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n editoriale: L'ATTESA DEL PRIN- CIPE DELLA PACE. D corsivo: ZIBALDONE 1982. D cultura: IL DIAVOLO E IL PROFESSORE. D politica internazionale: NORD - SUD: INGIUSTIZIA PLANETARIA. D libri: PER LEGGERE IL TEMPO CHE VIVIAMO. D società: QUAN- TE STRADE HA LA PACE? D chiesa: QUELL'IMMENSA SIMPA- TIA PER L'UOMO E IL MONDO. D recensione: UNA STORIA DEL- LA COOPERAZIONE TRENTINA. D taccuino culturale trentino D ìn- dice dell'annata 1982. 10 1 982

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n editoriale: L'ATTESA DEL PRIN-

CIPE DELLA PACE. D corsivo:

ZIBALDONE 1982. D cultura: IL

DIAVOLO E IL PROFESSORE. D

politica internazionale: NORD -

SUD: INGIUSTIZIA PLANETARIA.

D libri: PER LEGGERE IL TEMPO

CHE VIVIAMO. D società: QUAN-

TE STRADE HA LA PACE? D

chiesa: QUELL'IMMENSA SIMPA-

TIA PER L'UOMO E IL MONDO.

D recensione: UNA STORIA DEL-

LA COOPERAZIONE TRENTINA. D

taccuino culturale trentino D ìn-

dice dell'annata 1982.

10 1 9 8 2

I L M A R G I N Emensile dell'associazione culturaleOscar A. Remerò

Direttore: PAOLO GHEZZICondirettore: MICHELE NICOLETTIRedazione: LUCIANO AZZOLINI {dir.resp. a norma di legge) - DANIELAGIULIANI (segreteria) - PAOLOGIUNTELLA - ROBERTO LAMBEHTI-NI - FABRIZIO MATTEVI - VINCENZOPASSERINI - MARIA TERESA PON-TARA - MARIANO PRETTI - SILVANOZUCALUna copia, L. 1.000 - un arretrato,L. 2.000 - abbonamento annuo,L. 12.000 - abbonamento sosteni-tore, da L. 20.000 in su - prezziper l'estero: una copia, L. 2.000abbonamento annuo, L. 20.000,I versamenti vanno effettuati sulc.c.p. n. 14/9339 intestato a « IIMargine », Trento.Autorizzazione Tribunale di Trenton. 326 del 10.1.1981.Redazione e amministraz.: «I]Margine », c.p. 359, 38100 Trento.

I] Margine n. 10 - anno IIdicembre 1982

L'attesa del Principe della Pace p. 3

Zibaldone 1982 p^ 7

II Diavolo e il Professore p. 10

Nord-Sud: ingiustizia planetaria p. 13

Per leggere il tempo che viviamo p. 19

Quante strade ha la pace? p. 23

Quell'immensa simpatia per l'uo-mo e il mondo p. 31

Una storia della cooperazionetrentina p. 36

Una ricerca siti futuro:società post-industriatee condizione giovanile p. 38

Taccuino culturale trentina p. 40

Indice dell'annata 1982 p. 41

PRIMA DI LEGGERE QUESTO NUMERO

Questo è l'ultimo numero dell'anno, un numero pieno d! riferimenti e di riflessionisulla pace. E' con questa parola che vogliamo augurare a tutti un buon Natalee un buon 1983. Parche ognuno di noi possa contribuire con le sue mani a eli-minare un pozzetto d! guerra, di violenza, di morte, un pezzette della paura che

ci circonda, a fare la sua piccola parte.

« I l Margine» è in vendita a Trento presso: «Disertori», via s. Vigilie; « Pao-line », vìa Perini; «Artigianelli », vìa s. Croce. A Rovereto presso l'edicola a Torri-masoni », via Rialto.

Questo numero è slato chiuso in tipografia il 21 dicembre 1982.

Sulla strada dei Magi d'Occidente

U attesa del Principedella Pace

eli MICHELE NICOLETTI

« E' noto che agli ebrei era vietalo investigare il futuro. La Leggee la preghiera li istruiscono invece nella memoria. Ciò li liberavadal fascino del futuro, a cui soggiacciono quelli che cercano infor-mazioni presso gli indovini. Ma non per questo il futuro diventòper gli ebrei un tempo omogeneo e vuoto. Poiché ogni secondo, inesso, era la piccola porta da cui poteva entrare il Messia ».

Walter Benjamin

Ogni secondo poteva essere quello decisivo, quello giusto, quello at-teso per la liberazione dalla schiavitù, per la venuta del Messia, co-lui che avrebbe trasformato il resto del popolo santo in una nazioneforte e potente, che avrebbe governato la terra e riportato in essala giustizia. Ogni secondo poteva essere quello decisivo. Nell'attesasi ripetevano meccanicamente i gesti quotidiani della vita, del dor-mire, camminare e mangiare, del parlare e lavorare, ma come conil fiato sospeso, con l'orecchio teso, l'occhio attento, le mani prontea schiudersi di fronte a quell'attimo.L'attesa non si compiva. Si appannava nel silenzio o si capovolgeva,attraverso il deserto, nella nostalgia del passato. Oppure si rinno-vava frenetica, al mattino, nel mentre le dita adunche frugavano nelnuovo giorno, interrogavano il giornale, il vicino, la radio, perchéannunciasse, desse un segno, alludesse a quella venuta.« Guai a voi, che attendete l'annuncio della salvezza dai giornali edai governi! guai a voi, che attendete fuori dalle stanze degli alber-ghi, dei cinema e dei teatri, delle sedi dei partiti, dei centri culturaliriscaldati, la venuta della liberazione! guai a voi, aggrappati alle te-levisioni a colori, alle carte polverose sulle scrivanie, ai sedili dellemacchine! A voi non sarà dato neppure un segno ».

« C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendola guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti aloro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da gran-de spavento, ma l'angelo disse loro: "Non temete, ecco vi annunziouna grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella cittàdi Davide un Salvatore, che e il Cristo Signore. Questo per voi il segno:troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia " »

(Le. 2,8-li).

I re Magi d'Occidente

Vi erano, tra quelli che attendevano, tre Magi d'Occidente, tre in-dovini che investigavano il futuro. Attendevano il Principe della Pace.Avevano visto sorgere una stella e si erano messi in cammino.I Magi erano tutti ugualmente anziani e tutti ugualmente diversi.Ognuno diceva di aver atteso la pace, di averla cercata con forzadurante tutta la vita, di aver cercato assieme ad essa la giustizia ela libertà, di aver lottato ogni giorno e pagato di persona. Ugual-mente camminavano dietro la stella e parlavano.II primo vestiva una tunica chiara, lunga fino ai piedi, una fasciagli stringeva i fianchi e portava calzari di cuoio. Non mangiava car-ne, non possedeva nulla, era solito vivere assieme ad altri in comu-ne, lavorando i campi, pregando, studiando e cantando. « La pace —diceva — sta in quello che noi facciamo, sta nel nostro quotidianosottrarci alla violenza delle nostre tensioni, dei nostri rapporti, del-le nostre strutture. Ogni cosa nel mondo, non solo la guerra, ma ilpotere, il sapere, il mangiare, il vestire, il muoversi e l'incontrarsi,è dominato dalia violenza. Essa non si lascia regolare né limitare,si può solo rifiutare, opponendo ad essa la ricerca perenne dellaverità di ogni cosa, dell'amore verso ciascuno, dell'uguaglianza as-soluta, della povertà dei mezzi, del rifiuto del possedere ».Gli altri due ascoltavano assorti; poi dissero: «La tua strada nonè la nostra. Ciò che tu predichi si può realizzare tra pochi, ed èbello e pieno di pace, ma non trasforma il mondo, lo lascia com'èin preda alla violenza. Tu non cambi la terra né vi porti la pace,ma costruisci un'altra terra lì accanto e lì vi coltivi la vita, condan-nando il mondo al dominio del male ».Il secondo, da solo, continuò: « Ogni attimo della nostra vita portain sé della violenza, ma questa è la condizione di tutti da cui tuttisi devono liberare. Anch'io ho cercata la pace, ma ho vissuto tragli uomini, facendo i loro mestieri, vivendo la loro famiglia, denun-ciando le ingiustizie e usando i loro strumenti per liberare dalla

violenza il mondo. Ho cercato di impedire agli speculatori di rapi-nare la terra, agli innocenti di finire in galera, ai generali di instal-lare i missili, ai manicomi di rinchiudere i malati; ho cercato dì sve-gliare le coscienze perché fossero attente, perché i regimi e i go-verni, gli eserciti e le polizie non le sopraffacessero. La pace è den-tro il mondo, ma sempre sul bordo, sempre contro di esso, semprepronta a rovesciarlo del tutto ».« Non ti capisco — disse il terzo rivolto a quello che aveva appenaparlato — tu accetti di stare nel mondo, ma non ne accetti la logica.Accetti di non sfuggire alla violenza perché la vuoi ridurre, conte-nere, denunciare, ma non accetti di ridurla governandola. Per te ilgoverno è sempre monopolio della violenza, mai strumento di ridu-zione di essa. Vuoi fare i conti con la violenza che è nel mondo manon ti vuoi sporcare le mani con gli strumenti che cercano di ren-derla controllabile da parte di tutti. Accetti di stare nella società,di vivere delle sue istituzioni, di essere garantito dai suoi giudici eprotetto dalla sua polizia, invochi la sua giustizia contro i padroni,contro i mafiosi e gli evasori, ma non vuoi assumerti la responsabi-lità di amministrarla. Anch'io ho cercato la pace dentro il mondocercando di governarlo e non solo di tamponarne le falle, accettan-do la violenza inscritta in ogni Stato, ma cercando di renderla tra-sparente, di ridurla al minimo, di ricorrere ad essa solo per difen-dere tutti gli uomini e non solo una parte, per difendere gli uomi-ni dalle aggressioni degli egoismi che mettevano in pericolo la lorovita, cercando di usare di questo governo per creare giustizia, persfamare chi non aveva nulla ».« E' forse diminuita la violenza? è forse saziata la farne della gentedel mondo? Le cose che dici sono morali e hanno una loro forza —i primi due ripresero a dire, fermandosi e interrompendo il cam-mino —. Hanno la forza della realtà di fatto, hanno la ragionevo-lezza delle cose che già ci sono, hanno il fascino persuasivo dellecose che esistono da secoli. Ma la realtà di fatto non da forza soloalle tue parole, da forza anche agli strumenti distruttivi con cuil'uomo oggi può mettere fine al mondo, da forza anche alle guerreche nessuno riesce a fermare. Le cose che dici sono cose già dette ».

Scrollarono il capo, la pace non si era posata sul mondo. I Magid'Occidente ripresero il cammino ugualmente incerti, come sapen-do di aver detto ciascuno solo un pezzo della pace, ugualmente de-cisi a seguire la stella. Ognuno portava un pezzette, eppure queipezzi non si lasciavano mettere insieme, le ragioni dell'uno nonerano le ragioni dell'altro. Ogni pezzo sapeva di non essere il tutto,eppure non si lasciava comporre con gli altri.

11 primo dei Magi portava incenso, simbolo della divinità e dellasacralità della pace. Il secondo portava mirra, simbolo della profe-zia e del martirio cui è sottoposta la pace. Il terzo portava oro,simbolo della regalità della pace.Ma i tre doni non si lasciavano comporre nelle mani dei tre Magid'Occidente. Ognuno avrebbe voluto essere da solo, anche se ognu-no sentiva di essere un pezzette, una parte, e sentiva di dover«6ce-gliere di essere solo un pezzette.

Zibaldone 1982di LIBER

II tempo dell'incenso, della mirra e dell'oro

La storia potrebbe finire qui. Senza indagare se i tre Magi d'Occi-dente siano tornati indietro, si siano divisi, oppure come i Magid'Oriente, siano arrivati fino al Principe della Pace, portando dinanzia lui i loro doni. Potrebbe finire dicendo che i Magi ugualmente sco-prirono che la pace, di cui il bambino nella mangiatoia era il prin-cipe, era un mistero più grande di quello dei loro desideri e dei lorosogni, e che il modo in cui si sarebbe realizzato sarebbe stato difficileda interpretare e ancora più da vivere. Potrebbe finire dicendo chei Magi ugualmente scoprirono che i pezzetti che non si compone-vano nelle loro mani, si sarebbero ricomposti alla fine dei tempi.La storia potrebbe finire qui, mettendo tutti a posto e lasciando laconclusione a chi la legge.Ma nel tempo che viviamo bisogna scegliere quale personaggio in-terpretare, pur consapevoli di interpretare solo una parte, senzapretendere di recitare le parti dì tutti i tre Magi, e magari anchequella dei pastori. Di fronte alla grotta sarebbe un po' presuntuoso.Noi siamo solo una « parte », anche se vogliamo farci carico del« tutto ». Ma il tutto in cui ogni parte si compone non si distendenello spazio, ma nel tempo. La pace non è uguale in tutti i tempie ogni tempo ha la sua pace: « il tempo che è per sempre » ha lapace del sacro e dell'incenso ed essa va celebrata nella contempla-zione e nella fraternità; « il tempo che è ora » ha la pace della pro-fezia e del martirio ed essa va annunciata e costruita nella denuncia,nella testimonianza, nella formazione delle coscienze, nella lottacontro l'ingiustizia, nel rifiuto personale e radicale di ogni violenza;« il tempo che sarà » — e solo quello — possiederà la pace cheregna. E nella celebrazione e nella profezia l'attesa si compie, •

VPIv j

Commiato

(Variazioni su un tema di Arbasino).Caro 1982, mi siedo perché mi gira la testa. Colpa tua. Facevo lamarcia pacifista e mi hai -fatto voltare a destra per guardare la pa-rata dei carri armati a Varsavia, poi a sinistra per la parata deiguerriglieri nel Salvador, poi ancora a destra per la parata dei no-stri bersaglieri in Libano; ero sintonizzato su Israele e dopo i mas-sacri di Beirut mi hai fatto cambiare canale dove ho sentito musicanuova ma dopo l'assalto alla sinagoga di Roma mi hai mandato sulterzo; ero tranquillamente seduto al centro sulle Falkland e mi haibuttato a cannonate dalla parte degli argentini ma questi han -fattodi tutto perché sorridessi alla Regina che ha però risposto ghignan-do ferocemente; camminavo diritto lungo la Fine Naturale dellaLegislatura e mi hai detto di girare a sinistra per le Elezioni Anti-cipate ma io non ti ho creduto perché avevo imparato che quellaera una svolta a destra e invece mi sbagliavo, o ti sbagliavi tu; an-davo con la Comunicazione Giudiziaria al centro per colpire a casopoi mi hai detto che in realtà andavo a destra e colpivo a sinistrae adesso mi rimproveri di andare a sinistra e di colpire al centro;lavoravo al palazzo della Riforma della Secondaria e mi hai sposta-to a buttar giù quello nuovo della Riforma della Sanità ma mi haitolto anche di lì per mandarmi a fotografare i ruderi del palazzodella Costituzione dove sarà costruito il nuovo palazzo della Rifor-ma delle Istituzioni, Caro 1982, sei un libertino. Mi gira la testa.Credevo di marciare e mi hai -fatto ballare il valzer, Vattene, Maprima regala anche a me un'affidabile cometa.

Ritagli semiserl

II generale Dozier, prigioniero dei terroristi, viene liberato.Il generale Jaruzelski reprime duramente le rivolte in Polonia.Il generale Galtieri ordina l'invasione delle Falkland.

Il generale Dalla Chiesa è assassinato in Sicilia.Il generale Sharon è accusato di responsabilità nelle stragi di Beirut.

Gennaio;Febbraio:

Marzo:

Agosto:

infuria la guerra civile nel Salvador.manifestazioni per il Salvador, proteste per il Salvador>mozioni per il Salvador, appelli per il Salvador, ri,ger-che scolastiche sul Salvador, crisi di governo per ilSalvador?la destra vince le elezioni nel Salvador e il democristia-no Duarte è sconfitto.

contravvenzione ad assessore al traffico di Montichelloinvita a cena notizia di massacro nel Salvador incon-trata sola in fondo a quinta pagina di giornale.

« Oltre che per la vittoria della nazionale, questo Mundial entra co-sì nella storia patria per aver fatto registrare uno dei rarissimi casiin cui la nostra stampa ha dovuto ammettere, senza perifrasi, senzaattenuanti, nella sua totalità, di essersi sbagliata » (« Alfabeta »,n. 40, settembre 1982).

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I commercianti di ispirazione cristiana si sono dati convegno peranalizzare la crisi economica italiana alla Ilice della più generalecrisi di civiltà che attanaglia l'Occidente. Tema del convegno « LaDifesa dei Valori ». E' stato approvato pertanto un documento finalein cui si chiede il ritiro della proposta di legge che precede l'intro-duzione obbligatoria dei registratori di cassa.

Il presidente americano Reagan ha annunciato che la notte di Nataleaccenderà sulle finestre della Casa Bianca tante candeline quanterisultano le persone scomparse in Argentina, invitando il mondo aseguire il suo esempio. La televisione italiana si collegherà, in quel-l'occasione, in diretta con Washington.

Svalutazioni e rivalutazioni continue.I Mille di Marco Polo -valgono più del Milione di Garibaldi e gli Ot-tocento dì Paganìni valgono meno dei Duecento di San Francesco,ma i Cento di Prezzolini da vivo valgono i Cento di Prezzolali damorto?

Corsi e ricorsi

« Una guerra perduta avrebbe indubbiamente l'effetto che i nemicidel ministero desiderano con ardore: infatti, chi potrebbe resistereal discredito di una follia che 'finisce in disastro? Ma anche se unainvasione irresponsabile ottenesse un successo immeritato, e l'Isoladi Falkland ci fosse ceduta senza condizioni con ogni diritto pre-cedente e susseguente; se la marmaglia berciasse per le strade, ebrillassero le finestre nelle case, tuttavia coloro che conoscono ilvalore della vita, e la mutevolezza del favore popolare, dovrebberoprotestare, forse senza essere uditi, per l'aumento del debito pubbli-co e per la perdita della nostra gente »,(Samuel Johnson, Riflessioni sugli ultimi fatti relativi alle IsoleFalkland, 2771 - edizione Adelphi, 1982),

(Ricordando Dalla Chiesa). « ... chi, senz'altre precauzioni, portava unalivrea che impegnasse a difenderlo la vanità e l'interesse dì unafamiglia potente, di tutto un ceto, era libero nelle sue operazioni,e poteva ridersi di tutto quel fracasso delle gride. Di quegli stessich'eran deputati a farle eseguire, alcuni appartenevano per nascitaalla parte privilegiata, alcuni ne dipendevano per clientela; gli unie gli altri, per educazione, per'interesse, per consuetudine, per imi-tazione, ne avevano abbracciate le massime, e si sarebbero ben guar-dati dall'offenderle, per amore d'un pezzo di carta attaccato sullecantonate.Gli uomini poi incaricati dell'esecuzione immediata, quando fosserostati intraprendenti come eroi, ubbidienti come monaci, e pronti asacrificarsi come martiri, non avrebbero però potuto venirne allafine, inferiori com'eran dì numero a quelli che si trattava di sotto-mettere, e con una grande probabilità d'essere abbandonati da chi,in astratto e, per così dire, in teoria, imponeva loro di operare »,(Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, Cap. I). •

IMPORTANTE CONVEGNO SU DON LORENZO MILANI

Come era stato messo in cantiere nel convegno programmatico di Tgrzolas,l'Associazione « Oscar A. Remerò » può finalmente annunciare per sabato 5 feb-braio 1983 il Convegno sulla figura di don Lorenzo Milani a 15 anni dalla morte.Hanno già assicurato la loro presenza il dott. Gian Paolo Meuccì, presidentede) Tribunale dal minori di Firenze e amico personale di don Lorenzo oltre adalcuni a ragazzi » della scuola di Barbiana. Par tutti un appuntamento da se-gnare sull'agenda.

La scomparsa di Lucio Lombardo Radice

II Diavolo e il Professoredi SILVANO ZUCAL

Lucio Lombardo Radice, intellettuale comunista, grande matematico,si è spento improvvisamente a Bruxelles il 21 di novembre, mentrestava preparando con altri personaggi della cultura internazionaleun convegno sul disarmo. Fin qui le scarne note di agenzia, ripresee pubblicate da tutti i giornali.Eppure, certe morti ti suscitano dentro nell'animo e nel pensierouna serie di associazioni che t'impediscono di leggerle in modo così!scarnificato ed inessenziale. Dopo aver sentito la notizia al telegior-nale, mi sono ritornate vive e nitidissime le immagini di una tra-smissione televisiva di dieci anni fa. Il 15 novembre del 1972, Pao-lo VI, il papa tormentato dalla mediazione della fede nel mondomoderno, se ne era uscito con un'espressione che aveva scandaliz-zato il mondo laico e sorpreso in larga parte anche un mondo cat-tolico ormai disabituato a certe espressioni. Aveva parlato del dia-volo, dicendo a chiare lettere che il male non è una semplice defi-cienza ma un'« efficienza di un essere spirituale ... perverso e per-vertitore ». Lo scandalo di quella espressione aveva movimentatoun ampio dibattito e la televisione volle farsene in qualche modointerprete, chiamando a parlare del diavolo tre personaggi diversis-simi: Giorgio La Pira, Pier Paolo Pasolini e per l'appunto lui, ilprofessore Lombardo Radice.Ricordo quella trasmissione come una delle più suggestive che abbiamai visto. La Pira con il suo caraneristico gesticolare diceva che sì,il diavolo esisteva proprio, che lui era il grande tentatore e l'Anti-cristo, ma ormai esso stava dispiegando le sue ultime violenze etragedie, perché ci stavamo avvicinando ad un tempo apocalitticodi pace. Quelli che erano all'opera erano i suoi tremendi colpi dicoda, ma comunque per lui era vicino lo stagno di fuoco e zolfo di cuiparla l'Apocalisse, cioè il tempo della definitiva sconfitta. Pasoliniinvece si contorceva in quel caratteristico pudore e in quella tipicatitubanza che provava sempre dinanzi alle telecamere: il diavolonon esisteva, perché era spenta la religiosità popolare che lo aveva

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espresso, ma d'altra parte esso riemergeva, diavolo senza volto esenza religione, come Potere metafisico che schiaccia ogni umanità,come società consumìstica che livella ogni valore e ogni cultura,che distrugge le lucciole. Non c'era più un demonio che incitassealla trasgressione perché ormai tutto era stato oltrepassato, tuttoera stato « trasgredito » e il demoniaco era la nuova ed unica tota-lità che si era sostituita al positivo e al vitale. Il professore all'op-posto, sdraiato nella sua poltrona, non si lasciava coinvolgere dalgesticolare un po' scomposto degli altri due e con solennità sen-tenziava: « da marxista e da storicista hegeliano, posso solo direche il diavolo non esiste e che semmai esiste non un male assoluto,ma un male relativo, il male della divisione in classi che va supe-rato verso la progressiva realizzazione del socialismo »,

Testimone del dialogo e del pluralismo

Ecco, questo era in fondo Lucio Lombardo Radice: un comunistache non si scompone, che è convinto del suo credo fino a farne unamassima morale, ma che nello stesso tempo, da comunista di altis-sima sensibilità culturale, non ^demonizza gli altri, i non comunisti,così come non idolatra la propria ideologia. In ciò era veramenteun comunista « diverso »: sufficientemente laico verso il suo partitoda riuscire a vederne le magagne interne e da riuscire a dialogarecon gli altri. Un uomo pacato, quindi, che amava il dialogo e neaveva fatto una sorta di imperativo etico. Sulla rivista « Riformadella scuola », rivista culturale del PCI-Scuola, egli ripeteva spessoun originale concetto di pluralismo che da solo già lo poneva al difuori della tradizione e dell'ortodossia comunista del periodo togliat-tiano. Pluralismo, amava ripetere Lucio Lombardo Radice, non èsolo garantire che tutti abbiano il proprio spazio, la propria cit-tadella, il proprio isolotto culturale. Pluralismo non è solo una giu-stapposizione di culture (marxista, cattolica, laica), ma un intrecciofecondo di comunicazioni, significa cioè incontrarsi, parlarsi, rico-noscere le reciproche ragioni, senza scorciatoie irenistiche, ma an-che senza chiusure preconcette. E Lombardo Radice fu sempre te-stimone di questo. Non c'era convegno della Cittadella di Assisi cuiegli non fosse presente. Egli amava in modo particolare il dialogoeoa i cattolici, perché riteneva che, al di là delle diversità, cattolicie marxisti fossero accomunati da un'istanza etica, dalla ricerca divalori quali la giustizia, la pace, la liberazione dell'uomo, sui qualiera vano dividersi.Dialogo che testimoniava anche in famiglia. Ricordo, sempre in tv,

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il suo dialogo serrato con il figlio Marco Lombardo Radice (l'autoredi « Porci con le ali »), un figlio che lo contestava e di fronte al qua-le egli accettava di mettersi in discussione, magari ricordando chequesta famiglia che non aveva dato niente (stando al figlio) era co-munque sempre pronta ad accogliere non infrequentemente i capida lavare.La grandezza di Lucio Lombardo Radice è in questa fedele profes-sione di dialogo e in questa laicità. Una laicità che se gli impedivadi vedere il diavolo di cui parlava Paolo VI, non gli impediva di ve-dere il demoniaco che s'inseriva anche nelle perversioni della suastessa ideologia, nei gulag sovietici, di cui scrisse in un libro for-tunato che gli fece vincere un premio letterario.Ma il fascino di quest'intellettuale diverso, che pur nella diversitàdelle sue radici e del suo orientamento ideologico sento così vicino,può essere condensato da queste sue parole, tratte dalla prefazioneche proprio in relazione alla sua ansia di dialogo egli scrisse al for-tunatissimo « Ipotesi su Gesù » di Vittorio Messori: « Ecco, io cre-do, la ragione profonda dell'incontro tra rivoluzionari d'ispirazionestorico-materialistica e rivoluzionari d'ispirazione cristiana. Gli unie gli altri scommettono sull'uomo. Che poi si tratti dell'uomo in-teso come valore assoluto (l'uomo-Dio) o dell'uomo storico, relativo,che all'assoluto può solo tendere, può essere importante. Ma nondecisivo ». •

UN LIBRO DI SILVANO ZUCAL:

« LA TEOLOGIA DELLA MORTE IN KARL RAHNER »

Silvano Zucal, ricercatore presso l'Istituto di scienza religiose di Trento eredattore della nostra rivista, ha pubblicato, per le edizioni Dehoniane di Bo-logna, un saggio dal titolo: i La teologia della morte in Karl Rahner ». Il volume,aperto autorevolmente da una prefazione dello stesso Rahner, è giè nelle libre-rie. « II Margine» lo recensirà In uno dei prossimi numeri.

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POLITICA INTERNAZIONALE

Un'analisi della sperequazione internazionale delle risorse, al dì là

del « rapporto Brandt »

Nord - Sud:ingiustizia planetaria

di LUIGINO PELLEGRINI

Nel 1980 è stato pubblicato il « rapporto Brandt », documento redat-to da una commissione indipendente di stiidiosi, politici e persona-lità di primo piano in vari settori, guidati da Willy Brandt, che trat-ta gli impellenti problemi e il fosco quadro internazionale fruttodell'ineguaglianza di condizioni e relazioni tra Nord (Paesi industria-lizzati, USA, Europa Occidentale, Urss e paesi dell'Est, Giappone,Nuova Zelanda e Australia) e Sud (paesi emergenti) per lo più dapoco uscito da condizioni coloniali e che ancora risente delle anti-che prevaricazioni e sudditanze e dì nuovi e più sofisticati sistemidi sfruttamento.Il documento, che esula da ogni visione utopica, ha grande valoreproprio perché è un'autocrìtica che esce dal mondo capitalista esenza rinunciare a considerare egoismi locali e nazionali evidenziauna mappa dei « limiti massimi » oltre i quali c'è solo la catastrofe.Non è confortante constatare, a due anni dalla sua pubblicazione,che quasi nessuna delle proposte contenute è stata realizzata e chea livello internazionale va tutto alla deriva; sicuramente le inter-connessioni sempre più strette tra il potere economico, espressionespesso di interessi particolari, e il potere politico, e la miopia dimolti governanti, rallentano e ostacolano il processo di rinnovamen-to dell'ordine economico internazionale e i processi di collaborazio-ne tra gli Stati.La situazione di fame e miseria che fa da sfondo alla problematicava al di là di ogni immaginazione, anche a causa della nostra inca-pacità di calare le cifre nella realtà,Ne] mondo attualmente esistono circa 800 milioni di persone sot-toalirnentate, destinate a morire di fame. Si calcola che in certi Pae-

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si sottosviluppati il 40% dei bambini in età prescolare mostri segniclinici di denutrizione.Questa situazione, accompagnata dalle scarsissirne condizioni igieni-che (in molti Stati è bassissima la percentuale di persone cbe di-spongono di acqua potabile), determina nei Paesi emergenti unquadro sanitario spaventoso, dove ]e malattie infettive sono ende-miche, dove la malattia, Toncocercosi (che causa la cecità), la»bi-larziosi, il colera colpiscono milioni di persone e dove diarree didiversi tipi trasmesse dall'acqua inquinata provocano da sole —ogni anno — la morte di 17 milioni di bambini prima dei 5 anni di età.La carenza di medici, infermieri e strutture adeguate contribuiscead un ulteriore peggioramento della situazione.Il reddito annuo prò capite in 48 Paesi emergenti è in media mi-nore di 300$; questo dato naturalmente non considera i divari nel-la distribuzione del prodotto nazionale lordo all'interno dei singoliPaesi.Attualmente esistono nel mondo circa 900 milioni di disoccupati,750 milioni dei quali abitano nei Paesi in via di sviluppo.Alla base di questa situazione sta poi l'analfabetismo: le percen-tuali sono elevatissìme in molti Paesi e le soluzioni di questo pro-blema dovrebbero essere il trampolino di lancio per vincere la mi-seria.Per analfabetismo si intende: non saper né leggere né scrìvere, nonsaper coltivare la terra, non conoscere i propri diritti e doveri al-l'interno di una comunità.Soltanto uno Stato a cui sta a cuore la coscientizzazìone dei citta-dini, dimostra la volontà politica di migliorare le cose.

L'esplosione demografica non è causa, ma effetto della miseria

Quando si passa ad esaminare le cause di queste situazioni e deldivario tra le stesse e il nostro livello di vita è bene non semplifi-care le cose, visto che il problema è vastissimo ed ha radici pro-fonde ed intricate.Ma penso sia giunto ormai il tempo di smascherare e abbandonarecerte analisi contrabbandate con lo scopo di nascondere le verità suqueste realtà.Il considerare l'incremento demografico come causa e non comeeffetto della situazione di miseria, l'aggrapparsi a considerazioni sullimite delle risorse energetiche in una società come la nostra, dovelo spreco è ormai diventato necessità e in un mondo dove le risorse,

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se pur limitate, sono ancora sconosciute nella loro vastità, il con-siderare addirittura la nostra cultura come superiore a quella dialtri popoli, sono tutte espressioni della volontà di non cambiare,della paura di perdere dei privilegi e di completo abbandono del-l'amore per la giustizia.Un'analisi attenta della realtà richiede sempre dei riferimenti sto-rici; bisogna risalire appunto alle radici del problema.Il colonialismo dei secoli scorsi, che ha interessato gran parte deiPaesi ora sottosviluppati, rappresenta la prima grande ingiustiziadel Nord, e su questa ingiustizia il sistema economico capitalista haposto le basi della sua forza.Basti ricordare l'oro e l'argento sottratti all'America Latina nel Sei-cento, i 6 milioni di indios morti nelle miniere, gli 80 milioni di ne-gri deportati dall'Africa in America, altro modo per accumulare ilcapitale. In India gli inglesi distrussero in 30 anni tutte le industrietessili per stroncare la concorrenza.Nel 1800 il rapporto tra Paese più ricco e Paese più povero era di1 a 2; attualmente è di 1 a 70.Naturalmente il sistema coloniale oltre che defraudare ha spezzatoil corso di molte civiltà che avevano ormai raggiunto un certo gra-do di sviluppo, ma ahimè non conoscevano in modo tecnologicamen-te raffinato l'arte della guerra.

Nuovi meccanismi capitalìstici dì spoliazione

Ormai quasi tutte le ex colonie sono Stati indipendenti, ma il capi-talismo possiede ormai nuovi e più indecifrabili meccanismi di spo-liazione. L'attuale sistema economico è controllato dal Nord, daiPaesi forti che impongono le loro scelte. Basti pensare ai costi bassied instabili delle materie prime sulle cui esportazioni si basa l'eco-nomia di molti Paesi sottosviluppati, ai costi alti dei nostri manu-fatti di cui essi stessi avrebbero bisogno, ed ancora alle barriereprotezionistiche erette nei Paesi del Nord nei confronti del Sud. Siguardi poi al potere incontrollato delle multinazionali, le agevolazio-ni che esse ricevono in molti Stati con regimi politici totalitari so-stenuti dal Nord, le sperequazioni, i danni ecologici (inquinamento,disboscamento, erosioni dei terreni) e i danni sociali in popoli assog-gettali al loro potere.Un esempio chiaro è rappresentato dalle multinazionali alimentari(Cargil, Bud Antle, Del Monte) che invadono i Paesi sottosviluppatiimponendo monoculture per l'esportazione, espropri, urbanizzazione

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forzata dei contadini, perdita della terra e necessario ricorso al la-voro salariato non tutelato e quindi allo sfruttamento.L'instabilità del sistema monetario col crollo dei prezzi delle mo-noculture (caffè, cacao, tabacco, arachidi) determina anche il crollodei salari e l'impossibilità di comperare gli alimenti e pagare gliaffìtti.Infatti, sebbene l'esportazione agricola sia aumentata, in molti Sae-si in via di sviluppo i redditi sono diminuiti.Naturalmente, come il colonialismo dei secoli scorsi, anche quelloattuale tenta in tutti i modi di imporre sistemi culturali occiden-tali attraverso la pubblicità e la propaganda dei nostri modelli di vita.Da questo nuovo tipo di sfruttamento non sono esenti nemmeno iPaesi dell'Est, anche se in maniera diversa per certi aspetti. L'URSSinfatti possiede grossi interessi nelle banche inglesi e ha provvedinea collocare fabbriche in Iran dove la manodopera costa meno e iguadagni sono maggiori.

Basterebbero le spese militari di mezza giornataper debellare la malaria

Una considerazione a parte, come causa della situazione attuale, me-rita il problema degli arsenali di guerra che rappresentano il mas-simo della assurdità e dell'irrazionalità a cui l'uomo sia arrivato.Il potenziale distruttivo che le varie potenze hanno accumulato èin grado di annientare più volte l'umanità; il progetto di un equi-librio a questo livello rappresenta quindi un'utopia e spesso unamenzogna.L'equilibrio del terrore non ha evitato e non evita tutt'ora le guer-re; dal '45 in poi nel mondo la guerra ha provocato più morti diquanti ne abbia provocati la seconda guerra mondiale. Inoltre, aldì là di queste conseguenze, bisogna considerare l'enorme sprecodì risorse che accompagna la corsa agli armamenti. Le armi ucci-dono ancora prima di essere usate!Alcune cifre a riguardo: nel mondo negli ultimi anni si sono spesiin media, in armi, 350 miliardi di dollari per anno. Secondo calcolidi studiosi con 15 miliardi di dollari si potrebbero risolvere per 15anni i problemi essenziali di tutta 3a popolazione mondiale.L'Organizzazione Mondiale della Sanità non riesce ad avere i fondinecessari per debellare la malaria che colpisce circa 900 milioni dipersone; secondo il rapporto Brandt sarebbero sufficienti le spesemilitari di mezza giornata per risolvere tale calamità.

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All'interno di questa problematica non si deve dimenticare poi illosco mercato delle armi di cui l'Italia è una degna rappresentante,trovandosi al 4° posto dopo USA, URSS e Francia.L'Italia vende armi al Sud Africa, Paese razzista, e ai regimi tota-litari dell'America Latina, che in nome della sicurezza nazionaleusano queste armi per la repressione interna; inoltre vende armiall'Iran e all'Iraq che si fanno la guerra, a dimostrazione di comeil commercio subordini qualsiasi condizione ai guadagni.La situazione sta raggiungendo limiti di saturazione e gli sbocchiche ad essa sì presentano sì possono così sintetizzare:

— si continua così, andando alla deriva tentando di limitare i dan-ni con politiche dì esclusivo interesse nazionale o cercando appoggioda forze esterne; l'Italia sembra aver scelto questa strada;

— si arriva alla guerra, che di per sé ha spesso rappresentato, al-meno in passato, un incentivo allo sviluppo, un acceleratore econo-mico (negli USA, ad esempio, nel '33 vi era il 30% di disoccupati;nel '45 piena occupazione). Attualmente, però, una soluzione di que-sto genere potrebbe rappresentare la distruzione totale nonostanteche in certi ambienti militari prenda piede l'ipotesi di una guerranucleare limitata;

*

— si sceglie la cooperazione come sbocco positivo, e come base peruna soluzione equa del problema e per il rilancio di una nuova cul-tura universale fondata sulla solidarietà. La cooperazione va pensatain due modi: nuovi rapporti tra Nord e Sud in base ad un nuovosistema economico e rapporti reciproci tra Paesi emergenti attual-mente, peraltro, ostacolati dal Nord che teme la perdita della pro-pria influenza.

Ma 11 rapporto Brandt non esce dalla logicadel rilancio capitalista

II rapporto Brandt propone delle soluzioni che sicuramente, almenoin parte, potrebbero rappresentare i primi passi nella direzione giu-sta, ma dalle sue pagine non è difficile capire come esso rappresentiun rilancio del capitalismo.Infatti attribuisce alle multinazionali, nonostante ne denunci le stor-ture, un ruolo determinante nello sviluppo; sottolinea insistente-mente la necessità di una modernizzazione massiva dell'agricolturache attualmente, purtroppo sta favorendo i latifondisti e i proprie-tari di capitale e annientando le possibilità di milioni di contadini.

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Nel rapporto viene poi evidenziato il bisogno di industrializzare sumodello occidentale i Paesi emergenti, senza analizzare a fondo leproblematiche enormi di tipo sociale, psicologico e di adattamentoche ad esso si accompagnano.Il limite di tali proposte sta nel considerare lo sviluppo come fat-tore calato dall'alto, al quale l'etereogenità di popoli e culture sideve adattare; bisogna inoltre sottolineare che non è accettabile«*inprogresso puramente economico, e che non affondi le sue radici nel-le tradizioni e nella cultura del luogo.Ben diverso è l'accostamento a questi problemi da parte di alcunileaders del Sud, pochi del resto, perché troppo spesso tolti di mez-zo o emarginati; gli stessi principi guidano molti settori del volon-tariato internazionale che collabora allo sviluppo e alla cooperazio-ne tra i popoli.Albert Tèvoèdirè, ex ministro dell'informazione del Benin, nel suolibro « La povertà, ricchezza dei popoli », pone a fondamento delprogresso non la produzione ma la capacità di limitare i bisogni,contrapponendo un livello di vita austero, ma dignitoso, al folleconsumismo delle società industrializzate.In poche parole auspica la distruzione dell'anima capitalista chetende a concentrare nel possesso delle cose tutte le realtà di cuiogni uomo è portatore.Importante è perciò sottolineare l'esigenza di uno sviluppo differen-ziato che rispetti le esigenze e le necessità di popoli diversi e digruppi etnici diversi. Per questo lo sviluppo deve essere « autosvi-luppo ».Come già detto l'alfabetizzazione, e soprattutto la coscientizzazionedi tutti gli uomini, dovrebbe rappresentare il motore e la spinta in-sostituibile alla soluzione di questi problemi.Si dovrà privilegiare inoltre, un tipo dì agricoltura che soddisfi pri-ma di tutto le richieste della popolazione locale ed abbia come baseun'equa distribuzione delle terre.In un tale contesto l'industrializzazione dovrebbe rappresentare unprocesso consequenziale allo sviluppo agricolo razionale cercando dievitare gli errori il cui prezzo, in termini sociali ed umani, le no-stre società hanno pagato agli inizi del secolo e che società di Paesiemergenti pagano ora. •

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Tre libri singolari

Per leggereil tempo che viviamo

di VINCENZO PASSERINI

Un pensiero dominante? « II senso della morte ». Alla domanda del-l'intervistatore, così risponde Riccardo Muti, uomo di successo, pro-fessionista ovunque acclamato, marito e padre felice, a quarantun'an-ni uno dei migliori direttori d'orchestra del mondo. In che cosa cre-de? « Io credo... Mi farebbe orrore pensare di essere un sempliceaggregato chimico che deve marcire ingoiato dalla terra ». Non è unuomo malato che parla, non un fallito, né il fragile poeta intento acoltivare il suo piccolo orto di dolore e di speranza, le sue illusionie le sue tetraggini. Ma un uomo al culmine di una grande carriera,uno studioso ed artista di rara qualità. Senso della morte e speran-za della vita eterna. Due sotterranee presenze su cui cresce unavita amata, intensamente vissuta, carica di significato. Solo una cul-tura cieca e banale ha potuto invece vedere in queste presenze al-trettanti nemici della vita, funerei tarli che la corrodono alla radicee ne impediscono il pieno fiorire.

« Scommessa sulla morte »

E' contro questa cultura cieca e banale, che tutti oggi respiriamo,che si scaglia con appassionata convinzione Vittorio Messori nelsuo bellissimo libro « Scommessa sulla morte. La proposta cristianaillusione o speranza?» (Torino, S.E.I., 1982, pp. 414, L. 8.000), unlibro che parla appunto del senso della morte e della speranza del-la vita eterna come di due presenze su cui vale la pena fondare lapropria vita, realisticamente, perché l'illusione vera, la tetragginevera, è quella di voler coprire queste presenze col silenzio. E' que-sto il moderno scurantismo. La polemica di Messori contro la cul-tura oggi dominante è accorata e puntigliosa. L'ex-redattore del quo-tidiano « La Stampa », anche lui quarantenne di successo, vi ha

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riversato tutta la sapienza del giornalista abile e vigoroso e tuttala passione dell'ostinato ricercatore della verità, una verità che aun certo punto si è profilata all'orizzonte della ricerca, ha lanciatosegnali di presenza ed ha imposto la scelta. La scelta che ha per-messo di squarciare la nebbia dello scetticismo. In questo squarcioMessori si è buttato anima e corpo, come il suo maestro Pascal. Illibro vive di questa totale scommessa di Messori, uomo e intellet-tuale, che a un certo punto ha lasciato il suo giornale per dedicSrsialla ricerca di quelle verità intraviste tra le montagne di pagine ac-cumulate dalla sapienza umana e dalla storia quotidiana. « Scommes-sa sulla morte » è il risultato del lavoro di sei anni. I riferimenti anomi, fatti, movimenti di pensiero, studi, ricerche sono innumere-voli. Le fittissime quattrocento pagine offrono infiniti spunti di ri-flessione per tutti perché illuminano di luce nuova le tante faccedel vivere quotidiano di ciascuno. Infiocchettarlo, questo che è dav-vero un libro pieno di vita, e porlo sotto l'albero sarebbe una salu-tare provocazione in questi giorni di festa in cui, ignorato il Cristoche del senso del morire e quindi del vivere ha dato la risposta piùgrande che l'umanità abbia ascoltato, l'idiozia oscurantista della fe-licità a comando celebra i suoi tristi, fastosi riti.Il nostro tradizionale appuntamento con le novità librarie, è neces-sario dire a questo punto, sarà poco affollato e un po' singolare.Poco affollato perché: i libri cominciano a costare un po' troppo enon è il caso di proporne molti (bisogna aggiungere che il libro diMessori ha un prezzo straordinariamente basso se confrontato conaltre novità librarie di pari mole); non c'è, a quanto pare, molto tem-po per leggere e quindi sono due i motivi per selezionare al mas-simo le letture; infine, il recensore non riceve copie omaggio del li-bro (che è in fondo il motivo principale). Pochi ma buoni, allora,per dirla con una formula inventata su due piedi.

« Gìì ultimi giorni dell'umanità »

Un po' singolare, si diceva, anche. Singolare sì, perché se annuncioil titolo del secondo libro di cui voglio parlare, « Gli ultimi giornidell'umanità » di Karl Kraus (ed. Adephi), al lettore verrà spontaneodire: questo qui tra Messori e Kraus ci propina un Natale nero,Non solo. Chi ne sa di più potrà a ragione aggiungere: il libro haper lo meno sessant'anni ed è stato pubblicato in Italia già dueanni fa, quindi non è sotto nessun aspetto una novità; il libro poi,in realtà, sono due, per un totale di 779 pagine, un numero, questo,capace di fare il vuoto attorno a sé più o meno come il prezzo:trentamila lire.

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Provo a rispondere a queste ragionevoli obiezioni.La lettura di questo straordinario capolavoro, che la cultura mon-diale ha delittuosamente ignorato (la traduzione italiana di dueanni fa è la prima al mondo, se si fa eccezione per una traduzionein cèco del 1933) lasciandolo ai soli tedeschi che poi non devonoaverlo letto e meditato in massa, costituisce un'esperienza culturalesconvolgente, tale da rendere impossibile la lettura di qualcuna del-le novità letterarie, seppur più di spicco, di questi ultimi mesi. Per-ché risulterebbero banali (e forse a torto).Un'esperienza che va proposta e che ripaga in abbondanza la pa-zienza e l'impegno richiesti.« Gli ultimi giorni dell'umanità » portano un sottotitolo: « tragediain cinque atti con preludio ed epilogo ». La tragedia descritta inquesto testo teatrale in realtà irrapresentabile per il numero dellescene, 208, e la sterminata presenza di voci e figure, è quella dellaprima guerra mondiale.Sull'immaginario palcoscenico di Kraus si alternano generali e sol-dati, giornalisti e commercianti, imperatori e sguatteri, giudici ebanchieri. Ma questo è ben altro che un libro contro la guerra. E'un h'bro sulla « guerra perpetua » che il primo conflitto mondialeha inaugurato. Scrive Roberto Calasse: « Al caffè, con gli amici, inufficio, al ristorante, non sta mai male dire qualcosa contro la " fol-lia della guerra". E quanti abbiamo visto entusiasmarsi per quellaorrenda colomba della pace che Pìcasso regalò a Stalin? Kraus hadetto tutt'altro: ha detto che la pace è fondata sul massacro, e chela guerra è la serata di beneficienza in cui l'umanità mette in scenaciò che normalmente fa e non dice, perché il pubblico si entusiasmie versi un obolo sufficiente a far progredire il massacro. Kraus nonha dipinto, come tanti, i disastri della guerra. Ha solo portato l'an-nuncio della definitiva impossibilità della pace... La guerra che Krausdescriveva era un'eruzione della pace che aveva appena descritto ela pace successiva sarebbe stata un'eruzione di quella guerra cheKraus descriveva, finché una nuova guerra si sarebbe rivelata unaeruzione della precedente pace. Ma quella guerra Kraus [morto nel1936] non l'avrebbe vista. Da essa sarebbe discesa quella nuovissi-ma età in cui viviamo, che ripete il meccanismo della vecchia etàe in più tende a far convivere la tranquillità e il massacro, ormainon più separati nel tempo ma soltanto nello spazio — e in imospazio, fra l'altro, molto elastico: a volte la distanza si misura incontinenti, a volte in quartieri, come a Beirut ».Tesi a dir poco terrificanti quelle di Kraus, che istintivamente civiene da rifiutare. Ma chi se la sente di definirle assurde?Kraus ha la potenza diabolica e divina del profeta biblico, che vedele verità dentro le viscere della terra, che rovescia senza misericor-

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dia l'ovvietà, che grida oltre il tempo e alza il suo lamento: « Perchénon mi è stato dato il vigore per abbattere il peccato di questo pia-neta con un colpo d'ascia? Perché il mio grido di risposta non èstato più forte di questo stridulo comando che ha avuto il poteresulle anime di un globo terestre? ». Non era possibile che Krausfosse ascoltato. Non era logicamente possibile, per sua stessa am-missione, se no non avrebbe scritto « Gli ultimi giorni dell'umanità ».E' in questa impossibilità che sta la vera tragedia. Un'impossibifctàsulla cui fondatezza ha giurato il mezzo secolo che è seguito al librodi Kraus: mezzo secolo di immani stragi, in pace e in guerra. E'questa impossibilità che continua a sfidarci e a metterci con le spal-le al muro.Kraus è un maestro della lingua. La traduzione italiana, per quantoeccellente, distrugge in buona parte la sua potenza linguistica e illibro che noi possiamo leggere è solo un esempio di quello che èin realtà. Peccato, peccato che l'Italia non ci abbia dato un Kraus.Ma si sa che la nostra grande letteratura contemporanea dava finda allora prova della vastità dei suoi orizzonti occupandosi non giàdei conflitti mondiali ma di quelli coniugali.

« Itaca e oltre »

A ben altra grande letteratura ci avvicina invece il terzo libro diquesta scarna rassegna: « Itaca e oltre », di Claudio Magris (Gar-zanti, 1982, pp. 302, L. 14.000), che raccoglie articoli e recensionigià apparsi sul « Corriere della sera ». Magris è uno studioso, guar-da un po', di letteratura tedesca e più in generale di quella culturamitteleuropea che torna ad essere un punto privilegiato e insuperatoper capire questo secolo. Ogni articolo di Magris è ima lezione discrittura e di civiltà destinata a durare. Di cultura, quindi, nel verosenso della parola. Magris è stato ed è uno dei pochi importantiintellettuali italiani che hanno vissuto e vivono la contemporaneitàsenza farsi da essa travolgere; che hanno resistito alle sirene dellemode e dei giovanilismi, senza per questo arroccarsi nel vecchiumedella conservazione nostalgica. Gli allori e i proventi che ora va araccogliere nelle accademie e dalle classifiche delle vendite, gli ven-gono da questa esemplare coerenza di uomo di cultura autentica-mente moderno ma per nulla incline a piegarsi ai periodici, passeg-geri colpi di vento dell'industria culturale e politica.Così come Messori, così come Kraus, senza peraltro voler azzardareimpossibili (ma forse non del tutto) accostamenti, anche Magris ciaiuta dal suo particolare campo di riflessione a capire questo tem-po oltre la superficie. E ci indica strade di formazione culturale,insieme letteraria, etica e civile, degne di essere percorse, n

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Per distinguere tra i molti tipi di pacifismo

Quante strade ha la pace?

di ROBERTO LAMBERTINI

E' passato ormai lungo tempo da quando, sulla scia delle grandi mani-festazioni svoltesi in tutta Europa, anche in Italia « pace » e « pacifismo »sono diventate parole politicamente rilevanti. Accompagnate da diatribesui suoi (veri o presunti) usi unilaterali o di parte, la parola pace hadilagato a macchia d'olio in convegni, dibattiti e programmi politici, finoa far capolino nei manifesti delle associazioni combattentistiche. Scon-tatamente, l'inflazione dell'uso di alcuni termini trova un corrispondenteinevitabile nella loro crescente equivocità: se la congiuntura politica « ob-bliga » tutti a parlarne, ciascuno fa del suo meglio per intenderle nelmodo più consono alle proprie -posizioni.

Tutti insieme contro la guerra

Un medioevale chiamato ad affrontare questo intreccio di ambiguitàinizierebbe certo constatando che, per esempio, « pacifismo si dice inmolti modi » e passerebbe poi all'enumerazione paziente delle varie ac-cezioni possibili del termine. Qui basterà ricordare, molto banalmente,che praticamente tutti, per lo meno a parole, preferiscono la pace allaguerra, e sono quindi in senso lato, latissimo, pacifisti: le differenziazio-ni rilevanti si instaurano a livello del prezzo che si è disposti a pagareper costruire e mantenere la pace. Ci si trova in questo modo di frontead un ampio spettro di posizioni, che vanno dal consiglio di Alcibiade aPericle, secondo il quale era preferibile scatenare una guerra che ren-dere conto alla città dell'amministrazione delle sue finanze, alla sceltapacifista in senso stretto, per cui una guerra non è mai giustificata. Lapresente riflessione si vuole comunque occupare di una differenziazioneinterna al pacifismo inteso qui, in prima approssimazione come opposi-zione alla guerra che fa da supporto ideale agli attuali « Movimenti perla pace ». Proprio nei giorni in cui la marcia da Milano a Comiso espri-me l'avversione di tanti per l'installazione di missili a testata nuclearein Italia, può essere opportuno riflettere sulle motivazioni di questaopposizione.

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La guerra atomica: una guerra che non si può vincere

Senza dubbio, l'incubo di una catastrofe nucleare, insieme con il timoredi una guerra atomica tra le due Superpotenze che si proporrebbe dilimitare il proprio teatro all'Europa, è stato tra gli elementi determi-nanti del sorgere della nuova coscienza pacifista in Occidente. D'altraparte, a partire da Hiroshima, il riferimento al potenziale distruttivodelle bombe atomiche è stato centrale in tutte le esortazioni alla pace,anche di fonte assai autorevole. Lo schieramento di coloro che sono con-trari, per principio, all'uso di armi nucleari è relativamente vasto.Ma, e la domanda è solo apparentemente oziosa, si è contrari alla guerranucleare perché è nucleare o perché è una guerra? Istituisco questa op-posizione ideale, forse un po' arbitraria (lasciando volutamente da parteposizioni intermedie e sfumature di per sé legittime), perché mi sembrautile ad individuare diversificazioni profonde tra i modi con cui sì af-frontano simili problematiche.Conosciamo e, penso, condividiamo quasi tutti le argomentazioni chevengono usualmente usate per contestare la opportunità, la liceità, ad-dirittura la sensatezza di una guerra nucleare: imprevedibilìtà di prin-cipio delle sue conseguenze ecologiche, elevatissimo numero di morti,distruzione potenziale di entrambi i contendenti, del genere umano, senon addirittura di ogni forma di vita sulla terra. In una guerra cosìmostruosa (ma quale non lo è?), si sente spesso dire, non ci sarebberoné vincitori né vinti. In aggiunta agli orrori di ogni altra guerra, forsemoltiplicati per milioni di volte, un tale conflitto arriverebbe infatti benpresto all'annichilamento di entrambe le parti in causa. Proprio sul ca-rattere definitivo, assoluto, di un evento bellico di tal genere ci si basacomunemente anche per sostenere che l'equilibrio del terrore sarebbel'unica garanzia di pace: nessuno infatti, sì argomenta a partire dal sen-so comune, vuoi combattere una guerra che per principio non può vin-cere, ma in un conflitto nucleare entrambi i contendenti sono certi dinon poter vincere, dì conseguenza nessun essere razionale scatenerebbeun conflitto di questo tipo. L'irragioncvolezza di un gesto di tal genereè così universalmente riconosciuta che una delle usuali obiezioni alla« teoria dell'equilibrio del terrore », resa in modo così ironicamente ef-ficace da Kubrick nel Dottor Stranamore, è quella del pazzo che potreb-be, solo e proprio perché pazzo, spingere il fatìdico bottone.Mi sembra comunque che uno degli argomenti più forti contro la guer-ra nucleare stia nel fatto che essa, come conflitto che ha come probabileconseguenza la fine del mondo, non può essere vinta. La forza di questoargomento mi pare che trapeli anche da quello che si può capire dellepiù recenti proposte strategiche (vedi la costruzione dell'arma al neu-trone), volte essenzialmente a circoscrivere un eventuale conflitto nuclea-re in modo che si possa pensare ad un suo svolgimento che non sì esten-da automaticamente a tutto il globo. Solo in questo modo, infatti, inesso si potrebbe ricominciare a parlare di vincitori e vinti, ed esso tor-nerebbe ad essere razionalmente decidibile. Sintomatico è pure che lecontroargomentazioni pacifiste puntino soprattutto a ricondurre questa

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seconda ipotesi alla prima, sostenendo che nessuna delle strategie pro-poste garantisce effettivamente che il conflitto rimanga circoscritto enon si trasformi in olocausto universale. Anzi, la portata cosiddetta Inni-tata della bomba al neutrone potrebbe essere un rischio aggiuntivo, per-ché potrebbe indurre più facilmente ad innescare una serie di reazionia catena incontrollabili.

Anche Clausewitz sarebbe d'accordo...

Stupisce però ritrovare anche in un classico del pensiero « bellicista »,quale il trattato che von Clausewitz ha composto sulla guerra, la conce-zione per cui gli scontri bellici storicamente registrabili non si configu-rano mai come « guerre totali », volte all'annientamento assoluto dell'av-versario, bensì come mezzi per ottenere una « pace » (diplomaticamentee politicamente intesa) vantaggiosa. La guerra non si decìde, secondoClausewitz, per crudeltà o per atavico desiderio di distruzione, bensì perottenere concreti vantaggi di carattere territoriale, strategico, politico insenso lato. A ben vedere, se quest'ultima è l'essenza delle guerre storiche,sulla cui proponibilità egli non ha dubbi, anche per Clausewitz il con-flitto nucleare non sarebbe una « guerra » nel senso esatto della parola,perché alla fine di essa non si darebbero vincitori e paci vantaggiose,bensì, tutt'al più e nella migliore delle ipotesi, sopravvissuti.E' quindi, singolarmente, un me'desimo sistema dì pensiero a poter so-stenere la classica teoria della guerra, ed insieme il rifiuto delle arminucleari. Sicché, con l'aver preso posizioni pacifiste sulla base della di-struttivìtà dei missili e della bomba al neutrone, non si è ancora dettonulla a proposito della guerra. Del tutto comprensibile, dunque, che stru-mentalmente Rogers inviti gli alleati della NATO, anche in considerazionedella vivacità di certe opinioni pubbliche, a potenziare il proprio arma-mento convenzionale, affinchè sia possibile dilazionare, se non evitare,l'uso delle armi nucleari.

Contro ogni guerra per motivi di coscienza

Ma si può essere contro la guerra nucleare semplicemente perché èguerra: questa posizione s'appella, almeno generalmente, ad un principiomorale che considera la guerra un omicidio di massa, per nulla nobili-tato dall'essere asservito alla ragion di stato o a crociate ideologicheo religiose. Se nel caso precedente il conflitto nucleare veniva rifiutatoin quanto mezzo non atto a raggiungere lo scopo che gli è proprio (la« vittoria »), qui è il mezzo « guerra » ad essere ricusato in quanto tale,a prescìndere da qualsiasi considerazione rispetto ai fini.In questa prospettiva la potenzialità di distruzione totale insita nel con-flitto nucleare non costituisce un salto dì qualità determinante all'internodel fenomeno guerra, bensì uno dei tanti casi dell'orrore bellico, quello

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in cui si può dire, forse, che l'immoralità della guerra si svela nel modopiù compiuto. Quello che agli occhi di molti poteva ancora rimanerecelato nella guerra « convenzionale », vale a dire la sua essenza di omi-cidio di massa senza attenuante alcuna, risalta inesorabilmente sullosfondo della possibilità della distruzione dell'intero genere umano. Semolti dei pensatori « bellicisti » possono, in certa misura, condividere laprima ipotesi di pacifismo antinucleare, dal momento che essa non ri-chiede prese di posizione sulla guerra in generale, la seconda, testé pre-sentata, rimane probabilmente inaccettabile, in quanto si basa su di unaopzione morale fondamentale, che rifiuta legittimità al fenomeno bellicoin quanto tale. Qui stanno la sua debolezza e la sua forza, perché se daima parte il carattere morale di questa scelta risulta difficilmente rap-portabile a considerazioni utilitarìstiche, ma anche razionali, esclude co-munque qualsiasi possibilità che dietro i « sermoni » antinucleari si na-sconda una inconfessata nostalgia per le guerre a « misura d'uomo »,quando si poteva ancora « virilmente » usare la forza senza suscitare ilterrore dell'estinzione.

Pacifismo relativo e,,.

All'interno dell'unanime opposizione agli armamenti nucleari si delineacosì una suddivisione tra due tipi di pacifismi, l'uno « relativo » perchési fonda su considerazioni dì ordine particolare, che centrano un aspettodel fenomeno guerra, l'altro « assoluto ». Del primo si possono dare na-turalmente più versioni, a seconda che in questione siano il tipo di ar-mi usate o i fini del conflitto, le classi sociali in esso coinvolte, il carat-tere offensivo o difensivo od aggressivo dell'impegno in esso da parte diuna nazione, le condizioni storiche generali. Pacifismi « relativi », oltre aquello specificamente antinucleare, possono essere considerati il ripudio,sancito dalla nostra costituzione, della guerra « come strumento di offesaalla libertà degli altri popoli », come anche il rifiuto secondo-internazio-nalista della guerra imperialistica. Ognuna dì queste ed innumerevoli al-tre versioni è impegnata, nell'applicazione coerente del criterio che le ècaratteristico, ad operare distinzioni tra guerre non-accettabili o meno.Il pacifismo « relativo » è quello che meno difficilmente si sposa alleWeltanschauungen più diffuse, anche perché, banalmente, la storia delleguerre è anche la storia delle discussioni sulla loro opportunità o meno,dibattuta sulla base dei più disparati criteri. All'interno di certe versionidi questo pacifismo « relativo » risulta possibile, in piena coerenza, es-sere contrari ai Cruìse ed ai SS20 senza rinunciare a festeggiare le ForzeArmate il 4 novembre, così come è possibile a Massimo Cacciari lamen-tarsi del fatto che il movimento per la pace in Europa sia « troppo pa-cifico ». Al di là di qualsiasi intento polemico, non si può fare a menodi rilevare che il pacifismo e relativo », se da una parte gode il vantaggiodi non porsi in stridente contrasto con tradizioni assodate, non è scevrodai rischi delle più svariate manipolazioni, data la difficoltà di ovviarealla labilità di certi criteri su cui si basa il rifiuto, condizionato, della

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guerra. Non è qui il caso di ricordare la debolezza di distinzioni qualiquella tra guerra aggressiva e difensiva, o l'impossibilità pratica di in-dividuare una istanza oggettìva, in grado di discriminare tra conflittiimperialisti e no, tra guerre d'indipendenza e di conquista... D'altra parte,l'opposizione all'uso di un'arma particolarmente distruttiva trova una piùcompleta giustificazione, piuttosto che nella considerazione dei massacriche provoca (quale arma non ha questo scopo?), nel rifiuto della « lo-gica bellica » in quanto tale della quale essa non è che uno dei fruttipiù recenti e spaventosi; ma un rifiuto di questo genere ci porterebbenel campo del pacifismo assoluto. Comunque, oggi come oggi, l'ipotesi« relativa », nella sua versione antinucleare, sembra l'unica in grado dicoagulare intorno a sé forze bastanti a costituire una efficace opposi-zione alla attuale corsa agli armamenti. Ma in un mondo martoriato dacontinue guerre convenzionali, dagli enormi costì umani, spesso utiliz-zate dalle superpotenze per sfidarsi per procura, qualsiasi pacifismo èsfidato ad allargare il proprio raggio d'azione, pena il macchiarsi di uneuropeismo deteriore, che consisterebbe, in parole povere, nell'essere perla pace solo nel senso di volere evitare che le guerre si svolgano incasa propria.

... pacifismo assoluto

Ma anche il pacifismo che abbiamo denominato « assoluto » non è unaposizione scevra da problemi, che derivano in primo luogo dalla diffi-coltà di una sua fondazione diversa da una fondamentale opzione non-violenta, che da parte sua è di non facile acccttazione e di altrettantodifficile sistematizzazione basata su argomenti razionali. Vi si aggiunga latotale estraneità di questa visione alle egemoni concezioni della storia,all'interno delle quali le guerre, per quanto malaugurate, sono consideratetristi evenienze in cui si misura perlomeno l'amore per la libertà nutritodai popoli, ed i cui esiti costituiscono parte integrante delle storie e delleepopee nazionali. Ancora oggi le manifestazioni pacifiste in occasione del4 novembre o del 25 aprile sono considerate perlomeno di cattivo gusto;eppure è innegabile che, in una concezione radicalmente pacifista, non sipuò perseverare nel ricordare le vittime dei conflitti mondiali come sesi trattasse di caduti in inauspicate ma pur sempre nobili tenzoni, in cuiil valore e lo spirito di sacrificio degli eroi ci ha acquistato benefici perÌ quali non ci è concesso di essere ingrati. Eppure, anche da parte dipersone che si dichiarano « per la pace », ogni contestazione di questaben assodata retorica viene considerata come un tentativo di insinuareche le vittime delle guerre fossero morte per niente, quando è propriocon certe celebrazioni, incapaci per principio di porre il passato in rap-porto critico con il presente, che va perduto il senso che la loro mortepuò avere per noi. Tant'è, ma l'Occidente salvato, a sentire i libri di sto-ria, da Milziade a Temistocle contro i Persiani, a Poitiers e a Lepantocontro i Musulmani, l'Occidente che ha esportato la propria civiltà congli imperialismi, fatica ad accettare una nuova filosofia della storia in

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cui la guerra non sia un mattone indispensabile nella costruzione del-l'edificio chiamato progreso, e dove la politica non sia la continuazionedella guerra con altri mezzi, o viceversa.Certo, anche il pacifismo assoluto stesso non è certo giunto a chiarezzasu questi problemi, anche perché questa nuova filosofia della storia nonpotrà limitarsi a condannare, ma dovrà anche comprendere.

La sfida di un'analisi razionale e di una nuova filosofia della storia

In effetti, fino ad oggi l'atteggiamento nei confronti della guerra è statosingolarmente contrassegnato dall'opposizione tra coloro che la rifiuta-vano considerandola una irrazionale esplosione di bestialità e quelli cheinvece, cercando di comprenderne l'interna razionalità, hanno finito poiper accettarla. Ma, liberati dalle mitologie che stavano alla base di que-sta falsa opposizione, i pacifisti di oggi sono costretti a dover pensare,comprendere, interpretare razionalmente il fenomeno bellico, cui pure sioppongono con tutte le forze, perché solo in ormai obsoleti necessita-rismi tutto ciò che è razionale è anche necessario ed inevitabile, d'altraparte, anche la guerra va osteggiata conoscendola, non demonizzandola.Un'altra sfida si propone a questa filosofia della storia, ed è quella dievitare gli scogli del qualunquismo: è proponibile infatti una concezioneche- accomunando nella condanna assoluta tutte le guerre, equipari atutti gli effetti Pìzzarro e Custer alla resistenza afgana, le guerre di con-quista e quelle di liberazione? Un pacifismo « assoluto » che coniughi pacee giustizia dovrà tentare di distinguere e di non omologare, pur evitandodi cadere nel vizio opposto di contrapporre guerre ingiuste e giuste, cheè pienamente contrario agli assunti dì partenza, per cui non si da unaguerra giusta. Anche se volesse considerare la Storia come un'unica, gran-de catastrofe, di cui le guerre potrebbero essere viste come le partiemergenti di un iceberg, resterebbe pur sempre il dovere di riconoscerele aspirazioni di liberazione, le istanze di giustizia sconfitte o vittoriosegrazie a mezzi che ne hanno poi compromesso la purezza, che vanno tut-te rigorosamente distinte dalle repressioni e distruzioni, senza trascurarenemmeno anche l'intersecarsi di questi elementi nel concreto svolgersidei movimenti storici. Non epopea di un progresso che necessariamentesboccherà in un mondo senza guerre, e neppure archeologia piagnuco-losa di illusioni perdute, una storia pacifista dovrebbe essere una rico-struzione attenta dei progetti in cui si è rivelata una aspirazione di pace,che si sono protesi, anche solo negativamente, verso una società liberatadalla guerra. La comprensione di questo progetto significherà per ilpresente, da una parte, conoscere meglio se stesso; ma anche sentirsiincaricato di mantenere quelle promesse, di realizzare quelle aspirazioni.Paradossalmente, anche il disperato bisogno di pace che non ha saputoesprìmersi nei secoli che attraverso la difesa armata, troverebbe, secon-do questa -visione, nella società «pacifista» il proprio autentico appaga-mento, ed insieme la propria « redenzione ».

II bivio tra la strada antica e il sentiero incerto

L'insieme dei movimenti che oggi si impegnano per la pace mi sembraoggettivamente diviso tra due aspirazioni ideali, che ho per comoditàdesignato come pacifismo relativo ed assoluto: la prima ipotesi com-porta un dispendio ideologico minore, ma si trova nella situazione svan-taggiosa di ispirarsi ad un sistema di pensiero, ad una « logica » in sen-so lato, comune anche al più tradizionale bellicismo, e di essere quindipassibile di una interpretazione, deformante, nei termini di quest'ultimo.Si potrebbe considerare questa opposizione come quella tra due filoso-fie, delle quali una fa un investimento decisivo ed impegnativo a livellodelle premesse, con il risultato che queste ultime sono forse difficili daaccettare, ma da esse discende poi, facilmente, la conclusione desiderata.L'altra invece, impegnandosi poco a livello di princìpi si ritrova di con-seguenza con un apparato concettuale meno potente anche se più accet-tabile, che ha però bisogno di considerazioni aggiuntive ogni volta chevoglia estendere il proprio campo d'azione. Come si è già fatto notareuna volta rifiutata la guerra nucleare con argomenti ad essa specifici,non sì è ancora detto nulla sul conflitto Iran-Iraq, e neppure su di unoche venisse a sostituire, con armi « convenzionali », quello atomico...Se però il pacifismo relativo, soprattutto quello antinucleare, può rischia-re di essere, per così dire, poco alternativo, quello assoluto può finireper esserlo troppo, almeno nel senso che possiede sì una sua coerenza,ma così estranea al modo di pensare occidentale da dover essere ancorapraticamente inventata, come hanno mostrato anche queste pagine. Cer-to, è necessario che, pur nelle diverse ispirazioni, i « pacifismi » si ac-cordino su di una comune linea di opposizione alle politiche belliciste:contemporaneamente s'impone però per tutti ima chiarificazione, unascelta tra « relativo » ed « assoluto ». AI primo si può rivolgere la criticadi essersi ribaltato, nel passato, già più volte nel suo contrario, ma ilsecondo può difficilmente sfuggire all'accusa di utopisnio. Non credoesistano argomenti decisivi a favore dell'una o dell'altra ipotesi: se nonaltro, come spesso accade quando si è posti di fronte a bivi di questogenere, una delle due strade è meno innovativa, ma più facile, l'altra,per quanto rischiosa ed incerta, risulta più affascinante. H

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Nell'ambito del programma concordato a settembre nell'incontro diTerzolas, l'Associazione « O. Rornero » organizza un seminario dì ri-flessione sul tema:

N O N V I O L E N Z A :PROGETTO REALIZZABILE O INUTILE UTOPIA?

Anche questa volta sede del convegno sarà l'accogliente convento diTerzolas, dal pomeriggio di sabato 15 gennaio 1983 a tutta la dome-nica 16. L'ordine dei lavori è il seguente:

S A B A T O

ore 15.00 Arrivo a Terzolas15.30 IMMAGINI DI UNA SOCIETÀ' NONVIOLENTA: una nuo-

va concezione della politica, del lavoro, della natura(Paolo Quaresima, Piero Cimìn, Fabrizio Mattevi)

17.00 ESPERIENZE DI VITA ALLA COMUNITÀ' DELL'ARCA(Paolo Quaresima)

18.00 LO SCARTO TRA PAROLA DI DIO E MAGISTERO EC-CLESIALEII tema sarà affrontato secondo due diversi punti divista:— LA GIUSTIZIA E LA FORZA (Marcelle Farina)— CHI NON HA LA SPADA VENDA IL MANTELLO E

NE COMPERI UNA — VANGELO DI LUCA —(Giorgio Butterinì)

D O M E N I C A

ore 9.30 LA NONVIOLENZA DI FRONTE A DIRITTO E GIUSTIZIA(Michele Nicoletti)

10.30 ISTITUZIONI E CONVIVENZA NONVIOLENTA(Roberto Lambertini)

11.30 Messa15.00 DIBATTITO, sulla base di alcuni punti fissati dai rela-

tori nella mattinata18.00 Conduisioni

II seminario si propone di essere il meno «accademico» possìbile,invitando relatori e partecipanti ad andare oltre le comode definizionie le facili teorie, per cercare invece una riflessione critica e personalesu una proposta di vita tanto impegnativa e contrastata quale quellanonviolenta.

Le iscrizioni al convegno vanno inviate alla redazione de « II Mar-gine », o comunicate per telefono a Fabrizio Mattavi, presso « LASTRADA» di Bolzano, tei. 0471/48503.

Rileggendo la « Gaudium et Spes » a vent'anni dal Concìlio

Quell'immensa simpatiaper l'uomo e il mondo

di TOMMASO SUSSARELLU

L'I! ottobre 1962 Giovanni XXIII Inaugurava il Concilio Vaticano IIcon un celebre discorso di apertura, pieno di speranza per i frutti chene sarebbero derivati per l'umanità intera. Il Papa, dopo aver ricordato,con senso di biasimo, quanti negli avvenimenti di quei tempi non vede-vano altro che « prevaricazione e rovina », così si esprimeva: « Nel pre-sente momento storico, la Provvidenza ci sta conducendo ad un nuovoordine di rapporti umani, che, per opera degli uomini e per lo più aldi là della loro stessa aspettativa, si volgono verso il compimento di di-segni superiori e inattesi; e tutto, anche le umane avversità, dispone peril maggior bene della Chiesa ».I lavori del Concilio non hanno disatteso la speranza contenuta in que-sta visione profetica di nuovi rapporti umani e anzi, non si può nonriconoscere che, proprio laddove si è trattato della comunità degli uo-mini, essi hanno saputo far scaturire da una lunga tradizione di pen-siero e di dottrina cristiana i fondamenti per la definizione di un nuovomodo di essere dei rapporti umani nella società. Il Concilio, d'altra par-te, ha risposto in modo del tutto affermativo al disegno pastorale diGiovanni XXIII, che radunò l'intera Chiesa perché trovasse le formeadeguate ai tempi per trasmettere alle nuove generazioni « l'insegnamen-to della Chiesa nella sua interezza e precisione ».II Concilio veniva infatti a porsi come una sintesi pastorale, oltre chedottrinale, sia di una tradizione di magistero pontificio, iniziatasi conLeone XIII, sia di una tradizione di pensiero avviata, per limitarsi ainomi più famosi, da filosofi quali Rosmini, Maritain, Mounier, che pre-sentavano la vita sociale come passaggio necessario per il pieno sivluppodella persona umana. Era la stessa tradizione che era stata alla basedelle encicliche giovannee « Mater et Magistra », e « Pacem in terris »,nonché di quella più recente dì Paolo VI, « Ecclesiam suam ». Il Conciliofa proprio tale insegnamento, richiamandosi ad esso esplicitamente (GS23), con l'intento di dare fondamento universale ad «alcune verità piùimportanti », quasi a volere che in ogni comunità umana tali verità tro-vino pieno riconoscimento. L'« universalizzazione » avviene peraltro conpiena consapevolezza, non solo del presente momento storico, ma so-

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prattutto dei «segni dei tempi»: infatti ciò che più sorprende è lo spi-rito profetico con il quale il Concilio annuncia queste verità. I PadriConciliari avvertono il messaggio insito nelle parole di Giovanni XXIII:è necessario parlare all'uomo moderno con un nuovo linguaggio: la ve-rità non è cambiata, è l'uomo che sta cambiando. E' per questo che ilConcilio Vaticano II è considerato soprattutto un Concilio pastorale.

La ricerca di un nuovo linguaggioe di ima nuova convivenza umana

Dipende certamente da questa ricerca di un nuovo linguaggio, cui affi-dare il compito di annunciare all'uomo moderno la rivelazione cristiana,anche la modernità di alcuni dei tempi trattati. Emblematico è a que-to riguardo il capitolo della « Gaudium et Spes » dedicato alla comunitàdegli uomini. Qui il Concilio avverte l'importanza per l'uomo dello svi-luppo della socialità e quindi la necessità di determinare «le leggi cheregolano la vita sociale, scritte dal Creatore nella natura spirituale e so-ciale dell'uomo» (G.S. 23). E' in se stesso, nella propria persona, chel'uomo deve scoprire le regole dell'umana convivenza: in ciò si senteun richiamo a considerare la centralità dell'uomo proprio in un'era, incui il progresso tecnologico induce a credere che i rapporti tra gli uo-mini dipendano sempre più dai condizionamenti prodotti dalle nuovetecnologie.Il Concilio sente inoltre che si sta aprendo una nuova fase della vitasociale, in cui l'uomo dipende sempre più da un altro uomo, e in cuil'umana convivenza diventa un fenomeno molto diffuso; di fronte a taleprospettiva vi è un richiamo pressante all'unità, attraverso l'amore fra-terno, cui è da affidare una grande importanza « per uomini sempre piùdipendenti gli uni dagli altri e per un mondo che va sempre più versol'unificazione» (G.S., 24).

Persona e comunità

Fatte queste premesse, il Concilio afferma la verità fondamentale, cheil perfezionamento della persona umana e lo sviluppo della società so-no tra loro interdipendenti: « la vita sociale non è qualcosa di estraneoall'uomo » (G.S., 25). Segue subito dopo l'affermazione del valore positivodella socializzazione, la quale «reca in sé molti vantaggi nel rafforza-mento e accrescimento della qualità della persona umana e per la tuteladei suoi diritti » (G.S., 25). Si noti come in tali princìpi la persona umanaabbia sempre un valore determinante: basti considerare, ad esempio, lanotevole intuizione secondo la quale è dal coinvolgimento dell'uomo nel-la vita sociale, che dipende la tutela dei diritti umani: per comprenderela rilevanza e la novità insita in tale dichiarazione, è sufficiente sapere

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che secondo il modello liberale dello Stato di diritto tale funzione è af-fidata a strutture del tutto indipendenti dalla « comunità degli uomini »L'attenzione è rivolta verso l'uomo anche quando il Concilio avverte chela rovina dei rapporti sociali non dipende totalmente dalle tensioni na-scenti dalle strutture economiche, politiche e sociali: essa deriva princi-palmente dalla rottura del rapporto di solidarietà umana, dall'egoismo;le conseguenze sono un ulteriore aggravamento delle condizioni di vitadell'uomo, i cui effetti sono moltiplicati dalle interdipendenze cui soprasi accennava (G.S. 25).Tuttavia non si può pensare che il Concilio si limiti a formulare gene-riche affermazioni di princìpio: esso indica i singoli diritti dell'uomo,dalla cui applicazione dipende la promozione del bene comune, intesocome « l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettonoai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezionepiù pienamente e più speditamente »; l'ordine sociale quindi è visto infunzione dell'uomo, hi quanto la realizzazione dei diritti che ne stanno afondamento deve determinare lo sviluppo della persona (G.S., 26).

La giustizia è necessaria per realizzare la libertà

II Concilio indica anche ciò che è necessario realizzare per dare attua-zione a questi diritti: il « rispetto verso l'uomo », « rendere servizio coni fatti a colui che ci passa accanto », l'eliminazione di « tutto ciò che ècontro la vita stessa »; e anche qui sono indicati con precisione i maliche affliggono l'uomo moderno, quasi ad ammonire che qualcuno possadire: « io non sapevo ».Il « rispetto dell'uomo » impone il rispetto anche verso coloro « che pen-sano o operano diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e per-sine religiose », perché anche costoro hanno la dignità di persona (G.S.,28). Dalla pari dignità tra tutti gli uomini, qualunque sia il loro credosociale, polìtico o religioso, discende il diritto fondamentale all'uguaglian-za, senza alcuna distinzione derivante da diverse condizioni di stato per-sonale e sociale.Ma, avverte subito dopo il Concilio, « la uguale dignità delle persone ri-chiede che si giunga ad ima condizione più umana e giusta della vita ».Non è infatti possibile realizzare la pari dignità tra gli uomini se nonsi eliminano i motivi che mantengono le disuguaglianze sociali ed eco-nomiche: esse sono viste come la causa di ogni attentato alla dignitàdella persona umana e alla pace sociale e tra i popoli. Alle istituzioni,« sia private che pubbliche », spettano compiti di combattere strenua-mente « contro ogni forma di servitù sociale e politica » e di difenderei diritti fondamentali « sotto qualsiasi regime politico » (G.S., 29). A cia-scuno spetta il compito di vivere con spirito di solidaretà, osservandogli obblighi sociali, intesi come le regole fondamentali dell'umana convi-venza (G.S., 30).Perché gli uomini avvertano l'importanza dì vivere con spirito di soli-darietà, è necessario in primo luogo — continua il Concilio — formare

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uomini e donne « di forte personalità »; per fare questo si deve liberarel'uomo, secondo la società in cui vive, dall'indigenza ovvero dalle « trop-pe facilità della vita »: entrambe queste condizioni impediscono di pren-dere coscienza della propria dignità e fanno venire meno il senso diresponsabilità.Bisogna quindi creare le condizioni perché tutti si sentano stimolati «adassumersi la propria parte nelle comuni imprese».A tale riguardo è indicato all'uomo moderno, come sommamente posi-tivo, « il modo di agire di quelle nazioni nelle quali la maggioranza deicittadini è fatta partecipe della cosa pubblica in un clima di vera li-bertà » (G.S., 31).Il Vaticano II conclude questo capìtolo ricordando l'indole sociale dellavita di Cristo, la Sua condizione di lavoratore e di << partecipe della con-vivenza umana », la Sua sollecitudine nel raccomandare « l'unità » frai discepoli, il Suo comando di annunciare la Parola a tutti i popoli, laistituzione della Chiesa, « nuova comunione fraterna » (G.S., 32).

Dopo secoli di incomprensioni un umanesimo "ottimista"

La Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, pro-mulgata il 7 dicembre 1965, assieme ad altri tre importanti documenticonciliari, al termine della IX ed ultima Sessione del Concilio Vatica-no II, testimonia la grande attenzione dei Padri Conciliari per il mondomoderno. Nell'omelia pronunciata in questa Sessione, Paolo VI così siesprimeva: «La Chiesa del Concilio, sì, si è occupata, oltre che di sestessa e del rapporto che a Dio la unisce, dell'uomo quale oggi in realtàsi presenta: l'uomo vivo, l'uomo tutto occupato di sé, l'uomo che si fanon soltanto centro dì ogni interesse, ma osa dirsi principio e ragionedi ogni realtà... La religione del Dio che si è fatto uomo si è incontratacon la religione (perché tale è) dell'uomo che si fa Dio ».Da questo incontro non è nata una lotta, una condanna; al contrario:«L'antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualitàdel Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso... Una correntedi affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umanomoderno» (cfr. a Omelia di Paolo VI nella IX Sessione del Concilio»).Il Concilio quindi, dopo secoli di incomprensioni, guarda con ottimismo,con senso positivo, all'uomo e alla società in cui è inserito; certo essonon si nasconde che accanto alla grandezza ci sono le miserie e gli er-rori; questi vanno combattuti ed eliminati, ma il senso profondamenteottimista del « nuovo umanesimo » rimane.Oggi sono trascorsi venti anni dall'inizio di quel Concilio e certo sì po-trebbe essere indotti a giudicare quell'ottimismo troppo affrettato, se nonirreale, e quindi a sentirsi autorizzati a dimenticare. Sarebbe un erroregravissimo.A questo riguardo, l'Editoriale de «La Civiltà Cattolica» del 2 ottobrescorso, dopo aver ricordato l'incomprensione che il Concilio ha incori-

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trato in questi venti anni, così proseguiva: « Ma questi ritardi e lentezzee, soprattutto, questa incomprensione non devono né meravigliare néscandalizzare... Piuttosto, il pericolo che a noi sembra maggiormente in-combere sul Concilio Vaticano II è che esso sia dimenticato o diventievanescente nella coscienza viva della Chiesa. Perciò, ricordare oggi ilsuo inìzio dovrebbe servire non alla commemorazione d'un evento pas-sato, ma a far rivivere nella coscienza della Chiesa quel grande eventopentecostale che ebbe inizio l'il ottobre 1962».Non dimenticare: questo si attende il Concilio da ciascuno di noi e inparticolare dai giovani. Ad essi i Padri nel XXI Concilio Ecumenico dellaChiesa Cattolica rivolsero il loro « ultimo messaggio », coscienti che adessi sarebbe spettato formare la società del domani: «voi vi salverete operirete con essa ». Ad essi la Chiesa guarda con fiducia e con amore.« Essa possiede ciò che fa la forza e la bellezza dei giovani: la capacitàdi rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi senza ritorno, di rinnovarsie di ripartire per nuove conquiste ». Ricordare il Concilio è soprattuttoriscoprire questo spirito e questa capacità nella Chiesa e in noi stessi. •

NUOVO STATUTO. NUOVE CARICHE. CAMPAGNA ASSOC1AT1VA 1983

11 30 novembre 1982 si è riunite l'assemblea straordinaria dell'AssociazioneOscar A. Remerò per il rinnovo delle cariche elettive 8 la modifica dello statuto.Presente la maggioranza dei soci, è stato quindi approvato il nuovo testo dallostatuto dell'Associazione...Ecco uno stralcio dell'ari. 2, in cui si definiscono identità e finalità dell'as-sociazione: « Scopo dell'Associazione è la promozione di attività culturali e sociali.L'Associazione Oscar A. Remerò si ispira alla fede nell'uomo attinta al messag-gio evangelico o ad una sensibilità laica. Essa si pone come luogo dì ricercalibera e di confronto culturale, di consapevolezza e di analisi degli avvenimentistorici e sociali, di valorizzazione ed espressione culturale dello sforzo dell'uomodi dare valore alla propria esistenza =>.L'assemblea ha quindi provveduto a rinnovare le cariche sociali. Questo l'elencodegli eletti: presidente VINCENZO PASSERINI; vicepresidente GIOVANNI KES-SLER; segretario AGOSTINO BITTELERI; amministratore P1ERANGELO SANTINI;revisori dei conti effettivi MARIANO PRETTI, FERRUCCIO VENERI, VITTORIOPONTARA; revisori dei conti supplenti FRANCA P1ZZININI e PAOLO DALPIAZ.L'Associazione «Oscar A. Remerò => inizia cosi il suo terzo anno dì attività,aprendo nello stesso tempo la campagna associativa.LE QUOTE 1983 PER L'ADESIONE ALL'ASSOCIAZIONE SONO LE STESSE DEL-L'ANNO SCORSO: 10 MILA LIRE PER GLI STUDENTI; 25 MILA PER I LA-VORATORI. SÌ tratta di somme non simboliche, perché le adesioni siano effet-tivi gesti di disponibilità a collaborare alle attività dell'associazione, condivi-dendone l'impegno culturale e morale.Le adesioni e le quote associative vanno inviate a « 11 Margine », casella po-stale 359, 38100 TRENTO, specificando sul bollettino di conto corrente po-stale n. 14/9339 la causale del versamento.

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RECENSIONE

Injnargìne ad un saggio dì And rea Leonardi

Una storia della cooperazione trentinadi DANIELA GIULIANI

Negli ultimi decenni dell'Ottocento la situazione dell'economìa tren-tina era piuttosto precaria. Molti gli elementi che contribuivano aformare questo quadro: gli strascichi della crisi agraria che avevacolpito l'Europa negli anni '70; la particolare situazione politico-amministrativa per cui il Trentino si trovava ad essere zona mar-ginale ed eccentrica rispetto all'economia dell'impero cui apparte-neva, mentre una frontiera la divideva da quello che sarebbe statoil naturale sbocco verso sud; ed ancora una struttura agraria basa-ta sulla pìccola proprietà, in cui i contadini non avevano né i mezziné gli strumenti per tentare qualche miglioramento nelle tecnichedi produzione, di smercio ecc.Per emergere da questo stato di crisi era necessario trovare unarisposta ad alcune domande fondamentali che provenivano dall'am-biente rurale, tra cui la preminente era sicuramente quella di credito.Sorsero così le prime cooperative mosse « da bisogni reali: gestirein primo luogo il credito locale a favore delle piccole imprese con-tadine e artigiane dell'area; incidere sull'acquisto e sulla distribu-zione dei generi di più comune necessità evitando sovrapprezzi disorta; valorizzare la produzione agricola locale attraverso la venditacollettiva dei propri prodotti; promuovere delle iniziative di trasfor-mazione dei prodotti della campagna e parallelamente delle societàdi produzione, per fermare in loco la manodopera altrimenti co-stretta a cercare all'estero un lavoro ».Nei decenni successivi il movimento cooperativo si sviluppò note-volmente, tanto da assumere un ruolo decisivo nello sviluppo socialeed economico del Trentino; parallelamente si perfezionò anche lastruttura organizzativa con la nascita di una Federazione e di or-ganismi centrali di settore.Un importante contributo allo studio dei primi due decenni di sto-ria della cooperazione trentina è dato dal libro di Andrea Leonardi,« La Federazione dei Consorzi Cooperativi dalle origini alla la Guer-

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ra Mondiale (1895-1914) », apparso nel maggio scorso per l'editoreFranco Angeli, Milano.L'Autore vi traccia la storia dell'organismo federale dalla sua co-stituzione, anzi dal dibattito che la precede, fino alla fine del 1914,quando uscì l'ultimo numero del giornale federale.L'oggetto dello studio è piuttosto complesso, è una storia di strut-ture che operano in campo economico, che hanno però anche unaimportanza sociale determinante; è una storia di dibattiti su que-stioni operative e sui fondamenti ideali, dibattiti che talvolta sfo-ciano in conflitti verbali. La difficoltà sta proprio nel dare il giustopeso ai vari elementi.Come è sottolineato da Angelo Moioli nel saggio in appendice: « Peruna storia della cooperazione trentina: una guida alla ricerca », lastoriografia precedente in argomento non solo non è molto ricca,ma soffre di due tipi di limiti: da una parte troviamo opere a ca-rattere celebrativo, perciò tese ad esaltare l'opera della Federazione,dall'altra lavori che si preoccupano in primo luogo di dare valuta-zioni ideologiche sul movimento politico dei cattolici, lasciando po-co spazio all'analisi economica dei risultati delle iniziative presedai cattolici in campo cooperativo.Il pregio del lavoro di Leonardi sta proprio nell'aver saputo supe-rare questi limiti producendo* dopo anni di lavoro e di ricerca difonti e documenti, un'opera rigorosamente scientifica in cui si è con-siderato l'interagire dei vari aspetti dell'esperienza cooperativa se-condo una prospettiva corretta.Per concludere credo sia importante ricordare che questo stùdio siinserisce in un vasto programma di ricerche su vari aspetti dellastoria del movimento cattolico trentino promosso dalla Sezione diTrento dell'Archivio per la storia del movimento sociale cattolicoin Italia, ricerche che stanno portando frutto attraverso articolie convegni, e meritano quindi di essere seguite con attenzione. •

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UNA RICERCA SUL FUTURO:

SOCIETÀ' POST-)INDUSTRIALE e CONDIZIONE GIOVANILE

Achille Ardigò, uno dei più conosciuti sociologi italiani, è stato invitato nell'aulamagna delle scuole Magistrali di Trento alla fine di ottobre, per parlare del fumrodei giovani e della società. Un approccio « scientifico », dunque, a uno dei problemipiù attuali; un insieme di ipotesi attendibili in parziale risposta alle nostre incer-tezze presenti sul « come saremo », sempre pronte a rifugiarsi nelle profezie di ma-ghi e astrologi.Scienza sociale nate con il positivismo, la sociologia spesso può essere contraddettanella formulazione delle sue leggi, dai fatti: cosi è stato per alcune teorie degli an-ni sessanta, le quali previdero per il mondo giovanile una fase di riflusso clamoro-samente contraddetta dai mori sessantotteschi.Di fronte a questi rischi — dice Ardigò — non bisogna indietreggiare: guardandoil presente di fronte a crisi industriali, disoccupazione, violenze, possono prevalerele considerazioni negative; ma probabilmente, in questa « piccola catastrofe » sì pos-sono intrawedere i motivi stessi di un rinnovamento.L'uomo della vecchia società industriale si appresta a vedere la nascita graduale diun nuovo tipo di società, prontamente definita dal sociologo americano Danieli Bell« post-industriale ». Questa nuova epoca, di cui secondo Ardigò già ora si odonole avvisaglie, è caratterizzata da profondi mutamenti rispetto all'attuale. Superati(anche se non viene specificato come) i problemi in campo energetico l'elemento piùimportante per gli uomini sarà l'informazione. L'enorme sviluppo della telematica,cioè dell'informatica applicata ai mezzi di comunicazione, il costituirsi di grandi ban-che dati, già ora presenti in USA e in Giappone, rivoluzioneranno non solo la vitadegli individui ma delle Nazioni; un potere più sofisticato del petrolio e dell'uranio,quello appunto dell'informazione, creerà il divario fra gli Stati ricchi e quelli poveri.Profonde le trasformazioni che parallelamente interesseranno il mondo del lavoro; siassisterà a un graduale coinvolgimento della popolazione attiva nel processo di ela-borazione dell'informazione con un'espansione del terziario ad essa collegato. Agri-coltura e industria, attraverso i processi ben noti eli razionalizzazione e robotizzazione,ridurranno gran parte del loro organico-Conseguenze anche in campo sociale con la graduale scomparsa della figura dell'epe-raio-massa e la conseguente crisi delle organizzazioni sindacali.La crisi dello stato assistenziale e la graduale affermazione dell'autogestione a livellolocale e del volontariato, modificheranno il quadro politico-istituzionale; gli stessipartiti politici nella loto forma attuale scompariranno, lasciando il posto a « pro-cessi decisionali a livello decentrato ».Novità si prevedono anche in campo educativo: crescerà la domanda di un'istruzionequalificata e l'università selezionerà con criterio meritocratico la nuova « classe di-rigente ».Favorite dallo sviluppo tecnologico, motte persone migreranno dalle megalopoli inpiccole entità micronazionali.In questo « mondo nuovo » anche i giovani vivranno in modo diverso i loro pro-blemi: il primo elemento certo sarà un notevole calo della popolazione giovane cherisolverà, dall'85 in poi, numerosi problemi in campo occupazionale.Innalzandosi notevolmente la base culturale minima sarà poi necessario « non sololeggere scrivere e far dì conto ma anche sapere l'inglese e computerizzare ».Il lavoro, più qualificato e decentrato attraverso l'uso dei terminali, sarà di due tipi:

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il primo a livello dirigenziale, intensivo e con alta componente di stress, definito«lavoro di produzione»; il secondo, non intensivo, spesso precario, detto «lavorodi organizzazione ». In questo caso a un'attività principale si affiancheranno, neltempo libero a disposizione, attività complementari a livello locale.L'età di pensionamento stessa cambierà, diventando flessibile per consentire pausedi « riflessione », e maggiore mobilità.Per coloro che non avranno capacità dì adattarsi alle nuove situazioni il rischiodella frustrazione sarà notevole; il problema sotto questo aspetto si prospetta per iragazzi dell'attuale classe media: cresciuti in un ambiente familiare e scolastico fun-zionale alla società industriale, potrebbero trovarsi in difficoltà di fronte a un nuovotipo di richieste.Questa flessibilità mentale deve, secondo Ardigò, essere sostenuta da una precisa« sicurezza morale ed emozionale atta a stimolare il progresso umano ». Mentre iltempo delle grandi emozioni politiche collettive è ormai lontano, l'attuale crisi dipartecipazione e il conseguente ritorno al privato rischia di spersonalizzare ancorauna volta la nuova generazione.Costruire spazi di partecipazione autogestiti per sperimentare un nuovo modo difare politica, è dunque di notevole importanza.Ultimo riferimento alla condizione italiana: lo stato catastrofico della nostra econo-mia non ci permette molti voli di fantasia. Solo se le illuminate menti dei nostripolitici capiranno i segnali del rinnovamento potremo evitare il peggio. Ma, si sa, laflessibilità mentale fra di loro e nella nostra struttura burocratica non è caratteristicapeculiare e, quindi, per vedere razionalìzzate le attività vitali come il turismo e laagricoltura dovremo aspettare ancora a lungo.Una ricerca allo « stato embrionale » apre spazi infiniti di riflessione: come sìorienterà politicamente questa nuova, società? Si formerà un nuovo concetto di de-mocrazia? Come muteranno i rapporti economici fra ì paesi ricchi e quelli del terzomondo? Riusciranno questi ultimi a superare il problema della fame?Formulare ipotesi sui valori che orienteranno le scelte degli « uomini post-industria-li » è estremamente difficile; il pericolo della nascita di una classe dirigente cheneghi molti di questi valori morali in nome del progresso è sempre presente, am-messo, naturalmente, che gli attuali « potenti della Terra » ci concedano dì giungereindenni a vìvere questo futuro.

(Paolo Mattivi)

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TACCUINO CULTURALE TRENTINO

(a cura di MARIA TERESA POMTARA)

FILOSOFIA

M gennaio ore 18: 11 mistero dell'essere nella filosofìa àì Martin Heldegger eKarl Jaspers, rei. prof. Giorgio Renzo dell'Università di Padovae/o Centro Bernardi C'esio - Trento, vìa Barbacovi 4

SCIENZE RELIGIOSE

15 gennaio e22 gennaio ore 17:

La cultura della sparanza, tema del prossimo convegno na-zionale della FUCI, a cura del gruppo FUCI di Trentoe/o Sede FUCI - Trento, via Borsierì 7

I) mistero della donazione totale: i) martirio negli acrili! diGregorio NIsseno. La conferenza si richiama all'Itinerario ecu-menico alle fonti dei Padri Cappadocr, rei. prof. AntonioQuacquarelli dell'Università di Romae/o Centro Clesio-Rosmini - Rovereto, vìa Stoppani i

IDEM a Trento - Centro Bsrnardo desio, via Barbacovi A

Francesco d'Assisi : un'alternativa umana e cristiana {Hosposato Madonna Povertà), a cura del gruppo Fuci di Trentoe/o Sede FUCI - Trento, via Borsleri 7

E' iniziato nel mese di dicembre il VI corso di GRECO BIBLICO che si concluderàa metà maggio 1983. Il corso, articolato In due lezioni dalle ore 15 alle ore 16.15dì ogni mercoledì, a tenuto dal prof. Giovanni Menestrina con la collaborazione delprof. d. Lorenzo Zanie/o Istituto di Scienze Religiose - Villa Tambosi - Villazzano di Trento

20 gennaio ore 18:

21 gennaio ore 18:

29 gennaio e5 febbraio ore 17:

CONVEGNI

21 gennaio ore 16:

POESIA

1 3 gennaio ore 18:

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Per una pedagogia e una cultura d] pace, relatori: dott. Dò-manico Rosati, on. Paola Gaietti Debiase, padre Davide Ma-ria Turoldoe/o Centro Rosrnini - Trento, largo Carducci 24

Presentazione del libro Onorlo Spada senza collare, a curadel prol Enzo Demattóe/o Centro Rosmini - Trento, largo Carducci 24

INDICE DELL'ANNATA 1982Tra parentesi II numero della rivista

Editoriali

In viaggio con ChopinII prezzo della denunciaQuesta primavera è nostraL'attesa del Principe della Pace

Appunti

Rompere il silenzioII picchio e la civettaFamiglia e politica, un filo spezzatoAgli angoli dei grattacieliUna sfida apertaScherzo dì una notte di mezza astataII pianto dei coccodrilli

CorsiviTroppi « osanna » per una vittoria militareII soggetto e la mascheraUn referendum inutile?Falkland e MundialSpadolini-bis: la farsaZibaldone 1982

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GraffitiBertoldi no e Cacasenno: la farsa degli intellettuali

Testimonianze

Storia di un obiettore di coscienza

PoliticaNiente di nuovo sul fronte orientale?El SalvadorQuando le trombe dì Gerico suoneranno per i a dannati della terra »La caduta delle statue e la nudità del tempioLa sconfìtta del pacificiBeirut e dintorniLà, dove Bobby Sands continua a vivere11 gioco delle perle di vetroNord-Sud: l'Ingiustizia planetaria

Società

L'obiezione diffìcileOltre lo Stato e II MercatoAppunti sulla riforma sanitariaL'arma del granoAttraverso 11 volontariatoI due acceleratoriII ritorno del boiaQuante strade ha la pace?

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(2)(3)Co)t?)(8)(8)(9)

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Saggi

Comunicazione di massa e comunicazione conviviale

Istituzioni

Riforma elettorale: non serve e non basta

Cultura

La provocazione dal nichilismoII cardinale, il «vescovo rosso», i profeti disarmati...Quel «nuovo modo di pensare» de! personalismo comunitarioAnche il dolore ha un suo spazio nella storiaLa fedeltà: trasgrassiona e follia per il mondoII ritorno dell'AngeloPrete e maestro corna Dio comandaIn Bocca agli Italiani11 Diavolo e il Professore

Recensioni libri

Sulla frontiera dell'impegno (« In cerca di una rosa bianca »)Proposta singolare e «inattuale» ( a ! Salmi del Signoredio»)Una storia della cooperazione trentina

Letture

Non c'è solo GaribaldiPer leggere il tempo che viviamo

Cinema

Tempi moderni («II tempo della mele»)Chi danza sulla pedana rossa? (« Bolero »)La tragedia di Narciso («Anni di Piombo»)Dove va la nuova Hollywood? (a Diritto di cronaca»)In attesa di un suono di campane (a La notte di San Lorenzo»)La carrozza della storie ( a l i mondo nuovo»)

Chiesa - Fede

Laborem Exarcens e questione femminileGiovani e ChiesaCon gli « ultimi » per ritrovare un nuovo gusto di vivereCarisma e obbedienza alla ChiesaUn dialogo da costruireL'alfabeto perdutoLa Parola e le paroleLa Rivelazione di un mistero non svelatoQueir» Immensa simpatia » per l'uomo e 11 mondo

Associazione Oscar A, Homaro

Lo spazio libero delle coscienze « in piedi »«La storia non morirà, la conduce Dio»Obiezione di coscienza, diritto « sabotato »11 convegno delle piccole testateTracce di impegno

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IL MARGINEcampagna abbonamenti 1983

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« Che fan di necessario le grandi città?

Fanno il grano e il pane che mangiano?

Fanno la lana del panno che vestono?

Fanno il latte? Fanno l'uovo? Fanno il frutto?

Fanno - si - la scatola — fanno l'etichetta.

Fanno i prezzi.

Fanno la politica.

Fanno i manifesti.

Fanno rumore.

Ci hanno tolto l'oro dell'evidenza e

lo hanno perduto ».

LANZA DEL VASTO

(da: Princìpi e precetti del ritorno all'evidenza, Gribaudi)

« II Margine » n. 10 - dicembre 1932 - psriodicD tnensìle - anno II - redazione e ammi-

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