13 - Progressi in Medicina e Chirurgia Del Piede - Fascite Plantare

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PROGRESSI IN MEDICINA E CHIRURGIA DEL PIEDE 14 VOL.

2005

FASCITE PLANTARE: TRATTAMENTO ENDOSCOPICO M. Guelfi, F. Grilli, E. Abello, A. Palermo, F. Priano

Associazione professionale GOST- Clinica Villa Montallegro - Genova

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Introduzione Il trattamento endoscopico della fascite plantare è iniziato nei primi anni ’90, è infatti del

1993 la prima pubblicazione di Barrett sul release endoscopico della fascia; è secondo, tra le patologie extra-articolari trattate endoscopicamente, solo alla sindrome del tunnel carpale il cui trattamento endoscopico è iniziato negli anni ’80,.

Nel 1987 Okutsu pubblica la sua prima serie di 54 casi di sezione del legamento traverso del carpo con tecnica endoscopica, seguito nel 1989 da Chow e nel 1990 da Agee e successivamente da molti altri che hanno utilizzato metodiche mini-invasive.

Negli ultimi dieci anni molte sono le patologie extra-articolari dell’arto inferiore ad essere state trattate con tecniche endoscopiche, oltre alla fascia plantare possiamo ricordare la fascectomia del tibiale anteriore nelle sindromi croniche a un portale secondo la tecnica di Fritchy nel 2000 e a quattro portali secondo la tecnica descritta da Guelfi-Priano nel 2001, la bursectomia trocanterica con il release del tensore della fascia lata per anca a scatto, la tenolisi del tendine di Achille in caso di tendinopatia con ipertrofia del peritenonio, la calcaneoplastica endoscopica per il trattamento del calcagno di Haglund con tendinopatia inserzionale del tendine di Achille.

Anatomicamente la fascia plantare è una struttura costituita da una spessa e densa banda di fibre di collagene orientate longitudinalmente, come la descrive Malerba [1], che prossimalmente si inserisce sulla porzione plantare della tuberosità calcaneare con una struttura spessa e ristretta come un tendine che poi si allarga sull’osso entrando in continuità con il periostio ha la forma triangolare con l’ apice posteriore inserito sul calcagno e la base anteriore alla radice delle dita ( articolazioni metatarse falangee ).

Questa fascia ha un ruolo importante nella trasmissione di forza dal tricipite surale all’ avanpiede, e la sua viscoelasticita’ permette di restituire per distensione elastica una notevole quantita’ di energie ad appoggio nella corsa o nel salto; è una struttura fibrosa superficiale nella pianta del piede e si continua con la fascia profonda del dorso del piede, dopo avere preso inserzione sul periostio dei margini del 1" e 5" metatarsale.

Con foglietti fibrosi più sottili delimita le logge dell'alluce e del 5" dito; la loggia centrale è ricoperta dalla aponeurosi plantare, più spessa, che si inserisce posteriormente alla tuberosità del calcagno ed anteriormente si suddivide in 5 espansioni digitali passanti nella superficie plantare delle dita. Più profondamente fasci di fibre trasversali formano il legamento trasverso superficiale del metatarso tra le teste delle ossa metatarsali. Le espansioni digitali terminano superficialmente a livello della cute plantare, e profondamente alle guaine fibrose dei tendini flessori. II fascio laterale è più spesso posteriormente, verso il calcagno, e più sottile in direzione del 5" dito.

Diverse fibre si inseriscono invece al tessuto sottocutaneo, ai legamenti intermetatarsali, alle guaine dei tendini flessori. Espansioni sottili e non direzionalmente strutturate raggiungono medialmente l’abduttore dell’alluce e lateralmente l’abduttore del quinto. Infine espansioni dorsali creano setti nella muscolatura intrinseca plantare. Strutturalmente la fascia plantare può essere schematizzata come una banda di tessuto fibroso saldamente inserita al calcagno da una parte, e dall’altra fissata in strutture invece dotate di grande motilità. Pertanto la mobilizzazione delle dita in dorsi-flessione causa una messa in tensione della fascia plantare.

La funzione biomeccanica della fascia plantare è da considerarsi in due condizioni distinte: il carico statico e la deambulazione.

La funzione di supporto in carico statico dell’arco longitudinale mediale esercitata dall’aponeurosi plantare è un meccanismo passivo di sostegno del carico per trazione sulla stessa fascia. In questa condizione la muscolatura intrinseca ed estrinseca del piede è relativamente

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inattiva. La fascia esercita quindi una funzione passiva di stabilizzazione, coadiuvata dai legamenti plantari e dallo spring ligament. .[1].

Durante la deambulazione la fascia plantare rimane rilassata durante tutte le fasi del passo eccetto che durante il “ toe-off”, quando le dita di dorsiflettono l’aponevrosi plantare entra in tensione; nella dorsi-flessione delle metatarso falangee l’aponevrosi plantare, tendendosi si comporta come un verricello che provocando una trazione sulla sua inserzione prossimale solleva l’arco longitudinale e inverte il retropiede.

La fascia plantare agisce anche come superficie di scivolamento al di sotto delle teste metatarsali ed utile alla distribuzione delle pressioni plantari e agisce inoltre come fascia di protezione delle strutture profonde dell’avampiede.

Fascite plantare

La flascite plantare rappresenta un problema frequente negli sports che comportano spinte ripetute o salti, quali l’ atletica ( corsa salti ), la ginnastica, la danza. Il sintomo piu’ eclatante e’ il dolore alla pianta del piede durante la pratica agonistica, poi anche a riposo o nella deambulazione, soprattutto al mattino appena alzati. In alcuni casi si può verificare una enteropatia calcifica alla inserzione sul calcagno, con ossificazione e formazione di un osteofita calcaneale ed immagine radiografica di "punta" o “sperone” calcaneale. E' presente di solito una dolorabilità marcata e localizzata medialmente al calcagno a livello della faccia plantare, eventualmente con irradiazione distale, ed esacerbata dal carico e dalla ripetuta contrazione dei muscoli flessori delle dita.

Fattori predisponenti alla comparsa di patologie a carico della fascia plantare sono: 1) Errori di allenamento: carichi di lavoro molto intensi od incrementi troppo repentini degli stessi comportano un sovraccarico funzionale della fascia con conseguente comparsa del dolore plantare. 2) Fattori anatomici:

piede cavo che determina un aumento di tensione della fascia; sovrappeso dell’ atleta; ipotrofia dei muscoli intriseci del piede. Questo inconveniente puo’ essere superato

mediante opportuni esercizi e/o trattamenti riabilitativi; 3) Biomeccanica della corsa, un’ appoggio con pronazione accentuata, cioe’ con un sollevamento del margine esterno del piede e depressione di quello interno, determina un aumento di tensione della fascia per il prolungamento della fase intermedia dell’ appoggio. 4) Tipo di scarpa, spesso la fascite compare al cambio di scarpe usurate con una nuova calzatura che risulti inadatta al tipo di appoggio dell’ atleta, o troppo pesante e troppo leggera per la sua andatura, oppure di misura piu’ larga. Quindi nella scelta del tipo di scarpa si ricordi che ogni piede vuole la sua scarpa, nel senso che ogni soggetto presenta una diversa adattabilita’ per cui e’ la calzatura che deve adattarsi al piede e non viceversa. 5) Terreni di allenamento, terreni irregolari come nella corsa campestre, o superfici dure comel’ asfalto ed a volte le sintetiche possono favorire la comparsa di flascite plantare. 6) Malattie sistemiche, reumatiche, metaboliche.

Nessuno dei fattori suddetti da solo e’ causa di patologia, ma la combinazione di due o piu’ di essi possono determinare la flascite plantare. Come abbiamo gia’ detto il sintomo principale e’ il dolore plantare sia durante l’ attivita’ fisica che a riposo, accentuato dalla presso-palpazione della pianta del piede. Utili ai fini diagnostici nei casi cronici possono essere:

RX del piede, che puo’ evidenziare alterazione della morfologia, in particolare piede cavo o piatto, enteropatia calcifica nel punto di inserzione della fascia;

ECOGRAFIA plantare, per escludere presenza di lesioni della fascia;

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RMN della caviglia e del meso-retropiede.

È una patologia di frequente riscontro e al contempo di non rapida e non facile guarigione in cui clinicamente il sintomo fondamentale è il dolore, abitualmente localizzato sulla faccia plantare del tallone a livello del tubercolo calcaneale mediale (80%dei casi), più raramente diffuso anche sulla pianta del piede lungo il decorso dell’aponevrosi plantare e sulle faccia mediale del piede (20%). L’èntità del dolore è molto variabile da paziente a paziente; quando il dolore è particolarmente intenso il paziente non riesce a caricare sul tallone. Comunemente il dolore è: particolarmente acuto al mattino al risveglio, ma non è un sintomo costante, si accentua con il carico, raggiunge la sua massima intensità alla sera dopo lunga stazione eretta , si alternano periodi più o meno lunghi di dolore ad altri di relativo benessere[2]. All’ispezione il piede, è ricoperto da cute integra, nei casi particolarmente acuti può rilevare un arrossamento ed un gonfiore sulla pianta del tallone, la palpazione è finalizzata alla ricerca di punti dolorosi a livello del tubercolo mediale della tuberosità calcaneare e sulla pianta del piede lungo il decorso dell’aponevrosi. La valutazione della motilità dell’articolazione tibio-tarsica consente di capire se vi è una brevità del tendine di Achille. Dal punto di vista istologico i campioni esaminati dai reperti chirurgici dimostrano che le microlesioni della fascia sono caratterizzate da necrosi dei fibrociti, metaplasma condroide, proliferazione angiofibroblastica e degradazione delle fibre di collagene tipo I. Questo quadro microscopico è caratteristico della trasformazione degenerativa cronica dovuta alle sollecitazioni meccaniche ripetitive sui tessuti molli [3].

Il trattamento conservativo è quello d’elezione, consiste nel riposo, l’impiego di ortesi plantari, l’impiego di FANS per via sistemica, terapia fisica (U.S. in acqua, Laser, Roentgen, Onde d’urto), infiltrazioni locali di corticosteroidi. II dolore locale di solito si risolve spontaneamente entro alcuni mesi, e può essere alleviato mediante l'utilizzo di plantari o bendaggi funzionali. A cio’ deve seguire una ripresa graduale dell’ attivita’ sportiva, programmando adeguatamente l’ aumento dei carichi di lavoro, ritardando nel tempo l’ attivita’ di salti, evitando inizialmente la corsa su superfici dure preferendo, ad esempio la corsa sul prato o sabbia. Infine e’ molto importante la corretta scelta del tipo di scarpa, e l’ eventuale adozione di plantari ortopedici che correggano i difetti e/o biomeccanici. La terapia conservativa deve essere attuata sempre e protratta a lungo, nel 90% circa dei casi si ottengono buoni risultati, qualora il risultato, dopo almeno 12 mesi di terapia conservativa adeguata e correttamente eseguita, sia insoddisfacente, si può porre una indicazione chirurgica [4]. Le tecniche chirurgiche tradizionali prevedono una incisione mediale longitudinale di alcuni centimetri a livello della tuberosità calcaneare plantare per esporre la fascia alla sua inserzione prossimale ed eseguire la sezione a tutto spessore, alcune tecniche prevedono anche l’asportazione di una porzione di tessuto fasciale e la asportazione dello sperone plantare calcifico.

La tecnica endoscopica prevede la possibilità di eseguire la fasciotomia attraverso una o due piccole incisioni medialmente e lateralmente alla porzione plantare del tubercolo calcaneare, attraverso queste incisioni si introducono l’ottica e gli strumenti. Il Paziente è posto in posizione supina, l’anestesia è loco-regionale, si applichia un laccio emostatico alla caviglia previa compressione con fascia di Esmarch; il primo portale è quello mediale (foto 1), è situato sul prolungamento di una linea che passa posteriormente al margine posteriore del malleolo mediale che interseca l’origine mediale della fascia plantare alla tubertosità calcaneare (foto 2).

Si introduce la cannula plantarmente alla fascia e si esegue il portale laterale all’apice della cannula stessa (foto 3), si posiziona l’endoscopio medialmente e poi lateralmente per avere la visione sia da un lato che dall’altro (foto 4-a e 4-b) e il bisturi è controlaterale all’ottica (foto 5), visualizzata la fascia (foto 6) si esegue con il bisturi retrogrado la sezione dei due terzi mediali della

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fascia (foto 7) che deve essere sezionata a tutto spessore in modo da vedere il muscolo flessore breve delle dita sporgere dalla fascia tagliata (foto8).

I Pz. sono stati trattati tutti in regime di Day-Hospital, con anestesia loco-regionale e concessione di carico parziale al risveglio dell’arto.

Abbiamo eseguito la fasciotomia plantare endoscopica con tecnica ad un portale dal Gennaio 1995 al Giugno 1997, abbiamo eseguito 32 fasciotomie plantari endoscopiche in 27 Pz. (5 bilat.), l'età media dei Pz. è di 39 aa., l’intervallo medio tra la comparsa dei sintomi e l’intervento è stato di 13 mesi ( min. 11, max. 16) [5].

Da alcuni anni eseguiamo la tecnica a due portali che abbiamo visto essere più comoda e di più semplice esecuzione, utilizziamo lo stesso strumentario, modificato opportunamente, da un lato si introduce l’ottica, dall’altro il bisturi endoscopico.

Nel 1998 abbiamo presentato i risultati preliminari, considerando solo i pazienti sottoposti ad intervento nel periodo preso in considerazione per avere un follow-up minimo di 12 mesi, su 27 Pz. operati abbiamo avuto 23 pazienti soddisfatti, 3 parzialmente soddisfatti e uno insoddisfatto [6].

Stiamo monitorando tutti i pazienti sottoposti ad intervento e alla riunione della Società Italiana di Chirurgia e Medicina del Piede, svoltasi il 11.11.01 in occasione del 86° Congresso della S.I.O.T. di Roma, abbiamo riportato i risultati del periodo preso in considerazione per avere un follow-up sufficientemente lungo (minimo 48 mesi); su 27 Pz. operati, 24 si sono presentati al controllo, tra questi 21 erano soddisfatti, 2 parzialmente soddisfatti ed uno insoddisfatto, sei sono stati i Pz. Che nel frattempo si sono fatti operare all’arto controlaterale [7].

Le casistiche più recenti [8] riferiscono buoni risultati in più del 90% dei casi con follow-up superiore ai due anni.

La fasciotomia plantare, sia con tecnica tradizionale a cielo aperto che con tecnica endoscopica è un tipo di trattamento discusso perché a fronte di un remissione rapida della sintomatologia può provocare importanti problemi a distanza di alcuni anni, in particolare al mesopiede, per la perdita della funzione di sostegno della fascia plantare con conseguente riduzione della volta e sovraccarico della porzione dorsale delle articolazioni di Chopard e di Lisfranc. [9]

La fasciotomia deve essere parziale, il terzo laterale deve essere preservato per ridurre gli inconvenienti a carico del mesopiede che si possono manifestare, a distanza di tempo, in seguito al cedimento dell’arco plantare interno, in uno studio su cadavere Anderson riferisce che è meglio sezionare solo il 25% mediale della fascia [10].

Il problema riteniamo che sia soprattutto nell’indicazione e nella tecnica; i Pz. devono essere sottoposti ad un corretto iter diagnostico clinico e strumentale, e ad un adeguato e corretto periodo di terapia conservativa, solo nei casi di insuccesso di quest’ultima consigliamo la fasciotomia; sicuramente è molto utile seguire il decalogo redatto dalla AOFAS (Società Americana di Chirurgia del Piede e Caviglia) in cui vengono ricordate e ribadite le indicazioni, le controindicazioni e la necessità di adeguata terapia conservativa [11-12]; in particolare è necessario evitare di sottoporre alla fasciotomia Pz. con alterazioni struttrali quali il piede piatto o degenerative artrosiche della scafocuneiforme, della calcaneocuboidea e delle tarso-metatarsali.

Riteniamo, in accordo con Ferkel, Palumbo, Barret e Kinley [8-11], che la molta controversia che c’è stata su questa tecnica sia legata all’indicazione, nel caso sia necessario eseguire una fasciotomia plantare, la tecnica endoscopica è sicuramente da preferire a quella a cielo aperto per gli importanti vantaggi (minima cicatrice, nessuna immobilizzazione, carico precoce, guarigione più rapida, ripresa lavorativa e/o sportiva più veloce).

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BIBLIOGRAFIA

1. F. Malerba, F. De Marchi Biomeccanica della fascia plantare. Progressi in Medicina e Chirurgia del Piede, Il dolore calcaneare, 2003, 12, pp 9-12

2. Andreasi A., Ceschi M.: Fascite plantare. Progressi in Medicina e Chirurgia del Piede, Il dolore calcaneare, 2003, 12, pp 59-64

3. Pfeffer G.B.: Plantar heel pain. Instr Course Lect. 2001;50:521-31. 4. Mc Garvey WC Heel pain and plantar fasciitis. In Ferkel RD (eds) Sports medicine of

the foot & ankle AOFAS, Palm Springs, 2001; pp 59-67 5. Guelfi M, Abello E, Priano F L’impiego dell’endoscopia negli spazi extra-articolari

dell’arto inferiore. Rivista Italiana di biologia e medicina. 2002; 22 Suppl. 1 al n. 1-2 pp 231-234

6. Guelfi M, Gatto P, Russo A, Calcagno S, Priano F Release endoscopico della fascia plantare. The Mediterranean journal of surgery and medicine. 1997; 10:40-42

7. Guelfi M, Grasso M, Abello E, Priano F Fascite plantare, trattamento chirurgico endoscopico: follow-up a 4 anni. S.I.M.C.P. atti giornate superspecialistiche SIOT-Roma 2001

8. Ferkel RD Endoscopic plantar fascia release. In Ferkel RD (eds) Sports medicine of the foot & ankle AOFAS, 2001; Palm Springs, pp 161-169.

9. Daly PJ, Kitaoka HB, Chao YS. Plantar fasciotomy for intractable plantar fasciitis: clinical results and biomechanical evaluation. Foot Ankle 1992;13: 188-95.

10. Anderson DJ, Fallat LM, Savoy-Moore T Computer-assisted assessment of lateral column movement following plantar fascial release: a cadaveric study.. Journal of Foot & Ankle Surgery 2001 Mar-Apr;40(2):62-70.

11. Barret SL, Day SV, Pignetti TT, Robinson LB. Endoscopic plantar fasciotomy: a multi-surgeon prospective analysis of 652 cases. Journal of Foot & Ankle Surg.ery. 1995; 34:400-407

12. Page AE, O’Malley MJ, Cook R Endoscopic plantar fascia release: short-term clinical follow-up. AOFAS 1998 Summer meeting.

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Didascalie foto:

1. Reperi anatomici per il posizionamento del primo portale, quello mediale.

2. Introduzione della cannula nel portale mediale.

3. Portale laterale all’apice della cannula.

4. Introduzione dell’ottica: a-mediale b-laterale.

5. Ottica da un lato e bisturi dall’altro.

6. Visualizzazione endoscopica della fascia plantare.

7. Inizio della sezione della fascia plantare con bisturi retrogrado.

8. Aspetto finale della fascia sezionata a tutto spessore con visualizzazione del muscolo sottostante

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