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Editori Laterza Mario Docci nuova edizione Disegno e analisi grafica con elementi di Storia dell Arte

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Editori Laterza

Mario Docci

nuova edizione

Disegnoe

analisi graficacon elementi di Storia dell’Arte

Questo volume, sprovvisto del talloncino a fronte (o oppor-tunamente punzonato o altrimenti contrassegnato), èda considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE GRATUI-TO, fuori commercio (vendita e altri atti di disposizionevietati: art. 17, c. 2 l. 433/1941). Esente da I.V.A. (D.P.R.26-10-1972, n. 633, art. 2, lett. d). Esente da bolla di ac-compagnamento (D.P.R. 6-10-1978, n. 627, art. 4, n. 6).

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il Sistema di gestione qualitàISO 9001:2000Euro 29,50 (i.i.)

In copertina: Charles de W

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i restauro del P

anthéon, 1797-98

Il legame tra disegno e storia dell’arte

puo e deve essere perseguito,

e per raggiungere tale fine occorre impiegare il disegno

non come mezzo passivo utile semplicemente

a riprodurre le sembianze esterne dell’opera d’arte,

quanto piuttosto come uno strumento attivo

di conoscenza, un vero e proprio metalinguaggio

grazie al quale e ` possibile analizzare intimamente l’opera.

DOCCI

DISEGNO E ANALISI GRAFICA

Nuova edizione

Editori Laterza

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Il Seicento15Verso la seconda metà del XVI secolo, il progressivo mutare del panorama politico, sociale, economi-co, dovuto agli effetti della scoperta dell’America e alla ascesa della Francia e della Sapgna al rango disuperpotenze, si intreccia agli sviluppi della Riforma protestante e della Controriforma cattolica, chetrae la sua più chiara formulazione nel Concilio di Trento. Attraverso esperienze intermedie, arti figura-tive e architettura maturano un nuovo linguaggio, che convenzionalmente si definisce Barocco.

Il termine «barocco» ha un’etimologia incerta: in portoghese, «barrueco» è una perla di forma irre-golare; ma in italiano il sostantivo «barocco» era usato per indicare una forma di sillogismo complica-ta e ambigua nella forma quanto debole nel contenuto. Alcuni teorici settecenteschi – Francesco Mili-zia e Quatremère de Quincy – lo usarono in un’accezione negativa, per designare quegli aspetti del-l’architettura del secolo precedente caratterizzati da elementi bizzarri, che sovvertivano qualsiasi ordi-ne e che alla loro mentalità razionalista apparvero come abusi, errori e inammissibili astruserie.

Bisogna attendere la fine dell’Ottocento perché il termine si liberi dell’originaria valenza negativaad opera di Heinrich Wöllflin, il quale intravide in tutte le manifestazioni artistiche succedutesi dal tra-monto dell’esperienza rinascimentale sino al Neoclassicismo i connotati tipici del gusto barocco. Mariunire sotto un’unica etichetta fenomeni tanto diversi tra loro, come il naturalismo caravaggesco, ilclassicismo carraccesco, l’architettura di Borromini, la scultura di Bernini, resta un’enorme forzatura.Il termine barocco, che ebbe tuttavia larga fortuna e diffusione, si attaglia, propriamente, solo ad al-cune delle manifestazioni artistiche del periodo compreso tra il 1600 e il 1750.

La storiografia moderna riconosce le caratteristiche proprie del Barocco nell’opera di Borromini,di Bernini e di Pietro da Cortona, tre artisti che determinarono una svolta fondamentale nella culturaartistica del Seicento a Roma. A loro si deve la messa a punto di un nuovo modo di concepire lo spa-zio e la natura e il loro rapporto con l’uomo, ma anche l’adozione di artifici illusionistici e di forme di-namiche, la ricerca di effetti luministici e scenografici e l’accentuazione della pregnanza emozionaledella rappresentazione.

Vera e propria «civiltà dell’immagine», la cultura figurativa barocca diviene strumento privilegiato dipropaganda e di persuasione del potere religioso e politico; a tale scopo mirava, infatti, anche l’unitàdelle arti (il teatro, la musica, l’architettura, le arti visive), che ne fu uno dei caratteri distintivi. L’iperbo-le e il paradosso, l’enfasi e la metafora, il simbolo e il meraviglioso furono gli strumenti di tale politicadelle immagini, che puntava a stupire e ad emozionare, a coinvolgere e a persuadere il fruitore.

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L’infinito diviene tema cardine di gran parte delle espressioni artistiche barocche, in sintonia coni progressi della scienza sperimentale (Copernico e Galilei). L’uomo non è più al centro dell’univer-so, come nel pensiero rinascimentale; l’interesse dell’artista si volge all’osservazione dei fenomeninaturali, di per sé spettacolari, indizi essi stessi della presenza del divino.

Il grande prestigio culturale di Roma, che della nascita e del manifestarsi del nuovo linguaggio fi-gurativo era stata l’insostituibile scenario, fece sì che esso si diffondesse in breve in Italia e in Euro-pa. Se Torino fu importante centro di elaborazione del nuovo gusto, dall’architettura alla decorazioneall’arredamento, anche a Genova l’opera di decoratori e scultori fu indirizzata verso esiti barocchi.D’altra parte, gli artisti lombardi proseguirono la tradizione naturalistica, che nel secolo precedenteaveva dato luogo a risultati pregevoli, così come anche a Venezia e a Firenze il nuovo gusto baroc-co non riuscì a fare presa in profondità. In Italia meridionale, invece, Napoli divenne il più importan-te centro di diffusione delle forme barocche, non solo nell’architettura, ma anche nella scultura e nel-la decorazione.

In Spagna fu soprattutto l’architettura a cogliere gli stimoli del Barocco, trasferendone in Americacentrale e meridionale gli aspetti più spettacolari e decorativi, già dalla metà del secolo. Ma alla fine delsecolo si moltiplicarono anche in Germania meridionale e in Austria i riferimenti all’architettura baroc-ca italiana, nelle declinazioni romana e piemontese. Anche la Polonia, la Russia e l’Ungheria furono in-teressate dalla diffusione del nuovo linguaggio, che nelle Fiandre ebbe in Rubens un autorevole e pre-stigioso portavoce. Solo sporadicamente, invece, il nuovo gusto attecchì in Francia, la cui civiltà figu-rativa era imbevuta di classicismo e razionalismo, agli antipodi quindi della sensibilità barocca.

ARCHITETTURA

Verso la seconda metà del secolo XVI, le mutate condizioni economiche, politiche e sociali e alcunieventi verificatisi in campo religioso (Riforma protestante e Controriforma cattolica) determinano no-tevoli modificazioni nel modo di esprimersi in campo artistico. In particolare, si interrompe quella sin-tesi tra arte e scienza, che aveva dato vita all’«uomo universale» e l’artista non è più in grado di rias-sumere nella sua persona anche i ruoli del filosofo e dello scienziato. Il potere politico e quello reli-gioso intendono l’arte come uno strumento di persuasione e ciò induce l’artista a modificare il propriolinguaggio al fine di dialogare con un pubblico più vasto. I fatti salienti della vita civile e religiosa so-no sottolineati da una serie di cerimonie, alla cui partecipazione viene chiamata l’intera città: si puòdire che nel mondo seicentesco la vita si svolge come in un grande teatro.

Il linguaggio architettonico si rinnova attraverso l’attenzione ad alcune nuove componenti, quali lapercezione dello spazio e delle forme e il ruolo della luce; lo spazio statico rinascimentale si rivela or-mai inattuale: le ricerche filosofiche sul concetto di infinito fanno sì che questo venga sostituito dauna concezione di spazio dinamico e infinito. Dinamismo e senso di infinito sono raggiunti sia attra-verso la curvatura delle superfici e degli elementi architettonici sia introducendo effetti illusionistici.Particolare attenzione è riservata alla percezione delle forme architettoniche, mettendo in atto unaserie di artifici ottici che generano effetti spaziali e sensazioni percettive nell’osservatore non noti pri-ma d’ora. In questa ricerca acquistano un ruolo nuovo alcuni elementi naturali, come l’acqua, fattoredeterminante nella nuova spazialità: di conseguenza acquisiscono massimo rilievo nella composizio-ne architettonica e come polo urbanistico le fontane, realizzate con lo specchio d’acqua molto bassoperché possa riflettere le superfici circostanti.

I temi dello spazio infinito (estensione) e del dinamismo (movimento), unitamente alle nuove direttiveecclesiastiche sulla partecipazione dei fedeli, determinano una radicalerevisione delle tipologie degli edifici di culto. Allo spazio centrale, dato daforme ottagonali o circolari, si sostituisce uno spazio centrale allungato,prodotto da forme ellittiche; lo spazio longitudinale delle tipologie basili-cali lascia posto, invece, a quello longitudinale centralizzato, dato dallacroce latina, il cui fulcro è l’incrocio fra transètto e navata (fig. 1).

I caratteri essenziali dell’architettura del Seicento sono così rias-sunti da Paolo Portoghesi:

Il campo barocco poggia su tre caratteri specifici, tutti in qualche modo connes-si con la cultura precedente: lo spazio come qualità, il nuovo ruolo della deco-razione che concorre alla definizione generale dell’immagine e la radicale cri-tica alla dispersiva sperimentazione tipologica del tardo Cinquecento. Dei trecaratteri quello decisivo è il primo, che si riconnette a una delle maggiori con-quiste della filosofia naturalistica italiana, e segna una netta linea di separazio-ne tra le opere della generazione del 1590 e quelle dei predecessori.

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figg. 1a-bSchemi planimetrici ditipologie di chiese

a. a pianta ellittica; b. acroce latina. Si noti iltentativo di realizzare ungrande spazio unitario.

1a 1b

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Se i manieristi avevano cercato di trarre ispirazione dalle trasgressioni ai cà-noni classici, gli architetti del Seicento sentono il bisogno di rivolgersi al mon-do antico, per rinnovarne il linguaggio attraverso profonde mutazioni, anche dicarattere metodologico. Tra i primi architetti che operano una revisione criticadella cultura tardo-manieristica è Carlo Maderno (Capolago, Canton Ticino,1556 - Roma, 1629), nipote e aiuto di Domenico Fontana.

Dopo le esperienze relative al completamento della Chiesa di San Giacomodegli Incurabili e alla costruzione della Cappella di San Gregorio al Celio, Mader-no affronta, nel 1603, la realizzazione della Chiesa di Santa Susanna, la cui fac-ciata è stata indicata, da alcuni critici, come la prima opera barocca (fig. 2). Inrealtà, pur essendo l’opera più significativa di Maderno, non pare che essa pos-sa assurgere a un ruolo così elevato. L’architetto, riprendendo alcuni temi già af-frontati da Giacomo Della Porta nella facciata della Chiesa del Gesù, conferiscea quella di Santa Susanna il ruolo di polo urbano, capace di accentrare in sé laspazialità della piazza antistante la fontana dell’Acqua Felice. Dotata di due bre-vi risvolti laterali, che la distaccano dall’allineamento degli altri fabbricati, facen-dola aggettare verso la piazza, essa è suddivisa in due piani, di cui quello infe-riore è munito di sei colonne, che ne accentuano l’effetto plastico. Il corpo cen-trale è anch’esso proteso in avanti e tale avanzamento interessa anche la partemediana del frontone, che è coronato superiormente da una balaùstra inclinata,onde realizzare un passaggio graduale tra l’edificio e il vuoto.

Maderno riesce ad accogliere una parte della lezione michelangiolesca, po-nendo particolare attenzione al movimento delle masse e ai contrasti chiaroscurali, che risultano tut-tavia composti in una visione lirica.

Nel 1607 Maderno partecipa, insieme a molti altri architetti, al concorso per la trasformazione diSan Pietro in una chiesa a pianta basilicale. Il progetto di Maderno risulta vincitore e di conseguen-za a lui viene affidata la direzione dei lavori, che lo videro impegnato per molti anni (tavv. 57a-e).

Nel 1624, il cardinale Barberini, divenuto papa col nome di Urbano VIII, affida a Maderno l’edifica-zione del palazzo di famiglia, in prossimità del quadrivio delle Quattro Fontane (fig. 3b). L’architettoelabora un progetto teso a superare il vecchio schema del palazzo bloccato, ispirandosi al modello del-la villa. Ne deriva un impianto munito di due brevi ali laterali, protese in avanti con un loggiato centra-le, che determina un miglior rapporto tra il palazzo e il giardino circostante. Alla morte di Maderno, nel1629, subentra il giovane Gian Lorenzo Bernini (Napoli, 1598 - Roma, 1680), già diventato il domina-tore della scena culturale romana, soprattutto per il folgorante successo ottenuto come scultore.

Bernini aveva già esordito nel 1624, in un’opera che è a metà strada tra la scultura e l’architettu-ra – il Baldacchino di San Pietro – del quale aveva realizzato le bellissime colonne tortili, mentre ilcoronamento del medesimo sarebbe stato completato solo nel 1633, grazie anche al contributo delsuo collaboratore Francesco Borromini. Il vero esordio come architetto, in Palazzo Barberini, evi-denzia subito le grandi qualità di Bernini. Il progetto di Maderno viene modificato con l’inserimentonella facciata, tra le due ali, di un avancorpo centrale leggermente aggettante, alleggerito al pianoterra dalla presenza di sette arcate e di altrettanti finestroni ai due piani sovrastanti (fig. 3a). Le fi-nestre dell’ultimo piano sono dotate di una strombatura prospettica: quest’ultimo elemento, insieme

286 Elementi di storia dell’arte con esempi di analisi graf ica e tavole architettoniche

fig. 2Carlo Maderno, SantaSusanna, 1597-1603,

Roma, facciata

figg. 3a-bCarlo Maderno (progetto),

Gian Lorenzo Bernini,Francesco Borromini,

Palazzo Barberini, 1625-33,Roma

a. facciata principale(incisione di Giovan Battista

Piranesi); b. pianta.

3a 3b

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fig. 5Francesco Borromini,Oratorio dei Filippini (asinistra), facciata, 1637-40,e Chiesa di Santa Maria inVallicella (a destra), Roma

fig. 4Gian Lorenzo Bernini,Chiesa di Sant’Andrea alQuirinale, 1658-70, Roma

all’aggetto dell’avancorpo, conferisce profondità e dinamicità alla facciata, oltre acreare una continuità spaziale tra esterno e interno.

A questa opera collabora con Bernini anche Borromini: il suo intervento si con-centra sulla realizzazione di alcuni particolari architettonici e sulla bellissima scalaelicoidale, che collega il salone con il portico. La collaborazione tra i due architettiprosegue fino al 1633, quando personalità e sensibilità artistica diverse li portanosu strade differenti.

Nello stesso anno dell’inizio dell’attività a Palazzo Barberini, Bernini viene no-minato architetto della fabbrica di San Pietro, dove affronta il problema del comple-tamento della facciata di Maderno, ma con esiti poco felici, a causa del cedimentodella fondazione di uno dei due campanili posti all’estremità del fronte della Basili-ca (tavv. 57a-e).

Questa prima fase dell’attività del giovane architetto comprende anche opere discultura, che per le loro caratteristiche e la loro spazialità sono delle vere architettu-re: intendiamo riferirci alla Fontana delle Api, alla Fontana del Tritone, alla Fontanadei Fiumi in piazza Navona, e alla Cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria.Quest’ultima, realizzata tra il 1644 e il 1652, si presenta come una struttura molto complessa, in cui ilgruppo scultoreo di Santa Teresa con l’angelo è inserito in una sorta di palcoscenico architettonico, do-ve la luce, grazie a una serie di accorgimenti, giunge sulle sculture da una fonte nascosta. In quest’o-pera risulta evidente il desiderio di Bernini di realizzare, con i suoi lavori, uno spettacolo totale, in cuiarchitettura, scultura e pittura si fondano in un’unica immagine spaziale.

Per incarico della famiglia Pamphili, Bernini redige, tra il 1650 e il 1655, il progetto del PalazzoMontecitorio, oggi sede del Parlamento italiano. Il progetto berniniano prevede un avancorpo cen-trale, con due ali laterali inclinate all’indietro, cosicché la parte centrale acquista un notevole risalto.Purtroppo, questo progetto fu in parte alterato da Carlo Fontana, soprattutto nel portale centrale, sulquale è stato inserito un piatto balcone, che accentua l’orizzontalità dell’impianto.

Tra il 1658 e il 1661, consolidata la sua esperienza architettonica, Bernini realizza la Chiesa diSantʼAndrea al Quirinale (fig. 4 e tav. 62), che egli stesso riconosce come la sua opera migliore.La concezione di Sant’Andrea al Quirinale è riproposta nella bellissima Chiesa dell’Assunta ad Aric-cia, nei pressi di Roma (1662-64), dove il modello classico del Pantheon è ripreso in forma più pun-tuale. Il collegamento tra il prònao e il corpo cilindrico della Chiesa è mirabilmente risolto con l’inse-rimento di un corpo avvolgente la Chiesa, che si prolunga lateralmente, quasi a creare dei propilèi, iquali si fondono con l’aggetto del prònao stesso della Chiesa.

Tra il 1656 e il 1666 Bernini è impegnato nella realizzazione del porticato di Piazza San Pietroe della Scala Regia, che danno un nuovo volto al massimo tempio della cristianità (tavv. 60a-b).Nel 1665 l’artista viene chiamato a Parigi dal re di Francia, per progettare il Palazzo del Louvre. Pur-troppo, essendo l’ambiente francese ancora legato agli schemi tardorinascimentali e totalmenteestraneo alla nuova cultura architettonica italiana, gli innovativi progetti berniniani non hanno avutoseguito.

L’opera architettonica berniniana, pur incidendo in modo determinante sulla formazione del nuo-vo linguaggio architettonico, non può essere tuttavia considerata rivoluzionaria. Il carattere stessodell’artista, prudente e diplomatico, lo spinge verso una paziente ricerca, aperta a tutti i nuovi contri-buti, ma anche pronta alla mediazione e alla sintesi tra le diverse tendenze. Egli riesce a realizzareun nuovo modo di esprimersi, innestando sulla tradizione classi-ca le esperienze della cultura architettonica a lui contempora-nea. In questo tormentato processo di ricerca di nuove modalitàlinguistiche, non va sottovalutata l’influenza che su di lui ebbe lavicinanza prima, e la competizione poi, di Francesco Castelli,detto Borromini (Bissone, Canton Ticino, 1599 - Roma, 1667).

Dopo una lunga esperienza di scalpellino, prima nella fabbricadel Duomo di Milano, successivamente a Roma, nei cantieri di Ma-derno, infine con Bernini, nella realizzazione del Baldacchino diSan Pietro e di Palazzo Barberini, Borromini apre la sua carriera dicreatore autonomo con il progetto del Convento dellʼordine deiTrinitari di San Carlo alle Quattro Fontane (1634); carriera chesi chiuderà con la realizzazione della facciata dell’annessa Chie-sa detta di San Carlino (1667). Già nel primo lavoro del conventol’artista esprime tutta la sua carica innovativa (tavv. 63a-d).

Nel 1637 riceve l’incarico di realizzare, sempre a Roma, ilConvento e lʼOratorio dei Filippini (figg. 5-6), a fianco della

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chiesa già costruita da Martino Longhi il Vecchio e da Rughesi. L’architetto crea un originalissimo im-pianto, articolato intorno a due cortili; l’oratorio è posto a ridosso della facciata principale, con l’asselongitudinale parallelo ad essa. La composizione della facciata non tiene conto della spazialità inter-na: infatti il corpo centrale, sormontato dal tìmpano mistilineo, è posto a cavallo tra una parte dell’o-ratorio e l’atrio d’accesso al convento; anche il portale centrale non è in asse con l’oratorio, ma si aprenella zona di passaggio tra l’oratorio e l’atrio. La facciata dell’oratorio appare in netta dissonanza conla vicina facciata della chiesa, caratterizzata dal grande tìmpano mistilineo, il cui andamento è accen-tuato dalla sottostante nicchia cassettonata. All’interno, la sala dell’oratorio è coperta da una splen-dida volta dal profilo quasi piano, sulla quale si stagliano nitide nervature incrociate. Questa costru-zione evidenzia le non comuni doti tecniche di Borromini.

Altro grande capolavoro dei primi anni dell’attività borrominiana è l’Archiginnasio, con l’annessaChiesa di SantʼIvo alla Sapienza (tavv. 61a-b).

Con il pontificato di Innocenzo X, inizia il periodo di maggior impegno per il Borromini, a cui ven-gono assegnati diversi incarichi di grande prestigio, tra i quali ricordiamo la trasformazione della Ba-

silica di San Giovanni in Laterano e la Chiesa di Sant’Agnesea Piazza Navona. In particolare, la Basilica di San Giovanni inLaterano aveva bisogno di interventi che ponessero rimedio allostato di fatiscenza in cui si trovava e ne rinnovassero l’architet-tura. Borromini concepisce un grandioso progetto, che trasformala vecchia basilica a cinque navate in una chiesa ad àula. La na-vata centrale viene quasi totalmente isolata da quelle laterali permezzo di una parete articolata, in cui si susseguono dodici arco-ni alternati a grandi nicchie con statue, cosicché le navate late-rali assumono il ruolo di un deambulatòrio. La parete della nava-ta è completata da grandi lesène, concluse in alto da una trabea-zione; questa, secondo il progetto borrominiano, avrebbe dovu-to costituire l’imposta di una volta piatta, rigata da una serie dinervature, ma quest’ultima parte del progetto non poté essererealizzata. La luce proveniente dalle grandi finestre sottolinea laspazialità tipicamente borrominiana dell’interno, evidenziandomorbidamente il modellato delle superfici.

La famiglia del pontefice Innocenzo X aveva iniziato a costrui-re, su progetto di Girolamo Rainaldi, una chiesa a Piazza Navo-na. Ben presto, però, i lavori vennero sospesi, perché la faccia-ta di Rainaldi, posta a filo con gli altri edifici, invadeva con la sca-linata la piazza. Borromini, a cui venne affidato l’incarico di ripro-gettare la Chiesa di SantʼAgnese (fig. 7), risolse il problemacon uno dei suoi colpi di genio: la facciata viene infatti arretratarispetto al filo stradale e si incurva, creando una concavità cherisucchia verso di essa lo spazio allungato della piazza. L’arre-

288 Elementi di storia dell’arte con esempi di analisi graf ica e tavole architettoniche

6a 6b figg. 6a-bFrancesco Borromini,

Oratorio dei Filippini

a. interno; b. pianta.

fig. 7Francesco Borromini,

Chiesa di Sant’Agnese,1652-57, Roma

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tramento della facciata consente di avvicinare quest’ultima al tamburodella cupola, il quale fuoriesce con la sua convessità, contrapponen-dosi alla concavità della sottostante facciata e riprendendo così un te-ma già sperimentato in Sant’Ivo alla Sapienza. Il tamburo e la svettan-te cupola sono segnati da paràste e costoloni binati, che si richiama-no al motivo michelangiolesco della cupola di San Pietro. Fanno infineda contrappunto alla cupola due alti campanili, in parte modificati ri-spetto al progetto borrominiano.

Nella costruzione del grande Palazzo di Propaganda Fide, Borro-mini, oltre a progettare la facciata, crea un piccolo gioiello con la rea-lizzazione della Cappella dei Re Magi. Il semplice impianto rettango-lare è nobilitato dall’uso dell’angolo convesso, che ammorbidisce la ri-gidità dell’impianto; le pareti, scandite da paràste alternate a finestre,sono coperte da una volta piatta nervata (fig. 8). Il flettersi degli ele-menti, lo scatto delle cornici, sottolineato dalla luce che vi scivola so-pra, creano uno spazio compresso e dinamico, che si stempera nella geometria della volta.

L’opera di Borromini, come vedremo in seguito, ha portato a un profondo rinnovamento del lin-guaggio architettonico: molti architetti, in Italia e in Europa, hanno considerato, infatti, le sue operecome punto di riferimento.

La personalità, le opere e la fama di Bernini e Borromini hanno fatto passare in secondo piano lafigura di Pietro Berrettini, detto da Cortona (Cortona, 1596 - Roma, 1669), apprezzato soprattuttoper la sua opera pittorica, benché egli aspirasse a distinguersi come architetto. La critica contempo-ranea ha invece rivalutato la sua opera e il suo contributo in questo campo, al punto che alcuni stu-diosi lo indicano come il vero iniziatore del linguaggio barocco con la progettazione della Villa del Pi-gneto, realizzata nella campagna romana intorno al 1630. Essa purtroppo è andata distrutta, ma ciè nota attraverso alcune incisioni, che ne mostrano il prospetto principale, dominato da un corpo cen-trale, in cui spicca un nicchione di stampo bramantesco, affiancato da due corpi laterali più bassi, chesi protendono in avanti con un andamento concavo. Il prospetto è scandito da un ordine binato, chegià testimonia la predilezione dell’architetto toscano per l’addensamento degli elementi architettoni-ci. Sembra che Bernini, di fronte a questo edificio, abbia pronunciato una battuta feroce: «Pietruccioha fatto il Presepio». In verità il grande Bernini, pur criticando l’opera di Pietro da Cortona, ne seguel’attività con attenzione e spesso ne trae spunti per i suoi progetti: un esempio è rappresentato dalpròtiro di Sant’Andrea al Quirinale che si rifà a quello di Santa Maria della Pace (fig. 10a).

La nomina, nel 1634, a principe dell’Accademia di San Luca consente a Pietro da Cortona di realiz-zare, nel 1635, la Chiesa dell’Accademia dedicata ai Santi Luca e Martina (figg. 9a-c), mettendo daparte un precedente progetto a pianta circolare e impostando un nuovo impianto, a croce greca inscrit-ta in un quadrato. L’impianto centrale è appena alterato dalle differenti lunghezze dei bracci; infatti le

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fig. 8Francesco Borromini,Palazzo di PropagandaFide, Cappella dei Re Magi,particolare della volta,1647-62, Roma

0 10 m5

figg. 9a-cPietro da Cortona, Chiesa dei Santi Lucae Martina, 1634-50, Roma

a. facciata; b. interno; c. pianta.

9a

9b 9c

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tre àbsidi, la centrale e le due laterali, sono leggermente meno profonde delbraccio d’ingresso. Queste sottili differenze sono percepite solo da chi si tro-va al centro della chiesa e ciò determina un continuo mutare della percezio-ne dell’invaso. La spazialità interna di questo edificio è risolta con impareg-giabile maestria dall’architetto toscano: le otto colonne poste a ridosso dei pi-loni di sostegno della cupola sono alloggiate nel muro con un incasso che neammorbidisce l’inserimento. Il continuo passaggio da colonne a pilastri, aparàste, è realizzato con grande scioltezza. La luce proveniente dal fondo deicatìni delle àbsidi e dalla sommità della cupola, da dove si espande in fascedi intenso chiarore che si stempera via via sulle membrature, crea morbidezone di chiaroscuro.

Pietro utilizza gli ordini con grande libertà, dimostrando così di aver bencompreso la lezione di Michelangelo: la decorazione è ridotta all’essenzia-le, senza impiego di marmi colorati, mentre l’effetto decorativo è lasciato al-l’addensamento degli elementi architettonici. La facciata, convessa nellaparte centrale, preannuncia la spazialità interna, anche se la corrisponden-za non è esatta ma solo accennata. Le doppie paràste, che chiudono late-ralmente il prospetto, bloccano la tensione del corpo centrale e lo inquadra-no in un ritmo serrato. Pietro tiene anche conto del rapporto con il tessutourbano circostante: il suo progetto, infatti, mette in atto alcuni accorgimentiper arricchire la percezione dell’opera. La facciata non consente, a chi è po-sto a breve distanza, di vedere la cupola, che risulta così quasi un secondotema figurativo accostato al primo; solo chi si allontana o sale sul Campido-glio riesce a vederla.

L’architetto toscano, dopo quest’opera, deve attendere molti anni primadi ricevere un nuovo incarico. Nel 1656, infatti, papa Alessandro VII gli affi-da il compito di progettare la facciata di Santa Maria della Pace (figg.10a-b). La posizione della Chiesa, posta all’incrocio a Y fra tre piccole stra-de di tipico impianto medievale, era difficilmente raggiungibile dalle carroz-ze, tanto che i due vicoli laterali erano stati sbarrati da colonnini. Pietro daCortona si rende conto che il suo intervento non può limitarsi alla soluzionedel problema della facciata, ma deve coinvolgere tutto lo spazio urbano li-mitrofo; egli riesce pertanto a far comprendere al suo committente la neces-sità di acquistare gli edifici antistanti la Chiesa, per rettificare gli allineamen-ti stradali. Tutta la composizione della facciata e del nuovo spazio urbano èimpostata attorno al pròtiro a pianta ellittica, che si protende in avanti sor-retto da sei colonne. La piazza che l’architetto toscano apre davanti all’edi-ficio non è regolata da una rigida simmetria, ma, delimitata in parte da mu-ri preesistenti, assume una forma vagamente pentagonale.

La facciata, dominata al piano terra dal pròtiro, ha al piano superiore un’edicola convessa, sor-montata da un tìmpano circolare, in cui la sottocornice è interrotta al centro e si abbassa, per avvici-narsi al sottostante finestrone. La convessità della facciata è esaltata dalle due ali superiori, che crea-no invece una forte concavità. Chi si avvicina alla Chiesa dalla strada di fronte ha una visione parzia-le di essa; solo quando si entra nella piccola piazzetta ci si trova immersi in uno spazio suggestivo,in cui la facciata della Chiesa dialoga con tutte quelle circostanti e i vari elementi recitano ciascunoun ruolo ben preciso. Anche in questo caso Pietro utilizza l’addensarsi degli elementi per plasmarelo spazio, ottenendo un risultato di eccezionale equilibrio.

Contemporaneamente ai lavori di Santa Maria della Pace, Pietro affronta la realizzazione dellafacciata di Santa Maria in Via Lata. Anche in questo caso egli dimostra di saper tener conto dellemutate condizioni urbane: la facciata, posta secondo l’allineamento stradale, non può essere perce-pita che di scorcio, cosicché egli abbandona il tema della concavità-convessità, per agire su altri ele-menti. La facciata presenta, infatti, una grande loggia centrale a due piani, dei quali quello superioreha la trabeazione interrotta da un arcone centrale; ne deriva, in complesso, un impianto di gusto piùmanierista, ma che rivela anche la grande sensibilità del progettista.

L’ultima opera di Pietro da Cortona è la costruzione della cupola di San Carlo al Corso, imposta-ta su un alto tamburo traforato da grandi finestre, inquadrate tra pilastri affiancati da colonne isolate.In quest’opera, come nella Chiesa dei Santi Luca e Martina, Pietro riprende alcuni temi michelangio-leschi nella progettazione degli ordini e nel modo di inserire varianti. Anche in questa direzione la suaopera risulta particolarmente innovativa, dimostrandosi capace di affrontare in modo nuovo temi mol-to complessi.

290 Elementi di storia dell’arte con esempi di analisi graf ica e tavole architettoniche

figg. 10a-bPietro da Cortona, Chiesadi Santa Maria della Pace,

1656-57, Roma

a. facciata; b. pianta.

10a

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La scomparsa dei tre grandi protagonisti del Barocco lascia un enorme vuo-to, soprattutto nel panorama romano, dove opera un solo architetto di grande ri-lievo, Carlo Rainaldi (Roma, 1611-1690), che già si era trovato a lavorare vicinoai tre maestri. La sua vasta e intensa attività va ricordata soprattutto per due ope-re che sono divenute emblematiche del Barocco: la Chiesa di Santa Maria inCampitelli (1660-70) e quella di Sant’Andrea della Valle (1661-65).

Nella facciata di Santa Maria in Campitelli Rainaldi sviluppa alcuni temi giàaffrontati da Maderno: essa presenta, infatti, un forte addensamento delle mem-brature; ma anche le esperienze michelangiolesche non sono estranee al lin-guaggio rainaldiano, come testimoniano l’esterno totalmente indipendente dal-l’interno, le cornici protese nello spazio e il tìmpano interrotto da tagli possenti.Anche nella facciata di SantʼAndrea della Valle (fig. 11) l’abbinamento di co-lonne isolate e avanzate, l’arretramento di alcune membrature, la frattura dellatrabeazione dell’ordine costituiscono espressioni tipiche del linguaggio dram-matico della matura architettura barocca.

Alla scuola romana dei tre grandi maestri del Barocco si forma anche il mo-naco teatino Guarino Guarini (Modena, 1624 - Milano, 1683), presente a Ro-ma durante il periodo del suo noviziato. L’architetto modenese ha una persona-lità molto complessa: si dedica allo studio dell’ingegneria e della matematica,oltre che della geometria; un soggiorno in Francia gli consente di conoscere l’o-pera di Desargues, che ha codificato alcuni concetti della geometria proiettiva,destinati ad avere una grande influenza nel campo della scienza della rappre-sentazione. Questa multiforme personalità viene messa in evidenza nel suotrattato Euclides adauctus et methodicus Mathematicaque universalis (Torino1671), in cui egli affronta molti problemi di geometria. In questa opera poco stu-diata, Guarini anticipa, in parte, l’opera di Gaspard Monge sulla codificazionedel metodo della doppia proiezione ortogonale. Dopo un soggiorno in Spagna,Guarini opera a Messina, dove realizza alcune chiese purtroppo distrutte dalterremoto del 1908. Dopo Messina si reca a Parigi, ma nel 1668 è chiamato aTorino da Carlo Emanuele di Savoia, che lo nomina suo ingegnere. La perma-nenza in questa città, protrattasi fino al 1680, gli consente di realizzare le sueopere più significative, quali la Chiesa di San Lorenzo (1666-79), la Cappelladella Sacra Sindone (1668-96) e il Palazzo Carignano (1679-81).

In San Lorenzo e nella Cappella della Sacra Sindone (fig. 12), Guarinievidenzia l’aderenza al linguaggio borrominiano, che è ripreso e sviluppato congrande sensibilità e soprattutto con grande abilità tecnica. La formazione mate-matica e la padronanza delle tecniche costruttive gli consentono di progettaree realizzare questa ardita cupola, in cui archi sovrapposti si intrecciano e lascia-no filtrare la luce attraverso una serie di piccole aperture: si genera così unospazio dotato di una dinamica ascensionale, ancora più accentuata di quella ri-scontrabile nella cupola borrominiana di Sant’Ivo alla Sapienza. La cupola del-la Sacra Sindone, inoltre, è dotata di una trasparenza che nessun’altra architet-tura ha mai avuto: la conoscenza dell’architettura gotica è assimilata da Guari-ni e rifluisce nel suo linguaggio; la materia impiegata nella costruzione sembraplasmata come quella di un alveare e si smaterializza fino a far apparire la cu-pola realizzata con materiali diversi da quelli consueti. Questa trasparenza con-corre a generare una continuità, tra interno ed esterno, di grande efficacia, a te-stimonianza di una nuova concezione spaziale.

La capacità di trattare in modo nuovo materiali tradizionali è evidenziata nel Palazzo Carignano(figg. 13a-b), dove viene impiegato il mattone scalpellato e plasmato in forme nuove e di grandebellezza e tutto l’apparato decorativo (cornici marcapiano, paràste, tìmpani di finestre) è realizzato inmattoni. La facciata principale, di notevole lunghezza, è inflessa al centro da una convessità, che siraccorda con due concavità seguite da due fronti laterali rettilinei: ciò crea un’assialità perpendicola-re alla facciata di tipo borrominiano, ma anche un’attrazione verso l’ingresso dell’edificio, che si av-vicina all’osservatore.

La qualità eccezionale delle sue opere e il trattato Architettura civile fecero conoscere in tutta Eu-ropa Guarini che trovò, soprattutto nei paesi nordici e in Francia, molti architetti pronti ad accogliereil suo messaggio.

Abbiamo già visto come, nel Rinascimento, Venezia abbia assorbito con un certo ritardo le novitàlinguistiche provenienti dalla Toscana e come queste siano state filtrate e innestate sulla tradizione

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fig. 11Carlo Rainaldi, Chiesa di Sant’Andrea della Valle,1661-65, Roma

fig. 12Guarino Guarini, Cappella della Sacra Sindone,interno della cupola, 1668-96, Torino

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locale. Ciò avviene anche nell’ambito del Barocco, in cui spicca la personalità di Baldassarre Lon-ghena (Venezia, 1598-1682), allievo di Scamozzi. Ancorato alla tradizione palladiana, Longhena ri-sente del condizionamento dell’ambiente, che tuttavia lo porta a realizzare un’opera di notevole bel-lezza: la Chiesa di Santa Maria della Salute (tav. 64), polo visivo di congiunzione tra la punta del-la Giudecca e Canal Grande (fig. 14).

La qualità del Longhena risiede nell’uso della luce, che vivifica lo spazio, come si può osservareanche nei due palazzi, Ca’ Pesaro (1652) e Ca’ Rezzonico (1667), da lui progettati. Nel Palazzo CaʼPesaro (fig. 15), a una parte basamentale sottolineata da un possente bugnato si sovrappongonodue piani fortemente chiaroscurati da profonde finestre, inquadrate da un ritmo di colonne aggettan-ti, legate da un balcone-architrave. Il marmo bianco delle strutture murarie è messo in risalto dall’om-bra delle profonde aperture e dall’aggetto del cornicione che corona l’edificio.

292 Elementi di storia dell’arte con esempi di analisi graf ica e tavole architettoniche

fig. 14Baldassarre Longhena,

Chiesa di Santa Maria dellaSalute, dal 1631, Venezia

fig. 15Baldassarre Longhena, Ca’Pesaro, dal 1652, Venezia

figg. 13a-bGuarino Guarini, Palazzo Carignano, 1679-81, Torino

a. facciata; b. pianta.

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Tavola 60a Piazza San Pietro a Roma

Il papa Alessandro VII, salito al sogliopontificio nel 1655, avvia rapidamente unvasto programma volto al completamentodello spazio antistante la Basilica di SanPietro, la cui facciata era stata ultimatada alcuni anni. Nel 1656, Bernini vieneincaricato di elaborare un progetto.

Lo spazio antistante la Basilica si pre-sentava al Bernini con le seguenti carat-teristiche (tav. 60b, fig. 2):

A.un gruppo di edifici, Cappella Sisti-na e Sala Regia, disposti a ridosso dellaBasilica e allineati ad essa;

B.un obelisco, posto 4 m a nord rispet-to all’asse perpendicolare al centro dellafacciata della Basilica (un disassamentoda attribuire probabilmente alla volontàdi lasciare libera la visuale principale);

C. il Palazzo Nuovo, disposto in posi-zione obliqua rispetto all’asse della Basi-lica;

D. la Basilica;E. il «Passetto», muro difensivo sul

quale correva il passaggio per raggiunge-re Castel Sant’Angelo;

F. l’ala di Paolo V, disposta anch’essain modo obliquo.

Dopo aver elaborato diverse soluzio-ni, Bernini progetta una piazza ellittica,con due raccordi laterali che la connetto-no con la Basilica; recenti studi (M. Birin-delli) fanno discendere questo impiantoda una rigorosa costruzione geometrica eda considerazioni relative al tessuto urba-no circostante. Bernini traccia un nuovoasse della piazza, individuato dalla rettache congiunge l’obelisco con il centro del-la facciata della Basilica, mentre l’assetrasversale è individuato dalla normale aquest’ultimo, condotta per il centro dell’o-belisco; prolunga poi la facciata del Palaz-

zo Nuovo e, dove questa retta incontra l’as-se trasversale, fissa il centro dell’emiciclonord. Con una operazione di ribaltamentosimmetrico intorno all’asse principaleviene definito anche l’emiciclo sud.

La configurazione planimetrica dellapiazza è quella di un ovale canonico, incui i centri delle due circonferenze chedelimitano l’asse maggiore sono rispetti-vamente l’uno sull’estremità del diame-tro dell’altra. Per delimitare la porzionedell’emiciclo nord, Bernini si serve del-l’allineamento determinato dall’asse del-la Via di Borgo Nuovo, il cui prolunga-mento determina anche l’asse del corri-dore nord e della Scala Regia. Questo al-lineamento definisce quindi anche il rac-cordo tra emiciclo nord e facciata dellaBasilica. Anche in questo caso il raccordosud è ottenuto per ribaltamento intornoall’asse principale di quello nord.

I due emicicli che perimetrano l’ovalesono composti da un porticato a tre cam-pate, di cui quella centrale più ampia.Complessivamente i due emicicli com-prendono ben 284 colonne e 88 pilastri.Generalmente le colonne sono allineatecon il centro dell’emiciclo, ad eccezione diquelle disposte in prossimità delle testate,che seguono un’altro allineamento. Il dia-metro delle colonne poste sul fronte ester-no dell’emiciclo è più grande di quelle in-terne del 10%; questa differenza non èperò quella che la colonna avrebbe dovu-to avere, se il suo diametro fosse stato di-sposto, come vuole la logica, in modo taleche l’osservatore, posto nel centro dell’e-miciclo, avesse l’impressione che la co-lonna esterna avesse le stesse dimensionidi quella interna: probabilmente questoaccorgimento è stato messo in atto per evi-tare che le colonne, avendo tutte la stessaaltezza, risultassero alcune troppo esili,

altre troppo tozze. Bernini adotta un ordi-ne dorico, che si conclude con una trabea-zione simile a quella ionica, al disopradella quale è impostata una splendida ba-laùstra con una serie di statue poggianti supiedistalli (in tutto 140). La balaùstra creaun tenue passaggio tra la zona in ombradel porticato e il fondo del cielo.

Con questa piazza Bernini crea ungrande invaso urbano, caratterizzato dauna spazialità «infinita» in linea con lacultura barocca, ma riesce anche a colle-gare la Basilica con le strade della Romaseicentesca, realizzando la tanto deside-rata continuità spaziale. Nel realizzare ilportico e i due corridori, egli mette in at-to una serie di soluzioni architettonichemolto originali e alcuni accorgimenti otti-ci atti a creare uno spazio illusionistico.

I due lati che contengono i corridori sidivaricano man mano che si avvicinano al-la facciata: ciò provoca, in chi si approssi-ma ad essa, l’impressione che questa siapiù vicina, più bassa e più stretta dellarealtà, determinando un rapporto tra fac-ciata e cupola molto vicino all’intendi-mento di Michelangelo. Secondo P. Porto-ghesi, «il taglio ampio ed elegante delleforme, la dinamica dei rapporti che si ven-gono a creare tra l’edificio e lo spazio an-tistante in continuo confronto di misureche riesce a diminuire l’eccesso di oriz-zontalità della facciata maderniana, il di-retto felice riferimento allegorico al gestoaccogliente delle braccia che dà a que-st’immagine un’aperta comunicativa, co-stituiscono la testimonianza maggioredelle qualità di Bernini come architetto,rivelando una profonda adesione di fedeagli ideali rappresentati che dà valore diinteriorità alla sua grande abilità orato-ria».

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figg. 1a-bGian Lorenzo Bernini, Piazza San Pietro e porticato, 1656-71, Roma

a. vista dall’alto; b. pianta.

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294 Elementi di storia dell’arte con esempi di analisi graf ica e tavole architettoniche

Tavola 60b Piazza San Pietro a Roma Analisi grafica

fig. 1Particolare dell’ordine architettonico del portico

fig. 2Pianta della piazza prima dell’intervento di Bernini

A. Scala Regia e Cappella Sistina; B. Obelisco; C. PalazzoNuovo; D. Basilica; E. Passetto; F. Ala di Paolo V.

fig. 3Tracciamento dell’emiciclo nord

Il centro del semicerchio è individuato dall’intersezione tral’asse trasversale passante per l’obelisco e l’allineamentocon la facciata est del Palazzo Nuovo.

fig. 4Tracciamento dell’emiciclo sud ottenuto per ribaltamento di quello nord

Tracciamento del corridore nord che raccorda la piazza con la facciata;l’allineamento è dato dal prolungamento della Via dei Borghi.

fig. 5Prospetto della testata dell’emiciclo

fig. 6Sezione trasversale del porticato

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Tavola 61a Sant’Ivo alla Sapienza a Roma

Nel 1632, su segnalazione del Bernini,Francesco Borromini viene nominato ar-chitetto dell’Archiginnasio (successiva-mente Università La Sapienza), la cui co-struzione, iniziata su progetto di GiacomoDella Porta, era stata interrotta quando illungo cortile e la facciata principale era-no già stati ultimati. Borromini completal’edificio realizzando la facciata ad est,quindi riprogetta la facciata principalegià realizzata: la sua soluzione prevedeche l’unico portone di ingresso, posto inasse con il cortile, sia sostituito da due in-gressi posti in asse con i due porticati late-rali, al fine di poter realizzare una visionedinamica del cortile; ma questo progettonon verrà mai portato a compimento.

Nel gennaio del 1643 vengono iniziatii lavori di costruzione della Chiesa, ubica-ta sul fondo del cortile, nell’unica zona an-cora da edificare; la costruzione viene ter-minata nella parte strutturale nel 1648,ma i lavori di completamento e la decora-zione interna vengono ultimati nel 1660.

Il progetto della Chiesa risulta condi-zionato dalla forma quadrata dell’areaedificabile, che induce alla realizzazionedi una pianta centrale. Borromini riesce acreare un impianto planimetrico tra i piùoriginali mai realizzati, adottando una so-luzione che scaturisce dall’intersezionedi due triangoli equilateri che formano alcentro un esagono regolare e all’esternouna stella a sei punte. Le punte della stel-la sono alternativamente interrotte danicchie semicircolari ad andamento con-cavo e da nicchie trapezoidali con il fondoconvesso (fig. 1b).

L’originalissima soluzione planimetri-ca è rafforzata dalla cupola sovrastante, ilcui perimetro mistilineo segue quello delcorpo dell’edificio, mentre sei spigoli sal-gono verso l’occhio centrale, raccordati dasuperfici alternativamente concave e con-vesse, che rendono la cupola simile ad unatenda. La luce, assai intensa, si diffondedall’alto su tutte le superfici attraverso lalanterna centrale e sei grandi finestre, si-tuate all’imposta della cupola.

Anche in questa Chiesa, come in SanCarlino, le paràste che sottolineano glispigoli dell’esagono e l’accesso alle cap-pelle terminano con una trabeazione pocoaggettante, consentendo la realizzazionedi un moto ascensionale che, seguendo glispigoli della cupola e le altre modanaturead andamento verticale, raggiunge la som-mità della stessa, ove la visione si dissolvenella luce che cade dall’alto. La decora-zione interna non solo sottolinea, ma con-tribuisce sostanzialmente a definire l’uni-tarietà dello spazio.

La facciata della Chiesa è suddivisa indue piani. Il primo si raccorda, con un an-damento concavo, ai due porticati lateralirealizzati da Della Porta.

Al piano superiore svetta, creando unsingolare contrasto, la parte convessa adandamento mistilineo del tibùrio, il cuiperimetro non segue pedissequamente ilperimetro interno. La parte superiore del-la cupola si collega, attraverso una serie digradonate convesse, con il lanternino, il

cui profilo esterno, ad àbsidi raccordate,si conclude con una spirale, rafforzando ilmovimento ascensionale che termina nel-la croce.

In questa Chiesa Borromini riesce arealizzare una notevole coerenza formale

tra l’interno e l’esterno. Questa coerenzanon è raggiunta attraverso una rigorosacorrispondenza delle superfici, ma attra-verso una corrispondenza di valori visivi,per cui il tibùrio, ad esempio, è l’equivalen-te, in termini plastici, dello spazio interno.

figg. 1a-bFrancesco Borromini,Sant’Ivo alla Sapienza,1643-48, Roma

a. vista dal cortile dellaSapienza; b. pianta.

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296 Elementi di storia dell’arte con esempi di analisi graf ica e tavole architettoniche

Tavola 61b Sant’Ivo alla Sapienza a Roma Analisi grafica

fig. 1Facciata della Chiesa verso il cortile

fig. 2Sezione trasversale

fig. 3Planimetria del complesso dellaSapienza

fig. 4Pianta della copertura

fig. 5Pianta del tibùrio suddivisa in treporzioni: in alto la pianta vera e propria,in basso a destra la pianta dellacopertura, a sinistra la proiezione inpianta della decorazione interna allacupola

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Tavola 62 Sant’Andrea al Quirinale a Roma

Camillo Pamphili, nipote di papa Inno-cenzo X, nel 1658 incarica Gian LorenzoBernini di progettare la Chiesa diSant’Andrea presso il Quirinale. Nellaprogettazione di questa piccola chiesa ilBernini si ispira alla tradizione classica,prendendo come modello di riferimento ilPan theon; se il riferimento è preciso, ri-sulta anche evidente la libera interpreta-zione che ne fa l’architetto, realizzandouno spazio nuovo e originale.

La pianta circolare del Pantheon vie-ne compressa fino a configurare un’ellis-se, che permette di definire uno spaziocentrale allungato, secondo i cànoni delnuovo linguaggio seicentesco. Lo spaziointerno è intersecato da un’asse congiun-gente idealmente l’ingresso con il vanodell’àbside, quest’ultimo inquadrato daun tìmpano sorretto da quattro colonne; sidetermina così un’assialità che contrastacon la dilatazione dello spazio interno do-

vuta all’asse maggiore dell’ellisse dispo-sto ortogonalmente all’ingresso.

Tutte le superfici interne della Chiesasono decorate da mirabili marmi policro-mi; una serie di paràste sormontate dauna trabeazione, che inviluppa tutto il va-no centrale, inquadra gli ingressi delle ot-to cappelle laterali, a pianta rettangolaree ellittica, ricavate all’interno della gran-de massa muraria. Il vano centrale è co-perto da una cupola ellittica, segnata dadieci costolature e da uno splendido cas-settonato esagonale; alla sua sommità siapre un ampio occhio sormontato da unalanterna.

L’interno di questa Chiesa è caratteriz-zato da una luminosità diffusa e priva dicontrasti, che proviene, oltre che dallalanterna, da una serie di finestre aperte inprossimità dell’imposta della cupola.

L’architetto pone molta cura all’inseri-mento della Chiesa nel contesto urbanopreesistente: due muri concavi raccorda-no la facciata arretrata con il filo degli al-tri edifici; l’ingresso è proteso in avantitramite un prònao semicircolare sormon-tato da un tìmpano spezzato, che accoglieal centro lo stemma della famiglia Pamphi-li; sopra il tìmpano si apre un’ampia fine-stra semicircolare che contribuisce ad il-luminare l’interno. Il contrasto tra la con-cavità dei muri laterali, la convessità delprònao e il piano della facciata, determi-nano un effetto di richiamo, nei confrontidell’osservatore, di grande efficacia.

fig. 1Gian Lorenzo Bernini,Sant’Andrea al Quirinale,1658-61, Roma, pianta

fig. 2Facciata

fig. 3Particolare dell’ordine interno

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298 Elementi di storia dell’arte con esempi di analisi graf ica e tavole architettoniche

Tavola 63a San Carlo alle Quattro Fontane a Roma

Nel 1634, l’ordine dei Trinitari incarica FrancescoBorromini di realizzare il convento presso leQuattro Fontane; inizia così un rapporto di lavoroche lo vedrà impegnato a più riprese, fino al ter-mine della sua carriera artistica. La realizzazionedel convento, con l’annesso chiostro, prosegue fi-no al 1637. Nell’anno successivo inizia la costru-zione della chiesa, completata intorno al 1640, adeccezione della facciata, che rimane allo stato ru-stico per mancanza dei fondi; Borromini la ripro-getterà nel 1664. Nel 1667, alla morte dell’architet-to, la facciata è ultimata nell’ordine inferiore; i la-vori saranno terminati nel 1682 sotto la direzionedel nipote Bernardo.

Già nella realizzazione del convento e soprat-tutto del piccolo chiostro, il Borromini rivela tut-ta la sua carica innovatrice. Il piccolo spazio a di-sposizione per realizzare il chiostro è risolto inmodo mirabile. L’impianto planimetrico rettango-lare è negato, al piano terra, dal raccordo conves-so che elimina gli angoli, avvicinando il perimetroa quello di un ottagono allungato. Il porticato delchiostro è sorretto da sei coppie di colonne bina-te, che al piano terra sostengono una trabeazionea serliana, mentre al primo piano sono concluseda una trabeazione semplice. La balaùstra dellaloggia del primo piano si fonde con la sottostantecornice, dal modesto aggetto, che funge da separa-zione tra il portico e la loggia.

Il Borromini usa gli ordini in modo nuovo, in-troducendo molte varianti: ad esempio, alla basedelle colonne, un toro si raccorda all’altro attra-verso l’inserimento di una scozia attica e la sotto-cornice è raccordata alla parete con una profon-da gola. Queste apparenti trasgressioni consento-no alle superfici di pulsare e di dialogare con laluce.

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fig. 1Francesco Borromini, San Carlo alleQuattro Fontane, 1634-82, Roma,pianta del convento e della chiesa

fig. 2Pianta del chiostro

fig. 3Sezione longitudinale del chiostro

fig. 4Sezione trasversale del chiostro

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15 Il Seicento 299

Tavola 63b San Carlo alle Quattro Fontane a Roma Analisi grafica

fig. 1Pianta del pozzo internoal chiostro con iltracciamento delle ellissi

fig. 2Prospetto esterno dellabalaùstra del chiostro

fig. 3Sezione orizzontale dellabalaùstra del chiostrocon evidenziata lacostruzione geometrica

fig. 4Prospetto interno esezione verticale dellabalaùstra del chiostro

figg. 5a-eParticolari degli ordinidel chiostro

a. capitello della colonnadel secondo ordine; b. cornice esterna delprimo ordine; c. base della colonnadel secondo ordine; d. sezione interna edesterna della corniceterminale; e. particolaredella colonna del primoordine.

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300 Elementi di storia dell’arte con esempi di analisi graf ica e tavole architettoniche

Tavola 63c San Carlo alle Quattro Fontane a Roma

Per realizzare l’impianto planimetricodella Chiesa di San Carlino, Borrominifonde le due tipologie tipiche del Rina-scimento – quella longitudinale e quel-la centrale – in modo nuovo e originale;egli infatti rompe la continuità del peri-metro ellittico inserendovi delle nic-chie, che contengono i tre altari e l’in-gresso, determinando con ciò altrettan-ti poli di interesse. Analizzando il pro-getto originale conservato a Vienna,nella Biblioteca Albertina, si vede co-me il Borromini si sia servito di una ri-gorosa costruzione geometrica per de-finire l’impianto planimetrico dellachiesa (cfr. tav. 63d).

L’addensarsi e il dilatarsi dellospazio interno porta lo sguardo del fe-dele a dirigersi verso l’alto, dove la ten-sione interna si placa in una mirabilecupola ellittica incisa da un profondocassettonato, nel quale si alternano ot-tagoni, esagoni e croci, con un chiaroriferimento simbolico allo stemma del-l’ordine dei Trinitari. Il raccordo tra ilcorpo dell’edificio e la copertura è rea-lizzato con una cornice quasi schiac-ciata, che consente alla luce, prove-niente dalla lanterna e dalle due fine-stre poste alla base della cupola, direalizzare dei morbidi passaggi cheplasmano lo spazio e invitano al racco-glimento e alla meditazione spirituale.

Nel progetto definitivo della fac-ciata, il Borromini prevede una super-ficie inflessa, organizzata secondo unoschema geometrico che raccorda trearchi di circonferenza disposti alter-nativamente secondo tre triangoliequilateri. Paolo Portoghesi così de-scrive la facciata: «Lo spazio avvolgen-te che caratterizza la piccola facciata èl’estrema testimonianza di una batta-glia culturale combattuta senza rispar-mio di energia, tesa a svincolare l’ar-chitettura da ogni remora connessacon la concezione volumetrica e persuperfici piane propria della tradizio-ne rinascimentale, a vantaggio di unaconcezione nuova che unisce inprofondità piani ortogonali e obliquiesaltando, del discorso architettonico,un aspetto fondamentale: quello dellacontinuità». Certamente la continuitàtra le superfici, tra interno ed esternoe tra tutte le componenti, costituiscel’elemento caratterizzante di questaopera.

figg. 1a-bFrancesco Borromini, Chiesa di San Carloalle Quattro Fontane (San Carlino), Roma

a. facciata; b. vista interna della cupola.

fig. 2Spaccato assonometrico dell’interno della

chiesa; nella parte in basso la criptasottostante alla medesima

1b1a

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Tavola 63d San Carlo alle Quattro Fontane a Roma Analisi grafica

fig. 3Analisi del raccordo tra due colonne d’angolo e le due curve che da esse si dipartono

fig. 4Relazioni tra lo spazio interno e le formegeometriche che si generano nel raccordo tra leparti

fig. 5Francesco Borromini, progetto planimetrico delcomplesso di San Carlo alle Quattro Fontane,particolare della pianta della chiesa[Graphische Sammlung Albertina, Vienna]

fig. 1Chiesa di San Carloalle Quattro Fontane,pianta con proiezionedella sovrastantevolta, analisi di alcunitracciamenti e matricigeometriche piùricorrenti

fig. 2Analisi del nucleocentrale e delposizionamento dellecolonne

Quattro colonnecostituiscono unamaglia quadrata sullaquale si innestano iraccordi curvilinei.

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302 Elementi di storia dell’arte con esempi di analisi graf ica e tavole architettoniche

Tavola 64 Santa Maria della Salute a Venezia

Il Barocco veneziano si esprime attraverso forme che sidiversificano dal linguaggio tradizionale per assumerecaratteri locali. Protagonista principale di questa tra-sformazione è Baldassarre Longhena (1598-1682), che in-troduce nelle forme proprie del Barocco gli aspetti chia-roscurali e coloristici tipici del linguaggio veneziano.

L’opera più significativa del Longhena è la Basilica diSanta Maria della Salute (cfr. fig. 14, p. 292), fatta erigerenel 1630 dal popolo veneziano in ricordo della fine di unaterribile pestilenza. Lo schema si richiama ad esperien-ze tardoromane, bizantine e anche bramantesche, evi-denti soprattutto nella scelta della pianta centrale condeambulatòrio.

La Basilica ha una pianta ottagonale, con un ambulà-cro laterale sui cui lati si inseriscono sei altari; sul pro-lungamento dell’asse d’ingresso si apre il presbitèrio, ca-ratterizzato da due àbsidi laterali che gli conferisconouna forma prossima a un ovale. Il vano centrale dellachiesa è coperto da una cupola rialzata all’esterno dauna calotta; quest’ultima è raccordata al tamburo da im-ponenti volùte, dette «orecchioni». Anche il presbitèrioè coperto con una cupola, più piccola di quella del vanocentrale: le due cupole, ravvicinate, dialogano tra loro,creando un polo visivo che si inserisce mirabilmente nelcontesto urbano. Il fronte principale è segnato da un or-dine di stampo palladiano, al centro del quale si apre unarco trionfale; tutti gli altri lati dell’ottagono hanno un lo-ro prospetto inquadrato da un tìmpano e da una serie dinicchie.

La spazialità interna di questa Basilica, al contrariodi altri edifici barocchi, in cui lo sguardo dell’osservato-re è portato a leggere le strutture architettoniche comeun continuum, si presenta come una successione di sce-nari indipendenti l’uno dall’altro.

fig. 1Facciata

fig. 2Pianta

fig. 3Sezione trasversale

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PITTURA

Il linguaggio intellettualistico ed elitario della «Maniera» nonpoteva soddisfare le esigenze propagandistiche della Chie-sa riformata, che mirava a servirsi, invece, di un’espressio-ne chiaramente leggibile e soprattutto adatta a persuaderee a coinvolgere emotivamente i fruitori. Già dalla metà delsecolo XVI, il controllo della Chiesa sulle immagini sacre siera fatto più puntuale e rigoroso. È proprio in questo atteg-giamento che si possono individuare le premesse al supe-ramento dell’ormai esausto gusto manierista e la definizio-ne di un nuovo modo di intendere l’arte.

Sullo scorcio del secolo, nell’ambiente artistico romano,caratterizzato da un diffuso accademismo, si affermanodue tendenze artistiche di grande interesse, che si identi-ficano nelle figure di Annibale Carracci e di Caravaggio, iquali ne furono i rappresentanti più significativi. Propriodall’opera di questi due artisti ebbe inizio quel processo di rinnovamento figurativo, che decretò il de-finitivo tramonto dell’esperienza rinascimentale, aprendo un nuovo fondamentale capitolo della sto-ria dell’arte italiana. Sebbene la tradizione abbia fatto di loro due antagonisti – esponente il primo delclassicismo, il secondo del naturalismo – i loro percorsi ebbero un minimo comune denominatore, giàindividuato dai loro contemporanei: la convinzione che l’imitazione della realtà fosse il principio basi-lare dell’arte. Erede e rinnovatore della tradizione Annibale Carracci, rivoluzionario e insofferente neiconfronti di essa il Caravaggio, i due artisti, entrambi padani, ma con esperienze professionali diver-se, trovarono nella Roma di fine secolo l’ambiente ideale per dar vita ad una delle più fulgide stagio-ni della pittura italiana.

Tra i primi a considerare conclusa l’esperienza manierista, i Carracci (Ludovico con i cugini Ago-stino e Annibale) diedero avvio al rinnovamento dell’arte pittorica, fondando a Bologna nel 1582 l’Ac-cademia del Disegno (detta poi, dal 1590, degli Incamminati). La scuola, nella quale fu dato partico-lare rilievo allo studio dal vero attraverso il disegno, divenne ben presto nell’Italia centro-settentrio-nale il centro di raccolta di tutte le tendenze progressiste.

A Ludovico Carracci (Bologna, 1555-1619) spetta non solo il merito di avere fondato e guidatola scuola fino alla morte, ma anche di aver indicato nella riscoperta della grande tradizione rinasci-mentale la via per il superamento della crisi dell’arte. Egli lavorò prevalentemente a Bologna, contri-buendo al rinnovamento della pittura religiosa attraverso un linguaggio facilmente comprensibile, ingrado di coinvolgere profondamente i fedeli, in sintonia con le nuove esigenze della Chiesa post-tri-dentina. Guarderanno alla sua pittura – già in un certo senso barocca nel modo di trattare la luce e ilcolore – alcuni importanti pittori della generazione successiva, come Lanfranco e il Guercino.

Agostino Carracci (Bologna, 1557 - Parma, 1602), dotato di grande cultura, si dedicò prevalen-temente all’insegnamento. Diede il meglio di sé come incisore; attraverso le sue riproduzioni i giova-ni «Incamminati» si accostarono ai grandi protagonisti del Rinascimento.

Annibale Carracci (Bologna, 1560 - Roma, 1609) fu l’artista di maggior talento della famiglia. Do-po un primo apprendistato, che si svolse a Bologna in un ambiente tardo-manierista, furono determi-nanti per lui i soggiorni a Parma, dove ebbe modo di conoscere la pittura del Correggio, e a Venezia.Qui il suo bagaglio culturale si arricchì attraverso lo studio delle opere di Tiziano, del Veronese e delTintoretto. Del Rinascimento approfondì anche la grande tradizione del disegno, che nella sua ricer-ca divenne il mezzo più efficace e immediato per cogliere la realtà naturale. La volontà di rifarsi allarealtà delle cose si può cogliere già in alcuni giovanili dipinti di genere, come il Mangiafagioli e La bot-tega del macellaio (fig. 16) eseguiti negli anni 1583-85.

Trasferitosi nel 1595 a Roma, dove era stato chiamato dal cardinale Odoardo Farnese, rinnova ilsuo linguaggio attraverso lo studio approfondito di Michelangelo, di Raffaello e della classicità greco-romana, della quale si rivela originale interprete, pochi anni dopo, nella decorazione della GalleriaFarnese (insieme al fratello Agostino e ai giovani Domenichino e Lanfranco), considerata il suo ca-polavoro romano. Il tema della decorazione è il Trionfo dellʼAmore, illustrato attraverso alcuni episo-di delle Metamorfosi di Ovidio. All’interno di una finta struttura architettonica dipinta, ornata di erme,atlanti, figure di ignudi e medaglioni di finto bronzo, Carracci inserisce dei quadri riportati; tutti gli ele-menti del complesso decorativo concorrono a ricreare la realtà in maniera sorprendentemente effi-cace, cosicché l’osservatore non percepisce più la differenza tra spazio reale e spazio illusorio. Un’ec-cezionale armonia governa l’insieme, caratterizzato da grande libertà compositiva, raffinata sensua-lità, e una vera e propria effervescenza immaginativa.

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fig. 16Annibale Carracci, La bottega del macellaio,1585, olio su tela, 1,85 x 2,66 m[Christ Church Gallery,Oxford]

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Nel riquadro centrale della volta con il Trionfo di Bacco e Arianna (fig. 17) l’erede della grandetradizione classicista sembra negarne – pur con esiti felicissimi – lo spirito, ponendo le basi per l’af-fermazione dell’autonomia dell’immagine, che sarà propria del gusto barocco. Nello studio dell’anti-co, ma anche di Raffaello e di Michelangelo, si riconoscono le fonti del classicismo carraccesco, chetuttavia non è pura e semplice archeologia, ma soggiace a una continua verifica sul campo, a un con-fronto cioè con il reale, sia nella pittura di soggetto storico, sia in quella di paesaggio, cui Annibalediede un’impronta definitiva e personale. Un’atmosfera solenne contrassegna i suoi paesaggi, in cuila natura è raffigurata con lucidità e con intenzione evocativa; l’armonia compositiva che li caratteriz-za è metafora del rapporto sereno tra uomo e mondo naturale, che Carracci sottopone entrambi a unprocesso di idealizzazione.

Dopo un breve apprendistato presso Simone Peterzano, pittore manierista bergamasco, Miche-langelo Merisi, detto Caravaggio (Milano, 1571? - Porto Ercole, Grosseto, 1610), ebbe modo di co-noscere la pittura lombarda di Savoldo, di Lotto e del Moretto, intrisa di realismo e soprattutto chiaraed affabile, ispirata da un sincero sentimento religioso e da una puntuale attenzione al quotidiano.

Giunto a Roma, entrò poco più che ventenne nell’attivissima bottega del Cavalier d’Arpino. Quiebbe modo di affinare i suoi strumenti espressivi, prima eseguendo nature morte di carattere com-merciale, poi elaborando un repertorio tutto personale di soggetti, in una serie di dipinti di argomen-to mitologico-allegorico raffiguranti giovani ritratti a mezza figura con nature morte di oggetti, fiori efrutta: in queste tele il Caravaggio tenta una sintesi tra i modi fiamminghi, la tradizione manieristica el’esigenza di riprodurre la realtà naturale. A questo gruppo di opere appartiene il Bacco, in cui allastraordinaria fedeltà al dato naturale, perseguita attraverso un’indagine luministica puntuale, si affian-cano ricordi della statuaria tardo-romana e citazioni michelangiolesche, e si celano complesse e dot-te allusioni intellettualistiche, aspetto costante in tutta la produzione caravaggesca, specialmente inquella parte destinata alla committenza privata.

La Canestra di frutta (fig. 18), forse espressamente richiestagli dal cardinale Federico Borromeo,che prediligeva le nature morte, isola un elemento del Bacco; una misura compositiva di matrice ri-nascimentale si unisce qui a un’analisi luministica memore della lezione di Antonello; la luce, appa-rentemente proveniente da più direzioni, si pone come elemento unificante, che vivifica gli oggetti.Questi sono resi con una puntualità ai limiti del virtuosismo, anche con l’ausilio dello specchio, checonsente all’artista di conseguire una più netta definizione dell’immagine e una sua maggiore ade-renza al reale.

La protezione del cardinale Francesco Maria del Monte e una serie di committenze prestigioseprovenienti da ricche famiglie nobili (i Doria, i Giustiniani, i Mattei, i Crescenzi, i Barberini), assicura-rono ben presto al Caravaggio un grande successo. È nella cultura raffinata degli ambienti in cui erastato introdotto che bisogna cercare riferimenti per opere come la Testa di Medusa, donata dal car-dinale del Monte al granduca di Toscana.

Ma il manifesto della poetica caravaggesca è contenuto nelle tele della Cappella Contarelli inSan Luigi dei Francesi a Roma (1599-1600), le quali suscitarono grande interesse e stupita ammi-razione. In questi dipinti, che segnano una svolta fondamentale nel suo percorso, il Caravaggio sicimenta per la prima volta con la pittura di soggetto storico. La complessa e tormentata vicenda ese-cutiva delle tele testimonia dell’impegno profuso dall’artista nel rinnovamento della sintassi compo-sitiva manierista. Uno spiccato realismo contraddistingue sempre la visione caravaggesca, che –con gesto eversivo e gravido di conseguenze – elimina qualsiasi gerarchia nel rappresentabile, con-

304 Elementi di storia dell’arte con esempi di analisi graf ica e tavole architettoniche

fig. 17Annibale Carracci, Il trionfo

di Bacco e Arianna, 1597-1601

[Volta della Galleria Farnese,Palazzo Farnese, Roma]

fig. 18Caravaggio, Canestra di

frutta, 1596 ca., olio su tela,46 x 64 cm

[Pinacoteca Ambrosiana,Milano]

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siderando alla stessa stregua uomini e cose – in conformità con i nuovi orien-tamenti della scienza. Se nel Martirio di San Matteo si avverte ancora l’ere-dità della stagione manierista (per esempio nella citazione michelangiolescadel carnefice), il carattere anticonformista del Caravaggio si esprime in scel-te compositive e iconografiche del tutto anticonvenzionali. La storia è presen-tata come evento, carico di valenze drammatiche e al tempo stesso coinvol-gente; l’artista stesso è nel quadro e assiste all’uccisione del santo. L’alter-narsi repentino di luci abbaglianti e di zone di buio impenetrabile imprime al-la scena un connotato dinamico; un cuneo di luce, proveniente da sinistra,infatti, apre un varco nel buio colpendo il corpo del carnefice, il volto del san-to e il fanciullo atterrito dalla scena cruenta; simbolo della grazia divina, laluce si posa anche sul peccatore, offrendogli, se saprà riconoscerla, la pos-sibilità di redimersi.

Lo stesso assunto è dimostrato dalla Vocazione di San Matteo (fig. 19).Caravaggio risolve il confronto tra tradizione e innovazione, intendendo in unamaniera nuova e tutta personale il messaggio evangelico. Vestendo i perso-naggi con abiti del suo tempo, egli attualizza la storia, come a indicare che lavalidità dell’evento sacro persiste nel tempo. Qui il valore simbolico della lu-ce, proveniente da una fonte posta in alto a destra, è più chiaramente defini-to. La grazia divina scende su tutti, ma non tutti scelgono l’obbedienza a Cri-sto, e quindi la salvezza; così mentre Matteo e i due giovani dai cappelli piu-mati rispondono al richiamo di Cristo, gli altri due personaggi sulla sinistra re-stano intenti alle loro occupazioni venali e terrene.

Nel 1600 arriva per il Caravaggio la consacrazione ufficiale con le tele,commissionategli da monsignor Cerasi per la sua Cappella in Santa Maria delPopolo a Roma, raffiguranti la Crocifissione di San Pietro (fig. 20) e la Con-versione di San Paolo. L’audace e articolata struttura compositiva della Cro-cifissione, basata sull’incrocio di diverse diagonali, che rivela un’ormai rag-giunta maturità e pienezza espressiva, segna l’abbandono definitivo dell’illu-sionismo prospettico rinascimentale. L’evento, carico di tensione drammatica,si svolge in primo piano; la luce, radente rispetto al piano in cui si svolge l’a-zione, è sempre carica di valenze simboliche.

Ma la dirompente novità, formale e contenutistica, del linguaggio caravag-gesco fu causa del rifiuto di alcune opere da parte degli stessi committenti,che le ritennero prive di decoro. Così i carmelitani scalzi ricusarono la Mortedella Vergine (fig. 21), che, per interessamento di Rubens, fu acquistata, in-vece, dal duca di Mantova. Un’altissima tensione drammatica governa la sce-na, che si svolge in un’ambiente semplice e povero; un dolore tutto terreno

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fig. 21Caravaggio, La morte della Vergine, 1605-6, olio sutela, 3,69 x 2,45 m[Musée du Louvre, Parigi]

fig. 19Caravaggio, La vocazione di San Matteo, 1598-1601,olio su tela, 3,22 x 3,40 m[Cappella Contarelli, San Luigi dei Francesi, Roma]

fig. 20Caravaggio, La crocifissione di San Pietro, 1601, olio sutela, 2,30 x 1,75 m[Cappella Cerasi, Santa Maria del Popolo, Roma]

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colpisce i presenti dinanzi al catafalco su cui è il corpo abbandonato di Maria. La luce, che piove dal-l’alto a sinistra, giunge sul volto della Vergine e si riflette su quelli degli Apostoli.

La concezione religiosa dell’artista emerge chiaramente anche in un’opera di grande efficacia co-municativa, la Cena in Emmaus, che chiude la sua folgorante stagione romana. L’ambiente dimes-so, misero addirittura, in cui si svolge la scena, sta ad indicare che la presenza del divino è individua-bile anche e soprattutto nell’esperienza quotidiana della povera gente. Anche qui la luce radente as-sume un ruolo basilare. La calcolata gestione del gioco di luci e di ombre guida lo sguardo dell’os-servatore sino al centro focale del dipinto: il gesto benedicente della mano di Cristo.

Gli ultimi quattro anni (1606-10) della vita dell’artista sono segnati da continui spostamenti (Napo-li, Malta, Siracusa, Messina, Palermo), motivati da personali tumultuose vicende. Alla frenetica atti-vità di quel periodo appartengono Le sette opere di Misericordia e la Madonna del Rosario, esegui-te a Napoli e accolte con grande ammirazione.

Una spiccata riduzione degli strumenti linguistici connota le opere siciliane. Nella Resurrezione diLazzaro (1609) la luce è diluita in brevi e improvvisi bagliori che danno alla scena toni spettrali, qua-si da allucinazione. Le figure sembrano oppresse dall’ambiente vuoto e buio; il dramma si concentranei gesti fortemente espressivi, come quello di Cristo che riporta nel mondo terreno il defunto, e quel-lo dello stesso Lazzaro, che sembra quasi respingere, ma al tempo stesso cercare la vita, mentre an-cora il rigor mortis immobilizza le sue membra. Un riferimento autobiografico può essere individuatoin questa opera, in cui il Caravaggio affronta in termini iconografici inediti il tema della resurrezione:in Lazzaro, incerto tra la vita e la morte, tra il peccato e la redenzione, si può vedere lo stesso Cara-vaggio, la cui esistenza abbastanza turbolenta vide alternarsi tormento ed estasi, successi professio-nali e gravi problemi con la giustizia. La sua stessa morte, a soli trentotto anni nel 1610, sulla spiag-gia di Porto Ercole durante il viaggio di ritorno a Roma, dove Pio V gli aveva concesso la grazia perun omicidio commesso alcuni anni prima, fu quella di un uomo disperato.

Il messaggio palesemente e prepotentemente rivoluzionario del Caravaggio influì in maniera sen-sibile sull’opera di artisti di formazione diversa. Tra essi, particolare rilievo ebbero a Roma il toscanoOrazio Gentileschi e sua figlia Artemisia; ma anche altri pittori, come il veneziano Carlo Saraceni, ilromano Orazio Borgianni e il lombardo Giovanni Serodine, attinsero al linguaggio nuovo e originaledel grande artista, che aveva aperto alla pittura la strada del naturalismo. La personalità straordina-ria del Caravaggio e la novità eccezionale della sua opera attrassero l’interesse anche di numerosiartisti stranieri a Roma, tra cui Rubens, che dal 1600 al 1608 fu al servizio dei duchi di Mantova.

La diffusione della lezione caravaggesca, tuttavia, mutò tenore col passare del tempo. Dal reper-torio dell’artista maledetto, alcuni artisti estrapolarono dei motivi (scene di taverna, nature morte, mu-sici, bari, ecc.), dando luogo a una vasta e fortunata produzione, che finì col fraintendere lo spiritodella rivoluzione caravaggesca; questa aveva avuto come insegna l’imitazione del vero naturale, maal di sotto dell’esasperato realismo che la contraddistinse, celava complessi e profondi significati. Agliinizi degli anni ’30 la splendida stagione del naturalismo, aperta dal Caravaggio alla fine del secoloprecedente, si poteva considerare conclusa.

Un posto a parte nella cerchia degli artisti emiliani che giunsero a Roma sulla scia del successo diAnnibale Carracci spetta a Guido Reni (Bologna, 1575-1642). Allievo dell’accademia carraccesca, fuqui introdotto allo studio di Raffaello e dell’antico. Probabilmente il desiderio di conoscere l’opera raf-faellesca attraverso gli originali, lo spinse per la prima volta intorno al 1602 a Roma, dove già da tem-po lavoravano i Carracci. Qui, dimostrandosi il meno dipendente da Annibale tra gli artisti bolognesi,dopo un iniziale accostamento al naturalismo – dipinse la Crocifissione di San Pietro (1604-5, Roma,Pinacoteca Vaticana) alla maniera del Caravaggio – Reni elabora una cifra stilistica personale che siidentifica pienamente nell’ideale classico di matrice correggesca e raffaellesca. Nella città papale, do-ve contribuisce alla definitiva affermazione della tendenza classicista e si impone, fin dal 1610, tra i

maggiori artisti, esegue tra il 1612 e il1614 la decorazione della CappellaPaolina e il grande affresco del CasinoRospigliosi raffigurante l’Aurora (fig.22), tra i suoi dipinti più riusciti, in cuiuna ricercata bellezza formale si ac-compagna a un raro equilibrio compo-sitivo. In Atalanta e Ippomene tale mi-sura ideale assume la purezza del pa-radigma, ma il rigore formale lasciaspazio all’espressione del sentimento.

Toccò a Giovan Francesco Bar-bieri detto Guercino (Cento, Ferrara,

306 Elementi di storia dell’arte con esempi di analisi graf ica e tavole architettoniche

fig. 22Guido Reni, L’Aurora,

1614, affresco[Casino Pallavicini

Rospigliosi, Roma]

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1591 - Bologna, 1666), esponente della nuova generazione, in-trodurre degli elementi di novità nella tradizione classicista, anti-cipando il gusto barocco. Formatosi come autodidatta a Cento,giovanissimo si trasferì a Bologna, dove fu allievo di LudovicoCarracci. Accanto all’influenza di Ludovico e, per suo tramite, delCorreggio, contribuiscono ad arricchire il suo linguaggio formalela conoscenza della scuola ferrarese e lo studio, a Venezia, del-la pittura veneta del Cinquecento.

Nel 1621, chiamato a Roma da Gregorio XV, rivela uno straor-dinario talento di colorista nella decorazione di una delle sale delCasino Ludovisi, suscitando una profonda impressione nell’am-biente romano. Nell’affresco che decora la volta, il Guercino in-troduce una nuova e audace struttura compositiva, avvalendosidi finte architetture in prospettiva (eseguite da Agostino Tassi),per esaltare, al di là di esse, uno spazio celeste illimitato, che fada sfondo al cocchio dell’Aurora trainato da cavalli (fig. 23).

Influenzato dalla pittura di Reni e del Domenichino, in seguitoil Guercino attutisce la freschezza della sua tavolozza, per confe-rire risalto plastico a figure sempre più compatte e definite, e ab-bandona ogni accento naturalistico, avviandosi verso quella siglaclassicistica, che caratterizzerà la sua produzione successiva.

È a Giovanni Lanfranco (Terenzo, Parma, 1582 - Roma,1647) che si deve lo sviluppo della concezione illusionistica del-lo spazio, inaugurata dal Guercino. Dallo studio dell’opera cor-reggesca a Parma, Lanfranco trasse spunto per superare lascelta classicista, cui la conoscenza del Domenichino e di Renil’aveva indirizzato. In un’opera come la Gloria celeste con lʼAs-sunta, dipinta nella cupola di Sant’Andrea della Valle a Roma, èchiaramente espressa la sua concezione dinamica dello spazio;lo spettatore è quasi risucchiato dal movimento turbinoso, cheagita i personaggi e muove le nuvole. Se Lanfranco preannun-cia l’illusionismo barocco, è tuttavia un artista fiammingo, PieterPaul Rubens (1577-1640), giunto in Italia all’inizio del secolo,che si può considerare l’iniziatore del nuovo gusto. Nella Circon-cisione (1605) sono presenti, infatti, le componenti fondamenta-li del nuovo linguaggio, di cui Pietro da Cortona e Gian LorenzoBernini saranno i massimi rappresentanti e che si affermerà trabreve in Italia e poi in Europa.

Tra gli interpreti più felici della sensibilità barocca fu PietroBerrettini, detto da Cortona (Cortona, 1596 - Roma, 1669),che fu anche notevole architetto (cfr. p. 289). Alla sua formazio-ne concorsero lo studio di Raffaello e della pittura veneta delCinquecento, ma anche la conoscenza dell’opera di AnnibaleCarracci e dei primi esiti della scultura berniniana. Grande pesoebbero anche i suoi rapporti con eruditi, antiquari e collezionisti,come Giulio e Marcello Sacchetti, suoi protettori, e Cassiano delPozzo, che lo incaricò di eseguire copie di frammenti antichi.Per il cardinale Francesco Barberini eseguì tra il 1624 e il 1625degli affreschi nella Chiesa romana di Santa Bibiana, in cui fornisce un’originale interpretazione delclassicismo, lontana dalla compostezza del Domenichino.

Al consolidarsi della sua fama e della stima che gli ambienti artistici romani gli tributavano, corri-spose un notevole incremento dei suoi impegni. Tra il 1633 e il 1639 dipinse nella volta del salone diPalazzo Barberini il Trionfo della Divina Provvidenza (fig. 24), che suggella la conquista da parte diPietro da Cortona della posizione di indiscusso protagonista della scena artistica romana. Nell’affre-sco, il cui programma iconografico venne steso dal poeta di corte Francesco Bracciolini, la felicitànarrativa di da Cortona e la sua sensibilità coloristica si sposano a una spiccata propensione per laspettacolarità; le inquadrature architettoniche, non più limite invalicabile o cornice, fungono da colle-gamento tra le varie scene, pervase da un movimento turbinoso e da una grande energia vitale.

Una nuova declinazione del classicismo si afferma a Roma verso il 1630 in opposizione sia allebizzarrie borrominiane, sia all’esuberanza cortonesca, sia all’erudita lezione berniniana. Il rappresen-

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fig. 23Guercino, L’Aurora, affrescodel soffitto, 1621-23[Casino Ludovisi, Roma]

fig. 24Pietro da Cortona, Trionfodella Divina Provvidenza,particolare, 1632-39,affresco della volta delsalone[Palazzo Barberini, Roma]

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tante più autorevole di questa corrente, che riproponeva lo studio degli antichi e di Raffaello, ma con-siderava con maggiore attenzione la tradizione coloristica della pittura veneziana del Cinquecento,fu Nicolas Poussin (1594-1665).

Giunto a Roma nel 1625 e rimastovi sino alla morte, l’artista francese elabora i presupposti teori-ci e i paradigmi formali di questa nuova tendenza. Una profonda ammirazione per il colore tizianescoe per l’equilibrio del classicismo raffaellesco nutre la sua pittura, dove, tuttavia, le componenti cultu-rali sono filtrate dalla sensibilità razionale. La tensione drammatica è sottoposta a un rigoroso con-trollo, come nel Regno di Flora (1631); una straordinaria misura uniforma la sintassi compositiva deisuoi dipinti, caratterizzati dalla presenza di un nitido telaio prospettico e dalla chiarezza dell’immagi-ne. Alla stessa regola razionale obbedisce anche la raffigurazione della natura: nel paesaggio Pous-sin va indagando le leggi dell’armonia che legano la vicenda umana al mondo naturale, la storia allanatura.

SCULTURA

Alla fine del Cinquecento nel campo della scultura, nonostante la persistenza di formule tardomanie-riste, cui la maggior parte degli operatori si atteneva, spiccano alcune personalità, come quelle di Ste-fano Maderno e di Francesco Mochi, le cui ricerche interpretano le esigenze di rinnovamento lingui-stico che avrebbero trovato compiuta soddisfazione in Gian Lorenzo Bernini.

Stefano Maderno, lombardo (Bissone, Canton Ticino, 1576 - Roma, 1636), raggiunse la fama nel1600 con la Santa Cecilia (fig. 25), la cui naturalezza è del tutto estranea alla freddezza delle for-mule compositive e iconografiche del tardo Cinquecento.

Ma lo scultore più originale del primo Seicento a Roma è Francesco Mochi (Montevarchi, 1580 -Roma, 1654), alla cui opera si deve riconoscere un ruolo innovatore simile a quello che in pittura eb-bero Caravaggio e Annibale Carracci. L’originalità del suo linguaggio è evidente già nel gruppo raffi-gurante l’Annunciazione (1603-8), contrassegnato da uno spiccato dinamismo e da un modellatosensibilissimo alla mobilità della luce, che accarezza le levigatissime superfici marmoree. Nel Monu-mento equestre per Alessandro Farnese (1625) Mochi rinnova lo schema statico della statua eque-stre cinquecentesca, imprimendo sia al cavallo sia al cavaliere una forte tensione dinamica, propriadel Barocco.

Gian Lorenzo Bernini, protagonista della scena architettonica romana (cfr. pp. 286 sg.), è anche ilpiù importante esponente del Barocco in scultura. A Roma egli si applicò non solo allo studio dei grandidel Rinascimento, ma anche degli artisti più geniali della generazione precedente, come Caravaggio eCarracci, e della scultura antica, di cui numerosi esempi erano conservati nelle collezioni vaticane.

Il suo eccezionale talento si rivelò negli anni tra il 1619 e il 1625 nelle opere commissionategli dalcardinale Scipione Borghese per la sua villa (Enea e Anchise, Ratto di Proserpina, David, Apollo e

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fig. 25Stefano Maderno, Santa

Cecilia, 1600[Santa Cecilia in Trastevere,

Roma]

fig. 26Gian Lorenzo Bernini, David,

1623-24, marmo, altezza 1,70 m[Galleria Borghese, Roma]

fig. 27Gian Lorenzo Bernini, Apollo e

Dafne, 1622-25[Galleria Borghese, Roma]

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figg. 29a-bGian Lorenzo Bernini, Estasi di Santa

Teresa, 1647-52 ca., marmipolicromi e bronzo

[Cappella Cornaro, Chiesa di SantaMaria della Vittoria, Roma]

a. vista della cappella; b. particolaredel gruppo principale.

Dafne). Il gruppo del Ratto di Proserpina è caratterizzato da un mo-vimento avvolgente, che sebbene ancora memore di schemi ma-nieristi, è indizio di un’attenta e diretta lettura dell’antico, oltre chedell’assimilazione dell’opera carraccesca in Palazzo Farnese. NelDavid (fig. 26), invece, la scelta del movimento a spirale impres-so al corpo dell’eroe non cita pedissequamente la linea serpentina-ta manierista, ma tende a sottolineare lo sforzo fisico e psicologicodel personaggio nel momento in cui lancia la pietra e a porre in re-lazione la figura con lo spazio circostante, coinvolgendo anche lospettatore nel teatro dell’azione.

In Apollo e Dafne (fig. 27), il cui soggetto, tratto dalle Meta-morfosi di Ovidio, era stato di frequente trattato in pittura, Berninioffre un esempio della sua virtuosistica abilità nel trattare il marmo,materiale che qui assume la trasparenza dell’alabastro, e la cuiestrema levigatezza consente alla luce di scivolare sulle superficicon un moto impercettibile. Il gruppo si dilata nell’atmosfera, quasiprolungando all’infinito il suo movimento. La morbidezza del model-lato del corpo esile di Dafne, che nello slancio della fuga sembra le-vitare nel vuoto, contrasta con la consistenza opaca e ruvida dellascorza dell’albero. Qui l’artista elabora un’opera colta e raffinata,che, insieme a quelli immediatamente identificabili (l’allusione allamutevolezza della natura e dell’uomo stesso), adombra significatireconditi, come spesso accade nelle opere berniniane.

È sotto il pontificato di Urbano VIII (al secolo Maffeo Barberini)che la fortuna di Bernini tocca l’apice. Attraverso le sue opere, infatti, egli contribuisce al programma diglorificazione della famiglia del pontefice e della stessa Chiesa. Nel Baldacchino di San Pietro (fig.28), accolto con grande ammirazione, Bernini fonde in un unico contesto architettura e scultura, pittu-ra e decorazione; ne deriva un apparato di potente effetto scenografico, una vera e propria macchinateatrale, un oggetto imponente ma non statico, commisurato piuttosto alla struttura architettonica chelo contiene che all’altare. Con il Monumento funebre di Urbano VIII, Bernini fissa la tipologia funerariabarocca: l’uomo e il pontefice vengono celebrati allo stesso tempo in quest’opera in cui scultura e pit-tura si integrano vicendevolmente. La scelta di materiali diversi – il bronzo scuro per tutto ciò che è per-tinente al defunto, il marmo candido per le Virtù – ha valore simbolico e conferisce ulteriore dinamismoall’insieme.

Sotto Innocenzo X Pam -phili, l’astro berniniano co-nobbe un momento di crisi.Appartiene tuttavia a queglianni il gruppo dell’Estasi diSanta Teresa (figg. 29a-b),uno degli esiti più alti del ge-nio berniniano, punto di arrivodelle sue ricerche sull’unitàdelle arti. Solo considerandoquest’opera insieme allastruttura architettonica per cuiè stata realizzata, se ne puòapprezzare appieno il valoreinnovativo. Qui Bernini si rive-la regista di una vera e propriamessa in scena (i membri del-

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fig. 28Gian Lorenzo Bernini,Baldacchino, 1624-33,bronzo, legno, marmo,altezza 28,5 m[Basilica di San Pietro, Roma]

29a 29b

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la famiglia Cornaro assistono all’evento da palchetti laterali, fig. 30, e lostesso gruppo è collocato in una sorta di palcoscenico), ma anche inter-prete sensibile delle parole con cui la santa descrisse la sua esperienzaestatica. Sensualità e tensione spirituale sono presenti al massimo gradoin quest’opera, che rappresenta la sostanza della sensibilità religiosa se-centesca. L’osservatore viene attratto nello spazio della rappresentazio-ne e, coinvolto emotivamente, diventa parte attiva di quel grande meravi-glioso teatro che fu la cultura figurativa barocca.

Agli ultimi anni della sua attività risale il Monumento funebre di Ales-sandro VII (1671-78), da lui progettato ed eseguito sotto la sua supervi-sione dagli allievi; la simbiosi tra scultura e architettura si realizza anco-ra più compiutamente in quest’opera, che riprende lo schema della tom-ba di Urbano VIII, ma ne potenzia il carattere scenografico attraverso l’in-serimento delle quattro Virtù ai piedi del pontefice e del grande e dram-matico drappo che lo scheletro dorato, la Morte, solleva. Qui il papa èraffigurato mentre prega: la sua figura è realizzata in marmo come leVirtù, mentre per la Morte è stato usato un altro materiale. L’assunto chel’opera vuole dimostrare è che la preghiera è l’unica via di salvezza.

L’impostazione scenografica connota anche la Beata Ludovica Alber-toni (1671-74). Sul corpo della santa, sorpresa ancora viva sul letto in di-sordine, collocato lateralmente sopra l’altare, la luce piove da diversipunti come in un palcoscenico; qui l’artista ha creato una pala d’altare,inglobando nella sua opera anche il grande quadro del Baciccio posto aldi sopra della statua della santa, ricreando ancora una volta, e mirabil-mente, il teatro nel teatro.

Figura centrale nella cultura artistica del Seicento, Bernini fu oltre chearchitetto e scultore, dotato decoratore e disegnatore, autore di appara-ti scenografici e scenotecnici e uomo di teatro. Se i moventi della sua

opera vanno individuati nella malinconia (soprattutto nelle prove giovanili) e nella metamorfosi, checoinvolge sia la produzione architettonica sia quella scultorea sia le sue imprese decorative, permet-tendogli di sorprendere e meravigliare sempre l’osservatore, è il senso spregiudicato della teatralitàche motiva l’intero corso della sua attività, collocandola in un ambito sospeso tra l’arte e la vita cheè il filo rosso della vicenda artistica berniniana. Ma l’arte per Bernini non è solo diletto: la meravigliaè, infatti, solo uno strumento di persuasione. L’arte serve ad ammaestrare, e a tale scopo Bernini so-stanzia la sua opera con un continuo ricorso al simbolo e all’allegoria, con l’esercizio di una retoricadiscorsiva e insinuante. Ma un elemento di grande importanza dell’opera berniniana è anche la ricer-ca della complessità nelle soluzioni compositive, che consente all’artista di dare splendide dimostra-zioni del suo straordinario virtuosismo tecnico e del suo eccezionale talento.

310 Elementi di storia dell’arte con esempi di analisi graf ica e tavole architettoniche

fig. 30Gian Lorenzo Bernini, Lafamiglia Cornaro assiste

all’Estasi di Santa Teresa,1644-51

[Cappella Cornaro, Chiesadi Santa Maria della Vittoria,

Roma]

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