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Arte Marinara - Lezione 14
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CORSO DI ARTE MARINARA
Lezione 14 (Aggiornamento febbraio 2005)
3.3.5. Stile di vita dell’equipaggio in navigazione (continua)
Per completare la trattazione dello “stile di vita” dell’equipaggio in
navigazione mi soffermerò più a lungo su alcuni argomenti di cui già in precedenza
si è accennato, quali l’ordine a bordo, i pasti, il mal di mare.
Ho già trattato dell’ordine a bordo, ma ritorno sulla materia poiché vi
attribuisco primaria importanza per la serenità e la sicurezza della navigazione. A
tal fine riporto con vivo piacere lo scritto “Una questione di ordine”, tratto dal
riquadro di un bell’articolo monografico di Stefano Medas sulla navigazione
nell’antichità1.
“Ordine e precisione, sia sul piano culturale che materiale, sono condizioni indispensabili per l’efficienza di una nave e per la vita dell’equipaggio, e diventano addirittura condizioni vitali nei momenti di difficoltà. Il limitato spazio disponibile a bordo, impone di mantenere una nave e un comportamento ordinati. Un brano di Senofonte (Economico, VII, 11-17) risulta molto esplicito a questo proposito, presentandoci uno scrupoloso quanto saggio aiutante del pilota2, quello che, dice Senofonte, chiamano proreta, intento a controllare l’attrezzatura della sua nave: <<Mi sembra
che io vidi una volta l’ordine più bello e più preciso, Socrate, quando salii su un grosso battello fenicio per visitarlo. Notai moltissimi attrezzi distribuiti in pochissimo spazio, perché ci vogliono moltissimi attrezzi di legno e cordame per far ormeggiare e salpare una nave, e per navigare ha bisogno di molte delle cosiddette attrezzature sospese, è armato con macchine belliche contro le navi nemiche, trasporta molte armi per l’equipaggio e,
1 “Gli uomini e il mare: l’arte di navigare nel mondo antico” - Rivista ARCHEO agosto 2004 – De Agostini Rizzoli periodici 2 Nella accezione antica “pilota” significa esperto della navigazione e conduttore della stessa
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per ogni mensa, contiene tutte le suppellettili di cui gli uomini si servono in casa. Oltre a tutto ciò, contiene le mercanzie che il proprietario della nave trasporta per trarne guadagno. Tutto ciò di cui parlo – disse – stava in uno spazio non più grande di una stanza capace di contenere dieci letti. Mi resi conto che ogni cosa stava disposta in modo che non fosse di impaccio all’altra. Né la si dovesse cercare o fosse difficile da spostare, in modo da non far perdere tempo quando c’era urgente bisogno di essa. Mi accorsi che l’aiutante del pilota, quello che chiamano uomo di prua della nave, conosceva così bene il posto dove stava ogni cosa che, anche stando fuori, era capace di dire dov’era, e quanti esemplari ce n’erano, non meno di chi conoscendo le lettere dell’alfabeto, sappia dire quante lettere ha il nome di Socrate e come sono disposte. Vidi anche, disse Iscomaco, che in un momento di riposo ispezionava tutto ciò di cui si può avere bisogno in una nave. Mi meraviglia, egli disse, di quest’ispezione, e gli chiesi che cosa facesse. E quello rispose così: “Straniero, controllo, nel caso dovesse succedere qualcosa, come sono conservate le cose nella nave, se qualcosa manca o se è difficile da usare. Quando il dio scatena la tempesta sul mare, disse, non è possibile andare in cerca di quello che serve né si può impiegare un attrezzo difficile da usare. Il dio è ostile ai pigri e li punisce. Ci si deve accontentare se soltanto evita di distruggere quelli che non fanno errori, e, se salva coloro che lo servono nel modo migliore, si devono rivolgere molte grazie agli dei”. Io dunque, vista tutta questa accuratezza nel mettere a posto le cose, dissi alla moglie “Noi saremmo proprio trascurati se coloro che stanno sulle navi, per quanto piccole, trovano il posto, mantengono l’ordine e la disposizione delle cose, anche sballottati dal mare, e sono capaci, anche in preda al panico, di trovare subito quello che gli serve3.>>”
Dopo l’istruttiva lettura di Senofonte, non resta che seguire gli insegnamenti
di “stile di vita” del proreta, depositario della saggezza marinara di un antico
popolo, i Fenici. Questi grandi marinai navigarono per tutto il Mediterraneo,
spingendosi anche fuori delle Colonne d’Ercole, con bastimenti non sempre più
grandi delle nostre imbarcazioni da diporto, ma sicuramente meno marini e
manovrieri.
Cambiando argomento, passo a trattare dei pasti in navigazione.
Su molte barche da diporto mi capita di vedere che il super accessiorato
angolo cottura, appaia nuovo di fabbrica, malgrado il natante abbia una certa
anzianità. Ciò non perché la cucina sia stata riallestita di recente, ma perché non è
stata mai usata veramente. Lo stile di vita su tali imbarcazioni, infatti, non prevede
che si cucini in navigazione (e tanto meno in porto). Le uscite sono giornaliere,
mirate solo a fare un bagnetto da qualche parte, e le rare navigazioni di
trasferimento non superano mai le ore diurne. In queste condizioni basta imbarcare
3 Traduzione di Carlo Natali
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qualche panino, qualche etto di
affettato, una caciotta ed un po’ di
frutta da addentare quando se ne
abbia voglia.
Ma se si prova il piacere di
andar per mare per qualche giorno, il
culto della cucina e dei pasti diventa
un fattore dominante dello “stile di
vita” dell’equipaggio, in particolare
nella fortunata ventura che vi sia un appassionato di cucina che non soffra il mare.
Detesto la frequente scena dell’ignavo tribolante che, preso dai morsi della fame,
si intrufoli di soppiatto in cambusa per addentare la prima cosa commestibile che
gli capiti a portata di mano. Invece è buona abitudine, in particolare quando il mare
mosso induca qualche languore, che chi scenda sottocoperta per fare uno spuntino
estemporaneo, chieda agli altri in coperta se gradiscano qualcosa da mettere sotto i
denti: la risposta sarà entusiasticamente positiva!!! Quale soddisfazione e senso di
gratitudine si prova, durante una pesante e fredda guardia in coperta, nel vedere far
capolino dal tambuccio4 un compagno di crociera che porga dei crostini caldi con
burro e acciughe, accompagnati da mezzo bicchiere di vino!
La preparazione dei pasti a bordo deve essere semplice e speditiva, variata ed
appetitosa, in modo da incontrare i gusti di tutti, senza affaticare il cuoco costretto
ad esercitare le sue arti in un ambiente oggettivamente difficile: oscillazioni,
sbandate, caldo, nausea, ristrettezza di spazio, modesta disponibilità di ingredienti,
di attrezzi e di pentolame. La cucina basculante deve essere dotata delle barre di
bloccaggio delle pentole, e, ove possibile, del forno. Questo risolve tanti problemi
di cottura anche con mare mosso: ma attenti all’apertura dello sportello del forno,
perché sbilancia la cucina! Altro attrezzo che ritengo indispensabile per cucinare a
bordo è la pentola a pressione: cuoce qualunque cibo, necessita di pochissima
acqua, riduce i tempi di cottura, è impiegabile in sicurezza con qualunque mare o
sbandamento boliniero. La pentola ideale per la pasta deve essere dotata di cestello
interno estraibile, in modo da non costringere il cuoco a pericolosissimi equilibri
4 Casotto in coperta più piccolo di una tuga; sulle barche da diporto indica la struttura rialzata della coperta che chiude in alto la cabina, ove sono ubicati i boccaporti di accesso
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con rischio di ustioni di primo grado da scolatura di acqua bollente di cottura.
Confesso, però, che per il caffè non so rinunciare alla terribilmente instabile moka,
pur essendo questa un’arma micidiale se si rovescia. Sarebbe molto meglio
utilizzare un panciuto bollitore chiuso con valvola di sfogo, di base larga e di
baricentro basso, miscelando con l’acqua calda il caffè in polvere o il thè. Nella
scelta delle stoviglie preferire i modelli di melanina impilabili mentre per il
pentolame consiglio le batterie di pentole e casseruole a incastro con manici
amovibili.
Per consumare i pasti in navigazione prediligo lo star seduti in quadrato o in
pozzetto con tavola imbandita: è talmente rilassante e gradevole che vale ben la
pena di far gravare sul gamellante di turno qualche onere in più per apparecchiare
la tavola e per rigovernare le stoviglie. Certamente vi sono situazioni di mare
grosso in cui non è proprio possibile cucinare o sedere a tavola, ma ciò si verifica
in una percentuale di casi veramente bassa: in tale evenienza non resta che aprire
una scatoletta di carne o di
sardine da consumare con un
tozzo di galletta e un pezzo di
frutta, stando ben puntellati
sotto coperta o ridossati5 in
pozzetto o sul ponte di
governo. Programmando le
navigazioni lungo costa è
quasi sempre possibile
prevedere una sosta alla fonda
per fare un tuffo e per
mangiare in pace apparec-
chiando tavola in coperta, al fresco sotto il tendalino. Qualora si stesse godendo
l’avventura di una traversata in mare aperto, suggerisco, se di bolina, di poggiare6
e lascare7 un pò le vele o di mettere in panne8, o, se a motore, di ridurre i giri ed
5 Protetti dal vento e dagli spruzzi del mare 6 Cambiare direzione nella direzione opposta a quella di provenienza del vento 7 Allentare le scotte 8 Fermare l’abbrivio (avanzamento) della barca, senza ammainare o far sbattere le vele, cazzando (mettere in forza) la scotta del fiocco sopravento e fissando il timone alla banda (a fine corsa) all’orza (in modo da far deviare la prua verso il vento)
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accostare un po’ sottovento. Queste sagge manovre marinare consentono una bella
apparecchiatura della tavola per un rigenerante pasto con tutto l’equipaggio riunito
in allegre pappate e moderate libagioni (meno uno di guardia in coperta!). Detesto
gli skipper assatanati velici o fanatici della manetta a tutto gas, che in navigazione
si sentono sempre in regata, per cui si farebbero impiccare piuttosto che godersi
una mezz’ora di rilassamento gastronomico, rinunciando a qualche miglio di
avanzamento sulla rotta.
Un consiglio ai gamellanti per evitare che l’imbarcazione in pochi giorni sia
invasa dai rifiuti di cucina: è spaventosa l’enorme quantità di rumenta che si
accumula in poche ore di navigazione! Facendo il piccolo cabotaggio9, non vi sono
alternative dal raccogliere tutti i rifiuti in capienti sacchi di plastica da riporre
chiusi in coperta, ben ridossati e rizzati10 a poppa, in attesa di scaricare il
maleodorante carico nei cassonetti della banchina d’ormeggio. Ma, se si naviga in
alto mare, è possibile fare una raccolta differenziata, buttando a mare il materiale
organico rapidamente biodegradabile (avanzi di cibo, carta, ecc.) o quello solido
che, affondando, divenga ecologico rifugio di pesci e crostacei (scatolette e lattine
aperte, bottiglie riempite di acqua di mare, ecc.). Invece dovranno essere
inevitabilmente stivati a bordo la plastica ed i rifiuti oleosi o inquinanti.
Ma purtroppo il gaudente tribolante può sentirsi sfuggire via la letizia del
navigare, quando il pelago agitato lo renda vittima del subdolo mal di mare. E’
questo un bel malanno psicosomatico, che ha il vantaggio di cessare immantinente
al cessare della causa, restituendo sorriso e forza alla vittima non appena i flutti si
plachino.
Non si creda ai tanti gradassi che dicono di non soffrire il mar di mare.
Questo accidente affligge in varia misura e con differenti effetti la maggior parte di
coloro che vanno per mare. Per fortuna sono in pochi a soffrirlo in maniera
incoercibile, così come sono pochissimi gli individui favoriti dalla sorte che non lo
soffrono affatto. La stragrande maggioranza dei naviganti ne è affetto, con livello
di soglia e tipo di patimento differente: nausea, vomito, mal di testa, astenia,
spossatezza. Di questi la massima parte si abitua rapidamente allo sballottamento
del moto ondoso, conquistando in breve tempo l’agognato “piede marino”: alcune
9 Navigazione sotto costa da capo a capo 10 Legati
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ore di sofferenza e qualche bella raccata11 seguita dal pronto ingerimento di nuovo
cibo.
I miserandi naupatici cronici non hanno altra alternativa che rinunciare ad
andar per mare. I super marinai ultraresistenti assaporino indisturbati tutto il
piacere della navigazione fra i marosi, restando però sempre disponibili a
supportare chi non sia così fortunato. Gli altri tribolanti si consolino pensando che
anche Nelson e tanti grandi del mare, antichi e moderni, soffrivano o soffrono
l’odiosa nausea indotta dal dio Nettuno. Il navigatore Gérard Borg cita12, quali
dichiarate vittime della naupatia, mostri marini del calibro di Joshua Slocum, Chay
Blyth, Gérard Janichon, Patrick Van God, Alec Rose, David Lewis e tanti altri.
Basta leggere gli avvincenti libri diario di grandi imprese veliche e marinare per
raccogliere analoghe confessioni da parte degli avventurosi protagonisti.
Il mal di mare non risponde a regole precise: può colpire in gioventù e poi
scomparire, o viceversa affliggere in età matura chi non lo aveva mai provato in
precedenza; può non manifestarsi più per anni e poi ricominciare all’improvviso.
Indubbiamente vi sono situazioni che ne favoriscono la comparsa, quali ansia,
disturbi gastrici, debolezza, mancanza di sonno, colpi di freddo, sforzi. Come vi
sono situazioni che lo bloccano, in particolare la tensione psicologica della
responsabilità.
Lo “stile di vita” del naupata temporaneo deve essere improntato a prevenire
ed ovviare l’indisposizione, senza mai far pesare il proprio stato agli altri membri
dell’equipaggio. Per quanto possibile consiglio di evitare l’uso di pillole, cerotti,
braccialetti, che inducono comunque effetti secondari di sonnolenza: ciò allo scopo
di abituarsi a reagire naturalmente al mar di mare e soprattutto ad acquisire fiducia
in sé stessi. Riconosco, tuttavia, che questi rimedi siano talvolta utili in fase
preventiva, se non altro, come magici placebi o come terapia psicologica tesa a
liberare dalla tensione che attanaglia il naupata in previsione di imminente mare
grosso.
La prevenzione si ottiene facendo pasti frequenti, per non lasciare mai lo
stomaco vuoto, e seguendo un’alimentazione semplice, basata su cibi solidi e
digeribili, accompagnati da pochi liquidi e nessun alcolico. Nella fase acuta del
11 Vomitata 12 “Nauticus, Grande enciclopedia pratica della nautica”, vol. 7°, editrice Portoria per il TCI, 1983
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malessere, occorre zavorrare ripetutamente lo stomaco con pò di cibo (ottime le
gallette e le mele), cogliendo prontamente la breve pausa della nausea che
sopravviene subito aver raccato.
La sfida per chi soffra il mare è quella di vincere il senso di apatia, di
abbandono e di fiacca indotto dal malessere. Mai lasciarsi vincere dalla nausea
giacendo in totale abbandono in coperta esposti al vento, al mare e al freddo, pena
gravi complicazioni per il fisico, rispetto ai modesti effetti propri del mal di mare.
Lo sconsolato tribolante vittima della naupatia, reagisca con gran forza di volontà
alla deprimente percezione, onirica e
fluttuante, del mondo che lo circonda. Il
miglior antidoto al mar di mare è
sicuramente l’impegno e la tensione
nervosa stimolati dalla consapevolezza
delle proprie responsabilità in
navigazione con tempo avverso: non
abbandonarsi all’oblio della nausea, ma
sforzarsi di eseguire sempre con grintosa
iniziativa tutte le azioni necessarie,
continuando a dare il proprio contributo
all’equipaggio con la massima possibile
efficacia.
Detto ciò, è ovvio che tutti i membri dell’equipaggio sono tenuti a rispettare
rigorosamente i turni di guardia ed i compiti affidati loro, con la massima
puntualità ed in qualunque circostanza, siano le condimeteo favorevoli o contrarie,
si goda o si sopporti la navigazione, si apprezzi o si soffra la sana fatica della vita
di mare, il caldo estivo ed il freddo notturno, si sia acquisito il piede marino o si
resti preda del mal di mare. Tutto ciò che un ignavo tribolante tralasciasse o
rifiutasse di fare, diverrebbe inevitabilmente onere aggiuntivo per un altro
compagno di ventura.
Qualora un malcapitato tribolante vada irreparabilmente “a pagliolo”13, sarà
cura dei compagni validi farlo distendere sottocoperta in quadrato con un bugliolo
rizzato accanto, in attesa che il mare si plachi. In tal caso bisogna fare attenzione 13 Sia sopraffatto dal mal mare senza essere più capace di reagire
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che il naupata non sia colpito da ipotermia o da disidratazione: pertanto occorre
coprirlo bene e fargli bere qualche sorso di acqua di tanto in tanto.
Questo è lo “stile di vita” del marinaio, nella consapevolezza che ogni
navigante, nei momenti duri e spossanti della vita di bordo, si é chiesto con rabbia
perché mai fosse per mare, giurando a sé stesso di non imbarcare mai più, per nulla
al mondo. Ma la sofferenza marittima è una potente droga, che impone una cronica
dipendenza dal mare: chi abbia provato la gioia ed il patimento del navigare ne
diviene consapevole e remissivo schiavo. Passata la tribolazione, subentra un
sottile senso si serenità e di appagamento, che induce a ricordare solo il salso
incantesimo del dio Nettuno. E’ il fascino che, dopo un breve ritorno alla vita
terragna, induce l’uomo di mare a nuove fantasticherie di futuri viaggi, alla ricerca
dello stimolante piacere di solcare il pelago infinito, mutevole e imprevedibile.