107 - Missione pesca

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GREENPEACE NEWS - N.107 - IV TRIMESTRE 2012 - ANNO XXVI GREENPEACE NEWS - N.107 - IV TRIMESTRE 2012 - ANNO XXVI MISSIONE PESCA n°centosette

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IV trimetrale 2012

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GREENPEACE NEWS - N.107 - IV TRIMESTRE 2012 - ANNO XXVIGREENPEACE NEWS - N.107 - IV TRIMESTRE 2012 - ANNO XXVI

MISSIONEPESCA

n°centosette

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Dalla nostra campaigner sulla Rainbow Warrior III

SONO SALITA A BORDO della RainbowWarrior III nel porto di Maputo, inMozambico. La nave aveva appena con-cluso due settimane di monitoraggio nelleacque di questo paese con a bordo uffi-ciali del ministero della Pesca. Per man-canza di risorse il paese africano fa fatica acontrollare i pescherecci stranieri chetroppo spesso saccheggiano il mare perprelevare tonni o squali a rischio d'estin-zione, per questo abbiamo offerto loro ilnostro aiuto. Il tour di Greenpeace in Oceano Indiano èiniziato in Sudafrica e dopo il Mozambicoattraverserà le zone di pesca al largo delMadagascar, Isole Mauritius fino alleMaldive. Dall'Oceano Indiano provienecirca un quarto del tonno pescato a livelloglobale ed è qui che si concentrano lebarche europee e asiatiche impegnatenella pesca al tonno. Si tratta di una zonatra le più colpite dal problema della pesca.Si stima che circa il 18 per cento dellapesca in quest'area sia illegale, nondichiarata o non regolamentata. A bordo della Rainbow Warrior vogliamodocumentare quello che sta succedendoe offrire agli stati costieri la nostra collabo-razione per sviluppare un modello dipesca sostenibile e garantire un futuro arisorse che per loro sono fonte vitale dicibo e lavoro.

Dopo tre giorni di navigazione intercettia-mo i primi pescherecci. Sono barche dellaflotta spagnola che, dopo aver esaurito lerisorse dei propri mari, si spingono adessosempre più lontano in cerca dell’”ultimo”pesce. Ne seguiamo uno sul radar e alle6.30 del mattino sono sul ponte per chie-dere al capitano il permesso di salire abordo a documentare la pesca. L'interesseè tanto: molto del tonno che finisce sullenostre tavole in Italia proviene da questooceano, ma pochissime persone conosco-no i veri costi di questa pesca.Mentre controllo la documentazione, ipescatori iniziano a tirare su la lenza: tonnipinna gialla, tonno obeso, un marlin, dueenormi pesci spada e… uno squalo. Lalinea di nylon con cui pescano è lunga 80chilometri e ha attaccate oltre 1.200 lenze.Non oso immaginare quanti animali possa-no essere uccisi da una barca da pescacome questa senza che vi siano osservato-ri a bordo a controllare che vengano ridot-te le catture accidentali.

SOLO PER UNA PINNAPer gli squali che abboccano all’amo ildestino è crudele. Dopo altri cinque gior-ni di navigazione intercettiamo trepescherecci asiatici. Sul primo il capitanoci fa salire solo dopo due ore. Tempo utileper mettere tutto in regola. Libri di bordoperfettamente compilati, nessun tonnosotto misura, nessuno squalo e nessuna

pinna di squalo! È quasi impossibile trova-re un peschereccio taiwanese senza pinnedi squali. Le pinne vengono vendute aprezzi molto alti sul mercato asiatico, finoa 740 dollari al chilo. E ogni anno si stimache vengano uccisi tra 26 e 73 milioni disquali per venderne le pinne. Circa otto-mila squali uccisi in un’ora.Senza concedere nemmeno un minuto perfare ordine e pulizia, saliamo sugli altri duepescherecci. Bingo! Le stive sono piene dipinne ma non c’è traccia del corpo.Tagliare la pinna agli squali e ributtarli inmare vivi è una pratica illegale ma triste-mente comune sui pescherecci asiatici chepescano con palamiti. Si stima che il nume-ro di squali nel mondo si sia ridotto di circal’80 per cento, e un terzo delle specie disqualo oggi è considerata a rischio.Questo sistema senza scrupoli che sac-cheggia i mari per una scatoletta di tonnomiete anche altre vittime… Sui pescherec-ci su cui salgo incontro pescatori indone-siani, vietnamiti e filippini che, intrappola-ti in acque lontane per anni, pescanotonno in condizioni al limite dell’umanità. Sei mesi in mare, qualche giorno in portoe poi di nuovo in oceano aperto senzarivedere le proprie famiglie per anni. Ciraccontano che i loro turni sono di quat-tordici ore al giorno sotto un capitanocinese che a stento capiscono, con unsalario che raramente supera i 250 dollarial mese.

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FORESTEMonocoltureche avanzano

CLIMAEnergy revolutionMARE

Appello a CliniMAREMissionepesca sostenible

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OGMUn futuroal veleno?

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CLICK & CO.

LA CAMPAGNA PER LA SALVAGUARDIA dell’Artico – per fer-mare l’estrazione petrolifera off-shore e lo sfruttamento indu-striale della pesca – ha superato i due milioni di sostenitori nelmondo (quasi 100 mila italiani). Per il 2012 sia Shell cheGazprom hanno fermato le operazioni di esplorazione petrolife-ra contro cui Greenpeace ha svolto diverse azioni di protesta siaa mare su piattaforme e navi appoggio, che a terra come allasede moscovita del colosso energetico russo.In Olanda Shell ha portato Greenpeace in tribunale – per otte-nere una sentenza di ingiunzione che blocchi le azioni di prote-sta – e ha perso: il diritto a protestare è inalienabile in democra-zia. Dunque anche in questo caso – come successo lo scorsoluglio con Enel in Italia – un colosso industriale cerca di elimina-re chi lo critica denunciandolo ai giudici. Una cattiva abitudinesegno di un atteggiamento arrogante e insofferente alla critica. Le operazioni di esplorazione nell’Artico – ovviamente – ripren-deranno nella prossima estate quando, grazie all’aumento delloscioglimento estivo dei ghiacci artici causato dai cambiamenticlimatici, la navigazione e queste attività sono possibili e conminori rischi che in passato. Per questa ragione la campagnaArtico rimarrà la priorità di Greenpeace nel mondo anche perl’anno prossimo.Nel nuovo scenario globale Energy [R]evolution, sviluppato dal-l’istituto DLR tedesco per conto di Greenpeace ed Erec(Consiglio europeo delle rinnovabili), si riportano anche le stimedelle riserve di petrolio e si dimostra come, sulla base delleinformazioni ufficiali, le quantità di petrolio cosiddetto “nonconvenzionale” – come ad esempio quello presente sottol’Oceano Artico – siano quantità abbastanza marginali. L’analisidello scenario dimostra come il gioco non vale la candela, per-ché una rivoluzione energetica basata su efficienza e rinnovabilipuò sostituire quelle quantità.

Se a livello globale si può fare a meno del petrolio dell’Artico, amaggior ragione questo vale per l’Italia, visto che il petrolioestraibile a mare è meno del 2 per cento delle riserve esistenti inItalia, che in totale corrispondono a soli cinque anni di consumi. L’analisi specifica per l’Europa prevede la possibilità tecnica edeconomica di una accelerazione del settore delle rinnovabili cheprodurrebbe, tra l’altro, mezzo milione di posti di lavoro in più,due terzi dei quali grazie al solare e all’eolico. In Italia il governoMonti ha sostanzialmente rallentato proprio questi due settori eva avanti con una proposta di Strategia Nazionale che prevedele trivellazioni a mare e non convince sugli strumenti previsti perraggiungere gli obiettivi (più ambiziosi i rispetto al passato, vasottolineato) per le rinnovabili e l’efficienza. Nei prossimi mesi cercheremo di portare all’attenzione l’impor-tanza delle scelte energetiche, anche in vista delle elezioni dellaprossima primavera. Le nostre priorità: cancellare dal futuroenergetico italiano le trivellazioni petrolifere a mare, eliminare iprogetti di nuove centrali a carbone il cui uso deve invece alme-no dimezzarsi entro il 2020, e promuovere la rivoluzione energe-tica basata su efficienza e rinnovabili. Si tratta di pilastri fonda-mentali per costruire un futuro più sostenibile e per rispondere,almeno in parte, alla profonda crisi economica attuale e crearedecine di migliaia di posti di lavoro puliti.E non dimentichiamoci che a gennaio saremo chiamati in tribu-nale per aver tagliato e messo in sicurezza la parte superiore dipiante di mais transgenico in un campo in Friuli, prevenendo lacontaminazione. Tutto ciò mentre sono sempre più numerosi iriscontri dei problemi legati agli OGM in ambiente.

EDITORIALE

PERIODICODI GREENPEACE ITALIADirettore editoriale/Andrea PincheraDirettore responsabile/Fabrizio CarboneRedazione/Serena Bianchi, Laura Ciccardini,Maria Carla Giugliano, Valeria Iovane,Ambra Lattanzi, Luigi Lingelli, FeliceMoramarco, Cecilia Preite Martinez,Gabriele SalariArchivio foto/Massimo GuidiInternet/Alessio NunziProgetto grafico/Saatchi&SaatchiImpaginazione/Francesca Schiavoni, Paolo Costa

Redazione e Amministrazione/Greenpeace ONLUSVia della Cordonata, 700187 Romaemail: [email protected]: 06.68136061 fax: 06.45439793Ufficio abbonamenti/Augusto Carta tel: 06.68136061(231)Sped. in abb. postale -Art.1, Comma 2- Legge 46/2004 - DBC RomaAbbonamento annuo 35 EuroAut. Tribunale di Roma 275/87 del 8.5/87

Foto copertina/© Paul Hilton/Greenpeace

Questo periodico è stampato su cartaamica delle foreste: carta riciclata conte-nente alte quantità di fibre post-consumoe sbiancata senza cloro. L’involucro perl’invio del Greenpeace News è inMaterbi, un materiale derivato dal mais,completamente biodegradabile.

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di GIUSEPPE ONUFRIO

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DAL MONDO

MISSIONEPESCA

SOSTENIBILE

OCEANO INDIANO

di GIORGIA MONTI

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Dalla nostra campaigner sulla Rainbow Warrior III

SONO SALITA A BORDO della RainbowWarrior III nel porto di Maputo, inMozambico. La nave aveva appena con-cluso due settimane di monitoraggio nelleacque di questo paese con a bordo uffi-ciali del ministero della Pesca. Per man-canza di risorse il paese africano fa fatica acontrollare i pescherecci stranieri chetroppo spesso saccheggiano il mare perprelevare tonni o squali a rischio d'estin-zione, per questo abbiamo offerto loro ilnostro aiuto. Il tour di Greenpeace in Oceano Indiano èiniziato in Sudafrica e dopo il Mozambicoattraverserà le zone di pesca al largo delMadagascar, Isole Mauritius fino alleMaldive. Dall'Oceano Indiano provienecirca un quarto del tonno pescato a livelloglobale ed è qui che si concentrano lebarche europee e asiatiche impegnatenella pesca al tonno. Si tratta di una zonatra le più colpite dal problema della pesca.Si stima che circa il 18 per cento dellapesca in quest'area sia illegale, nondichiarata o non regolamentata. A bordo della Rainbow Warrior vogliamodocumentare quello che sta succedendoe offrire agli stati costieri la nostra collabo-razione per sviluppare un modello dipesca sostenibile e garantire un futuro arisorse che per loro sono fonte vitale dicibo e lavoro.

Dopo tre giorni di navigazione intercettia-mo i primi pescherecci. Sono barche dellaflotta spagnola che, dopo aver esaurito lerisorse dei propri mari, si spingono adessosempre più lontano in cerca dell’”ultimo”pesce. Ne seguiamo uno sul radar e alle6.30 del mattino sono sul ponte per chie-dere al capitano il permesso di salire abordo a documentare la pesca. L'interesseè tanto: molto del tonno che finisce sullenostre tavole in Italia proviene da questooceano, ma pochissime persone conosco-no i veri costi di questa pesca.Mentre controllo la documentazione, ipescatori iniziano a tirare su la lenza: tonnipinna gialla, tonno obeso, un marlin, dueenormi pesci spada e… uno squalo. Lalinea di nylon con cui pescano è lunga 80chilometri e ha attaccate oltre 1.200 lenze.Non oso immaginare quanti animali possa-no essere uccisi da una barca da pescacome questa senza che vi siano osservato-ri a bordo a controllare che vengano ridot-te le catture accidentali.

SOLO PER UNA PINNAPer gli squali che abboccano all’amo ildestino è crudele. Dopo altri cinque gior-ni di navigazione intercettiamo trepescherecci asiatici. Sul primo il capitanoci fa salire solo dopo due ore. Tempo utileper mettere tutto in regola. Libri di bordoperfettamente compilati, nessun tonnosotto misura, nessuno squalo e nessuna

pinna di squalo! È quasi impossibile trova-re un peschereccio taiwanese senza pinnedi squali. Le pinne vengono vendute aprezzi molto alti sul mercato asiatico, finoa 740 dollari al chilo. E ogni anno si stimache vengano uccisi tra 26 e 73 milioni disquali per venderne le pinne. Circa otto-mila squali uccisi in un’ora.Senza concedere nemmeno un minuto perfare ordine e pulizia, saliamo sugli altri duepescherecci. Bingo! Le stive sono piene dipinne ma non c’è traccia del corpo.Tagliare la pinna agli squali e ributtarli inmare vivi è una pratica illegale ma triste-mente comune sui pescherecci asiatici chepescano con palamiti. Si stima che il nume-ro di squali nel mondo si sia ridotto di circal’80 per cento, e un terzo delle specie disqualo oggi è considerata a rischio.Questo sistema senza scrupoli che sac-cheggia i mari per una scatoletta di tonnomiete anche altre vittime… Sui pescherec-ci su cui salgo incontro pescatori indone-siani, vietnamiti e filippini che, intrappola-ti in acque lontane per anni, pescanotonno in condizioni al limite dell’umanità. Sei mesi in mare, qualche giorno in portoe poi di nuovo in oceano aperto senzarivedere le proprie famiglie per anni. Ciraccontano che i loro turni sono di quat-tordici ore al giorno sotto un capitanocinese che a stento capiscono, con unsalario che raramente supera i 250 dollarial mese.

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FORESTEMonocoltureche avanzano

CLIMAEnergy revolutionMARE

Appello a CliniMAREMissionepesca sostenible

10NUCLEAREStress test

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OGMUn futuroal veleno?

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CLICK & CO.

LA CAMPAGNA PER LA SALVAGUARDIA dell’Artico – per fer-mare l’estrazione petrolifera off-shore e lo sfruttamento indu-striale della pesca – ha superato i due milioni di sostenitori nelmondo (quasi 100 mila italiani). Per il 2012 sia Shell cheGazprom hanno fermato le operazioni di esplorazione petrolife-ra contro cui Greenpeace ha svolto diverse azioni di protesta siaa mare su piattaforme e navi appoggio, che a terra come allasede moscovita del colosso energetico russo.In Olanda Shell ha portato Greenpeace in tribunale – per otte-nere una sentenza di ingiunzione che blocchi le azioni di prote-sta – e ha perso: il diritto a protestare è inalienabile in democra-zia. Dunque anche in questo caso – come successo lo scorsoluglio con Enel in Italia – un colosso industriale cerca di elimina-re chi lo critica denunciandolo ai giudici. Una cattiva abitudinesegno di un atteggiamento arrogante e insofferente alla critica. Le operazioni di esplorazione nell’Artico – ovviamente – ripren-deranno nella prossima estate quando, grazie all’aumento delloscioglimento estivo dei ghiacci artici causato dai cambiamenticlimatici, la navigazione e queste attività sono possibili e conminori rischi che in passato. Per questa ragione la campagnaArtico rimarrà la priorità di Greenpeace nel mondo anche perl’anno prossimo.Nel nuovo scenario globale Energy [R]evolution, sviluppato dal-l’istituto DLR tedesco per conto di Greenpeace ed Erec(Consiglio europeo delle rinnovabili), si riportano anche le stimedelle riserve di petrolio e si dimostra come, sulla base delleinformazioni ufficiali, le quantità di petrolio cosiddetto “nonconvenzionale” – come ad esempio quello presente sottol’Oceano Artico – siano quantità abbastanza marginali. L’analisidello scenario dimostra come il gioco non vale la candela, per-ché una rivoluzione energetica basata su efficienza e rinnovabilipuò sostituire quelle quantità.

Se a livello globale si può fare a meno del petrolio dell’Artico, amaggior ragione questo vale per l’Italia, visto che il petrolioestraibile a mare è meno del 2 per cento delle riserve esistenti inItalia, che in totale corrispondono a soli cinque anni di consumi. L’analisi specifica per l’Europa prevede la possibilità tecnica edeconomica di una accelerazione del settore delle rinnovabili cheprodurrebbe, tra l’altro, mezzo milione di posti di lavoro in più,due terzi dei quali grazie al solare e all’eolico. In Italia il governoMonti ha sostanzialmente rallentato proprio questi due settori eva avanti con una proposta di Strategia Nazionale che prevedele trivellazioni a mare e non convince sugli strumenti previsti perraggiungere gli obiettivi (più ambiziosi i rispetto al passato, vasottolineato) per le rinnovabili e l’efficienza. Nei prossimi mesi cercheremo di portare all’attenzione l’impor-tanza delle scelte energetiche, anche in vista delle elezioni dellaprossima primavera. Le nostre priorità: cancellare dal futuroenergetico italiano le trivellazioni petrolifere a mare, eliminare iprogetti di nuove centrali a carbone il cui uso deve invece alme-no dimezzarsi entro il 2020, e promuovere la rivoluzione energe-tica basata su efficienza e rinnovabili. Si tratta di pilastri fonda-mentali per costruire un futuro più sostenibile e per rispondere,almeno in parte, alla profonda crisi economica attuale e crearedecine di migliaia di posti di lavoro puliti.E non dimentichiamoci che a gennaio saremo chiamati in tribu-nale per aver tagliato e messo in sicurezza la parte superiore dipiante di mais transgenico in un campo in Friuli, prevenendo lacontaminazione. Tutto ciò mentre sono sempre più numerosi iriscontri dei problemi legati agli OGM in ambiente.

EDITORIALE

PERIODICODI GREENPEACE ITALIADirettore editoriale/Andrea PincheraDirettore responsabile/Fabrizio CarboneRedazione/Serena Bianchi, Laura Ciccardini,Maria Carla Giugliano, Valeria Iovane,Ambra Lattanzi, Luigi Lingelli, FeliceMoramarco, Cecilia Preite Martinez,Gabriele SalariArchivio foto/Massimo GuidiInternet/Alessio NunziProgetto grafico/Saatchi&SaatchiImpaginazione/Francesca Schiavoni, Paolo Costa

Redazione e Amministrazione/Greenpeace ONLUSVia della Cordonata, 700187 Romaemail: [email protected]: 06.68136061 fax: 06.45439793Ufficio abbonamenti/Augusto Carta tel: 06.68136061(231)Sped. in abb. postale -Art.1, Comma 2- Legge 46/2004 - DBC RomaAbbonamento annuo 35 EuroAut. Tribunale di Roma 275/87 del 8.5/87

Foto copertina/© Paul Hilton/Greenpeace

Questo periodico è stampato su cartaamica delle foreste: carta riciclata conte-nente alte quantità di fibre post-consumoe sbiancata senza cloro. L’involucro perl’invio del Greenpeace News è inMaterbi, un materiale derivato dal mais,completamente biodegradabile.

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di GIUSEPPE ONUFRIO

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MISSIONEPESCA

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PUÒ ESSERE DIFFICILE immaginare cosavuol dire avere davanti alle proprie costeuna trivella petrolifera: molti siciliani losanno bene e altri potrebbero conoscerea breve i rischi di una vera “petrolizzazio-ne” del proprio mare. Lo scorso 9 ottobre i nostri attivisti hannoportato una trivella di quattro metri davan-ti al ministero dell’Ambiente a Roma, asimboleggiare i gravi rischi che corrono ilCanale di Sicilia e il Mediterraneo a causadella corsa all’oro nero e accompagnatadal messaggio: “La Sicilia a Clini: salva ilmare dalle trivelle”. Abbiamo infatti con-segnato l’appello per la tutela del Canaleal quale hanno aderito oltre cinquantaamministratori locali, comitati locali e asso-

ciazioni, il governo regionale e oltre 57mila cittadini che hanno firmato online sulsito www.notrivelletour.org. Con noi unarappresentanza di sindaci e politici siciliani,comitati e associazioni dei pescatori.Purtroppo proprio il destinatario dell’ap-pello, il ministro dell’Ambiente e dellaTutela del Mare Corrado Clini, non si èpresentato all’incontro, lasciando ai diret-tori generali responsabili della Valutazionedi impatto ambientale e della Protezionedella natura e del mare il compito dirispondere alle nostre domande.Volevamo chiedere direttamente alMinistro la sua posizione in merito all’arti-colo 35 del Decreto “Cresci Italia” che ria-pre la corsa all’oro nero entro le 12 miglia.

Infatti, oltre alle 29 richieste per cercarepetrolio nel Canale, di cui 11 già autoriz-zate, proprio con questo decreto, appro-vato ad agosto, il Governo rimette ingioco 8 richieste bloccate dal precedenteDecreto Prestigiacomo perché troppo vici-ne alla costa o alle aree protette siciliane.

IL GIOCO CHE NON VALE LA CANDELAAl largo della costa siciliana ci sono giàquattro piattaforme attive su concessioniEni ed Edison ed è stata aperta recente-mente la proceduta di VIA per una nuovapiattaforma al largo di Pozzallo, la Vega B.Ma ne vale la pena? No: tutto il petrolioche potrebbe essere estratto da questipozzi soddisferebbe il nostro fabbisogno

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TONNO NOSTRODall’altro lato c’è il tonno – in questa sta-gione è l'alalunga – venduto a circa 75dollari al pezzo. Il capitano ci dice chepescano tra i venti e gli ottanta tonni algiorno, insieme ad altri pesci e squali. Ilcalcolo è facile: qualcuno molto lontanoda queste acque e questo duro lavoro staguadagnando un sacco di soldi a scapitodell'ecosistema marino e dei lavoratoricostretti a condizioni durissime per sfama-re i propri cari.

In Italia si consumano oltre 140 mila ton-nellate di tonno in scatola all'anno e moltodel tonno consumato viene importatoproprio dall'Oceano Indiano. Le scelte deiconsumatori possono fare la differenza inqueste acque lontane. Dobbiamo chiede-re all’industria del tonno in scatola di com-prare solo tonno pescato in modo soste-nibile ed equo, preferendo le piccole flot-te dei paesi costieri dove i guadagni sonoequamente distribuiti.Nel Regno Unito le maggiori aziende del

settore si sono impegnate a usare solotonno pescato con canna o senza FAD(sistemi di aggregazione per pesci), inco-raggiando gli stati dove si pesca il tonno aandare in questa direzione. Cosa aspetta-no le aziende italiane? Un esempio impor-tante nella regione sono le Maldive chehanno sviluppato una flotta di pesca acanna. in grado di offrire ai pescatori lavo-ro e un salario equo, e all’oceano un futu-ro. Questa è la speranza che la RainbowWarrior vuole portare nell’Oceano Indiano.

QUANDO SONO ARRIVATA al porto di Maputo ho visto laRainbow Warrior III da lontano, i due alberi enormi a forma di“A”, di oltre 55 metri di altezza, svettavano al di sopra degli edi-fici con le loro luci rosse. Sono rimasta senza parole. Ero partico-larmente affezionata alla vecchia Rainbow Warrior II con cui honavigato ben quattro volte, ma questa nuova nave, lunga oltre57 metri, è semplicemente perfetta per il lavoro di Greenpeace. E in queste tre settimane di campagna in Oceano Indiano hoavuto modo di rendermene conto: insieme abbiamo veleggiatoper oltre 2.400 miglia marine monitorando un’ampia area a suddel Madagascar dove abbiamo incontrato oltre 27 pescherecci,avvicinandoci e salendo a bordo a ben 7 di essi. Le giornate di lavoro a bordo iniziano alle 7.30, mezz’ora peralzarsi e bere un caffè e alle otto si inizia con le pulizie giornalie-re, nessuno escluso. Alle 9 siamo già in sala campagne, un uffi-cio grande due volte quello della vecchia nave, da cui è possibi-le comunicare in tempo reale cosa succede in queste acque lon-tane, grazie all’impianto satellitare a bordo. Passo la maggiorparte delle mie giornate sul ponte di comando, osservando ilradar e controllando i dati dei pescherecci incontrati per verifi-

carne le licenze, mentre gli ufficiali sono attenti alla navigazione.Via radio comunichiamo con le imbarcazioni e, appena accetta-no di farci salire a bordo, corro ai gommoni. Ci vogliono solodieci minuti per metterli in mare, un sistema studiato appostaper le attività di Greenpeace. Quando non ci sono peschereccisul radar, prepariamo l’elicottero per la perlustrazione dell’area.Le manovre sono complicate ma in mezz’ora, smontando le cimedi poppa grazie a un grande lavoro di squadra dell’equipaggio,siamo in grado di farlo decollare.La Rainbow Warrior è l’unica nave dotata di vele e con un elipor-to, progettata apposta per soddisfare le esigenze di campagna:grazie alle vele il consumo di carburante è ridotto al minimo, el’elicottero ci permette di controllare ampie zone di mare. Ed èproprio quando si alza il vento che la nave si trasforma: con unsistema centralizzato in pochi minuti si aprono le cinque vele conuna superficie di oltre 1.200 metri quadrati e la Rainbow Warriorinizia a volare sull’acqua a oltre dieci nodi. Salgo sul ponte persentire il vento sulla mia faccia: adesso so che questa meraviglio-sa nave ci permetterà ancora una volta di essere in prima lineaper proteggere il nostro pianeta. G.M.

LA NUOVA RAINBOW A VELE E ALI SPIEGATE

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di MARIA CHIARA MASCIAMARE

APPELLOA CLINI

57 MILA FIRMEAL MINISTERO

DELL'AMBIENTE

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PUÒ ESSERE DIFFICILE immaginare cosavuol dire avere davanti alle proprie costeuna trivella petrolifera: molti siciliani losanno bene e altri potrebbero conoscerea breve i rischi di una vera “petrolizzazio-ne” del proprio mare. Lo scorso 9 ottobre i nostri attivisti hannoportato una trivella di quattro metri davan-ti al ministero dell’Ambiente a Roma, asimboleggiare i gravi rischi che corrono ilCanale di Sicilia e il Mediterraneo a causadella corsa all’oro nero e accompagnatadal messaggio: “La Sicilia a Clini: salva ilmare dalle trivelle”. Abbiamo infatti con-segnato l’appello per la tutela del Canaleal quale hanno aderito oltre cinquantaamministratori locali, comitati locali e asso-

ciazioni, il governo regionale e oltre 57mila cittadini che hanno firmato online sulsito www.notrivelletour.org. Con noi unarappresentanza di sindaci e politici siciliani,comitati e associazioni dei pescatori.Purtroppo proprio il destinatario dell’ap-pello, il ministro dell’Ambiente e dellaTutela del Mare Corrado Clini, non si èpresentato all’incontro, lasciando ai diret-tori generali responsabili della Valutazionedi impatto ambientale e della Protezionedella natura e del mare il compito dirispondere alle nostre domande.Volevamo chiedere direttamente alMinistro la sua posizione in merito all’arti-colo 35 del Decreto “Cresci Italia” che ria-pre la corsa all’oro nero entro le 12 miglia.

Infatti, oltre alle 29 richieste per cercarepetrolio nel Canale, di cui 11 già autoriz-zate, proprio con questo decreto, appro-vato ad agosto, il Governo rimette ingioco 8 richieste bloccate dal precedenteDecreto Prestigiacomo perché troppo vici-ne alla costa o alle aree protette siciliane.

IL GIOCO CHE NON VALE LA CANDELAAl largo della costa siciliana ci sono giàquattro piattaforme attive su concessioniEni ed Edison ed è stata aperta recente-mente la proceduta di VIA per una nuovapiattaforma al largo di Pozzallo, la Vega B.Ma ne vale la pena? No: tutto il petrolioche potrebbe essere estratto da questipozzi soddisferebbe il nostro fabbisogno

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TONNO NOSTRODall’altro lato c’è il tonno – in questa sta-gione è l'alalunga – venduto a circa 75dollari al pezzo. Il capitano ci dice chepescano tra i venti e gli ottanta tonni algiorno, insieme ad altri pesci e squali. Ilcalcolo è facile: qualcuno molto lontanoda queste acque e questo duro lavoro staguadagnando un sacco di soldi a scapitodell'ecosistema marino e dei lavoratoricostretti a condizioni durissime per sfama-re i propri cari.

In Italia si consumano oltre 140 mila ton-nellate di tonno in scatola all'anno e moltodel tonno consumato viene importatoproprio dall'Oceano Indiano. Le scelte deiconsumatori possono fare la differenza inqueste acque lontane. Dobbiamo chiede-re all’industria del tonno in scatola di com-prare solo tonno pescato in modo soste-nibile ed equo, preferendo le piccole flot-te dei paesi costieri dove i guadagni sonoequamente distribuiti.Nel Regno Unito le maggiori aziende del

settore si sono impegnate a usare solotonno pescato con canna o senza FAD(sistemi di aggregazione per pesci), inco-raggiando gli stati dove si pesca il tonno aandare in questa direzione. Cosa aspetta-no le aziende italiane? Un esempio impor-tante nella regione sono le Maldive chehanno sviluppato una flotta di pesca acanna. in grado di offrire ai pescatori lavo-ro e un salario equo, e all’oceano un futu-ro. Questa è la speranza che la RainbowWarrior vuole portare nell’Oceano Indiano.

QUANDO SONO ARRIVATA al porto di Maputo ho visto laRainbow Warrior III da lontano, i due alberi enormi a forma di“A”, di oltre 55 metri di altezza, svettavano al di sopra degli edi-fici con le loro luci rosse. Sono rimasta senza parole. Ero partico-larmente affezionata alla vecchia Rainbow Warrior II con cui honavigato ben quattro volte, ma questa nuova nave, lunga oltre57 metri, è semplicemente perfetta per il lavoro di Greenpeace. E in queste tre settimane di campagna in Oceano Indiano hoavuto modo di rendermene conto: insieme abbiamo veleggiatoper oltre 2.400 miglia marine monitorando un’ampia area a suddel Madagascar dove abbiamo incontrato oltre 27 pescherecci,avvicinandoci e salendo a bordo a ben 7 di essi. Le giornate di lavoro a bordo iniziano alle 7.30, mezz’ora peralzarsi e bere un caffè e alle otto si inizia con le pulizie giornalie-re, nessuno escluso. Alle 9 siamo già in sala campagne, un uffi-cio grande due volte quello della vecchia nave, da cui è possibi-le comunicare in tempo reale cosa succede in queste acque lon-tane, grazie all’impianto satellitare a bordo. Passo la maggiorparte delle mie giornate sul ponte di comando, osservando ilradar e controllando i dati dei pescherecci incontrati per verifi-

carne le licenze, mentre gli ufficiali sono attenti alla navigazione.Via radio comunichiamo con le imbarcazioni e, appena accetta-no di farci salire a bordo, corro ai gommoni. Ci vogliono solodieci minuti per metterli in mare, un sistema studiato appostaper le attività di Greenpeace. Quando non ci sono peschereccisul radar, prepariamo l’elicottero per la perlustrazione dell’area.Le manovre sono complicate ma in mezz’ora, smontando le cimedi poppa grazie a un grande lavoro di squadra dell’equipaggio,siamo in grado di farlo decollare.La Rainbow Warrior è l’unica nave dotata di vele e con un elipor-to, progettata apposta per soddisfare le esigenze di campagna:grazie alle vele il consumo di carburante è ridotto al minimo, el’elicottero ci permette di controllare ampie zone di mare. Ed èproprio quando si alza il vento che la nave si trasforma: con unsistema centralizzato in pochi minuti si aprono le cinque vele conuna superficie di oltre 1.200 metri quadrati e la Rainbow Warriorinizia a volare sull’acqua a oltre dieci nodi. Salgo sul ponte persentire il vento sulla mia faccia: adesso so che questa meraviglio-sa nave ci permetterà ancora una volta di essere in prima lineaper proteggere il nostro pianeta. G.M.

LA NUOVA RAINBOW A VELE E ALI SPIEGATE

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di MARIA CHIARA MASCIAMARE

APPELLOA CLINI

57 MILA FIRMEAL MINISTERO

DELL'AMBIENTE

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NEGLI ULTIMI quarant’anni la domandaglobale d’energia è raddoppiata. E conessa sono raddoppiate anche le emissionidi gas serra. L’Agenzia Internazionale perl’Energia (AIE) prevede un futuro in cui – inassenza di politiche diverse - la disponibi-lità di petrolio sarà certamente compro-messa, e potrebbe esserla anche quelladel gas. Tuttavia, nel prossimo decennio sirealizzeranno investimenti nel settoreenergetico capaci di definirne lo sviluppoper i prossimi 60 anni, intrappolandocinella dipendenza dalle fonti fossili.Risultato? Proseguendo su questa strada,in assenza di cambiamenti radicali nelnostro modo di produrre e consumareenergia, le emissioni di gas serra, nel2050, saranno due volte e mezzo quelleattuali. Nel rapporto Energy TechnologyPerspective, sempre del’ AIE, si prevedeche di questo passo, alla fine del secolo,le temperature medie del pianeta si saran-no alzate di 6 gradi centigradi. La sogliaoltre la quale la comunità scientifica cichiede di non spingerci, il baratro oltre il

quale scivoleremmo nel caos climatico, èrappresentato invece dai 2 gradi centigra-di di aumento.Con quale spirito dovremmo guardare aquesti dati? Rappresentano una condannadefinitiva o, piuttosto, l’ultimo monito?Certamente non è troppo tardi per prova-re a sovvertire questo scenario: abbiamole tecnologie e gli strumenti industriali perfarlo. La rivoluzione energetica che Green-peace propone, per alcuni aspetti, è giàuna realtà in divenire. Ed è una realtà chespesso precorre i tempi previsti nei nostriscenari per la conversione del sistemaenergetico. Lo scenario Energy [R]evolu-tion di Greenpeace del 2007 prefigurava,al 2010, una potenza installata globale perl’eolico pari a 156 GW; la realtà è che inquell’anno se ne contavano 197, di GWinstallati (237 poi nel 2011 ).

MEZZO MILIONE DI POSTI DI LAVOROGuardando all’Europa, il rapporto Energy[R]evolution Europe 2012 evidenzia comesi potrebbero creare mezzo milione di

nuovi posti di lavoro al 2020, puntandocon convinzione sull’efficienza e sulle ener-gie rinnovabili – che al 2030 dovrebberocoprire il 45 per cento dei consumi – eabbandonando il nucleare e i carburantifossili. Così facendo, da qui al 2050 sirisparmierebbero 3.010 miliardi di euro: inmedia 75 miliardi l’anno, circa il doppio deicosti d’investimento previsti per dispiega-re questa profonda trasformazione. Nelmentre, il governo italiano propone unaStrategia energetica nazionale che fa levasoprattutto sulla riduzione delle importa-zioni energetiche: attraverso l’aumento diestrazioni petrolifere, efficienza e produ-zione da fonti rinnovabili. Gli obiettivi di svi-luppo dell’energia pulita in questa strate-gia sono positivi (come lo sono quelli diabbattimento dei gas serra), ma non sem-brano sostenuti da fondi sufficienti. E,soprattutto, non vengono usati per ridurrela produzione da carbone, né per cancella-re definitivamente dall’orizzonte dellenostre coste lo spettro di un disastro petro-lifero come quello del Golfo del Messico.

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per meno di due mesi, a fronte del rischiodi distruggere un ecosistema marinounico e le economie locali ad esso legate,come il turismo e la pesca.Il messaggio di Greenpeace e dei sicilianiè chiaro: tutelare il mare deve essere unapriorità degli amministratori locali e delgoverno nazionale. Greenpeace chiede

un impegno forte e concreto contro la“petrolizzazione” del Canale di Sicilia,culla della biodiversità del Mediterraneo,e un progetto per la sua tutela, la ricostru-zione degli stock ittici e la valorizzazionedel turismo, puntando sulle energie rinno-vabili e l’efficienza.Chi ama il mare non può tirarsi indietro nel

momento in cui bisogna difenderlo daipericoli che potrebbero comprometterlodefinitivamente. Non ci fermeremo qui:aspettiamo ancora risposte concrete el’incontro che il Ministro ci ha promessoproprio in Sicilia, insieme agli amministra-tori e ai cittadini. Trivellazione è distruzio-ne: ministro Clini, da che parte stai?

IN ADRIATICO sembra delinearsi uno scenario decisamentepoco piacevole. Protagonista questa volta il pesce azzurro chepotrebbe scomparire definitivamente dalle tavole degli italiani.In seguito a un’inchiesta realizzata a Chioggia, Greenpeace hapubblicato il rapporto “Blue gold in Italy” che mostra come lapresenza di acciughe e sardine, e più in generale del pesceazzurro, sia in forte declino nelle acque del Mare Nostrum.Colpa della “volante a coppia”, il principale metodo di catturautilizzato, consistente in una rete sospesa a mezz’acqua trainatacontemporaneamente da due imbarcazioni “gemelle”. Talesistema di pesca appare oggi in pole position rispetto al più tra-dizionale sistema della “lampara”, che utilizza una forte lucecapace di concentrare i banchi di pesce azzurro che vengonocosì catturati da una rete che circonda il banco.Tra le pagine del rapporto di Greenpeace emerge come il gover-no italiano non si sia impegnato a trovare una soluzione al pro-gressivo collasso del pesce azzurro iniziato da quasi quarant’an-ni. Al contrario, nel corso degli anni, lo abbiamo visto impegna-to ad incrementare la pressione di pesca su queste popolazioniittiche, permettendo un aumento del numero delle imbarcazioniautorizzate, anche grazie all’artificio delle licenze di “pesca spe-rimentale” che di sperimentale non avevano nulla: una vera epropria flotta fantasma che alla fine è stata “regolarizzata”. Da qui, il passo per finire nel vortice della spirale è breve: la dimi-nuzione del prodotto, infatti, dovuta al sovra sfruttamento, hacausato un aumento dei prezzi di mercato stimolando l’incre-mento della pressione di pesca. Tutto ciò ha contribuito a met-tere a rischio la salvaguardia dei popolamenti ittici e non di menola redditività del settore.

L’Italia, a fronte di una flotta di pesca tra le maggiori in Europa,è nota per la sua riluttanza ad applicare i regolamenti di pescadell’UE. La storia delle reti pelagiche derivanti d’altura, le cosid-dette “spadare”, lo dimostra: per tale vicenda l’Italia condividecon Panama il poco onorevole primato di essere elencata neirapporti del Dipartimento del Commercio USA tra gli Stati i cuipescherecci esercitano pesca “pirata”. Chiediamo dunque ai governi dell’UE e al Parlamento Europeodi varare nuove leggi a favore di una pesca sostenibile. In parti-colare, è urgente che la Commissione chiarisca qual è il ruolodella “pesca sperimentale” nel nostro e negli altri Paesi comuni-tari, perché si tratta di un vero e proprio "sommerso" delle atti-vità di pesca, che mina ogni piano di recupero degli stock.FABRIZIA GIORDANO

SONO FINITE ANCHE LE SARDINE

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PER LA PRIMA VOLTA Greenpeace ha deciso di utilizzare comestrumento di campagna un corto cinematografico, con l’obiettivodi aprire una crepa nel muro di silenzio mediatico che circonda unargomento scabroso: l’uso del carbone per la produzione di ener-gia elettrica da parte di ENEL che, in Italia, è causa di una morteprematura al giorno e provoca danni ambientali, sanitari ed eco-nomici per circa due miliardi di euro l’anno. Per raccontare questa realtà al pubblico più vasto possibile e inmaniera accattivante, Greenpeace ha chiamato a raccolta quattroattori di primissimo piano della scena italiana, sensibili ai temiambientali, che hanno messo a diposizione la loro creatività a tito-lo totalmente gratuito per la realizzazione del corto: AlessandroHaber, Paolo Briguglia, Pino Quartullo e Sandra Ceccarelli. Per la regia, l’associazione si è affidata a Mimmo Calopresti, auto-re da sempre attento alla cronaca italiana e che fa dell’impegnocivile una delle sue cifre stilistiche. A coronamento del progetto,

i Subsonica hanno offerto gratuitamente l’utilizzo di un suggesti-vo brano, tratto dal loro ultimo album, come colonna sonora. I costi vivi per le riprese sono stati coperti grazie alla generosadonazione di un nostro sostenitore, che si è sentito talmentecoinvolto dal progetto, da volerlo finanziare. LUIGI LINGELLI

CARBONE UN MORTO AL GIORNO

ENERGYREVOLUTION

di ANDREA BORASCHICLIMA

RINNOVABILI OLTRELE PREVISIONI

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NEGLI ULTIMI quarant’anni la domandaglobale d’energia è raddoppiata. E conessa sono raddoppiate anche le emissionidi gas serra. L’Agenzia Internazionale perl’Energia (AIE) prevede un futuro in cui – inassenza di politiche diverse - la disponibi-lità di petrolio sarà certamente compro-messa, e potrebbe esserla anche quelladel gas. Tuttavia, nel prossimo decennio sirealizzeranno investimenti nel settoreenergetico capaci di definirne lo sviluppoper i prossimi 60 anni, intrappolandocinella dipendenza dalle fonti fossili.Risultato? Proseguendo su questa strada,in assenza di cambiamenti radicali nelnostro modo di produrre e consumareenergia, le emissioni di gas serra, nel2050, saranno due volte e mezzo quelleattuali. Nel rapporto Energy TechnologyPerspective, sempre del’ AIE, si prevedeche di questo passo, alla fine del secolo,le temperature medie del pianeta si saran-no alzate di 6 gradi centigradi. La sogliaoltre la quale la comunità scientifica cichiede di non spingerci, il baratro oltre il

quale scivoleremmo nel caos climatico, èrappresentato invece dai 2 gradi centigra-di di aumento.Con quale spirito dovremmo guardare aquesti dati? Rappresentano una condannadefinitiva o, piuttosto, l’ultimo monito?Certamente non è troppo tardi per prova-re a sovvertire questo scenario: abbiamole tecnologie e gli strumenti industriali perfarlo. La rivoluzione energetica che Green-peace propone, per alcuni aspetti, è giàuna realtà in divenire. Ed è una realtà chespesso precorre i tempi previsti nei nostriscenari per la conversione del sistemaenergetico. Lo scenario Energy [R]evolu-tion di Greenpeace del 2007 prefigurava,al 2010, una potenza installata globale perl’eolico pari a 156 GW; la realtà è che inquell’anno se ne contavano 197, di GWinstallati (237 poi nel 2011 ).

MEZZO MILIONE DI POSTI DI LAVOROGuardando all’Europa, il rapporto Energy[R]evolution Europe 2012 evidenzia comesi potrebbero creare mezzo milione di

nuovi posti di lavoro al 2020, puntandocon convinzione sull’efficienza e sulle ener-gie rinnovabili – che al 2030 dovrebberocoprire il 45 per cento dei consumi – eabbandonando il nucleare e i carburantifossili. Così facendo, da qui al 2050 sirisparmierebbero 3.010 miliardi di euro: inmedia 75 miliardi l’anno, circa il doppio deicosti d’investimento previsti per dispiega-re questa profonda trasformazione. Nelmentre, il governo italiano propone unaStrategia energetica nazionale che fa levasoprattutto sulla riduzione delle importa-zioni energetiche: attraverso l’aumento diestrazioni petrolifere, efficienza e produ-zione da fonti rinnovabili. Gli obiettivi di svi-luppo dell’energia pulita in questa strate-gia sono positivi (come lo sono quelli diabbattimento dei gas serra), ma non sem-brano sostenuti da fondi sufficienti. E,soprattutto, non vengono usati per ridurrela produzione da carbone, né per cancella-re definitivamente dall’orizzonte dellenostre coste lo spettro di un disastro petro-lifero come quello del Golfo del Messico.

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per meno di due mesi, a fronte del rischiodi distruggere un ecosistema marinounico e le economie locali ad esso legate,come il turismo e la pesca.Il messaggio di Greenpeace e dei sicilianiè chiaro: tutelare il mare deve essere unapriorità degli amministratori locali e delgoverno nazionale. Greenpeace chiede

un impegno forte e concreto contro la“petrolizzazione” del Canale di Sicilia,culla della biodiversità del Mediterraneo,e un progetto per la sua tutela, la ricostru-zione degli stock ittici e la valorizzazionedel turismo, puntando sulle energie rinno-vabili e l’efficienza.Chi ama il mare non può tirarsi indietro nel

momento in cui bisogna difenderlo daipericoli che potrebbero comprometterlodefinitivamente. Non ci fermeremo qui:aspettiamo ancora risposte concrete el’incontro che il Ministro ci ha promessoproprio in Sicilia, insieme agli amministra-tori e ai cittadini. Trivellazione è distruzio-ne: ministro Clini, da che parte stai?

IN ADRIATICO sembra delinearsi uno scenario decisamentepoco piacevole. Protagonista questa volta il pesce azzurro chepotrebbe scomparire definitivamente dalle tavole degli italiani.In seguito a un’inchiesta realizzata a Chioggia, Greenpeace hapubblicato il rapporto “Blue gold in Italy” che mostra come lapresenza di acciughe e sardine, e più in generale del pesceazzurro, sia in forte declino nelle acque del Mare Nostrum.Colpa della “volante a coppia”, il principale metodo di catturautilizzato, consistente in una rete sospesa a mezz’acqua trainatacontemporaneamente da due imbarcazioni “gemelle”. Talesistema di pesca appare oggi in pole position rispetto al più tra-dizionale sistema della “lampara”, che utilizza una forte lucecapace di concentrare i banchi di pesce azzurro che vengonocosì catturati da una rete che circonda il banco.Tra le pagine del rapporto di Greenpeace emerge come il gover-no italiano non si sia impegnato a trovare una soluzione al pro-gressivo collasso del pesce azzurro iniziato da quasi quarant’an-ni. Al contrario, nel corso degli anni, lo abbiamo visto impegna-to ad incrementare la pressione di pesca su queste popolazioniittiche, permettendo un aumento del numero delle imbarcazioniautorizzate, anche grazie all’artificio delle licenze di “pesca spe-rimentale” che di sperimentale non avevano nulla: una vera epropria flotta fantasma che alla fine è stata “regolarizzata”. Da qui, il passo per finire nel vortice della spirale è breve: la dimi-nuzione del prodotto, infatti, dovuta al sovra sfruttamento, hacausato un aumento dei prezzi di mercato stimolando l’incre-mento della pressione di pesca. Tutto ciò ha contribuito a met-tere a rischio la salvaguardia dei popolamenti ittici e non di menola redditività del settore.

L’Italia, a fronte di una flotta di pesca tra le maggiori in Europa,è nota per la sua riluttanza ad applicare i regolamenti di pescadell’UE. La storia delle reti pelagiche derivanti d’altura, le cosid-dette “spadare”, lo dimostra: per tale vicenda l’Italia condividecon Panama il poco onorevole primato di essere elencata neirapporti del Dipartimento del Commercio USA tra gli Stati i cuipescherecci esercitano pesca “pirata”. Chiediamo dunque ai governi dell’UE e al Parlamento Europeodi varare nuove leggi a favore di una pesca sostenibile. In parti-colare, è urgente che la Commissione chiarisca qual è il ruolodella “pesca sperimentale” nel nostro e negli altri Paesi comuni-tari, perché si tratta di un vero e proprio "sommerso" delle atti-vità di pesca, che mina ogni piano di recupero degli stock.FABRIZIA GIORDANO

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PER LA PRIMA VOLTA Greenpeace ha deciso di utilizzare comestrumento di campagna un corto cinematografico, con l’obiettivodi aprire una crepa nel muro di silenzio mediatico che circonda unargomento scabroso: l’uso del carbone per la produzione di ener-gia elettrica da parte di ENEL che, in Italia, è causa di una morteprematura al giorno e provoca danni ambientali, sanitari ed eco-nomici per circa due miliardi di euro l’anno. Per raccontare questa realtà al pubblico più vasto possibile e inmaniera accattivante, Greenpeace ha chiamato a raccolta quattroattori di primissimo piano della scena italiana, sensibili ai temiambientali, che hanno messo a diposizione la loro creatività a tito-lo totalmente gratuito per la realizzazione del corto: AlessandroHaber, Paolo Briguglia, Pino Quartullo e Sandra Ceccarelli. Per la regia, l’associazione si è affidata a Mimmo Calopresti, auto-re da sempre attento alla cronaca italiana e che fa dell’impegnocivile una delle sue cifre stilistiche. A coronamento del progetto,

i Subsonica hanno offerto gratuitamente l’utilizzo di un suggesti-vo brano, tratto dal loro ultimo album, come colonna sonora. I costi vivi per le riprese sono stati coperti grazie alla generosadonazione di un nostro sostenitore, che si è sentito talmentecoinvolto dal progetto, da volerlo finanziare. LUIGI LINGELLI

CARBONE UN MORTO AL GIORNO

ENERGYREVOLUTION

di ANDREA BORASCHICLIMA

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UN ETTARO DI FORESTA, UN EURONon c’è dubbio che il Progetto Heraklesnon sarà la manna dal cielo per questepopolazioni. Del resto, come potrebbemai diventare un’opportunità di sviluppoper un Paese che riceverebbe meno di uneuro all’anno per la conversione di un etta-ro di foresta pluviale? Secondo diversemultinazionali dell'agrobusiness, oltre aHerakles, che stanno investendo nello svi-luppo di vaste piantagioni di palma da olioin tutta l'Africa centrale e occidentale, ilvero obiettivo è sostenere le economielocali fornendo posti di lavoro e miglioran-do la vita delle popolazioni indigene. Madifficilmente ci diranno che ciò che real-mente li spinge è cercare di trarre più pro-fitto possibile dall’inestinguibile sete glo-bale di olio di palma.Per questa ragione Greenpeace ha decisodi continuare a far campagna per fermareil progetto di Herakles, e tutti quelli chevorranno imitarlo, e stabilire una moratoriasull’espansione delle piantagioni industria-li di olio di palma nelle preziose foreste delbacino del Congo. Una piantagione dipalma da olio fa perdere per sempre aquell'area tutti i suoi valori di biodiversità,mentre l’impiego di pesticidi e fertilizzantidanneggia anche le aree circostanti.

DARE VOCE ALLA POPOLAZIONE delCamerun la cui vita è minacciata da unasocietà che vuole espropriargli la terra perprodurre olio di palma e da un governocomplice e corrotto. Questo è quello che Greenpeace ha pro-vato a fare insieme all’Oakland Institutecon il rapporto “The Herakles Debacle”. Greenpeace denuncia già da diversi annil’espansione delle coltivazioni industrialidi palma da olio come uno dei principalimotori della deforestazione nel sud estasiatico. Da qualche tempo la palma daolio, pianta di origine africana peraltro, èstata riportata alla sua terra d’origine. Manon si tratta di uno di quei bellissimi pro-getti per la reintroduzione di una specienel proprio habitat naturale. Purtroppono. Si tratta di un piano industriale quasicriminale della società che se fosse italia-na si chiamerebbe “Ercole”.Ma non c’è niente di eroico nel progetta-re la conversione di un’area di foresta plu-viale di quasi 73 mila ettari in una coltiva-zione industriale di palma da olio, la piùgrande dell’intero continente. Questapiantagione potrebbe sorgere nel belmezzo di uno dei paesaggi più ricchi dibiodiversità dell'Africa. Grazie a un accor-do governativo che sta svendendo questi

territori, Herakles ha ottenuto un contrat-to di concessione di 99 anni. La societàpagherà per l’affitto circa un euro all’an-no, e beneficerà di un’esenzione fiscaleper dieci anni e di un’esenzione doganaleper tutta la durata del contratto. Quel chesi dice un vero affare. Peccato però che apagarne le spese sarebbero le popolazio-ni locali, le cui condizioni di vita verrebbe-ro drasticamente cambiate, in peggio,dalla distruzione della foresta.

PARADISO DI BIODIVERSITÀWilliam Laurence, ecologista tropicale difama internazionale, ha recentementedenunciato che l’area sui cui Herakles staprogettando le proprie piantagioni “rap-presenta uno dei patrimoni più importan-ti al mondo dal profilo biologico, e che unprogetto del genere non verrebbe maiapprovato in nessun altra parte delmondo poiché il prezzo da pagare in ter-mini di biodiversità sarebbe semplice-mente troppo alto”.La società si difende con dichiarazionigeneriche e fallaci, sostenendo che la rea-lizzazione di questa piantagione è ancheun modo di rispondere a “una disperatarichiesta di sviluppo che viene dal territo-rio”. Sembrerebbero le dichiarazioni di

un’agenzia per gli aiuti umanitari, e inveceHerakles cerca solo il profitto in un pro-getto che, fino ad adesso, è andato avan-ti senza alcun tipo di consultazione e con-senso delle comunità locali. Purtroppo èsolo un esempio, un altro, di come lacorsa per la terra in Africa minacci propriolo sviluppo sostenibile e dei diritti umani. Le ricerche congiunte, dell’OaklandInstitute e Greenpeace International, pub-blicate nel rapporto “The Herakles De-bacle”, documentano inoltre la fortissimae disperata resistenza delle comunitàlocali e la distruzione delle foreste cherisulterà dal progetto.L’Oakland Institute si è inoltre fatto pro-motore di un video che racconta tutto ciòche, a causa di questo progetto, il Ca-merun potrebbe perdere. Ma ciò che col-pisce di più è la determinazione dellepopolazioni locali, molte delle quali vivo-no di agricoltura su piccola scala, nell’op-porsi senza alcun mezzo ai progetto diHerakles. Okie Bonaventure Ekoko, unpiccolo coltivatore di cacao, nel villaggiodi Mboko ci dice: “Ciò che vogliono sot-trarci è nostro diritto e senza la nostraterra non riusciremo più a vivere. Per que-sto motivo molti di noi sono pronti adopporsi anche a costo della propria vita”.

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ALL’INIZIO DI OTTOBRE Greenpeace el'Amazzonia hanno perso Tatiana deCarvalho, una delle campaigner piùdeterminate del nostro ufficio brasi-liano, a causa di un incidente vicino allacapitale Brasilia.Tati, come la chiamavamo tutti, era puraespressione di gioia, autenticità, corag-gio e spontaneità. Una di quelle perso-ne che vengono al mondo in edizione,molto, limitata. Dai corridoi del Con-gresso Brasiliano ai profondi labirintidella foresta amazzonica, dove ha vissu-to quasi dieci anni lottando spalla a spal-la con le popolazioni indigene contro ladeforestazione, Tati era una fonte diispirazione che infondeva energia a chientrava in contatto con lei. Quandosiamo stati informati della sua morte ilnostro cuore si è tuffato nell'incredulitàe nella disperazione. Per due giorni edue notti le nostre caselle di posta sonostate inondate da messaggi e telefona-te provenienti da tutte le parti delmondo: colleghi con cui Tati aveva lavo-rato o anche solo persone che sapeva-no dei suoi successi.Credo che questo dimostri la grandezzadi spirito che questa donna ha lasciatodietro di sé. Alcuni volontari ed attivistiitaliani hanno voluto ricordarla con que-

ste parole: “Molte volte abbiamo parla-to con i bambini nelle scuole dei proble-mi dell'Amazzonia e molte volte dellesoluzioni che Greenpeace, che Tatiana,aveva cercato e, spesso, trovato.È incredibile come le parole di una per-sona tanto lontana possano viaggiareper il mondo. Non abbiamo potutoconoscerti o incontrarti di persona masapevamo del tuo lavoro, della tua pas-sione che è arrivata sino in Italia e cheancora rimane”.Tati era “La Campaigner” per antono-masia: caparbia, pungente e stimolantedi fronte all'autorità, piena di vita esempre "sul pezzo" con entusiasmo.Nonostante la tristezza che sentiamoabbiamo la certezza che l'eredità di Tatinon svanirà mai. Né per noi, né per nes-sun altro qui a Greenpeace. E dovunquelei sia, questa Guerriera dell'Arcobalenocontinuerà a brillare indicandoci, maga-ri con la sua meravigliosa risata, le stra-de che portano al mondo migliore chetanto vogliamo.Alla sua famiglia mandiamo le più sen-tite condoglianze. E a te, Tatiana, pro-mettiamo di onorare i tuoi sogni e por-tare avanti le lotte che abbiamo condi-viso. Descanse em paz, querida amiga.C.P.

SENZA TATIANA IL NOSTRO ARCOBALENO HA MENO COLORE

di CHIARA CAMPIONEFORESTE

MONOCOLTURECHE AVANZANO

L’INCUBO PALMA DA OLIO

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UN ETTARO DI FORESTA, UN EURONon c’è dubbio che il Progetto Heraklesnon sarà la manna dal cielo per questepopolazioni. Del resto, come potrebbemai diventare un’opportunità di sviluppoper un Paese che riceverebbe meno di uneuro all’anno per la conversione di un etta-ro di foresta pluviale? Secondo diversemultinazionali dell'agrobusiness, oltre aHerakles, che stanno investendo nello svi-luppo di vaste piantagioni di palma da olioin tutta l'Africa centrale e occidentale, ilvero obiettivo è sostenere le economielocali fornendo posti di lavoro e miglioran-do la vita delle popolazioni indigene. Madifficilmente ci diranno che ciò che real-mente li spinge è cercare di trarre più pro-fitto possibile dall’inestinguibile sete glo-bale di olio di palma.Per questa ragione Greenpeace ha decisodi continuare a far campagna per fermareil progetto di Herakles, e tutti quelli chevorranno imitarlo, e stabilire una moratoriasull’espansione delle piantagioni industria-li di olio di palma nelle preziose foreste delbacino del Congo. Una piantagione dipalma da olio fa perdere per sempre aquell'area tutti i suoi valori di biodiversità,mentre l’impiego di pesticidi e fertilizzantidanneggia anche le aree circostanti.

DARE VOCE ALLA POPOLAZIONE delCamerun la cui vita è minacciata da unasocietà che vuole espropriargli la terra perprodurre olio di palma e da un governocomplice e corrotto. Questo è quello che Greenpeace ha pro-vato a fare insieme all’Oakland Institutecon il rapporto “The Herakles Debacle”. Greenpeace denuncia già da diversi annil’espansione delle coltivazioni industrialidi palma da olio come uno dei principalimotori della deforestazione nel sud estasiatico. Da qualche tempo la palma daolio, pianta di origine africana peraltro, èstata riportata alla sua terra d’origine. Manon si tratta di uno di quei bellissimi pro-getti per la reintroduzione di una specienel proprio habitat naturale. Purtroppono. Si tratta di un piano industriale quasicriminale della società che se fosse italia-na si chiamerebbe “Ercole”.Ma non c’è niente di eroico nel progetta-re la conversione di un’area di foresta plu-viale di quasi 73 mila ettari in una coltiva-zione industriale di palma da olio, la piùgrande dell’intero continente. Questapiantagione potrebbe sorgere nel belmezzo di uno dei paesaggi più ricchi dibiodiversità dell'Africa. Grazie a un accor-do governativo che sta svendendo questi

territori, Herakles ha ottenuto un contrat-to di concessione di 99 anni. La societàpagherà per l’affitto circa un euro all’an-no, e beneficerà di un’esenzione fiscaleper dieci anni e di un’esenzione doganaleper tutta la durata del contratto. Quel chesi dice un vero affare. Peccato però che apagarne le spese sarebbero le popolazio-ni locali, le cui condizioni di vita verrebbe-ro drasticamente cambiate, in peggio,dalla distruzione della foresta.

PARADISO DI BIODIVERSITÀWilliam Laurence, ecologista tropicale difama internazionale, ha recentementedenunciato che l’area sui cui Herakles staprogettando le proprie piantagioni “rap-presenta uno dei patrimoni più importan-ti al mondo dal profilo biologico, e che unprogetto del genere non verrebbe maiapprovato in nessun altra parte delmondo poiché il prezzo da pagare in ter-mini di biodiversità sarebbe semplice-mente troppo alto”.La società si difende con dichiarazionigeneriche e fallaci, sostenendo che la rea-lizzazione di questa piantagione è ancheun modo di rispondere a “una disperatarichiesta di sviluppo che viene dal territo-rio”. Sembrerebbero le dichiarazioni di

un’agenzia per gli aiuti umanitari, e inveceHerakles cerca solo il profitto in un pro-getto che, fino ad adesso, è andato avan-ti senza alcun tipo di consultazione e con-senso delle comunità locali. Purtroppo èsolo un esempio, un altro, di come lacorsa per la terra in Africa minacci propriolo sviluppo sostenibile e dei diritti umani. Le ricerche congiunte, dell’OaklandInstitute e Greenpeace International, pub-blicate nel rapporto “The Herakles De-bacle”, documentano inoltre la fortissimae disperata resistenza delle comunitàlocali e la distruzione delle foreste cherisulterà dal progetto.L’Oakland Institute si è inoltre fatto pro-motore di un video che racconta tutto ciòche, a causa di questo progetto, il Ca-merun potrebbe perdere. Ma ciò che col-pisce di più è la determinazione dellepopolazioni locali, molte delle quali vivo-no di agricoltura su piccola scala, nell’op-porsi senza alcun mezzo ai progetto diHerakles. Okie Bonaventure Ekoko, unpiccolo coltivatore di cacao, nel villaggiodi Mboko ci dice: “Ciò che vogliono sot-trarci è nostro diritto e senza la nostraterra non riusciremo più a vivere. Per que-sto motivo molti di noi sono pronti adopporsi anche a costo della propria vita”.

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ALL’INIZIO DI OTTOBRE Greenpeace el'Amazzonia hanno perso Tatiana deCarvalho, una delle campaigner piùdeterminate del nostro ufficio brasi-liano, a causa di un incidente vicino allacapitale Brasilia.Tati, come la chiamavamo tutti, era puraespressione di gioia, autenticità, corag-gio e spontaneità. Una di quelle perso-ne che vengono al mondo in edizione,molto, limitata. Dai corridoi del Con-gresso Brasiliano ai profondi labirintidella foresta amazzonica, dove ha vissu-to quasi dieci anni lottando spalla a spal-la con le popolazioni indigene contro ladeforestazione, Tati era una fonte diispirazione che infondeva energia a chientrava in contatto con lei. Quandosiamo stati informati della sua morte ilnostro cuore si è tuffato nell'incredulitàe nella disperazione. Per due giorni edue notti le nostre caselle di posta sonostate inondate da messaggi e telefona-te provenienti da tutte le parti delmondo: colleghi con cui Tati aveva lavo-rato o anche solo persone che sapeva-no dei suoi successi.Credo che questo dimostri la grandezzadi spirito che questa donna ha lasciatodietro di sé. Alcuni volontari ed attivistiitaliani hanno voluto ricordarla con que-

ste parole: “Molte volte abbiamo parla-to con i bambini nelle scuole dei proble-mi dell'Amazzonia e molte volte dellesoluzioni che Greenpeace, che Tatiana,aveva cercato e, spesso, trovato.È incredibile come le parole di una per-sona tanto lontana possano viaggiareper il mondo. Non abbiamo potutoconoscerti o incontrarti di persona masapevamo del tuo lavoro, della tua pas-sione che è arrivata sino in Italia e cheancora rimane”.Tati era “La Campaigner” per antono-masia: caparbia, pungente e stimolantedi fronte all'autorità, piena di vita esempre "sul pezzo" con entusiasmo.Nonostante la tristezza che sentiamoabbiamo la certezza che l'eredità di Tatinon svanirà mai. Né per noi, né per nes-sun altro qui a Greenpeace. E dovunquelei sia, questa Guerriera dell'Arcobalenocontinuerà a brillare indicandoci, maga-ri con la sua meravigliosa risata, le stra-de che portano al mondo migliore chetanto vogliamo.Alla sua famiglia mandiamo le più sen-tite condoglianze. E a te, Tatiana, pro-mettiamo di onorare i tuoi sogni e por-tare avanti le lotte che abbiamo condi-viso. Descanse em paz, querida amiga.C.P.

SENZA TATIANA IL NOSTRO ARCOBALENO HA MENO COLORE

di CHIARA CAMPIONEFORESTE

MONOCOLTURECHE AVANZANO

L’INCUBO PALMA DA OLIO

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LA COMMISSIONE EUROPEA per laprima volta ha promosso un’analisi dellavulnerabilità su 145 reattori nucleari euro-pei. Le conclusioni sono state che occor-rono circa 25 miliardi di euro per migliora-re la loro sicurezza, pur senza prevederenessuna chiusura. Un’analisi indipendentecommissionata da Greenpeace mostrache non è così. 13 centrali con 34 reattori andrebberochiuse immediatamente o in brevetempo. Circa la metà delle centrali euro-pee, inoltre, si trova in zone a rischio sismi-co e quindi in situazioni molto pericoloseo perché prive di doppio contenimento operché troppo vecchie per garantire glistandard di sicurezza necessari.

Spagna: centrale di Almaraz, 2 reattori.Un solo generatore di emergenza, i rischidi inondazioni per eventuale danno a unadiga soprastante non valutati sufficiente-mente. Belgio: centrale di Doel, 4 reattori. Rischiprincipali: incendio, allagamento, e rischisismici. Insufficiente valutazione dei rischiper le piscine di stoccaggio. Recen-temente sono state trovate 7.776 fratturenel vessel del reattore n.3. I reattori 1 e 2andavano già chiusi con i soli risultati deglistress test, il numero 3 va chiuso definiti-vamente e una analisi trasparente delleinsufficienze del reattore 4 va condotta alpiù presto. Centrale di Thiange, 3 reatto-ri. Esposto a rischio alluvione; l’evento diun incidente aereo è considerato inBelgio, e ritenuto dal regolatore un pro-blema, ma cui non si dà alcuna soluzione.

Recentemente sono state riscontrate2.450 fratture nel vessel del reattore n. 2.I reattori 1 e 2 da chiudere subito. Il reat-tore 3 va fermato fino a che non sianostate prese le misure anti-alluvione e risol-ti i diversi problemi riscontrati.Germania: centrale di Grundemiggen, 2reattori. Si rileva la mancanza di sicurezzadella centrale per una alluvione di lungadurata. Nessun piano di emergenza perfronteggiare eventuali perdite di idroge-no. La centrale andrebbe chiusa benprima del 2015, data prevista.Slovenia: centrale di Krsko, 1 reattore. Lazona è sismicamente attiva ed esposta alrischio di alluvioni. Effetti dell’invecchia-mento delle componenti non considerati.Anche se il gestore sta costruendo unanuova sala controllo, la centrale andrebbemessa in via di chiusura.Slovacchia: Mochovce, 2 reattori (e altri 2in costruzione) da bloccare subito. Ilrischio sismico non è valutato con suffi-cienza e, nel caso di un evento maggiore,l’edificio del reattore sarebbe soggettoad allagamento per rottura condotte.Manca il contenimento secondario e ilrischio di incidente aereo non è valutato. Svizzera: centrale di Mühleberg, 1 reatto-re vecchio quasi 40 anni. La strumentazio-ne per la piscina di stoccaggio del combu-stibile non è a prova di incidente, e mancaanche un generatore per alimentare il raf-freddamento della piscina. Nessuna misu-ra per prevenire l’esplosione di idrogenoin caso di malfunzionamento. Svezia: centrale di Ringhals, 4 reattori.Nessuno dei reattori ha sufficienti prote-

zioni antisismiche e il regolatore ha datocome scadenza il 2013 per rimediare. Ilreattore 1 risulta a rischio in caso di even-to sismico anche nei limiti del progetto, arischio la piscina del combustibile esaustovulnerabile anche a eventuali interruzionidella fornitura d’acqua. E’ una centraleche andrebbe chiusa immediatamente.Repubblica Ceca: centrale di Temelin, 2reattori. Diversità dei sistemi di raffredda-mento, mancanza di misure per la rimo-zione di idrogeno per prevenirne l’esplo-sione. Scarsa protezione contro terremoti.A rischio anche la piscina di stoccaggiodel combustibile nucleare. Il reattore 1andrebbe chiuso immediatamente e il 2andrebbe prevista l’uscita al più presto. Regno Unito: centrale di Wylfa, 1 reatto-re. La chiusura dell’ultimo reattore ancorain funzione è prevista nel 2014. Nessunsistema automatico di arresto in caso diterremoto. Sistema di raffreddamentostoccaggio combustibile non antisismico.Mancanza del contenimento secondariodel reattore. Il reattore andrebbe chiusoimmediatamente.Francia: centrale di Fessenheim, 2 reatto-ri; centrale di Gravelines, 6 reattori; cen-trale di Cattenom, 4 reattori. Tutti espostia rischio terremoti e inondazioni, cosìcome eventi meteorologici estremi (allu-vioni, nubifragi etc.). Un solo generatorediesel di emergenza è disponibile perogni centrale, e non antisismici. Mancaaccesso a una fonte di raffreddamentoalternativo. I sistemi antincendio nonhanno alcun backup con caratteristicheantisismiche. Tutte da chiudere.

STATI UNITI E ARGENTINA sono i paesidove è più diffusa la coltivazione di OGMresistenti agli erbicidi. Nei mesi scorsi, ungruppo di ricercatori di Greenpeace haviaggiato attraverso questi Paesi perincontrare agricoltori e comunità agrico-le. Per parlare con loro e capire qualisono i contraccolpi delle monocoltureOGM sulla loro realtà quotidiana. I racconti e le preoccupazioni di questecomunità che testimoniano gli impattidegli OGM sulla loro economia, il loroambiente e la loro società, sono state rac-colte nel documentario “Growing Doubt”(www.greenpeace.org/italy/it/multi-media/Video/) pubblicato di recente, emettono in luce una realtà triste e scon-certante. Una realtà che va a braccettocon monopoli e un controllo sempre piùforte da parte di poche aziende di tutta lafiliera della produzione di cibo.Un aumento della quantità e della tossici-tà delle sostanze chimiche utilizzate neicampi. Impatti crescenti sulla salute esulla vita quotidiana di tante comunitàche vicino a quei campi vivono, special-mente in Argentina. I problemi diventano sempre più evidentianche per gli agricoltori statunitensi.L'eccessiva dipendenza da colture resi-stenti agli erbicidi ha innescato nel Paesela nascita e la rapida diffusione di pianteinfestanti resistenti al glifosato (la sostan-za attiva presente negli erbicidi a cui que-ste colture sono tolleranti) e di conse-guenza l'aumento dei costi per la gestio-ne delle infestanti, così come crescentisono i volumi e la tossicità di erbicidinecessari per prevenire le perdite mag-giori nei raccolti.

IN EUROPA 26 OGM IN PISTAUn quadro desolante che rischia di diventa-re l'incubo anche dell'agricoltura europea.Già, perché al momento sono 26 le coltu-re OGM in fase di valutazione per ottene-re l'autorizzazione per la coltivazione inEuropa. E 19 di queste sono geneticamen-te modificate per essere tolleranti aglierbicidi, che sono prodotti e commercializ-zati dalle stesse aziende agro-chimicheche ne brevettano i semi. L'agricolturaeuropea rischia quindi di subire danni irre-parabili se la Commissione europeadovesse seguire l'esempio degli Stati Unitie autorizzare queste coltivazioni.L'allarme arriva dalle stime, mai realizzateprima, di cosa accadrebbe in Europa conl'approvazione di colture OGM tollerantiagli erbicidi e del conseguente incremen-to dell'uso di diserbanti. Greenpeace hacommissionato al noto economista agrarioCharles Benbrook l'elaborazione del rap-porto “Colture resistenti al glifosatonell'Unione europea”, che utilizza i datisulle colture OGM tolleranti agli erbicidinegli Stati Uniti come base per la previsio-ne europea. I risultati sono preoccupanti. Ilrapporto prevede variazioni – in alcuni casiaumenti fino a quindici volte – nell'uso diglifosato su un periodo di quattordici anni(2012-2025), per mais, soia e barbabietolada zucchero OGM nell'UE. SecondoBenbrook, se gli agricoltori europei doves-sero utilizzare OGM tolleranti agli erbicidicon la stessa velocità degli Stati Uniti, l'usodel glifosato nella coltivazione del mais – lacoltura più importante e ampiamente dif-fusa in Europa – aumenterebbe di oltre ilmille per cento entro il 2025, e l'uso totaledi erbicidi raddoppierebbe.

UN CIRCOLO VIZIOSOCon il suo lavoro, Benbrook avverte che gliagricoltori negli Stati Uniti non riesconopiù a liberarsi dal circolo vizioso in cui sonofiniti a causa degli OGM. Il ricorso a questiprodotti ha innescato lo sviluppo e la rapi-da diffusione di quasi due dozzine di varie-tà di piante infestanti resistenti agli erbicidi. La diffusione di queste piante infestanti ècresciuta così rapidamente che anche idati riportati nel sondaggio della DowAgroSciences suggeriscono che negli Usaoltre 12 milioni di ettari coltivati a soiaerano infestati da erbacce resistenti al gli-fosato nel 2010. Se si considerano le prin-cipali infestanti resistenti al glifosato, sonoquasi 37 milioni gli ettari interessati dalfenomeno.Gli agricoltori stanno affrontando la diffu-sione di queste infestanti resistenti al glifo-sato effettuando più applicazioni di glifo-sato, aumentando le quantità utilizzate,applicando principi attivi differenti, edeffettuando anche il diserbo manuale.Aziende biotech come la Monsanto e laDow stanno rispondendo a questa emer-genza sviluppando nuovi OGM resistenti adosi maggiori ed erbicidi probabilmentepiù tossici come 2,4-D e Dicamba. Tuttociò costringe gli agricoltori a tilizzare sem-pre più erbicidi diserbanti, utilizzando erbi-cidi, sempre più tossici.Come ammonisce Wes Shoemyer, uno de-gli agricoltori statunitensi interpellato neldocumentario, finora l'Europa è riuscita atenere il punto e ha ancora la possibilità dimantenere la propria indipendenza e lapropria integrità. Che si attivi quindi perdifendere gli agricoltori e tenere lontanogli OGM dai campi del vecchio continente.

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IL 62 PER CENTO dei lituani ha detto un NO forte e chiaro alnuovo programma di sviluppo del nucleare, in un referendum.Un segnale di vitalità della democrazia, considerato il clima difango, propaganda e intimidazione che si è registrato nel Paese.Nelle ultime settimane, infatti, il governo lituano aveva negatol’ingresso nel Paese a ospiti invitati a intervenire in Parlamentocontro il nucleare. Chi critica il nucleare è stato apostrofato addi-

rittura come “traditore” o “agente della Russia” e il Primo mini-stro uscente Andrius Kubilius non ha accolto l’invito diGreenpeace a una discussione più equilibrata. Il nuovo governolituano dovrà adottare ora una strategia orientata alle rinnovabi-li e all’efficienza energetica tenendo conto della volontà espres-sa dai cittadini. Greenpeace chiede a Bielorussia, Polonia eRussia di seguire l’esempio lituano. G.S.

LA LITUANIA DICE NOCON UN REFERENDUM

UN FUTUROAL VELENO?

di FEDERICA FERRARIOdi GIUSEPPE ONUFRIO OGM

COLTURE RESISTENTIAGLI ERBICIDI

IN EUROPA

STRESSTESTLE CENTRALI DACHIUDERE ORA

NUCLEARE

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LA COMMISSIONE EUROPEA per laprima volta ha promosso un’analisi dellavulnerabilità su 145 reattori nucleari euro-pei. Le conclusioni sono state che occor-rono circa 25 miliardi di euro per migliora-re la loro sicurezza, pur senza prevederenessuna chiusura. Un’analisi indipendentecommissionata da Greenpeace mostrache non è così. 13 centrali con 34 reattori andrebberochiuse immediatamente o in brevetempo. Circa la metà delle centrali euro-pee, inoltre, si trova in zone a rischio sismi-co e quindi in situazioni molto pericoloseo perché prive di doppio contenimento operché troppo vecchie per garantire glistandard di sicurezza necessari.

Spagna: centrale di Almaraz, 2 reattori.Un solo generatore di emergenza, i rischidi inondazioni per eventuale danno a unadiga soprastante non valutati sufficiente-mente. Belgio: centrale di Doel, 4 reattori. Rischiprincipali: incendio, allagamento, e rischisismici. Insufficiente valutazione dei rischiper le piscine di stoccaggio. Recen-temente sono state trovate 7.776 fratturenel vessel del reattore n.3. I reattori 1 e 2andavano già chiusi con i soli risultati deglistress test, il numero 3 va chiuso definiti-vamente e una analisi trasparente delleinsufficienze del reattore 4 va condotta alpiù presto. Centrale di Thiange, 3 reatto-ri. Esposto a rischio alluvione; l’evento diun incidente aereo è considerato inBelgio, e ritenuto dal regolatore un pro-blema, ma cui non si dà alcuna soluzione.

Recentemente sono state riscontrate2.450 fratture nel vessel del reattore n. 2.I reattori 1 e 2 da chiudere subito. Il reat-tore 3 va fermato fino a che non sianostate prese le misure anti-alluvione e risol-ti i diversi problemi riscontrati.Germania: centrale di Grundemiggen, 2reattori. Si rileva la mancanza di sicurezzadella centrale per una alluvione di lungadurata. Nessun piano di emergenza perfronteggiare eventuali perdite di idroge-no. La centrale andrebbe chiusa benprima del 2015, data prevista.Slovenia: centrale di Krsko, 1 reattore. Lazona è sismicamente attiva ed esposta alrischio di alluvioni. Effetti dell’invecchia-mento delle componenti non considerati.Anche se il gestore sta costruendo unanuova sala controllo, la centrale andrebbemessa in via di chiusura.Slovacchia: Mochovce, 2 reattori (e altri 2in costruzione) da bloccare subito. Ilrischio sismico non è valutato con suffi-cienza e, nel caso di un evento maggiore,l’edificio del reattore sarebbe soggettoad allagamento per rottura condotte.Manca il contenimento secondario e ilrischio di incidente aereo non è valutato. Svizzera: centrale di Mühleberg, 1 reatto-re vecchio quasi 40 anni. La strumentazio-ne per la piscina di stoccaggio del combu-stibile non è a prova di incidente, e mancaanche un generatore per alimentare il raf-freddamento della piscina. Nessuna misu-ra per prevenire l’esplosione di idrogenoin caso di malfunzionamento. Svezia: centrale di Ringhals, 4 reattori.Nessuno dei reattori ha sufficienti prote-

zioni antisismiche e il regolatore ha datocome scadenza il 2013 per rimediare. Ilreattore 1 risulta a rischio in caso di even-to sismico anche nei limiti del progetto, arischio la piscina del combustibile esaustovulnerabile anche a eventuali interruzionidella fornitura d’acqua. E’ una centraleche andrebbe chiusa immediatamente.Repubblica Ceca: centrale di Temelin, 2reattori. Diversità dei sistemi di raffredda-mento, mancanza di misure per la rimo-zione di idrogeno per prevenirne l’esplo-sione. Scarsa protezione contro terremoti.A rischio anche la piscina di stoccaggiodel combustibile nucleare. Il reattore 1andrebbe chiuso immediatamente e il 2andrebbe prevista l’uscita al più presto. Regno Unito: centrale di Wylfa, 1 reatto-re. La chiusura dell’ultimo reattore ancorain funzione è prevista nel 2014. Nessunsistema automatico di arresto in caso diterremoto. Sistema di raffreddamentostoccaggio combustibile non antisismico.Mancanza del contenimento secondariodel reattore. Il reattore andrebbe chiusoimmediatamente.Francia: centrale di Fessenheim, 2 reatto-ri; centrale di Gravelines, 6 reattori; cen-trale di Cattenom, 4 reattori. Tutti espostia rischio terremoti e inondazioni, cosìcome eventi meteorologici estremi (allu-vioni, nubifragi etc.). Un solo generatorediesel di emergenza è disponibile perogni centrale, e non antisismici. Mancaaccesso a una fonte di raffreddamentoalternativo. I sistemi antincendio nonhanno alcun backup con caratteristicheantisismiche. Tutte da chiudere.

STATI UNITI E ARGENTINA sono i paesidove è più diffusa la coltivazione di OGMresistenti agli erbicidi. Nei mesi scorsi, ungruppo di ricercatori di Greenpeace haviaggiato attraverso questi Paesi perincontrare agricoltori e comunità agrico-le. Per parlare con loro e capire qualisono i contraccolpi delle monocoltureOGM sulla loro realtà quotidiana. I racconti e le preoccupazioni di questecomunità che testimoniano gli impattidegli OGM sulla loro economia, il loroambiente e la loro società, sono state rac-colte nel documentario “Growing Doubt”(www.greenpeace.org/italy/it/multi-media/Video/) pubblicato di recente, emettono in luce una realtà triste e scon-certante. Una realtà che va a braccettocon monopoli e un controllo sempre piùforte da parte di poche aziende di tutta lafiliera della produzione di cibo.Un aumento della quantità e della tossici-tà delle sostanze chimiche utilizzate neicampi. Impatti crescenti sulla salute esulla vita quotidiana di tante comunitàche vicino a quei campi vivono, special-mente in Argentina. I problemi diventano sempre più evidentianche per gli agricoltori statunitensi.L'eccessiva dipendenza da colture resi-stenti agli erbicidi ha innescato nel Paesela nascita e la rapida diffusione di pianteinfestanti resistenti al glifosato (la sostan-za attiva presente negli erbicidi a cui que-ste colture sono tolleranti) e di conse-guenza l'aumento dei costi per la gestio-ne delle infestanti, così come crescentisono i volumi e la tossicità di erbicidinecessari per prevenire le perdite mag-giori nei raccolti.

IN EUROPA 26 OGM IN PISTAUn quadro desolante che rischia di diventa-re l'incubo anche dell'agricoltura europea.Già, perché al momento sono 26 le coltu-re OGM in fase di valutazione per ottene-re l'autorizzazione per la coltivazione inEuropa. E 19 di queste sono geneticamen-te modificate per essere tolleranti aglierbicidi, che sono prodotti e commercializ-zati dalle stesse aziende agro-chimicheche ne brevettano i semi. L'agricolturaeuropea rischia quindi di subire danni irre-parabili se la Commissione europeadovesse seguire l'esempio degli Stati Unitie autorizzare queste coltivazioni.L'allarme arriva dalle stime, mai realizzateprima, di cosa accadrebbe in Europa conl'approvazione di colture OGM tollerantiagli erbicidi e del conseguente incremen-to dell'uso di diserbanti. Greenpeace hacommissionato al noto economista agrarioCharles Benbrook l'elaborazione del rap-porto “Colture resistenti al glifosatonell'Unione europea”, che utilizza i datisulle colture OGM tolleranti agli erbicidinegli Stati Uniti come base per la previsio-ne europea. I risultati sono preoccupanti. Ilrapporto prevede variazioni – in alcuni casiaumenti fino a quindici volte – nell'uso diglifosato su un periodo di quattordici anni(2012-2025), per mais, soia e barbabietolada zucchero OGM nell'UE. SecondoBenbrook, se gli agricoltori europei doves-sero utilizzare OGM tolleranti agli erbicidicon la stessa velocità degli Stati Uniti, l'usodel glifosato nella coltivazione del mais – lacoltura più importante e ampiamente dif-fusa in Europa – aumenterebbe di oltre ilmille per cento entro il 2025, e l'uso totaledi erbicidi raddoppierebbe.

UN CIRCOLO VIZIOSOCon il suo lavoro, Benbrook avverte che gliagricoltori negli Stati Uniti non riesconopiù a liberarsi dal circolo vizioso in cui sonofiniti a causa degli OGM. Il ricorso a questiprodotti ha innescato lo sviluppo e la rapi-da diffusione di quasi due dozzine di varie-tà di piante infestanti resistenti agli erbicidi. La diffusione di queste piante infestanti ècresciuta così rapidamente che anche idati riportati nel sondaggio della DowAgroSciences suggeriscono che negli Usaoltre 12 milioni di ettari coltivati a soiaerano infestati da erbacce resistenti al gli-fosato nel 2010. Se si considerano le prin-cipali infestanti resistenti al glifosato, sonoquasi 37 milioni gli ettari interessati dalfenomeno.Gli agricoltori stanno affrontando la diffu-sione di queste infestanti resistenti al glifo-sato effettuando più applicazioni di glifo-sato, aumentando le quantità utilizzate,applicando principi attivi differenti, edeffettuando anche il diserbo manuale.Aziende biotech come la Monsanto e laDow stanno rispondendo a questa emer-genza sviluppando nuovi OGM resistenti adosi maggiori ed erbicidi probabilmentepiù tossici come 2,4-D e Dicamba. Tuttociò costringe gli agricoltori a tilizzare sem-pre più erbicidi diserbanti, utilizzando erbi-cidi, sempre più tossici.Come ammonisce Wes Shoemyer, uno de-gli agricoltori statunitensi interpellato neldocumentario, finora l'Europa è riuscita atenere il punto e ha ancora la possibilità dimantenere la propria indipendenza e lapropria integrità. Che si attivi quindi perdifendere gli agricoltori e tenere lontanogli OGM dai campi del vecchio continente.

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rittura come “traditore” o “agente della Russia” e il Primo mini-stro uscente Andrius Kubilius non ha accolto l’invito diGreenpeace a una discussione più equilibrata. Il nuovo governolituano dovrà adottare ora una strategia orientata alle rinnovabi-li e all’efficienza energetica tenendo conto della volontà espres-sa dai cittadini. Greenpeace chiede a Bielorussia, Polonia eRussia di seguire l’esempio lituano. G.S.

LA LITUANIA DICE NOCON UN REFERENDUM

UN FUTUROAL VELENO?

di FEDERICA FERRARIOdi GIUSEPPE ONUFRIO OGM

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Hong Kong, Cina – La nave di Greenpeace,Esperanza, fa tappa ad Hong Kong durante il “Sa-ve our Oceans” tour. © Clement Tang/Greenpeace.

Java, Indonesia – La rock band indonesiana, Navicula,suona alla Climate Rescue Station di Greenpeacevicino al tempio buddhista di Borobudur, il più gran-de del mondo. © Ulet Ifansasti/Greenpeace.

Johannesburg, Sud Africa – Greenpeace insiemead altre organizzazioni africane, protesta contro lagestione energetica della Eskom.© Shayne Robinson/Greenpeace.

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Kaohsiung, Taiwan – Greenpeace protesta con-tro lo sfruttamento eccessivo delle risorse ittichenel Pacifico.© Alex Hofford/Greenpeace.

Hiderabad, India – Le tigri di Greenpeace controla deforestazione alla conferenza dell'ONU sullaBiodiversità. © Sudhanshu Malhota/Greenpeace.

Mar di Andaman, India – Sub di Greenpeacechiedono all'India di proteggere i suoi mari, duran-te la conferenza dell'ONU sulla Biodiversità.© Sumer Verma /Greenpeace.

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Palo Alto, Stati Uniti – Attivisti davanti al negoziodella Microsoft. Greenpeace chiede al colosso diRichmond di usare energia pulita per alimentare ilcloud del nuovo Windows 8.© Jakob Mosur/Greenpeace.

Nordheam, Germania – I gommoni di Green-peace in azione contro una nave che trasporta com-bustibile nucleare. © Daniel Mueller/Greenpeace

Roma, Italia – L'orso Paula di Greenpeace al con-certo dei Radiohead a Roma.© Francesco Alesi/Greenpeace.

Quezon City, Filippine – Attivisti vestiti da zombieprotestano contro l'inquinamento chimico delleacque fuori dal Dipartimento dell'Ambiente edelle Risorse Naturali. © Jed Delano/Greenpeace.

Forsmark, Svezia – Attivisti in azione alla centralenucleare di Forsmark. © Greenpeace.

New Jersey, Stati Uniti – I danni dell'uraganoSandy. © Tim Aubrey/Greenpeace.

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CLICK& CO.di MASSIMO GUIDI

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Hong Kong, Cina – La nave di Greenpeace,Esperanza, fa tappa ad Hong Kong durante il “Sa-ve our Oceans” tour. © Clement Tang/Greenpeace.

Java, Indonesia – La rock band indonesiana, Navicula,suona alla Climate Rescue Station di Greenpeacevicino al tempio buddhista di Borobudur, il più gran-de del mondo. © Ulet Ifansasti/Greenpeace.

Johannesburg, Sud Africa – Greenpeace insiemead altre organizzazioni africane, protesta contro lagestione energetica della Eskom.© Shayne Robinson/Greenpeace.

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Kaohsiung, Taiwan – Greenpeace protesta con-tro lo sfruttamento eccessivo delle risorse ittichenel Pacifico.© Alex Hofford/Greenpeace.

Hiderabad, India – Le tigri di Greenpeace controla deforestazione alla conferenza dell'ONU sullaBiodiversità. © Sudhanshu Malhota/Greenpeace.

Mar di Andaman, India – Sub di Greenpeacechiedono all'India di proteggere i suoi mari, duran-te la conferenza dell'ONU sulla Biodiversità.© Sumer Verma /Greenpeace.

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Palo Alto, Stati Uniti – Attivisti davanti al negoziodella Microsoft. Greenpeace chiede al colosso diRichmond di usare energia pulita per alimentare ilcloud del nuovo Windows 8.© Jakob Mosur/Greenpeace.

Nordheam, Germania – I gommoni di Green-peace in azione contro una nave che trasporta com-bustibile nucleare. © Daniel Mueller/Greenpeace

Roma, Italia – L'orso Paula di Greenpeace al con-certo dei Radiohead a Roma.© Francesco Alesi/Greenpeace.

Quezon City, Filippine – Attivisti vestiti da zombieprotestano contro l'inquinamento chimico delleacque fuori dal Dipartimento dell'Ambiente edelle Risorse Naturali. © Jed Delano/Greenpeace.

Forsmark, Svezia – Attivisti in azione alla centralenucleare di Forsmark. © Greenpeace.

New Jersey, Stati Uniti – I danni dell'uraganoSandy. © Tim Aubrey/Greenpeace.

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ISRAELE, DAVIDE CONTRO GOLIALA VALLE DI ELAH è il luogo in cui si svol-se lo scontro fra il giovane Davide e ilforte Golia nella tradizione biblica. Abreve Elah, non lontano da Gerusalemme,potrebbe anche diventare sinonimo dipetrolio e distruzione dell’ambiente natu-rale se prosegue il progetto di estrarre inquella valle il petrolio da scisti, contro ilquale si sono recentemente mobilitatioltre cinquecento israeliani, che hannoaccolto l’appello di Greenpeace creandoun gigantesco striscione umano, fino acomporre la parola “Stop”.La richiesta al Primo ministro BenjaminNetanyahu è di fermare questo pericolosoesperimento da parte di una società ame-ricana della galassia di Rupert Murdoch,perché potrebbe compromettere la valledi Davide e Golia. Il governo israeliano harecentemente reso più snello il procedi-mento di approvazione di questi progetti,scavalcando il ministero dell’Ambienteche si oppone fermamente e ignorando ildiritto di consultazione dei cittadini.Grazie all' introduzione di nuove tecnolo-gie di estrazione, negli ultimi anni l'acces-so alle riserve contenute negli scisti èdiventato più facile e conveniente, so-prattutto nel caso del gas ma anche delpetrolio. Gli Stati Uniti sono in prima fila inquesta corsa, anche se di recente diversiStati della federazione stanno correndo airipari visti i problemi di contaminazionedelle falde idriche.Anche l’Agenzia internazionale per l’ener-gia (AIE) è fortemente critica su questafonte energetica ed evidenzia tra l'altro lapossibilità di microsismi, e lo sprigiona-mento incontrollato in atmosfera di gasmetano, in contrasto con ogni tentativo diridurre i cambiamenti climatici. G.S.

UNA CANZONE DALL'AFRICA È COMINCIATO NEL 2011 come un appel-lo ai giovani congolesi perché si esprimes-sero a favore della protezione della loroforesta e oggi è diventato un videoclip, "Lavoce della foresta", a cui hanno partecipa-to uomini, donne e bambini.In una piccola foresta del comune di MontNgafula, più persone hanno parlato conuna voce sola, senza distinzioni di razza odi età, per proteggere le foreste delCongo. La gioia era nei loro occhi, soprat-tutto quando sono arrivati nel cuore dellaforesta per girare le immagini.“Ci siamo tenuti la mano per reclamare laprotezione della nostra risorsa più prezio-sa. Insieme quel giorno abbiamo dato unavoce più forte alla foresta, il cui eco spe-riamo attraversi tutto il continente”, rac-conta Augustine Kasambule di Green-peace Africa.Nello stesso momento, in altre parti delmondo, persone di tutte le nazionalità sisono unite per ripetere lo stesso appelloin favore della seconda foresta delmondo, quella del Bacino del Congo.L'industria del legno ruba la foresta abonobo, elefanti africani e ippopotami. Lecomunità locali dei pigmei Twa rischianodi perdere la loro casa, a colpi di motose-ga. Undici cantanti congolesi ci ricordanocosì che la nostra vita è strettamente lega-ta alla foresta. È il polmone della Terra,che purifica l'aria che respiriamo, ci procu-ra le piante medicinali, il cibo e l'acquache utilizziamo. La biodiversità del piane-ta e il futuro del clima dipendono dalleforeste del mondo. Non poteva essercinulla di meglio di una canzone per espri-merlo: “Non toccare la mia foresta, ce l'honella pelle”. G.S.

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A SEGUITO DI NUOVI CONTROLLI sulla radioattività aFukushima e nella cittadina fortemente contaminata di Iitate,effettuati da Greenpeace si è scoperto che le stazioni di monito-raggio ufficiali sottovalutano sistematicamente i rischi delleradiazioni per la popolazione e che la gestione delle attività didecontaminazione è ancora molto frammentaria, mal indirizzata,e insufficiente, con aree già evacuate che ricevono maggior

attenzione rispetto a quelle ancora densamente abitate. Più del75 per cento delle quaranta stazioni di monitoraggio controllateda Greenpeace a Fukushima città ha mostrato livelli di radiazio-ne più bassi rispetto a quelli rilevati nei loro immediati dintorni:a 25 metri di distanza si possono registrare livelli di contamina-zione fino a sei volte superiori rispetto a quanto misurato nellestazioni installate dal governo. “Le stazioni di monitoraggio ufficiali sono collocate in aree che leautorità hanno già decontaminato, ma dal nostro monitoraggiorisulta che a pochi passi di distanza i livelli delle radiazioni cresco-no in modo significativo”, afferma Rianne Teule, esperto di radia-zioni di Greenpeace International. La decontaminazione di aree digioco per bambini e altre aree rilevanti per le persone più vulne-rabili, non è andata avanti in modo sufficiente, nonostante sia pas-sato più di un anno e mezzo dal triplice incidente di Fukushima.Greenpeace ha controllato anche l’area di Iitate, di cui ha in pas-sato chiesto l’evacuazione e che il governo ha suddiviso in diver-si livelli di rischio, al fine di preparare i residenti a tornare dopola decontaminazione. Il team di monitoraggio di Greenpeace hascoperto che la bonifica è stata finora insufficiente. Nella situa-zione attuale, le persone corrono un rischio superiore di moltevolte il limite internazionalmente riconosciuto di 1 millisievert (1mSv) all’anno. Le persone non possono tornare alla normalità aIitate se le loro case, le imprese o aziende sono contaminate.Una casa o un ufficio possono essere stati ripuliti, ma è moltoimprobabile che l'intera area sia resa priva dei rischi di irraggia-mento per i prossimi anni, il che rende molto difficile ricostruireuna vita normale delle comunità. Il governo continua a minimiz-zare i rischi delle radiazioni, e a dare false speranze, invece diprendere la triste decisione di spostare le comunità colpite com-pensandole in modo equo. GABRIELE SALARI

BREVIDAL MONDO

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GIAPPONE INCUBO RADIOATTIVITÀ

SONO SBARCATE A CIVITAVECCHIAcon la Peaceboat, una nave da crocierache consente agli studenti universitarigiapponesi di trascorrere due mesi ingiro per il mondo approfondendo letematiche della pace e dello svilupposostenibile. Misaki Ishiguro e YurinaSato, due studentesse di Fukushima(nella foto al centro), hanno visitato lasede di Greenpeace e incontrato staff evolontari romani.“Neanche sapevo dell'esistenza di unacentrale nucleare nella mia città, ora socosa è in grado di provocare”, diceYurina Sato, vent’anni, studentessa diScienze Sociali all’Università diFukushima. Fa fatica a raccontare comeè cambiata la sua vita dopo l’incidentealla centrale nucleare:“Ho dovuto familiarizzare con i contato-ri geiger in mezzo alla città e con losgretolamento della comunità. Per mesi

abbiamo indossato le mascherine eancora oggi i prodotti provenienti dallaPrefettura di Fukushima vengono sotto-posti a controlli prima di essere messisul mercato”. Misaki Ishiguro, compagna di corso diYurina, ha deciso di approfondire le sueconoscenze sul tema perché è spaventa-ta: “Non so a quante radiazioni sonostata esposta e che effetto potrannoavere in futuro su di me e su eventualifigli”. In Giappone l’informazione con-traddittoria fornita dal governo durantel’emergenza è ora semplicemente caren-te e dell’addio al nucleare di Germania eSvizzera e del referendum italiano sem-bra non si sia parlato sui mass media. “Per anni ci hanno illuso che l'eventuali-tà di un incidente nucleare fosse sempli-cemente impossibile”, dice NobuhiroTakeda, che è membro dell’OngPeaceboat. “Ora ci troviamo in una

situazione pazzesca in cui un terzo degliabitanti di Fukushima vorrebbe andar-sene ma non ha le risorse per farlo, epoi non saprebbe neanche dove anda-re. Il governo ha fornito alloggi alle per-sone evacuate d'ufficio, ma i più si sonodispersi nel paese, e le comunità sonocosì molto disgregate”. Il governo giap-ponese ha annunciato di voler eliminarel'energia nucleare dal Paese entro glianni trenta. G.S.

LE RAGAZZE DI FUKUSHIMA VISITANO GREENPEACE

SUCCESSO DI GREENPEACE che hainvaso l'ingresso del quartier generaledi RCS Libri per offrire agli editoriRizzoli e Fabbri “una cura per debellarel'epidemia di deforestazione che infe-sta i loro libri”. Vestiti da tigri o in divisada paramedico e con la testa da tigre,gli attivisti sono arrivati in ambulanza,chiedendo di poter somministrare airesponsabili di Rizzoli e Fabbri una “pil-lola anti-deforestazione”, una caramellaovviamente, ma nel bugiardino c'eranotutte le istruzioni per combattere ladeforestazione. Nel frattempo, al-l'esterno alcuni attivisti si sono arrampi-cati sui pali dell'illuminazione con deglistriscioni. Dopo poco tempo l'aziendaha incontrato Greenpeace assicurandoche a breve tutti gli editori del gruppoadotteranno carta “amica delle fore-ste”. La nostra terapia d'urto contro ladeforestazione ha funzionato.

ULTIMO MINUTO

SOSTIENI GREENPEACE!Dall'1 al 16 dicembre troverai i nostri dialogatori

presso tutti i negozi Ikea.Saranno lì per raccogliere firme in favoredell'Artico ma soprattutto per incontrare

i nuovi sostenitori!

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ISRAELE, DAVIDE CONTRO GOLIALA VALLE DI ELAH è il luogo in cui si svol-se lo scontro fra il giovane Davide e ilforte Golia nella tradizione biblica. Abreve Elah, non lontano da Gerusalemme,potrebbe anche diventare sinonimo dipetrolio e distruzione dell’ambiente natu-rale se prosegue il progetto di estrarre inquella valle il petrolio da scisti, contro ilquale si sono recentemente mobilitatioltre cinquecento israeliani, che hannoaccolto l’appello di Greenpeace creandoun gigantesco striscione umano, fino acomporre la parola “Stop”.La richiesta al Primo ministro BenjaminNetanyahu è di fermare questo pericolosoesperimento da parte di una società ame-ricana della galassia di Rupert Murdoch,perché potrebbe compromettere la valledi Davide e Golia. Il governo israeliano harecentemente reso più snello il procedi-mento di approvazione di questi progetti,scavalcando il ministero dell’Ambienteche si oppone fermamente e ignorando ildiritto di consultazione dei cittadini.Grazie all' introduzione di nuove tecnolo-gie di estrazione, negli ultimi anni l'acces-so alle riserve contenute negli scisti èdiventato più facile e conveniente, so-prattutto nel caso del gas ma anche delpetrolio. Gli Stati Uniti sono in prima fila inquesta corsa, anche se di recente diversiStati della federazione stanno correndo airipari visti i problemi di contaminazionedelle falde idriche.Anche l’Agenzia internazionale per l’ener-gia (AIE) è fortemente critica su questafonte energetica ed evidenzia tra l'altro lapossibilità di microsismi, e lo sprigiona-mento incontrollato in atmosfera di gasmetano, in contrasto con ogni tentativo diridurre i cambiamenti climatici. G.S.

UNA CANZONE DALL'AFRICA È COMINCIATO NEL 2011 come un appel-lo ai giovani congolesi perché si esprimes-sero a favore della protezione della loroforesta e oggi è diventato un videoclip, "Lavoce della foresta", a cui hanno partecipa-to uomini, donne e bambini.In una piccola foresta del comune di MontNgafula, più persone hanno parlato conuna voce sola, senza distinzioni di razza odi età, per proteggere le foreste delCongo. La gioia era nei loro occhi, soprat-tutto quando sono arrivati nel cuore dellaforesta per girare le immagini.“Ci siamo tenuti la mano per reclamare laprotezione della nostra risorsa più prezio-sa. Insieme quel giorno abbiamo dato unavoce più forte alla foresta, il cui eco spe-riamo attraversi tutto il continente”, rac-conta Augustine Kasambule di Green-peace Africa.Nello stesso momento, in altre parti delmondo, persone di tutte le nazionalità sisono unite per ripetere lo stesso appelloin favore della seconda foresta delmondo, quella del Bacino del Congo.L'industria del legno ruba la foresta abonobo, elefanti africani e ippopotami. Lecomunità locali dei pigmei Twa rischianodi perdere la loro casa, a colpi di motose-ga. Undici cantanti congolesi ci ricordanocosì che la nostra vita è strettamente lega-ta alla foresta. È il polmone della Terra,che purifica l'aria che respiriamo, ci procu-ra le piante medicinali, il cibo e l'acquache utilizziamo. La biodiversità del piane-ta e il futuro del clima dipendono dalleforeste del mondo. Non poteva essercinulla di meglio di una canzone per espri-merlo: “Non toccare la mia foresta, ce l'honella pelle”. G.S.

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A SEGUITO DI NUOVI CONTROLLI sulla radioattività aFukushima e nella cittadina fortemente contaminata di Iitate,effettuati da Greenpeace si è scoperto che le stazioni di monito-raggio ufficiali sottovalutano sistematicamente i rischi delleradiazioni per la popolazione e che la gestione delle attività didecontaminazione è ancora molto frammentaria, mal indirizzata,e insufficiente, con aree già evacuate che ricevono maggior

attenzione rispetto a quelle ancora densamente abitate. Più del75 per cento delle quaranta stazioni di monitoraggio controllateda Greenpeace a Fukushima città ha mostrato livelli di radiazio-ne più bassi rispetto a quelli rilevati nei loro immediati dintorni:a 25 metri di distanza si possono registrare livelli di contamina-zione fino a sei volte superiori rispetto a quanto misurato nellestazioni installate dal governo. “Le stazioni di monitoraggio ufficiali sono collocate in aree che leautorità hanno già decontaminato, ma dal nostro monitoraggiorisulta che a pochi passi di distanza i livelli delle radiazioni cresco-no in modo significativo”, afferma Rianne Teule, esperto di radia-zioni di Greenpeace International. La decontaminazione di aree digioco per bambini e altre aree rilevanti per le persone più vulne-rabili, non è andata avanti in modo sufficiente, nonostante sia pas-sato più di un anno e mezzo dal triplice incidente di Fukushima.Greenpeace ha controllato anche l’area di Iitate, di cui ha in pas-sato chiesto l’evacuazione e che il governo ha suddiviso in diver-si livelli di rischio, al fine di preparare i residenti a tornare dopola decontaminazione. Il team di monitoraggio di Greenpeace hascoperto che la bonifica è stata finora insufficiente. Nella situa-zione attuale, le persone corrono un rischio superiore di moltevolte il limite internazionalmente riconosciuto di 1 millisievert (1mSv) all’anno. Le persone non possono tornare alla normalità aIitate se le loro case, le imprese o aziende sono contaminate.Una casa o un ufficio possono essere stati ripuliti, ma è moltoimprobabile che l'intera area sia resa priva dei rischi di irraggia-mento per i prossimi anni, il che rende molto difficile ricostruireuna vita normale delle comunità. Il governo continua a minimiz-zare i rischi delle radiazioni, e a dare false speranze, invece diprendere la triste decisione di spostare le comunità colpite com-pensandole in modo equo. GABRIELE SALARI

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