un tempo fu creta:

creta e calce.

(1) Termine sanscrito, più frequentemente traslitterato in Jiva, che è in relazione con "jivah"= vivente, e sta ad indicare l'anima individuale.

7a) Guido De Giorgio

I Poeti

Penso non si possa definire completa una analisi delle forme poetiche che gravitarono attorno al Gruppodi Ur, senza accennare alla poesia di Guido de Giorgio. Tutti i suoi scritti sono in fondo poesia, giacchèla sua stessa prosa segue spesso dei ritmi poetici. Guido De Giorgio non ha mai scritto nessun trattatosistematico sulla poesia. Tale non è, nonostante il titolo, l'opera "Dio è il Poeta", che è piuttosto unaraccolta di inni, di salmi sui generis, nei quali "si pensa cantando e si canta pensando". Proprio come unpesce, che non si cura della formula chimica dell'acqua in cui nuota, egli probabilmente non avvertì maila necessità di un siffatto trattato. In un suo romanzo inedito si trovano, però, delle interessanti esufficienti considerazioni sui poeti (ora in Aforismi e Poesie, Milano 1999). Esse confermano la viaessenzialmente devozionale di De Giorgio. Probabilmente convinto che la possibilità della sua epocafosse ri-innalzare la religiosità cristiana ad una forma di Bhakti Yoga, egli tace di altre possibilità (RajaYoga, Jnana Yoga, Karma yoga) che pur, di certo, conosceva. Il limite della sua proposta sta ovviamentenel fatto di generalizzare il suo tipo umano, con un ego (ahamkara) non ancora del tutto cristallizzato ed'altro canto non più spontaneamente centrato nella coscienza (purusha). Tuttavia è da ritenersiproposta valida per chi, anche se forse raro ai tempi d'oggi, ha una struttura interiore come la sua.

I poeti, dopo i Santi, si capisce, mi pare che siano più vicini a Dio perchè, in un certo senso,spiritualizzano la materia, l'alleggeriscono, la rendono eterea, impalpabile. La Poesia è la corona dellavita, la Santità è la corona del cielo. Il poeta è più che l'uomo, ma il Santo è più che poeta. Ma una volta ilPoeta era anche Santo, quando non cantava del mondo, ma di Dio, quando mirava il mondo in funzione

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di Dio, quando la creazione era permeata di Dio, quando si pensava cantando e si cantava pensando.Dice Platone che il Poeta è un "essere alato e leggero" che vaga, come ape, nei boschetti delle Muse, evi coglie il nettare e lo trasforma in miele ... E canta come un invasato, agitato dal Nume, che - direbbeDante - gli ditta dentro, e questo nume è Amore...E' la vita rinnovata dallo Spirito, non più luogo di erramento, ma di conquiste, di redenzione. Pensate aVirgilio: quanti poeti non aveva egli distolto dall'errore, avviati sul cammino della Verità, di Dio, egli cheandava, dice Dante, come un uomo, che ha una lampada in mano e rischiara quelli che lo seguono manon se stesso:

Facesti come quei che van di notteche porta il lume retro a sé non giova

Ma dopo sé fa le persone dotte

Ed ecco il dramma terribile dei poeti che talvolta salvano ma non si salvano, che illuminano gli altri manon se stessi, che tornano essi, in prigione, dopo averne svincolati gli altri...Chi canterà mai il dramma diVirgilio che all'apparizione di Beatrice, lascia Dante e riprende la via del Limbo?... Egli, lucifero, ritornanelle tenebre a vivervi "senza speme e in disio...". E Brunetto Latini? I Maestri d'eternità che dall'eternitàgaudiosa sono esclusi... Questi sono tra gli arcani più terribili della Giustizia di Dio che potrebberoindurre i più saldi al dubbio...Bisogna credere terribilmente in Dio per non esitare, non dubitare, peraccettare ciò che ripugna alla nostra ragione umana, per esaltare il Signore in ogni cosa, nel bene, nelmale che permette, nella implacabilità della Sua giustizia e nell'ingiustizia apparente della suaMisericordia. Egli che si nasconde a noi per indurci in tentazione; per provare la nostra fermezza, perrafforzare la nostra fede, infiammare la nostra carità a dare le ali alla nostra speranza.

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7b) Guido De Giorgio

Salmo del Poeta

Da "Dio e il Poeta", pubblicato postumo (Milano 1985) come la maggior parte degli scritti di G. DeGiorgio, estraiamo il "Salmo del Poeta", che riprende alcuni dei temi già visti, come la funzione di guida(che è a un tempo il sacrificio) del poeta. Si possono notare anche alcuni passi di sapore "vedantino",come quelli relativi al mondo come "Sogno" di Dio. In questo salmo è particolarmente evidentequell'indistinguibilità di prosa e poesia che, come abbiamo già detto, è caratteristica di molti scritti di DeGiorgio.

O Signore che mi desti la follia, Dio abbi pietà di me! O Signore che morte mi darai, liberami da morte,morendo, perchè la morte cantai e vita feci in ciò che morte era, e i morti svegliai per cullarli colla neniadell'infinito, e se cantai e se delirai, Signore della pazzia mia, abbi pietà di me! C'eri tu e c'eran loro, turicco, tu tutto, loro poveri, loro briciole, scelsi loro e lasciai Te a Te, affinchè, guidati da me, ritornasseroa Te, essi che di te figli abbandonarono te per correre a ciò che non è, in oblio di Ciò che è.O tu che mi facesti pazzo, abbi pietà di me! Per i miei canti e per la mia follia, Dio abbi pietà di me! Io checantai la morte, sia libero da morte, io che cantai la vita mi abbia la vera vita, quella che è Te in Te,perchè Tu sia Tu e io non più! Io che cantai in sogno, sia accolto in verità, io che cantai in morte giungaalla vera vita, io che cantai di pianto abbia la bella gioia, quella che di Te solo vive, che in Te solodimora, quella che è pace in guerra, sia tutta pace in Te! Io che cantai il tuo sogno, ch'io veda ilSognatore, il teste dell'eternità, l'invisibile dio dei mondi, e Colui che solo è, liberi me da me, sciolga imiei canti in Sé, lavi le mani mie nell'onda Sua che tutto monda, chiuda i miei occhi al pianto; apri i tuoiocchi a me. Tu che sei solo in me quel che io non sono in Te, anima povera mia, rifammi Tuo dopoavermi dato alle creature del Tuo sogno, nuvole, fiori e venti, occhi d'amore, occhi di morte, creature tue,Signore; per me, cessi il Tuo Sogno, cessi il mio canto, scioglimi tutto in Te!

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7c) Guido De Giorgio

O Tu

La poesia di De Giorgio è in genere diversa da quella degli altri collaboratori di Ur. Infatti, nei lorocomponimenti, è posto al centro l'attività dello Spirito nella pratica esoterica; in De Giorgio, che segueuna via prevalentemente devozionale, è posto al centro il rapporto con Dio e i suoi intermediari e perciòla sua poesia si avvicina maggiormente a quella di carattere religioso. Rimandando inevitabilmente allalettura diretta delle sue opere, concludo trascrivendo la prima strofa di "O Tu", un inno dedicato allaMadonna (Aforismi e Poesie, Milano 1999).

O Tu che sei l'alcova dell'amore impollutoCastissima figlia della luce incolore

Prato che falce non rade che piede non calpestaVergine santa, Vergine buona, Vergine pura ...

T'avevo vista santa, buona, ma non bella, finora ...E ora, come una folgore, bella, bella ti vedoVergine bella di Monte Vergine salva me!

D'improvviso: luce che si fa amore, amore che si fa bellezza.

8) INNI E INDIGITAMENTAIntroduzione di Abraxa

Come abbiamo appena visto, la poesia di Guido De Giorgio si differenzia da quella degli altri membri diUr per due motivi: per il contenuto, più religioso che ermetico, e per la forma, più evocativa del divino cheriproduttiva di stati iniziatici. Ciò ci conduce a parlare, in maniera più ampia, degli inni e di quellepeculiari forme di invocazioni agli Dei che furono gli Indigitamenta nella religione di Roma.Nel nostro forum, diversi interventi hanno evidenziato che, se si vuole che la religiosità classica politeistariprenda, anche pubblicamente, la sua eterna funzione di guida della civiltà occidentale, non bastalimitarla (sempre pubblicamente) al ristretto ambito degli studi di mitologia e simbologia ove ilcristianesimo cercò di circoscriverla. Occorre ricorrere, sempre più frequentemente, al rito pubblico. Unaspetto frequente di questo è l'inno.

8a) CARMEN ARVALE

Pietro Negri: Per ''Fratres Arvales'' si intende un collegio di dodici sacerdoti, che il mito fa risalire ai 12figli di Acca Larentia, nutrice di Romolo e Remo. Romolo stesso era divenuto membro del collegio allamorte di uno dei dodici. Portavano attorno al capo una corona di spighe con fasce di lana bianca(infulae) e celebravano ogni anno gli Ambarvalia, sacrifici alla dea Dia, officiati in un bosco sacro pressoRoma. Qui la dea aveva un tempio rotondo e una statua che veniva unta durante i riti.Il culto si svolgeva alternativamente il 17, 19, 20 o il 27, 29, 30 maggio. Questa dea è in pratica nominatasoltanto negli Atti dei Fratelli Arvali. La stessa etimologia del nome Ambarvalia fa comprendere il legamedi questi riti con la terra che circondava l'urbe (amb='intorno' e arva='campi'). Dopo il solenne sacrificio didue porche, di un'agnella grassa e di una bianca giovenca, i sacerdoti prendevano i libri e, danzando,

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cantavano un antico inno scandito su un ritmo ternario, implorando protezione degli Antenati-(Lases=Lares) protettori della proprietà dei campi- e del dio Marte.L'antico testo (si ritiene del VI secolo a.C.), è stato scoperto nel 1778, su una lapide, che riporta il verbaledell'intera cerimonia eseguita nell'anno 218 d.C. e che si trova oggi nei Musei Vaticani.La lingua dell'inno è arcaica e Mars è invocato anche coi nomi antichi di Marmar e Marmor, aventirelazione con l'umbro Mavors, l'osco Mamers, l'etrusco Maris, tutti dei italici arcaici protettori dei campi,delle attività agricole, del raccolto, della rinascita primaverile, ma anche, in quanto difensori dei campi,guerrieri. Da qui la corrispondenza col dio Olimpico greco Ares, che però sembra aver avuto un caratterepiù specificamente guerriero. Nell'inno Marte è invocato come dio della soglia (limen): sia a difesa da"epidemie e rovine", che possono diffondersi nelle moltitudini (pleores=plures) umane, animali e vegetali,sia come regolatore della semina, naturale e umana. Gli si chiede infatti, quando sta sulla soglia, dibattere ripetutamente (berber equivale all'imperativo verbera), gesto che richiamerà(advocapit=advocabit) alternativamente i Semoni(Semunis=Semones) divinità che presiedono alle varie semine (etimologicamente, il loro nome è infatticonnesso con semen,'seme'). L'ultima invocazione chiarisce che il gesto magico che il dio è chiamato adeseguire è un triplice battito del piede. Da tale verbo arcaico (triumpere), indicante il predetto gestovittorioso, derivano, per il tramite del latino classico, i termini "trionfo" e "tripudio".

CARMEN ARVALE (dagli Acta Arvalium, 218 d.C.)

ENOS LARES IVVATE (ter)NEVE LVE RVE MARMAR SINS INCVRRERE IN PLEORES (ter)

SATVR FV FERE MARS LIMEN SALI STA BERBER (ter)SEMVNIS ALTERNEI ADVOCAPIT CONCTOS (ter)

ENOS MARMOR IVVATO (ter)TRIVMPE (quinquies)

Traduzione:

Aiutateci o Lari! (tre volte)Né peste nè rovina, o MarMar, permetti che si diffonda nella moltitudine! (tre volte)

Sii fruttifero, o fiero Mars, raggiungi di slancio la soglia, fermati là, batti ripetutamente (tre volte)I Semòni, a turno, convocherà tutti (tre volte)

Aiutaci MarMor! (tre volte)Batti tre volte il piede! (cinque volte).

Sipex: Tra le espressioni arcaiche del Carmen è di particolare rilievo la forma "enos" al posto delclassico "nos". Non deve stupire quella "e" iniziale, perchè il singolare di "enos" (noi) è "ego" (io) ed èperciò evidente che la "e" fa parte della radice della parola. La scrittura "enos", anzichè "egos" fapensare che in origine la "g" di "ego" avesse una pronuncia "nasale", come dimostrano anche il genitivoe gli altri casi del singolare (mei, mihi, me, me), altrimenti foneticamente inspiegabili.Alcuni traduttori, troppo legati al latino classico, nel tradurre il Carmen Arvale, hanno separato,arbitrariamente, "enos" in due parole ("e nos"), interpretando in genere la "e" come una esclamazione,che oltretutto è semanticamente superflua.Ultraviolet:: Quando ho letto, nel forum, il Carmen Arvale, ho approfondito un po’ l'argomento leggendotutto quello che ho trovato sul web - pochissimo, ma forse sufficiente per inquadrare a grandi linee di chesi tratta. Ho in mente una delle mie domande da asilo (ma non è detto...): ma il ripetersi delle frasi (aparte l'ultima) per TRE volte?Sipex: In relazione al motivo generale delle "ripetizioni", tanto nei riti quanto nei testi iniziatici, potrestirileggere "Ripetizioni di frasi e di significati" - messaggio a suo tempo inviato da Breno ed ora parte finaledel quaderno La Tradizione Estremo Orientale - che, pur sinteticamente, lo esprime molto bene.Ekatlos: Se poi Ultraviolet intende riferirsi al significato del "tre volte" e del "cinque volte" nella specificitàdi quel rito, è nozione che gli attuatori o (a seconda delle epoche) i conservatori del rito stesso sitramandano esclusivamente nel loro ristretto ambito.Tarquinio Prisco: Cosa si sa, dal punto di vista storico, della misteriosa dea Dia?Ea: Dea Dia è l'aspetto femminile dell'arcaico Dies-piter, il Padre Cielo, il cui culto fu, in epoca classica,assorbito in quello di Juppiter. Diespiter divenne allora uno dei più importanti attributi di Giove, tanto cheil sacerdote di quest'ultimo era detto Flamen Dialis. Diespiter è una divinità del tutto equivalente al diovedico Dyaus Pitar, la cui "sposa" è Prithivi, la Terra. Anche Dea Dia è una divinità della Terra e vieneperciò spesso assimilata a Tellus e Cerere. Ma le assimilazioni rischiano di coprirne la specificità. Il fatto

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che Dia conservi la stessa radice di Dies indica che qui la Terra è considerata proprio nell'atto di unirsi alCielo, nell'atto di formare il binomio Dies-Dia. E' tale binomio a generare la realtà intermedia in cuiviviamo, che partecipa del Cielo e della Terra. Da un punto di vista agreste ciò significa, ad es., che glieventi atmosferici non dipendono solo dal cielo (ad es. dall'attività solare), ma anche dal modo in cui laterra ne accoglie l'attività. Questa realtà è oggi perfino più evidente che al tempo dei Romani, dalmomento che tutti sanno ad es. che è ben diverso l'effetto dei raggi solari su una terra che, per l'attivitàdell'uomo, immetta nell'atmosfera poca o molta anidride carbonica. Dunque i rituali di Dea Dia miravanoad assicurare che la Terra dei Romani accogliesse sempre nel modo migliore l'attività celeste. Dal puntodi vista alchimistico ciò significa purificare il mercurio, affinchè accolga nel modo migliore lo zolfo.Passando cioè dal punto di vista agreste grossolano a quello sottile, i rituali di Dea Dia miravano arendere atta la mercurialità o psichicità collettiva del popolo romano (Evola direbbe la "razza dell'anima")ad accogliere gli obiettivi spirituali (la "razza dello spirito") che si incarnarono nel medesimo popolo.Dunque i Romani, per curare gli eventuali difetti della "razza dell'anima", usavano il Rito, e non la"camera a gas": isterico gesto materiale, che solo la follia di un ambiente materializzato potè attuare.

Dies-Dia

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8b) Dall'Inno a Mercurio

Ovidio, Fasti (V, 663 e sgg)

a cura di Ida La Regina

Clare nepos Atlantis, ades, quem montibus olimedidit Arcadiis Pleias una Iovi,

pacis et armorum superis imisque deorumarbiter, alato qui pede carpis iter,

laete lyrae pulsu, nitida quoque laete palaestra,quo didicit culte lingua docente loqui.

...

Vieni o illustre nipote di Atlante, che un tempo a Giovepartorì una delle Pleiadi sui monti dell’Arcadia,

arbitro di pace e di guerra per gli dèi celesti e inferi,che percorri lo spazio coi piedi alati, lieto del suono

della lira e lieto anche della lucente palestra,tu per il cui insegnamento la lingua apprese a parlare con eleganza.

...

Invocazione del mercante a Mercurio(P. Ovidius Naso Fasti 681 sgg):

Ablue praeteriti periuria temporis,ablue praeteritae perfida verba die.

Sive ego te feci testem falsove citaviNon audituri numina magna Iovis,

sive deum prudens alium divamve fefelli,abstulerint celeres improba verba Noti,et pateant veniente die periuria nobis,nec curent superi si qua locutus ero.

Da modo lucra mihi, de facto gaudia lucro,et fac, ut empori verba dedisse iuvet.

Lava gli spergiuri del tempo passato,e lava anche le parole perfide dette ieri.

Sia che abbia evocato te a testimone, o invocatoFalsamente il grande nume di Giove sperando che non mi udisse,sia che, astuto, abbia ingannato alcun altro degli dei o delle dee,

i rapidi venti disperdano le mie sacrileghe parole:e domani mi si schiuda la liceità di nuovi spergiuri,

né badino i Celesti se ne avrò pronunciato qualcuno.Concedimi solo guadagni, concedimi di godere di essi,

e fa che mi giovi l’aver gabbato l’acquirente.

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8c) Mesomedes: Inno a Calliopea

a cura di Ekatlos

Tra i pochi brani musicali dell'antica Grecia che ci sono pervenuti sono da segnalarsi quelli del creteseMesomedes, musicista della corte di Adriano (che regnò nel 117-138 d.C.) e degli Antonini.L'Inno qui riportato è dedicato a Calliopeia (o Calliopea o Calliope) Musa della poesia epica. Il testooriginale, compresa la musica in notazione antica e una trascrizione nella notazione moderna, si trova inPohlmann (1).Nell'inno viene invocato anche Apollo, mediante tre attributi: "guida del mistero esoterico", "figlio di Leto"(Latona) e "Peana di Delo". Apollo viene altresì definito "peana" anche da Dante nel Paradiso (Pd. XIII,25), giacchè nell'inno che era cantato in suo onore, veniva rivolto a lui il grido rituale "Iè Paiàn!".

(1) Pohlmann, Egert. Denkmäler Altgriechischer Musik: Sammlung, Übertragung und Erläuterung allerFragmente und Fälschungen. Nürnberg: Verlag Hans Carl, 1970, pp. 14-15.

Oh venerata Musa, canta con me,dai inizio e armonia alla mia canzone.

Le fresche brezze che esalano dai Tuoi boschettiispirino il mio petto e risveglino il mio cuore.

Tu saggia Calliopeaprincipale delle leggiadre Muse

e anche tu, guida al mistero esoterico,figlio di Leto, Peana di Delo,

siate propizi e restate con me.

***8d) Costantino Kavafis: Itaca

a cura di Occhi di Ifà

Oltre che Inni agli Dei, esistono Inni ai luoghi, in genere evocativi del Genius Loci. Invece, nella seguentepoesia del poeta greco Costantino Kavafis (Alessandria d'Egitto 1863-1933), Itaca è la meta inizialmentenecessaria per giustificare il viaggio, che poi si rivela essere, in sé stesso, il vero scopo.Analogicamente, nella realizzazione iniziatica, la meta è in realtà la pratica di ogni istante. Dunquequesto componimento può considerarsi un “consiglio” sulla pratica della cosiddetta "Via-Meta". Se l’Innoha in genere la veste di una “chiamata” o di una “domanda”, qui si ha invece la forma complementaredella “risposta”, dell'insegnamento.

ITACA

Quando ti metterai in viaggio per Itacadevi augurarti che la strada sia lungafertile in avventure e in esperienze.

I Lestrigoni e i Ciclopio la furia di Nettuno non temere,

non sarà questo il genere d'incontrise il pensiero resta alto e il sentimentofermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.

In Ciclopi e Lestrigoni, no certoné nell'irato Nettuno incapperai

se non li porti dentrose l'anima non te li mette contro.

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Devi augurarti che la strada sia lungache i mattini d'estate siano tanti

quando nei porti - finalmente e con che gioia -toccherai terra tu per la prima volta:

negli empori fenici indugia e acquistamadreperle coralli ebano e ambre

tutta merce fina, anche aromipenetranti d'ogni sorta, più aromi

inebrianti che puoi,va in molte città egizie

impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca- raggiungerla sia il pensiero costante.Soprattutto, non affrettare il viaggio;

fa che duri a lungo,per anni, e che da vecchiometta piede sull'isola, tu, ricco

dei tesori accumulati per stradasenza aspettarti ricchezze da Itaca.

Itaca ti ha dato il bel viaggio,senza di lei mai ti saresti messo

in viaggio: che cos'altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso

Già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

***8e) Platone: Inno a Pan

a cura di Ekatlos

Come abbiamo visto nella poesia di C. Kavafis "Itaca", la ricchezza terrena, per ovvia trasposizione, puòesser presa a simbolo di quella spirituale. Kavafis non è certo il primo ad usarla in tal senso. Un esempiocelebre ed esplicito è contenuto nel breve "Inno a Pan", che conclude il Fedro di Platone:

"O caro Pan e voi altri Dei che siete in questo luogo,concedetemi di diventare bello di dentro,

e che tutte le cose che ho di fuori siano in accordocon quelle che ho dentro.

Che io possa considerare ricco il sapientee che io possa avere una quantità di oro

quale nessun altro potrebbe nè prendersi nè portar via,se non il temperante".

L'Oro=Sapienza deve essere dunque ottenuto tramite la temperanza, quell'atteggiamento equilibratoverso se stessi e il mondo, su cui spesso si insiste in Introduzione alla Magia e alla coltivazione del qualeè in specifico dedicato ad es. il saggio "Liberazione delle Facoltà" (III vol.).

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8f) INDIGITAMENTA

Venvs Genitrix: Scrive Renato del Ponte nel saggio "Aspetti del lessico pontificale: gli indigitamenta"(1):"Paolo Diacono, nel suo commento a Festo, può asserire che gli indigitamenta "sono formuleincantatorie" (incantamenta) e dei "segni" (indicia)".Comprendo che l'argomento è riservato e che perciò Del Ponte, in quel saggio, si limiti ad accennaresolo a qualche aspetto delle formule incantatorie, ma è possibile sapere, sia pure molto genericamente,di che segni si trattava?

(1) Diritto e Storia, Rivista internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana, N° 1 - Maggio2002

Ekatlos: Analogo concetto degli indigitamenta è espresso da Gesner, Johann Matthias nel "NovusLinguae Et Eruditionis Romanae Thesaurus" - Leipzig, 1749: "INDIGITAMENTA, orum. n. Festus, velPaullus potius, Festi interfector interpretatur incantamenta, vel indicia. etc".Per gli storici digiuni di esoterismo, gli "indigitamenta" - concepiti nella loro interezza - sono un rebuspraticamente insolubile. Per gli esoteristi, come giustamente osservi, vi sono problemi di riservatezza.Tuttavia qualche indicazione può essere data. Ciò che porta facilmente fuori strada gli studiosi, èprobabilmente un errato percorso etimologico. Essi di solito traducono l'espressione "Di Indigètes" con"Dei Indigeni", per l'apparente somiglianza linguistica tra "indiges" e "indigenus". Così facendo, nonpossono far altro che concludere che gli indigitamenta fossero, almeno in origine, semplicemente leinvocazioni agli dei locali.Invece, il percorso etimologico deve partire proprio dal termine indigitamenta, che deriva dal sostantivo"digitus", cioè "dito". Ancor oggi, intendiamo col termine "digitare" il premere i tasti con le dita. Perciò, ilverbo latino "indigeto", o "indigito" non significa semplicemente "invoco", ma "invoco, mentre compio ungesto o una pressione con le dita". Per farsene una idea, si pensi alle "mudra", che accompagnano larecitazione dei nomi divini in sanscrito. Pertanto, "Di Indigètes" non significa - almeno come significatoprimario - "Dei Indigeni", ma indica invece "quegli dei che sono invocabili tramite gli indigitamenta". Essisi distinguono dai Novénsides, nuove divinità, in genere straniere, per le quali non si conoscevanospecifici indigitamenta. Per essere invocate, era necessario prima identificarle con qualcuno dei "DiIndigètes", in modo da poter utilizzare il medesimo segno delle mani, mentre diversa era ovviamente laformula verbale.Sipex: Attività di identificazione, che costituisce un aspetto caratteristico e distintivo degli autenticiPontifices e la base teorico-pratica del Pantheon.