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1 Corridoi,labirinti, soglie: come mettere in gioco lo spettatore di Valentina Valentini 1. l'arte dello sconfinamento Per chi si accosta al lavoro di artisti che operano nei territori dei nuovi media è tanto più necessario guardarlo da una prospettiva storico-teorica che generalizzi le tematiche e le poetiche connesse a questo modo di produzione che ha il vizio originario di compiacersi della propria particolarità, oltre a quello del suo incerto apparato critico e disciplinare. La difficoltà, inoltre, di considerare la produzione di autori contemporanei la cui pratica artistica è stata fortemente segnata dall'estetica "dionisiaca" e "bellicosa" delle avanguardie, è quella di doverle analizzare da prospettive intertestuali e interdisciplinari, pena il rischio di ridurre la complessa rete di relazioni di cui si nutrono (1). In particolare si tratta di collocare l'oggetto della nostra analisi - le installazioni multimedia - nel contesto culturale e artistico dei movimenti degli anni Sessanta-Settanta segnato dalla rivoluzione delle neo-avanguardie. Allora, testimonia Bruce Nauman: " Non sembrava ci fosse nessun problema a usare differenti tipi di materiali - passare dalla fotografia alla danza, alla performance al videotape. Sembrava molto anticonvenzionale usare differenti modi di esprimere idee o presentare materiali" ( Nauman, 1988 :143). Il programma delle avanguardie di superare i confini fra artistico ed extra-artistico, la loro pretesa di realizzare un flusso ininterrotto con la realtà, di oltrepassare i limiti fra esterno e interno, fra arte e non arte, natura e cultura, ha modificato enormemente i modi di produrre e fruire l'arte. La radicale contestazione politica del sistema dell'arte e della categoria di opera era alla base dei movimenti avanguardistici fra gli anni '60 e '70, fra cui,antesignano Fluxus. In questa prospettiva la bellezza in sé come valore e qualità dell'opera ha perso terreno nei confronti della funzione di provocazione e disturbo : " Vi sono artisti che considerano che il loro ruolo sia quello di rendere belle le cose per gli altri, rifornire e offrire bellezza ( ...) - dichiara Nauman - io non funziono in questo modo. Il mio lavoro viene fuori dalla frustrazione sulla condizione umana, e su come le persone si rifiutano di comprendersi reciprocamente" (Nauman, 1988 :203). Tale processo di rivolta nei confronti dell'arte, oltre a Fluxus, a una figura carismatica come quella di Joseph Beuys che ha fatto della pratica di contro-informazione un'operazione artistica, coinvolgeva tutti i movimenti del secondo dopoguerra, fra cui quello "minimale", che focalizzava l'attenzione sulla percezione e la relazione che lo spettatore ha con l'opera, e quello "concettuale" che contribuì a rimuovere le categorie di oggettualità, unicità, originalità. Alla luce di questi fenomeni, l'opera d'arte ha perso le qualità che storicamente l'hanno identificata : innanzitutto il carattere di " la materia formata", in quanto assumeva dimensioni di "evanescenza", come performance e come processo

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Corridoi,labirinti, soglie: come mettere in gioco lo spettatore di Valentina Valentini 1. l'arte dello sconfinamento Per chi si accosta al lavoro di artisti che operano nei territori dei nuovi media è tanto più necessario guardarlo da una prospettiva storico-teorica che generalizzi le tematiche e le poetiche connesse a questo modo di produzione che ha il vizio originario di compiacersi della propria particolarità, oltre a quello del suo incerto apparato critico e disciplinare. La difficoltà, inoltre, di considerare la produzione di autori contemporanei la cui pratica artistica è stata fortemente segnata dall'estetica "dionisiaca" e "bellicosa" delle avanguardie, è quella di doverle analizzare da prospettive intertestuali e interdisciplinari, pena il rischio di ridurre la complessa rete di relazioni di cui si nutrono (1). In particolare si tratta di collocare l'oggetto della nostra analisi - le installazioni multimedia - nel contesto culturale e artistico dei movimenti degli anni Sessanta-Settanta segnato dalla rivoluzione delle neo-avanguardie. Allora, testimonia Bruce Nauman: " Non sembrava ci fosse nessun problema a usare differenti tipi di materiali - passare dalla fotografia alla danza, alla performance al videotape. Sembrava molto anticonvenzionale usare differenti modi di esprimere idee o presentare materiali" ( Nauman, 1988 :143). Il programma delle avanguardie di superare i confini fra artistico ed extra-artistico, la loro pretesa di realizzare un flusso ininterrotto con la realtà, di oltrepassare i limiti fra esterno e interno, fra arte e non arte, natura e cultura, ha modificato enormemente i modi di produrre e fruire l'arte. La radicale contestazione politica del sistema dell'arte e della categoria di opera era alla base dei movimenti avanguardistici fra gli anni '60 e '70, fra cui,antesignano Fluxus. In questa prospettiva la bellezza in sé come valore e qualità dell'opera ha perso terreno nei confronti della funzione di provocazione e disturbo : " Vi sono artisti che considerano che il loro ruolo sia quello di rendere belle le cose per gli altri, rifornire e offrire bellezza ( ...) - dichiara Nauman - io non funziono in questo modo. Il mio lavoro viene fuori dalla frustrazione sulla condizione umana, e su come le persone si rifiutano di comprendersi reciprocamente" (Nauman, 1988 :203). Tale processo di rivolta nei confronti dell'arte, oltre a Fluxus, a una figura carismatica come quella di Joseph Beuys che ha fatto della pratica di contro-informazione un'operazione artistica, coinvolgeva tutti i movimenti del secondo dopoguerra, fra cui quello "minimale", che focalizzava l'attenzione sulla percezione e la relazione che lo spettatore ha con l'opera, e quello "concettuale" che contribuì a rimuovere le categorie di oggettualità, unicità, originalità. Alla luce di questi fenomeni, l'opera d'arte ha perso le qualità che storicamente l'hanno identificata : innanzitutto il carattere di " la materia formata", in quanto assumeva dimensioni di "evanescenza", come performance e come processo

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mentale, non bisognoso di esecuzione; la possibilità di immedesimazione da parte dello spettatore ; il non essere copia del reale, reale che invece viene assunto dagli artisti come enorme repertorio da duplicare anziché rappresentare. Guardando alle circostanze materiali e alle storie personali degli artisti che si sono accostati ai nuovi media, colpisce non tanto la loro variegata provenienza e formazione, quanto il ruolo che caso, ignoranza e errore hanno giocato nella loro pratica artistica . E' significativa l'enfasi con cui molti artisti ( fra cui Bruce Nauman ), sottolineino la loro estraneità nei confronti di uno specifico addestramento nel campo delle Belle Arti da cui, non casualmente, ne discende il fatto che nel loro lavoro privilegino l'immediatezza e la semplicità dei processi costruttivi ,l'adozione di soluzioni tecnicamente più facili ( la fotografia anziché la pittura per esempio), l'accettazione dell'errore come elemento di stile ( il fuori sincrono nei film e nei video di Nauman) e, su questa base, lo sperimentare una molteplicità varia di materiali e mezzi espressivi... " [...] Tu puoi prendere qualsiasi movimento, il più semplice, e farlo diventare danza, solo in virtù del fatto che lo presenti come tale. Io non sono un danzatore , ma facevo pressapoco queste considerazioni: se faccio cose che non so fare, mi impegno talmente che le faccio seriamente [...]" ( Nauman,cit. in Schimmel,1993:73). Considerando le espressioni artistiche di questa seconda metà del Novecento, ci si rende conto di quanto siano loro estranei i tratti sopracitati che contraddistinguono l'opera d'arte. Le performance di body-art, ad esempio, pur affermando il primato del corpo dell'autore-produttore, non sostengono parimenti una centralità del soggetto nei confronti del mondo e dell'arte, quanto piuttosto una implosione di entrambi nel corpo dell'artista che afferma : " l'opera sono io " , senza spazio per l'altro da sé. Il corpo diventa un materiale da manipolare, interscambiabile con un robot, una forma utilizzata per la sua riconoscibilità. Nello stesso tempo il valore forte del contesto - che si esprime con la land-art,l'arte ambientale, l'installazione multimedia - ha operato anch'esso in direzione di uno scardinamento dell'opera, in quanto le circostanze di produzione e ricezione prendono il sopravvento su di essa, priva ormai di confini spazio-temporali che la delimitino. Molti interventi di artisti, nell'ambito della Performance Art, si davano come eventi, senza "esposizione" e convocazione di spettatori, come azioni solitarie e private, per pochi avvertiti, e si collocavano in luoghi naturali per meglio confondersi con l'ambiente. In questi casi il carattere di esposizione pubblica dell'opera, la sua funzione "cultuale", viene vanificato dalla scelta della segretezza e inaccessibilità, del disturbo della visione, come principi contrari a quelli del consumo commerciale, fattori che contribuiscono a rendere impenetrabile l'opera che non si dà nella sua totalità e interezza. L'oggetto trovato, ma anche la ripresa in diretta della televisione e del video - in cui qualcuno o qualcosa è presente

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qui e ora nella sua autenticità e immediatezza, come la qualità di liveness, segnano il nuovo corso dell'arte come presentazione. Il passaggio non è scontato; l'interrogativo : " cosa attribuisce qualità artistica all'azione, al gesto, al corpo quotidiano? ", percorre l'operatività degli artisti. Le "mediazioni" da essi adottate sono diverse : nel caso dei ready mades di Duchamp c'è il basamento; fotografia, film, video registrano e fissano l'attività solitaria che Bruce Nauman compie nel suo studio. Il dispositivo elettronico dà il suo contributo specifico in tali circostanze di rivolta contro l'arte e di ideologica affermazione di procedimenti e tesi anti-estetiche. Come scrive Anne-Marie Duguet (1988), il video sembra incarnare più di altri media storici le istanze dei movimenti neo-avanguardistici in quanto: "Più che un oggetto è un sistema di rappresentazione che si espone e definisce uno spazio concettuale sensibile, di riflessione e percezione al tempo stesso " ( Duguet, 1988: 192). L'installazione multimedia, in questa prospettiva, sperimenta e mette in azione le nuove modalità di darsi dell'opera, un'opera che vuole costruirsi come processo percettivo, essere il luogo dove spettatore e autore si specchiano e si scambiano i ruoli ; un'opera che implica un agire diretto da parte dello spettatore, liberato dalla visione frontale dello schermo cinematografico e dal transfert proiettivo La particolare natura live del dispositivo elettronico, che le installazioni delle origini privilegiano, fanno interagire la presa diretta - il formarsi e prodursi dell'immagine in tempo reale - con il valore forte del contesto - spazio architettonico creato o ambiente preesistente - con la presenza del visitatore-performer che costituisce la saldatura fra dispositivo elettronico e ambientale. L'installazione multimedia si presta a diventare " la dimora "in cui non solo si smantellano le convenzioni del vedere e le norme delle arti plastiche, ma si costruiscono nuove modalità di rappresentazione e di interferenza fra le arti. A guardarla da questa angolazione, l'installazione appare come fase di sintesi di un processo iniziato con la scultura moderna - come ha dimostrato Rosalind Krauss (1977-'81) - che ha incrociato e al quale non è stata estranea la musica elettronica ( Paik, Nauman, Hill, Viola hanno studiato e praticato la musica prima dell'immagine elettronica...),l'happening,la nuova danza e il nuovo teatro . E' suggestivo pensare all'installazione come la dimora in cui le pratiche artistiche del Novecento si sono incontrate, come il luogo in cui lo spettator e ha contemporaneamente accesso all'azione e alla visione; alla purificazione - non c'è nulla da vedere - e al bombardamento percettivo ; all'estenuazione della ripetizione e alla soddisfazione di vedere la sua attesa premiata da qualcosa che accade. gli attraversamenti della scultura moderna Robert Morris nel 1961 alla Castelli Gallery presentò, Columns, un' azione di cui era protagonista una sua scultura:

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un sipario, collocato al centro della stanza, si apriva su una colonna dipinta di grigio che improvvisamente cadeva. Dopo tre minuti il sipario si chiudeva. Numerosi sono gli esempi che Rosalind Krauss ha allineato nel suo studio Passages in Modern Sculpture per costruire una storia della scultura dotata di movimento (che comprende l'arte cinetica degli Hanging Mobile (1936) di Calder usate da Marta Graham come "plastic interludes" nei suoi spettacoli di danza, una scultura che ambiziosamente tenta di imitare l'organismo umano, avendo assunto come modello l'attore: Prop, il robot meccanico di Moholy Nagy potrebbe essere considerato come l'antenato delle Family of Robots di Nam June Paik. Seguendo l'analisi della studiosa americana, la scultura moderna avrebbe integrato ambiente e figura umana - oggetto classico di rappresentazione - dotandola di movimento e rendendola astratta. Secondo tale trasformazione in scultura ambientale, di cui un esempio citato da Rosalind Krauss è Bedroom Ensemble (1963 ) di Oldenburg, avviene che non ci sia più, come nella scultura, la rappresentazione del corpo , ma lo spettatore stesso, una persona reale che esplora autonomamente lo spazio costruito e allestito per lui. L'ambiente, nell'opera di Oldenburg citata, rafforza il senso della continuità fra il mondo dello spettatore e quello dell'opera in quanto, a differenza della scultura minimalista, riproduce, secondo l'estetica pop, un environment quotidiano, non diverso da quello in cui lo spettatore abitualmente vive, dove però si sente niente affatto rassicurato perché è sì a lui familiare, ma espressione di un mondo reificato, invaso di oggetti che lo sovrastano con la loro serialità e uniformità. Se l'opera diventa environment e si offre come messa in scena dell'azione dello spettatore, non può essere più fruita secondo una prospettiva frontale, in quanto lo spettatore si trova cooptato in uno spazio disseminato in cui non ha più l'oggetto da afferrare " a colpo d'occhio". I tratti propri della scultura moderna che appartengono anche alla forma espressiva su cui stiamo indagando , in quanto sorta nel suo alveo, si ritrovano ne: l'interscambiabilità fra oggetto e figura umana ( l'orinatoio di Duchamp è assunto come una metafora del corpo femminile e il corpo umano viene manipolato da Paik come un oggetto- scultoreo); la presenza attiva dell'osservatore nello spazio plastico visivo acustico e praticabile che l'artista ha costruito per lui; la meccanizzazione e serializzazione della produzione artistica per cui si mette in crisi il rapporto fra attività psichica e rappresentazione e si spoglia l'opera dei suoi tratti simbolici, emotivi e psicologici. Nel momento in cui l'artista rinuncia a costruire con le sue mani l'opera e si limita a scegliere e a prelevare uno fra i tanti oggetti della vita quotidiana, si deresponsabilizza non solo l'autore ma anche l'osservatore, in quanto l'opera non gli richiede più un lavoro di interpretazione e decodifica a livello formale e compositivo. Tagliare la via di comunicazione autore-spettatore ha portato a un processo di depersonalizzazione nell'arte. In luogo del lavoro interpretativo allo spettatore si richiede di essere presente fisicamente nell'opera-ambiente. A sua volta,

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l'artista si scambia di ruolo con l'anonimo spettatore e in suo nome abbandona " l'esperienza smisurata della profondità" ( Blanchot), la necessità del canto,l'ispirazione, il rapporto con l'altro da sé. stare fra L' installazione multimedia si comprende nell'alveo di quelle forme artistiche basate sulla liveness. In essa si mescolano contraddittoriamente, istanze proprie dell'arte dello spazio e delle arti del tempo : oltre alla dimensione plastica oggettuale, propria della scultura, c'è quella effimera, dell'evento irrepetibile, dipendente dal processo di enunciazione qui e ora ( cfr. Morse,1990 ). In questa prospettiva i tratti "teatrali" delle installazioni si ritrovano, oltre che nell'atto di enunciazione, nella spazializzazione del tempo e temporalizzazione dello spazio e nella struttura drammatica per cui lo spettatore, una volta introdotto nello " spazio scenico ", ha esperienza di qualcosa che inaspettatamente succede: Reasons for knocking to an empty house (1982) di Bill Viola, prevede che il visitatore si sieda su una sedia di fronte a un monitor, indossi una cuffia attraverso cui ascolta dei suoni che gli fanno rivivere - come in uno psicodramma - il trauma che ha subito l'operaio al quale è dedicata l'opera. A suo tempo, tale dominanza del dispositivo teatrale, aveva destato le preoccupazioni e la fiera opposizione da parte dei critici "puristi". La tesi sostenuta da Michael Fried in un saggio famoso, Art and objecthood (1967), è che l'arte, a partire dalle esperienze minimali , è teatrale, e in quanto tale è la negazione dell'arte: la salvezza dell'arte moderna consisterebbe nella sua capacità di sconfiggere la teatralità, perché " l'arte si corrompe ogni qualvolta si avvicina alla condizione del teatro". Per Fried i concetti di qualità e valore - e il concetto di arte in sé - sono significativi pienamente, solo nell'ambito di specifiche e individuate arti. E' invece teatro, tutto ciò che "sta in mezzo, fra le arti" (Fried,1968 :140). Rispetto a questa tesi, l'arte minimale, concettuale, ambientale, ovvero l'arte che ha abbandonato il campo statico della cornice e del quadro, della pittura e della scultura, che ha rinunciato alle sue specifiche convenzioni per lasciarsi modellizzare da altri dispositivi - il corpo, il suono, il tempo,lo spettatore,l'ambiente, i nuovi media, etc - è caduta in una zona di nessuno: "lo stare fra " è condizione specifica del teatro, quindi l'arte che giace fuori dai propri confini, è teatrale. L'attacco di Fried era rivolto, con notevole acume critico, alla "presenza scenica" della scultura minimalista fondata sull'esposizione di oggetti e sull'attivazione dello spettatore. E' questo fondamentale ruolo dello spettatore che, secondo Fried , danneggia e rende non autonoma l'opera: " Literalist sensibility is theatrical because,to begin with, it is concerned with the actual circumstances in which the beholder encounters literalist work" ( Fried, 1968 :125). Teatrale in questa sfera significa cogliere l'opera non più

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come visione che cattura all'istante, ma come processo e attività mentale in cui la dimensione spazio-temporale diventa parte costitutiva del suo esperirsi. Questa tesi, a suo tempo è stata appassionatamente confutata da Rosalind Krauss, che invece difendeva il processo che aveva portato alla "riformulazione del progetto scultoreo" nella seconda metà del Novecento, processo che implicava l'assunzione di modelli teatrali (2). La sua tesi è che il teatro ha posto alla scultura moderna nuove domande che hanno contribuito a rinnovare il suo statuto: " cosa è l'oggetto, come ne veniamo a conoscenza e cosa significa per noi" ( Krauss,1977-1981 : 243). Rosalind Krauss porta ad esempio di questa interferenza positiva fra scultura e teatro i Corridors di Nauman ( cfr. Krauss,1977-'81:240). A fine secolo la situazione appare intricata e difficile da schematizzare: da un lato le arti visive sembrano essersi purificate dalla teatralità che le aveva condotte fuori di sé, o, almeno dall' elemento del qui e ora che si concentra in una forma espressiva determinata, per quanto inclassificabile, come l'installazione multimedia, consolidata all'interno dell' apparato istituzionale e disciplinare delle arti visive. Essa rappresenta l'esempio più limpido, di sincretismo scaturito dal procedimento di sconfinamento dei movimenti di avanguardia. La teatralità che ha dominato le arti visive per più di un ventennio, a fine secolo sembra si sia concentrata in un "genere" particolare, le installazioni appunto, fra cui, principalmente quelle che incorporano dispositivi tecnologici. L'esemplare attività di Bruce Nauman (con i nuovi media) " Vi era allora l'idea che se stavi nello studio, qualsiasi cosa io facessi fosse arte. Solcare a gran passi lo studio, ad esempio. Come organizzare tutto ciò e presentarlo come opera d'arte? Bene . Per prima cosa la filmai, poi la videoregistrai" (Nauman, 1988:143). Nei primi tempi il luogo dove l'artista eseguiva, personalmente, in assenza di osservatori-spettatori, i suoi esercizi fisici - camminare, tentare di sprofondare o di sollevarsi da terra, dipingersi e manipolare il viso, etc. - è stato esclusivamente il suo studio. A partire dai primi anni Settanta, Nauman ha incominciato a costruire ambienti specifici che coinvolgevano e richiedevano la messa in azione di un altro da sé: lo spettatore. La percezione di come si struttura il tempo, nell'opera di Nauman, si legge in connessione con il ruolo dello spettatore: semplicissime azioni ripetute all'infinito ed eseguite davanti a una telecamera fissa che registrava per tutta la durata del nastro ( sessanta minuti ) che si sarebbe dovuto poi proiettare a ciclo continuo, in sintonia con l'estetica strutturalista - da Andy Warhol a Phil Glass a La Monte Young - secondo cui il tempo " riempie uno spazio ", al di là del contenuto dell'immagine e del suono . Nei film e video di Nauman non c'è nessuna demarcazione , infatti, di inizio e

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fine, cosa che provoca nello spettatore un senso di estenuazione che non trova sollievo in quanto la tensione può accrescersi ma non risolversi. Concorrono a creare tale tensione nello spettatore gli esercizi che procedendo aumentano di difficoltà, per cui i movimenti sono sottolineati con il suono e il ritmo che si accelera (Stamping in the Studio,1968). Anche il dispositivo del fuori-sincrono ( come in Lip-Sync,1969 ) è funzionale a far percepire concretamente il tempo, creando una sfasatura fra immagine e suono, come anche il rallentare l'immagine in modo tale che non sia possibile percepire nessun movimento. La ripetizione della stessa azione è in funzione di narcotizzare le relazioni di causa-effetto e quelle temporali e di magnificare gli aspetti percettivi dell'opera. La voce che lo spettatore percepisce percorrendo alcune installazioni video e sonore di Bruce Nauman, è la voce di comando che lo apostrofa facendolo sentire in colpa e, nello stesso tempo, vittima di un'aggressione: Pay attention motherfuckers, ( 1973);Get Out of My Mind, Get Out of This Room (1968), ordina al visitatore Bruce Nauman, ripetendo la stessa frase con toni e attitudini vocali ed espressive diverse. A questi ordini impartiti da voci invisibili lo spettatore- performer deve piegarsi e ubbidire ( 3). Questi enunciati prescrittivi fungono anche da titolo. In generale, i titoli delle opere di Nauman sono delle vere e proprie frasi in cui il verbo è al presente continuo, a indicare la natura processuale dell'azione registrata, funzionano come una sorta di anticipazione verbale di ciò che la foto,il film o il video farà vedere in immagine. Ma sono anche paragonabili alle didascalie dei testi drammatici, come se l' attore fosse lo spettatore al quale l'artista fornisce le sue prescrizioni. In un certo senso il titolo sta in un rapporto di simmetria con l'opera nella prospettiva per cui fare e dire sono indipendenti, avendo la stessa valenza e incidenza, perché il linguaggio equivale all'azione, sia in senso pragmatico che considerando l'autonomia dei due campi operazionali. Prolungando il paragone con il teatro,non è gratuito il riferimento a Samuel Beckett, che è stato un incontro importante per Nauman, perché in entrambi il linguaggio è un elemento che trova in se stesso il proprio fondamento, non sta al posto di non è uno strumento espressivo legato alla dimensione soggettiva e intersoggettiva di locutori e perlocutori. In questo senso i titoli delle opere corrispondono alle opere, non le denominano soltanto. A partire dai primi anni '70 Nauman realizza i Corridors, installazioni video fornite di telecamere di sorveglianza in cui lo spettatore deve percorrere più volte lo stesso tragitto, osservando, ogni volta, la sua immagine rimpicciolire man mano che si avvicina al monitor. Anche con questa opera Nauman esprime un'attitudine affatto benevola nei confronti dello spettatore, al quale nega la soddisfazione di vedersi raffigurato in immagine. E' la messa in scacco sia del soggetto che dell'immagine sui quali prende il sopravvento il suono, più concreto dell'immagine ( dello spettatore ) che, qualora appaia, non è né frontale, né per intera. Queste attività sorvegliate , a telecamera fissa, drammatizzano il venir meno

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del soggetto, la sua sparizione nell'attimo stesso in cui sta svoltando l'angolo: questo è il momento drammatico, effettuare la curvatura , nella sospensione fra esserci ancora e scomparire. Anche rispetto a questa poetica della disparizione, troviamo una sintonia con il mondo beckettianio in cui i personaggi interpretano tutti lo stesso ruolo, quello di essere in procinto di dileguarsi. Il personaggio assente di Beckett non consiste tanto a lungo da assumere una presenza: "Venuto andato venuto andato nessuno venuto nessuno andato appena venuto andato appena venuto andato" (Beckett,cit.in Simon,1990: 750). I Corridors sono la risposta all'interrogazione che attraversa e dà forma al lavoro dell'artista nel passaggio fra gli anni Sessanta e Settanta: qual è la soglia fra dimensione pubblica e privata connessa alla pratica artistica? Cos'è che trasforma un'azione in opera? Questa speculazione porta Nauman a lavorare sull'ambiguità fra ciò che sta fuori e ciò che sta dentro, fra spazio fisico e spazio psichico : il dentro è fuori e il fuori è dentro. Il dispositivo cinematografico prima, e quello elettronico poi, sono utilizzati da Nauman in quanto capaci di far passare all'esterno un'attività solitaria ( e sono i film e i video degli anni '60 -'70 che registrano le sue performance ) e nello stesso tempo di rendere privata e intima un'attività pubblica ,come è quella proposta al visitatore dei Corridors . In queste opere Nauman esprime la tensione che si crea fra il desiderio dell'artista di mettersi in mostra e il senso di pericolo e di minaccia che questo esporsi pubblicamente comporta. Asserire e negare, nascondersi e mostrarsi, agire e guardare. In sintonia con i movimenti artistici degli anni Settanta, Nauman tende a eliminare dall'opera i dati soggettivi e psicologici per cui tratta il corpo umano come un oggetto, lo seziona, lo frammenta, inquadrando solo parti del corpo e censura il volto riprendendo la persona solo di spalle. Sono procedimenti volti a ridurre la presenza di sé a " immagine di una figura umana ", resa in modo astratto. Art Makeup ( 1967-68) e tutto il suo lavoro che pertiene al "mascherare la figura umana , inclusa la serie delle opere video in cui mette in scena il clown ( Clown Torture,1987) sono in funzione di una depersonalizzazione dell'opera e dell'attività artistica. La cancellazione dei tratti che contraddistinguono l'opera d'arte, l' astrazione della figura umana e la reciprocità che si instaura fra oggetto e persona, sono processi paralleli all'indebolimento del ruolo dell'artista, autore dell'opera e alla perdita di tratti stilistici e compositivi immessi nell'opera dall'autore. Quest'insieme di fattori concorre ad accorciare sempre di più le distanze fra ruolo dell'autore dell'opera e ruolo dell'osservatore dell'opera, rendendoli reciproci. L'arte del Novecento è segnata da questa vocazione a collocarsi a livello di un generico-aspecifico, incompetente, casuale, distratto, osservatore. I film e i video a un canale che Nauman realizza a partire dal 1966, sono la mera registrazione di un'attività fisica agita dall'artista che di per sé non ha nessuna peculiarità artistica: "Per me si tratta di entrare nello studio e farmi

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coinvolgere da una qualche attività. Qualche volta succede che tale attività comporti la costruzione di qualcosa, e altre volte che l'attività sia l'opera stessa" ( ivi p.80). Sostanzialmente però non c'è differenza fra le azioni performative ( suonare il violino camminando nello studio, distorcere il proprio volto assumendo espressioni diverse) e la loro trasposizione in oggetto - film-fotografia, ologramma, scultura - in cui tali attività si consegnano e si fissano. Ciò che rende artistica l'attività - sostiene Nauman - , è la serietà e il rigore, la dedizione e ostinazione che viene profusa dall'artista nel compierla, motivato da un atteggiamento sperimentale e cognitivo che in un certo senso supplisce alla mancanza di competenza e abilità tecnica. Ciò avalla l'istanza di avvicinamento fra il mondo dell'autore e quello dello spettatore, rispetto al quale il dispositivo elettronico ha avuto una parte rilevante grazie da un lato all'immediatezza e alla semplicità dell'apparecchiatura che permette di trasformare lo spettatore in performer, mettendolo semplicemente in immagine : proiezioni su pannelli riflettenti, schermi rotanti, telecamere di sorveglianza, fanno sì che lo spettatore sia inscritto come figura nell'opera, oltre che essere colui che guarda se stesso guardare ... (4). Questo ci appare come il tratto peculiare dell'installazione multimedia. Il dispositivo elettronico opera il passaggio della scultura " da mezzo statico e idealizzato a mezzo temporale e materiale e serve a situare sia lo spettatore che l'artista di fronte all'opera e al mondo, in un'attitudine umile al fine di affrontare la profonda reciprocità che si instaura fra i due. Si è evidenziato che tale peculiarità discende da quelle pratiche artistiche che teorizzavano e sperimentavano la costruzione di un'opera sulla quale lo spettatore potesse intervenire "riarrangiandola", Fluxus in testa... Tale disponibilità dell'opera a essere ricomposta dallo spettatore, è espressione anch'essa della crisi dell'autore come produttore. La sua rinuncia a essere unico responsabile della propria opera, viene giustificata con l'obbiettivo di favorire la partecipazione da parte dello spettatore. L'enfasi su tale categoria, che assume connotazioni ideologiche-politiche, informa la pratica artistica radicale impugnata in nome della fine della storica separazione fra arte e masse. Sulla ridefinizione del ruolo dell'autore come spettatore e dello spettatore nel ruolo dell'autore si gioca l'ambiguità, le contraddizioni, le mistificazioni dell'arte della seconda metà del Novecento e, l'installazione catalizza su di sé massimamente queste istanze. "Le mie prime opere-corridoio - dichiara Nauman - sono nate dalla necessità di mettere in azione qualcun altro che eseguisse la performance, a patto però che non modificasse la mia idea [...]" (Nauman, 1988 :147). Ciò lo ha portato primariamente a pensare un'opera in cui lo spettatore "non debba guardare me che sto facendo qualcosa ", ma faccia lui stesso quello che l'artista ha già fatto.

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Nauman è estremamente chiaro :attivare lo spettatore,farlo diventare elemento e materia compositiva dell'opera stessa e del suo procedimento costruttivo , significa metterlo in condizione di sperimentare direttamente il percorso pensato e messo in atto dall'artista, inscriverlo in un tracciato prefissato e precostituito. In quest'ottica la possibilità che lo spettatore intervenga a suo piacimento nella struttura dell'opera non è contemplata. Nei Corridors ," Si vedranno in video anche parti del mio corpo, o di altre persone che vanno e vengono per questi corridoi. Qualche volta potrai vedere te stesso, altre volte vedrai sul video l'immagine di altri. Le telecamere saranno capovolte o a qualche distanza dal monitor in modo che si potranno vedere soltanto le schiene... Ha a che fare con il mio desiderio di non permettere alle persone di produrre la propria performance partendo dalla mia arte ...Non mi fido della partecipazione del pubblico" ( Nauman, 1970,ivi: 70). Nauman nella stessa intervista spiega il motivo principale per cui non ammette interferenza alcuna da parter dello spettatore, se non quella prospettata e prevista per lui dall'artista : " Il problema con questo tipo di approccio, osservava Nauman ,è quello per cui trasforma l'arte in un gioco. Infatti, a quell'epoca un numero considerevole di artisti faceva riferimento all'arte come a un genere di gioco che tu avresti potuto giocare. Ritengo che questa sia una idea pericolosa, da considerare con sospetto. Certamente c'è un tipo di logica e di struttura nella pratica artistica che si potrebbe associare a quella del gioco. Ma partecipare a un gioco non coinvolge nessuna responsabilità, mentre ritengo che essere un'artista coinvolga una responsabilità morale. Nel gioco devi solo seguire le regole prescritte, mentre l'arte è una sorta di trucco che implica un sovvertimento delle regole o addirittura tirarsi fuori dal gioco per cambiarlo" ( ibidem). Alla luce di questa problematica, ci chiediamo quale sia stato il ruolo effettivamente assegnato allo spettatore dagli artisti che si sono posti il problema della sua compartecipazione all'opera. Generalizzando su una indagine che richiederebbe ben altri approfondimenti, la partecipazione è stata vissuta dallo spettatore come aggressione e violenza in quanto nelle esperienze partecipative proposte mancano i tratti fondamentali dello scambio comunicativo: il dialogo per esempio. Nella migliore delle ipotesi si è pensato di rivolgersi allo spettatore per educarlo e ammaestrarlo, o di assumerlo come una maschera dietro cui si celava l'autoreferenzialità dell'autore. E' stato costretto, suo malgrado a diventare performer, obbligato a compiere delle azioni... In realtà , sotto l'istanza partecipativa, si sono veicolati messaggi sadici e perpetrate violenze nei confronti di uno spettatore che ha pagato la sua presunta vicinanza all'opera ( condividere lo stesso spazio praticato dall'artista) , con l'accecamento , l'impossibilità cioè di interpretarla, decodificarla, guardarla a distanza. In nome della parola d'ordine partecipazione, aggiornata con interattività, si rinuncia al lavoro psichico, si abbassa la dimensione visionaria che l'opera dovrebbe

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possedere: aver messo in gioco lo spettatore ,paradossalmente si rovescia nel suo contrario, in un prendersi gioco di lui, proprio quando lo si sarebbe dovuto esaltare. Oggi:che fare? La sintetica esposizione delle linee conduttrici del lavoro di Bruce Nauman,assunto come esempio di un movimento più vasto, ci pone un interrogativo - che è quello che ha mosso e da cui si è avviata la nostra riflessione - :come si pone oggi la questione? L'arte di fine secolo vive attanagliata fra un destino minoritario,che è quello di regredire a una fase pre-novecentesca e premoderna, precedente alla messa in crisi della categoria di opera, e l'altro, che è quello di alimentare la grande rete della comunicazione, disperdersi e confondersi come pura informazione, scegliendo le varianti dell'intrattenimento, del gioco e dello spettacolare sensazionalistico. Gli intellettuali e gli artisti che inneggiano alla sparizione dell'arte, pur continuando ad occupare i luoghi dell'arte e i suoi apparati, liquidano sommariamente l'apporto delle avanguardie storiche come operazione elitaria e fine a se stessa ( dimenticando che proprio da esse è partita l'istanza di degradare l'arte al livello del quotidiano e dell'immediato ); esultano all'idea di una estetizzazione della vita sociale, considerandola come una conquista ottenuta contro la borghesia ,che avrebbe relegato l'arte in una sfera separata e specifica. Riconoscono nelle tecnologie applicate al computer e nelle operazioni che tramite esso si effettuano, la rivincita della cultura bassa contro quella alta, consacrata dai media tradizionali, come il libro, divenuto obsoleto. Inneggiano allo stile della Trash Tv e agli artisti che come Matthew Barney " puntano sui momenti popmitizzati del video" , che secondo il critico Tom Holert, si sarebbe autonomizzato dalle Belle Arti. In un saggio pubblicato su Flash Art, Holert (1996: 66) liquida con disinvoltura il lavoro di artisti come Bill Viola in quanto sarebbe poco rappresentativo del mutamento in atto che vede il passaggio del video da nuovo medium a vecchio, in "relazione fra arte e attivismo". Su Internet si appuntano le speranze di coloro che vedono nelle nuove tecnologie la possibilità di far diventare tutti autori... L'ideale di un'arte moderna e popolare che , secondo la famosa formulazione di Walter Benjamin, scuota di dosso il peso dei tesori che gravano sulle spalle dell'umanità e liberi le masse dalla soggezione classista nei confronti della cultura e dell'arte, è ancora oggi l'ipotesi che muove, come ai primi del secolo, le istanze di tecnologizzazione delle pratiche artistiche contemporanee? Il tributo che in questo fine secolo si reca agli artisti che sperimentano l'uso di nuove tecnologie, scaturisce in parte, con falsa coscienza, dalla convinzione che esse giovino alla socializzazione dell'arte ma anche dal bisogno di sentirsi al passo con i tempi. Ci sembra invece che la "perdita dell'aura " che le tecniche di riproduzione hanno provocato, non sia più da considerarsi come fattore di liberazione di energie creative e di

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democratizzazione della produzione , come a suo tempo Benjamin l'aveva esaltata. L'aver anteposto la funzione "espositiva" rispetto a quella "cultuale e religiosa" dell'arte, ha prodotto, a nostro avviso, un degrado del ruolo dell'autore che si è voluto scambiare con quello dello spettatore . Stiamo vivendo l'estrema fase di un processo secolare che è iniziato all'insegna della coscienza tragica incarnata dall'Angelus Benjaminiano. La dispersione delle competenze , dei saperi, praticata e professata come carattere rifondativo e "aurorale", ha prodotto, nel corso della seconda metà del Novecento, una salutare dimenticanza rispetto a tutto ciò che era stabilizzato e costituito come patrimonio e convenzione, sostituendo alle regole disciplinari, di genere e di apparato, l'errore, alla conoscenza l'ignoranza, al funzionamento della macchina il disordine e l'intoppo. Se venti anni fa, la posizione di uno studioso come Michael Fried, era di fatto un ostacolo lungo il processo di sperimentazione in atto che artisti visivi e non stavano conducendo, perché sosteneva che dovessero rientrare ciascuno nel luogo proprio da cui era fuoriuscito, oggi, la posizione di uno studioso come Hal Foster (1996), non certamente mosso da istanze restauratrici, che sostiene la necessità di reintegrare "la fondatezza disciplinare della storicità delle pratiche artistiche e dei discorsi critici "(5), è senz'altro da condividere. La scena dell'arte è stata purificata, azzerata, contaminata, attraversata: tutto ciò costituisce la storia e il patrimonio del Novecento che dobbiamo essere in grado di valutare e analizzare nei suoi risultati inediti. La reiterazione semplificata dei caratteri dell'estetica delle avanguardie, è priva di valore etico e artistico; la categoria di immediatezza e istantaneità che si è imposta nell'estetica del Novecento sotto l'influenza dei nuovi media - la fotografia, la radio,il cinema,la televisione -, da cui il ready made, la pop art, i paesaggi della land art, esibisce la sua fragilità, in quanto nel momento in cui l'arte tenta di competere con la realtà, diventa ad essa subalterna. A fine secolo l'immediatezza si è trasformata in oscenità, in quanto rivendicazione di una presunta mancanza di distanza fra sé e l'opera (6). Tale assenza di demarcazione, teorizzata dalle tendenze più alla moda dell'arte contemporanea, fa a meno del lavoro immaginativo del soggetto, della disciplina, della forma... di quello che Pietro Montani molto efficacemente definisce "etica della composizione" che richiede " un lavoro di decostruzione dell'immaginare attivo". Il lavoro compositivo è un tessere e ritessere qualcosa che è lacerato, che è impossibile riportare a unità e che ciononostante si persegue. Procedere nella pratica artistica secondo "un'etica della composizione" è tanto più necessario in quanto abbiamo a che fare " con la crescita smisurata di una grande macchina immateriale che non smette di convincerci che siamo esonerati da qualunque ricerca di spazi compositivi e tenuti a praticare gli accessi facili e le forme già pronte " (Montani,1996). Bisogna addestrarsi a lanciare un dialogo fra "io " e "

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mondo", per quanto fragile e minacciato dalla coincidenza fra soggetto dell'enunciazione e autore , dall'autoreferenzialità, dal prevalere della prima persona e del primo piano del volto che grandeggia senza confronto con altro da sé . Bisogna raffigurare un soggetto che assume su di sé delle responsabilità, che pratica "il gioco del chiedere" , citando il dramma di Peter Handke ( 1993), che sia in grado di sostenere il confronto con l'insieme dei modelli formali e ideologici della tradizione. Roma novembre 1996 1. Assumo il termine dionisiaco e il concetto a esso relativo dalla speculazione di Ejzenstejn sull'organicità dell'opera d'arte, patetica e estatica,organicità plasmata sulla figura di Dioniso, assunto come dispositivo che presiede all'attività artistica che si produce mediante un processo di scissione e messa in forma, scomposizione analitica e sintesi. Concetti rielaborati e presentati da Pietro Montani in una limpida sintesi in alcuni saggi raccolti nel volume, Fuori campo, studi sul cinema e l'estetica , QuattroVenti,Urbino,1993. 2. La tesi di Fried viene confutata da Rosalind Krauss, in Passages in Modern Sculpture (1977) che vede nella trasformazione della scultura da statica a dinamica una conquista da considerare positivamente:"...il genere di teatralità che si può trovare nel lavoro di Oldenburg,Morris e Nauman è fondamentale per la riformulazione del progetto scultoreo: cosa è l'oggetto, come lo conosciamo e cosa vuol dire "conoscerlo". In questo modo torniamo alla polemica contro il teatro...Fried ha asserito che la teatralità lavora a danno della scultura - confondendo il concet to di quello che è stata essenzialmente la scultura, deprivandola in tal modo del significato stesso del termine "sculturale" e privandola allo stesso tempo della sua importanza. Ma la scultura di cui abbiamo parlato è chiamata in causa per via della sensazione che quello che la scultura "è stata" non sia più sufficiente, in quanto fondata su un mito idealista. E nel tentativo di scoprire cosa è la scultura o cosa potrebbe essere, si è usato il teatro e il suo apporto con il contesto dello spettatore come uno strumento di distruzione, di investigazione e di ricostruzione (Krauss,1977-81 :243). 3. A volte invece Nauman scrive dei veri e propri testi, ricchi di assonanze, ossimori, giochi di parole, come in Flayed Earth Flayed Self (Skin Sink) ( 1973) in cui il tema dominante è ancora quello del nascondersi e sparire, in un parallelo scambio fra il sé e la terra, l'interno e l'esterno: scorticare la terra è come scorticare sé,il corpo equivale alla mente,il fisico al mentale. Il mondo non scompare cancellato dall'io, ma sta tutto al suo interno . 4. In una cronaca firmata da Douglas Davis "Veni,vidi,video" apparsa in Newsweek il 13 aprile 1970,si legge un divertente -

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per noi oggi a distanza di quasi trenta anni - commento alla vendita di un'edizione di tre videotape "originali" di Bruce Nauman, la prima del genere effettuata dalla galleria Castelli Sonnabend di New York."Ileana Sonnabend - scrive Davis nella sua cronaca -sostiene che il videotape sia un mezzo come ogni altro, a disposizione dell'artista, come la pellicola cinematografica. In questo giudizio è affiancata dal mercante newyorkese Howard Wise che ha messo in vendita un'opera video a colori di Eric Siegel in un cofanetto che comprende quattro video e da musei come il Whitney e il Modern, entrambi in procinto di aggiungere all'interno delle loro collezioni videotape prodotti nell'ambito delle Belle Arti. Nell'articolo Davis sottolineava come qualità specifica del videotape la facilità del suo funzionamento: " esempio,utilizzare l'acquerello dal momento che "si sviluppa" da solo, permettendo la visione immediata dalla telecamera al monitor" ( Davis,1970,cit.). 5. Crediamo che sia mistificante mantenere la dicotomia secondo cui chi sostiene l'interdisciplinarietà sarebbe rivoluzionario e chi difende lo specifico conservatore. Condividiamo le preoccupazioni che Hal Foster esprime nel suo libro: The return of real (1996) : " l'espansione interdisciplinare ha eroso la fondatezza disciplinare della "storicità delle pratiche artistiche e dei discorsi critici ". Ciò ha provocato l'indebolimento delle discipline storiche che, sottratte alla dinamica della contestualizzazione storico-critica, diventano sapere museificato, o al contrario, ma identico merci offerte al mercato dei media di massa". 6. Hal Foster sostiene che il trauma costituisce nell'esperienza del soggetto la possibilità di fondare la soggettività e l'eventualità dell'incontro fra un reale osceno e un reale dell'identità: " da una parte si punta a una critica definitiva del soggetto, per cui non esiste di per sé un soggetto del trauma, il trauma è una rottura nella soggettività. Dall'altro lato si restituisce a questo non-soggetto un'assoluita autorità come sopravvissuto e testimone "(Foster,1996 :51). Ho trattato questo tema - l'oscenità dell'arte di presentazione in un breve testo dal titolo L'estetica del trauma ,pubblicato in occasione della rassegna Palermo Cinema,1996,nel catalogo omonimo. Riferimenti bibliografici Chris Dercon ," Keep Taking Apart, A conversation with Bruce Nauman ",Parkett ,n.10 1986 Anne- Marie Duguet, "Dispositifs ", Communications,n.48, Seuil,1988 (trad.it. in Il Nuovo Spettatore 15, FrancoAngeli, Milano, 1993). Michael Fried, Art and objecthood, "Artforum",giugno 1967

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Hal Foster , "Il ritorno del reale" un'intervista con Hal Foster di Miwon Kwon in Flash Art,aprile maggio 1996 pp 50-51 . Peter Handke,Il gioco del chiedere,Milano, Garzanti 1993. Tom Holert," l'Arte del controllo", FlashArt,n.199.1996,pp.66-69. Pietro Montani,Che ne è della forma nel frattempo?, intervento al Convegno Forma e tempo, Università di Cassino, aprile 1996 (inedito). Rosalind E. Krauss,Passages in Modern Sculpture, 1977 ,The MIT Press, Cambridge (MA) ,1981. Margaret Morse, " Video,Installationn Art: the Body,the Image and the Space-in-Between",in Illuminating Video .An Essentiak Guide to Video Art,, a cura di Doug Hall e Sally Jo Fifer, Aperture/Bayc,New York, 1990. Joan Simon ( a cura di ), Bruce Naumann. Catalogue Raisonné, Minneapolis Walker Art Center, Art Pubblisher ,Minneapolis,1993. Paul Schimmel,"Pay Attention", in Catalogue Raissonné,op. cit. Alfred Simon," Teatro della scrittura,scrittura di scena" in S.Beckett,Teatro completo,Einaudi-Gallimard, Torino, 1993 Joan Simon, " Breaking the Silence: an interview with Bruce Nauman",Art in America,n.76,settembre 1988,pp.141-203. Willoughby Sharp," Body,Works", ,n. 1 ,1970 Avalanche.