11. DAL ROCOCÒ AL NEOCLASSICISMO · 2006-12-13 · 2 Percorso 11 - Dal Rococò al Neoclassicismo...

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11. DAL ROCOCÒ AL NEOCLASSICISMO Il Settecento è un secolo di grandi trasformazioni. I costumi e le abitudini sociali mu- tano rapidamente in tutti gli strati della società europea, parallelamente agli sviluppi del pensiero empirista e razionalista. Nuove idee, che si oppongono al sistema di va- lori dell’assolutismo politico e religioso, si diffondono in ogni campo (economico, politico, tecnico-scientifico) grazie alla circolazione della cultura, a un atteggiamento cosmopolita che porta a viaggiare e stimola i confronti. Intorno alla metà del secolo, questo processo subisce una forte accelerazione con l’affermazione dell’illuminismo, ma i sintomi del cambiamento si rintracciano già nei primi decenni, con una progres- siva laicizzazione della mentalità. Il rococò è il ricercato gusto artistico apprezzato dall’aristocrazia europea del primo Settecento, e se da un lato ne rappresenta il “can- to del cigno”, in quanto frivolo e squisitamente decorativo, dall’altro rivela l’attenzione di artisti e committenti per le forme di vita associata, l’educazione, il buon gusto. Criteri che saranno ripresi - con fondamento razionale e legittimazione ideale nell’esempio del mondo antico – dal neoclassicismo; questo stile si afferma negli ultimi decenni del Settecento. In un primo tempo, esprime le idee riformatrici degli intellettuali e dei sovrani illuminati, in seguito accompagna i princìpi e le ri- vendicazioni che portano alla Rivoluzione francese. L’autorità degli esempi greci e romani fornisce non solo i modelli estetici, ma anche quelli civili e morali. La produ- zione artistica assume un ruolo pubblico: essa deve educare le coscienze agli ideali di patriottismo, libertà e uguaglianza tra gli uomini secondo una concezione nuova del progresso civile, basato non più su privilegi e concessioni, ma sul miglioramento del- le istituzioni e sul perseguimento della felicità collettiva. Il contesto storico e artistico Il rococò, uno stile internazionale. Il rococò è la tendenza artistica che si afferma in Eu- ropa a partire dal secondo decennio del XVIII secolo. Centro propulsore è la Francia nel periodo della reggenza di Luigi XV, ma il carattere internazionale e sostanzialmente unitario del nuovo stile emerge rapidamente con contributi originali da altri paesi come l’Italia, la Germania e l’Austria. Il termine deriva da “ rocaille ”, motivo decorativo a in- crostazioni di rocce e conchiglie utilizzato inizialmente per grotte e giardini, e include tutto il nuovo repertorio di forme naturalistiche e stilizzate, fluide ed asimmetriche, che si accostano liberamente con andamenti sinuosi e arricciolati, regolati solo dalla fantasia e dalla piacevolezza estetica, ed evitano gli schemi della “grammatica” classica. Questo linguaggio non solo caratterizza le arti tradizionalmente considerate maggiori - architettura, pittura e scultura - ma si estende alla decorazione e all’arredamento degli interni, il campo delle cosiddette arti minori o applicate: porcellane, mobili, decorazioni in stucco, arazzi, pannelli decorativi, lampadari, fino alla moda e ad ogni tipo di oggetti- stica, per la casa o il tempo libero. Il gusto decorativo del rococò si diffonde nelle corti e nelle abitazioni private d’Europa grazie anche alla circolazione dei volumi con incisioni di motivi ornamentali, al commercio degli oggetti e agli spostamenti degli artigiani e degli artisti. Una nuova cultura dell’abitare. Il rococò riflette un’attenzione nuova ai luoghi e ai mo- menti della vita privata: l’aristocrazia si rivolge alla progettazione e alla decorazione delle proprie residenze senza intenti monumentali o ostentatamente celebrativi, come

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11. DAL ROCOCÒ AL NEOCLASSICISMO

Il Settecento è un secolo di grandi trasformazioni. I costumi e le abitudini sociali mu-tano rapidamente in tutti gli strati della società europea, parallelamente agli sviluppi del pensiero empirista e razionalista. Nuove idee, che si oppongono al sistema di va-lori dell’assolutismo politico e religioso, si diffondono in ogni campo (economico, politico, tecnico-scientifico) grazie alla circolazione della cultura, a un atteggiamento cosmopolita che porta a viaggiare e stimola i confronti. Intorno alla metà del secolo, questo processo subisce una forte accelerazione con l’affermazione dell’illuminismo, ma i sintomi del cambiamento si rintracciano già nei primi decenni, con una progres-siva laicizzazione della mentalità. Il rococò è il ricercato gusto artistico apprezzato dall’aristocrazia europea del primo Settecento, e se da un lato ne rappresenta il “can-to del cigno”, in quanto frivolo e squisitamente decorativo, dall’altro rivela l’attenzione di artisti e committenti per le forme di vita associata, l’educazione, il buon gusto. Criteri che saranno ripresi - con fondamento razionale e legittimazione ideale nell’esempio del mondo antico – dal neoclassicismo; questo stile si afferma negli ultimi decenni del Settecento. In un primo tempo, esprime le idee riformatrici degli intellettuali e dei sovrani illuminati, in seguito accompagna i princìpi e le ri-vendicazioni che portano alla Rivoluzione francese. L’autorità degli esempi greci e romani fornisce non solo i modelli estetici, ma anche quelli civili e morali. La produ-zione artistica assume un ruolo pubblico: essa deve educare le coscienze agli ideali di patriottismo, libertà e uguaglianza tra gli uomini secondo una concezione nuova del progresso civile, basato non più su privilegi e concessioni, ma sul miglioramento del-le istituzioni e sul perseguimento della felicità collettiva.

Il contesto storico e artistico Il rococò, uno stile internazionale. Il rococò è la tendenza artistica che si afferma in Eu-ropa a partire dal secondo decennio del XVIII secolo. Centro propulsore è la Francia nel periodo della reggenza di Luigi XV, ma il carattere internazionale e sostanzialmente unitario del nuovo stile emerge rapidamente con contributi originali da altri paesi come l’Italia, la Germania e l’Austria. Il termine deriva da “rocaille”, motivo decorativo a in-crostazioni di rocce e conchiglie utilizzato inizialmente per grotte e giardini, e include tutto il nuovo repertorio di forme naturalistiche e stilizzate, fluide ed asimmetriche, che si accostano liberamente con andamenti sinuosi e arricciolati, regolati solo dalla fantasia e dalla piacevolezza estetica, ed evitano gli schemi della “grammatica” classica.

Questo linguaggio non solo caratterizza le arti tradizionalmente considerate maggiori - architettura, pittura e scultura - ma si estende alla decorazione e all’arredamento degli interni, il campo delle cosiddette arti minori o applicate: porcellane, mobili, decorazioni in stucco, arazzi, pannelli decorativi, lampadari, fino alla moda e ad ogni tipo di oggetti-stica, per la casa o il tempo libero. Il gusto decorativo del rococò si diffonde nelle corti e nelle abitazioni private d’Europa grazie anche alla circolazione dei volumi con incisioni di motivi ornamentali, al commercio degli oggetti e agli spostamenti degli artigiani e degli artisti.

Una nuova cultura dell’abitare. Il rococò riflette un’attenzione nuova ai luoghi e ai mo-menti della vita privata: l’aristocrazia si rivolge alla progettazione e alla decorazione delle proprie residenze senza intenti monumentali o ostentatamente celebrativi, come

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avveniva nel barocco, ma creando luoghi da abitare piacevoli ed accoglienti, conformi alle norme della salubrità (luminosità, aerazione) e della convenance, lo studiato ade-guamento di ogni singolo arredo o elemento decorativo alla funzione svolta dall’edificio. Si prediligono le costruzioni dalla pianta aperta, dispiegata tra giardini e terrazzi, i colori chiari, gli specchi, gli effetti di delicata vibrazione luminosa provocati da ornamenti solo lievemente sporgenti o da materiali traslucidi, con un risultato di grande unità tra interno ed esterno.

→ Vedi, sul manuale di storia dell’arte, gli interni del Casino di delizie Amalienburg a Nymphenburg (1730), di Johann Baptist Zimmermann (1680-1758): stucchi dorati e argentati contornano pareti, finestre e l’attacco del soffitto, descrivendo eleganti motivi con infinite variazioni asimmetriche.

Il comfort degli edifici, fino agli ambienti più privati (alcove, boudoir, camerini) rivela un nuovo modo di intendere le relazioni sociali: si attribuisce valore positivo agli affetti familiari, allo svago, al ricevimento degli ospiti, alla villeggiatura, come è testimoniato anche dall’iconografia della pittura: feste galanti, cacce, scene di interni sono realizzate con un tocco leggero, in punta di pennello, che restituisce il vibrare dell’atmosfera, il frusciare delle stoffe, l’ammiccare dei gesti.

→ Vedi, a questo proposito, Nell’imbarco per Citera (1717) di Antoine Watteau (1684-1721), una gaia processione di giovani uomini, dame e pastorelle muove in pellegrinaggio verso l’isola consacrata a Venere; la vita si mostra serena e lieve, da godere in compagnia. L’altalena (1766), di Jean Honorè Fragonard (1732-1806), è un esempio dei temi frivoli e licenziosi in voga.

L’aristocrazia urbana e il nuovo spirito laico. Il “buon gusto” Pur nel perdurare dell’assolutismo politico e religioso dell’ancien régime, dei privilegi e dei favoritismi come mezzi di conservazione del potere, emerge una società profonda-mente diversa da quella del secolo precedente. In un quadro politico sostanzialmente stabile-chiusasi la guerra di successione spagnola, gli Stati europei regolano i loro rap-porti su un principio di equilibrio-si assiste al rifiorire delle attività economiche e com-merciali. Parallelamente, il diffondersi delle teorie inglesi dell’empirismo e del sens i-smo, che riconoscono valore fondante solo alle conoscenze derivate dall’esperienza diretta, e il moltiplicarsi delle riflessioni sul diritto e sulle istituzioni, mettono in dubbio la legittimità del sistema assolutistico, evidenziandone l’assurdità rispetto alle leggi di natura.

Tutto ciò rivela una progressiva laicizzazione della mentalità, un distacco dalla mora-le religiosa e dalle pratiche della devozione.

→ Vedi le sei tele Il matrimonio alla moda (1744) di William Hogarth (1698-1764), il quale usa la pittura di costume per una denuncia ironica e corrosiva delle convenzioni e del degrado morale dell’aristocrazia.

Anche l’arte deve essere ispirata da criteri di chiarezza e verosimiglianza. Il “buon gu-sto”, di cui si discute nei testi teorici e divulgativi di Gian Vincenzo Gravina (1664-1718) o di Ludovico Muratori (1672-1750) si richiama alla natura, come guidata dalla ragione, e provoca un rifiuto dell’ossequio passivo all’autorità della tradizione, oltre che della licenza e della bizzarria del barocco.

→ Vedi Le riflessioni sopra il buon gusto (1715), del Muratori, che espongono i principi del buon gusto, criterio ispiratore per l’accademia romana dell’Arcadia, fondata da Gravina per un recupero della misura lirica dei classici contro il barocco.

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Un valore positivo è attribuito alle forme di vita associata, alla vita urbana: essa genera e moltiplica le occasioni di dinamismo sociale e sviluppa una mentalità cosmopolita che porta a viaggiare, risveglia la curiosità e stimola il confronto.

Il grand tour. Venezia e il vedutismo Sempre più il viaggio viene considerato dalle famiglie aristocratiche e alto-borghesi come un’esperienza irrinunciabile di arricchimento culturale. Il percorso del grand tour, il viaggio di formazione intrapreso dai giovani gentiluomini, include sempre alcune tap-pe in Italia, tra natura pittoresca e vestigia di antiche civiltà; il turismo diventa una risor-sa economica e soprattutto un’occasione di scambio culturale per città ricche di storia come Roma, Firenze o Napoli, e soprattutto per Venezia, porta del nostro paese nel tra-gitto verso sud. Il Settecento veneziano è un esempio a tutto campo di questa stagione di transizione, in cui convivono vecchie tradizioni e fermenti innovatori; basti pensare alla variegata frequentazione sociale del teatro e alla ricerca di nuove forme, ispirate a criteri di chiarezza e moralità, portata avanti da Carlo Goldoni (1707-1793). La vivacità delle relazioni sociali e familiari è illustrata dalle scene di genere di Pietro Longhi (1702-1785), con la stessa spigliatezza e l’acuto spirito di osservazione delle commedie goldo-niane.

→ Vedi Il cavadenti (1746) di Pietro Longhi, cui Goldoni dedica un sonetto lodandone “il pennel che cerca il vero”, in cui il pittore dà uno spaccato della Venezia popolare.

Ma il genere che meglio rappresenta questo momento della pittura veneziana è la vedu-ta: Canaletto (1697-1768), pseud. di Giovanni Antonio Canal, Bernardo Bellotto (1720-1780) e Francesco Guardi (1712-1793) ritraggono le calli e i canali della città lagunare animati dal traffico delle imbarcazioni, dalle feste, dai commerci. Il genere ha diffusione internazionale: il mercato naturalmente fiorisce con i viaggiatori stranieri, che acquista-no vedute-souvenir, ne ordinano altre “personalizzate”, invitano gli artisti all’estero per ritrarre le loro città d’origine. La luce cristallina e l’esattezza visiva di questi dipinti si devono all’impiego della camera ottica, strumento tecnico per la copia dal vero che ga-rantisce la resa oggettiva del reale; una collaborazione tra arte e sapere tecnico-scientifico che ben rappresenta lo spirito pratico e sperimentale dell’età dei lumi.

→ Vedi Il Canal Grande a Rialto (1723), del Canaletto, che ritrae numerosi scorci veneziani, come momenti quotidiani o d i festa. Suo mecenate è il console inglese Joseph Smith, per il quale si reca più volte a Londra.

L’arte nell’età dei lumi. L’Encyclopédie Il processo fin qui osservato di modernizzazione dei costumi subisce infatti una forte accelerazione alla metà del secolo con il diffondersi dell’illuminismo francese; invocan-do la capacità liberatrice della ragione, l’opera dei philosophes si batte per “rischiarare” le menti degli uomini dall’ignoranza e dalla superstizione, svelando come il loro mante-nimento sia voluto dal potere politico e religioso per dominare le coscienze. La stesura dell’Encyclopédie, il Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri diretto da Denis Diderot (1713-1784) e Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert (1717-1783), testi-monia questa nuova consapevolezza: il sapere tecnico, la scienza, la cultura devono pe-netrare in tutti gli strati sociali concorrendo a un progetto di emancipazione e rinnova-mento politico. Notevole è lo sforzo di superare la tradizionale divisione del sapere, per

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un’integrazione sperimentale tra teoria e prassi, e di sottrarre l’istruzione al controllo della chiesa.

Anche l’arte, come si vedrà nei seguenti paragrafi, ha un ruolo importante in questo processo.

Tra il 1751 e il 1772 escono i 17 volumi di testi e gli 11 di tavole dell’Encyclopédie, in un crescendo di difficoltà e censure. Con i principali esponenti dell’illuminismo, tra cui Voltaire, Montesquieu, Rousseau, collaborano circa 160 redattori.

Il rifiuto del rococò e il razionalismo architettonico Nel periodo illuminista l’arte deve avere una matrice razionale. “Intingete il vostro pen-nello nell’intelletto” consiglia ai pittori Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), studioso dell’arte antica.

La prima rivendicazione della dipendenza dell’arte dalla ragione proviene dall’architettura, le cui forme devono essere giustificate solo dalla funzionalità e dalla logica strutturale. “Devonsi unire fabbrica e ragione”: i veneziani Carlo Lodoli (1690-1761) e Francesco Algarotti (1712-1764) sono i principali divulgatori di questi principi, che si traducono in un rifiuto del rococò, in una battaglia teorica contro l’affettazione e gli sprechi di quello stile, le cui linee arricciolate ed esuberanti appaiono ora del tutto irrazionali. I risultati sono la semplificazione delle forme architettoniche tramite volumi nitidi e puri e l’abbandono, nella decorazione, dell’illusionismo scenografico e degli ef-fetti di virtuosismo, di movimento esasperato, di leziosa sensualità, in favore di compo-sizioni più sobrie ed equilibrate.

Nelle opere milanesi di Giuseppe Piermarini (1734-1808), come palazzo Belgioioso (1771) le piante sono dettate dalla distribuzione funzionale degli spazi e i sobri prospetti si limitano a pochi elementi: bugnati leggeri, lesene, bassorilievi riquadrati, lieve accen-tuazione del corpo centrale.

Un’interpretazione: l’“architettura parlante” Nella Francia rivoluzionaria queste istanze trovano un’inedita interpretazione figurativa da parte degli architetti Etienne Boullée (1728-1799) e Nicolas Ledoux (1736-1806), autori di affascinanti progetti che vengono definiti “architetture parlanti”, poiché la for-ma dell’edificio legata alla sua funzione tanto da identificarsi con essa. Grandiose geo-metrie primarie, come il cilindro, la sfera, la piramide, spoglie di qualsiasi ornato, costi-tuiscono la struttura e insieme simboleggiano la funzione degli edifici. I progetti, molto razionali e allo stesso tempo fortemente astratti, visionari, non verranno mai realizzati, ma il loro carattere utopico li eleva a modelli ideali.

Il progetto di un Cenotafio per Newton, di Boullée (1784), è una perfetta sfera sulla cui superficie sono tracciati fori riproducenti le costellazioni, visibili dall’interno come una volta celeste. Nella Milano napoleonica, Giannantonio Antolini (1754-1842) si ispi-rerà ai progetti francesi per il suo grandioso Foro Bonaparte (1806), a pianta circolare, non attuato.

L’educazione al bello. Le accademie e i musei Del rococò vengono ripudiati i caratteri frivoli e leggeri e l’assenza di intenti educativi: un’altra conseguenza dell’illuminismo è l’importanza dell’arte come strumento di edu-cazione morale e civile. Scrive Diderot: “Rendere la virtù attraente e il vizio odioso: è questo lo scopo di ogni persona onesta che prenda in mano la penna o il pennello”. Co-

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me la verità o la bontà della natura umana, la bellezza un valore universale, e l’educazione al bello è una via per l’elevazione morale dell’uomo e del cittadino.

Le accademie, riformate o di nuova fondazione, si assumono questa responsabilità didattica migliorando, a scapito di antichi privilegi, il sistema di formazione e selezione degli artisti. La stessa istanza presiede alla nascita dei primi musei e delle biblioteche pubbliche, in un quadro di collaborazione tra i sovrani illuminati e gli artisti e i letterati, divenuti ormai veri e propri educatori.

Il Museo Capitolino di Roma viene aperto per volere di papa Clemente XII già nel 1734.

Illustre esempio è l’Accademia di Brera a Milano, fondata nel 1776 per volere di Ma-ria Teresa, organizzata e diretta da Giuseppe Piermarini: i settori di pittura, scultura, ar-chitettura e ornato godono del fondamentale supporto didattico della Pinacoteca e della Biblioteca, aperte poco dopo anche a tutta la cittadinanza. Qui si formano due genera-zioni di artisti e artigiani che trasformano il volto della Milano di Giuseppe Parini (1729-1799), Pietro Verri (1728-1797) e Cesare Beccaria 81738-1794) secondo un con-cetto di “magnificenza civile” che continua nel periodo napoleonico.

Nei numerosi Stati retti da monarchi illuminati, e più tardi nei regni napoleonici, si ha un forte incremento della committenza pubblica: edifici a funzione sociale e relative decorazioni d’interni, monumenti ai cittadini illustri, arredi urbani, sempre nell’idea che la diffusione dell’arte migliori la qualità della vita.

La riscoperta dell’antico e il neoclassicismo Il desiderio di spiegare anche la storia alla luce della ragione spinge alla riscoperta del mondo classico. Il neoclassicismo è infatti la nuova tendenza artistica che esplicitamen-te riprende modelli provenienti dall’arte romana e greca. Se le rovine di Paestum e gli scavi archeologici di Ercolano e Pompei, condotti a partire dagli anni trenta, provocano una vera e propria euforia antiquaria - testimoniata dal successo delle incisioni che ne riproducono i frammenti e dell’oggettistica che ne riprende i motivi decorativi-l’imitazione dell’antico risponde però a esigenze culturali più profonde.

→ Vedi la diffusione del gusto all’antico esemplificato dalle innumerevoli repliche del motivo pompeiano delle danzatrici negli arredi dipinti nelle ceramiche di Capodimonte.

Nell’arte e nell’architettura antiche si scorge l’espressione di una natura e di una società incorrotte; la democrazia greca e la repubblica romana vengono esaltate come le mani-festazioni più alte degli ideali di libertà collettiva, patriottismo, uguaglianza tra gli uo-mini; l’armonia e la bellezza delle opere classiche riflettono quindi quegli stessi ideali che il pensiero dei lumi propone per il presente.

→ Vedi Francesco Milizia (1725-1798), in Dell’arte di vedere nelle belle arti del disegno e in Principi di architettura civile (1781) e Winckelmann, in Storia dell’arte nell’antichità (1764) dove vengono esposti i valori del ritorno all’antico.

Il termine neoclassicismo verrà coniato solo più tardi, dai romantici, che giudicheranno negativamente questo stile come imitativo e privo di passione. In realtà, nell’interesse per la storia dell’arte e delle istituzioni antiche, ne lla scoperta di ideali comuni al sentire contemporaneo, nella ricerca di conferme nell’archeologia, gli artisti e gli intellettuali sono mossi da sincera passione, come emerge dai loro scritti, e usano sempre la defini-zione di “vero stile”.

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Winckelmann e i canoni estetici del bello ideale Negli anni cinquanta giungono a Roma, ritornata centro nodale di attrazione e produ-zione culturale grazie al suo fascino archeologico, Winckelmann e il pittore Rafael Mengs, i quali, ospiti nella villa-museo del cardinale Albani, collezionista d’arte e di te-sti antichi, definiscono i canoni estetici del neoclassicismo.

Nella “nobile semplicità e quieta grandezza” della statuaria classica Winckelmann vede incarnata l’essenza stessa della bellezza naturale. Essa è modello ideale ed assolu-to, perché imita le forme naturali cogliendone la perfezione e depurandole dagli aspetti accidentali. Anton Raphael Mengs (1728-1779) spiega che la bellezza ideale è frutto di una electio, un’attenta selezione del “meglio e il più utile” tra gli esempi dell’arte clas-sica, includendovi, oltre a greci e romani, i grandi maestri dei secoli XVI e XVII. Scrive Winckelmann: “L’imitazione degli antichi è per noi l’unico modo di divenire grandi e, se possibile, inimitabili”.

→ Vedi di Winckelmann, Pensieri sull’imitazione dell’arte greca (1755) e di Mengs, Pensieri sulla bellezza (1762), testi in cui si enunciano i principi dell’estetica neoclassica.

Ma l’imitazione non è mai sterile copia: l’antico è il punto di partenza per una creatività che, non limitandosi a una mera riproduzione di forme, ne ricerca i principi ispiratori. Il fine è una bellezza che parli all’intelletto prima che ai sensi, in cui un supremo controllo formale esprima il distacco dalle passioni senza che ciò si traduca in freddezza.

Mengs, nel Parnaso, dipinto nella galleria di Villa Albani (1760), cita programmati-camente i modelli antichi (l’Apollo del Belvedere) usando uno stile dolce ispirato a Raf-faello.

La purezza della linea, la plasticità scultorea del modellato, la composizione sempli-ce e sintetica sono i principi guida delle arti figurative.

John Flaxman (1755-1826) abbandona il colore in favore di un elegante linearismo ispirato alla pittura vascolare attica; le sue illustrazioni dell’Iliade (1793) sono assai ammirate da Goethe.

I colori sono chiari, i marmi bianchissimi; si pensa che in quel candore stia l’ideale di sublime purezza delle opere greche, ritenendo che esse non prevedessero l’uso del colo-re che inganna poiché risveglia i sensi; in realtà Winckelmann, benché sia in grado di comporre la prima, fondamentale storia dell’arte antica basandosi su un’accurata inda-gine stilistica delle opere, non sa di essere di fronte a copie romane di originali greci, dei quali oggi conosciamo la policromia.

→ Vedi come, nella Storia dell’arte nell’antichità, Winckelmann distingua per la prima volta le diverse fasi dell’arte antica, dalla Grecia arcaica a Roma.

David: la pittura come oratoria civile L’opera pittorica di Jacques Louis David (1748-1825), che soggiorna a Roma negli anni cinquanta come vincitore del prestigioso Prix de Rome dell’Accademia francese, ben rappresenta i criteri di razionalità e rigore compositivo che ispirano gli artisti neoclassi-ci. In patria egli viene apprezzato soprattutto per la sua interpretazione dell’antico come modello etico e civile per il presente, nel quale si riconoscono i fautori della rivoluzione francese. Per David, la pittura non può essere disgiunta dall’impegno civile, deve am-maestrare e fornire sicuri esempi di comportamento traendoli dalla storia antica, che di-venta così viva ed attuale.

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→ Vedi Il Giuramento degli Orazi di David (1785), che incarna l’ideale di fedeltà alla patria anche a costo degli affetti familiari; i tre Orazi giurano al padre di vincere o morire per la patria: il fulcro dell’azione coincide con il centro prospettico, e le arcate sul fondo scandiscono le parti della composizione. Benché realizzata per la corona francese, l’opera fu onorata come manifesto della Rivoluzione.

Egli stesso partecipa all’esperienza rivoluzionaria come membro della Convenzione, ac-clamato cantore dei nuovi ideali; a lui viene richiesto di celebrare il Giuramento della pallacorda (1790) e di ricordare la morte di Marat (1793). Dopo la caduta di Robespier-re, David segue l’ascesa di Napoleone diventando il suo pittore ufficiale. Con l’impero napoleonico, infatti, il neoclassicismo nel suo complesso perderà il suo carattere pro-gressivo, trasformandosi nel linguaggio ufficiale e celebrativo del potere. L’iconografia attingerà alla Roma imperiale, e l’originaria forza innovatrice di questo stile si dissolve-rà, codificandosi negli schemi ripetitivi delle accademie e nella moda dello stile impero.

Canova: la sfida rispettosa all’arte antica Nel campo della scultura è Antonio Canova (1757-1822), a detta dei contemporanei, ad eguagliare la grandezza degli antichi. Per lui la bellezza ideale risiede nella grazia, che Winckelmann definisce “il piacevole intellettuale”.

→ Vedi come, nel delicato intreccio di volumi di Amore e Psiche di Canova (1793), gli amanti si sfiorino appena: la bellezza deriva da una sensualità tutta intellettuale, che esclude l’impeto della passione mantenendo vivo il fascino del mito.

Le sue opere nascono da un procedimento lungo e meditato, che prevede molti passaggi prima della realizzazione definitiva, per eliminare ogni traccia del tocco individuale, fi-no a far emergere la forma nella sua qualità più perfetta e sublime: lungi dal rimanere fredda e impersonale, la statua conserva un palpito di vita, esaltato dalla maestria nella rifinitura della superficie marmorea.

In una celebre polemica Canova critica il Giasone (1802) di Bertel Thorvaldsen (1770-1844), per l’imitazione troppo ravvicinata dei modelli (il Doriforo di Policleto) che inibisce la vitalità della figura in forme rigide.

Canova intende lanciare all’antico una “sfida rispettosa”, che imita senza copiare, ri-velando un’affinità profonda con i modelli classici che gli procura fama internazionale. Le sue opere di soggetto mitologico sono collocate nei musei d’arte antica e le copie in gesso vengono inviate alle accademie, mentre i potenti d’Europa si contendono le sue prestazioni per ritratti o monumenti funebri.

I monumenti funebri di Canova Una parte importante della produzione canoviana è rappresentata dai monumenti fune-bri, nei quali egli trasfonde una nuova, serena concezione della morte “sorella del son-no” (Goethe), in sintonia con il pensiero classico. Siano esse dedicate a pontefici (Gre-gorio XII), poeti (Alfieri), o ad amici personali (Giovanni Volpato), le sue opere non mirano alla glorificazione del defunto attraverso complesse e movimentate allegorie, ti-pica del barocco, ma a un’immagine pacata, semplice nelle forme e nel significato, che, come nel Foscolo del Dei sepolcri (1804) serva a ricordare il defunto alla memoria dei vivi. Il monumento diventa così, grazie all’esempio di chi ci ha preceduto e al potere di eternazione dell’arte, uno sprone alla virtù, al valore civile, alla meditazione.

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8 Percorso 11 - Dal Rococò al Neoclassicismo

→ Vedi Il monumento a Maria Cristina d’Austria (1805) che ha la forma di un’antica piramide. Il ritratto della defunta è retto dalla Felicità e incorniciato da un serpente: l’immortalità, garantita dal corteo dei vivi, incedenti verso il buio di una porta che si apre, con suggestivo contrasto, al centro della parete nitida.

Il neoclassicismo e la tutela delle antichità Fondamentale eredità del neoclassicismo è, per noi, l’azione svolta dai suoi protagonisti per la tutela e la conservazione del patrimonio artistico nazionale. La nascita dell’archeologia e della storia dell’arte antica, infatti, generano una nuova sensibilità verso il valore collettivo delle opere d’arte; la promozione di iniziative volte ad evitarne la dispersione - dovuta sia ai trasferimenti ordinati da sovrani stranieri sia alla domanda di un mercato sempre più incontrollato - è sentita come un dovere. L’attività di Canova, nominato sovrintendente alle antichità pontificie da Pio VII, è esemplare; oltre a con-trollare gli scavi per assicurarsi che i reperti pervengano ai musei, nel 1815 egli dirige la delegazione che tratta con i francesi la restituzione dei capolavori trafugati da Napoleo-ne. Riuscirà a riportarne in patria un discreto numero, guidato dalla convinzione, assai moderna, che ogni opera sia inscindibile dal suo luogo d’origine.