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1. Il diritto e le sue fonti Sommario: 1. Il diritto e le sue fonti - 1.1. Le norme giuridiche, il significato del termine diritto e la classificazione delle fonti - 1.2. Le leggi, i regolamenti e gli usi - 1.2.1. Leggi e loro ordine gerarchico - 1.2.2. Regolamenti e limite del principio di legalità - 1.2.3. Usi: consuetudine e desuetudine - 1.3. L’applicazione della legge - 1.3.1. Entrata in vigore delle norme - 1.3.2. Efficacia nel tempo delle norme - 1.3.3. Interpretazione delle norme - 1.3.4. Applicazione delle norme penali ed eccezionali - 1.3.5. Abrogazione, deroga e disapplicazione delle norme 1.1. Le norme giuridiche, il significato del termine diritto e la classificazione delle fonti Col termine fonti del diritto vengono indicati gli atti (fonti-atto) o i fat- ti (fonti-fatto) che producono, modificano o abrogano determinate norme giuridiche. Gli atti sono emanati in forma scritta dalle pubbliche autorità in base a specifiche procedure: fonti di produzione, che si distinguono dalle fon- ti di cognizione, ossia dagli strumenti mediante i quali tali norme vengono portate a conoscenza dei cittadini (Costituzione, codici, raccolte e banche dati). I fatti, invece, sorgono spontaneamente all’interno della collettività, e si manifestano mediante l’osservanza di una condotta costante nel tempo che ha come risultato la produzione di norme non scritte (la consuetudine). Le norme giuridiche costituiscono regole del diritto positivo ed hanno carattere precettivo e sanzionatorio, ossia stabiliscono che certi compor- tamenti possono/devono o non possono/non devono tenersi. La norma giuridica è costituita, come detto, da due parti: - il precetto, secondo cui un determinato comportamento è lecito o meno (comando nei reati omissivi, divieto nei reati commissivi); - la sanzione, cioè la minaccia di una pena in caso di violazione del pre- cetto. Tuttavia esistono casi in cui alcune norme giuridiche sono prive di san- zioni: parliamo delle c.d. norme imperfette. Ricordiamo, ad esempio, talune norme di rango costituzionale che disciplinano i comportamenti del Presidente della Repubblica, del Parlamento e del Governo. In ossequio ad una classificazione dottrinaria e giurisprudenziale ormai consolidata i caratteri essenziali delle regole giuridiche, che le distinguono dalle regole del diritto naturale, sono i seguenti: a) generalità: si applicano a tutti quelli che si trovano in una situazione da esse disciplinata; Atti,fatti Norme giuridiche Precetto Sanzione Norme imperfette COMP_354_Nuovo_Compendio_diritto_civile_2017_1.indb 25 29/05/17 09:22

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�� 1. Il diritto e le sue fonti Sommario: 1. Il diritto e le sue fonti - 1.1. Le norme giuridiche, il significato del termine diritto e la classificazione delle fonti - 1.2. Le leggi, i regolamenti e gli usi - 1.2.1. Leggi e loro ordine gerarchico - 1.2.2. Regolamenti e limite del principio di legalità - 1.2.3. Usi: consuetudine e desuetudine - 1.3. L’applicazione della legge - 1.3.1. Entrata in vigore delle norme - 1.3.2. Efficacia nel tempo delle norme - 1.3.3. Interpretazione delle norme - 1.3.4. Applicazione delle norme penali ed eccezionali - 1.3.5. Abrogazione, deroga e disapplicazione delle norme

1.1.  Le norme giuridiche, il significato del termine diritto e la classificazione delle fontiCol termine fonti del diritto vengono indicati gli atti (fonti-atto) o i fat-ti (fonti-fatto) che producono, modificano o abrogano determinate norme giuridiche. Gli atti sono emanati in forma scritta dalle pubbliche autorità in base a specifiche procedure: fonti di produzione, che si distinguono dalle fon-ti di cognizione, ossia dagli strumenti mediante i quali tali norme vengono portate a conoscenza dei cittadini (Costituzione, codici, raccolte e banche dati). I fatti, invece, sorgono spontaneamente all’interno della collettività, e si manifestano mediante l’osservanza di una condotta costante nel tempo che ha come risultato la produzione di norme non scritte (la consuetudine).Le norme giuridiche costituiscono regole del diritto positivo ed hanno carattere precettivo e sanzionatorio, ossia stabiliscono che certi compor-tamenti possono/devono o non possono/non devono tenersi.La norma giuridica è costituita, come detto, da due parti:- il precetto, secondo cui un determinato comportamento è lecito o meno (comando nei reati omissivi, divieto nei reati commissivi);- la sanzione, cioè la minaccia di una pena in caso di violazione del pre-cetto.Tuttavia esistono casi in cui alcune norme giuridiche sono prive di san-zioni: parliamo delle c.d. norme imperfette. Ricordiamo, ad esempio, talune norme di rango costituzionale che disciplinano i comportamenti del Presidente della Repubblica, del Parlamento e del Governo.In ossequio ad una classificazione dottrinaria e giurisprudenziale ormai consolidata i caratteri essenziali delle regole giuridiche, che le distinguono dalle regole del diritto naturale, sono i seguenti:a) generalità: si applicano a tutti quelli che si trovano in una situazione da esse disciplinata;

Atti,fatti

Norme giuridiche

Precetto

Sanzione

Norme imperfette

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b) astrattezza: prevedono in astratto la disciplina di situazioni eguali a quelle in esse contenute;c) novità: devono tendenzialmente innovare l’ordinamento giuridico;d) imperatività (o cogenza): contengono un precetto la cui attuazione è garantita da un sistema sanzionatorio che ne prevede un’applicazione coattiva da parte dell’autorità pubblica;e) derogabilità (o relatività): la loro applicazione può anche essere disat-tesa dagli interessati;f) esteriorità: oggetto della loro disciplina è l’esterno operare degli indi-vidui;g) bilateralità: prevedono un’interdipendenza tra situazioni soggettive di vantaggio e situazioni soggettive di svantaggio.L’ordinamento giuridico, pertanto, va inteso come l’insieme delle norme poste da un’autorità sovraordinata che determina, oltre ad un sistema di garanzie, anche vincoli e limiti per le libertà individuali.Le norme, quindi, interagendo tra loro, formano le regole alle quali ogni individuo deve uniformare la propria condotta allo scopo di assicurare l’ordinato svolgimento della vita sociale e dei rapporti tra i singoli: è que-sto il c.d. diritto oggettivo.Il diritto oggettivo è il complesso di regole create dalle norme giuridiche per disciplinare la vita di una comunità e si suddivide in due rami fon-damentali:a) diritto pubblico: ossia l’insieme delle norme giuridiche che discipli-nano i rapporti giuridici in cui almeno una parte è rappresentata da un ente pubblico che agisce con potestà d’imperio;b) diritto privato: ossia l’insieme delle norme giuridiche che disciplina-no i rapporti tra i privati, ovvero tra privati ed autorità pubbliche quando queste ultime non ricorrono alla loro potestà di imperio, ma operano su di un piano paritario con i privati.Ricordiamo pure che all’interno dell’area del diritto pubblico è ricompre-sa un’ulteriore ramificazione costituita dal diritto costituzionale, dal dirit-to amministrativo, dal diritto penale, dal diritto processuale (civile, penale e amministrativo), dal diritto ecclesiastico. Mentre nell’area del diritto priva-to distinguiamo il diritto civile, che comprende tutte le regole giuridiche che disciplinano la condotta degli individui nei loro rapporti privati e il diritto commerciale, che comprende tutte le regole giuridiche che discipli-nano la condotta delle imprese commerciali tra esse e tra queste ultime e i risparmiatori e i consumatori.In questo modo prende vita l’ordinamento giuridico, ossia l’insieme delle norme poste da un’autorità sovraordinata che determina, oltre ad un sistema di garanzie, anche vincoli e limiti per le libertà individuali.Distinte da tale nozione del diritto sono le diverse situazioni giuridiche soggettive che da esso possono derivare: il potere, il dovere, l’onore, il

Ordinamento giuridico

Diritto ogget-tivo

Diritto pub-blico

Diritto privato

Situazioni giuridiche

soggettive

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diritto soggettivo, l’interesse legittimo (v. infra). L’ordinamento giuridico costituisce, in altri termini, la fonte di legittimazione di tali situazioni.Allo scopo di stabilire il rapporto che intercorre tra le fonti del diritto e, allo stesso tempo, scongiurare una loro sovrapposizione (c.d. antinomia delle norme), si usa ricorrere a taluni criteri:a) criterio di gerarchia, da non confondere con l’ordine di applicazione delle norme, in base al quale:- le fonti del diritto appartengono a gradi diversi;- prevale la fonte sovraordinata;- le norme di grado inferiore non possono mai modificare o abrogare quelle di grado superiore, né tantomeno contenere norme in contrasto con esse;- sussiste il controllo di validità rispetto alla fonte sovraordinata, ad ope-ra della Corte costituzionale;b) criterio di competenza in base al quale:- le fonti appartengono al medesimo grado ma si attribuisce una materia ad ogni fonte;- prevale la fonte competente per materia, es. Stato-Regione, Stato-Unio-ne europea;c) criterio temporale in base al quale:- le fonti appartengono al medesimo grado e sono entrambi competenti per materia;- la fonte emanata in una fase successiva abroga quella precedente (lex posterior derogat legi priori). Tale abrogazione può essere espressa o im-plicita;d) criterio di specialità in base al quale:- le fonti appartengono al medesimo grado e sono entrambe competenti per materia, ma una è generale e l’altra è speciale;- la fonte speciale prevale su quella generale.Le fonti del nostro ordinamento giuridico sono:a) Costituzione della Repubblica italiana, leggi di revisione costituzionale e altre leggi costituzionali, comprese quelle di approvazione degli statu-ti speciali delle regioni Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino Alto Adige/Südtirol e Valle d’Aosta/Vallee d’Aoste;b) fonti primarie: trattato UE, TFUE, direttive e regolamenti comunitari; regolamenti degli organi costituzionali (Camera dei deputati, Senato della Repubblica e Corte costituzionale); leggi ordinarie; decreti legge; statuti delle regioni ordinarie; leggi regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano; decreti legislativi attuativi degli statuti delle re-gioni speciali; referendum abrogativo;c) fonti subprimarie: leggi regionali delegate; decreti delegati del Governo; statuti degli enti locali;d) fonti secondarie: regolamenti, ordinanze, statuti di enti a statuto di specie;

Fonti del nostro ordinamento giuridico

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e) circolari che contengono istruzioni, ordini di servizio, direttive impar-tite dalle autorità amministrative centrali o gerarchicamente superiori agli enti o organi periferici o subordinati, con la funzione di indirizzare in modo uniforme l’attività di tali enti o organi inferiori. Sono atti me-ramente interni della Pubblica Amministrazione (c.d. norme interne), che esauriscono la loro portata ed efficacia giuridica nei rapporti tra i suddet-ti organismi ed i loro funzionari e non possono, quindi, spiegare alcun effetto giuridico nei confronti di soggetti estranei all’Amministrazione, né acquistare efficacia vincolante per quest’ultima, neppure come mezzo di interpretazione di norme giuridiche. La Cassazione precisa, pertanto, che esse non costituiscono fonte di diritti a favore di terzi, né di obblighi a carico dell’Amministrazione (sentenza 2092/1983). Di diverso avviso è gran parte della dottrina che le qualifica, invece, come fonti extra ordi-nem in grado di condizionare il comportamento dei soggetti nella fase di interpretazione e applicazione dei testi legislativi;f) fonti fatto: consuetudine e usi;g) contratti collettivi di diritto comune, stipulati dalle associazioni sindacali allo scopo di regolare uniformemente i rapporti di lavoro delle categorie rappresentate. Di diverso avviso è la Cassazione che nega il rango di fon-te normativa a tale tipologia di contrattazione (sentenza 10914/2000);h) equità o giustizia del caso concreto (fonte indiretta), ma solo quando è richiamata dalla legge (vedi ad esempio gli articoli 1226, 1371, 1374, 1384, 1733, 2047, comma 2, 2118 del codice civile);i) giurisprudenza (fonte indiretta). Posto, infatti, che nel nostro ordina-mento giuridico sia assente il principio di vincolatività dei precedenti, le sentenze formano, nel corso del tempo, orientamenti costanti, per cui le massime, ovvero i principi di diritto promananti dalle medesime pro-nunzie, tendono ad assumere il canone di regole giuridiche autonome concretamente operanti all’interno della società civile;l) dottrina (fonte indiretta), ossia l’insieme delle interpretazioni, delle ricerche e delle opinioni elaborati dai giuristi in opere letterarie o nel corso di convegni o dibattiti 

1.2. Le leggi, i regolamenti e gli usi 

1.2.1. Leggi e loro ordine gerarchicoNel nostro ordinamento la Costituzione è la norma primaria di più alto grado. Essa riveste un carattere rigido, perché modificabile solo attraver-so un procedimento speciale e mediante leggi costituzionali (secondo le regole dettate dall’art. 138 Cost.).In linea generale con il termine legge identifichiamo:a) la legge costituzionale, che ha il medesimo rango e stessa competenza della Costituzione repubblicana;

Costituzione

Legge

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b) la legge ordinaria, che è un atto normativo approvato dal Parlamento, promulgata dal Presidente della Repubblica e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale;c) la legge regionale che, approvata dal Consiglio regionale, ha validità per il solo territorio regionale ed opera nel rispetto dei principi contenuti nell’art. 117 Cost. (nel testo sostituito dalla L. cost. 3/2001 che ha tro-vato attuazione con L. 131/2003).d) la legge provinciale delle province autonome di Trento e Bolzano.Per quanto concerne gli atti di Governo aventi forza di legge, va innan-zitutto precisato che tale organo è privo di potere legislativo (non può fare leggi); tuttavia solo in determinati casi, espressamente stabiliti dalla Costituzione (artt. 76 e 77 cost.), può emanare atti aventi forza di legge:1) i decreti legge, emessi in casi di necessità ed urgenza con efficacia im-mediata, ma che vanno convertiti in legge entro 60 gg. dall’emanazione, pena la loro decadenza;2) i decreti legislativi, sono deliberati dal Governo su delega legislativa del Parlamento che ne fissa anche i criteri di applicabilità.

La Corte costituzionale ha il potere di accertare la sussistenza in concreto dei presup-posti della necessità ed urgenza previsti dall’art. 77 cost. per l’adozione dei decreti-leg-ge, configurando l’eventuale mancanza di detti presupposti tanto un vizio di legittimità costituzionale del decreto - quanto un vizio “in procedendo” della legge di conversione (così Corte cost. n. 128 del 2008). 

1.2.2. Regolamenti e limite del principio di legalitàI regolamenti sono norme giuridiche adottate dagli organi del potere esecutivo che non possono contenere disposizioni in contrasto con le leggi ma, pur qualificandosi come fonti secondarie, innovano l’ordina-mento giuridico, nei limiti stabiliti dalla legge. In particolare i regola-menti governativi sono emanati nella forma di decreti del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, previo pa-rere del Consiglio di Stato.I regolamenti possono essere emanati anche da autorità della pubbli-ca amministrazione subordinate al potere esecutivo (come ad esempio i prefetti), ovvero dagli enti pubblici territoriali (ossia le regioni, le pro-vince e i comuni).Secondo quanto stabilito dalla legge n. 400 del 1988 attualmente si fa distinzione tra:a) regolamenti esecutivi di leggi e decreti legislativi attraverso i quali si intende dare concreta attuazione alla fonte legislativa cui essi fanno ri-ferimento;b) regolamenti delegati o di deroga i quali non prevedono una delega al Go-verno di funzioni legislative e, pertanto, l’atto da quest’ultimo emanato

Atti aventi forza di legge

Regolamenti

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non sarà un decreto avente forza di legge. La potestà regolamentare in tal modo attribuita può, nei limiti ristretti della stessa delega, importare deroga alla legge (delegificazione);c) regolamenti indipendenti che vengono emanati per provvedere in ma-terie in cui sia assente una disciplina di grado primario e sempreché non si versi in ambiti comunque riservati alla legge. Occorre ricordare che in virtù di una riconosciuta e istituzionalizzata sfera di autonomia nor-mativa il governo è autorizzato ad emanare regolamenti indipendenti in materie non già disciplinate dalla legge ovviamente nel rispetto, da un lato, dei precetti legislativi attributivi di competenza per settori e, dall’al-tro, delle norme indicanti gli scopi primari da realizzare;d) regolamenti interni e di organizzazione, i quali espletano la loro effica-cia all’interno degli stessi enti da cui vengono emanati, sì da escludere che essi possano produrre prescrizioni dotate di analoga forza cogente di norme giuridiche;e) regolamenti di recepimento di accordi collettivi di lavoro, che possono farsi rientrare nella categoria dei regolamenti di organizzazione.Esistono, invero, talune materie che il potere esecutivo non può disciplinare mediante regolamenti, perché la Costituzione ha stabilito che queste vanno disciplinate unicamente mediante la legge (principio della riserva di legge). Lo scopo di tale principio è quello di garantire che su alcune materie debba legiferare solo il Parlamento, ossia l’organo che è espressione della sovranità popolare. Anche gli atti aventi forza di legge, appartenenti al potere esecu-tivo (Governo), possono disciplinare materie protette dalla riserva di legge, ma solo sotto stretto controllo del potere legislativo (Parlamento).Affine al principio della riserva di legge è quello di legalità il quale, da un lato, sancisce la prevalenza della legge rispetto agli altri atti dei pub-blici poteri, dall’altro, fa sì che ogni provvedimento sia espressione di un potere riconosciuto agli organi pubblici da una specifica norma giuridica.Vanno infine ricordati i regolamenti comunitari che sono atti normativi emanati dall’Unione europea aventi contenuto normativo generale, al pari delle leggi statali, direttamente applicabili all’interno degli Stati membri e immediatamente vincolanti per questi e per i loro cittadini, senza necessità di norme interne di adattamento o recepimento. 

1.2.3. Usi: consuetudine e desuetudineGli usi normativi, le c.d. norme consuetudinarie, si formano sulla base di due elementi essenziali:a) quello di carattere oggettivo, ossia la ripetizione costante nel tempo (diuturnitas) di un dato comportamento da parte di un gruppo sociale;b) quello di carattere soggettivo o psicologico, ossia l’opinione generalmen-te condivisa di osservare, agendo in tal modo, una norma giuridica sia pure di rango terziario (opinio iuris ac necessitatis).

Riserva di legge

Legalità

Usi normativi

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L’uso normativo, pertanto:- assume i lineamenti e il vigore della norma giuridica e, per questo, deve possedere il carattere dell’astrattezza e della generalità;- assume la veste di fonte sussidiaria di diritto nelle materie in cui è as-sente una disciplina legislativa (praeter legem). Viceversa, nelle materie regolate da leggi o regolamenti, assume efficacia solo se espressamente richiamato (secundum legem) (art. 1182 c.c.).Non è ammesso l’uso contra legem o abrogativo, per desuetudine, della legge.L’uso normativo si distingue:- dall’uso interpretativo, che è il mezzo mediante il quale si interpreta, appunto, la volontà espressa in modo ambiguo dai soggetti contraenti;- dall’uso negoziale che è il mezzo mediante il quale si integra l’interpreta-zione della volontà dei soggetti contraenti con la clausola che, ambigua-mente praticata in una determinata zona, si presume voluta dalle parti anche se non espressamente richiamata;- dalla prassi, che è sprovvista del carattere della generalità e del requisito dell’opinio iuris ac necessitatis, e che vige in limitati ambiti di contratta-zione, corrispondendo non già ad esigenze giuridiche, quanto a motivi di opportunità e convenienza.L’uso non è una norma scritta e, per questo, l’unico modo per accertar-ne l’esistenza è la compilazione delle raccolte ufficiali che mai potranno essere qualificate come fonti di cognizione. In caso di mancato aggiorna-mento tali raccolte non vengono automaticamente private del loro valore probatorio, dato che le eventuali variazioni sopravvenute possono esse-re evinte dalle parti in base ai principi giuridici che disciplinano l’onere della prova (art. 2697 c.c.).

L’accertamento dell’esistenza di una norma consuetudinaria è riservato al giudice del merito, essendo quindi sottratto al giudizio di legittimità (Cass. n. 20 del 1983).L’uso normativo deve essere applicato dal giudice, se gli risulti noto, e, in caso contra-rio, può essere accertato con ogni mezzo di prova. Diversamente, con riguardo all’uso negoziale o interpretativo, che costituisce un mezzo di interpretazione della volontà delle parti, espressa ambiguamente o d’integrazione della medesima con le clausole che, abitualmente praticate nella zona, si presumono volute dalle parti, anche se espli-citamente consentite, è la parte che lo alleghi che deve fornire idonea prova, in caso di contestazione, circa la sua esistenza (Cass. n. 14263 del 2005).

Desuetudine

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1.3. L’applicazione della legge 

1.3.1. Entrata in vigore delle normeIl duplice scopo di essere portati a conoscenza di tutti i cittadini e dive-nire, per essi, obbligatori e, di acquisire efficacia nel nostro ordinamento, i provvedimenti legislativi devono essere pubblicati nella Gazzetta Uffi-ciale della Repubblica Italiana (leggi e decreti), nei Bollettini ufficiali delle Regioni (leggi regionali), nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee (regolamenti e direttive comunitarie).L’entrata in vigore dei provvedimenti normativi è stabilita al quindicesi-mo giorno dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Da quel mo-mento le norme in essi contenute risulteranno efficaci anche per coloro i quali, di fatto, non ne conoscono l’esistenza: ignorantia legis non excusat.

Entrata in vigore

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La Corte costituzionale, con sentenza n. 364 del 1988, ha smussato la portata di tale pre-cetto, sostenendo che esso non va applicato laddove venga dimostrato che una soggetto si trovava nella condizione di non poter assolutamente conoscere una determinata legge.

Il lasso di tempo che va dalla data di pubblicazione in Gazzetta alla sua entrata in vigore (vacatio legis), serve, appunto, a consentire a tutti i cittadini di prendere conoscenza dell’esistenza della nuova disciplina normativa. Questo periodo può essere opportunamente procrastinato, in riferimento, spesso, alla quantità e complessità delle disposizioni norma-tive contenute nel provvedimento o abbreviato, per esigenze di necessità e di urgenza) (art. 73, comma 3, Cost.).

Il D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, che ha riformato il diritto societario, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 22 gennaio 2003, n. 17 ma la sua entrata in vigore è stata sta-bilita - dall’art. 43 del medesimo decreto - il 1º gennaio 2004.

Si ricorda, inoltre, che secondo l’insegnamento del Consiglio di Stato (sez. VI, n. 643 del 1953) la data di pubblicazione corrisponde a quella della Gazzetta Ufficiale e non della distribuzione del fascicolo. 

1.3.2. Efficacia nel tempo delle normeIl primo comma dell’articolo 11 delle disposizioni preliminari al codice civile recita: “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. L’irretroattività è un principio generale dell’ordinamento giuridico in forza del quale ciascun fatto è assoggettato alla disciplina normativa del tempo in cui si è verificato: tempus regit actum.Invero l’irretroattività di cui trattasi non è assoluta ma relativa; difatti il precetto che la sostiene si limita ad indicare un criterio interpretativo della “normale irretroattività”, senza escludere che la legge possa avere efficacia retroattiva per sua stessa previsione, espressa o tacita, secondo un’indagine che è riservata al giudice del merito.

La L. 8 febbraio 2006, n. 54, recante la nuova disciplina in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli, si applica anche nei casi in cui il decreto di omologa dei patti di separazione consensuale, la sentenza di separazione giudiziale, di scioglimento, di annullamento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, sia già stata emessa alla data della sua entrata in vigore.

L’irretroattività assoluta si ha, invece, in materia penale, in ossequio al divieto sancito dall’articolo 25 della Costituzione in base al quale «nes-suno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso» e dall’art. 2 del Codice penale secondo cui «nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del

Irretroattività

Irretroattività assoluta

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tempo in cui fu commesso, non costituiva reato». In altre parole la legge penale ha efficacia limitatamente ai fatti commessi dopo la sua entrata in vigore e non anche nei confronti di quelli ad essa antecedenti, in quanto considerati leciti nel momento del loro compimento.In ultima analisi il principio dell’irretroattività non può essere derogato neanche da leggi regionali - che non possono regolare retroattivamente situazioni già disciplinate dalla legge statale - né dai regolamenti né dalle fonti di grado inferiore alla legge. 

1.3.3. Interpretazione delle normeL’attività interpretativa delle norme giuridiche consiste nel:- ricercarne il significato;- comprenderne il valore e la portata nel nostro ordinamento;- comprenderne la loro finalità, ossia la loro applicazione al caso concreto.L’applicazione della norma consiste, infatti, nel far coincidere la situa-zione disciplinata in astratto dalla norma (fattispecie astratta) con il caso concreto che si manifesta nella realtà (fattispecie concreta).

Regola generale dell’attività interpretativa è che il significato di una norma non potrà mai essere compreso pienamente se non si collega quest’ultima a tutte le altre norme che compongono l’ordinamento giuridico. Inoltre tra le varie interpretazioni in astratto possibili debbono scegliersi quelle che non si pongono in contrasto con la Costituzione, e va privilegiata quella ad essa più conforme (Cass. n. 14900 del 2002).

Esistono tre tipologie di interpretazione a seconda:a) dei soggetti che la compiono. In tal caso distinguiamo ulteriormente tra:- interpretazione dottrinale, ossia quella fatta dagli studiosi del diritto che, pur non essendo vincolante, ha una forza tale che riesce spesso ad in-fluenzare anche l’attività giurisdizionale e legislativa;- interpretazione giudiziale, ossia quella fatta dai giudici, evincibile dalle sentenze da questi emanate nell’esercizio della loro attività giurisdizio-nale. Non ha efficacia obbligatoria, al di là del caso concreto oggetto di giudicato, e quindi non vincola gli altri giudici, che restano liberi nell’in-terpretazione della legge. Nell’ipotesi in cui l’interpretazione di una norma dovesse risultare identica e costante nel tempo essa costituirà, invece, giurisprudenza costante, dotata di un’influenza di rilievo morale derivante dall’autorevolezza delle sentenze pronunciate;- interpretazione autentica, ossia quella effettuata dallo stesso organo che ha prodotto la norma. Può avvenire mediante l’emanazione di una nuova norma, qualora la disciplina precedente risulta di difficile comprensione, ed ha efficacia vincolante e retroattiva per tutti i destinatari;b) dei criteri di interpretazione. In tal caso distinguiamo ulteriormente tra:- interpretazione letterale o grammaticale, ossia quella finalizzata a valuta-re il significato effettivo delle parole non solo singolarmente, ma anche

Attività interpretativa

delle norme

Soggetti

Criteri

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nel loro insieme, ricavandone così il significato complessivo. La regola vuole che le parole vengano interpretate nel loro significato tecnico - che si ricava dalla legislazione, dalla tradizione e dalla dottrina - e non in base al loro senso comune;- interpretazione logica, ossia quella finalizzata a stabilire la ragionevole intenzione del legislatore (c.d. voluntas legis) nel disciplinare quella deter-minata materia (c.d. ratio iuris).c) dei risultati che si raggiungono. In tal caso distinguiamo ulteriormente tra:- interpretazione dichiarativa (lex tam dixit quam voluit). L’interprete rico-nosce che il disposto normativo (interpretazione letterale) coincide con la volontà del legislatore (interpretazione logica);- interpretazione estensiva (lex minus dixit quam voluit). L’interprete si ac-corge che il disposto normativo non coincide con la volontà del legisla-tore, con un impatto sulla realtà inferiore alle aspettative;- interpretazione restrittiva (lex plus dixit quam voluit). L’interprete rico-nosce che il disposto normativo fa riferimento a questioni che, invece, voleva escludere;- interpretazione analogica. L’interprete affronta casi concreti non espres-samente disciplinati da norme giuridiche (lacune del diritto). Al fine di prevenire iniziative arbitrarie ed antigiuridiche il nostro ordinamento ri-solve il problema indicando al giudice due possibili soluzioni: 1) il ricorso alle norme che regolano casi simili o materie analoghe: c.d. analogia legis; 2) se il caso rimane ancora incerto, il ricorso ai principi generali dell’or-dinamento giuridico: c.d. analogia iuris. 

1.3.4.  Applicazione delle norme penali ed eccezionaliLe leggi penali e quelle che fanno eccezione ad altre leggi in determinate materie o circostanze ovvero per determinate categorie di soggetti, non si applicano analogicamente oltre i casi ed i tempi in esse considerati.Per la legislazione penale il divieto di estensione analogica deriva dal prin-cipio nullum crimen sine lege stabilito dall’art. 25 Cost. In pratica il giudice non può applicare la legge penale fuori dei casi espressamente previsti e disciplinati dall’ordinamento giuridico.Occorre ricordare che il divieto di analogia:a) non preclude l’interpretazione estensiva. Mentre nell’analogia la fat-tispecie non è espressamente prevista dalla legge e viene disciplinata ricorrendo a disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe, nell’interpretazione estensiva la fattispecie è disciplinata da una norma specifica e, mediante il procedimento esegetico, si ai suoi termini un si-gnificato più ampio;b) non è di natura assoluta. Il ricorso a casi simili è ammesso se produce effetti favorevoli nei confronti della persona che ha commesso il reato (analogia in bonam partem);

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Leggi penali

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Per quanto riguarda la legislazione eccezionale vige, invece, il principio ubi lex voluit dixit ubi non dixit noluit, al fine di escludere l’interpretazione analogica e non quella estensiva che avviene per necessità e non per simili-tudine di rapporti. Ad esempio in situazioni contingenti, come per una pan-demia o una calamità naturale; o in specifiche materie come quella fiscale. 

1.3.5. Abrogazione, deroga e disapplicazione delle normeL’abrogazione è la cessazione dell’efficacia di una norma giuridica. Per-dendo vigore giuridico essa non potrà più essere applicata. A decidere l’abrogazione è il legislatore. Come detto, infatti, non ricorre nel nostro ordinamento l’ipotesi della desuetudine quale consuetudo contra legem.Esistono varie tipologie di abrogazione:- espressa, se entra in vigore una norma all’interno della quale si dichiara la soppressione o la cessazione di efficacia di una disposizione normativa precedente;- tacita, se vi è incompatibilità fra una norma nuova ed una o più nor-me precedenti, ovvero quando la norma posteriore disciplina una o più materie già regolate da quella anteriore. Ciò non ricorre nell’ipotesi in cui l’entrata in vigore della nuova norma abbia unicamente provocato il venir meno della ratio iuris della norma precedente, senza dettare regole nuove o alternative;- totale, se si ripercuote sull’intera norma;- parziale, se si ripercuote su una parte della norma;- a seguito di referendum, quando lo richiedono cinque consigli regionali o 500.000 elettori;- intrinseca, nel caso in cui una nuova normativa produce effetti per un determinato periodo di tempo - ciò accade spesso in materia di bilancio - o per determinate circostanze, come per il caso di calamità pubbliche;- generalizzata per disciplina dell’intera materia, laddove la nuova norma abroga espressamente tutte le norme con essa incompatibili.Occorre ulteriormente distinguere a seconda che si ricorra:a) al criterio di gerarchia (v. par. 1.2.1 precedente). In tal caso una norma può essere abrogata solo da una disposizione di pari grado o di grado superiore;b) al criterio temporale. In tal caso vale il principio lex posterior derogat legi priori, nel rispetto dell’altrettanto fondamentale principio lex posterior generalis non derogat priori speciali e salvo che la materia sia costituzio-nalmente riservata ad una determinata fonte.Il nostro ordinamento giuridico consente di ripristinare una disposi-zione abrogata o modificata. In tale ipotesi il legislatore è tenuto a in-dicarlo espressamente nel nuovo provvedimento. L’abrogazione di una norma abrogativa non ripristina la norma da quest’ultima abrogata, in quanto la reviviscenza non si manifesta allorché l’abrogazione deri-

Legislazione eccezionale

Abrogazione

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vi dalla legge, salvo che l’effetto ripristinatorio non sia disposto dalla legge medesima.L’abrogazione va distinta:- dalla deroga, che si ha quando una norma fa eccezione a regole conte-nute in altre norme;- dalla disapplicazione, prevista nel caso in cui la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma, sollecitando il Parla-mento, sia ad emanare norme sostitutive in armonia con i i principi della Costituzione, sia ad abrogare quella dichiarata illegittima.Una particolare applicazione dell’abrogazione si può trovare nei testi uni-ci, finalizzati a riordinare e raccogliere in un unico provvedimento la di-sciplina normativa di un’intera materia precedentemente regolata da una molteplicità di norme. 

Deroga

Disapplica-zione

⊲ Domande per l’autovalutazione

1. Quali sono i caratteri della norma giuridica? Par. 1.1.

2. Come si definiscono il diritto privato e il diritto pubblico? Par. 1.1.

3. Quali sono le caratteristiche dei decreti legge? Par. 1.2.1.

4. Quali sono le caratteristiche delle leggi regionali? Par. 1.2.1.

5. Cosa sono i regolamenti? Par. 1.2.2.

6. Sai dire cos’è la consuetudine? Par. 1.2.3.

7. Quali sono le tipologie di interpretazione della norma? Par. 1.3.3. 

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