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La ricerca di un linguaggio nuovo, che sapesse rappre- sentare i drammi quotidiani della povera gente, ma potesse anche raccontare i ricordi di un’infanzia e di una terra lontana, un linguaggio che fosse accessibile a tutti e che al tempo stesso sapesse esprimere grandi passioni ed ambiziosi progetti di cambiamento: questo è il difficile percorso che possiamo leggere nell’opera di Renato Guttuso. Siciliano di Bagheria, dove nacque il 26 dicembre del 1911, si è portato dentro gli occhi e nel cuore i colori, le forme e i profumi della sua terra, che spesso riemer- gono prepotenti dalle sue tele, reinterpretati secondo un sentire forte ed impetuoso. Amava ripetere Renato "Perché un'opera viva bisogna che l'uomo che la produce sia in collera ed esprima la sua collera nel modo che più si confà a quell'uomo. Un’opera d'arte è sempre la somma dei piaceri e dei dolori dell'uomo che l'ha creata. Intendo dire non è necessario per un pittore essere di un partito o di un altro o fare una guerra o una rivoluzione, ma è necessario che egli agisca nel dipingere come agisce chi fa una guerra o una rivoluzione. Come chi muore insomma per qualcosa". Questo ideale di “impegno” è stato il fulcro, tra l’altro, della grande mostra antologica "Dal Fronte Nuovo all'Autobiografia, 1946-1966", che ha raccolto a Bagheria, dal 19 luglio 2003 all’11 gennaio 2004, più di 300 opere, provenienti da collezioni private e da numerosi musei italiani e stranieri. La mostra è stata allestita nel settecentesco scenario di Villa Cattolica, dove ha sede la Galleria permanente d’Arte Moderna e Con- temporanea “Renato Guttuso”. Nel giardino della Villa si erge anche l'arca monumentale, realizzata dall’amico scultore, Giacomo Manzù, ed in cui riposano le spoglie mortali di Guttuso. Infatti poco prima di morire, nel 1987, Renato aveva espresso la volontà di essere sepolto in un posto da dove si potesse ammirare il mare… “Avevo tanto desiderio di vederlo, questo mio mare che non mi sono ancora saziato di guardarlo. Ora l’ho dinnanzi… lucido e cilestrino, è bellissimo”. All’ingresso della Villa è stato collocata, emblematica- mente, la sola scultura realizzata da Guttuso, “L’Edicola”, un’immagine pittorica a tre dimensioni, in cui l’uomo che legge i giornali sembra proprio incarnare lo strettissimo legame tra l’opera del pittore e la realtà sociale del suo tempo. Ma qual è la ragione che ha portato gli organizzatori a focalizzare la loro attenzione sul ventennio 1946-1966? Si tratta, in vero, di un periodo parti- colarmente ricco sul piano della pro- duzione pittorica e denso di eventi e cambiamenti che influirono sia sul profilo artistico che sulla dimensione psicologica di Renato Guttuso. Già tra la fine degli anni trenta ed i primi anni quaranta Guttuso si era distinto tra i principali protagonisti del grande dibattito tra astrattisti e realisti, che animava il mondo culturale italiano. 102 ATTUALITÀ E COSTUME Renato Guttuso e il linguaggio della sua pittura La Vucciria, 1974 L’Edicola, 1965

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La ricerca di un linguaggio nuovo, che sapesse rappre-sentare i drammi quotidiani della povera gente, mapotesse anche raccontare i ricordi di un’infanzia e diuna terra lontana, un linguaggio che fosse accessibilea tutti e che al tempo stesso sapesse esprimere grandipassioni ed ambiziosi progetti di cambiamento: questoè il difficile percorso che possiamo leggere nell’operadi Renato Guttuso.Siciliano di Bagheria, dove nacque il 26 dicembre del1911, si è portato dentro gli occhi e nel cuore i colori,le forme e i profumi della sua terra, che spesso riemer-gono prepotenti dalle sue tele, reinterpretati secondoun sentire forte ed impetuoso.Amava ripetere Renato "Perché un'opera viva bisognache l'uomo che la produce sia in collera ed esprima lasua collera nel modo che più si confà a quell'uomo.Un’opera d'arte è sempre la somma dei piaceri e deidolori dell'uomo che l'ha creata. Intendo dire non ènecessario per un pittore essere di un partito o di unaltro o fare una guerra o una rivoluzione, ma è necessarioche egli agisca nel dipingere come agisce chi fa unaguerra o una rivoluzione. Come chi muore insommaper qualcosa". Questo ideale di “impegno” è stato ilfulcro, tra l’altro, della grande mostra antologica "DalFronte Nuovo all'Autobiografia, 1946-1966", che haraccolto a Bagheria, dal 19 luglio 2003 all’11 gennaio2004, più di 300 opere, provenienti dacollezioni private e da numerosi museiitaliani e stranieri. La mostra è stataallestita nel settecentesco scenario diVilla Cattolica, dove ha sede la Galleriapermanente d’Arte Moderna e Con-temporanea “Renato Guttuso”.Nel giardino della Villa si erge anchel'arca monumentale, realizzatadall’amico scultore, Giacomo Manzù,ed in cui riposano le spoglie mortalidi Guttuso. Infatti poco prima di morire,nel 1987, Renato aveva espresso lavolontà di essere sepolto in un postoda dove si potesse ammirare il mare…“Avevo tanto desiderio di vederlo,questo mio mare che non mi sonoancora saziato di guardarlo.

Ora l’ho dinnanzi… lucido e cilestrino, è bellissimo”.All’ingresso della Villa è stato collocata, emblematica-mente, la sola scultura realizzata da Guttuso, “L’Edicola”,un’immagine pittorica a tre dimensioni, in cui l’uomo

che legge i giornali sembra proprioincarnare lo strettissimo legame tral’opera del pittore e la realtà socialedel suo tempo.Ma qual è la ragione che ha portatogli organizzatori a focalizzare la loroattenzione sul ventennio 1946-1966?Si tratta, in vero, di un periodo parti-colarmente ricco sul piano della pro-duzione pittorica e denso di eventi ecambiamenti che influirono sia sulprofilo artistico che sulla dimensionepsicologica di Renato Guttuso.Già tra la fine degli anni trenta ed iprimi anni quaranta Guttuso si eradistinto tra i principali protagonisti delgrande dibattito tra astrattisti e realisti,

che animava il mondo culturale italiano.

102 ATTUALITÀ E COSTUME

Renato Guttusoe il linguaggio della sua pittura

La Vucciria, 1974

L’Edicola, 1965

In quegli anni Roma pullulava diatelier e di laboratori artistici, in ViaMargutta, a Villa Massimo, sulla ViaNomentana, che funzionavano daveri e propri cenacoli intellettuali,dove si riunivano a discutere pittori,scultori, poeti, letterati e critici.In questo clima Guttuso aveva ma-turato una posizione molto chiara,in quanto riteneva che “Le posizioni

puramente astrattiste o puramentenaturaliste sono entrambe le strademorte dell’accademia”.Renato aveva, inoltre, conosciutoed ammirava profondamente PabloPicasso, che in seguito divenne perlui un punto di riferimento ed unsimbolo, in quanto incarnava l’idealedella lotta degli artisti per la libertàe la cultura “impegnata”.In questo contesto, nel 1947, Guttu-so, insieme ad altri artisti, tra cuiBirolli, Santomaso, Morlotti, Turcatoe Vedova, diede vita al “Fronte nuovodella arti”. Questo movimento fuun’eloquente espressione del trava-glio “generazionale” degli artisti neldopoguerra ed infatti, a causa degliinsanabili conflitti interni, si sciolsedopo appena tre anni. Nonostanteciò raggiunse fama internazionale,tanto da essere presente nella mo-stra del 1949 al MoMA di New York,in quanto rappresentativo della pit-tura italiana di quegli anni.Nello stesso periodo scrittori comeVittorini e registi come Visconti con-tribuirono a definire un nuovo idealedi arte, che fosse ancorato al viveredoloroso della gente ed esprimessecontenuti chiari ed intelligibili.Proprio allora Guttuso dipinse “Lazolfara”, una toccante rappresenta-zione del duro lavoro della povera

gente, di cuiriportiamo l’elo-quente com-mento di Vin-cenzo Consolo:“Dentro quellanotte senza fi-ne, quelle vi-scere acide digiallo, i carusi,sono nella de-bolezza, nellanudità totale,rosi dalla faticadisumana, dellaperenne pauradel crol lo edella fine. Unapagina di tale

orrore e di tale pietà solo Vergal’aveva scritta con Rosso Malpelo(e in contrappunto Pirandello conCiàula scopre la luna) e Malpelo èsicuramente il caruso piegato di LaZolfara”.Da questa fase, che potremmo de-finire “combattiva”, Guttuso emersecon un certo senso di disincanto edi amarezza, che comincia ad affio-rare nelle opere degli anni ’50: lapercezione della solitudine, degliideali disillusi, della difficoltà di co-municare inizia dolorosamente a farsistrada.Un chiaro esempio è costituito da“Boogie woogie” del 1953, in cuiviene rappresentato un momento disvago collettivo in una sala da ballo.Sullo sfondo è riprodotto, polemica-mente, il quadro di Mondrian Brod-way Boogie Woogie. La folla che siagita nella pista è composta, comespessissimo nei quadri di Guttuso,da persone reali che frequentavanoil suo ambiente. I colori dominantisono cupi, tranne un punto luminosoin primo piano, che proietta una lucetenue su una donna che, appoggiataad un tavolino, sola e malinconica,fuma una sigaretta. Sembra proprioche il pittore abbia voluto rappresen-tare l’intrinseca decadenza dellasocietà del miracolo economico.Un’analoga sensazione di rito collet-tivo, in cui tuttavia ogni personaggioconserva una sua ritrosa individualitàsi percepisce ne “La spiaggia”, pre-sentato alla Biennale di Venezia del1956. In questo quadro, dalla strut-tura compositiva molto complessa,paragonata alla Grande Jatte di

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La Zolfara, 1949

Boogie Woogie, 1953

La Spiaggia, 1955/56

Angolo di studio , 1961

Seurat, il nostro sguardo è inevita-bilmente attratto dalla sensualità epromiscuità della massa di corpi alsole, tra i quali non emerge un primoattore o una prima donna. Le figurerappresentate non sono, tuttavia,sagome, ma personaggi, ognunodei quali è connotato dai segni dellasua condizione sociale ed esperienzapersonale. Anche il tema della naturamorta si carica in questi anni di forticontenuti espressionisti e soprattuttotrasmette una sensazione di pericoloe di disagio: Renato non dipinge leforme rotonde e regolari della fruttamatura o dei vasi panciuti, ma piut-tosto quelle irte dei cactus, dellecastagne, dei carciofi e dei ricci dimare. Anche gli oggetti quotidianiassumono una connotazione minac-ciosa: martelli e tenaglie taglienti,forbici e forchette, tutti oggetti chereprimono l’istinto di toccare.Nell’Angolo di studio l’accumulodegli oggetti trasmette un senso dif rustraz ione che scatur iscedall’abbondanza combinata al disor-dine. Gli strumenti dello studio ap-paiono logori, quasi da buttar via.Manca un punto focale e si percepi-sce un clima da collasso imminente.Questi primi segni di una malinconicariflessione sull’uomo e soprattuttosul suo rapporto con il mondo ma-

turano in alcune opere che lo stessoGuttuso definì il “ciclo dell’Auto-biografia”. Uno spirito irruento comeRenato non poteva rinunciare allalotta, ma in lui emerge adesso il

bisogno di rappresentare il suo uni-verso immaginario ed emotivo se-condo una prospettiva diversa. Nonc’è bisogno di sottolineare la caricaespressiva trasmessa dal ritratto diNannarella o la rassicurante tenerez-za che promana dall’Auto-ritrattocon Mimise, che fu per anni mogliee compagna del pittore. Languida-mente inquietante è, invece, “Il pit-tore di carretti”, con cui Guttuso havoluto dar vita ad un suo ricordoinfantile, risalente a quando stavaper ore ad osservare la paziente emeticolosa opera del decoratore dicarretti siciliani, Emilio Murdolo. Inprimo piano colpisce la mano, fissatanel gesto di dipingere, mentre il visodel pittore si dissolve praticamentenel cielo, quasi ad esprimere unatotale simbiosi con l’ambiente circo-stante. A questo complessa evolu-zione pittorica Guttuso ha associatoun’attività artistica poliedrica, chespazia dalle scenografie teatraliall’illustrazione di capolavori letterari,tra cui la stessa Divina Commedia.Ed a questo proposito Elio Vittoriniosservava: “Esistono due buoni modidi illustrare un libro, corrispondereal suo linguaggio, al suo stile o inter-pretare il fondo con un istinto darabdomante che trova ciò che loscrittore stesso non poteva saperedi avere detto. Renato Guttuso haseguito questo secondo modo e ilrisultato ci è sembrato bellissimo…”Tutti i lavori di Guttuso, infatti, espri-mono in forme diverse lo spirito tor-mentato di un uomo che aveva de-ciso di vivere il suo tempo, immersopienamente nei problemi e nelle vi-cende che lo contrassegnavano.D'altronde dei suoi ritratti lo stessoGuttuso scriveva: "Il volto è tutto,sulla faccia della gente c'è la storiache stiamo vivendo, l'affanno deigiorni. La portiamo incisa più deifatti che ci accadono in presa direttao che avvengono lontano: noi siamola vera pellicola della realtà; e io ladipingo".

Ada Puglisi

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Il Pittore di carretti, 1966

Ritratto di Anna Magnani, 1960

Autoritratto con Mimise, 1966

Autoritratto, 1940