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la meglio gioventù TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE 06081 ASSISI ITALIE ISSN 0391 108X periodico quindicinale Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post. dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Perugia e 2.70 Rivista della Pro Civitate Christiana Assisi 13 1 luglio 2017 geopolitica il Qatar capro espiatorio politica italiana ritorno al bipolarismo? balene azzurre il gioco della morte clima Trump e i negazionisti scienza inglese o italiano nelle Università? tortura una deludente proposta di legge teologia il «noi matrimoniale» nell’odierna società aperta ISSN 2498-955X

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la meglio gioventùTAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE – 06081 ASSISI – ITALIE ISSN 0391 – 108X

periodico quindicinalePoste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post.dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)art. 1, comma 1, DCB Perugiae 2.70

Rivistadella

Pro Civitate ChristianaAssisi 13

1 luglio 2017

geopoliticail Qatarcapro espiatorio

politica italianaritornoal bipolarismo?

balene azzurreil gioco della morte

climaTrump ei negazionisti

scienzainglese o italianonelle Università?

torturauna deludenteproposta di legge

teologiail «noi matrimoniale»nell’odiernasocietà aperta

ISSN 2498-955X

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eutanasiafine vitalegge 194Pietro GrecoMedici: Diritto alla salute e obiezione di coscienza (n. 12/2017)Laici e cattolici stranieri morali? (n. 3/2013)Cos’è dunque la morte? (n. 4/2011)

Giannino PianaTestamento biologico: Oltre gli steccati ideologici (n. 6/2017)Legge 194: Obiettori di coscienza in corsia (n. 11/2014)Tra cura e accanimento terapeutico (n. 13/2013)Bioetica laica, bioetica cattolica: Il dialogo possibile (n. 3/2013)Chi decide della mia morte? (n. 4/2011)

Fiorella FarinelliTestamento biologico in Parlamento: La legge alla prova della libertà di scelta (n. 4/2017)

Giovanni SabatoCriopreservazione: Umani in sospensione (n. 1/2017)Notizie dalla scienza: Esperienze di quasi morte (n. 19/2013)

Piero FerreroEtica, diritto, relazione: La tensione vita-morte (n. 20/2014)

Raniero La ValleIl falso testamento (n. 15/2011)

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46 Andrea GrilloPapa FrancescoIl noi matrimoniale nell’odierna società aperta

49 Lidia MaggiSpezzare le cateneUn liberatore frettoloso

50 Carlo MolariTeologiaL’immagine di Dio in Papa Francesco

52 Giuseppe MoscatiMaestri del nostro tempoLucien GoldmannDio, la storia e l’uomo: una scommessaineludibile

54 Ilenia Beatrice ProtopapaNuova AntologiaClarice LispectorLes barricades mystérieuses…

56 Enrico PeyrettiFatti e segniCome il mare

57 Paolo VecchiCinemaUna vita

58 Roberto CarusiTeatroGoldoni controluce

58 Renzo SalviRf&TvTv? Oh mamma mia!

59 Mariano ApaArteBosch

59 Michele De LucaFotografiaGuido Harari

60 Alberto PellegrinoFotografiaPatti Smith a Parma

60 Giovanni RuggeriSiti InternetLa rete che non ama

61 Libri

62 Carlo TimioRocca schedePaesi in primo pianoKosovo

63 Luigina MorsolinFraternitàBurkina Faso: crescere e conoscere

som

mari

o4 Ci scrivono i lettori

7 Anna PortoghesePrimi Piani Attualità

11 VignetteIl meglio della quindicina

13 Maurizio SalviGeopoliticaIl Qatar capro espiatorio della politicamediorientale

15 Tonio Dell’OlioCamineiroIl sogno di proibire le armi nucleari

16 Ritanna ArmeniPolitica italianaRitorno al bipolarismo?

19 Romolo MenighettiOltre la cronacaUn letto a casa per il boss

20 Fiorella FarinelliServizio civileLa meglio gioventù

23 Oliviero MottaTerre di vetroSconfinati

24 Pietro GrecoScienzaInglese o italiano nelle Università?

27 Daniele DoglioBalene azzurreIl gioco della morte

30 Ugo LeoneClimaTrump e i negazionisti

32 Rosella De LeonibusI volti del disagioQuale lavoro?

36 Giovanni SabatoTorturaTutta la delusione di una proposta di legge

39 Stefano CazzatoLezione spezzataUn supporto maieutico

40 Luca BenediniEconomiaOltre Keynes

43 Marco GallizioliChe cos’è la religioneRaccontare l’esperienza religiosa13

1 luglio2017

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Gli interventiqui pubblicatiesprimonolibere opinionied esperienze dei lettori.La redazionenon si rende garantedella veritàdei fatti riportatiné fa suele tesi sostenute

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Questo numeroè stato chiuso il 16/06/2017 e spedito daCittà di Castello il 20/06/2017

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quindicinaledella Pro Civitate Christiana

Numero 13 – 1 luglio 2017

Gruppo di redazioneMARIANO BORGOGNONIGINO BULLACLAUDIA MAZZETTIANNA PORTOGHESEil gruppo di redazione è collegialmente responsabiledella direzione e gestione della rivista

Progetto graficoCLAUDIO RONCHETTIFotografieAndreozzi B., Ansa-LaPresse, Associated Press, Ballarini, Be-rengo Gardin P., Berti, Bulla, Carmagnini, Cantone, Caruso,Cascio, Ciol E., Cleto, Contrasto, D’Achille G.B., D’Amico, DalGal, De Toma, Di Ianni, Elisei, Felici, Foto Express, Funaro, Gar-rubba, Giacomelli, Giannini G., Giordani, Grieco, Keystone, LaPiccirella, LaPresse, Lucas, Luchetti, Martino, Merisio P., Mi-gliorati, Natale G. M., Oikoumene, Pino G., Riccardi, Raffini, Ro-bino, Rocca, Rossi-Mori, Turillazzi, Samaritani, Sansone, SantoPiano, Scafidi, Scarpelloni, Scianna, Zizola F.

Redazione-AmministrazioneVia Ancajani, 3 - 06081 ASSISItel. 075.813.641e-mail Redazione: [email protected] Ufficio abbonamenti: [email protected] Redazione 075/3735197Fax Ufficio abbonamenti 075/3735196Codice fiscale e P. Iva: 00164990541Banca Eticaconto corrente postale 15157068Bonifico bancario: UniCredit - Assisiintestato a: Pro Civitate Christiana - RoccaIBAN: IT 26 A 02008 38277 000041155890per l’estero aggiungere il BIC/SWIFT: UNCRITM1J46Quote abbonamentoITALIA: annuale cartaceo o online • 60,00; semestrale • 35,00;annuale cartaceo + online • 75,00sostenitore • 150,00ESTERO: • 150,00 Europa; • 170,00 Africa, Asiae Americhe; • 200,00 Oceania; abb. per e-mail • 85,00UNA COPIA • 2,70; numeri arretrati • 4,00Spedizione in abbonamento postale 50%Fotocomposizione e stampa: Futura s.n.c.Selci-Lama Sangiustino (Pg)Responsabile per la legge: Gesuino BullaRegistrazione del Tribunale di Spoleto n. 3 del 3/12/1948Numero di iscrizione al ROC: 5196

Editore: Pro Civitate ChristianaTutti i diritti di proprietà letteraria e artistica sono riservati.Manoscritti e foto anche se non pubblicati non si restituiscono

Accoglienza:l’esperienza delleAcli

Al di là del reperimentodegli spazi abitativi per inuovi arrivati e, al di là de-gli adempimenti burocra-tici, come creare una atmo-sfera che possa rendere ac-cettabile tale operazione?Le Acli hanno una loro ori-ginale esperienza in mate-ria, infatti sono presenti indiciotto Paesi del mondoperché, a suo tempo, han-no accompagnato i nostriemigrati ad inserirsi neinuovi contesti. Le Acli, là,hanno costituito associa-zioni, in diversi casi, conl’aiuto delle Missioni Cat-toliche Italiane (Mci).Perché non tentare unaanaloga operazione da noi?Il circolo Acli di Cernuscosul Naviglio, nell’ambitodella programmazione deifesteggiamenti del 70° difondazione, ha programma-to un «Incontro con l’espe-rienza della emigrazione ita-liana a Genk in Belgio» neigiorni 21-23 aprile scorsi esi è constatato che, quandosi facilita l’inserimento deinuovi arrivati, questi diven-tano uno strumento prezio-so anche nella gestione del-la «cosa pubblica» nei nuo-vi Paesi. Purtroppo però noiitaliani non abbiamo con-servato quella memoria sto-rica di «quando anche noieravamo stranieri…»: me-moria da recuperare quan-to prima!Nella primavera del 1996, alcircolo di Cernusco sul Navi-glio, si presentano quattroalbanesi accompagnati da unloro coetaneo Alberesc (sonoquegli albanesi che nel quin-dicesimo secolo, in seguitoalle invasioni turche, hannolasciato la loro patria e si sonostabiliti in alcune regioni delSud Italia) questo gruppochiede la possibilità di costi-tuire un’associazione albane-se nella sede delle Acli.Qualche mese dopo l’asso-ciazione Gergj KastriotiSkanderbeg nasce.L’anno seguente (1997)prende il via la Scuola diitaliano per Stranieri con170 alunni e 25 insegnanti.L’anno dopo (1998) le treparrocchie della città apro-

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CI SCRIVONO I LETTORI

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Pro Civitate Christiana, Assisi, Via Ancajani 3da venerdì 7 (ore 14) a

domenica (ore 12)9 luglio 2017

CITTADAYS 2017Incontro estivo di arte terapia

Formazione permanente della Scuola diArteterapia La Cittadella di Assisi

“Vi è una forza estremamente potente per laquale la Scienza finora non ha trovato unaspiegazione formale. È una forza che compren-de e gestisce tutte le altre, ed è anche dietroqualsiasi fenomeno che opera nell’universo(…) Questa forza universale è l’Amore…L’amore svela e rivela. Per amore si vive e simuore. Questa forza spiega il tutto e dà un sen-so maiuscolo alla vita (...) L’odio, l’egoismo e l’avi-dità affliggono il pianeta. Tuttavia, ogni individuoporta in sé un piccolo ma potente generatored’amore la cui energia aspetta solo di essere ri-lasciata. (da Lettera di Einstein alla figlia Lieserl)

“Mio cuore: strade,sentieri e labirinti”

Intorno a questo nucleo tematico si propor-ranno quattro modalità:Arteterapia – Fototerapia – Musicoterapia –DanzaterapiaProgramma a cura di M. Rosaria Gavina, Gio-vanni Grossi, Tiziana Luciani, Silvia Macchioni.Laboratori condotti da: Michela Seppoloni e Mau-rizio Vignaioli, Alessia Fabbri, Lorella Natalizi,Chiara Beschin, Alessia Santirosi, Antonello Tur-chetti, Elena Abate. Testimonianze di Tonio Dell’Olio, Valentina Simiolidi CBM ITALIA, Maria Grazia Taccucci

Informazioni e prenotazioni:Cittadella Formazione tel. 075813231 –

[email protected]

no un servizio di mensa edoccia una volta la settima-na per coloro che non han-no una abitazione decente.Mentre l’associazione alba-nese si ritrova tutte le do-menche alle Acli, il Consi-glio Provinciale Milanesedelle Acli ne approva la co-stituzione, cosicché diven-ta un vero e proprio circo-lo Acli di lingua albanese.L’anno successivo (1999)parte una delegazione delcircolo per visitare i luoghid’origine dei nostri asso-ciati albanesi.Conclusione: oggi funziona-no in Albania (a Tirana e aScutari) i servizi delle Acligestiti direttamente da alba-nesi formati adeguatamente.Ecco perché sarebbe inte-ressante che ogni comuneche accoglie questi nuoviarrivati favorisse una ag-gregazione associativa distranieri che avrebbe, in-nanzitutto, il compito di ri-cordare agli stessi le pro-prie radici, così facilitandoil proprio inserimento nelnuovo contesto. Sarebbeopportuno poi chiedere aqualche associazione loca-le di fare «da madrina» allanuova entità.Potrebbe essere esportatauna esperienza del genere?

Angelo LevatiCernusco sul Naviglio (Mi)

La carta d’identitàdel cristiano

Le tre letture relative al-l’Ascensione formano comeun trittico che nell’insiemeci consegna la carta d’iden-tità del cristiano, del suosentire e del suo operare, delsuo pensare e del suo fare.Nel Vangelo (Matteo 28,20) leggiamo questa di-chiarazione di eterna esempre contemporaneapresenza del Signore: «Iosono con voi tutti i giorni,fino alla fine del mondo».Di contro, negli Atti degliapostoli (1, 11) leggiamoquesto «rimprovero/pro-messa» «Uomini di Gali-lea, perché state a guarda-re il cielo? Questo Gesù,che di mezzo a voi è statoassunto in cielo, verrà...».Infine, nella lettera agliEfesini (1, 18) Paolo scri-ve: «Il Dio del Signore no-

stro illumini gli occhi delvostro cuore».Ecco, appunto come in untrittico porrei al centro del-la riflessione l’espressione diPaolo, a sinistra le parole diGesù e a destra il «rimpro-vero/promessa» degli Atti.Come per dire che la «profon-da conoscenza di Lui» è pos-sibile solo attraverso «gli oc-chi del cuore», che la sua pre-senza non è percepibile senon nell’amore. Un amoreaffatto cieco, un amore cheha occhi per vedere e che cifa sentire il Signore «presen-te» ma anche «assente». Nonci ubriaca nella gioia dellaSua Presenza, né ci isteriliscenel vuoto della Sua Assenza.Solo un amore perspicacepuò renderci dubbiosi nelcredere e fiduciosi nelladiffidenza, liberandoci da-gli assoluti idolatrici dauna parte e dai labirinti on-divaghi del pensiero senzaorizzonti.Questo Gesù, che è presen-te e che verrà, mette in crisitutta quella spiritualità chesi ammutina dentro le cer-tezze acritiche. E a cui fa dacorrispettivo, nel versantelaico, l’attuale cultura tuttaabbarbicata all’immediato.«Sul futuro pesa la dittatu-ra del presente» lamenta-va anni addietro SalvatoreVeca.Viviamo un nomadismosenza orizzonti.Sembra che in questi ulti-mi anni il presente sia sta-to depauperato del passa-to oltre che di un futurochiaramente progettabile.«D’un tratto – scrive il filo-sofo Yves Michaud – ci sia-mo ritrovati in un presentesenza avvenire e con sem-pre meno passato. Crisi del-le utopie, crisi dei progetti,crisi dei modelli, perfinocrisi della storia divenutafinzione. Dal punto di vistacollettivo, il capitalismo e laglobalizzazione sono ormail’ambiente, senza esterno,in cui ci tocca vivere. L’as-senza di alternativa condu-ce a un’acquiescenza senzaadesione... Il tempo si è ap-piattito».Chi ci tirerà fuori da que-sto vicolo cieco?Gli occhi del nostro cuore.

Aldo AntonelliAvezzano (Aq)

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chiavi di letturarinnova il tuo abbonamentoe invita i tuoi amici a farlo

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RomaPapa Francesco

alQuirinale

Visita il 10 giugno di PapaFrancesco al Quirinale. I di-scorsi del Papa e del Presi-dente della Repubblica siconcentrano in particolaresul lavoro e sui giovani. Mat-tarella osserva che «i giovanici interpellano» e che l’occu-pazione dev’essere al «cen-tro» delle «responsabilità diistituzioni e forze sociali».Francesco, come a Genova,evoca «la difficoltà delle gio-vani generazioni di accederea un lavoro stabile e dignito-so» – con relativi ostacoli alla«nascita di nuove famiglie edi figli». Aggiunge che «c’èun’occupazione troppo pre-caria e poco retribuita» echiede un’alleanza sinergica«perché le risorse finanziariesiano messe a servizio di que-sto obiettivo e non siano in-vece distolte e disperse in in-vestimenti prevalentementespeculativi». Dopo un altroscambio di vedute sulla stes-sa lunghezza d’onda, France-sco concluderà: «Da tutti co-loro che hanno responsabili-tà in campo politico e ammi-nistrativo ci si attende un pa-ziente e umile lavoro per ilbene comune, che cerchi dirafforzare i legami tra la gen-te e le istituzioni».La sintonia converge anchesul tema dell’ambiente. Mat-tarella cita il Trattato di Pari-gi «cui non possiamo abdica-re» e ciò richiama l’enciclica«Laudato si’», non ultimo c’èil grazie di Francesco all’Ita-lia per l’accoglienza dei mi-granti, che tuttavia «dev’esse-re accompagnata da una ge-stione internazionale ed euro-pea». Poi la riaffermazionedella collaborazione tra StatoItaliano e Chiesa in quella cheil Papa definisce – «laicità po-sitiva, non ostile e conflittua-le, ma amichevole e collabo-rativa».

Sinodoi ragazzi

(iper) connessie la fede

Tema molto dibattuto nel cor-so della recente Assembleadella Cei (Conferenza episco-pale italiana), è stato quellodella fede giovanile, in prepa-razione del Sinodo internazio-nale dell’ottobre 2018 che avràcome tema «I giovani, la fedee il discernimento vocaziona-le». Si è discusso delle moda-lità con cui raggiungere que-sti ragazzi, di scoprire se, equale incidenza abbia la fedenella loro vita, come si pongain rapporto con la loro cultu-ra e con la dimensione eccle-siale e missionaria, soprattut-to con le nuove tecnologie del-la comunicazione nelle qualila generazione giovanile vede«un luogo di vita» mentre lacomunità cristiana sta anco-ra costruendo la propria pre-senza. E ciò, nella fiducia delcontributo che la Chiesa puòricevere dagli stessi ragazzi e,nel contempo, nella consape-vole responsabilità di offrireloro il Vangelo quale incontroper una vita buona e riuscita.A livello interazionale è giàstato stilato un ampio docu-mento introduttivo, differen-ziato per situazioni continen-tali. Il capitolo riguardantel’azione pastorale è ricco dirichiami allo stile di papaFrancesco dove ricorrono leparole rischio, discernimento,attenzione, prendersi cura,tenerezza. Questo capitolo ècompletato dallo schema diquestionario da proporre «aigiovani, di questa generazio-ne (iper)connessa». L’ impor-tante documento (anche suinternet) è stato inviato aiConsigli delle Chiese Orienta-li Cattoliche, alle ConferenzeEpiscopali, ai Dicasteri dellaCuria Romana e all’Unionedei Superiori Generali e «dàavvio alla fase della consulta-zione di tutto il Popolo diDio». Le risposte saranno rac-colte in vista dell’elaborazio-ne del testo base del sinodo.

Baricaro amico

tiscrivo

Il 3 giugno il teatro Petruzzel-li ha ospitato un’opera coralesui generis, dal colorato ma-nifesto che ha in primo pianobambini che suonano e balla-no, e sullo sfondo macerie diterremoto. È un’edizione delconcorso di scrittura creativa«Caro amico, ti scrivo», con lapremiazione di 200 letterescelte tra le centinaia inviateda alunni di vari ordini discuola ai loro coetanei diAmatrice, Accumoli, ArquataTerme e del Tronto, toccati dalterribile terremoto. L’immagi-nazione, l’offerta di amicizia,la solidarietà, la tenerezza, unarcobaleno di sentimenti can-tati, scritti, danzati e disegna-ti, sono stati l’occasione per si-gnificare in una bellezza tea-trale lo spaccato di una socie-tà scolastica che vibra, ragaz-zi e ragazze molto motivati,senza contare la commozionedegli ospiti. Bravi le scuole, gliartisti e gli enti pubblici e pri-vati, con la solidarietà ospita-le, tradotta anche in borse distudio. Tra i tanti nomi ricor-diamo i responsabili: prof.Domenico Pinto, preside Va-leria Cristiano, dott. FannyMassimeo.

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Chicagoriconoscimento per l’oncologia italianaBen otto giovani ricercatori del nostro Paese (tra i 29 e 36 anni)hanno ricevuto il prestigioso premio Conquer Cancer Founda-tion Merit Award nel corso del meeting Asco (American So-ciety of Clinical Oncology), il più grande del settore, aperto il 2giugno a Chicago, con più di 30 mila delegati. Sono: Emanue-la Palmerini (Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna) (nella foto),Giulia Leonardi (Harvard University di Boston), Loredana Puca(Cornell University di New York), Vincenza Conteduca (Istitu-to Tumori della Romagna, ma con ricerca condotta a Londra),Sara Valpione (Ricerca oncologica di Manchester), MatteoLambertini (Istituto Bordet di Bruxelles) e Lisa Derosa (Istitu-to di ricerca di Parigi). «Se vogliamo continuare a fare grandipassi avanti nella lotta al cancro, abbiamo bisogno di giovanioncologi che si facciano continuamente domande e sviluppinoricerche innovative e provocatorie», afferma David Smith, ilpresidente dell’Asco.

Somaliadopo

la siccitàl’epidemia

Quindici delle diciotto regio-ni che compongono la Soma-lia sono attualmente contagia-te dal colera. Secondo l’Onu,la malattia ha già fatto 738 vit-time dall’inizio dell’anno, su45.000 casi presi in esame. Esempre secondo questa fonte,oltre 7 milioni di persone, cir-ca la metà degli abitanti delPaese, avrebbero bisogno ur-gente di aiuti umanitari: diquesti 3,2 milioni sarebbero allimite della fame. Il dolore èimmenso. Vincent Lelei, coor-dinatore aggiunto per gli af-fari umanitari dell’Onu ha ri-levato il rapporto che intercor-re tra la mancanza di pioggiae le regioni più toccate dal-l’epidemia. Ulteriore preoccu-pazione suscitano i continuiappelli di persone nelle cam-pagne del centro e del sudcontagiate, che è difficile rag-giungere perché – dicono isoccorritori dell’Internatio-nal Rescue Comittee – sonole zone controllate daglidjihasti di Al Chabab, alleatidi Al Qaeda. L’accesso è unrischio e tuttavia, da correre,perché l’epidemia non dilaghiancora di più.

Manchesterprove

di pacea concerto

Manchester ha il suo inno:«Don’t look back in anger»(Non guardare al passato conrabbia) la canzone degli Oasis,diventata un simbolo della cit-tà ferita dall’attentato. È stataripetuta durante One Love, ilconcerto organizzato da Aria-na Grande e la sua squadra,nella stessa arena della trage-dia, in meno di due settimane.È stato visto e ascoltato in piùdi 50 Paesi. Bellissima serata,che potrebbe passare alla sto-ria come un concerto da riguar-dare e risentire, scrive l’indoma-ni il Corriere della Sera. A Lon-dra però si consumava un al-tro attentato. Gli adolescenti diManchester ancora ignari dise-gnavano a loro insaputa l’indi-cazione per il futuro. Il canto liaveva invitati a uscire dalla pa-ura, centinaia di migliaia dibraccia levate, a «non guarda-re al futuro con rabbia». Unasperanza di armonia e di pro-gresso, un soprassalto di digni-tà umana, una volontà di farsiautori di una storia collettiva,capaci di immaginare se stessiinsieme agli altri, tesi a risco-prire nel futuro, oltre la rabbia,la gioia della pace?

BrexitMacronincontra

Theresa MayIl presidente della Repubblicafrancese Emmanuel Macronha incontrato il 9 giugno al-l’Eliseo, come previsto, la pre-mier britannica, Theresa May.Si è trovato in perfetta sinto-nia su lotta al terrorismo e alla«propaganda estremista sulweb», meno sulla Brexit. Aquesto riguardo Macron hadetto di rispettare la decisionesovrana del popolo britannico,si è spinto però fino a dire che«la porta è sempre aperta» per-ché il Regno Unito resti nel-l’Ue, «finché il negoziato sullaBrexit non è completato, an-che se una volta cominciato èmolto più difficile tornare in-dietro». Precedentemente, an-che il primo ministro tedescoSchäuble aveva parlato di«porta aperta». Ma la premierMay, benché meno perentoriadel solito, ha risposto che letrattative con l’Ue rispetteran-no le scadenze previste. In sin-tesi, mentre Francia e Germa-nia lanciano segnali di apertu-ra, Londra sembrerebbe ac-contentarsi di una Brexit piùleggera e più facile, in mododa conservare una specie diunione doganale.

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ATTUALITÀ

RECAPITI UTILIDELLAPRO CIVITATECHRISTIANABIBLIOTECAtel. 075/813231e-mail:[email protected]

CENTRO EDUCAZIONEPERMANENTE –SCUOLA DIMUSICOTERAPIAtel. 075/812288;075/813231e-mail: [email protected]

CITTADELLAEDITRICEtel. 075/813595;075/813231e-mail:[email protected]

CITTADELLAOSPITALITÀtel. 075/813231e-mail:[email protected]

CONVEGNItel. 075/812308;075/813231e-mail:[email protected]

FORMAZIONEtel. 075/812308;075/813231e-mail:[email protected]

GALLERIA D’ARTECONTEMPORANEAtel. 075/813231e-mail:[email protected]

MISSIONItel. 075/813231e-mail:[email protected]

ROCCAtel. 075/813641; 075/[email protected](redaz.)[email protected](uff. abbonam.)

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notiziePer la pubblicazione inquesta rubrica occorreinviare l’annuncio unmese prima della datadi realizzazione del-l’iniziativa indirizzan-do a: [email protected]

seminari&

convegni

Francia. «République en mar-che» stravince alle legislative.Con il 32,3% di voti, i candidatidella formazione République enmarche hanno riportato unanetta vittoria al primo turnodelle elezioni legislative dell’11giugno in Francia. Si tratta diun totale da 400 a 450 deputati.Una maggioranza schiacciante,visto che l’Assemblée Nationaleha in tutto 577 deputati. Con-temporaneamente, però, emer-gono altri elementi: l’astensione

Luglio 2017-luglio 2018. Pia-cenza. «La metodologia ma-ieutica a scuola e nei processidi apprendimento. Corso an-nuale per insegnanti, educato-ri e pedagogisti, condotto daDaniele Novara e Marta Ver-siglia. Il metodo di lavoro pre-vede sette moduli (fine setti-mana) per un totale di 200 ore.Si basa sul coinvolgimentoattivo e diretto dei partecipan-ti, attraverso l’utilizzo di diver-se situazioni formative. Preve-de un’immersione esperien-ziale che accelera le possibili-tà di apprendimento. Infor-mazioni: Centro Psicopedago-gico per la Pace e la gestionedei conflitti, via Campagna 83– 29121 Piacenza, tele fax 0523498394, e-mail: [email protected] Luglio. Eremo di Mon-te Giove, Fano (Pu). Incon-tro di ecologia sul tema «Laconnessione universale degliesseri e l’enciclica LaudatoSi’ di papa Francesco», acura di Marina Mazzanti,Mario Baldoni. Informazio-ni: [email protected] luglio. Camaldoli (Ar).Settimana liturgico-pastorale«Il sacramento della peniten-za». Giornate di studio, pre-ghiera con i monaci nel conte-sto di raccoglimento del mo-nastero e della foresta. Relato-ri: Andrea Grillo, Matteo Fer-rari, Basilio Petrà, ClaudiaMilani, Sandro Castegnaro,Pierpaolo Caspani, Paolo Be-dogni, Norberto Valli, Fran-cesco Pieri, Francesco Rug-gieri, Stefano Parenti, PavelGajewski. Prenotazioni e infor-mazioni: Foresteria monaste-ro52014 Camaldoli (Ar) Tel.0575 556013 - Fax 0575 [email protected] luglio. Miasino (No).Presso il Monastero Agosti-niano «Maria Mater Unita-tis» Corso liturgico di cetra

in due gruppi. Un primo com-posto unicamente da allieviprincipianti; un secondo di al-lievi già avanzati nella prati-ca dell’accompagnamento ce-tristico. Noleggio gratuito del-lo strumento. Docenti; Stefa-no Di Pea, Massimo Encidi.Programma e informazioni:[email protected] «Il mondo dellaCetra», via Dalla Chiesa, 12 –20861 Brugherio MB, tel.039.2266030 – Fax 02700422761;[email protected] luglio. Avigliana (To).Alla Certosa Percorso teorico/pratico dedicato all’autobiogra-fia, alla fiaba, alla poesia e allascrittura creativa come stru-mento educativo nei contesti dicura, organizzato dal GruppoAbele con la Libera Universitàdell’autobiografia di Anghiari«Raccontare». Tra i relatoriDuccio Demetrio, BenedettaCentovalli, Luigi Ciotti, ClaudioMontagna, Lucia Portis, Stefa-no Raimondi, Maria Varano.Informazioni: Scuola di narra-zione educativa tel. 011 3841083– cell. 331 5753858 mail:[email protected] agosto. Trevi (Pg).«Tenerezza di Dio» Settimana dispiritualità per il quotidiano.Relatori: Luigi Ciotti, Carlo Mo-lari, Luigi Verdi, Alberto Maggi,Ignazio Marino, Adriana Valerio,Agnese Mascetti, Paolo Ricca,Isabella Guanzini. Informazioni:Associazione Ore undici, tel.0765.332478 – cell. 3929933207oreundici@oreundici .orgwww.oreundici.org29 luglio-2 agosto. Assisi (Pg).Seminario di studio organizza-to dalla rivista europea «Mune-ra» presso la Cittadella Cristia-na sul tema «Maschile e Fem-minile». L’umanità si è a lungopensata in termini sostanzial-mente maschili… Eppure il

maschile e il femminile nonsembrano più andare da sé: unequilibrio insoddisfacente èsaltato, ma un nuovo equili-brio fatica a emergere. Comepensare e dire oggi il maschilee il femminile? Interventi diGianantonio Borgonovo bibli-sta, Cettina Militello teologa,Salvatore Natoli filosofo, Con-suelo Corradi sociologa, Mau-rizio Gusso esperto di didat-tica storico-disciplinare. Li-turgie, dibattiti, gruppi di stu-dio, sintesi finale a cura dellaRedazione. Informazioni:in fo@muneraon l ine .euwww. las inadiba laam. i twww.muneraonline.eu29 luglio-9 agosto. Selva diValgardena (Bz). Proposta diriflessioni per giovani (19-25anni) «Vogliamo svegliarel’aurora», itinerario per esplo-rare il proprio mondo interio-re attraverso lo psicodramma,per leggere se stessi a confron-to con l’ingiustizia nel mon-do, un percorso biblico pergustare la bellezza dello stiledi Gesù. Serate, testimonian-ze, escursioni. Curatori i PP.Gesuiti Bertagna, Frigeri, Pio-rar, Remondini, Sunda. Infor-mazioni: Segreteria Corsi diSelva, piazza San Fedele 4-20121 Milano, tel. 02 86352304, e-mail: [email protected]: Villa Capriolo, Plan daTieja 72, 39048 Selva Val Gar-dena (Bz) tel. 0471 793 367,www.gesuiti-selva.it12-19 agosto. Bologna.Esercizi spirituali per giova-ni (fino ai 30 anni) sul tema:«La storia di Davide, un resecondo il cuore di Dio». Iti-nerario di preghiera perso-nale, silenzio, confronto conla Parola accompagnati dauna Guida. Informazioni:Villa san Giuseppe, PP. Ge-suiti Bologna 051 614 2341e-mail: [email protected]

del 51% degli aventi diritto alvoto, astensione «storica» per laFrancia. E accanto all’ingom-brante presenza del Front Na-tional di Marine Le Pen, c’è ilPartito Socialista che perde nu-merose personalità, per non par-lare della disfatta della destra.Turchia. Chiediamo con Am-nesty alle autorità turche di ri-lasciare Taner Kýlýç, presiden-te di Amnesty InternationalTurchia, arrestato il 6 giugno aSmirne insieme ad altri 22 av-

vocati, ora detenuto in attesa diprocesso per l’errata accusa difar parte del movimento guida-to da Fethullah Gülen, che se-condo le autorità turche ha ide-ato il fallito colpo di stato delluglio 2016. «La storia di TanerKýlýç parla chiaro: è quella diun uomo che ha sempre difesoquelle libertà che le autorità diAnkara stanno cercando di an-nullare», ha dichiarato SalilShetty, segretario generale diAmnesty International.

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Assisiriformaprofezia

tradizioneDal 23 al 29 luglio si svolgerà aSanta Maria degli Angeli (Assi-si) la 54ª Sessione di formazio-ne ecumenica del SegretariatoAttività Ecumeniche (Sae), as-sociazione interconfessionale dilaici a partire dal dialogo ebrai-co-cristiano. I lavori, sul tema «Èparso bene allo Spirito Santo enoi» (At 15,28). Riforma, profe-zia tradizione nelle Chiese», ri-prendono e articolano in modonuovo il trinomio esaminato nel2016. In primo piano c’è l’ele-mento della Riforma, di cui ri-corre il 500° anniversario, rife-rito non solo come momentostorico, ma più in generale comeesigenza di rinnovamento inogni Chiesa che si riferisce almessaggio di Gesù di Nazareth.L’incontro tra persone che pro-vengono da diverse aree dellapenisola è arricchito dalla pre-senza di relatori, relatrici e par-tecipanti appartenenti a diver-se confessioni e denominazionicristiane, alla religione ebraicae islamica, docenti universitarie ricercatori. Nelle plenarie in-terverranno, tra le voci evange-liche, Eric Noffke, Paolo Ricca,Luca Maria Negro, Davide Ro-mano; tra quelle cattoliche LisaCremaschi, Francesca Cocchini,Severino Dianich, Carlo Mola-ri, Simone Morandini, Giovan-ni Cereti, Gianfranco Bottoni,Andrea Grillo e Piero Sefanipresidente del Sae; tra le vociortodosse Traian Valdman eDionisios Papavasileu. Nellapresenza ebraica si notano lastorica Anna Foa, il saggistaBruno Segre, la rabbina Barba-ra Aiello, tra quella degli isla-mici l’intervento di Nibras Brei-gheche. Coordineranno i grup-pi di studio e i laboratori esper-ti di varie confessioni; contri-buiranno allo svolgimento delprogramma membri delle co-munità operanti nel territorio(San Masseo, Pro Civitate Chri-stiana, Atonement). Informazio-ni e iscrizioni: [email protected] tel.373.5100524 (ore 12-14; 19-21).

Regno UnitoTeresa May

i Nordirlandesil’Europa

«Scommessa perduta», per laleader dei conservatori bri-tannici Teresa May alle ele-zioni anticipate dell’8 giugno,da lei volute. Il suo governoora non ha più la maggioran-za in Parlamento: i conser-vatori (Tory) restano sempreil primo partito, ma non ingrado di governare da soli, ilLabour li ha inseguiti con unaumento voti imprevisti, pro-veniente dalla fascia giova-nile dei votanti. E tuttavia,come se nulla fosse accadu-to, la primo ministro May –ignorando gli inviti a dimet-tersi – il 9 giugno ha presen-tato un rimpasto governati-vo con la componente parla-mentare tory ridimensionata(318 seggi, 18 rispetto allaprecedente legislatura) e l’al-leanza con il gruppo del Par-tito Unionista Nordirlandese(Dup). Di tale partito si co-noscono le posizioni ultracon-servatrici ed eurofobe, le dub-bie pratiche finanziarie; si ri-corda la storia di scontri e ilfragile equilibrio nell’Ulstertra questa parte protestante,unionista, e la cattolico-indi-pendentista; il Dup diverge dailaburisti sulla Brexit. L’inquie-tudine attraversa la vita poli-tica: mentre a Londra si discu-te della sopravvivenza di Mayal governo, nella città nordir-landese di Belfast riprendonoi colloqui tra unionisti e re-pubblicani del Sinn Fein perle amministrative. In tale in-certezza è rinviato il discorsodella Regina con il program-ma del governo, che avrebbedovuto tenersi il 19 giugno.Per il 19 giugno è invece fis-sato l’avvio di trattative Brexitcon l’Unione Europea, a altroscenario complesso. TheresaMay sa di avere (oltre al La-bour europeista), un fronteinterno che si sta compattan-do per un ammorbidimentodella Brexit a favore di nego-ziati che lascino libero l’acces-so al mercato comune.

Russiamanifestazioni

diprotesta

Il 12 giugno nuove protesteantigovernative si sono svol-te a Mosca, a San Pietrobur-go e in altre città. Come nelmarzo scorso, interventi del-la polizia hanno fermato cen-tinaia e centinaia di persone,soprattutto giovani scesi inpiazza, per la manifestazionenon autorizzata, oppositoredi Putin Navalny è stato bloc-cato davanti casa mentre usci-va e arrestato. Nello stessotempo circa duemila personesi sono ritrovate in un altropunto della capitale per con-testare un piano di rinnova-mento di palazzi popolari, daabbattere per costruirvi grat-tacieli, operazione che moltiritengono ingiusta e legata aelementi di corruzione. Inquesto caso, coloro che pro-testavano hanno insistito pernon voler caratterizzare poli-ticamente al loro iniziativa eper distinguersi da Navalny.Ma è chiaro che Putin e il go-verno guardino a tutti questifenomeni con notevole preoc-cupazione.

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da IL FATTO QUOTIDIANO, 10 giugnoda LA REPUBBLICA, 10 giugno

da LA REPUPPLICA, 7 giugno da IL FATTO QUOTIDIANO, 7 giugno

da IL FATTO QUOTIDIANO, 8 giugno

da IL CORRIERE DELLA SERA, 11 giugno da IL FATTO QUOTIDIANO, 15 giugnoda IL CORRIERE DELLA SERA, 15 giugno

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informazioniCITTADELLA CRISTIANA – via Ancajani 3 – 06081 ASSISI/Pg – Tel. 075/813231; fax 075/812445;

[email protected] [email protected] www.cittadella.org

convegni e incontri della cittadella

diamo futuroalla svolta profetica di Francesco

il cantiere del 75° Corso di Studi cristiani24-28 agosto 2017

La Pro Civitate Christiana, fedele alla propria storia che l’ha vista protagonista di dialogo, riflessioni e incontri, propone adassociazioni, gruppi, movimenti e singoli, credenti e non credenti, di riflettere e avanzare progetti tanto alle chiese locali,quanto alla chiesa e alla società italiane, perché la svolta profetica che Papa Francesco ha posto in atto metta radici. Sitratta di tradurre in scelte concrete e durature la proposta di cambiamento che sgorga profetica dal magistero di Francesco.E allora per incarnare “la Chiesa in uscita” chiediamo di iniziare un percorso di riflessione sino ad elaborare proposte dicambiamento da avanzare innanzitutto alla chiesa italiana ma anche alle istituzioni civili sui seguenti temi:

– il modello teologico che emerge dal pontificato di Francesco, ovvero quale immagine di Dio– la chiesa povera per i poveri – l’ecologia integrale – il dialogo ecumenico e interreligioso– le nuove schiavitù

Ciascuno, a partire dalle proprie competenze, esperienze e sensibilità sul tema, cercherà di elaborare riflessioni e proposteche farà recapitare ad Assisi entro il 15 giugno in modo da poter essere offerte ad alcuni amici che ci aiuteranno nellariflessione dal 24 al 28 agosto pp.vv. in occasione della 75a edizione del Corso di Studi Cristiani presso la Cittadella diAssisi. In quei giorni saranno discusse ed esaminate anche alla luce di suggestioni e provocazioni e, infine, consegnatealla chiesa e alla società italiana sotto forma di linee guida o di proposta articolata che ci aiutino a trasformare in scelteconcrete, in prassi, in itinerari formativi..., la ricchezza e la profondità dell’insegnamento di Francesco.

Riteniamo che ci sia un popolo vasto che non si rassegna al tentativo di frenare il vento del Concilio e ritiene maturo iltempo per una sua completa applicazione sotto l’egida dell’aggiornamento necessario per questo tempo inedito. Perrispondere soprattutto al grido dei poveri che poi è lo stesso del Vangelo di Cristo.

hanno già assicurato la partecipazione:Enzo BIANCHI, monaco – già priore - Comunità ecumenica di Bose; Nunzio GALANTINO, segretario generale CEI;Andrea GRILLO, docente teologia dei sacramenti e filosofia della religione a Roma e a Padova; Rosanna VIRGILI,biblista, docente all’Istituto Teologico Marchigiano

iscrizione (IVA 22% inclusa) e 110,00 - e 90,00 per coniugi, presbiteri, diaconi;soggiorno: • 262,00 in singola; e 222,00 in doppia/tripla. La quota comprende vitto e alloggio (dalla cena del 24 allacolazione del 28 agosto);inviare quota di iscrizione (aggiungendo e 50,00 di caparra se si richiede l’alloggio) specificando il nome di ciascuno,l’indirizzo (anche elettronico), codice fiscale e/o partita IVA, entro il 10 agosto, tramite vaglia postale a Cittadella Ospitalità/sez. convegni – via Ancajani 3 – 06081 Assisi (PG);oppure tramite bonifico bancario intestato a Pro Civitate Christiana al codice IBAN IT15J 05018 03000 000000237465

7-9 luglio quel legame fragile…

il soffio dello Spirito nella vita di coppia13° laboratorio estivo per coppie, operatori pastorali e sociali

con Giancarlo BRUNI, monaco di Bose, Rosella DE LEONIBUS, psicologa e psicoterapeuta,Carmelo DI FAZIO, neuropsichiatra, Marco NOLI, sociologo

“Sotto l’impulso dello Spirito, il nucleo familiare non solo accoglie la vita generandola nel proprio seno, ma si apre, esce dasé per riversare il proprio bene sugli altri, per prendersene cura e cercare la loro felicità” (AL, 324)

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GEOPOLITICA

il Qatar capro espiatoriodella politica mediorientaleMaurizioSalvi Se il risultato del primo viaggio al-

l’estero in maggio di Donald Trumpa Riyadh è rappresentato dalle pe-ricolosissime tensioni scatenatesinel Golfo Persico che preoccupanoin queste settimane le diplomazie di

tutto il mondo, c’è proprio da augurarsiche l’ospite della Casa Bianca decida diridurre al massimo in futuro i suoi sposta-menti. Molti specialisti di questioni me-diorientali sono infatti rimasti, forse nonsorpresi, ma certo colpiti dalla sua improv-visa decisione di schierarsi apertamentecon una delle parti nella delicata partitache Arabia Saudita e Iran giocano per laleadership nella regione mediorientale,scegliendo in questo come capro espiato-rio il Qatar. Questo piccolo e ricchissimoemirato è colpevole probabilmente in unacerta misura dei mali di cui lo si accusa(soprattutto finanziamento di movimentiterroristici), ma sicuramente non lo è dipiù della stessa monarchia saudita che haoperato perentoriamente per il suo isola-mento diplomatico e fisico. Ne erano con-vinti in passato anche gli Stati Uniti che,ha rivelato tempo fa Wikileaks, attraversoil Dipartimento di Stato guidato da Hil-lary Clinton avevano chiarito che «i dona-tori dell’Arabia Saudita costituiscono lapiù significativa fonte di finanziamento digruppi terroristici sunniti nel mondo».

chi finanzia i terroristi

Inoltre tutti sanno che, se pure i sauditisono da una parte i maggiori contribuentidel Fondo antiterrorismo dell’Onu, hannoperò dall’altra sempre inviato denaro at-traverso le loro fondazioni religiose a nu-merosi movimenti terroristi islamici, da AlQaida a Al Nusra, e a chiunque promet-tesse di eliminare la loro ‘bestia nera’, rap-presentata dal presidente siriano Basharal Assad, alleato dell’Iran.È plausibile, va detto, che anche il gover-no di Doha abbia, soprattutto in passato,fornito sostegno materiale a gruppi fon-damentalisti sunniti armati, e di recente

sicuramente ai talebani afghani a cui è sta-to permesso di aprire nella capitale Dohaun loro ufficio politico. Ma il gesto che hapiù stizzito la famiglia reale saudita e l’at-tuale presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, è stato l’aperto e ripetuto appoggioalla Fratellanza Musulmana in Egitto edal presidente Mohamed Morsi, vittima diun golpe militare nel luglio 2013. Qui nonè in questione la minaccia di terrorismo –i Fratelli Musulmani non propugnano l’usodelle armi – ma la convalida del principiodi una conquista del potere attraverso li-bere elezioni, visto come un elemento po-tenziale di destabilizzazione per le monar-chie e gli sceiccati del Golfo, che si man-tengono al vertice unicamente per via ere-ditaria. Lo stesso discorso vale anche perla decisione di Doha di appoggiare il mo-vimento Hamas che ha sì una spiccata ten-denza oltranzista, ma che ha preso il po-tere nella Striscia di Gaza attraverso ilvoto. Una linea, è bene ricordarlo, che fun-ziona anche per l’Iran, dove si svolgono re-golarmente consultazioni elettorali, siapure non del tutto libere da condiziona-menti.

il Qatar si difende

Il Qatar è certamente un Paese piccolo, mail suo potenziale politico ed economico su-pera ampiamente la sua ridotta superficie(equivalente a quella dell’Abruzzo). Intan-to ospita la più grande base aerea america-na all’estero (Al Udeid), con oltre 11.000uomini e operazioni che coprono tutti iPaesi mediorientali e si estendono fino allaregione afghano-pachistana. È grande pro-duttore di petrolio (con riserve per 15 mi-liardi di barili) e controlla inoltre in com-proprietà con l’Iran ‘South Fars’, il maggiorcampo gasifero esistente. Questo ne fa ilterzo produttore mondiale dopo Russia eIran, ed il primo di gas naturale liquefattoesportato in Asia ed Europa. La sua attivi-tà economica, che è proseguita nonostantela crisi, funge in sostanza da scudo contropossibili azioni di forza esterne nei suoi

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GEOPOLITICAconfronti. Al punto che, ha rilevato KristianCoates Ulrichsen, ricercatore presso la RiceUniversity di Seattle, «se le sue esportazio-ni di gas dovessero essere sospese o bloc-cate, Paesi come Gran Bretagna, Giappo-ne, Corea del Sud, Cina ed Emirati ArabiUniti soffrirebbero una grave crisi energe-tica e dovrebbero precipitarsi a trovare nonsemplici forniture altrove». I profitti pro-venienti dalle vendite di greggio e gas fan-no sì che i suoi 2,67 milioni di abitanti aves-sero nel 2016 un reddito pro capite annuodi 132.000 euro, il più alto del pianeta (daparagonare ai 35.700 euro dei cittadini ita-liani). Sulla base di tutto questo, i gover-nanti a Doha hanno mantenuto il sanguefreddo, utilizzando a fondo i media – lapotente tv ‘all news’ Al Jazeera – per farpassare il loro messaggio. E per ottenere ilmassimo anche nei confronti degli StatiUniti hanno contrattato, al prezzo di 2,5milioni di dollari, una società statunitensespecializzata in relazioni pubbliche e gui-data da John Ashcroft, procuratore gene-rale durante la presidenza di George W.Bush. L’incarico, hanno reso noto fonti dellastessa società, è quello di «valutare, verifi-care e, se necessario, rafforzare la confor-mità del cliente con le norme che vietano ilriciclaggio del denaro ed il finanziamentodel terrorismo» e portare a conoscenza diquesto i media e l’opinione pubblica.E che significa quindi dire Qatar in termi-ni di presenza di capitali all’estero? Adesempio che a Londra l’Emiro ed i prìnci-pi quatarioti posseggono più beni dellaregina Elisabetta. E ancora: Cos’hanno incomune il quartiere Porta Nuova di Mila-no, una buona fetta di Costa Smeralda, lasquadra di calcio francese del Paris SaintGermain, la maison Valentino, i magazzi-ni londinesi Harrod’s ed il più grande grat-tacielo d’Europa noto come The Shard (laScheggia) situato proprio vicino al Lon-don Bridge? La risposta è: lo stesso pro-prietario, cioè, il Qatar. Per quanto riguar-da invece l’amore per la nostra Penisola,Suhaim al-Thani, membro della famigliareale e cugino di secondo grado dell’attualeEmiro al potere, Tamim bin Hamad al-Thani, disse al momento dell’acquisto delquartiere milanese di Porta Nuova che «ilmondo si divide tra quelli che sono italia-ni e quelli che vorrebbero esserlo».

non del tutto chiaro l’attacco di Trump

Insomma, cosa abbia spinto Trump a par-tecipare durante il suo viaggio alla ‘Ardah’,la tradizionale danza delle spade insiemeai dignitari sauditi attaccando violente-

mente (e facendo infuriare) l’Iran, non èancora del tutto chiaro. E non può davve-ro essere semplicemente solo la convinzio-ne che bloccando il Qatar di colpo si asse-stava un colpo mortale ai fiumi di denaroche finanziano i numerosi gruppi ‘jihadi-sti’ attivi in Siria, Iraq, Afghanistan, Paki-stan e in varie Nazioni africane. Forse piùrealisticamente Trump deve aver pensatoche l’attacco a questo Emirato fosse in gra-do di attivare un circolo virtuoso tale daspingere tutti gli altri Paesi arabi del Gol-fo, compresa quindi l’Arabia Saudita, anon destinare più risorse ai movimenti chefomentano il terrorismo. E in subordineche, criticando il Qatar per i suoi finan-ziamenti al movimento Hamas al governonella Striscia di Gaza e per le relazionipolitico-economiche con l’Iran, si manda-va un segnale compiacente ad Israele dacui ci si aspetta un qualche gesto di buonavolontà per risolvere la crisi palestinese.Per il momento, comunque, le diplomaziedi molte Nazioni sono concentrate ad evi-tare che le tensioni sollevate dalla decisio-ne di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti,Egitto, Bahrain ed altri Stati del Golfo edell’Africa, di rompere le relazioni con ilQatar si trasformino in guerra aperta. Perquesto si sono mossi prima di tutto i duePaesi del Consiglio di cooperazione delGolfo (Ccg), Kuwait ed Oman, rimasti neu-trali nella crisi. Ad essi si sono uniti anchela Francia ed il Marocco, dando così uncarattere intercontinentale allo sforzo di-plomatico. E nel frattempo Iran e Turchiasi sono apertamente schierati con il Qatar,a cui forniscono ogni tipo di aiuto materia-le e diplomatico. Ma a prescindere da quel-lo che i mediatori riusciranno ad ottenere,restano per noi due lezioni da valutare, de-stinate almeno nel breve periodo a condi-zionare la regione. La prima è che Trumpha deciso di sostenere l’ambizione di Ri-yadh di trasformarsi in una potenza in gra-do di controllare il Medio Oriente fino alMaghreb, riducendo l’influenza dell’Iran emagari permettendo a Israele di fare alcu-ni passi per trovare una soluzione condivi-sa per il dramma palestinese. La seconda,dalle prospettive incerte, è la constatazio-ne che il mondo musulmano, che sembra-va prima soprattutto diviso fra sunniti esciiti, rischia l’esplosione per l’emergenteconflitto fra le componenti più conserva-trici sunnite (il salafismo e il wahhabismo,la sua derivazione saudita) e quelle più aper-te e pragmatiche, di cui il Qatar si conside-ra un esponente.

Maurizio Salvi

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TonioDell’Olio N el silenzio assoluto presso il Pa-

lazzo di vetro di New York si staconsumando un passo impor-tantissimo per la storia dell’uma-nità. Se ne parla sottotraccia,quasi clandestinamente, soprat-

tutto in Italia perché a quanto pare que-sta linea del silenzio è stata adottata dal-le potenze nucleari cui l’Italia è fedelmen-te allineata ospitando sul proprio suolodepositi di armamento nucleare statuni-tense in ambito Nato e di cooperazionemilitare. Le grandi potenze sono assolu-tamente contrarie a quanto sta avvenen-do in sede Onu ma, non essendo materiadel Consiglio di Sicurezza, non possononemmeno opporre il diritto di veto. Pe-raltro giova ricordare che le nazioni chepossono giocare quell’incomprensibileJolly antidemocratico del diritto di vetocorrispondono esattamente alle potenzestoriche che producono e detengono ar-mamenti nucleari. Comunque la sessio-ne, che terminerà il 7 luglio, vuole darecompimento a una Risoluzione dell’As-semblea Generale del 23 dicembre scor-so che stabilisce di avviare negoziati colcompito di adottare «uno strumento le-galmente vincolante per proibire le arminucleari e volto alla loro totale proibizio-ne». Peraltro resta incomprensibile comesia stato possibile che, pur all’indomanidi Hiroshima e Nagasaki, in cui le arminucleari si rivelarono come le uniche armirealmente di distruzione di massa, ci sisia concentrati (pur lodevolmente) sullearmi batteriologiche (messe al bando nel1972) e quelle chimiche (1993), sulle mineantipersona (1997) e sulle cluster bombs(2008). Ma – giova ribadirlo – le arminucleari sono le più devastanti di tutte, lepiù inumane perché in grado di colpirearee molto vaste, in maniera indiscrimi-nata, ovvero senza discriminare l’obietti-

il sogno di proibirele armi nucleari

vo e procurando effetti e conseguenze de-leterie anche per il futuro degli uomini edell’ambiente. Per tutte queste ragionil’obiettivo della discussione in corso al-l’Onu meriterebbe le prime pagine di tut-te le testate. È un appuntamento storico:«Diventeranno legge internazionale di-sposizioni come il divieto di stazionarearmi nucleari in Paesi terzi che è statoincluso nel nuovo testo – fa notare Ange-lo Baracca, docente di Fisica all’universi-tà di Firenze e storico militante della non-violenza –. Tali disposizioni creeranno dif-ficoltà per i Paesi Nato che, come l’Italia,ospitano sistemi nucleari americani sulproprio territorio. I Paesi non nucleari, el’opinione pubblica mondiale, avranno co-munque a disposizione un fortissimostrumento di pressione giuridica e mora-le e potranno stigmatizzare di fronte allastoria l’atteggiamento criminale di colo-ro che non si adegueranno all’obbligo dieliminare le armi nucleari». Una grandesoddisfazione se si pensa che l’iniziativadi mettere al bando le armi nucleari nonè nata da qualche governo ma dall’opinio-ne pubblica, a cominciare da un piccologruppo di esperti, l’Ippnw (InternationalPhysicians for the Prevention of NuclearWar) che nel 2006 lanciò l’iniziativa glo-bale Ican (in inglese «Io posso», ma acro-nimo di International Campaign to Abo-lish Nuclear Weapons), che ha coinvoltopiù di 440 organizzazioni in un centinaiodi Paesi, ed ha esercitato una forte pres-sione sui rispettivi governi, approdandoil 7 dicembre 2015 alle Nazioni Unite, fa-cendo proprie le finalità della campagnae istituendo un apposito organismo(Open-ended Working Group). Noi con-tinueremo a strappare questo tema cru-ciale e vitale al silenzio perché il maggiornumero di persone sappia.

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POLITICAITALIANA

RitannaArmeni S olo qualche settimana fa gli italiani

pensavano di essere alla vigilia di unacampagna elettorale. L’appuntamen-to per le elezioni politiche sembravafissato per il 24 settembre e, di con-seguenza, le Camere sarebbero sta-

te sciolte entro luglio. Poi, per uno di queicolpi di scena per cui la politica italiananon cessa di stupire, tutto è saltato. Le ele-zioni si svolgeranno a fine legislatura nel2018; quanto alla legge elettorale, che, se-condo l’annunciato accordo fra i tre mag-giori partiti, avrebbe dovuto avere un im-pianto tedesco, quindi proporzionale conlo sbarramento al cinque per cento, sem-plicemente non c’è più. Forse se ne ripar-lerà nei prossimi mesi, altrimenti andre-mo a votare con quella vecchia, modifica-ta dalla Corte costituzionale. L’Italicumdiventato Consultellum.

Tutto fermo quindi fino al marzo prossimo?

un altro scenario

Non proprio. L’ultima tornata delle elezio-ni amministrative, che ha coinvolto quasinove milioni di cittadini, ha a sua volta aper-to un altro scenario rispetto a quello di qual-che settimana prima. I partiti che, comun-que si preparano alle elezioni legislative,hanno potuto misurare la loro forza e laloro incidenza sugli elettori. I risultati sonostati di grande interesse.La prima sorpresa riguarda il Movimento5Stelle. Chiunque, negli ultimi due anni, ab-bia esaminato il suo andamento, ha potutoverificare una progressiva ascesa. Non vi èstato sondaggio che non l’abbia premiato,non vi è stata analisi politica che non abbiariconosciuto la presenza di un elettorato in

ritorno al bi

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crescita. Gli stessi errori politici e di gestio-ne di alcuni sindaci – e ce ne sono stati –parevano non scalfire la fiducia in esso diuna parte consistente dei cittadini italiani esi è pensato possibile che il movimento diGrillo arrivasse al primo posto alle elezionidel 2018. Neppure il disastro romano – chedi disastro senza mezzi termini si deve par-lare a proposito del sindaco Virgina Raggi edella sua giunta – avevano offuscato lo splen-dore delle cinque stelle grilline.

tonfo di Grillo

Nelle ultime amministrative invece la lucedelle stelle è diventata meno forte. I penta-stellati non sono riusciti a entrare nei bal-lottaggi o a conquistare alcun comune. Han-no perso a Genova, la città del loro leader, eParma dove il vincitore, l’attuale sindaco

Pizzarotti, è un dissidente storico del siste-ma grillino. La loro non è stata una débacletotale, come qualche interessato osservato-re ha subito affermato, ma è stato un primosegnale di crisi. La pessima amministrazio-ne romana che apparentemente non avevaintaccato i consensi, la scelta dei candidatilocali, hanno evidentemente pesato nell’opi-nione pubblica rendendo i pentastellatimeno credibili. L’impreparazione e l’improv-visazione del gruppo dirigente hanno fattoil resto. Dobbiamo aspettarci ora un forteridimensionamento anche alle elezioni po-litiche? Non è detto. I 5Stelle sono un parti-to giovane, è ovvio che abbiano una presaminore in elezioni amministrative, ma unprimo segnale di arresto del partito c’è sta-to. E di questo si sono immediatamente resiconto i suoi dirigenti. Le dichiarazioni se-curitarie contro gli immigrati, i poveri, gli

ipolarismo?

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POLITICAITALIANA

emarginati, i rom, rilasciate da Grillo e dallasindaca Raggi subito dopo i risultati eletto-rali sono proprio la conseguenza del voto. IGrillini sanno che il loro, sia pur non eccessi-vo, ridimensionamento elettorale è dovuto alritorno alla base di parte dei voti del centrodestra e hanno cercato di correre ai ripari.

astensione degli elettori Pd

Più difficile capire che cosa si è smosso asinistra, o – per l’esattezza – quali segnalisiano stati dati dal voto ai partiti di sini-stra. Il Pd si è presentato spesso in listeciviche, a volte alleandosi con altri partiti,altre volte no. È complesso quindi misu-rare il grado di consenso, capire se questoè aumentato o si è ridotto, se il partito diRenzi può affrontare con maggiore o mi-nore fiducia il periodo che lo separa dal-l’appuntamento delle elezioni politiche.Complesso ma non impossibile. Perché vi èl’analisi dei flussi elettorali e da questi emer-ge un dato inquietante. Una parte consisten-te dell’elettorato piddino si è astenuta con-fermando una tendenza già presente in al-tre tornate elettorali. Il ridimensionamentodel Movimento di Beppe Grillo non ha por-tato – come pure si poteva sperare – a unritorno a casa dei voti di sinistra. La soddi-sfazione di Matteo Renzi e degli altri diri-genti del Pd per risultati elettorali non devequindi ingannare. Deriva dal ridimensiona-mento del loro più pericoloso avversario, nonda una affermazione del loro partito.

il vero avversario del Pd

C’è poi il centro destra. Secondo molti il verovincitore della tornata amministrativa. Enon solo e non tanto per il numero di comu-ni conquistati, ma per il consolidamento el’affermazione di un elettorato che parevain disfacimento. A un anno dalla sconfittadelle amministrative del 2016 i candidati diForza Italia e Lega si sono affermati in tuttii ballottaggi e, dove si sono presentati uniti,sono stati il vero avversario del Pd.Matteo Salvini ha confermato la presenzadi una spinta sovranista e Silvio Berlusco-ni, per anni uomo dello scardinamento delsistema politico tradizionale, è apparso unsimbolo di stabilità. A lui, tornato sotto iriflettori della politica anche grazie allespregiudicate manovre di Renzi sulla leg-ge elettorale, i moderati hanno ridato fi-ducia, i voti andati nelle scorse tornate elet-torali ai 5Stelle sono in parte tornati a casa.Il ridimensionamento dei 5Stelle ha fattoipotizzare, nei giorni immediatamente se-guenti le elezioni, un possibile ritorno del

bipolarismo. Se il centro destra e il centrosinistra dovessero trovare una loro unità sipotrebbe, infatti, pensare alla sfida fra le duecoalizioni tradizionali e quindi alla fine diquel sistema tripolare che ha caratterizzatoe immobilizzato l’Italia negli ultimi anni.

l’impossibile ritorno al bipolarismo

È possibile? Ci sono le condizioni perchéquesto avvenga? Possiamo immaginarenorme elettorali che ne creino i presuppo-sti? Certamente la formazione delle coali-zioni non è agevolata da una legge eletto-rale proporzionale che favorisce le allean-ze dopo, e non prima, del voto.Oggi il ritorno alle coalizioni appare an-cora improbabile e non solo per l’assenzadi una legge elettorale che lo agevoli maperché esso non conviene a quasi nessunodei protagonisti della politica.Cominciamo col dire che non conviene a Sil-vio Berlusconi. Un tempo il capo di Forza Ita-lia era dominus assoluto dello schieramento,ora c’è Salvini a contendergli il posto e la sualeadership non è certa. In sostanza il Cavalie-re sa che in uno schieramento unitario con-terebbe di meno e dovrebbe mediare con laforza della Lega e la sua strategia antieuro-peista. Preferisce, quindi, giocare da solo, af-fermare il carattere cattolico e liberale del suopartito, puntare a una riunificazione della de-stra moderata e sottolineare la dimensioneeuropea di Forza Italia. La sua strategia pun-ta, per il momento, a un governo col Pd nelquale potrebbe avere un ruolo determinante.Quanto alla formazione di una coalizionedi centro sinistra anche questa appare mol-to difficile. La recente apertura di MatteoRenzi a Giuliano Pisapia, leader del Movi-mento progressista, suona quanto mai for-male e strumentale dopo che per settima-ne si è lasciato intendere che quasi natu-ralmente ci sarebbe stato un accordo conBerlusconi. Il segretario del Pd è contrarioad un’alleanza elettorale con la sinistra ra-dicale e con i fuoriusciti dal Pd. La sua of-ferta all’ex sindaco di Milano non è moltodi più che quella di una o più candidatureche Pisapia si è affrettato a rifiutare.Se così stanno le cose è molto difficile – siaalle prossime elezioni, sia nella elabora-zione della legge elettorale – vedere un ri-torno al bipolarismo. L’Italia rimane unpaese tripolare anche se uno dei poli è sta-to leggermente ridimensionato, un altro ècolpito da un aumento dell’astensione peril momento mascherata dalle liste civiche.Nei prossimi mesi si vedrà.

Ritanna Armeni

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OLTRE LA CRONACA

dello stesso Autore

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RomoloMenighetti Salvatore Riina (pluriomicida e plurier-

gastolano) potrebbe ottenere gli arrestidomiciliari e «morire dignitosamente»nella propria casa di Corleone, con ilparere favorevole della Cassazione. Di-ritto che va assicurato a ogni dete-

nuto, e perciò anche al capo dei capi di Cosanostra. Sarà il Tribunale di sorveglianza bo-lognese a decidere sulla richiesta del difen-sore del boss (finora sempre respinta), nel-l’udienza del 7 luglio prossimo. La Cassa-zione motiva il suo parere con il fatto cheormai Riina, 86nne, «non riesce a star se-duto per una grave cardiopatia» connessaa «eventi cardiovascolari infausti e non pre-vedibili». Egli, prosegue la Corte, pur re-stando «l’altissima pericolosità» e «lo spes-sore criminale», è ormai vecchio e malato.Va perciò riconsiderata la sua attuale staz-za di pericolo pubblico.In contrasto con la Suprema Corte, il tribuna-le di Bologna, invece, ha sempre ritenuto nonvi fosse incompatibilità tra l’infermità fisicadel capomafia e la sua detenzione in carcere,essendo le sue patologie continuamente mo-nitorate, con il ricorso, ove necessario, in ospe-dale a Parma.Naturalmente si è scatenata una polemica in-fuocata da parte degli oppositori di tale even-tualità. Dichiarata dai contrari la necessità diassicurare il meglio delle cure mediche a tuttii cittadini (e a questo punto viene spontaneochiedersi se veramente tutti i «normali» citta-dini hanno le stesse cure di eccellenza chel’ospedale di Parma assicura gratis al boss),sono varie le motivazioni al «no».Rosy Bindi, presidente della CommissioneAntimafia, afferma essere il carcere il luogodove debba rimanere ristretto uno dei più san-guinari boss di sempre «che ha creato profon-di intrecci con la politica, sussistenti ancoraoggi». In parte sulla stessa scia si collocanoalcuni deputati Cinquestelle, che osservano«sembra di assistere a una nuova Trattativa».Rita Dalla Chiesa commenta, dal canto suo,che a suo padre lui non ha riservato una mor-te dignitosa.E poi Riina non ha mai manifestato alcun se-gno di pentimento per le sue sanguinarie azio-ni. Anzi, qualche tempo fa, durante l’ora d’aria,le microspie della Cia intercettarono le sueintenzioni omicide nei confronti, sia del Pub-

un letto a casa per il bossblico ministero Nino Di Matteo che di donLuigi Ciotti. Quest’ultimo, in un’ intervista,afferma essere «da ingenui credere che noncomandi più». «Riina resta un boss, gli bastauno sguardo», osserva l’ex presidente dellaCommissione Antimafia Luciano Violante.Perciò l’opposizione agli arresti domiciliari«non è vendetta, ma solo giustizia», sottolineaIlda Boccassini, il magistrato da decenni im-pegnato nell’antimafia. «L’apertura della Cor-te non è sulla linea di chi lotta contro i clan».Ma, è anche opportuno chiedersi perché il bossdi Corleone, e in genere tutti i capi mafiosi,fanno del «morire nel proprio letto» un puntod’onore. Osserva Attilio Bolzone (La Repub-blica, 8 giugno 2017) che per loro morire acasa, circondati dall’affetto dei propri cari edall’ossequio della comunità, costituisce rico-noscimento all’abilità e capacità di sfuggirefino alla fine alla giustizia, nonostante una vitadi sparatorie e di omicidi. È segno di potenza,di capacità per una vita a opporsi, sostanzial-mente vittoriosi, nei confronti dello Stato. Èun «inchino» che il capo mafioso impone alloStato, di cui si sente superiore, e alla comuni-tà. «È morto nel suo letto»: così il quotidianopalermitano «L’Ora», nell’ottobre del 1976, an-nunciava la morte di Genco Russo, ai tempicapo di Cosa Nostra. «È morto nel suo letto»,avevano già titolato i giornali del Nord alla mor-te di Calò Vizzini, il predecessore di Genco Rus-so al vertice della malavita organizzata. E cosìpure Procopio di Maggio, lo scorso anno, ilmafioso capo di Cinisi, morto centenario qual-che giorno dopo essere stato festeggiato contanto di torta e candeline. Dunque, morire nelproprio letto circonfonde di gloria il boss.Ecco perché sconcerta il parere della Cassa-zione, che tra l’altro dimostra di conoscere benpoco i contesti ambientali e umani delle situa-zioni e delle persone sulle quali altamente sipronuncia.Certo, la misericordia divina è a disposi-zione anche dei pluriomicidi, ma questidebbono dimostrare, con parole e opere,di essere sinceramente pentiti, con riscon-tri ben visibili. Ora, questo atteggiamen-to, fino ad ora non sembra caratterizzareil Nostro. Perciò la clemenza degli uominie quella del Signore restano un’offerta so-stanzialmente rifiutata, impossibilitata atrasformarsi da potenza in atto. ❑

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FiorellaFarinelli P er i ragazzi del servizio civile di

oggi, c’è chi rispolvera il titolo delpopolare film del 2003 dedicatoalla generazione del Sessantotto.Troppe le differenze, in verità, perpoter stabilire analogie attendibi-

li, ma è vero che furono proprio i ventennidi quella generazione ad accorrere spon-taneamente da tutta Italia per portare aiu-to alla Firenze devastata dall’esondazionedell’Arno. Era il novembre del 1966 ma leimmagini sono ancora vivide, quei ragaz-zi così seri impegnati per settimane a ti-rar fuori dal fango i preziosi volumi dellaBiblioteca nazionale o a svuotare dall’ac-qua seminterrati e botteghe. L’icona di unvolontariato generoso e appassionato cheper tanti si sarebbe trasformato di lì a pocoin contestazione e lotta politica.

le norme attuali

Ma oggi? Oggi il servizio civile per i giova-ni dai 18 ai 28 anni, nato a seguito del-l’abolizione della leva militare obbligato-ria, è tutt’altra cosa. È regolamentato danorme (l’ultima, che fa parte della rifor-ma del terzo settore, è un decreto del mar-

zo scorso), è finanziato dallo Stato, preve-de durate e orari specifici, dà luogo aun’apposita retribuzione (433,80 Euromensili), a crediti formativi riconoscibilidai sistemi di istruzione, ad attestati fina-li. È uno degli strumenti di «Garanzia Gio-vani», il programma europeo per lo svi-luppo dell’occupazione giovanile, e ha tan-te, forse troppo ambiziose, finalità. Tutteinsieme. La «difesa non violenta della Pa-tria», il supporto economico alla disoccu-pazione dei giovani, l’offerta di un’espe-rienza concreta per far maturare orienta-menti e vocazioni professionali, e poi ov-viamente anche la formazione civica dellenuove generazioni, l’adesione matura aivalori costituzionali, la solidarietà, il ri-spetto dei beni comuni. Un miracolo, setutto ciò potesse davvero materializzarsiper tutti quelli che l’esperienza la fanno ela faranno.

cosa c’è di nuovo

Un nodo irrisolto, si sa, è quello dell’ob-bligatorietà o meno del servizio civile. Unaltro è quello dell’equilibrio tra diritti edoveri (e dello spessore educativo del-

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SERVIZIO CIVILE

la megliogioventù

l’esperienza stessa, affidata agli Enti pub-blici e del privato sociale che ne benefi-ciano). Ma è comunque un’opportunitàconcreta, nelle difficoltà di inserimentosociale e professionale dei giovani, e neldeserto di iniziative forti e diffuse di edu-cazione alla partecipazione civile.Ma che cosa c’è di nuovo, rispetto alla leg-ge istitutiva del 2001, nel decreto varatola scorsa primavera e diventato attuativoil 18 aprile? Il servizio civile nazionale, in-tanto, viene definito «universale», inten-dendo con ciò che l’obiettivo è di assicu-rarne l’accesso a tutti i giovani che ne fac-ciano richiesta. In anni recenti, si sa, nonè andata affatto così, solo poco più di unterzo delle domande è stata accolta causafinanziamenti insufficienti (nel 2015 ven-nero finanziati solo 35.247 posti). Ma an-che la nuova norma precisa che il nume-ro dei volontari così come l’entità dell’as-segno mensile sarà deciso «in base alle ri-sorse disponibili». La verità è che per coin-volgere ogni anno l’intera leva dei diciot-tenni ci vorrebbe ben più di 1 miliardo dieuro, che nel 2017 sono stati stanziati 257milioni (per il bando in scadenza il pros-simo 26 giugno) per 47.529 posti, che per

gli anni che verranno si vedrà. La doman-da, intanto, si aggira attorno ai 100.000l’anno ed è del tutto improbabile che unadifferenza così marcata possa essere col-mata dalla possibilità, confermata dallanuova norma, di bandi aggiuntivi emana-ti autonomamente da enti pubblici e delprivato sociale, ma fuori dal finanziamen-to statale e con risorse proprie. Anche lì,nelle regioni e nei comuni, il piatto pian-ge, o meglio le risorse – come del resto hafatto lo Stato, col discutibile bonus cultu-ra regalato ai 18enni – sono indirizzate pre-feribilmente altrove.Un’altra novità del decreto, di valore poli-tico più sostanziale, è che sono finalmen-te inclusi anche i giovani non cittadini ita-liani in possesso di regolare permesso disoggiorno. Un passaggio decisivo per faci-litarne l’integrazione – il sentirsi parte ac-colta e attiva della comunità – su cui i Tri-bunali erano arrivati ben prima del Parla-mento, e che è stato alla fine, e non senzaacuti contrasti, accettato anche dalla poli-tica. Sarà un indicatore interessante, fral’altro, degli atteggiamenti verso l’integra-zione da parte delle famiglie e delle comu-nità straniere residenti in Italia e, comun-

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SERVIZIOCIVILE

que, delle cosiddette «seconde generazio-ni».

e si guarda anche al dopo lavorativo

Novità ci sono però anche su altri versan-ti. Con un occhio rivolto a servizi che han-no un enorme bisogno di energie nuove eun altro allo sviluppo di nuove vocazioni/opportunità professionali per i giovani,alcune riguardano l’ampliamento degliambiti di utilizzo del servizio civile. Oltrea quelli tradizionali come assistenza, pro-tezione civile, tutela di ambiente, patrimo-nio artistico e culturale ecc., ce ne sono dinuovi, come educazione e promozioneculturale dello sport, agricoltura in zonedi montagna, agricoltura sociale e biodi-versità.Altre novità riguardano invece la duratadell’esperienza, non solo i 12 mesi ma an-che gli 8 (un periodo troppo breve, in veri-tà, ha sempre ritenuto la Caritas, per unavera educazione alla responsabilità civi-le); e gli orari di impegno settimanale (30,ma anche 25 ore), per esperienze più com-patibili con lo studio ed altri «lavoretti».Altre ancora sollecitano la domanda piùcuriosa e intraprendente, come la possi-bilità di servizio civile anche all’estero,in programmi di cooperazione dell’Unio-ne Europea. Poi ci sono le innovazioniorganizzative, come la programmazionetriennale e la valorizzazione delle «reti»non solo tra pubblico e privato sociale,ma anche tra questi e il privato delleimprese. E una più attenta regolamen-tazione dei crediti formativi, anche at-traverso convenzioni tra lo Stato, le Uni-versità, il mondo del lavoro. Si guarda aldopo, insomma, in primis al futuro la-vorativo dei giovani. Non è infatti perniente tranquillizzante l’esito del servi-zio civile all’interno del programma Ga-ranzia Giovani. Secondo un recente Rap-porto, a 6 mesi dalla fine del servizio ci-vile, risulta occupato solo 1 giovane su 3(e si tratta non solo di giovanissimi vistoche l’età massima è 28 anni), e di questisolo il 22,5% ha trovato lavoro presso gliEnti in cui ha svolto il servizio. Bilancioassai magro se il servizio civile dovesseessere interpretato solo come veicolo perl’occupabilità giovanile.

ma servizio civile è altro

Ma non è questo il punto. O quanto menonon dovrebbe essere questo il punto prin-cipale. Perché il servizio civile è o dovreb-be essere sopratutto altro. Dovrebbe esse-

re la comunità, la Repubblica (come di-cono i francesi) che – compiuti i 18 anni –chiama i più giovani ad imparare cos’è,cosa deve significare, essere cittadini di unpaese con una Costituzione come la no-stra. Dovrebbe chiamarli tutti, ragazze eragazzi, figli di famiglie italiane da sem-pre e nuovi – italiani, chi farà l’universitàproprio come chi ha lasciato la scuola dopola terza media. Per conoscerli e farsi co-noscere e per farli misurare con i proble-mi più seri del Paese, e delle persone chelo compongono. Le povertà e le margina-lità, l’ambiente consumato e minacciato,l’immigrazione e l’esclusione, i rischi in cuiversa il patrimonio artistico e culturale, lecriticità di beni comuni assediati da milleinteressi privati. Un rapporto con la realtàper diventare più consapevoli del mondoin cui viviamo, e per provare per un certoperiodo con atti concreti la solidarietà, lapartecipazione civile, l’etica del «dono», laresponsabilità. Il volontariato, sebbeneretribuito, come tragitto per diventare piùcapaci di riconoscersi nella comunità dicui si fa parte. Ce n’è bisogno? Si direbbedi sì, a leggere dati come quelli circolati inquesti giorni sulla riluttanza proprio deipiù giovani a donare il sangue. Un segnopiccolo ma inquietante di una generazio-ne tenuta fuori troppo a lungo dalle re-sponsabilità della cittadinanza. E di unpaese che sembra poter fare a meno delleenergie morali ed intellettuali dei più gio-vani.

non una nuova forma di lavoro precarioe sottopagato

La scommessa è questa, e finora è statagiocata in modi e forme molto variabili.Molto meglio dove le organizzazioni delvolontariato hanno curato con attenzionela formazione dei giovani volontari (50 ore,confermate anche nella nuova legge), af-fiancandoli con azioni di tutoraggio e coin-volgendoli progressivamente nei compitidi maggiore responsabilità, molto peggiodove il servizio civile diventa, intenzional-mente o meno, una delle tante forme dilavoro giovane precario e sottopagato. Nonè un caso, del resto, che gran parte delledomande vengano dal Sud più affamatodi lavoro. Sono tempi in cui anche 433 euromensili possono essere molto ambiti. Maun programma per la meglio gioventù ri-chiede molto di più e molto altro. Ne sare-mo capaci?

Fiorella Farinelli

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TERRE DI VETRO

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OlivieroMotta D avanti a loro, in ordine sparso,

una tenda di quelle che si mon-tano in un amen, un fornellettoda campo, una borsa sportiva, unsalvagente arancione. Tutto qui.E, per sostenere il racconto, una

presa da 220w e un telo da proiezione sucui far scorrere le immagini girate duran-te una missione sulla rotta balcanica. Ser-gio Malacrida e Alessandro Comino nonhanno bisogno di effetti speciali per darevita a questa serata sospesa tra teatro, rac-conto e reportage. Una serata di spettaco-lo e condivisione che vale la pena vedereuna volta, per toccare da vicino e, soprat-tutto, farsi toccare dalle dinamiche delmondo, quelle che portano la gente a muo-versi, a lasciare il proprio Paese.Si chiama Sconfinati, e l’accento possia-mo metterlo noi del pubblico: sulla a, perindicare le persone di cui si va a parlare,oppure sulla prima i, per invitare tutti auscire dai propri di limiti, ad allargare losguardo e la mente.Lo spunto narrativo è, appunto, la missio-ne realizzata sulla Balkan route dai dueoperatori di Caritas Ambrosiana a febbra-io del 2016; da lì una serie di riflessionipiù generali sulle cause, sui numeri, sullepolitiche di accoglienza e ingresso nel-l’Unione Europea.Si parte dalla Turchia per arrivare in Slo-venia attraverso le storie raccolte sul per-corso in Grecia, Macedonia, Serbia e Cro-azia, cercando di spiegare come ha fun-zionato la rotta percorsa da oltre un mi-lione di persone in un anno e facendo vi-vere, anche solo attraverso il racconto, ildramma di decine di migliaia di famigliein cerca di un posto dove poter vivere pa-cificamente.Anche stasera, in questo piccolo centro del-la provincia milanese, Sergio e Alessandro,come in decine di altri appuntamenti in tea-tri, sale parrocchiali e spazi non convenzio-

sconfinatinali, hanno ricreato quell’atmosfera magi-ca, in cui ci si sente spinti contemporanea-mente fuori di sé – verso gli altri – e dentrose stessi, in quel bozzolo nascosto in cui ri-flettere sul serio sulle cose della vita.Il nostro cervello viene sollecitato ad atti-varsi fin dall’inizio, quando lo speaker cipresenta il ranking dei passaporti nel mon-do, ricavato confrontando le performancedei documenti, cioè in quanti Paesi si pos-sa andare senza dover chiedere un visto osolo con visto all’ingresso. Si va dal passa-porto tedesco, che ti permette di viaggiarein libertà in 157 Paesi, a quello afghano –fanalino di coda – che se ce l’hai puoi an-dare solo in tre Paesi: Haiti, Micronesia eS. Vincent e Granadine. Noi italiani sia-mo quarti, e capisci già come va il mondoe quale posto, nonostante tutto il nostrolamentarci, occupiamo noi.Ma la serata ti colpisce anche allo stomaco,ti emoziona con le storie semplici e contor-te delle persone incontrate sulle frontiere chetagliano l’Europa. Bellissima, a mio mododi vedere, l’intervista conclusiva alla giova-ne responsabile di un campo di transito inCroazia. Un’operatrice per caso, si potrebbedire, che arriva al campo solo per fare unlavoro come tanti, carica di pregiudizi neiconfronti dei migranti. Da lì, il suo percorsodi «conversione», attraverso l’incontro conle persone in carne e ossa, descritto in unoslavo contratto e velocissimo, con parole chearrivano, nette e dirette.Ecco, lo spettacolo finisce così. Si accendo-no le luci e anche stasera scroscia un ap-plauso lungo e convinto.Poi si apre il dibattito e il primo intervento èuna doccia gelata: una domanda polemicaal sindaco locale perché ha deciso di acco-gliere due profughi in un appartamento.No, sul serio: voglio emigrare. Il passapor-to forte ce l’ho, posso scegliere tra 155destinazioni.Una vera fortuna! ❑

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PietroGreco I nglese sì o no? È possibile ed è giusto

istituire interi corsi di laurea solo edesclusivamente in inglese, come hafatto nel dicembre 2011 il Senato ac-cademico del Politecnico di Milanodeliberando che, a partire dal 2014,

tutti i corsi di laurea magistrale e di dotto-rato di ricerca dovessero essere tenuti soloed esclusivamente, appunto, nella linguaanglofona?Alla prima domanda – è possibile? – ha ad-dirittura risposto, il 24 febbraio scorso, laCorte Costituzionale (sentenza n. 42 del2017) con un secco: no! E ha motivato: «Lelegittime finalità dell’internazionalizzazio-ne non possono ridurre la lingua italiana,all’interno dell’università italiana, a unaposizione marginale e subordinata, oblite-rando quella funzione, che le è propria, divettore della storia e dell’identità della co-munità nazionale, nonché il suo essere, diper sé, patrimonio culturale da preservaree valorizzare».

Dunque, da un punto di vista giuridico, nonè possibile erogare interi corsi di laurea odi dottorato «solo ed esclusivamente» ininglese. Ma sarebbe giusto, nel senso an-che di efficiente ed efficace?A questa domanda risponde il libro L’ita-liano alla prova dell’internazionalizzazione,curato da Maria Agostina Cabiddu, che nonsolo è ordinario di Diritto pubblico propriopresso il Politecnico di Milano, ma è statoanche l’avvocato delle persone che hannoopposto ricorso alla controversa deliberadel Senato accademico meneghino.

l’inglese unica ed esclusivalingua della scienza?

La domanda non riguarda solo una vicen-da di ateneo, per quanto importante. Hamolti risvolti, anche economici. Riguardail ruolo e anche il futuro della lingua italia-na, come il libro curato da Cabiddu mettein evidenza nella sua seconda parte. Ma

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SCIENZA

inglese o italianonelle Università?

assume una valenza che supera i nostriconfini e diventa, addirittura, globale seposta in questo modo: l’inglese può (deve)diventare la lingua unica ed esclusiva dellascienza?A questa domanda risponde, sempre nellibro curato da Maria Agostina Cabiddu,una biologa, Maria Luisa Villa, che è an-che membro dell’Accademia della Crusca.Prima di riassumerne gli argomenti occor-re fare due premesse.La prima riguarda i motivi che nel dicem-bre 2011 hanno spinto il Senato accademi-co del Politecnico di Milano a emanare lacontroversa delibera. La prima è di naturautilitaristica e riguarda la capacità di at-trarre studenti stranieri. Se impartiamolezioni in inglese, si sono detti al Politecni-co, aumentiamo la nostra capacità di at-trarre giovani dall’estero. Intenzione certa-mente meritoria, perché l’Italia ha una «bi-lancia dei cervelli» assolutamente negati-va: molti giovani italiani vanno all’estero

per studiare (cosa buona e giusta), pochis-simi coetanei stranieri vengono in Italia perfare altrettanto. Occorre bilanciare questoflusso di cervelli, aumentando la capacitàdi attrarre giovani dall’estero. Resta da ve-dere se quella di impartire lezioni in ingle-se piuttosto che in italiano sia un reale fat-tore di attrazione.Ma l’altra motivazione del Senato accade-mico del Politecnico milanese è di naturaculturale. La scienza è diventata ormaiun’attività a scala globale. Non solo perchéè intensamente praticata in ogni angolo oquasi del mondo, ma anche perché la co-munità scientifica planetaria si è interna-zionalizzata. Sempre più ricercatori di pa-esi i più diversi lavorano insieme a progetticomuni. La lingua veicolare di questa co-munità internazionale è l’inglese. È bene,dunque, che i nostri giovani superino unantico limite tutto italiano e imparino lalingua di Albione.Nessuno può eccepire a questa motivazio-

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SCIENZA

dello stesso Autore

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ne. È bene che i giovani italiani si laureinoassumendo anche la capacità di esprimer-si al meglio nella lingua veicolare dellascienza moderna. Ciò vale, è ovvio, in pri-mo luogo per i giovani che intendono lau-rearsi o prendere un dottorato di ricerca inuna materia scientifica.Il problema sta in quell’avverbio: esclusiva-mente. È bene che i giovani italiani (e ditutto il mondo) imparino a fare scienza uti-lizzando solo e, appunto, esclusivamentel’inglese?Non c’è dubbio che la scienza ha sempre avu-to una lingua veicolare. Gli scienziati elleni-sti, i primi scienziati moderni nella storiadell’umanità, utilizzavano il greco, anche semagari (è il caso di Euclide, per esempio) era-no egiziani. Poi, per restare al bacino delMediterraneo, la lingua veicolare della scien-za è diventata l’arabo. Più di recente, la «nuo-va scienza» esplosa nel Seicento in Europaha utilizzato il latino. Oggi utilizza l’inglese.Una lingua veicolare è necessaria alla scien-za. Per il semplice motivo che la comunitàscientifica è transazionale e ha tra i suoivalori primari il comunicare tutto a tuttianche per poter sottoporre a vaglio criticole affermazioni di tutti e di ciascuno. Solol’uso di una lingua comune può renderepossibile tutto ciò. Cosicché è successo, sto-ricamente, che l’esistenza di una lingua ve-icolare non ha solo permesso, ma ha favo-rito lo sviluppo della scienza.

lingua madre per creare,inglese per comunicare

Restano due problemi, tuttavia. Entrambimessi ben in risalto da Maria Luisa Villa. Ilprimo è che ciascuno di noi pensa meglio –è più creativo – se elabora il proprio pensie-ro nella sua lingua madre. Anche quando èandato negli Stati Uniti, Albert Einstein pen-sava (e creava scienza) in tedesco. Non avreb-be potuto creare scienza allo stesso modo seavesse tentato di pensare in inglese. In ma-niera più generale, i giovani italiani (o fran-cesi, o tedeschi o giapponesi) che hannocome lingua madre il solo italiano sono piùcreativi se possono imparare ed elaborarein italiano. Allo stesso modo i docenti italia-ni insegnano meglio se possono esprimersinella loro lingua madre. Costringere i giova-ni o i meno giovani che non hanno l’inglesecome lingua madre ad apprendere e a pensa-re in inglese, significa erodere un po’ (e forsenon solo un po’) la loro creatività.Ne deriva che – alla prova dell’internazio-nalizzazione – la risposta migliore, più ef-ficiente per lo sviluppo della stessa scien-za, non è il monolinguismo, ma il plurilin-

guismo. Lasciamo che ciascuno scienziatoapprenda e crei nella propria lingua e usia-mo pure l’inglese (anche in quella sua for-ma estremamente essenziale chiamata glo-bish) come lingua veicolare per «comuni-care tutto a tutti».Un po’ come succedeva all’inizio della rivo-luzione scientifica del Seicento. GalileoGalilei usava sia la lingua veicolare sia lalingua italiana per comunicare la sua «nuo-va scienza». Quando il suo interesse prin-cipale era raggiungere i matematici, gliastronomi e i filosofi naturali di tutta Eu-ropa, scriveva in latino. Ma quando il suointeresse principale era diffondere la cul-tura scientifica tra gli italiani, allora scri-veva nella sua lingua madre (mostrando,peraltro, una perizia tale da assurgere agliocchi di molti, compresi Leopardi e Calvi-no, come uno dei più grandi scrittori nellastoria della nostra letteratura).

plurilinguismo per il dialogotra scienza e società

Proprio l’esempio di Galileo ci introduce alsecondo problema connesso all’uso dell’in-glese come unica lingua della scienza. Coluiche John Milton definiva «l’artista toscano»scriveva in italiano perché aveva ben chiaroche non era possibile – non era giusto – esclu-dere i non esperti dalla condivisione della«nuova scienza». Galileo constatava che lenovità sideree (e non) che egli stesso stavaacquisendo avevano un impatto culturale esociale evidente. E che per rafforzare lascienza nei confronti dei suoi nemici, que-ste novità avevano bisogno di «essere cono-sciute da più persone che sia possibile».Oggi i rapporti tra scienza e società sonoancora più fitti e interpenetrati. Non è giu-sto e non è neppure possibile escludere i nonesperti dalle novità proposte dalla scienza.Ma i non esperti parlano italiano in Italia,francese in Francia, giapponese in Giappo-ne. Il plurilinguismo è una condizione ne-cessaria, ancorché non sufficiente, per il dia-logo tra scienza e società. Per costruire unasocietà democratica della conoscenza.Fin qui le problematiche, per così dire,scientifiche del problema. Ma c’è un altroaspetto che riguarda proprio la lingua ita-liana. Se viene utilizzata per creare e tra-sferire conoscenza scientifica, l’italiano re-sta una lingua viva, partecipe del suo tem-po. Se rinunciasse alla scienza, ben prestol’italiano diventerebbe una lingua del pas-sato. Una lingua morta. Con danni cultura-li – e non solo culturali – incalcolabili.

Pietro Greco

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BALENE AZZURRE

il gioco della morteon i loro 33 metri di lunghezza e200 tonnellate di peso le balenot-tere azzurre sono i più grandi ani-mali viventi per massa corporea.Più grandi del dinosauro più gran-de. Eppure ogni tanto si legge di

«spiaggiamenti» individuali e di massa,come se questi immensi cetacei fosseroafflitti da uno speciale tedium vitae mari-no, come fossero stufe di andare e venireper gli oceani da un sito di pastura a unodi parto a diecimila chilometri per volta,come se non ne potessero più di lasciarsisfottere, «bullizzare» (e poi divorare) dal-le orche nella Baia di Monterey sotto l’oc-chio implacabile di un drone da ripresa delNational Geographic. Naturalmente nonsappiamo perché lo fanno. Zoologi e com-portamentisti formulano ipotesi: i sonardei grandi battelli da pesca fan loro per-dere la traccia innata?, l’inquinamentomarino con i suoi arcipelaghi di plasticale fa andare fuori rotta?, le fasi lunari, ibuchi neri… la scienza autentica si inter-roga e mette in fila possibili risposte chenon sono ancora certezze.Ma la cosiddetta scienza del popolo (o scien-za de noantri), il sapere diffuso e condivisodella rete ha già deciso che trattasi di unamorte per scelta. Dunque le balenottere az-zurre hanno una tendenza al suicidio.

fake or news?

Questo è il macabro antefatto a Blue Wha-le, Balena Azzurra appunto, il gioco dellamorte che secondo quanto circola in rete esui media (sempre pronti ad amplificarnela diffusione per paura di perdere una oc-casione di attirare l’attenzione generandoansia nel pubblico) starebbe seducendocentinaia di migliaia di adolescenti dallaRussia (dove è nato) all’Africa, dall’Europaalle Americhe e adesso anche in Cina attra-verso social network talvolta aperti e tal-volta chiusi in cui è facile perdere le tracce.Una sequenza di sfide sempre più tostecondotte da «curatori» implacabili dotatidi poteri irresistibili. Una lista di cinquan-ta prove più o meno demenziali tenute in-sieme da un filo rosso di auto-lesionismo(alzarsi alle 4 e 20 del mattino, guardarefilm horror tutto il giorno, incidersi le brac-cia disegnando la balena) che si conclude-rebbe con la prova suprema: salire sull’edi-ficio più alto disponibile e buttarsi di sot-to, possibilmente dopo un selfie in volo oalmeno il conforto di un codazzo di adep-ti che riprendono la scena e la postano suinternet.Se ti connetti e cominci a seguire la listanon puoi più uscirne è il mantra ricattato-rio che aggiunge al tutto un’aura di impro-

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BALENE AZZURREbabile magia.Secondo i media questo nuovo gioco diruolo avrebbe già ucciso 130 adolescentinegli ultimi sei mesi solo in Russia doveun ragazzo sarebbe stato arrestato con l’ac-cusa di aver indotto al suicidio ben ottoadolescenti. Morti sospette si segnalano inKenya e anche in Italia, forse, il recentecaso del quindicenne di buona famiglia chesi è buttato dal 26° piano di un grattacielodi Livorno sarebbe da collegarsi alle bale-ne. Almeno secondo le ineffabili Iene diItaliaUno sempre a caccia di sensaziona-lismi conditi da immagini sconvolgenti diragazzi morti, ultimi messaggi lasciati suFacebook, dichiarazioni di amici e poten-ziali complici interviste strappate a ma-dri sbigottite, paralizzate perinde ac cada-ver, comunque sempre ignare, con cui ali-mentare il loro pluridecennale successo nelpubblico più giovane.Naturalmente questa ennesima orribilestoria potrebbe essere vera. Ma anche par-zialmente falsa. O falsa del tutto. Un casoesemplare di fake (bufala). E come si fa adifendere i nostri ragazzi e noi stessi daun marchingegno del genere?, serve unanuova legge?, tocca regolamentare i socialnetworks?Proviamo a tenere i nervi saldi. Perché nontutto può essere normato, non sempre lalegge è efficace, soprattutto se assume ilprofilo odioso di una censura. Esiste unafascinazione suicidale fra gli adolescenti?Temo di sì, non solo fra i più fragili e sug-gestionabili l’attrazione del vuoto che ri-solve in un baleno tutte le paure di inade-guatezza che caratterizzano queste età dipassaggio è un problema riconosciuto per-fino dalla Organizzazione Mondiale dellaSanità, che infatti chiede ai media di trat-tare l’argomento rispettando un protocol-lo piuttosto avaro di spettacolarità e diescludere dettagli imitabili.Dunque è possibile che qualche menteperversa abbia immaginato un facile ag-gancio per creare un folle percorso di gio-co (in fondo di questo si tratta)? E se cosìfosse si può partire da qui per ipotizzareche uno o più curatori-adescatori indichi-no un percorso che a un certo punto è«sfuggito di mano»? Possibile, ma è piùprobabile che sia tutto «tiatro» come fa-rebbe dire Camilleri al suo CommissarioMontalbano, una messinscena funzionaleal marketing della idea per attirare condi-visioni su siti che poi sapranno come mo-

netizzarle.Che poi sia una idea del cavolo è un altrodiscorso.Quel che è certo è che nessuna autoritànazionale o internazionale ha confermatoalcun rapporto di causa ed effetto fra i sui-cidi degli adolescenti nel mondo e la pra-tica di questo gioco.Ma tant’è, la bufala è partita, i media han-no fatto il loro sporco lavoro prima di far-si venire qualche dubbio e andare a con-trollare le fonti. Intanto però la gente si èallarmata e ha messo alle strette i centra-lini dei Tg, delle televisioni, della PoliziaPostale, chiedendo consigli e insieme in-terventi per chiudere i social che ospitanoquesta follia.Esiste una tendenza dei media a prenderper oro colato notizie come questa dellebalene? È certo che sì. E qui andrebbe fat-ta pulizia delle fandonie che si sono mes-se in moto su questo caso.Bufala 1. Non è vero che i curatori del Blu-Whale abbiano poteri magici o di ricattoper cui una volta entrati nella lista non sene può più uscire. Non c’è nessuna magiae nessun curatore che ti impedisca di usci-re dal gioco se decidi di farlo. È come nel-le vecchie Catene di Santantonio che qual-cuno ricorderà dove si minacciavano even-ti terribilissimi a chi interrompeva la ca-tena. Invece se ne esce tranquillamente,basta staccare la spina.Bufala 2. Non risulta che il russo arrestatosia collegato a questo particolare gioco dimorte bensì ad una attività di altra naturaassimilabile all’autolesionismo in un peri-odo che va dal 2013 al 2016. Le balene nonc’entrano anche perché il macabro giocoè nato solo a fine 2015 come gruppo chiu-so nell’ambito di VKontakte, una specie diFacebook russo.Bufala 3. Il problema della tendenza sui-cidale in età adolescenziale non è l’inven-zione di un perfido ingegnere della morteche percorre la rete. È sempre esistito ahi-mè, come sono sempre esistiti adescatoridi tutti i generi, non solo uomini con l’im-permeabile ma anche veri e propri orchi.Quando eravamo ragazzi e giocavamo neicortili e per strada ci insegnavano a nonparlare con gli sconosciuti, a non seguirequalcuno incontrato ai giardinetti, a nonprendere le famose caramelle. Forse piùche richiedere a gran voce un’altra leggebisognerà tornare a insegnare a bambini,ragazzi, adolescenti e adulti infantilizzati

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Roberta Carlinieconomista e giornalista

Stefano Zamagnidocente di Economia politica

(Università di Bologna)

che come non si parla con gli sconosciutiper strada così non si chatta con gli sco-nosciuti in rete. Norme di buon senso cheservono a imparare a gestire i rischi.

ma i genitori dove erano?

Ma soprattutto bisogna tornare a interro-garsi su dove siano i genitori quando i fi-gli guardano un film horror alle 4 del mat-tino. Individuare e seguire le tracce, quel-le autentiche e quelle fasulle, lasciate inrete da chi gestisce questi siti è difficilissi-mo perché spesso sono gruppi chiusi al-l’interno di social media occulti, e perchépiù si indaga più si annacqua il contesto ele tracce impallidiscono. Ma forse sareb-be più semplice se si tornasse a osservarei figli, i loro comportamenti.Bisogna avvicinarsi, informarsi, parteci-pare, guardare le applicazioni, le relazio-ni attivate. Bisogna giocare la partita per-ché siamo noi genitori a mettere quei mez-zi in mano ai nostri figli. Eppure, comedice Paolo Attivissimo, lo svizzero-italia-no che gestisce un sito e un programmaanti-bufale (Il Dis-informatico) sulla Ra-dioTelevisione Svizzera Italiana, non civerrebbe mai in mente di andare in unnegozio di articoli per giardinaggio, com-prare una moto-sega e poi darla in manoa un ragazzino di otto anni…Bisogna osservare gli adolescenti, ancheperché ci piaccia o meno la rete e il digi-tale sono anche un magnifico mezzo diapplicazioni creative e di produzione dilinguaggi innovativi e importanti, oltre chesempre più un contesto occupazionale enon solo di intrattenimento.Come dice Federica Zanetti che insegnaDidattiche Speciali alla Università di Bo-logna, bisognerebbe anche togliere di mez-zo espressioni come «nativo digitale» die-tro le quali nascondiamo le nostre pigri-zie e che servono ad allontanarci ancoradi più dai ragazzi perché danno per scon-tato che loro siano «competenti» per na-scita e noi no. Mentre non lo sono, hannobisogno di guida e più spesso di quanto sicreda chiedono di essere aiutati.

governare la rete invece di subirla

Fra tante miserie tre episodi recenti cheraccontano di una ri-assunzione di respon-sabilità che rincuora e fanno sperare.L’insegnante che ha provocato una presa

di coscienza da parte dei bulli facendo leg-gere in classe il tema sull’esperienza chevive un alunno vessato.La madre italiana che due anni fa a Lon-dra ha avuto il coraggio di affrontare unodei terroristi di London Bridge quando fa-ceva proselitismo nel parco fra i ragazzinie denunciarlo alla polizia, anche se la de-nuncia non ha avuto seguito e avrebbe for-se potuto salvare qualcuna delle otto viteperdute.L’esperienza della Scuola Primaria DonMarella di Bologna dove da tre anni si cer-ca di insegnare i fondamenti della psico-logia ai bambini attraverso percorsi gui-dati su fenomeni come le emozioni, la per-cezione, i sentimenti, le relazioni. NonFreud e Jung insegnati ai bambini, non ladottrina ma la capacità di osservarsi e diesprimere sentimenti e paure. Attrezzi dadare ai bambini per manifestare la propriaaffettività, crescere nel rapporto con glialtri, affrontare un mondo sempre piùomologato eppure complesso, come dicelo psicoterapeuta Emilio Robecchi che haguidato il progetto.«Forse le cose non sembrano come sono»è la sintesi meravigliosa di un alunno diprima che dà il titolo al volume che rac-conta questa esperienza. Bambini così sa-ranno magari meno portati a credere allescie chimiche e a votare cinque stelle, maè probabile che governeranno la rete inve-ce di subirla.

prima delle leggi

Genitori e insegnanti, gruppi di pari, ascuola, in famiglia, nella società devonoritrovare la voglia e la forza di rimettersiin gioco, tornare a imparare come inter-venire prima delle leggi, che se non sono ilrisultato di un costrutto sociale condivisorestano ignorate, eluse o apertamente sfi-date. E prima della regolamentazione deisocial network, che funziona solo se pre-vede sanzioni economiche. Come insegnala velocità con cui Zuckenberg, dopo aversnobbato il problema per anni, ha attivatoil Facebook Journalism Project per com-battere la penetrazione di fake-news nel piùgrande social del mondo, quando ha capi-to che dall’Europa e in particolare dal go-verno tedesco sarebbero arrivate multepesantissime.

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ono trascorsi quasi due anni dagli«accordi» di Parigi sui mutamenticlimatici, ma nulla lascia intenderee sperare che si vada avanti lungo lastrada disegnata in quegli incontri.L’indomani di quel lungo incontro

(30 novembre al 13 dicembre) con una ven-tata di ottimismo si era indotti a cantarela verdiana «Parigi, o cara, noi lasceremo,la vita uniti trascorreremo. De’ corsi affan-ni compenso avrai, la tua salute rifiori-rà…». Così canta Alfredo alla traviata, maormai quasi moribonda, Violetta. E cosìsembrava potessero cantare i rappresen-tanti dei 195 Stati riuniti a Parigi nel ten-tativo di risolvere i gravi problemi del pia-neta: bastava mettere Terra al posto di Vio-letta e tutto tornava. Perché i versi di Fran-cesco Maria Piave, il librettista della Tra-viata, sono veramente profetici: i parteci-panti alla Conferenza di Parigi lasciavanola città felici di avere gettato le premesseper un futuro migliore dove si potrà vive-re uniti perché la Terra, in tal modo com-

UgoLeone S pensata per i maltrattamenti ricevuti, po-

trà finalmente rifiorire godendo di ottimasalute.

non solo Trump

Ma cerchiamo di capire come stanno an-dando le cose. E come si stanno orientan-do dopo la elezione di Donald Trump allapresidenza degli Stati Uniti e la sua parte-cipazione, diciamo così, al G7 di Taormi-na (maggio 2017) e quella ancora più bre-ve di Scott Pruitt suo rappresentante al G7per l’ambiente a Bologna (giugno 2017).La prima più immediata e ricorrente im-pressione è che tutto rischia di bloccarsi acausa della progressiva uscita degli StatiUniti dagli accordi di Parigi. Questo atteg-giamento è certamente motivo di preoc-cupazione e causa del rallentamento nelcronoprogramma degli impegni. Ma nonè tutto qui. Lo ha scritto bene Marica DiPierri (Trump o non Trump sul clima nes-suno fa la sua parte, «il manifesto» 11 giu-

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ORTODOSSIA

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Trumpe i negazionisti

gno 2017) ricordando anche che la «rivo-luzione ecologica» potrà essere tale solo esoprattutto venendo «dal basso».Vanno in questo senso i contenuti del De-cologo un manifesto contenente la propo-sta di 78 misure per la transizione in sen-so ecologico di economia e società firma-to da un centinaio di scienziati e da circaduecento associazioni e comitati attivi sulterritorio in tutta Italia.Insomma dopo i più o meno moderati en-tusiasmi iniziali si è diffusa l’impressioneche la situazione globale è ancora sostan-zialmente ferma al punto di partenza. Nonsolo, ma si va anche ampliando la schieradei «negazionisti» che tendono a dere-sponsabilizzare i comportamenti umanitra le cause dei mutamenti climatici.

i negazionisti

Direi che un primo momento di invito allariflessione e alla preoccupazione si puòcollocare nella intervista di Serena Danna

(Credetemi, il clima non è surriscaldato, «laLettura» 26 febbraio 2017) a William Hap-per ‘docente emerito di Fisica a Princeton’che, come si legge nell’occhiello dell’arti-colo, «guida la schiera degli scettici delcambiamento ambientale». Sempre nel-l’occhiello si afferma che «La Lettura hafatto dialogare le sue tesi con quelle diMark Cane, ‘padre’ di El Niño».Come si potrà facilmente notare leggen-do i contenuti dell’intervista ad Happer(http : / /www.scienzainrete . i t / f i les /Credetemi%2C%20il%20cl ima%20non%20è%20surriscaldato%20%281%29.pdf)il professore di Princeton ha rispolveratomolti dei miti del negazionismo climati-co, da tempo confutati dalle evidenzescientifiche disponibili. Tanto che la rea-zione a quei contenuti è stata immediatae «Scienza in rete» con un articolo di ri-sposta già nel titolo (È certo, il clima è sur-riscaldato) (http://www.scienzainrete.it/ar-ticolo/è-certo-clima-è-surriscald.) il 6 mar-zo successivo ha ritenuto «di fare un ser-

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vizio ai lettori – soprattutto agli studentidelle scuole – nel mostrare l’infondatezzascientifica delle affermazioni di WilliamHapper». Con un lungo testo nel quale gliesperti di Climalteranti (http://www.climalteranti.it) hanno analizzato le14 affermazioni principali di Happer mo-strandone l’inconsistenza scientifica.Il tutto integrato anche da una lettera, an-che questa sul sito di Climalteranti, nellaquale, il 10 marzo, Mark Cane – professo-re alla Columbia University – così scrive:«Caro direttore, nel numero di La Letturapubblicato il 26 febbraio sono stato coin-volto in un ‘dibattito’ sul riscaldamentoglobale. Quando ho risposto alle doman-de della sua giornalista, Serena Danna, nonmi era stato detto che le mie risposte sa-rebbero state presentate come facenti par-te di un ‘dibattito’. Nonostante il risultatofinale non sia catastrofico, ci sono alcunipunti che mi imbarazzano inutilmente –ed imbarazzano anche Il Corriere. In quan-to ‘padre’ di El Niño, me la sarei di sicuropresa coll’idea che El Niño sia cominciatonel 1998 quando abbiamo prove che acca-desse – 130mila anni fa, ed abbiamo do-cumentazione dettagliata che l’evento piùdevastante è stato quello del 1877. In mol-ti punti, le mie ‘risposte’ al professor Hap-per non sono esaurienti. Lo sarebbero sta-te, se avessi saputo a che gioco stavo gio-cando. Questo è un disservizio ai suoi let-tori, che li priva della comprensione chesarebbe derivata da un vero dibattito. I let-tori che desiderino conoscere meglio laverità guardino qui (ndr: o su Climalteran-ti). Nei media americani non si può scap-pare a Trump, nemmeno nel mio rifugio:le pagine sportive. Mi tocca sopportarloanche nel Corriere? Nonostante tutto amol’Italia, e non vedo l’ora della mia prossi-ma visita».

responsabilità delle azioni umane

Insomma non spira una buona aria e ilnegazionismo più o meno apertamente le-gato agli interessi economici di petrolierie carbonieri continua – legittimamente,peraltro – ad imperversare. Tutto mentrela quasi totalità degli scienziati che da de-cenni si occupano del problema affermache la responsabilità delle azioni umane èrealisticamente riconoscibile almeno al95%. Ma se avessero ragione quanti si ri-conoscono nell’altro 5% e le responsabili-tà fossero solo o prevalentemente dellanatura – natura che è comunque e fortu-natamente responsabile di un «naturale»effetto serra senza il quale le temperature

terrestri sarebbero inferiori di una trenti-na di gradi –; se questi avessero ragione,resta comunque il fatto che immettendosostanze inquinanti in atmosfera se nedanneggia la respirabilità per gli esseriumani causando la diffusione di morbili-tà e mortalità. Basterebbe questo per in-durre i gestori del bene comune Terra adaccordarsi per ridurre sino a zero quelleemissioni puntando sull’uso di energiepulite e rinnovabili.È, questo, d’altra parte quanto avevanodeciso a Parigi i 195 Paesi partecipanti allaConferenza sul clima. Una decisione che,in poche parole si può riassumere ricor-dando che l’intesa prevede il contenimen-to dell’incremento della temperatura del-la Terra in modo che non superi 1,5 gradicentigradi entro la fine del secolo e chequesto risultato venga raggiunto con unvolontario taglio delle emissioni. Un obiet-tivo certamente molto ambizioso realizza-bile solo con il progressivo passaggio dal-l’uso, tuttora massiccio, di combustibilifossili (carbone, petrolio, metano) a quel-lo sempre più sostitutivo di fonti rinnova-bili e pulite.È un obiettivo realizzabile nel medio lun-go periodo (i prossimi 85 anni) e non pernoi oggi, ma per chi verrà dopo di noi aiquali bisognerebbe restituire integra laTerra che ci hanno prestato.Nei due anni trascorsi pochissimi sono isegnali positivi aggravati poi dall’uscitadegli Stati Uniti dall’accordo di Parigi, inseguito alla quale si calcola che ogni annosi aggiungerebbero 3 miliardi di tonnella-te di anidride carbonica alle emissioni glo-bali.

speranze da Cina e India

L’unica nota positiva viene da Cina e Indiache sono il primo e il terzo produttore digas serra. Ne dà notizia il «New York Ti-mes» (Svolta verde in Cina e in India, «In-ternazionale» 26 maggio 2017) afferman-do che i due Paesi hanno sensibilmenteincrementato gli investimenti nelle ener-gie rinnovabili e ridotto la dipendenza daicombustibili fossili, in perfetta linea congli obiettivi fissati a Parigi, perfino antici-pati nei tempi.«Gli Stati Uniti devono imparare la lezio-ne» scrive ancora il «New York Times. Ma,aggiungerei, senza dimenticare quantodicevo prima. Cioè che la «rivoluzione eco-logica» potrà essere tale solo e soprattuttovenendo «dal basso».

Ugo Leone

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quale lavoro?abor, in latino fatica, pena, sfor-zo, è la radice. Viene dal verbo la-bare, vacillare sotto un peso. Cosìdovevano apparire gli schiavi,schiacciati dai pesi che trasporta-vano, agli uomini liberi che in-

tanto discettavano di politica e filosofia nelforo. Dal latino deriva direttamente, oltreche l’italiano «lavoro», anche l’inglese la-bour, mentre in Francia il lavoro si chia-ma travail e, così come in Spagna il tra-bajo, sembrerebbe connettersi ad una areadi significato più creativa, attraverso il ri-chiamo al travaglio di parto. Altre fontiinvece collegano più crudamente il travaile il trabajo al tripalium, che invece era unantico strumento di tortura composto datre pali. Travagghiari ancora oggi in Sici-lia connota il lavoro faticoso e duro dellebraccia e della schiena piegata. Quindi (F.Avallone, Psicologia del lavoro, Carocci,Roma 1998) il significato primitivo e ar-caico del lavoro evidenzia fatica, sforzo,peso, fino al limite della costrizione (lacorvée) e della tortura (i lavori forzati). Gliuomini «liberi» non lavoravano, era que-stione riservata a servi e schiavi, il lavoro.

Le altre, quelle che oggi chiamiamo pro-fessioni (libere), erano considerate appun-to arti, liberali, contrapposte ai mestieri,più plebei.

da pena a diritto

Da allora, con l’avvento della società bor-ghese e dell’industrializzazione, la pena deldover lavorare è diventata un diritto, e daelemento di disagio necessario per le clas-si subalterne il lavoro è diventato deside-rio, investimento, creatività, fino all’affer-mazione di Sigmund Freud, che lega amo-re e lavoro nell’attribuire loro un ruolocentrale nella vita umana, e poi li utilizzacome indicatori di benessere psichico esegnali di una avvenuta evoluzione versol’adultità. Si arriva anche ad una idea dilavoro come nobilitante per l’umano, comeattività capace di sacralizzare la vita, con-nessa all’idea di sacrificio e di slancio ide-ale, come dovere e come virtù, come con-tributo al progresso della nazione o al be-nessere delle generazioni future.Oppure come merce, forza-lavoro generi-ca e astratta da offrire sul mercato, in cam-

I VOLTI DEL DISAGIO

RosellaDe Leonibus L

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bio di un salario. Tuttora, in molte partidel pianeta, è anche alienazione, praticadeumanizzante, riedizione in forma nasco-sta di antiche schiavitù. Essenza fonda-mentale dell’essere umano, il lavoro è an-che, in senso ampio, l’attività attraverso laquale si diventa coscienti di sé e della pro-pria intenzionalità, capace di creare ilmondo e soddisfare anche bisogni di ordi-ne superiore. È campo di esercizio dei di-ritti e del riconoscimento della soggettivi-tà civile. Qualcuno ne ha decretato l’im-minente fine, e preconizza l’indebolimen-to dell’ideologia del lavoro come valore insé. Altri, come il sociologo Domenico DeMasi, ipotizzano una rivoluzione silenzio-sa dove il lavoro sia sganciato dal salario evenga offerto gratuitamente, al massimoin cambio di altri servizi o beni, con l’ipo-tesi di scalzare alla radice quell’economiamercantile che ha mercificato il lavoro econ esso gli umani che lo svolgono.Oggi è l’aspirazione di tanti, più o menoraggiungile, è il sogno di una autonomia alungo rinviata, la promessa di una sogget-tività piena, il completamento di una iden-tità sociale che potrà finalmente non esse-re più monca e svolgersi finalmente anchesotto il profilo dell’integrazione sociale.È una sintesi dinamica, il significato con-nesso al lavoro, e lascia vedere in filigranai modelli culturali, i valori, le norme so-ciali del contesto in cui si colloca. Perchécondensa dentro il suo campo semanticosia le determinanti storiche e culturali chequelle bio-psico-sociali. Si definisce in rap-porto alla natura, che ne viene trasforma-ta (dall’homo sapiens che scheggia la pri-ma pietra per farne un utensile, all’homofaber che determina il proprio destino), eagisce come struttura portante delle rela-zioni sociali.Nello stesso tempo il lavoro è una attiva-zione, un movimento che ha un esito nel-la produzione di un bene o di un servizio,ed è un modo per esprimere le risorse per-sonali di chi lo svolge, sia sul piano con-creto del corpo che su quello immaterialedell’intelletto e delle emozioni. Attiva cam-biamento, nell’ambiente e nella materiache dal lavoro viene trasformata, ma an-che nella persona di chi lo compie, cheaffina le sue capacità, ed infine è un cam-po specifico di esperienza relazionale esociale, caratterizzato da dinamiche tipi-che. Si svolge con gli altri e per gli altri,entra nel quadro degli scopi collettivi e ne

riceve l’impronta organizzativa. Luogo diconflitti e di alleanze, di confronti e ten-sioni, diventa esperienza quotidiana dimediazione tra aspirazioni personali e re-altà esterna, tra progetto e realizzazione,banco di prova della capacità di risolvereproblemi, superare ostacoli, prendere de-cisioni, cooperare.

teatro di vita

Nel teatro del lavoro, si incrociano sullascena la persona, con il suo mondo psi-chico e valoriale; gli altri, con le emozio-ni, le motivazioni, i ruoli e le dinamicheche si attivano; la realtà esterna, fatta dicontesti, organizzazioni, strutture socialied economiche.Campo di esperienza del limite e delle pos-sibilità, la pratica quotidiana di una atti-vità lavorativa allena la responsabilità e lacapacità di perseguire obiettivi e tollerarefrustrazioni, riparare ad errori, ritentaredopo gli insuccessi. Sviluppa il sentimen-to di autoefficacia e la competenza a ge-stire una specifica gamma di relazioni nonfondate su una base affettiva. Permette diimparare ad adattarsi ad un ordine dato,ma crea di tanto in tanto anche l’occasio-ne per allenare la capacità di mettere indiscussione questo ordine.Nei contesti di lavoro si genera uno spa-zio privilegiato per costruire la propriaidentità, attraverso il movimento paral-lelo dei processi di identificazione e diindividuazione. Chi sono io come perso-na specifica? Come posso essere ricono-sciuta/o e valorizzata/o per il mio appor-to specifico al progetto comune? In qua-li azioni, persone, gruppi, contesti, miposso identificare? Cosa posso investiredi me stessa/o in questo spazio socialecreato dal lavoro? Come partecipo alloscambio sociale, al ciclo del dare e delricevere?In che modo posso rapportarmi alle rap-presentazioni comuni della realtà con lequali mi trovo ad interagire? Sono partedi un gruppo? Mi posso identificare colmio gruppo di appartenenza lavorativa?Come mi riconosce il contesto sociale inquanto persona che svolge questo specifi-co lavoro? Quanto e come sento di appar-tenere ad una comunità sociale? In chemodo sono capace di entrare in sintonia ein sinergia con gli altri per un fare coordi-nato comune?

I VOLTI DEL DISAGIO

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Gratificazione narcisistica e nello stessotempo limitazione del narcisismo, lavora-re vuol dire sentirsi efficaci e presenti almondo, ma anche separarsi da se stessi,dalle preoccupazioni personali, per impe-gnarsi in una storia più grande, diversadalla propria (J. Barus-Michel, E. Enri-quez, A. Levy (a cura di), Dizionario di Psi-cosociologia, Raffaello Cortina Editore,Milano 2003).Se la flessibilità diventa un imperativo esa-sperato, e da stimolo al cambiamento e alreinventarsi degenera in una corsa ciecasull’otto volante dell’incertezza e in unoscivolo infinito verso la palude dello sfrut-tamento.Se il frammentarsi delle esperienze pro-fessionali in micro eventi estemporaneipolverizza e decostruisce le competenzedi chi lavora.Se, a fronte di questa progressiva dequali-ficazione e svalutazione di fatto delle abi-lità e delle capacità di svolgere certi com-piti, si gioca a carte truccate sul culto del-l’eccellenza, si alimentano i desideri nar-cisistici e le illusioni delle persone, e nellostesso tempo si esaspera la competitivitàinterna, trasformando in un inferno le re-lazioni nel gruppo di lavoro.Se tutto ciò avviene in un contesto socialeche ha già allentato da un pezzo i proprilegami, ha smarrito le proprie costruzionisimboliche, e si è già spinto molto avantinel nascondere e travisare la realtà.Se il confine di spazi e di tempi tra lavoroe vita privata sfuma sempre di più.Se le comunicazioni nei contesti di lavorodiventano sempre più manipolative esbandierano il mito di una unione frater-na e di una coesione familiare che servo-no solo a far ingoiare meglio realtà inac-cettabili come il rinvio sine die del paga-mento dello stipendio o la progressiva ero-sione di diritti tuttora formalmente garan-titi dalla legge.Se il ricatto, aperto o sottile, sostituisce lachiarezza, se una profonda competenza euna salda motivazione non sono più ga-ranzia di nulla, non certo di sicurezza delposto di lavoro, ma neppure di una valo-rizzazione morale.Se le formule con cui vengono definiti icompensi sono stabilite su base personalee lo stesso vale per i passaggi di mansionie di carriera, e si cancella la dimensionecollettiva e organizzativa dell’esperienzaprofessionale.

senza più mediatori

Se la relazione tra persona che lavora eorganizzazione non è più mediata da sog-getti collettivi o istituzionali «terzi», maè diretta e totalmente asimmetrica, e so-vrasta chi lavora già, o vorrebbe farlo,con il peso schiacciante dell’insignifican-za del singolo, quando quest’ultimo èprivo di mediatori sociali (la legge, le as-sociazioni di categoria, le istituzionipubbliche).Se tutto questo assomiglia al quadro at-tuale, come farà Anna, che ha appena avu-to un bambino, a reinserirsi nel lavoro,visto che il suo precariato è ormai croni-co?Se tutto questo è verosimile, a cosa si ap-pellerà Giovanni che ha avuto la diagnosidi un tumore e dovrà assentarsi per mesidal suo contratto a termine?Che spazio troverà Luana, qualificatissi-ma, che cerca una occupazione a quaran-tacinque anni, dopo quindici anni di lavo-ro autonomo che lei stessa ha creato e ge-stito, ma che negli ultimi tempi le ha man-giato tutti i risparmi?Cosa troverà sul suo cammino Franco, cheha un problema psichiatrico ben compen-sato, e da due anni è alla ricerca di unaborsa di lavoro che darebbe senso e valorealle sue giornate e alla sua vita?Come si potrà difendere Valerio che, a piùdi cinquant’anni, verrà messo in cassa in-tegrazione come anticamera del licenzia-mento per fare spazio agli apprendisti?E Francesca, che ha studiato ed era moti-vatissima, che si sta spegnendo a forza diinviare curricula senza risposte e a forzadi richieste vane di appuntamenti per col-loqui, dove vorrebbe solo presentarsi percinque minuti? Ora sta creando un picco-lo video di autopresentazione con una ani-mazione iniziale per essere vista e notatatra migliaia di altri. Ha imparato da sola afarlo, ed è venuto molto bene. Ma lei si staavvilendo, non è nessuno senza un lavoro,e ogni altra scelta per la sua vita è in standby.Gianluca invece ha fatto la valigia. Lavorain Svezia, in una azienda d’avanguardiache produce protesi dentarie. Vive là dadue anni, ha avuto un buon riscontro pro-fessionale, non mollerà, anche se è ancoramolto solo.

Rosella De Leonibus

della stessa Autrice

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tutta la delusionedi una proposta di legge

GiovanniSabato L a lotta contro la tortura prosegue a

fatica non solo nei paesi nella mor-sa di guerre o dittature, ma anchenello stesso Occidente. In Italia glisforzi per introdurre il relativo rea-to continuano a trascinarsi, men-

tre negli Usa si è riparlato di introdurla aper-tamente, con motivazioni poco sensate an-che a prescindere da ogni considerazione suidiritti umani.A maggio il Senato ha approvato la propo-sta di legge per introdurre finalmente in Ita-lia il reato di tortura. In base alle convenzio-ni internazionali sottoscritte avremmo do-vuto farlo quasi trent’anni fa, ma non ci si èmai riusciti, per lo scarso impegno dei mag-giori partiti che in teoria sosterrebbero laproposta e per l’ostruzione delle destre, chehanno cercato di proteggere le violenze po-liziesche prevedendo limiti ed eccezioni chedi fatto renderebbero non punibili moltissi-mi abusi, in contrasto con il diritto interna-zionale e le leggi degli altri paesi europei.Oggi la storia si ripete, come denuncianoassociazioni come Amnesty International eAntigone, e parlamentari come il senatorePd Luigi Manconi. La versione approvata alSenato limita la tortura a violenze ripetutenel tempo (impedendo di perseguire atti sin-goli) e dà una definizione troppo ristrettadella tortura psicologica (comune e deva-stante quanto quella fisica). Inoltre per leconvenzioni internazionali il reato non am-mette prescrizione, che in Italia invece ri-mane; e non è previsto un fondo per le vitti-me, né la sospensione o la rimozione dei pub-blici ufficiali condannati.Questo voto modifica il testo precedente,frutto di un passaggio al Senato e uno allaCamera, e la legge dovrà quindi tornare dinuovo alla Camera, che in teoria potrebbeancora correggerla. Ma a quel punto dovreb-be ripassare al Senato, e difficilmente sareb-be approvato entro fine legislatura. Si pro-

spetta quindi una legge inadeguata o, anco-ra, nessuna legge.

l’idea di Trump

Anche oltre l’Atlantico i movimenti sonopoco rassicuranti. «Sono convinto che latortura sia uno strumento di interrogazioneefficace» ha detto il presidente Usa DonaldTrump pochi giorni dopo il suo insediamen-to alla Casa Bianca. Per fortuna trovandopoco ascolto anche fra figure chiave del suostesso partito, e quindi senza che la sua ideastia trovando per ora un seguito. Con l’avan-zare dei populismi di destra che ripropon-gono idee simili, comunque, vale la pena ditornare a chiarire cosa si sa al riguardo.Anche volendo prescindere dalle ragioni eti-che per cui la tortura è inaccettabile, e giu-dicandola lecita per prevenire gravi perico-li; anche ignorando tutte le ripercussioni piùampie che l’accettazione di una simile pra-tica e il radicamento della mentalità che lasorregge finiscono per avere sulla società; eanche supponendo che sia possibile restrin-gerne l’uso a pochi terroristi selezionati, sen-za rischio per gli innocenti (cosa smentitadai fatti); anche trascurando tutte questeobiezioni a monte, possiamo dire che la tor-tura è efficace e necessaria per estorcere aun presunto terrorista informazioni crucia-li per catturare i complici, smantellare unacellula, sventare un attentato, salvare insom-ma vite innocenti?Molte fonti qualificate ci dicono che la ri-sposta è un chiaro no. Se di solito un po’tutti pensiamo alla tortura come strumentoper estorcere informazioni, nella praticaquesto non è il suo unico scopo, e neanche ilprincipale. La storia ci dice, per esempio,che nelle dittature latinoamericane i suppli-zi proseguivano a lungo quando ogni infor-mazione utile era stata carpita, e ci sono in-numerevoli testimonianze di aguzzini acca-

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nitisi sulle vittime pur sapendo che non ave-vano segreti da rivelare. Non solo, quindi, latortura finisce spesso per essere impiegataper scopi diversi dall’interrogazione, fino alpuro sadismo, ma la sua stessa efficacia nelleinterrogazioni è molto dubbia.

gli errori della Cia

«Nella nostra esperienza la violenza è con-troproducente, perché spesso non fa che in-durire la resistenza del detenuto» hanno di-chiarato due agenti dell’intelligence statuni-tense, Steven Kleinman e Matthew Alexan-der. Le strategie più efficaci, a loro dire, re-stano quelle classiche usate fin dalla Secon-da guerra mondiale: avere dimestichezzacon la lingua e la cultura del prigioniero, stu-diarne a fondo il caso e costruire con lui unrapporto che sfrutti carisma ed empatia, lu-singhe e promesse, astuzie e inganni, percreare con gli inquisitori quel senso di rela-zione e di confidenza di cui sente dramma-ticamente la mancanza nelle aspre condi-zioni della prigionia, e indurlo così a rivela-re – anche inavvertitamente, magari condomande e osservazioni buttate lì mentreall’apparenza si sta chiacchierando d’altro –le informazioni vitali. Potrebbe forse sem-brare un discorso ingenuo, se non venisseda due agenti che hanno condotto centinaiadi interrogatori nelle condizioni più varie,su prigionieri di guerra, terroristi e guerri-glieri, dal Medio Oriente all’America Latinae all’Asia.E che per esempio nel 2006, interrogandocon destrezza e pazienza una serie di terro-risti, hanno carpito gli indizi con cui è statostanato e ucciso il leader di Al Qaeda in Iraq,Abu Musab al-Zarqawi. E come loro la pen-sano tanti altri esperti.A riprova, nel 2002 in Thailandia un altroleader di Al Qaeda, Abu Zubaydah, dopo al-cuni interrogatori non violenti dell’Fbi pas-

sò nelle mani della Cia. Fu ripetutamentedenudato, tenuto al freddo, privato del son-no, sbattuto sui muri e sottoposto 83 volteal quasi-annegamento detto waterboarding(una delle tecniche di cui Trump vantava l’ef-ficacia), fin quando si stabilì che non avevaaltro da rivelare. Ebbene, risultò che tutte leinformazioni di rilievo le aveva già forniteall’Fbi negli interrogatori non violenti.Questi sono episodi aneddotici, e vari uffi-ciali Cia hanno dichiarato che in altri casi laviolenza abbia prodotto informazioni utili.Lo scetticismo però è sorretto da un’appro-fondita rassegna sui metodi d’interrogazio-ne presentata nel 2006 al governo Usa dal-l’Intelligence Science Board, secondo cuipressoché nessuna delle tecniche d’interro-gazione in uso è stata valutata scientifica-mente per verificarne l’efficacia. Tanto nelpubblico quanto fra i professionisti vigonoperciò clamorosi fraintendimenti. Fra i mag-giori, l’idea che ridurre una persona in con-dizioni di umiliazione e impotenza, o sfian-carla con sofferenze fisiche, sia il modo mi-gliore per spezzarne la resistenza.Alla stessa conclusione giunge il rapporto delSenato Usa sul programma di detenzione einterrogazione avviato dalla Cia dopo gli at-tentati dell’11 settembre 2001 – a Guanta-namo e in tanti altri centri di detenzione nelmondo – un cui compendio è stato reso pub-blico a fine 2014: «La Cia ha giustificato edifeso il suo programma di interrogazionisostenendo che era necessario e cruciale persventare specifici piani terroristici e cattu-rare specifici terroristi. Entrambe questeaffermazioni sono inesatte». La prima dellalunga lista di conclusioni del rapporto infat-ti è proprio questa: «L’uso delle tecniche diinterrogazione dura non è risultato un me-todo efficace per acquisire informazioni diintelligence o per guadagnare la cooperazio-ne dei detenuti». Nel vantare ai referentipolitici la presunta efficacia dei loro metodi

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duri, gli ufficiali della Cia hanno spessoomesso che in realtà il grosso delle informa-zioni erano state ottenute da altre fonti diintelligence, o negli interrogatori preliminariprima di sottoporre il prigioniero alla tortu-ra; il contributo di quest’ultima, quindi, eradi solito irrisorio.

la scienza della tortura

Tutto questo non sorprende psicologi, psi-chiatri e altri scienziati che si sono occupatidi tortura, perché si è visto più volte che incondizioni di stress estremo il cervello hareazioni che lo rendono poco affidabile. Sha-ne O’Mara, neuroscienziato al Trinity Colle-ge di Dublino, già nel 2009 riepilogava inuna rassegna su «Trends in Cognitive Scien-ce» i vari studi che mostrano come periodiprolungati di shock, stress, ansia, disorien-tamento e mancanza di controllo influenzi-no sia le scelte e i comportamenti della vitti-ma, in modi che non sono quelli desideratida chi la interroga, sia la biologia del suocervello.Sul piano neurobiologico, regioni cerebralicruciali per la memoria sono molto sensibi-li agli ormoni dello stress, prodotti in abbon-danza in queste condizioni, e funzionanomale, compromettendo il recupero dei ricor-di e nei casi estremi arrivando persino a pro-durne di falsi.Sul piano dei comportamenti, si dice spessoche «sotto tortura confesseresti qualunquecosa», dato che i momenti in cui parli por-tano a un sollievo almeno momentaneo daitormenti. Questo rende quanto mai difficiledistinguere il vero dal falso in ciò che l’inter-rogato rivela. E il problema – dal punto divista di chi interroga – non sta tanto nellapersona che ha le informazioni richieste (chepotrebbe mentire comunque, anche senzatortura), ma sorge quando si interroga unapersona che quelle informazioni non ce leha, e pur di avere sollievo dichiara qualun-que cosa, anche inventando di sana pianta,e cercando di risultare il più convincentepossibile. Ogni dichiarazione va infatti veri-ficata e – come spiega lo stesso manuale diinterrogatorio della Cia – le informazionifalse portano a forti perdite di tempo, mi-nando l’efficacia del lavoro. Anche qui, glispecialisti citano molti casi concreti in cuidimenticanze o falsi ricordi indotti dallostress, e false confessioni difficili da ricono-scere, hanno compromesso i risultati degliinterrogatori.

perché è così diffusa

Un’ultima domanda è allora: se non funzio-

na, perché la tortura resta così diffusa nelmondo? La casistica è varia, dalla punizio-ne all’odio o alla vendetta, o al semplice sfo-go di persone eccitate o ubriache. La fun-zione preminente però è quella di strumen-to di potere. La tortura, infatti, è prima ditutto un mezzo per umiliare e distruggere lepersone e tenere in scacco le loro comunità,siano esse una minoranza etnica, una fazio-ne politica o l’intera popolazione. E in que-sto senso, invece, può essere efficace.Per chi sopravvive alla tortura, con qualun-que mezzo sia inflitta, i postumi più deva-stanti non sono in genere le ferite fisiche maquelle psicologiche. Il senso di vulnerabilitàfin dal momento dell’arresto violento, la con-fusione, la completa impotenza, l’ineludibili-tà, l’incontrollabilità, l’isolamento, scuotonoogni fiducia nella prevedibilità del mondo enelle relazioni con gli altri, e dunque in quelsistema di coordinate mentali che ciascunosi è costruito per orientarsi e dare un sensoalla propria esistenza. Come spiega uno deipiù importanti documenti in materia, il Pro-tocollo di Istanbul (un manuale per un’effi-cace documentazione della tortura, emana-to nel 1999 da una serie di organizzazioniinternazionali e fatto proprio dall’Onu), l’ef-fetto è di «ridurre la vittima a uno stato disgomento e di impotenza estremi che pos-sono condurre a un deterioramento dellefunzioni cognitive, emotive e comportamen-tali» così da «spezzare non soltanto l’inte-grità fisica [...] ma anche la sua personalità».Attraverso l’individuo si cerca inoltre il con-trollo della comunità cui appartiene. Le no-tizie delle sparizioni e delle torture induco-no già di per sé un ambiente di paura croni-ca, inibizione e sottomissione. Inoltre, pro-segue il Protocollo, mediante la demolizio-ne psicologica il torturatore «si sforza di di-struggere i legami che collegano la vittima auna famiglia e a una comunità in quantoessere umano portatore di sogni, speranzeed aspirazioni per il futuro. Disumanizzan-do la sua vittima e spezzandone la volontà,egli perverte gravemente le relazioni futureche si stabiliranno tra la vittima e il suoambiente». Il prigioniero rilasciato, infine,può essere squalificato agli occhi dei com-pagni perché è sopravvissuto e può averlitraditi. Così l’effetto si trasmette su tutta lacomunità: il singolo è distrutto personalmen-te e socialmente e la comunità è terrorizza-ta e minata nella sua coesione.«La tortura non è uno strumento per fareparlare, ma per fare tacere», dice dunque chila studia. E far tacere non pare esattamentela via più proficua per ricavare informazioni.

Giovanni Sabato

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StefanoCazzato A llora che ne dici di questo nuovo

corso d’aggiornamento?Vuoi sapere la verità?

Arrabbiato come sei, la conoscogià!

E invece ti stupirò. Questo sull’elearning èuno dei pochi corsi utili che io abbia fatto invent’anni d’insegnamento.Mi stai prendendo in giro, non sembri tu?

E invece è così! A parte la bravura del re-sponsabile è un corso che ha un senso, è tran-sdisciplinare, è nel solco della didattica e nondi quei fumosi progetti che ogni anno inon-dando le scuole. Abbiamo imparato qualco-sa noi e qualcosa di nuovo, attraverso noi,arriverà agli alunni. E poi tiene insieme dueesigenze per me fondamentali: un uso fatti-vo delle nuove tecnologie e l’esigenza for-mativa. Cioè le tecnologie messe al serviziodella formazione e non considerate solo dalpunto di vista dell’efficienza amministrativa.

E quindi, cosa hai fatto?

Ho ideato un ipertesto filosofico, molto ele-mentare, ma che rappresenta una piattafor-ma su cui continuare a lavorare negli anni.Siamo partiti dai «Diari segreti» di Wittgen-stein, scritti in guerra, e da lì siamo risalitiall’intero pensiero del filosofo, alle sue ope-re maggiori, alla sua riflessione sul linguag-gio. Poi collegamenti con i filosofi che lohanno preceduto, i contemporanei e gli ere-di, Russell, Moore e gli altri. Inoltre l’argo-mento si prestava ad essere sviluppato an-che a livello interdisciplinare: ad esempio dai«Diari segreti» abbiamo allargato lo sguar-do al clima del primo conflitto mondiale, alfuturismo ecc… abbiamo immesso foto, vi-deo, quadri, copertine di libri, bibliografie,persino la casa razionalista che Wittgensteinsi fece costruire sul modello del Tractatus…un esempio di architettura del tempo, delresto sono noti i rapporti tra Wittgenstein el’architetto Loos... per l’anno prossimo ap-

profondiremo il nesso tra il linguaggio e l’in-conscio, tra Wittgenstein e Freud...

Insomma avete fatto un miscuglio.

No, no un miscuglio. Si chiama complessi-tà tutto ciò. O se preferisci è una specie dimappa concettuale, ma fatta bene, in modointerattivo, perché gli studenti mediante unapassword entrano in uno spazio comune,leggono, studiano, commentano, partecipa-no al forum, rispondono a domande, formu-lano obiezioni, fanno ricerca e, a loro volta,sperimentano. Noi possiamo seguire il loropercorso nello spazio, quantificando persi-no il tempo in cui si sono trattenuti in que-sto spazio, «vedendo» le loro mosse, verifi-cando le loro scelte, valutando la qualità degliapprendimenti ecc…

Un potenziamento e un’accelerazione delladidattica...

Hai detto bene, ma anche uno strumento checonsente a chi si assenta o sta male di colma-re la distanza dalla scuola e dai docenti, direcuperare tempo, reperire il materiale, scam-biarselo... Certo, come tutte le innovazioni,non può sostituire la didattica frontale, e guaise lo facesse, ma sicuramente dà una mano.

Insomma non sarà la maieutica ma un sup-porto della maieutica…

Sì, esatto. Del resto anche gli strumenti perfar partorire le idee si devono aggiornare o no?

Lo dici a me! L’ho sempre pensato. Sei tu iltradizionalista!

E tu il tecnocrate acritico che si innamoradi tutte le novità!

Dai, apocalittico, non ricominciamo a liti-gare una volta tanto che ci siamo trovati d’ac-cordo... e questa volta, almeno questa volta,taci con la tua polemica sulla buona scuola.Ok, taccio, sotterriamo l’ascia, e andiamo aprenderci un caffè. Anche se poi il caffè mirenderà nervoso e allora ricomincerò a sbrai-tare contro...

un supporto maieutico

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a situazione economica mondialeanalizzata in Dietro le quinte del-l’economia internazionale (Roccan.12/2016) sollecita delle riflessio-ni da cui poter poi sviluppare del-le proposte alternative che affron-

tino pienamente i suoi nodi.Mentre la tendenza alla «stagnazione se-colare» non devia affatto – in sintonia conl’imperversare del neoliberismo nelle scelteeconomiche di quasi tutti i governi del glo-bo – molti aspetti della situazione ricor-dano il mondo che John M. Keynes si tro-vava davanti negli scorsi anni ’30: un mon-do dominato dal liberismo e pertanto ca-ratterizzato da un ruolo molto limitatodella pubblica amministrazione (P.A.), etanto più proprio nel campo economico,contrassegnato da frequenti e drammati-che crisi cicliche collegate soprattutto adelle fasi di sovrapproduzione, di riadat-tamento ai continui cambiamenti tecno-logici e di debolezza creditizia e moneta-ria.Keynes mise in luce come, specialmentenelle fasi di crisi, la P.A. potesse non soloregolare con più duttilità e acume il credi-to e la moneta, ma anche utilizzare la spe-sa per investimenti e servizi pubblici e laredistribuzione dei redditi dalle classi pri-vilegiate a quelle economicamente in dif-ficoltà come stimoli «anticiclici» che risol-levassero l’andamento economico e la pro-duzione, accrescendo l’indebolita doman-da complessiva di beni e servizi. E prefi-gurò – per la prima metà del secolo attua-le – il progressivo sviluppo di una societàtecnicamente ed umanamente evoluta incui si arrivasse a partecipare tutti alle atti-vità economico-produttive non più di unaquindicina di ore alla settimana, grazieanche ad una ben articolata distribuzionegenerale del lavoro: sviluppo che c’è effet-tivamente stato in senso tecnico, ma inquello umano, ahimè, no...Come oggi, una parte degli imprenditori

si schierò allora dalla parte delle politichekeynesiane (per motivi di sensibilità uma-na e/o di espansione aziendale), mentreun’altra parte ne combatté l’aspetto socia-le (soprattutto per classismo e attaccamen-to ai propri privilegi). Per quanto riguar-da i lavoratori e i loro movimenti, mentrequeste politiche erano in piena sintoniacon lo spirito del «socialismo scientifico»marx-engelsiano (che considerava fonda-mentale ogni modo di migliorare efficace-mente la qualità della vita delle classi la-voratrici, come mostrano p. es. il program-ma socialista francese pubblicato su L’Éga-lité del 30 giugno 1880 e quello tedescoapprovato a Erfurt nel 1891), nel corso del’900 la sinistra riformista le accolse comu-nemente in modo molto ampio, ma soven-te la sinistra rivoluzionaria di ispirazioneleninista o stalinista le sdegnò o addirittu-ra le contrastò perché rischiavano di farapprezzare troppo il capitalismo alle clas-si lavoratrici. Peraltro, Keynes stesso erastato in Russia nel 1925 e aveva poi espres-so la sua simpatia per l’esperienza natadalla rivoluzione d’ottobre, venendo ancheispirato nelle sue successive elaborazionidai tentativi di coordinamento dell’econo-mia là avviati in quegli anni (tentativi poisostanzialmente non riusciti e infine sfo-ciati nella rigida pianificazione staliniana).In pratica, i filoni di iniziative caldeggiatida Keynes – e poi aggiornati e approfon-diti da molti altri, come i premi Nobel Jo-seph Stiglitz, Paul Krugman e MuhammadYunus – mantengono manifestamente tut-tora la loro piena validità, ma la peculiari-tà delle circostanze contemporanee richie-de anche ulteriori prospettive.

una politica corrotta e incompetente

Un primo fattore radicalmente cambiatorispetto a quegli anni ’30 è il fatto che nelfrattempo, col proliferare di politiche key-nesiane che si è registrato nel mondo a

LucaBenedini L

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partire dal New Deal rooseveltiano e cheha raggiunto un vero e proprio boom in-ternazionale negli anni ’50 e ’60, in mol-tissimi paesi si è prodotta una casta di po-litici che sfruttando gli ampi bilanci pub-blici tipici di tali politiche hanno svilup-pato dei comportamenti sistematicamen-te inclini a corruzione, clientelismo, affa-rismo, sprechi, incompetenza, e via dicen-do. Comportamenti del genere erodonoprofondamente non solo i bilanci pubbli-ci e il rapporto tra cittadini e istituzioni,ma anche le politiche keynesiane stesse ela loro efficacia socioeconomica. Il diffu-so affermarsi di questa casta e i suoi effet-ti nefasti hanno costituito il miglior argo-mento per i neoliberisti che si sono messia rivendicare un ritorno a bilanci pubblicistriminziti e a un ruolo della P.A. decisa-mente secondario, accompagnato da unostrapotere dei mercati. Negli anni ’80, l’am-ministrazione Reagan negli Usa e il gover-no Thatcher in Gran Bretagna hanno co-stituito la testa d’ariete delle politiche ne-oliberiste, poi affermatesi sempre più gra-zie anche al ruolo cruciale di istituzioniinternazionali come Fmi, Wto, BancaMondiale e negli ultimi anni anche Unio-ne Europea.Diversi paesi – specialmente in Scandina-via e dintorni – hanno mantenuto una re-lativa scarsità di corruzione, di incompe-tenza, ecc. soprattutto grazie a una sortadi «spirito civico» diffuso che porta i lorocittadini a negare drasticamente il lorovoto ai politici e ai partiti che hanno datosegni di quelle «patologie amministrative».In questo modo sono riusciti a mantenerein piedi un efficace «Stato sociale», in sin-tonia con le logiche keynesiane, e ad evi-tare gran parte dei problemi socio-econo-mici che invece affliggono sistematica-mente i paesi in cui domina il neoliberi-smo o la corruttela. Tutto ciò è ben noto aeconomisti e politici, ma i vertici di quelleistituzioni internazionali eludono accura-

tamente il confronto pubblico su questerealtà di fatto e persistono nel loro infles-sibile neoliberismo che è causa di disegua-glianze sociali sempre più drammatiche,di prolungate tendenze economiche reces-sive e indirettamente anche di pesanti for-me di degrado ambientale.In altre parole, quello che in un gran nu-mero di paesi la popolazione sembra nonaver ancora compreso chiaramente è chela lotta per la trasparenza amministrativa econtro le varie forme di corruzione e di in-capacità dei politici non è soltanto un’ov-viamente giustificatissima rivendicazionedi civiltà e di lotta agli sprechi, ma è an-che la base stessa della possibilità di tenerein piedi nel tempo uno «Stato sociale» ca-pace di agire con efficacia nel controbat-tere la povertà, le recessioni economiche,i dissesti ambientali, ecc.. Malgrado la suagrossolanità e il suo essere quanto maicontroproducente, è una lacuna presentequasi ovunque da numerosi decenni nellacultura dei movimenti politici che si dico-no vicini alle classi lavoratrici.

l’irrompere della globalizzazione

Un secondo fattore nuovo è la globalizza-zione, cioè il costituirsi di una sorta dimercato unico mondiale a seguito di svi-luppi tecnologici come l’informatica, lavelocizzazione dei trasporti, ecc. Rispettoa 80 o 40 anni fa, le politiche keynesianedi tipo nazionale sono oggi tendenzialmen-te meno efficaci – e molto meno semplicida mettere a punto – in quanto la compe-titività delle aziende è molto più esposta arischi di origine internazionale. Non acaso, per i lavoratori occupati di oggi laminaccia più massiccia è probabilmentecostituita dalle delocalizzazioni, imperantinel mondo attuale. Uno «Stato sociale»efficace dovrebbe dunque offrire alle azien-de e ai lavoratori del proprio paese sup-porti, sostegni, reti di protezione e conte-

ECONOMIA

oltre Keynes

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ECONOMIAsti normativi alquanto più complessi diquelli che potevano andar bene un tempo.La Scandinavia mostra una varietà diesempi di questa possibile evoluzione del-lo «Stato sociale».Ma parallelamente ci dovrebbe essere an-che un’evoluzione della cultura popolareverso il comprendere che in un tale mer-cato unico – in cui già da decenni le éliteeconomiche agiscono palesemente senzaalcun pregiudizio nazionale, etnico, reli-gioso, ecc. – anche i lavoratori per potersidifendere hanno bisogno di giungere a ra-gionare senza tali pregiudizi, che li divido-no in mille segmenti separati. Ciò finora nonè minimamente avvenuto – a parte il bre-ve exploit del «movimento di Seattle» 15-20 anni fa, con la sua trasversalità Nord-Sud e le sue ampie e generalmente lucideproposte di regolamentazioni socio-am-bientali internazionali – anche se la globa-lizzazione ha ormai un quarto di secolo.Questo enorme ritardo – tanto più nel-l’odierno mondo economicamente così in-terconnesso – nel cogliere il valore e il com-plesso significato umano, culturale, dialo-gico, sindacale e politico del proverbialemotto socialista «lavoratori di tutti i pae-si, unitevi», dei diritti umani sanciti dalla«Dichiarazione universale» del 1948 e delsenso di fratellanza mondiale promosso siadall’umanesimo che dai messaggi originaridi tutte le principali religioni è forse il fat-tore più nodale nella palese e persistenteincapacità dei lavoratori di tutelare conefficacia i propri interessi nell’attuale eco-nomia globalizzata. Così, finisce con losfuggir loro anche l’evidente fatto che lascala più naturale per le politiche keyne-siane oggi sarebbe quella mondiale, o perlo meno una ampiamente internazionale.La globalizzazione impostata in senso li-berista ha anche consentito un tale arric-chimento a certe élite economiche – legatesoprattutto alle multinazionali, ad una se-rie di tecnologie avanzate, a risorse comeil petrolio e alla finanza speculativa – cheil loro attaccamento agli enormi privilegiche si sono procurate le ha trasformate inuna sorta di cani rabbiosi che combatto-no in tutto il mondo ogni diffuso tentativodi giustizia sociale e di politiche keynesia-ne, sfruttando le proprie colossali ricchez-ze per «persuadere» a proprio vantaggio ipolitici (e a danno non solo dei lavoratorima anche di molte aziende medie o picco-le). Questa elitaria impostazione economi-ca è anche un fertile terreno per spinte ter-roristiche e belliche che moltiplicano ul-teriormente le sofferenze dei popoli e che,stimolando il militarismo, favoriscono una

politica ancor più verticistica.

sostenibilità ecologica

Una terza questione-chiave è costituita daidiffusissimi dissesti ambientali che afflig-gono il pianeta in molti modi: inquinamen-to, anomalie climatiche, erosione dei ter-reni, desertificazione, scomparsa delle fo-reste, grave perdita di biodiversità, ridu-zione delle risorse naturali, ecc. Ciò fa sìche oggi siano indispensabili scelte e im-pegni internazionali per un’economia so-stenibile che ai tempi di Keynes non eranoforse nemmeno immaginabili.Anche questa impellente problematica –finora affrontata dalla politica quasi soloa parole, dal momento che nonostante losfaccettatissimo sviluppo tecnico-scienti-fico si è occupata concretamente soltantodi alcune delle più clamorose forme di di-struzione ambientale, non certo di impo-stare una generale sostenibilità – dovreb-be entrare con forza nelle iniziative di uno«Stato sociale» e nella consapevolezza del-la gente dell’intero mondo.

verso una sintesi

Mentre oggi la «crisi economica» vienecontinuamente sbandierata e usata per ri-durre i diritti dei lavoratori, la salvaguar-dia dell’ambiente, i servizi pubblici, i fon-di destinati alla sanità e alla scuola pub-bliche, ecc. (inclusa anche la democrazia,come p. es. hanno cercato di fare i partitidel governo Renzi con la riforma costitu-zionale sonoramente bocciata nel referen-dum del 4 dicembre dopo esser stata defi-nita come indispensabile persino da diver-se agenzie internazionali di rating), quelloche in realtà c’è dietro è che si tratta di unristagno voluto dai maggiori centri di po-tere economico e politico proprio allo sco-po di infinocchiarci con la scusa della «cri-si» ed erodere appunto, col nostro sostan-ziale assenso, la qualità della nostra vita...Per poter prendere delle contromisure cheriescano davvero a difendere tale qualitànei suoi aspetti sociali, ambientali, sani-tari, istituzionali, ecc., occorrerebbe saperintervenire su tutte le principali dinamicheeconomiche e politiche. Ognuna di esse èinfatti un tassello fondamentale che puòcontribuire in modo determinante alladolorosa impotenza che, in quasi tutto ilglobo, affligge di fronte alle maggiori que-stioni socio-economiche i movimenti sin-dacali e alternativi.

Luca Benedini

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CHE COS’È LA RELIGIONE

raccontarel’esperienza religiosa

e, come sosteneva M. Eliade, l’uo-mo è sempre «religioso» in quantonecessita di un orizzonte miticoentro cui collocarsi e proiettarsi, èchiaro che, per recuperare un pro-filo antropologico delle diverse ti-

pologie del credere, sia possibile partiredal racconto letterario. Ed è altresì indi-scutibile che, in chiave occidentale, nonsia possibile entrare o uscire dal proble-ma di come raccontare la dimensione re-ligiosa, senza fare il punto su una delleesperienze narrative più intense e profon-de di tutta la letteratura europea, ossia suquella proposta da F. Dostoevskij. Per dir-la con O. Clement (1), infatti, l’intera esi-stenza di Dostoevskij è una continua con-versione alla verità di Dio e, insieme,un’inesausta ricerca del senso dell’uomo.Tale investigazione è paradigmatica siaperché perlustra, grazie alle figure di Ivàn,Aliòša e Dmìtrij dei Fratelli Karamazov, leforme archetipiche della ricerca del divi-no (2), sia perché esplora, in Delitto e ca-stigo, la variante costituita dalla pretesa diauto-divinizzarsi dell’uomo.

i tre fratelli diversi

Tra i tre fratelli, Aliòša, il minore, è il pro-totipo di una maniera cristallina di crede-re che si trasforma in una modalità total-mente pura di vivere, tanto che, in lui, perdirla con Romano Guardini, «risplende(…) una luce di letizia» (3). La sua espe-rienza religiosa è così profonda da non am-mettere la paura e da scavalcare il dub-bio, ma insieme è così ardente da trasfor-marsi in un’esistenza eticamente e inte-gralmente fondata sul vangelo senza checiò comporti alcuno sforzo della volontào della razionalità. Al contrario, Dmìtrij,il maggiore, è il prototipo della complessi-tà umana, nella sua ondivaga e indeclina-

MarcoGallizioli S bile essenza, mossa da istintualità primor-

diali, ma anche capace di redenzione. Inlui, infatti, la fede è in primo luogo ade-sione rabbiosa alla vita e alle sue passioni,anche travolgenti e basse, quelle che si de-clinano con il desiderio di rivalsa e di ri-scatto sociale, colorate a tinte forti e ca-ratterizzate da violenti sbalzi cromatici, tratendenza al bene e attrazione verso l’abiet-to. Tra i due, poi, si inserisce la posizionepiù filosofica, di taglio anarchico-pessimi-stica, incarnata da Ivàn, che esprime tuttala sua corrosiva e iconoclastica visioneesistenziale nella meravigliosa pagina della«Leggenda del Grande Inquisitore». Se-guendo il percorso che oppone l’Inquisi-tore ad un silente Cristo, reincarnatosinella Spagna secentesca, comprendiamoche, per Ivàn, gli uomini hanno irrimedia-bilmente corrotto lo spirito originario delmessaggio evangelico, sia sostituendo lalibertà con l’autoritarismo ecclesiastico ela spiritualità con una deriva magico-mi-racolistica, sia optando per la categoriafumosa di «mistero» pur di non doversiconfrontare con la terribile responsabilitàcui inchioda la ricerca della verità, quellache non rifiuta di fare i conti con le provo-cazioni di un reale prosaicamente lacera-to dallo scandalo della sofferenza innocen-te. In questa accezione, dunque, Ivàn èemblema di una ricerca frustrante di sen-so, la stessa che verrà sviluppata, giustoper citare due esempi, tanto nell’opera diCamus quanto in quella di Solgenitsyn.

il Dio nascosto

A ben vedere, poi, il protagonista di Delit-to e castigo, Raskòlnikov, anticipa la figu-ra di Ivàn, anzi, ancor più di questi, sem-bra essere modello di un’umanità che cer-ca, superomisticamente, di sostituirsi aDio: da un lato, infatti, come nuovo Ada-

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CHE COS’ÈLARELIGIONE

mo, Raskòlnikov desidera fare a meno deldivino, decidendo in totale autonomia cir-ca il bene e il male, fino a disporre dellavita e della morte, e, dall’altro, come nuo-vo giudice onnipotente, diviene, parados-salmente, il grande inquisitore-accusato-re di se stesso. Ma la redenzione profondadel protagonista si produce solo grazie allagiovane Sònja, capace di risvegliare inRaskòlnikov una sorta di elementare uma-nizzazione. La ragazza sembra quasi of-frirsi, inconsapevolmente, come emblemadi una divinità che, cristianamente, si favita e volto e che è capace di risvegliare unsenso di empatia grazie alla forza sempli-ce e apofatica della propria presenza, delproprio esserci. In questo senso, il giova-ne Raskòlnikov diventa simbolo di unanuova relazione con il Senso dell’esisteree, dunque, anche del divino e della mora-le, anticipando le tematiche nietzschianee simultaneamente già risolvendole in nuo-va modernissima sintesi. Il dio umano acui si converte Raskòlnikov segna il totalesuperamento della religione istituzionalee si apre ad una concezione e percezionesoggettiva del sacro, che sembra anticipa-re le riflessioni di E. Hillesum. La de-divi-nizzazione dell’uomo e la sua restituzioneal mondo del relativo anticipa la crisi del-la coscienza postmoderna, crisi che con-siste nell’avvertire la parzialità di ogni ten-tativo razionale e religiosamente consape-vole di dire qualcosa di definitivo circa Dio.Il dio nascosto, carsico, di Raskòlnikov,funge da ouverture a quell’esperienza sog-gettiva del divino che, per l’ebrea Etty Hil-lesum, è imprescindibile e vera spinta allacostruzione di una nuova etica il cui soloscopo è quello di riconoscere come sacroogni essere umano, in una religiosità chesi trasforma nella paradossale libertà del-l’amore di cui parlava Sartre. Un dio privodi dogmi e teologie, svincolato da ogni re-ligione normativa e classificatoria, quellodella Hillesum, insofferente a sinagoghe,moschee e chiese, perché integralmenteteso a distruggere l’idolo esteriore per farespazio ad una divinità interiore, capace difarsi «poesia», ossia silenzio empatico,comprensione, sguardo interrogante, e,insieme, di derogare alla sua suppostaonnipotenza (4). Un dio umano nel sensoche si identifica nell’umanità e nel valoresacrale dell’esistenza, vera dimensione delreligioso. In questo senso, è ancora Dosto-evskij a farsi paradigmatico, questa voltanell’Idiota, nel quale Italo Mancini vedevala formulazione di quella «logica dei dop-pi pensieri» (5) che svincola l’uomo dal-l’ansia di voler catturare il senso di Dio con

un discorso di tipo classificatorio, ricon-ciliandolo con il valore irriducibile delladifferenza. Anche un compiuto discorso suDio dunque deve aprirsi ad un incompiu-to discorso sull’uomo, uscendo da una lo-gica oppositiva basata sull’aut aut edaprendosi ad una mentalità inclusiva del-le differenze, costruita sull’et et, al puntoche anche le condizioni di «credente» e«non credente» possono convivere in undoppio e simultaneo pensiero.

le diverse visioni della realtà

Per tutte queste ragioni, dunque, Dostoe-vskij risulta essere un intermediale che cipermette di decodificare alcune grandisuggestioni letterarie ottocentesche e no-vecentesche. Dal grande russo, infatti, pos-siamo scivolare nell’attualissima antino-mia baudeleriana, che sospende il mondotra il significato simbolico-spirituale dellecorrispondenze e la prosaicità disincanta-ta delle allegorie. A luci intermittenti, in-fatti, Baudelaire non è solo l’anticipatoredel simbolismo e del decadentismo di fineottocento, ma anche il precursore del suosuperamento. Se, in certe occasioni, lanatura pare essere «un temple de vivantspiliers (6)», da cui scaturiscono rimandiad un infinito indicibile, impalpabile e rag-giungibile solo attraverso un abbandonosinestetico e sensuale, in altre, il mondosembra aver perduto l’aureola (7) e parevenir ridotto a caos senza significato, dicui il poeta non può più essere interprete-sacerdote. Al simbolo palpitante di riman-di ad un mondo così altro da non poterche essere evocato ed introdotto attraver-so la parola poetica, si affianca un’altravisione della realtà, quella di universo or-mai inesorabilmente ripiegato su se stes-so, orfano di grandi significati, che sem-bra anticipare quella concezione allegori-ca vuota e asfittica di cui Kafka è stato ilpiù grande interprete. Morto Dio e uccisala capacità simbolica, dell’opzione poeti-ca, intesa come slancio verso il mondodelle corrispondenze, non rimane che ce-nere, del soggetto, concepito come centrodell’universo, non resta che la carcassavuota di un essere-scarafaggio e, infine,della religione, vista come grande letturadel mondo, non v’è altro che l’involucroistituzionale vuoto e giudicante.

il disfacimento dell’orizzonte mitico

Lo stesso tormento che pare essiccare ognisenso religioso si percepisce in tutta l’ope-ra di Leopardi, su cui vale la pena di sof-

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fermarsi anche solo per cercare di decli-nare la tematica della religiosità all’inter-no delle coordinate della letteratura italia-na. Se, tuttavia, nell’Infinito, si può anco-ra «fingere», ossia «creare con l’immagi-nazione», l’eterno, con la stagione filoso-fica delle Operette (8) ciò diventa impossi-bile. Leopardi, dunque, osserva tragica-mente e lucidamente la demitizzazione delmondo e la scomparsa progressiva di Diodalla storia. Assiste al lento disfacimentodell’orizzonte mitico-religioso e lo vedecome risucchiato inesorabilmente dentroil buco nero di un meccanicismo naturali-stico che non è abitato da alcun sensomaiuscolo.

le reinterpretazioni del divino

Tuttavia, anche l’ateismo implacabile diLeopardi non può rifiutarsi di offrire unapossibilità alle istanze del religioso, rein-terpretandolo come mero slancio etico,quasi a dire che, se Dio non esiste, è com-pito degli essere umani conferire un sen-so generale, attraverso cui rileggere la pro-pria esperienza e potersi proiettare, in unaprospettiva di speranza, nel futuro, comeavviene nell’ultimo, titanico, Leopardi del-la Ginestra. Così, mentre Manzoni scriveil suo romanzo della Provvidenza, cercan-do di attraversare la realtà misterica delmale e di coniugarla con una fede mili-tante, Leopardi si riveste di idealità percoprire quel senso di smarrimento lascia-to dalla nudità-kenosis intellettuale cui siera sottoposto nel periodo delle Operette,continuando la sua inesausta battagliacontro il senso o, meglio, contro la suamancanza.L’esperienza poetico-ideologica di Leopar-di, se pare inabissarsi per tutto l’Ottocen-to letterario italiano, è però destinata a ri-comparire, come fiume carsico, nel Nove-cento, grazie alle voci di autori come E.Montale, C. Sbarbaro e G. Caproni, testi-moniando quanto il tema del divino, in-terpretato come un discorso circa il sen-so, sia ineludibile in termini squisitamen-te poetico-letterari. E, in questo, Caproni,diventa emblematico, perché, da giovanecredente, termina la sua parabola artisti-ca approdando non già ad una visione te-ologica negativa, ma ad un nuovo puntodi fuga «oltre ogni figura familiare del-l’umano e del divino» (9). Basti pensare,infatti, alle sue inquietanti ultime produ-zioni, come Il Franco cacciatore, Il Contedi Kevenhüller e Res amissa, per compren-dere come l’anziano Caproni consideri tra-montato un orizzonte addomesticato del

senso, dove anche Dio trovava il suo po-sto. In particolare, questo appare eviden-te nel Conte, dove il conte-cacciatore cer-ca di sparare ad una bestia che non trova,simbolo di un’umanità smarrita e di unadivinità svaporata, il tutto confezionato inuna sorta di libretto d’opera che pare allu-dere proprio al fatto che ogni tentativo diindagare il Senso, in fondo, non sia altroche una convenzione teatrale e un tentati-vo di porre ordine al caos. Oppure, in Resamissa, che si chiude con un amaro mot-teggio: «Non mi è amico, il Diavolo / non sicura di me. / Al diavolo, allora anche il Dia-volo, se anche il male, io, me lo devo far dame. (…) Uno dei tanti, anch’io. / Un alberofulminato / dalla fuga di Dio (10). In que-ste parole di Caproni vibra, con una forzaicastica sorprendente, il nuovo panoramain cui si pone la tematica del raccontareDio nella contemporaneità, ossia in untempo in cui, crollate le grandi narrazionidel mondo, anche Dio pare dover esseresalvato e sembra essere necessario rico-minciare da capo, inchinandosi davanti adun nuovo modo di intendere il senso e ri-nunciando per sempre alle classificazio-ni: «E parole come Dio e Morte e Dolore eEternità si devono dimenticare di nuovo.Si deve diventare un’altra volta così sem-plici e senza parole come il grano che cre-sce, o la pioggia che cade. Si deve sempli-cemente essere» (11).

Marco Gallizioli

Note(1) Cfr. O. Clement, Il volto interiore, Jaka Book,Milano 1978, p. 201.(2) Cfr. F. Castelli, Volti di Gesù nella letteraturamoderna, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1987,p. 42,(3) R. Guardini, Dostoevskij, Morcelliana, Bre-scia 1980, p. 96.(4) Cfr. E. Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi,Milano 1985, p. 181.(5) Cfr. I. Mancini, Frammento su Dio, Marcel-liana, Brescia 2000.(6) Ch. Baudelaire, Corrispondenze, in id., I fio-ri del male, Rizzoli, Milano 1980.(7) Cfr. Ch. Baudelaire, Lo spleen di Parigi, in:id., Poesie e racconti, a cura di G. Raboni, Mon-dadori, Milano 1973, p. 403.(8) Si pensi, in particolare, a: G. Leopardi, Can-tico del gallo silvestre, in: id., Operette morali,Garzanti, Milano 237-244.(9) G. Agamben, Disappropriata maniera, in: G.Caproni, Res amissa, Garzanti, Milano 1991, p.11.(10) G. Caproni, Res amissa, cit., pp. 200-202.(11) E. Hillesum, Diario. 1941-1943, Adelphi,Milano 1996, p. 160.

dello stesso Autore

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l «cambiamento di epoca» che Amo-ris Laetitia (AL) di papa Francesco sariconoscere e attestare con grande ef-ficacia diviene particolarmente signi-ficativo se viene incorniciato nell’oriz-zonte di quella che possiamo chiama-

re «società aperta».La domanda radicale che attraversa tuttoil testo suona così: come dire il «noi ma-trimoniale» nella società aperta? Questadomanda è viscerale da almeno 200 anni.A. Tocqueville, nel suo saggio su La demo-crazia in America, aveva già intuito la que-stione in tutta la sua decisività: la rivolu-zione «spezza la catena, ma separa anchei singoli anelli...». E molte delle «scienzeumane» sorte nel XIX e XX secolo si po-nevano come obiettivo di capire la possi-bilità del «noi» rispetto ad una società cheandava individualizzandosi sempre più.Vorrei provare a proporre sinteticamenteil «racconto» della storia di questo «noi»,che ha cambiato forma, stile e linguaggio,a partire dalla metà del 1800, fino ad arri-vare ad AL. In effetti, il testo di AL è laufficializzazione di un «transito» impor-tante, per continuare a poter dire «noi»,ma senza lo stile del XIX e della primametà del XX secolo. È un caso, emblema-tico e potente, di «traduzione della tradi-zione». Vorrei focalizzare anzitutto la miaattenzione su quello che è stato tale «stileclassico» del «noi cattolico», formulatomolto spesso «contro» l’io che stava na-scendo. Allora, tutto il «nuovo» sembravanegare il noi, la sua realtà e la sua possibi-

lità. Vorrei poi notare i passi che tra que-sto modello classico e il nostro tempo sisono fatti. Infine mi soffermerò sulle «svol-te fondamentali» che AL ci propone, conautorevolezza e con parresia. Sono solo trepassi, di cui due brevi e preliminari, e ilterzo – più ampio e corposo – dedicato spe-cificamente alla comprensione del «Noi»offertaci da AL.

idealizzazione della «società chiusa»

La società chiusa impone un noi fonda-mentale e formale, che usa tutti i mezzi asua disposizione per «formare e control-lare» i soggetti. L’attuale e comprensibilenostalgia del noi deve essere onesta: an-che se oggi lo abbiamo dimenticato, il noiè stato, per molte generazioni, un incuboe una domanda implacabile, che gravavasui soggetti e sulla loro identità. Sulla basedi un «noi» troppo forte e troppo invaden-te, il soggetto era messo ai margini, diven-tava irrilevante, veniva funzionalizzato,strumentalizzato, sfigurato, violentato.Questo noi «arcaico» si vede bene in alcu-ni film e in alcuni libri: Philomena, adesempio: un forte «noi» familiare, socialeed ecclesiale «discrimina e scomunica»ogni ragazza madre e ogni figlio naturale.Ma anche, ben prima degli anni 50, AnnaKarenina di Tolstoj, o Hard Times di Dic-kens o Il processo di Kafka parlano di que-sto «noi» che deve essere superato. Se dob-biamo recuperare una funzione essenzia-le del «Noi», come orizzonte e condizione

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AndreaGrillo I«A nessuno do-vrebbe sfuggire ciòche il formalismoha d’impuro: l’in-differenza verso laverità nella vita deiconiugi.Tutto si risolve nel-l’autorità della leg-ge.Ma in realtà il ma-trimonio non hamai la sua giustifi-cazione nel dirittoe cioè come istitu-zione, ma solocome l’espressionedella permanenzadell’amore»

Le affinità elettiveW. Benjamin

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di possibilità dell’Io, dobbiamo tuttaviaevitare di cedere alle tentazioni nostalgi-che, che sono ingiustificate e spesso an-che molto ingiuste.

la scoperta del «soggetto moderno»

È vero: il soggetto moderno corre il rischiodi dimenticare il noi come condizione del-l’io-tu e di cadere, perciò, in forma di soli-psismo, di individualismo, di relativismo.Ma l’Io non è semplicemente il «distruttoredel noi». Questo è un modo «antimoderni-stico» di ragionare sul soggetto che fa tortoal matrimonio e alla famiglia. E la relazio-ne di cui il soggetto si confessa bisognoso edesideroso, non si perverte necessariamentein «dittatura del relativismo». Perché que-sta dittatura – di fronte alla quale molti cat-tolici si dicono indignati – è spesso soltan-to la risposta esagerata e squilibrata alladittatura del noi fondamentalista e tradi-zionalista, di una identificazione tra Dio,patria e famiglia che è almeno altrettantoscandalosa. Ed è sempre utile ricordareche se oggi i soggetti individuali fanno tan-ta fatica a «rendere onore» alla comunitàfamiliare, ieri erano le comunità familiariche non riuscivano a rendere onore e a ri-conoscere i soggetti. Questa emergenza delsoggetto nella tarda modernità è stata fa-vorita dalla società aperta, che ha costret-to a ripensare non solo matrimonio e fa-miglia, ma tutte le strutture comunitarie(la scuola come il lavoro, il seminario comeil monastero).

È curioso notare che la reazione della dot-trina cattolica sul matrimonio alla provo-cazione del «nuovo regime culturale e so-ciale» si è mossa su due diverse direttricinon facilmente unificabili: una prima haserrato i ranghi del «noi istituzionale»,prendendo la forma di Codex, mentre unaseconda ha inaugurato una «personalizza-zione del noi» che acquisiva molti valorimoderni e li faceva entrare profondamen-te nel tessuto della dottrina e della disci-plina cattolica. Istituzionalizzazione e per-sonalizzazione, procedendo in parallelo,hanno evidenziato le loro armonie, maanche le disarmonie, le tensioni e le inter-ne contraddizioni. E la campata tempora-le che va dalla metà del XIX secolo ad AL– potremmo dire da Pio IX a Francesco –presenta quasi ad ogni generazione un ele-mento di grande novità. In un disegno cer-tamente unitario, ma segnato da svolteprofonde, da retromarce e da intuizioniprofetiche. E sempre in dialogo non solocon la Parola di Dio, ma anche con la espe-rienza di uomini e donne.

Amoris Laetitia «prende il largo»nella società aperta

Le soluzioni ottocentesche – che tendonoa perpetuarsi anche nel XX secolo – tra-montano ufficialmente con AL. Forse perquesto alcuni piccoli e marginali settoriecclesiali reagiscono male, stizziti e vio-lenti: chi si era illuso che «cattolico» si-gnificasse «ottocentesco» è rimasto di stuc-

PAPA FRANCESCO

il noi matrimonialenell’odierna

società aperta

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PAPAFRANCESCO

co. Soprattutto negli ultimi tempi, aveva-mo fatto di tutto per convincerli di esserenel giusto.Ora, di quel «sistema difensivo» ottocen-tesco, che tanto ha resistito, non resta pie-tra su pietra.Vorrei focalizzare le «pietre miliari» diquesta «riformulazione non ottocentescadel noi», precisando bene che AL non ri-nuncia affatto al «Noi»: sa che Dio e il pros-simo restano una inaggirabile «radice del-l’Io». Ma è ingenuo e meschino identifica-re il Noi con le condizioni di una societàchiusa. Il Noi è a fondamento anche dellasocietà aperta, ma a condizioni diverse. Edè questo ciò che AL ci dice con grande for-za e con particolare efficacia. In 4 pietremiliari scopriamo «una fine e un inizio».Qualcosa finisce e qualcosa si profila nuo-vamente all’orizzonte:a) Il Vangelo ha rapporto con la legge og-gettiva e con la coscienza soggettiva, sen-za identificarsi né con l’una né con l’altra:(AL 304). Questa è la fine del massimali-smo giuridico e il recupero strutturale del-la prassi del discernimento (per confidaree non solo per diffidare). Questa svolta per-mette di ristabilire un equilibrio tra leggee coscienza, che proprio la «istituzionaliz-zazione» di fine ottocento aveva mutuato,nella Chiesa, da concezioni statuali e civi-li della legge. E ripropone un concetto di«discernimento» che alla fine del XX se-colo aveva assunto quasi soltanto accezio-ni diffidenti e sospettose. Si usava «disce-nimento» solo per «mettere in guardia»,non per cogliere opportunità. Ora si recu-pera il versante positivo del discernimen-to ecclesiale, non per evitare un errore, maper comprendere una verità particolare.b) Il rapporto tra Cristo e la Chiesa è con-tenuto del «segno» e della «analogia» delmatrimonio, ma in modo imperfetto (AL72-73): questa è la fine del massimalismoteologico e il recupero strutturale di una«ragione teologica più ampia», che possacontemperare con sapienza l’ideale e ilreale, l’universale e il particolare, le coseultime e le penultime.c) Accompagnare, discernere e integrareè lo stile generale della pastorale ecclesia-le, che vale per le «famiglie felici» comeper le «famiglie ferite». (AL 308): fine delminimalismo pastorale e ristrutturazionedi una «pastorale di comunione e riconci-liazione» degna della tradizione, nella qua-le il recupero della iniziazione dei sogget-ti passa per le soglie delicate e potenti deimisteri, che attraversano le biografie e legenerazioni.d) Il matrimonio è relazione d’amore di

soggetti liberi che mette radici, non se-quenza di diritti e doveri fondati su uncontratto (AL 37): fine del minimalismoamministrativo e recupero della «relazio-ne d’amore» come soggetto/oggetto dellapastorale, con una chiara distinzione tralogiche giuridiche, logiche morali e logi-che sacramentali, che non si lasciano néidentificare né opporre.Queste «pietre miliari» reimpostano il «la-voro pastorale» e escono dalla alternativadrastica tra «foro interno» e «foro ester-no», creando un «foro pastorale», non di-verso dai primi due, ma che li integra e litrasforma strutturalmente.

una sfida

La vigilanza cristiana è un’arte che esige«manualità fine»: poiché essa prende a cuo-re la speranza del bene che arriva primache il timore del male che si abbatte. Comeun ladro – cosa in sé preoccupante – si an-nuncia proprio il Signore. E vigilare signi-fica aprirsi al bene che irrompe prima chediffidare del male che sorprende.Il Vangelo è il riconoscimento vigilante eprofetico di un «noi» che attraversa la co-scienza e la storia dei soggetti: è il dono diriconoscersi riconosciuti. Levarsi i calzaridi fronte alla benedetta autorità dell’altrotrova oggi difficoltà e opportunità, comesempre è accaduto, anche se oggi avvienein modo nuovo e in un mondo nuovo. Re-cuperare il bisogno di autorità – senza maiscivolare in derive autoritarie – per ognivera esperienza di libertà – senza dimis-sione relativistica – costituisce una sfidaper la Chiesa del futuro. Sfida non anzi-tutto nel senso apologetico del termine, main senso radicale. Come diceva E. Gilson,una saetta balenò nelle menti ai primi delXX secolo, quando si scoprì che S. Tom-maso, diversamente dai neoscolastici, po-neva e si poneva «vere domande». Il mon-do tardo-moderno non ci sfida semplice-mente perché noi resistiamo, non ci sedu-ce solo con menzogne e non ci presentasolo maschere nude; esso ci sfida perchénoi, in tale contesto – a volte nonostanteesso e altre volte proprio grazie ad esso –possiamo comprendere meglio il Vangelo:Vangelo del soggetto correlato misteriosa-mente al noi matrimoniale, familiare, po-polare, comunitario, sociale. Non meno diquesto è in gioco nella piccola e granderivoluzione annunciata e realizzata daquesta Esortazione Apostolica sull’«amorenella famiglia».

Andrea Grillo

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SPEZZARE LE CATENE

della stessa Autrice

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LidiaMaggi D opo la narrazione delle straordi-

narie circostanze della nascitadel bambino, cresciuto con duemadri – una schiava, l’altra prin-cipessa; una sposata, l’altra nu-bile; una ebrea e l’altra egizia-

na; una biologica, l’altra adottiva – ora in-contriamo un Mosè già adulto, che agisceautonomamente. Il tempo del racconto ac-celera, passando sotto silenzio il lungo tem-po della crescita e della formazione. Un bian-co del testo, che le diverse tradizioniinterpretative proveranno a riempire. Ma ilracconto biblico, col suo improvviso cam-bio di scena, ci spinge a porre attenzioni aiprimi gesti e alle prime parole dell’adultoMosè. Il quale prende le mosse compiendoun esodo, un’uscita verso i suoi fratelli. Comeaveva fatto Giuseppe, anche Mosè va verso isuoi fratelli, alla ricerca della fraternità. E,in entrambi i casi, i fratelli non sono dispo-nibili. I racconti biblici, pur così diversi, con-cordano nel presentare la fraternità comeuna scelta, e non come un dato biologico. Èun punto di arrivo, non di partenza. Ed ilcammino per giungervi, appare sempre im-pervio. In particolar modo nel caso di un per-sonaggio meticcio, come Mosè. Quali sonoi suoi fratelli? Non dovrebbero essere quellicon cui ha vissuto, a corte? Com’è maturatain lui la consapevolezza dell’appartenenzaoriginaria? Il testo non risponde alle nostredomande, ma ci presenta un Mosè determi-nato ad andare verso i fratelli ebrei. La sce-na assomiglia a quella del Buddha, che escedal palazzo ed incontra il male di vivere. Tut-tavia, mentre per l’Illuminato l’uscita è det-tata dal desiderio di conoscere e gli incontridivengono occasione di riflessione, per Mosèc’è la precisa deliberazione di andare versocoloro che considera suoi fratelli. Prendecorpo un legame, maturato misteriosamen-te. Legame che si fa subito azione, a partireda quanto vede – il lavoro pesante a cui sonocostretti e le percosse dei sorveglianti. Glibasta un colpo d’occhio per prendere l’ini-ziativa. Tutto avviene in fretta e, soprattut-to, nella sua mente, senza che ci sia ascoltoed interlocuzione con le persone ingiusta-mente trattate. Non ascolta alcun grido,come farà Dio. Non progetta insieme a lorostrategie di liberazione, ma agisce impulsi-

vamente. Il tempo di un veloce sguardo, diqua e di là, ed eccolo pronto a colpire mor-talmente l’Egiziano ed a sotterrarne il cada-vere. L’esodo soggettivo di Mosè appare con-creto ed efficace. Sicuramente, gli ebrei ri-conosceranno in lui un liberatore; lo segui-ranno, riconoscenti; ne celebreranno l’eroi-smo. Non funzionano, forse, così le sceneepiche, nelle quali l’eroe sconfigge il male eporta i suoi alla vittoria? Nella Bibbia, però,l’epica ha poco spazio. Ed ecco che, nellascena immediatamente successiva, il nostropresunto eroe deve fare i conti con la criticainterna. Anche i fratelli ebrei si comportanoingiustamente, litigando tra loro. Risuona-no qui le prime parole di Mosè: «Perché per-cuoti il tuo compagno?» (v. 13). Parole eti-che, di un eroe disorientato, che non si aspet-ta un conflitto tra quanti condividono lo stes-so pane di sudore. E subito dopo, ecco leprime parole rivolte direttamente a Mosè:«Chi ti ha costituito principe e giudice sopradi noi?» (v. 14). Con quale autorità intervie-ne l’ultimo arrivato, cresciuto nella bamba-gia della corte, del tutto ignaro delle fatichevissute da schiavi, pieni di rabbia e di ran-core? Chi gli ha conferito il diritto di vita edi morte su altri? Domande su cui Mosè avràtempo di meditare a lungo. Nell’immediato,però, non gli resta che fuggire, visto che lanotizia del suo operato si è diffusa.La scena originaria della vita adulta diMosè mette in campo tutti gli ingredientiche il narratore impasterà a lungo nel se-guito del racconto. E noi che leggiamo, sia-mo posti di fronte alle domande essenzia-li, che fanno da motore di tutta la narra-zione: come si costruisce la fraternità?Cosa la favorisce e cosa, invece, la impe-disce? Quale esodo e quale cammino di li-berazione corrisponde al progetto divino?Fin da ora, intuiamo che Mosè, l’uomo sa-piente istruito alla corte del faraone (cfr. Atti7, 22ss), patisce un deficit di ascolto. Sicu-ro di sé, risoluto nell’agire, fino a quandouna parola esterna lo mette in discussionee lo costringe al contro-esodo della fuga.Dovrà affrontare la crisi del fallimento edapprendere l’arte dell’ascolto, per poter rien-trare in scena e coltivare, in tutt’altro modo,quella fraternità giusta, fin da subito ricer-cata ❑

In quei giorni,Mosè, già diventatoadulto, andò a tro-vare i suoi fratelli;notò i lavori di cuierano gravati e videun Egiziano che per-coteva uno degliEbrei suoi fratelli.Egli volse lo sguar-do di qua e di là e,visto che non c’eranessuno, uccisel’Egiziano e lo na-scose nella sabbia.

(Esodo 2,11-14)

un liberatore frettoloso

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TEOLOGIA

l’immagine di Dioin Papa Francesco

el numero 11 di Rocca (1° giu-gno 2017 a p. 12) è stato pubbli-cato un messaggio della ProCivitate «ad associazioni, gruppi,movimenti e singoli, credenti enon credenti» intitolato: Diamo

un futuro alla svolta profetica di Francesco.Veniva aperto così «il cantiere del 75° Cor-so di studi cristiani» con l’invito ad «elabo-rare riflessioni e proposte» «a partire dalleproprie competenze, esperienze e sensibi-lità sul tema», per offrire «ad alcuni amiciche ci aiuteranno nella riflessione dal 24 al28 agosto pp. vv.». «In quei giorni sarannodiscusse ed esaminate anche alla luce dellesuggestioni sotto forma di linee guida o diproposta articolata che ci aiutino a trasfor-mare in scelte concrete, in prassi, in itine-rari formativi…, la ricchezza e la profondi-tà dell’Insegnamento di Francesco». L’elen-co dei temi suggeriti comprendeva cinquesoggetti il primo dei quali è strettamenteteologico: quale immagine di Dio emerge dalPontificato di Francesco.Più che una opportunità penso che sia perme un dovere rispondere a questa solleci-tazione. Già due volte, recentemente sonotornato su questo punto (cfr. Rocca 2017nn. 7 e 8) ma ora è necessario fare un passoulteriore: dare un futuro alla svolta profetica,e suggerire quindi qualche proposta.La formula utilizzata nell’invito si riferi-sce a possibili sviluppi partendo dalle at-tuali acquisizioni. Non si tratta quindi diriassumere il pensiero di papa Francescoallo stato attuale, cosa certamente neces-saria ed encomiabile, come hanno fatto itre teologi autori del libro già sommaria-mente esaminato (A. Cozzi - R. Repole -G. Piana, Papa Francesco: quale teologia?,Cittadella Ed. 2016; cfr. Rocca n. 6, pp. 50s. e n. 8, p. 51), ma di fare il tentativo di unpasso ulteriore.È innegabile che lo stile di papa France-sco abbia sollecitato ed evidenziato unmovimento di energie ecclesiali prima sot-

CarloMolari N

terranee. Il programma proposto vorreb-be rendere visibili i dinamismi ecclesialiper un confronto organico e la formula-zione di proposte concrete.Credo che il progetto supponga la sceltaculturale del modello evolutivo con la con-seguente convinzione che lo sviluppo deltempo consente all’energia creatrice disvolgere la sua azione con modalità nuo-ve rese possibili dalla complessità raggiun-ta dalle creature, non solo a livello perso-nale ma anche e soprattutto a livello co-munitario e sociale. Alla aumentata com-plessità deve rispondere una nuova quali-tà spirituale, perché l’azione divina quan-do è accolta è sempre efficace e fa cresce-re la creatura. Questa realmente diventa,quasi rinasce in virtù della grazia accolta.Nella prospettiva evolutiva però l’imper-fezione e il male fanno parte essenzialedel processo. Non possiamo immagina-re che sia possibile creare nulla in modoperfetto senza il divenire delle creature.Non è una scelta divina, bensì un’esigen-za assoluta. Le creature non esistono senon diventano, né possono diventare sen-za accumulare energia, né possonointeriorizzare la perfezione in un soloistante. Il tempo è un fattore essenzialedel processo creato.Quanto al messaggio teologico di papaFrancesco non vi sono dubbi: Dio è mi-sericordia, «Dio non si stanca mai di per-donare, siamo noi che ci stanchiamo dichiedere la sua misericordia» (EvangeliiGaudium n. 3). Bastino due titoli a richia-mare la sua convinzione: Il Nome di Dioè Misericordia (Piemme, M. Casale, 2016)e Nel cuore di ogni Padre. Alle radici dellamia spiritualità (a cura di A. Spadaro,Rizzoli, Milano 2016). Ciò significa an-che che Dio non pone nessuna condizio-ne per amare, ma offre gratuitamentevita, perdono, salvezza.Ci sono due punti non chiariti. Il primoriguarda la ragione della morte di Gesù.Papa Francesco ha detto: «la sua passio-ne non è un incidente; la sua morte, quel-la morte era ‘scritta’. Davvero non trovia-mo molte spiegazioni. Si tratta di un mi-stero sconcertante, il mistero della gran-de umiltà di Dio» (Catechesi, 16 aprile2014). Non parla di soddisfazione né diespiazione sembra però chiaro che Dioabbia voluto la morte di Gesù. Non è indi-cata nessuna ragione perché «si tratta diun mistero sconcertante». Il secondo pun-to ambiguo sta nell’assunzione del model-lo evolutivo. Nella Enciclica Laudato si’papa Francesco cita il Catechismo dellaChiesa (Libreria Vaticana 1992, p. 310) se-

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pp. 168 - i 20,00(vedi Indicein RoccaLibriwww.rocca.cittadella.org)

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condo il quale «Dio ha voluto creare un mon-do in cammino sino alla perfezione ultima,e… ciò implica la presenza della imperfe-zione e del male fisico» (n. 80 nota 14).

il male nel Catechismo

Il lemma ‘male’ ricorre 133 volte nel Cate-chismo della Chiesa cattolica in una cor-nice fissista e tradizionale. Anche se inqualche pagina il Catechismo assume ilmodello evolutivo in altre parti esso restaancorato al modello statico: le creatureumane sono state create in stato di perfe-zione, il dramma del peccato introduce ilmale nel mondo e l’Incarnazione è la suanecessaria redenzione.Più volte nel Catechismo si pone l’interro-gativo del male: «Se il mondo provienedalla sapienza e dalla bontà di Dio, per-ché il male? Da dove viene? Chi ne è re-sponsabile? C’è una liberazione da esso?»(n. 284). «Se Dio Padre onnipotente, Cre-atore del mondo ordinato e buono, si pren-de cura di tutte le sue creature, perché esi-ste il male? (n. 309). «Perché Dio non hacreato un mondo a tal punto perfetto danon potervi essere alcun male?» (n. 310).La risposta è prudente ma resta ambigua:«A questo interrogativo tanto pressantequanto inevitabile, tanto doloroso quantomisterioso, nessuna rapida risposta potràbastare. È l’insieme della fede cristiana checostituisce la risposta a tale questione: labontà della creazione, il dramma del pec-cato, l’amore paziente di Dio che viene in-contro all’uomo con le sue Alleanze, conl’Incarnazione redentrice del suo Figlio,con il dono dello Spirito, con il radunarela Chiesa, con la forza dei sacramenti, conla vocazione ad una vita felice, alla qualele creature libere sono invitate a dare il loroconsenso, ma alla quale, per un misteroterribile, possono anche sottrarsi. Non c’èun punto del messaggio cristiano che nonsia, per un certo aspetto, una risposta alproblema del male» (n. 309).Quando poi affronta la creazione dell’uo-mo il Catechismo sembra dimenticare ildato evolutivo e sostiene che per l’atto cre-ativo di Dio «Adamo ed Eva sono stati co-stituiti in uno stato di ‘santità e di giusti-zia originali’» (n. 375) per cui «finché fos-se rimasto nell’intimità divina, l’uomo nonavrebbe dovuto né morire né soffrire» (n.376). Di fatto quindi il Catechismo attri-buisce la sofferenza e la morte dell’uomonon alla sua struttura incompiuta, bensì auna sua colpa originale e quindi a una pu-nizione di Dio: «Per il peccato dei nostriprogenitori andrà perduta tutta l’armonia

della giustizia originale che Dio, nel suodisegno, aveva previsto per l’uomo» (n.379). Precisa poi: «Il racconto della cadu-ta (Gn 3) utilizza un linguaggio di imma-gini, ma espone un avvenimento primor-diale, un fatto che è accaduto all’inizio dellastoria dell’uomo» (Cfr. Gaudium et spes,13). «La Rivelazione ci dà la certezza difede che tutta la storia umana è segnatadalla colpa originale liberamente commes-sa dai nostri progenitori» (n. 390).In definitiva il Catechismo, con rimandi aTommaso di Aquino, attribuisce l’imper-fezione delle creature a una scelta miste-riosa di Dio: «Nella sua infinita potenza,Dio potrebbe sempre creare qualcosa dimigliore [Cf. San Tommaso d’Aquino,Summa theologiae, I, 25, 6]. Tuttavia, nel-la sua sapienza e nella sua bontà infinite,Dio ha liberamente voluto creare un mon-do ‘in stato di via’ verso la sua perfezioneultima. Questo divenire, nel disegno di Dio,comporta con la comparsa di certi esserila scomparsa di altri, con il più perfettoanche il meno perfetto, con le costruzionidella natura anche le distruzioni. Quindi,insieme con il bene fisico esiste anche ilmale fisico, finché la creazione non avràraggiunto la sua perfezione [Cf. Summacontra gentiles, 3, 71]» (n. 310).Questa ultima risposta del Catechismo èripresa anche da Papa Francesco nell’en-ciclica Laudato si’: «In qualche modo, Egli[Dio] ha voluto limitare se stesso creandoun mondo bisognoso di sviluppo, dovemolte cose che noi consideriamo mali,pericoli o fonti di sofferenza, fanno partein realtà dei dolori del parto, che ci stimo-lano a collaborare con il Creatore» (n. 80).In tale modo l’imperfezione della creazio-ne è attribuita a una misteriosa libera scel-ta di Dio, che poteva essere diversa.L’ambiguità rimasta nel Catechismo pesaanche nella esposizione di Papa France-sco. Finché il problema del male non vie-ne chiarito in modo coerente resterannoambigue anche tutte le formule relativealla misericordia divina, sospesa a un de-creto libero di Dio. Non siamo in grado dimetterci dalla parte di Dio e dire cosa po-trebbe fare, siamo però in grado di capirel’impossibilità delle creature di accoglierein un solo istante tutta la perfezione. Ilmale è necessariamente legato allaincompiutezza delle creature che diventa-no nel tempo. La proposta è la riedizionedel Catechismo della Chiesa cattolica conl’assunzione coerente e completa del mo-dello evolutivo.

Carlo Molari

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LucienGoldmannDio,la storia e l’uomo:una scommessaineludibile

Giuseppe Moscati

MAESTRI DEL NOSTRO TEMPOUn marxista probabilmente nel sen-so pieno del termine. Un marxista,forse così si può dire, nel sensoautentico del termine. Un marxi-sta che non è sceso a compromes-

si, questo senza alcun dubbio. Il sociologorumeno di origini ebree Lucien Goldmann(Boto’ani, Moldavia, 1913-Parigi, 1970), cheha insegnato presso la parigina École deshautes ètudes en sciences sociales, ha avutocome grande maestro György Lukács e sipercepisce benissimo, poi con lui ha condi-viso anche il rischio della caduta nel più ter-ribile dimenticatoio. Ma è stato per i suoiconati trotskisti che il Partito comunista ru-meno ne decise l’espulsione.Goldmann, che si è formato tra Vienna (do-v’era allievo di Max Adler) e Parigi e che sot-to il nazismo ha dovuto riparare in Svizzera(dove è stato assistente di Jean Piaget) perpoi rientrare e stabilirsi dal 1945 in Francia(Tolosa), ha peraltro saputo armonizzare itratti salienti della teoria di Marx con vena-ture marcatamente esistenzialiste, con stu-di sociologici e con originali incursioni nelcampo dell’estetica filosofica.

sociologicamente marxista

Quella che potremmo intendere come l’ope-razione principale, sempre a livello di ela-borazione teorica, di Goldmann è la tradu-zione degli assunti di base del marxismo intermini sociologici e, nello specifico, nei ter-mini di una epistemologia sociologica.A partire da questa sorta di originale tradu-zione, sempre avendo come faro Marx e, ap-punto, assorbendo e rielaborando anche lalezione del giovane Lukács, l’intellettuale ru-meno ha svolto delle ricerche in ambito filo-sofico e letterario: significativo il suo L’illu-minismo e la società moderna, protagonistaPaul Valéry. Ha inoltre indagato la genesi sto-rica del genere letterario del romanzo, da cuilo studio Pour une sociologie du roman (editonel 1964) che ricostruisce la parabola discen-dente della figura dell’eroe positivo.Da Lukács egli ha esplicitamente mutuatoin particolare «categorie come quella di‘struttura significativa’ e di ‘coscienza possi-bile’: alla prima sarebbero riconducibili levisioni del mondo, ma anche le classi socia-li che ne costituirebbero l’‘infrastruttura’; allaseconda la capacità dell’opera di esprimerela visione del mondo propria di una deter-minata classe sociale con una profondità euna coerenza precluse alla ‘coscienza reale’di quella classe, sempre soggetta a limita-zioni e a deviazioni di ordine naturale e so-ciale» (E. Botto). Si tratta, perciò, di contra-stare il più possibile tutti i diversificati osta-coli alla formazione di una coscienza adul-ta, non ultimo quello rappresentato dallaperversa logica dell’indifferenza e dalla bu-rocratizzazione delle esistenze.

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pp. 240 - i 20,00

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Prima e dopo la pubblicazione di un impor-tantissimo saggio che, seppure forzando unpo’, potremmo definire saggio di ‘teologiapolitica’, Le Dieu caché (1955), Goldmannha dato alle stampe Sciences humaines etphilosophie e la raccolta di saggi intitolataRecherches dialectiques, rispettivamente del1952 e del ’59.

ma che cos’è un’influenza?

C’è un passaggio chiave di Scienze umane efilosofia che precisa il senso di ciò che Gold-mann intende per influenza: ogni scrittoreo filosofo, egli sostiene in sostanza, si ritro-va intorno tante idee e posizioni di ordinereligioso, morale, politico e così via, le qualicostituiscono altrettante potenziali influen-ze che comportano determinate scelte; il pro-blema dello storico, allora, non è soltantoquello di individuare l’influenza di Hume,di Pascal o di Montaigne su Kant, quella diLocke su Voltaire e così via, ma anche e so-prattutto quello di interpretare al meglio ilmotivo essenziale per cui quegli scrittori equei filosofi sono rimasti influenzati da que-gli altri autori che li hanno preceduti e affa-scinati anche a distanza di secoli. Perché sudi loro ha esercitato tutto il suo potere que-sta influenza e magari non quest’altra?L’influenza, ne poteva così concludere Gol-dmann, coincide sostanzialmente con unascelta a tutti gli effetti quale «attività del sog-getto individuale e sociale» ed è per questoche parlando dell’influenza aristotelica sultomismo non facciamo altro che parlare dicome Aristotele è stato letto e percepito daTommaso d’Aquino, piuttosto che di ciò cherealmente – tout court – Aristotele ha scritto.

Dio nascosto, Dio che attrae

Ma il punto decisivo della Weltanschauungdi Lucien Goldmann è sicuramente rappre-sentato dalla figura del Dieu caché (1), ovve-ro di quel Dio nascosto cui egli ha dedicatoil fondamentale saggio del ’55 prima ricor-dato. Quest’ultimo svela un forte interessedel suo autore per le tematiche proprie delleopere filosofiche di Blaise Pascal e di quelledrammaturgiche di Jean Racine, specie latragedia in cinque atti Phèdre che Goldmannadora in quanto tragedia umanistica e cari-ca di dialettica. E a proposito di Pascal, nonsono state poche le energie che Goldmannha impiegato nell’approfondimento delladottrina giansenista, oltre che della figuradello stesso Jansen; il tutto corredato da unaseria lettura sia di Agostino, sia di Kant.Quanto al nascondimento di Dio, secondoGoldmann l’uomo si trova a scommettere albuio, con la più alta posta possibile! Di que-sto proprio Pascal e Racine sarebbero lucidie ‘tragici’ interpreti: la filosofia dell’uno ed ilteatro dell’altro, anzi, conterrebbero nel pro-

prio corpus il non plus ultra della tragica co-scienza possibile espressa dal pensiero fran-cese del XVII secolo. Tale elemento di unacoscienza siffatta sarebbe stata in seguito ri-preso da Kant, Hegel e, ancor più compiuta-mente, da Marx, cui Goldmann dedica pri-ma un saggio in tedesco, il Mensch Gemein-schaft und Welt in der Philosophie ImmanuelKants del 1945, e poi l’Introduction à la philo-sophie de Kant del ’67, che riprende ed am-plia il saggio di oltre vent’anni prima.L’uomo goldmanniano, ha scritto opportuna-mente Giorgio Pressburger, è un vero e pro-prio «essere tragico che da un lato scommet-te la sua vita su un’entità, Dio, di cui non sanulla e, dall’altro lato, scommette sul flussodella storia, del cui futuro egualmente non sanulla, ma da cui spera giustizia, solidarietà,libertà, benessere, una comunità umana pa-cificata». Ci sono quindi due diverse strade,quella dettata dallo spirito (Dio) e quella cheprivilegia la materia (storia), le quali in ulti-ma istanza pretendono una scommessa (ilpari) tragica quanto ineludibile. Che poi è unascommessa dell’uomo con se stesso.

Giuseppe Moscati

Nota(1) Michael Löwy, riferendo del sospetto di alcu-ni circa una presunta volontà di Goldmann di«cristianizzare il marxismo», ricorda come l’au-tore rumeno – ebreo, ateo e razionalista – si siainsistentemente pronunciato «contro qualsiasireligione rivelata affermante l’idea di un esseresupremo soprannaturale».

per leggere GoldmannL. Goldmann, Il dio nascosto. La visione tragicain Pascal e Racine, Laterza, Roma-Bari 1971.Id., Introduzione a Kant. Uomo, comunità e mon-do nella filosofia di Kant, Mondadori, Milano 1975.Id., L’illuminismo e la società moderna, Einaudi,Torino 1967.Id., La creazione culturale. Saggi di sociologia dellacomunicazione, Armando, Roma 1972.Id., Per una sociologia del romanzo. Una ricercaesemplare sui rapporti tra letteratura e società,Bompiani, Milano 1981.Id., Scienze umane e filosofia, Feltrinelli, Milano1961.

su GoldmannP. Fabbri, Introduzione, in L. Goldmann, Le dueavanguardie e altre ricerche sociologiche, Argalia,Urbino 1966.J. Leenhardt, Introduzione, in L. Goldmann,Marxismo e scienze umane, Newton Compton,Roma 1973.G. Pressburger, La storia è un «Dio nascosto»:Goldmann tra Marx e Pascal, Corriere della Sera13 dicembre 2016, p. 41.M. Löwy, Lucien Goldmann: il pari socialista diun marxista pascaliano, «Consecutio temporum»,n. 7 (novembre) 2014.

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NUOVA ANTOLOGIA

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Clarice Lispectorles barricades mystérieuses...

avigo sulla mia galera che sfidai venti di un’estate segreta».È incantevole leggere Clarice Li-spector.È affascinante leggere Clarice Lis-pector, il suo sgretolato, impetuo-

so, joyciano flusso di coscienza.Tra i suoi libri, Legami familiari, Vicino alcuore selvaggio, L’ora della stella, La pas-sione secondo G.H., Acqua viva.

L’invisibile nucleo della realtà, c’è qualco-sa che deve essere detto, qualcosa che puòesistere solo se nominato, qualcosa che ètutto, quel tutto che è nulla. «Quel segretoche sappia dare senso al tutto insensatoche ci circonda e che chiamiamo vivere»(A.Tabucchi).«Navigo sulla mia galera che sfida i ventidi un’estate segreta».Verso dove sto andando? Sto andando.

Ilenia BeatriceProtopapa N

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le parole tra noi... leggère

Clarice Lispector (Ucraina, 1920-Rio DeJaneiro, 1977), nata in Ucraina da una cop-pia di emigranti russi in viaggio versoOdessa, «sono nata in Ucraina. I miei ge-nitori sono andati in un villaggio che noncompare in nessuna mappa [...] per farminascere e poi si sono trasferiti in Brasile,quando io avevo due mesi. Allora chiamar-mi straniera è una sciocchezza. Sono piùbrasiliana che russa evidentemente...».Studia a Rio De Janeiro, sposa un diplo-matico (dal quale poi si separa)e con luiha due figli, è vissuta in Italia, Svizzera,Stati Uniti. Muore nel 1977.La scrittura di Clarice Lispector è acquache scorre. È acqua pura, è acqua viva (oágua-viva, medusa in portoghese), «un gior-no ho detto in modo infantile: ‘io possotutto’, era la passione di poter un giornolasciarmi andare e cadere nell’abbandonodi qualsiasi legge».La scrittura di Clarice Lispector è miste-ro. È l’inconcluso. «Voglio l’inconcluso»sembra urlare Clarice, sognatrice solitaria,tra le pagine di Acqua viva.L’acqua è perdita di margini, dissoluzio-ne. Sono occulti o misteriosi i marginidell’acqua. L’acqua può annegare sì, maanche la terra è piena di trappole, di gro-vigli, di legami, di confusione.Di misteri.La scrittura di Clarice Lispector è mistero.Una barricata.Le parole sono barricate. Barricate miste-riose.«Ti scrivo perché non mi comprendo». Avolte il dolore è ingestibile e il linguaggiosfugge. Allora?Non – wittgensteinianamente parlando –tacere, ma scrivere, scrivere... Là dove ilfallimento del linguaggio si tramuta in untrionfo. «...Le parole / tra noi leggere ca-dono. Ti guardo / in un molle riverbero.Non so / se ti conosco [...]» (Montale).Questo cercare e non trovare, il linguag-gio come sforzo umano «mai più compren-derò ciò che dirò. Perché, come potrei par-lare senza che la parola menta per me?Come potrò dire se non timidamente: lavita mi è, e non capisco ciò che dico. Eallora adoro». Adoro.Ad-oro, letteralmente, porto alla bocca. «Tuche mi leggi, aiutami a nascere».E nel momento in cui ad-oro, al tempo stes-so anche il corpo risponde.E la risposta del corpo è il vomito.Rigetto, sputo quel sapore di nulla, forseme stessa «senza arrivare mai a sentire diavere finalmente sputato tutta intera la

mia anima». E vomitare è forse il deside-rio di disfarsi del mondo intero. Vomita-re, vomitare il mondo intero.

io sono prima, io sono quasi, io sono mai

«Navigo sulla mia galera che sfida i ventidi un’estate segreta».Rischio. Sorpresa. Silenzio. Tacere. Scri-vere in silenzio?Segreto. «Lascio occulto ciò che ha biso-gno di essere occulto e ha bisogno di irra-diarsi in segreto. Taccio. Perché non soqual è il mio segreto. Raccontami il tuo».C’è un universo sull’orlo del collasso, unequilibrio pronto a sgretolarsi all’improv-viso, «equilibrio pericoloso il mio... peri-colo di morte dell’anima».Un universo barricato, chiuso. Ma è ununiverso pronto a liquefarsi.La notte, il buio, la luce, l’ombra. Senti chetutto è possibile, «un giorno ho detto inmodo infantile: ‘io posso tutto’». Sentireche tutto sta per succedere e averne biso-gno. Adesso.Clarice Lispector ha colto l’incongruenzadelle cose. Ha cercato di coglierne il se-greto più intimo. Con le sue frasi brevi, haraccontato tutti i suoi personaggi dentro efuori, ha raccontato se stessa, il visibile el’invisibile, il narratore e il protagonista.Unmisterioso universo personale, visioni esensazioni di travolgente intensità.«Chiamiamo debolezza il nostro candore.Ci teniamo l’un con l’altro, soprattutto. Etutto questo lo consideriamo la nostra vit-toria di ogni giorno. Ma io ne sono fuggito[...] con la ferocia con cui si fugge dallapeste [...] e aspetterò fino a quando anchetu non sarai più pronta».Stupefacente la scrittura di Clarice Lis-pector. Una scrittura delle sensazioni, unasorta di joyciano, labirintico flusso di co-scienza, la ricerca della divergenza tra lecose, la lontananza tra gli esseri che co-munque si scontrano, poi si perdono, traparole che non dicono quasi più nulla. Illinguaggio a volte rende sopportabile vi-vere, ma molto spesso è anche ciò che ria-pre le ferite. Lo è ancor di più il linguag-gio dell’amore, con ombre ed ambiguità,un coltello che in qualsiasi modo vengamaneggiato, finisce comunque per provo-care tagli.«Mancano le parole. Ma mi rifiuto d’inven-tarne di nuove: quelle che esistono già de-vono dire ciò che si riesce a dire e ciò cheè proibito. E ciò che è proibito io lo indo-vino [...]».

Ilenia Beatrice Protopapa

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FATTI E SEGNI

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EnricoPeyretti O

come il mareffesa e difesa – L’offesa ricevuta eincassata diventa una forza. Nonè facile, ma è possibile. Come unapietra, in sé pesante e pericolosa,messa a fondamento, a fare par-te del muro, diventa sostegno

e forza, invisibile. Quasi come una protesiaggiunta all’osso malato o alla giunturaconsumata. È una cosa avventizia, dura,esterna, all’inizio anche dolorosa, poi ac-cettata e utilizzata, come una forza. È uncolpo altrui su di te, l’offesa, ma può di-ventare parte di te, può costruirti invecedi distruggerti. Se non rispondi all’offesacon altra offesa, quella che ricevi si smor-za in te. Ti fa male, ma tu puoi guarire ilmale col complesso del tuo organismosano, e risanante. La tua dignità è intatta,non è intaccata dall’offesa, se non si lasciacontaminare. E ciò senza presunzione néalterigia, senza pensare di avere un gradosuperiore di diritto e dignità, perché è latua comune qualità umana che può so-pravvivere all’offesa, intatta. Purché incas-si l’offesa come il mare riceve la pietra, siscompone e si ricompone. La pietra pesasul fondo, ma il mare è più grande. Dellatua dignità sei tu che decidi: solo se ti faiindegno della qualità umana, e della ten-sione umana alla maggiore realizzazionedi umanità, solo allora sei indegno, peròpotendo sempre ritrovare e riprendere latua dignità. È piuttosto l’offensore che sifa indegno, perché abbassa la propria di-gnità umana nell’atto di colpire, nel tenta-tivo di abbassare o distruggere l’umanitàaltrui, che è la sua stessa umanità. Nonfarti indegno come l’offensore imitandolonell’offendere, restituendo l’offesa. Piutto-sto aiutalo a ritrovare la propria dignitàmostrandogli che la tua non è intaccatadall’offesa che ti ha fatto. L’offensore of-fende se stesso, se non rispetta te. E puòritrovare se stesso, se in te vede una digni-tà umana resistente intatta all’offesa. Aduna donna profondamente offesa e viola-ta, un maestro buddhista osò dire: «Nes-suno ti ha fatto niente». Parole rischiose,che potevano essere intese come sottova-lutazione del male, finzione consolatoria,

elusione del grave problema. Invece dice-vano la verità: la tua dignità è inviolabile.Non solo «non deve» essere violata, maanche «non può» essere violata, se dellatua dignità ti fai fortemente consapevole.Quando qualcuno ti offende, rispetta testesso, e rispetta l’offensore. La vera dife-sa, che non risparmia il dolore, la ferita,ma salva la persona dalla demolizione, èla coscienza della dignità umana univer-sale sussistente in te, come in ogni perso-na. Ciò dice qualcosa (mutatis mutandis)anche per i conflitti sociali e politici.

Pane e vino – Un bambino che fa la primacomunione rifiuta di credere che nel panee vino ci sia Gesù. Gli dico quel che ricavoda alcuni articoli di Rocca. Il pane cheGesù dava agli apostoli, e che dà a noi, èvero pane. Esso vale di più perché signifi-ca e rappresenta (cioè porta presente) tut-ta la vita (il suo «corpo») che Gesù ha do-nato fino alla croce per coraggiosa fedeltàalla promessa di vita che ci ha fatto. Non èpossibile che il vino sia «sangue» biologi-co: per gli ebrei era vietato bere il sanguedegli animali, che significava la vita, e tan-to più quello umano!... Ha spiegato PaoloVI che presenza «reale» nell’eucarestia nonè presenza locale, materiale, ma «sacra-mentale», cioè tramite simboli. Come l’ac-qua del battesimo non è per lavarsi, e l’oliodella cresima non è per ungersi, ma sonosimboli dell’azione di Dio, così pane e vinonell’eucarestia sono simbolo della vita spe-sa da Gesù per noi. Noi non mangiamoGesù (non siamo cannibali!...) e non be-viamo il suo sangue (non siamo vampi-ri!...), ma riceviamo nel segno del pane lasua vita che nutre la nostra vita, e nel se-gno del vino il suo amore che disseta lanostra sete di avere e dare amore. Gesùnon è «dentro» l’ostia, in miniatura!....Gesù è davvero presente nell’eucaristia conla sua Parola, con la sua presenza dove dueo tre si incontrano nel suo nome, con loSpirito santo che effonde nei discepoli, enel pane e nel vino, simboli forti ed effica-ci della sua vita donata a noi.

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CINEMAPaolo Vecchi

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Una vitaJeanne, figlia del baroneSimon-Jacques e dellabaronessa Adelaide Le

Perthuis des Vauds, vive coni genitori nella loro tenutavicino al mare della Nor-mandia. Educata in un col-legio di monache, ha avutocome amica fin dall’infanziala cameriera Rosalie, sua co-etanea. Tramite il parrocodel paese conosce il giova-ne visconte Julien de Lama-re, il cui padre ha dilapida-to al gioco le sostanze di fa-miglia. I due giovani si in-namorano e si sposano, be-nedetti dai genitori di Jean-ne, che antepongono la feli-cità della figlia alla differen-za di censo. Ma, dopo l’idil-lio del viaggio di nozze inCorsica, il rapporto tra lorocomincia a guastarsi. Julienrivela ben presto un carat-tere meschino e autoritarioe Jeanne scopre che il mari-to è amante di Rosalie e pa-dre del bambino da lei mes-so al mondo. Quando Jean-ne rimane incinta e in segui-to partorisce un maschio alquale viene dato il nome diPaul, il suo ménage familia-re sembra in parte ricom-porsi. La coppia inizia a fre-quentare Georges e Gilber-te de Fourville, vicini dicasa. Jeanne crede di averetrovato in Gilberte la primavera amica della vita, maben presto capisce che ladonna ha una relazione conJulien. Il nuovo parroco, ungiovane senza un briciolodel buon senso del suo pre-decessore, vorrebbe che del-la cosa fosse informato ilmarito della fedifraga.Quando quest’ultimo si ren-de effettivamente conto deltradimento della moglie,sorprende gli amanti, li uc-cide e si suicida. La trage-dia spinge ulteriormenteJeanne a chiudersi in se stes-sa, dedicandosi completa-mente al rapporto con il fi-glio. Ma anche Paul le riser-verà delle amare delusioni.Una vita (1883) è il primodei sei romanzi di Guy deMaupassant, meno compiu-

to, ad esempio, di Bel Ami,e senza la folgorante capa-cità di sintesi dei grandi rac-conti come Boule de suif oCasa Tellier, che rappresen-tano i vertici del grande scrit-tore. Nonostante vi si avver-ta l’influenza dell’amico difamiglia e padre letterarioFlaubert, si tratta di un te-sto comunque originale, an-cor oggi da divorare per lasua modernissima attitudi-ne a scandagliare l’animoumano e i meccanismi socia-li senza indulgere a psicolo-gismi e sociologismi.Di Una vita esiste una primaversione cinematografica,che non conosciamo, diret-ta nel 1958 da AlexandreAstruc.Stephane Brizé (La legge delmercato) e la sua cosceneg-giatrice Florence Vignonhanno innanzitutto lavoratoper sottrazione rispetto allamatrice letteraria, rimanen-do sostanzialmente fedeli alsuo sviluppo narrativo, co-stretto però all’essenzialitàdell’ellissi. Come esempio –uno dei tanti – del metododel regista potremmo citarela sequenza in cui Jeannescopre il tradimento di Ju-lien. In una notte di tempe-sta la donna va a bussare alla

porta della cameriera. Rosa-lie non risponde, alloraJeanne entra nella stanzadel marito. Rapido stacco dimontaggio su un esternonotte in cui lui insegue lei,con il vento e la pioggia chequasi soffocano le grida dientrambi.Coerentemente con questascelta di andare contro ogniorpello del film in costume,per non dire dei soprassaltidel mélo, Brizé usa poi l’an-tico formato 1,33, ci sem-bra, non tanto per stendereuna patina d’epoca sulle im-magini, quanto al fine di re-stituire anche fisicamentel’idea dello spazio angusto incui la protagonista è costret-ta a dibattersi, mentre lamacchina a spalla la accom-pagna per captare con sen-sibilità e precisione i motidel suo animo. Nella stessadirezione va la prevalenzadei piani ravvicinati, usatiquasi programmaticamen-te, ad esempio, nella sequen-za della prima notte di noz-ze, che vede sovrapporsi unasbrigativa concupiscenzasul volto di Julien e la paurae il disgusto su quello diJeanne. D’altronde, perquanto riguarda la sua ricer-ca di un linguaggio impron-

tato al rigore, Brizé ha affer-mato, sia pure sommessa-mente, che i suoi punti di ri-ferimento obbligati sonoDreyer e Bresson.Il contrappunto alle vicendedi Jeanne, alle quali alludemetaforicamente l’attenzionequasi minuziosa all’orto dicasa, al lavorìo per dissodar-lo, mettere a dimora i semi,irrigarlo e raccoglierne i frut-ti, è rappresentato dalle pe-riodiche aperture sull’impla-cabilità delle stagioni e la so-lennità della natura, dallaplumbea violenza del mare diNormandia all’abbagliantefascino di quello della Corsi-ca. In totale coerenza conqueste scelte espressive, lafotografia di Antoine Héber-lé segna ciascuno di questimomenti con le dominantidel blu, del giallo o del rossocupo, a seconda della tempe-ratura emotiva alla quale ri-manda. E fulminei flash-backspezzano la continuità dellanarrazione rendendo più lan-cinante il ricordo. In questomodo, Brizé fa di Jeanne, in-terpretata dalla magnificaJudith Chemla, una figura diestrema modernità nella suastilizzata disperazione. E in-sieme restituisce il significa-to più profondo del roman-zo, che ha per sottotitoloL’umile verità. Nel suo disar-mato percorso esistenziale, incui le illusioni vengono pro-gressivamente a cadere, ladonna si rende infatti contoche tutti mentono, compre-sa la madre, dopo la mortedella quale scopre che avevaavuto un amante (in Maupas-sant anche il padre diventameno drastico nei confrontidi Julien quando ricorda tut-te le volte che ha approfitta-to della propria condizioneper sedurre una cameriera).Ma non può che fare proprial’affermazione di Rosalie nelmomento in cui, alla fine, lemette tra le braccia il fagottoche contiene l’infante figlia diPaul: la vita non è mai tuttabuona o tutta cattiva come sidice.

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Roberto Carusi

TEATRORenzo Salvi

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Goldoni controluceImperturbabili – tenen-

do la mano alla frontecome una visiera per il

gran sole di prima estate –spettatori di ogni età han-no gremito fin dal primopomeriggio le gradinatedell’Anfiteatro Martesananell’omonimo parco mila-nese. Torna in scena per ilsuo settantesimo comple-anno quell’Arlecchino ser-vitore di due padroni «fio-re all’occhiello» che portòil Piccolo Teatro di Milanonel mondo. Torna con lostesso cast di prim’ordine:regìa di Giorgio Strehler,scene di Ezio Frigerio, co-stumi di Franca Squarcia-pino, maschere dei Sarto-ri, movimenti a cura di Ma-rise Flach, musiche di Fio-renzo Carpi.Agli spettatori di una certaetà pare di fare un salto in-dietro nel tempo, quandol’Arlecchino esordì nellapiccola sala di Via Rovel-lo. Poi – tra una tournée el’altra in mezzo mondo – iprimi esperimenti di de-centramento, come si chia-mava, nei cosiddetti Tea-tro Quartieri. In certe re-pliche estive poteva capita-re di assistervi in un parcomonumentale come quel-lo della settecentesca VillaLitta.Ora il discorso è diverso:si parla di periferie e al-l’aspetto culturale si ag-giunge quello sociale. Diuna società – osserva Ser-gio Escobar, direttore delPiccolo – molto più com-posita: caratteristica chegli piacerebbe risaltasse.Da questo primo passo sipuò dire che è partito conil piede giusto. L’impor-tante sarà arrivare ai gio-vani, agli immigrati, aglianziani e via dicendo: pos-sibilità che al Parco Mar-tesana non mancano dicerto.

Ma già stavolta si aggira-no esponenti delle diversecategorie: l’anziana signo-ra in carrozzina spinta dalgiovane badante, ragazzi eanche signori di mezza etàa torso nudo per il caldoafoso, donne che tirano finsulla testa la maglietta amo’ di copricapo e tendo-no la mano alle «masche-re» del Teatro che offronogratuitamente bottigliettedi acqua minerale.I bimbi, incuriositi e rispet-tosi, si siedono sul prato.C’è da augurarsi che l’ini-ziativa così allargata non silimiti alla ricorrenza. Col-pisce l’abbinamento di unaproposta tanto raffinata adun destinatario davveropopolare.Ideali in tal senso sono lecaratteristiche della Com-media dell’Arte (affidata,come si sa, all’estro degliattori) da cui Goldoni stes-so prese spunto per fareentrare quel tipo di teatronella letteratura. Ai cano-ni della Commedia dell’Ar-te si ispirò, settanta anni fa,lo stesso Strehler. Una tra-ma, semplice e complessain cui s’intrecciano trave-stimenti, agnizioni e scam-bi di persona, intrighiescogitati e condotti abuon fine dall’astuzia deiservitori.Negli anni i più bei nomidel teatro italiano si sonoavvicendati nei ruoli previ-sti dal copione. Arlecchinostavolta era Enrico Bona-vera, che da qualche tem-po si alterna con FerruccioSoleri, cui l’età non impe-disce di mettere nel perso-naggio tutta l’agilità ed ilritmo del furbo servitore(interpretato per la primavolta da Marcello Moretti,nell’anno in cui nasceva ilPiccolo Teatro di Milano).

Tv? Oh mamma mia!Lo si sa. Ma ritrovarse-

la davanti gli occhi, escorrerla, fa comun-

que effetto. E poco importache la situazione dell’eteretv in Italia – di questo si par-la – non sia più da prima pa-gina.Un colpo di fulmine – vero:atmosferico – transitato nelcavo d’antenna ha costrettoa rifar l’impianto e il riacco-damento dei canali in in-gresso sul Tv domestico; ilriordino dei «preferiti» hacostretto alla rivisitazione,dopo anni, della numerazio-ne intera da 1 a 999: al net-to delle frequenze riservateai Servizi di Stato (tra i nu-meri 400 e 500) e di alcuniscavalchi minori.Ci si misura col delirio. Scor-rere significa infatti sostareun attimo a guardare: un at-timo di 30" comporta 7 orecol telecomando in unamano che si va anchilosan-do e, alla fine, con gli occhia palla. Per vedere o avendorivisto?Qui il tema volge a contenu-ti, piani di comunicazione,linguaggi tv: perché questosi addensa, molto a caso,nella recezione mentale, esi-stenziale e psicologica delpubblico, ovvero degli indi-vidui che lo compongono. Eil termine individuo non èscelto a caso: non c’è la so-cialità che «fa» persona nelrapporto col medium tele-visivo.Nell’automatismo, per chiriceve, di quella che è l’attri-buzione (politica, infine)delle frequenze tv i canali da1 a 7 trovano le generalistedi Rai, Mediaset e La7, se-guite da Otto e Nove (sonnumero e nome) delbouquet Discovery e Sky,che fanno da apripista – al-meno in Lombardia – allefrequenze di «storiche» Tvlocali: da TeleLombardia adAntennaTre, Reporter, Tele-nova, CiTy7Gold. Poi toccaad una moltitudine di Rete-Capri alternate con incerta

casualità, a reti tematicheRai di qualche merito (Rai4,Rai5, Movie, Premium), aproposte di canali/cinema inchiaro (Iris di Mediaset, Cie-lo di Sky, Paramount Chan-nel) e Tv2000.L’affastellamento manifestasbilanciamenti più marcatinel blocco che segue in cuialcune proposte Mediaset(La5, Extra, Giallo) finisco-no nel groviglio di strane si-gle di reti e televendite, of-ferte, aste che si combina-no con i canali/bambini ditutte le appartenenze, mag-giori e minori: Gulp, YoYo,Cartoonito, Pop, Frisbee,Super! in un profluvio dicartoni animati. Le reti all/news si infilano dopo que-sto imbuto: RaiNews24,Sky24, TgCom24 anticipan-do i «canali/stramberia» cheprofilano le sequenze da 50a 100 – con apparizioni in-congrue qua e là, fuori dalcoro, di RaiSport, RaiScuo-la e simili – programmandoAffari in famiglia, cinture«panciaddio!» e indumenticontenitivi che precedonoRaiStoria, ad esempio.Procedendo nella notte, cro-nologica, quando è compar-so Hercules, coadiuvante diprestazioni maschili, chiscrive ha chiuso l’angoscio-so safari e riordinato i pri-mi trenta tasti del teleco-mando di casa, lasciando ilresto alla casuale suburradell’etere, dentro la quale, insede politica, pure lottammonel passato, ora per la liber-tà ed ora per la regolamen-tazione, al fine di mantene-re il principio (costituziona-le) secondo cui come ci sondiritti esiston pure doveri.Quest’ultimo tema è da ri-prendere. Perché anche inquest’ambito c’è da riflette-re, da preoccuparsi e – perchi deve – ci sarebbe da met-terci le mani: secondo unalogica di «interessi» ed eco-nomia (che non si negano)ma anche di principi e re-sponsabilità. ❑

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Mariano Apa

ARTEMichele De Luca

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BoschSulla scia di Enrico Ca-

stelli – Il demoniaconell’arte, 1952 – Mas-

simo Cacciari ribadiva nel1981 la valenza misticofiamminga dell’arte di Bo-sch, entro cui anche glioperati iconografico icono-logici risultano assai perti-nenti più verso Ruysbroeck– in Diocesi a Terni don Ro-berto Tarquini ha la suatraduzione delle Nozze Spi-rituali da Cantagalli di Sie-na, 2015 (lo Specchio eter-na beatitudine è dalle Pao-line 1994, di Franco Piras eGiovanna della Croce) – cheverso i Fratelli del LiberoSpirito come insistevaWilhelm Fraenger nei suoiscritti – sempre da Castelliin «Archivio di Filosofia»,1952 e 1953, e in traduzionedel suo Tentazioni di San-t’Antonio nel 1981 con il te-sto di Cacciari: e si veda oggiil Bosch bellissimo e sapien-te di Marco Bussagli, daGiunti, che rende omaggioal padre, l’orientalista (Utet,1984) Mario Bussagli a cuisi deve anche Arte e magianella sua Siena (1917/1988)e l’innovativa riproposta diBosch: 1966 e da Giunti nel1988 –. Friandre e Renaniada Devozio Moderna e intrec-ci storiografici con filigraneteologiche ed esoteriche peruno spartito musicale del-l’indecifrabile del nostro pel-legrinare: aveva capito tuttoFilippo II che si teneva inEscorial il suo ‘mistico am-mirabile’ Trittico delle Deli-zie. Così nella libera Vene-zia dei «sogni» e «meravi-glie» il Cardinale DomenicoGrimani permette la astralecongiunzione di «Jheroni-mus Bosch e Venezia» –come titola in Palazzo Du-cale la splendida mostra el’ottimo catalogo Marsilio(tra i testi, Rosella Lauber eIsabella di Leonardo e JosKoldeweij), per la cura diBernard Aikema: che era nel1999 in Palazzo Grassi a tar-ga Fiat, con la fondamenta-le mostra «Il Rinascimentoa Venezia». Oltre che le ope-

re veneziane di Bosch (del1992 è il catalogo dei restau-ri per il Palazzo Ducale, nelgiusto titolo Le delizie del-l’Inferno, a cura di CaterinaLimentani Virdis) nel Cin-quecentenario della morte,la ricerca storico-filologicaassicura la eccellenza delcollezionismo nella Veneziaquale Città Stato quale Ico-na Città della profetica Eu-ropa Moderna; così con Bo-sch è il Cardinale Domeni-co Grimani (1461-1523) adessere similmente in mo-stra. L’erudito Cardinale –nominato dal Borgia, papaAlessandro VI, il 20 settem-bre 1493; rappresenta laChiesa che unifica il magi-stero dell’olandese di Utre-cht Adriano VI alle inquie-tudini del Poliziano e diErasmo, e alle esoterico-sin-cretiste immaginazioni deltardo Umanesimo in Firen-ze – acquista la biblioteca diPico della Mirandola – e Ve-nezia, dove Manuzio nel1499 stampa la Hypneroto-machia Poliphili (si vedanogli studi di Calvesi e di p.Pozzi) – dal Bembo al Ca-stiglione, si relaziona il Car-dinale ad Abrahàm benMeir de Balmes e a Danielvan Bomberghen – espri-mendo una sua ricca perso-nale Wunderkammer – sideve a Furlan e Tosini la ri-cerca del 2016: I cardinalidella Serenissima, arte ecommittenza tra Venezia eRoma (1523-1605) (SilvanaEd.)–. Con i due trittici –«Martirio di S. Ontcommer-nis» e «Santi Eremiti» – diBosch ecco le quattro tavo-le delle «Visioni dell’Aldilà»ove si contemplano lo scon-volgente imbuto notturnodella luce che Massimo Cac-ciari impiegò per spiegare(Guidi, opere astratte, Electaper mostra a Urbino nel1989) la pittura di luce delromano (nasce nel 1891, del1923 è «Tram») e venezia-no (muore nel 1984, indica-tivo il ciclo «Isola di SanGiorgio») Virgilio Guidi.

Guido Harari

Di Guido Harari (Il Ca-iro, 1952) ha dettoLou Reed: «Sono sem-

pre felice di farmi fotografa-re da Guido. So che le sue sa-ranno immagini musicali,piene di poesia e di sentimen-to. Le cose che Guido cattu-ra nei suoi ritratti vengonogeneralmente ignorate daglialtri fotografi. ConsideroGuido un amico, non unsemplice fotografo». Nei pri-mi anni settanta ha avviatola duplice professione di fo-tografo e di giornalista mu-sicale, contribuendo a porrele basi di un lavoro speciali-stico sino ad allora senza pre-cedenti in Italia e collaboran-do con riviste come «Ciao2001», «Giovani», «Gong» e«Rockstar». Dagli anni ’90 ilsuo raggio d’azione contem-pla anche l’immagine pubbli-citaria, il ritratto istituziona-le, il reportage a sfondo so-ciale e la grafica dei volumida lui curati; dal 1994 è mem-bro dell’Agenzia Contrasto.Collabora da sempre con imaggiori artisti musicali ita-liani e internazionali per iquali ha firmato un’infinitàdi copertine di dischi: tra itanti, Baglioni, Bocelli, Pao-lo Conte, David Crosby, PinoDaniele, Bob Dylan, B.B.King, Paul McCartney, Pava-rotti, Lou Reed. Di FabrizioDe André Harari è stato unodei fotografi personali, conuna collaborazione venten-nale che include la coperti-na del disco «In concerto»,tratto dalla leggendaria tour-née dell’artista genovese conla Pfm nel 1979. Sul cantau-tore genovese Harari ha rea-lizzato tre fortunati volumi,tra cui E poi, il futuro (connota introduttiva di Fernan-

da Pivano). Nel 2011, dopouna vita trascorsa a Milano,ha fondato ad Alba, dove ri-siede, la Wall Of Sound Gal-lery, la prima galleria fotogra-fica in Italia interamente de-dicata alla musica.Nel 2007 MonforteArte (Cu-neo) organizzò con successotra le vie del borgo storico,con le sue foto proposte sugrandi pannelli blu in allumi-nio. Ora, a dieci anni di di-stanza dal successo di quellaprima mostra, Guido Hara-ri, reduce dalla sua grandemostra Wall of Sound, al ce-lebre museo Rockheim (Na-tional Museum of PopularMusic) di Trondheim, in Nor-vegia, torna a esporre nelleLanghe, alla Fondazione Bot-tari Lattes, riproponendo al-cune opere dell’allestimentooriginale e, soprattutto,un’ampia selezione di foto-grafie classiche e anche ine-dite, frutto di una intensa eappassionata carriera diquattro decenni, in edizionifine art numerate e firmate.In tutto cinquanta scatti, re-alizzati tra il 1976 e il 2013,che colgono gli artisti in at-teggiamenti inusuali, espres-sioni spesso inattese, su setspesso improvvisati, da cuiemerge in maniera immedia-ta la loro personalità, cheHarari ha saputo coglierecon la sua intelligenza, la suaosservazione e con la suaenorme capacità fotografica,che ha saputo raccontarci, fa-cendocene partecipi, unmondo – quello dell’universomusicale (ma non solo) deinostri tempi – visto e scruta-to dal di dentro; di cui, oltreche testimone, è stato indub-biamente anche un protago-nista. ❑

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Alberto Pellegrino

FOTOGRAFIAGiovanni Ruggeri

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Patti Smith a ParmaNell’elegante cornice

del Palazzo del Go-vernatore di Parma

l’8 aprile è stata aperta lamostra Higher Learningcon le opere fotografichedella grande cantautricePatti Smith. Si tratta dicirca120 immagini scatta-te durante i viaggi dell’ar-tista per il mondo. Perl’occasione il 3 maggiol’Università di Parma haconferito alla cantante lalaurea ad honorem in Let-tere classiche e moderneper il grande carisma in-terpretativo e la suggesti-va potenza delle paroledelle sue canzoni. La mo-stra è un’evoluzione delleesposizioni di New Yorke Stoccolma, perché inessa sono presenti alcuniinediti, le opere poetichee i Dvd che hanno avutouna particolare importan-za nel suo percorso uma-no e artistico. Patti Smi-th, nata nel 1946, è unadi quegli artisti poliedriciappartenenti alla Beat Ge-neration, una compositri-ce e cantante rock, una fo-tografa e pittrice, unascrittrice e poetessa, cheha lasciato un segno nelpanorama culturale ame-ricano e internazionale.Patti Smith utilizza unamacchina fotograficaLand 250 Polaroid, conun telemetro Zeiss Ikondegli anni Sessanta perscattare immagini inbianco e nero su una spe-ciale pellicola che permet-te una stampa a sviluppoistantaneo. La Smith, sucui ha influito il lungo so-dalizio umano e artisticocon Robert Mapplethor-pe, che è stato uno dei piùgrandi fotografi del se-condo Novecento, ci tie-ne a precisare che, nel-l’epoca degli scatti digita-li e della manipolazionedelle immagini, le sue

opere sono una testimo-nianza a favore della fo-tografia «classica», comestrumento per documen-tare e fissare un istante,un momento della pro-pria vita. Non a caso leimmagini sono tutte lega-te alla memoria dell’arti-sta, che, ha detto, costitu-isce, insieme all’immagi-nazione, «la mia benzina,il mio cibo, il mio nutri-mento». In questo percor-so artistico si mescolanoi ricordi più cari, la vitavissuta e un universo oni-rico, costituendo un insie-me che conferisce spesso-re creativo ai lavori. Que-sta mostra è una medita-zione visiva sul passaredel tempo e una ricerca disperanza e di consolazio-ne attraverso i segni dellamemoria: le foto ritraggo-no i letti, le statue, glistrumenti artistici e le la-pidi appartenuti a perso-naggi che hanno contri-buito a formare e svilup-pare la cultura dell’uma-nità, creando una sorta didiario visivo, per cui traqueste testimonianze, ol-tre a quelle più personali,troviamo le stampelle diFrida Kahlo, il letto di Ga-briele D’Annunzio, l’ac-cappatoio di JohnnyDepp, l’appartamento diCarlo Mollino, il bastonedi Virginia Woolf, le tom-be di Pier Paolo Pasolinie Jean Genet. «Queste im-magini – ha detto PattiSmith – sono rappresen-tazioni visive del pellegri-naggio e della gratitudine,e un continuo amore e ri-spetto per le nostre vociculturali, per le loro gran-di opere e per l’umiltà deiloro strumenti. Un pen-nello, una macchina dascrivere e i letti in cui han-no sognato. I luoghi dellaloro pace eterna».

La rete che non amaSpegnete Facebook e

baciatevi». Folgo-rante come la fantasia

di chi l’ha prodotta, que-st’anonima scritta su unmuro di Roma vale più diun’analisi sociologica sulnostro tempo e sui compor-tamenti collettivi che lo ca-ratterizzano. L’ha ben coltoe rilanciato lo psichiatraPaolo Crepet, che a questafrase si è ispirato per intito-lare un volume sulle molte-plici derive dell’uso indiscri-minato di Internet: Baciamisenza rete (Mondadori). Valela pena prestare attenzioneproprio al titolo, perché evi-denzia uno dei punti crucia-li dell’impatto antropologi-co esercitato dalle nuovetecnologie: i mutamenti nel-la sfera emotiva ed affettivadelle persone, paradossal-mente interconnesse senzasoluzione di continuità e ste-rilmente isolate proprio inquello spazio – piccolo comelo smartphone – nel e me-diante il quale vorrebberoinvece essere connesse sem-pre, a tutti e ovunque.Il ritratto dell’isolamento èesperienza comune in ogniluogo pubblico, ma il suoimpatto sui più piccoli è an-cora tutto (terribilmente?)da vedere. Al ristorante:«Coppie mute, famiglie si-lenziose, persone sole inutil-mente riunite – scrive Cre-pet –. Nessuno parla, se nonper ordinare qualcosa al ca-meriere e subito tornare afissare lo schermo illumina-to che ha tra le mani. […]Come sarà da adulto unbambino che ha comunica-to sempre e soltanto attra-verso un device? Che ne saràdella sua abilità nell’utilizza-re il proprio apparato sen-soriale? Che cambiamenti cisaranno nelle sue relazionisociali, nel suo modo di vi-vere i sentimenti, nella suacapacità empatica?».Incidere sulla sfera emotivaè intervenire direttamentesulle attitudini relazionali e

sulla creatività delle perso-ne, specie se in tenera età.La scuola non fa eccezione:ci sono Paesi, come la Fin-landia, dove è stato abban-donato l’insegnamento del-la scrittura a mano, per con-centrarsi esclusivamentesull’uso della tastiera. Irrile-vante? Neppure per sogno:autorevoli studi scientificihanno dimostrato l’impor-tanza della scrittura a manosul piano sia cognitivo chemotorio. «I danni si vedran-no tra qualche anno – am-monisce Crepet –: è tutto davedere cosa produrrà in ter-mini creativi un bambinonativo digitale, che non co-nosce una penna o un pen-narello. In età evolutiva il di-segno è lo specchio dell’ani-ma: laddove la comunica-zione verbale è ancora pocosviluppata, il disegno è fon-damentale per comprende-re, ad esempio, se il bambi-no ha subìto dei traumi. Senon abbiamo più il disegno,il bambino è muto».Stiamo crescendo genera-zioni destinate a un impo-verimento delle capacitàcreative? Domanda enorme.Certamente la creatività sirimodulerà su altri paradig-mi, di cui non conosciamoil profilo. E non solo la cre-atività, ma l’intera organiz-zazione sociale. SecondoJack Ma, fondatore del gi-gantesco sito cinese di e-commerce Alibaba, la tra-sformazione causata dallosviluppo di Internet provo-cherà, nei prossimi 30 anni,sconvolgimenti sociali mol-to dolorosi. Le nuove tecno-logie avranno un effetto di-rompente sull’economia esulla società, in tutto il mon-do, minacciando i vecchisettori industriali e i lavoritradizionali. Società e indi-vidui rivoluzionati dallemacchine. Quali emozioniper un tale uomo? Non losappiamo. È certo però cheuna macchina non sapràmai dire: «Ti amo». ❑

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Nicola ColajanniLa lotta per la laicità.Stato e Chiesa nell’etàdei dirittiCacucci Ed., Bari 2017,pp. 322, e 20,00

Non accade di frequente, purnell’ampia pubblicistica giu-ridico-politica dei nostri tem-pi, di imbattersi in un librosapientemente organicoquanto narrativamente godi-bile quale La lotta per la lai-cità di Nicola Colajanni.Come puntualmente specifi-cato nel sottotitolo (Stato eChiesa nell’età dei diritti), Co-lajanni declina un tema cru-ciale per la nostra democra-zia in dodici densi capitoli,distinti nelle due sezioni ‘si-nottiche’ del Modello teori-co e dei Problemi pratici.L’agile (e persuasiva) conclu-sione completa, dopo oltretrecento pagine, l’ariosa ar-chitettura conoscitiva e civi-le entro la quale l’indaginegiuridica si salda coerente-mente con la prassi stringen-te – e dirimente – dei proces-si, delle sentenze e della reli-gione in ambito dialettico eformativo. Come si evincedall’illuminante Introduzio-ne, la trattazione spazia dal-le riflessioni sul Crocifisso(Università di Madrid 2010)al profilo epistemico assun-to storicamente dalla laicità,affrontato nel seminario del-l’Università del Molise nel2016. Un arco di tempo, dun-que, relativamente breve, manel quale convergono e tro-vano pertinente sistematiz-zazione problemi e questio-ni (in senso felicementegramsciano) ispirati da ro-busta passione civile e nutri-ti di palpabile competenzascientifica. Si tratta di pecu-liarità che conferiscono altesto quella compattezza co-gnitiva, ricca di stimoli erme-neutici ed ideativi, che soloun giurista e intellettuale dilungo corso può offrire allalotta culturale ingaggiata daprotagonista nel discorsopubblico contemporaneo.Pertanto non solo gli «addet-ti ai lavori», ma la vasta pla-tea in cui si articola moder-namente la cittadinanza de-mocratica sono quanto mai

interessati a discutere e, so-prattutto, a vivere l’urgenzadei diritti e dei doveri all’al-tezza dell’emergenza attuale.Se, d’altra parte, come è chia-rissimo in Colajanni, l’«etàdei diritti» ridefinisce strut-turalmente il rapporto traStato e Chiesa (e, più ancora,tra persona e istituzione), nonpuò non discenderne unacongettura di democrazia e disocietà politica (e civile) ine-dita e quanto mai bisognevo-le del concorso consapevoledei cittadini. Va, cioè, imma-ginata – e non velleitariamen-te fantasticata – una scompo-sizione non tanto di singolipezzi istituzionali, tradizio-nalmente incardinati nell’al-veo pattizio bilaterale tra Sta-ti sovrani, quanto nell’edifi-cazione larga e plurale di unordinamento rivisitato abimis fundamentis! Una sortadi ‘rivoluzione civile’, da co-gliere nello spirito del libro,in cui libertà e tolleranza, lot-ta per la laicità e pratica (ol-tre che ‘visione’) democraticasiano lievito usuale e consoli-dato della società post-moder-na. Per questi motivi apparequanto mai feconda la bellafatica di Colajanni, che, in unserrato dibattito sia con i clas-sici, sia con la migliore intelli-genza politico-giuridica e filo-sofica contemporanea, innal-za la ‘questione religiosa’ (inquanto questione ideologicapubblica e politica per eccel-lenza) in sfida ineludibile dinuova e più alta civiltà. Appun-to: «l’etica civile come etica co-stituzionale», la quale si fa, valea dire si costruisce e si cimen-ta nello svolgersi educato, pernulla astratto e dottrinariodella nobilissima vita degli uo-mini e dei valori che essi stori-camente edificano a presidiodelle loro istituzioni.

Paolo Protopapa

Andrea RegaTecnologia e scienzanel futuro della politi-ca. Il dibattito tra J.B.S.Haldane e B. RussellMorlacchi Ed., Perugia2017, pp. 138, • 13,00

L’acuto filosofo gallese Ber-

trand Russell ed il menonoto eppure altrettanto lu-cido scienziato inglese JohnBurdon Sanderson Haldaneintessono un vivace dialogosulla moderna tecno-scien-za nei suoi rapporti con lasocietà, la politica e l’econo-mia. Siamo nella primametà degli anni Venti e l’epi-stemologia novecentescatrova in questi due intellet-tuali due veri e propri para-digmi interpretativi dellascienza, scettico il primo eprogressista il secondo.All’interno di questa cornice– che ai suoi lati ci ricordavia via le questioni più spi-nose e al contempo ‘radicali’del nostro tempo: uso e fina-lità della scienza, sue respon-sabilità in chiave bellica e inrelazione a violenza e soffe-renza, suo rapporto con lanatura dell’uomo… – l’auto-re prima passa in rassegnale varie posizioni in materia,allargando il discorso anchead altri teorici e militanti, poinel concentrarsi su Haldanee Russell ne evidenzia sia ledivergenze, sia alcune signi-ficative convergenze, loroentrambi spiriti socialisti purnelle differenti declinazioni.Haldane è letto come «unodegli ultimi, se non propria-mente l’ultimo, grande so-gnatore scientifico» (p. 54);Russell addirittura comecapace di disarmanti profe-zie (cfr., per esempio, pp. 96-97). Vale la pena, a proposi-to del ‘perplesso’ Russell(eco bobbiana), ricordarecome il IV capitolo dei suoiSaggi scettici del 1928 pones-se la domanda fondamenta-le Possono gli uomini essererazionali? Non ci dispiaceaffatto quella che in sostan-za è stata la risposta russel-liana: certamente non deltutto, ma fino ad un certopunti sì e – soprattutto – cisi può educare a migliorarsiin tal senso. E il pensierotorna alle guerre, alle barba-rie delle armi ‘intelligenti’,ma anche a tanta sofferen-za animale o alla retorica del-la salvaguardia del pianeta,che di fatto spesso viene affi-data alla buona volontà deisingoli cittadini del mondo.

Giuseppe Moscati

Giuseppe CappelloVita NuovaLadolfi Ed., Borgomanero(No) 2016, pp. 50, e 10,00

La nascita della figlia Bea-trice è la fonte dell’immagi-nazione poetica di Giusep-pe Cappello in questa suaultima raccolta che svilup-pa, proprio a partire dal-l’evento intimo, il tema piùgenerale del venire al mon-do e dell’essere al mondo.Da un lato prevalgono quin-di i sentimenti della commo-zione e della meraviglia cheaccompagnano i momentisalienti di una vita che vie-ne (il biberon delle cinque, laprima candelina, il ritmo delsonno e della veglia, lo scol-pire maieutico del respiro),dall’altro ci sono il dolore el’amarezza per la vita che sene va, si tratti della vita diuna persona amata, quelladel padre, o della vita di duegiovani fidanzati morti nelterremoto dell’Aquila.Anche queste vite, ormai lon-tane nel tempo e nello spazio,possono tornare a vivere nelricordo della parola poeticache ne sottrae all’oblio attimi,progetti, eventi, gioie, fatiche,emozioni, speranze. Forse èquesto uno dei compiti dellapoesia: tenere vivo, presente,permanente sia il passato cheil passaggio degli esseri uma-ni sulla terra. «Te ne sei anda-to/Con il segnalibro fra i co-sacchi di Puskin/Libertà e di-gnità… Ma io ancora ti chie-do/Nel gioco con l’amata ni-pote/ Ti chiedo di stare…»,scrive Cappello del padre; cosìcome dei giovani fidanzatichiede che resti il loro sognodi gioventù, la «favola bella»di dannunziana memoria ne-gata sulla terra ma destinataa compiersi su «una stella» incielo.«Vita nuova» è quella di tut-te queste vite, passate presen-ti e future, ma anche quelladi chi rinasce ogni giornosotto l’auspicio del bene, del-la cura, della solidarietà, del-l’amore per i propri cari e peril mondo. Ed ecco che il pri-vato si fa politico.

Stefano Cazzato

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Kosovopaesiin primopiano

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roccaschederoccaschede

Il Kosovo è uno Statobalcanico che confina aOvest con il Montenegro

e l’Albania, a Sud con laMacedonia e per la parterestante con la Serbia. Seb-bene il Paese nel 2008 ab-bia dichiarato unilateral-mente la propria indipen-denza e sebbene venga de-finita una nazione demo-cratica, con un presidentedella Repubblica, un Primoministro e un’Assembleaparlamentare, è ancora di-pendente dalla Serbia. An-che se di fatto, in ottempe-ranza alla risoluzione Onun. 1244 del 19 giugno 1999,è governato dall’ammini-strazione indipendentistache segue le linee guidaimposte dalle Nazioni Uni-te. Il 22 luglio del 2010 unparere della Corte interna-zionale di giustizia ha affer-mato che la dichiarazioned’indipendenza del Kosovonon ha violato né il dirittointernazionale né la suddet-ta risoluzione dell’Onu. Nelfrattempo, nel 2013 le rela-zioni tra Belgrado e Prišti-na si sono normalizzate conla firma di un accordo pro-mosso dall’Unione europeasecondo cui la Serbia rico-nosce l’estensione dell’auto-rità di Priština anche sulKosovo del Nord in cambiodi una autonomia non-ter-ritoriale per i comuni amaggioranza serba. La sto-ria del Kosovo è stata sem-pre martoriata. Nel 1912,dopo la guerra balcanica fuannesso alla Serbia e nel1918 entrò a far parte dellaIugoslavia. Durante la se-conda guerra mondiale nel1941 fu unito all’Albaniasotto l’egida italiana. Ma lavittoria di Tito costrinse ilPaese a tornare sotto il con-

trollo della Serbia, con lo sta-tus di regione autonoma seb-bene gli albanesi del Kosovocontinuassero a richiederel’indipendenza. Nel 1974venne concessa una nuovaCostituzione che riconosce-va alla provincia il caratteredi ‘elemento costitutivo del-la Federazione’ e la legittimi-tà di un autonomo governolocale, andando così ad ali-mentare il malcontento perla minoranza serba. Da lì icontrasti fra i due gruppi et-nici cominciarono ad esacer-barsi fino ad intensificarsinel 1987 con la presa del po-tere in Serbia da parte di Slo-bodan Miloševi c . Nel 1989fu adottata una nuova Costi-tuzione che ristringeva for-temente l’autonomia del Ko-sovo e contestualmente davaavvio a una campagna di ser-bizzazione di tutte le istitu-zioni kosovare. Il Kosovo ri-spose costituendo uno Statoalbanese parallelo, guidatoda Ibrahim Rugova presi-dente della Lega democrati-ca del Kosovo (Ldk) e, dopoun referendum, venneproclamata repubblica, rico-nosciuta soltanto da Tirana.Nel 1995 sorse un’ala estre-mista di forze kosovare de-nominata l’Esercito di libe-razione del Kosovo (Uçk) checominciò a seguire la lineadura della violenza e degli at-tentati. Tali separatisti pre-sero il controllo di alcunezone rurali e nel 1997 Milo-ševi c dette inizio a una cam-pagna repressiva con stragie deportazioni. L’impossibi-lità di trovare un negoziatotra le due parti portò all’in-tervento della Nato nel mar-zo 1999 che attaccò la Jugo-slavia. Ma dopo tre mesi Bel-grado accettò il piano di paceproposto dai Paesi del G8

con l’invio di truppe Nato el’affidamento dell’ammini-strazione provvisoria a unorganismo internazionale,l’Unmk (United Nations In-terim Administration Mis-sion in Kosovo). Nel 2003 laRepubblica federale di Ser-bia e Montenegro e le tensio-ni interetniche, mai sopite,tornarono a montare. Le ele-zioni del 2007 hanno vistoper la prima volta la Ldk su-perata dal Ppk (Partito Par-lamentare del Kosovo) diThaçi, che è divenuto primoministro, riconfermato alleconsultazioni nel 2010 e aquelle anticipate del 2014.Dopo due anni Thaçi è statoscelto come nuovo presiden-te della Repubblica.Popolazione: la diaspora deikosovari avvenuta negli anniNovanta ha provocato unamutazione nella ripartizioneetnica della popolazione tut-ta a vantaggio degli albanesiche costituiscono oltre il no-vanta per cento degli abitan-ti, mentre la componenteserba si è ridotta a pochedecine di migliaia di perso-ne. È anche vero che la co-munità internazionale si èmobilitata in favore dei rifu-giati e dei profughi kosovarifornendo ogni tipo di aiutoper far tornare il Paese allanormalità, consentendo ilrientro dei profughi. Va ri-scontrato anche che dopo laguerra il fenomeno dell’ur-banizzazione ha spinto mez-zo milioni di abitanti, su unnumero complessivo di unmilione e ottocento mila per-sone, verso la capitale Prišti-na e in altre città. Le lingueufficiali sono l’albanese e ilserbo, mentre la religioneprincipale è quella islamicadi rito sunnita seguita pres-soché dalla totalità della po-

polazione, mentre la parteserba segue la confessioneortodossa. Esistono anchepiccole comunità cattolicheEconomia: il Kosovo pre-senta una delle economiepiù arretrate d’Europa conun basso reddito procapite.A seguito del conflitto, lesanzioni internazionali e leaspre tensioni tra le popola-zioni, il sistema economicoè andato a picco, facendoaumentare soltanto il debi-to internazionale. Grazie alsostegno della comunità in-ternazionale e agli aiuti fi-nanziari, si è cercato di farripartire le attività economi-che, specialmente nel setto-re agricolo e artigianale,mentre il comparto indu-striale ristagna per carenzadi investitori esteri e di ca-pitali interni. Rimane attivoil fronte dei servizi (poste etelecomunicazioni, aeropor-to di Priština, ferrovie e al-tre), mentre quello privatocerca di espandersi nei set-tori commerciali quali tra-sporto, assicurazioni e im-mobiliare. Inoltre, chi ga-rantisce un po’ di occupazio-ne negli impieghi pubblici enell’amministrazione koso-vara sono gli uffici delle Na-zioni Unite e di altre orga-nizzazioni internazionali lacui presenza sul territori hapermesso alla popolazionelocale di trovare lavoro.Situazione politica e rela-zioni internazionali: nel2015 erano 115 i Paesi mem-bri dell’Onu che riconosce-vano l’indipendenza, tra cuianche l’Italia, mentre la Rus-sia, la Cina, e altri cinquePaesi europei (Spagna, Ro-mania, Grecia, Slovacchia eCipro) hanno dichiarato laloro contrarietà al riconosci-mento. E la Serbia lo consi-dera ancora una provinciaautonoma. Il Kosovo, a livel-lo di partecipazione ad orga-nizzazioni internazionali, faparte del fondo Monetariointernazionale e della Ban-ca mondiale.

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raccontareproporrechiedereFraternità

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Burkina Fasocrescere e conoscere

Ivana Cossar e LuisellaPaoli, le missionarie lai-che da qualche mese

rientrate in Italia dal Burki-na Faso, dove tra l’altro se-guono alcune attività discuola cattolica organizza-te nella periferia della capi-tale, affermano: «Le SuoreImmacolatine a Ouagadou-gou stanno lavorando peruna scuola che cresce siaper il numero degli alunnifrequentanti sia per la qua-lità dell’offerta didattica».I quartieri Tampouy e Syl-miguiri, nei quali è presen-te la Fmi, Comunità delle Fi-glie di Maria Immacolata (v.Fraternità in Rocca n. 8, 9,10 e 11/2017), sono in forteespansione e «la richiesta discuole è aumentata». Lascuola pubblica, pur presen-te, è di scadente livello e con-ta pochi insegnanti, cosìmoltissimi giovani e bambi-ni rimangono analfabeti.La proposta formativa ditipo scolastico gestita daqueste religiose nasce nel2012 ed è inizialmente rivol-ta solo ai bambini di etàcompresa tra i 3 ed i 5 anni,in quanto complementare alCentro di Formazione Arti-gianale frequentato dalleloro giovani madri. Poi, dal2015 si procede ad estensio-ne, con l’apertura della scuo-la primaria e l’accoglimen-to di una prima classe. Siarriva, nel corrente annoscolastico, a conteggiare,oltre ai 48 scolari dell’attua-le seconda, i 56 alunni diuna nuova prima classe.Nella scuola dell’infanzia enella scuola primaria opera-no come insegnanti le suo-re della Congregazione, pro-fessionalmente preparatetanto sul versante didattico

zione delle Suore Immaco-latine, rimane da coprire ilcosto del secondo lotto (pia-no superiore dell’edificio):porte, finestre e gabinetti equello del terzo lotto: tinteg-giatura delle pareti, impian-to elettrico di illuminazionee ventilazione.Amici di Fraternità, possia-mo dare un aiuto concreto aquesta scuola?

Luigina Morsolin

Per contribuire ai Progetti diFraternità (Togo, Haiti edora Burkina Faso) si posso-no inviare contributi con as-segni bancari, vaglia postalio tramite il ccp 10635068 –Coordinate: Codice Iban:IT76J 076 0103 0000 00010635068 intestato a Pro Ci-vitate Christiana – Fraterni-tà – Assisi. Per comunica-zioni, indirizzo e-mail:[email protected]

specifico (scuola dell’infanzia/ scuola primaria) quanto suquello pedagogico. La loroformazione è in particolareseguita da alcuni anni daLuisella Paoli, che mette aloro disposizione il suo arti-colato percorso, ricco di espe-rienza, maturato per decen-ni nella scuola italiana. Nonsono poche le problematichemetodologiche ed educativeche le insegnanti si trovanodavanti. Le diverse prove-nienze degli alunni, tutti co-munque accomunati dallosperimentare il passaggiodalla vita in villaggio alla vitanella periferia della città, rap-presentano un’ulteriore com-plessità nella conduzione diclassi tanto numerose. È inol-tre da considerare che, a fron-te dell’eterogeneità della lin-gua parlata in casa dagli alun-ni (in Burkina sono diversele lingue riconosciute e benuna cinquantina i dialetti) c’èda affrontare la novità dell’in-

segnamento «ufficiale» cheviene svolto in lingua france-se.Ma questa nuova scuola devematerialmente fare i contipure con la precarietà strut-turale degli edifici scolastici:costruiti da poco, ma fattimale sia per l’uso di materia-li scadenti sia per il livello diesecuzione dei lavori stessi.Bisogna rimetterci mano, perriparare i danni provocatidalle piogge intense cadute lascorsa estate, che hanno pro-vocato fessurazioni nelle so-lette di copertura con pesan-ti infiltrazioni che sono arri-vate a rovinare la pavimen-tazione interna delle aule. Glialunni della scuola primariasono temporaneamente ospi-tati nella casa delle suore, mail ripristino degli ambientiscolastici è quanto mai ur-gente. Mentre la spesa per ilprimo lotto dei lavori di ripri-stino e di ristrutturazione vie-ne coperta dalla Congrega-

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