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riodo bellico, la sua ripresa e il suo sivluppo in tutti i settori, in modo che oggi si può classificare una delle più belle città d'Italia, ove i cittadini vivono tran- quilli nella pace familiare e nella fedeltà al lavoro. I Cappuccini La storia del convento di questi anni la raccoglia- mo direttamente dalla bocca dei Padri e Fratelli più anziani qui raccolti a riposo nella grande infermeria, i quali hanno vissuto giorno per giorno quanto avven- ne in questo periodo di tempo. Sono essi che ci rac- contano che, ritornati al convento dopo le soppressio- ni che li avevano dispersi nel mondo, erano tanto fe- lici di averlo riavuto e lo custodivano come una cara reliquia, perché consacrato dalla presenza di santi, come S. Gerolamo Emiliani, San Carlo Borromeo. S. Lorenzo da Brindisi e da tanti confratelli Venerabili e Servi di Dio. Era un caro ricordo dei tempi antichi, quando i primi cappuccini, pieni di fervore, andavano in cerca di luoghi solitari e abbandonati, felici di servire i l Signore nella letizia sgorgante da un cuore perfetta- mente staccato dalle cose terrene e abbandonato fidu- ciosamente nelle braccia amorose e paterne della Di- vina Provvidenza. Madonna Povertà si incontrava ovunque: nel pic- colo chiostro col suo pozzo e i suoi fiori; nei corridoi stretti e bassi, coperti da un tetto rudimentale; nelle cellette appena sufficienti per stendervi un povero gia- ciglio, illuminate scarsamente da una finestrella con carta trasparente al posto dei vetri; nel refettorio dal- le pareti corrose dal tempo e dagli enormi tronchi 184 d'albero come soffitto. La povera mensa apprestata sul vecchio tavolato, i lunghi digiuni e tutte le altre cose piccole, povere e disadorne erano l'unica ricchezza di quei poveri figli del Poverello d'Assisi. In compenso vi era una pace infinita favorita dalla solitudine del posto che era uno dei più isolati della città. La giornata dei frati La giornata dei frati di cinquant'anni fa era come la giornata dei frati di oggi. Dopo un breve riposo, appena suonata la mezzanotte, essi vengono svegliati dal fratello di turno, per scendere in coro a recitare il Mattutino e le Lodi e vi si intrattengono circa una ora in preghiera. Così mentre la città dorme avvolta nel silenzio della notte, essi invocano le grazie sui giusti, la misericordia sui peccatori e la pace per i defunti. Indi ritornano silenziosamente alle loro cel- lette per riprendere il sonno. Alle prime ore del mat- tino, il segno della levata li chiama di nuovo al coro per la preghiera in comune, la meditazione, la santa Messa, poi ognuno riprende il proprio lavoro affida- togli dalla santa obbedienza. Torna il fratello giardiniere a coltivare i fiori per la chiesetta, mentre i l fratello sacrestano ne farà dei bellissimi vasi per gli altari. Il fratello ortolano r i - prende i l lavoro nell'orto, perche' fratello cuoco ab- bia un piatto di verdura da presentare ai confratelli sulla parca mensa. E i l fratello questuante parte felice con la sua bisaccia, percorre le strade di campagna, batte fiducioso alle porte di città, chiedendo l'elemo- sina per amore «li Dio, non badando alle umiliazio- 185

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riodo bellico, la sua ripresa e i l suo sivluppo i n t u t t i i settori, i n modo che oggi si può classificare una delle più belle città d ' I ta l i a , ove i cittadini vivono tran­q u i l l i nella pace familiare e nella fedeltà al lavoro.

I Cappuccini

La storia del convento d i questi anni la raccoglia­mo direttamente dalla bocca dei Padri e Fratel l i più anziani qui raccolti a riposo nella grande infermeria, i quali hanno vissuto giorno per giorno quanto avven­ne i n questo periodo d i tempo. Sono essi che ci rac­contano che, r itornati al convento dopo le soppressio­n i che l i avevano dispersi nel mondo, erano tanto fe­l i c i di averlo riavuto e lo custodivano come una cara reliquia, perché consacrato dalla presenza d i santi, come S. Gerolamo Emil iani , San Carlo Borromeo. S. Lorenzo da Brindisi e da tanti confratelli Venerabili e Servi d i Dio.

Era un caro ricordo dei tempi antichi, quando i p r i m i cappuccini, pieni d i fervore, andavano i n cerca d i luoghi solitari e abbandonati, felici d i servire i l Signore nella letizia sgorgante da un cuore perfetta­mente staccato dalle cose terrene e abbandonato fidu­ciosamente nelle braccia amorose e paterne della D i ­vina Provvidenza.

Madonna Povertà si incontrava ovunque: nel pic­colo chiostro col suo pozzo e i suoi fiori; nei corridoi stretti e bassi, coperti da un tetto rudimentale; nelle cellette appena sufficienti per stendervi un povero gia­ciglio, i l luminate scarsamente da una finestrella con carta trasparente al posto dei vetr i ; nel refettorio dal­le pareti corrose dal tempo e dagli enormi tronchi

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d'albero come soffitto. La povera mensa apprestata sul vecchio tavolato, i lunghi digiuni e tutte le altre cose piccole, povere e disadorne erano l'unica ricchezza d i quei poveri figli del Poverello d'Assisi.

I n compenso v i era una pace infinita favorita dalla solitudine del posto che era uno dei più isolati della città.

L a giornata dei frati

La giornata dei f rat i d i cinquant'anni fa era come la giornata dei frat i d i oggi. Dopo un breve riposo, appena suonata la mezzanotte, essi vengono svegliati dal fratello d i turno, per scendere i n coro a recitare i l Mattutino e le Lodi e v i si intrattengono circa una ora i n preghiera. Così mentre la città dorme avvolta nel silenzio della notte, essi invocano le grazie sui giusti, la misericordia sui peccatori e la pace per i defunti. Ind i ritornano silenziosamente alle loro cel­lette per riprendere i l sonno. Alle prime ore del mat­t ino, i l segno della levata l i chiama d i nuovo al coro per la preghiera in comune, la meditazione, la santa Messa, poi ognuno riprende i l proprio lavoro affida­togli dalla santa obbedienza.

Torna i l fratello giardiniere a coltivare i fiori per la chiesetta, mentre i l fratello sacrestano ne farà dei bellissimi vasi per gl i altari . I l fratello ortolano r i ­prende i l lavoro nell'orto, perche' fratello cuoco ab­bia un piatto d i verdura da presentare ai confratelli sulla parca mensa. E i l fratello questuante parte felice con la sua bisaccia, percorre le strade d i campagna, batte fiducioso alle porte d i città, chiedendo l'elemo­sina per amore «li Dio, non badando alle umiliazio-

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n i , alla fatica, alle intemperie. Col freddo e col caldo, con la pioggia e col vento egli va sempre senza stan­carsi, perché i poveri ci sono sempre e al fratello portinaio non deve mancare i l pane profumato e la minestra calda da distribuire ai poveri che ogni giorno vengono numerosi a battere alla porta del convento, sicuri di essere accolti con affetto fraterno e d i essere amorevolmente soccorsi.

E mentre i fratel l i laici si prodigano alacremente i n tutte queste caritatevoli mansioni, i giovani f rat i chierici attendono allo studio che l i prepara al sacer­dozio e i Sacerdoti attendono al ministero delle con­fessioni, alla direzione spirituale delle anime che fre­quentano la devota chiesetta del convento, a visitare gl i ammalati, a portare la pace dove c'è la discordia, a portare la luce dove c'è i l dubbio, a portare confor­to dove c'è la disperazione. I Parroci l i stimano assai e l i chiamano molto d i sovente nelle loro parrocchie per avere un valido aiuto nel procurare i l bene spi­rituale alle anime loro affidate. I l Cappuccino è i l grande apostolo d i tutta la terra bergamasca, dalle più importanti parrocchie della città a quelle più minu­scole sperdute sulle montagne.

Al Cimitero

All ' in iz io d i questo secolo, e precisamente nel 1904, venne affidato ai Cappuccini i l pietoso ufficio d i Cap­pellani del Cimitero della città. Da principio tennero anche la carica d i Ispettori, ma più tardi si l imitarono a quella d i Cappellano per essere più facilmente a disposizione dei dolenti, che nel loro immenso dolore sentono tanto bisogno d i avvicinare i l sacerdote, per

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avere da l u i la parola della fede che i l lumina e che sola può portare un vero conforto. La popolazione è molto affezionata ai Cappellani del cimitero per la loro paterna bontà e per devozione con cui pregano per i mort i . Le molte vicende politiche che hanno diviso gl i animi dei cittadini in questi anni, se ebbero esplosioni d i odio e d i atroci vendette nella città, non poterono varcare i cancelli del cimitero, come avven­ne in a l t r i luoghi, perché trovarono i l Cappellano v i ­gilante e pronto a ripetere la parola paterna i n difesa del regno dei mort i che deve essere per t u t t i i l regno della pace (1).

L a Biblioteca popolare

Abbiamo già parlato della magnifica biblioteca che i cappuccini avevano creato nel loro convento ver­so la fine del settecento e che avevano messo comple­tamente a disposizione della città come mezzo d i stu­dio e di apostolato. E abbiamo anche visto come ven­ne barbaramente distrutta durante le soppressioni. I l ricordo del bene operato mediante la diffusione d i letture sane era rimasto impresso nell'animo dei f rat i .

(1) Libro di cronaca del Cimitero. I Cappellani del Cimi­tero furono: P. Antonino da Bergamo dal 27 giugno 1904 al 1917, che tenne anche l'ufficio di Ispettore. P. Policarpo da Zorzino dal 1917 al 1921. P. Vitale da Sesto S. Giovanni dal 1921 al 1922. P. Claudio da Almenno S. Salvatore dal 1922 al 1935. P. Isacco da Coarezza dal 1935 al 1936. P. Pasquale da Clusone dal 1936 al 1937. P. Cornelio da Osio Sotto dal 1937 al 1940. P. Arcangelo da Limbiate dal 1940 al 1943. P. Fortu­nato da Meda dal 1943 al 1946. P. Callisto da Buzzoletto dal 1946 al 1947. P. Alessio da Nerviano dal 1947 al 1956. Dal 1956 P. Ciangrisostomo da Cavriana.

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Per questo, all 'inizio del nuovo secolo, si preoccupa­rono tra l 'altro di raccogliere un numero considerevole d i l i b r i buoni per fondare una biblioteca popolare. Nei p r imi anni si servirono della stanza a fianco della chiesa a sinistra d i chi entra. Più tardi , e precisamen­te nel 1909, i l Superiore P. Giocondo da Vaglio, come ricorda una lapide, costruì un salone con l'ingresso dalla piazzetta della chiesa e v i trasportò la biblioteca arricchendola d i parecchie centinaia d i volumi.

La direzione venne affidata i n seguito alle conso­relle terziarie francescane che ne curano tutt'ora l'ag­giornamento, la conservazione dei l i b r i e la distribu­zione secondo i l regolamento molto saggio.

Che se col sorgere di parecchie altre biblioteche parrocchiali e circolanti ebbe a perdere i l suo carat­tere d i biblioteca cittadina, rimane però sempre una delle migl ior i e più frequentate, ove ogni domenica viene distribuito un numero assai considerevole d i l i ­b r i , intesi all'educazione morale del popolo, mediante una lettura dilettevole e adattata alla sua mentalità e alla sua istruzione.

Società Buona Stampa

Come integrazione della Biblioteca popolare, P. Giocondo da Vaglio fondò la Società Buona Stampa, per porre un argine alla stampa immorale e atea e per far entrare ovunque i l pensiero cristiano.

Incominciò col tenere conferenze, organizzare r i u ­nioni e preparare zelatori e zelatrici i n città e nei paesi. Curò assai la distribuzione e la diffusione d i fogli , d i periodici e d i l i b r i . Entusiasmò con la sua

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parola ardente e persuasiva le persone più influenti e ne ebbe i più alt i elogi e l'appoggio incondizionato (2).

Sarebbe superfluo diffondersi a parlare del bene immenso che la Società Buona Stampa ha operato e va operando ovunque. Qui l ' importante è far rimar­care che i l fondatore d i quest'opera in Bergamo è sta­to un Cappuccino del convento d i Borgo Palazzo. Ne abbiamo una testimonianza irrefragabile nello « Statu­to » composto quando la Società venne dichiarata ope­ra diocesana. I n esso leggiamo : « La presente Società della Buona Stampa » è una continuazione della « So­cietà Buona Stampa » fondata da P. Giocondo da Va­glio Min . Cappuccino sino dal 1909 i n Borgo Palazzo come integrazione della « Biblioteca circolante ».

P. Giocondo da Vaglio va quindi considerato e venerato quale fondatore della presente Società che venne ampliata e modificata i n armonia allo statuto dell'Opera Nazionale per la Buona Stampa testé ema­nato da S. S. P.P. Benedetto XV.

L'opera feconda d i P. Giocondo, troppo presto ra­pito all'Apostolato, si esplicò in molte località, essen­do sorte, dietro sua iniziativa, Società Buona Stampa a Milano, Napoli , Rivol i , Piacenza, R i m i n i , ecc., tut­te unite in intima relazione fra loro e con la Sede di Bergamo.

Coll'augurio che tale intimità abbia a perdurare anche coi rinnovati Statuti, la Società d i Bergamo por­ge a tutte le Società consorelle i l cordiale e fraterno saluto » (3).

(2) Verbali della Congregazione conventuale del T.OS. (3) Statuto della Società della Buona Stampa, Bergamo 1915.

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L a Vita Interiore

L'entusiastica attività dei frat i sgorgava da una ardente fiamma d i amore d i Dio e del prossimo che l i spingeva ad intraprendere arditamente quanto co­noscevano essere d i gloria a Dio e d i bene alle anime. Nello stesso tempo però attendevano a quel silenzioso e profondo lavoro interiore che l i portava verso le vette della santità, come ci attesta la « cronaca del convento » (4).

I l Necrologio del convento ricorda i l 26 ottobre 1905 la santa morte d i P. Samuele da Binanuova, avvenuta poco dopo la sua Ordinazione sacerdotale. Dalla let­tera con cui i l suo superiore ne annunciava ai conven­t i la morte, togliamo queste parole : « corrispondendo alla voce del Signore che Io chiamava allo stato re l i ­gioso, i n giovane età P. Samuele riparava all'ombra del santuario i l tesoro d i quella innocenza che aveva saputo conservare nel mondo, e che fece bril lare, sen­za che egli se ne accorgesse, in tutto i l corso della sua vita claustrale... Era giglio d i purezza... Era una d i quelle anime semplici e u m i l i che si credono i n u t i l i sulla terra, che anche giunte ai più alt i gradi della virtù sono penetrate dalla più intima persuasione del­la propria meschinità, ma che intanto offrono agli oc­chi d i Dio e degli uomini lo spettacolo d i una vita irreprensibile e santa » (5).

Un altro angelo d i virtù volato al cielo in questi anni, fu i l giovane chierico Fra Valerio da Bovisio, morto nel convento d i Bergamo i l 19 marzo 1907 (6).

(4) Cronaca del convento; Necrologie pubblicate su Annali Francescani in questi anni.

( 5 ) Annali Francescani, 3 6 ( 1 9 0 5 ) p. 735. (6 ) Cronaca del convento 19 marzo 1907; Annali Francescani.

3 8 ( 1 9 0 7 ) 15 aprile.

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Dopo molt i anni, i confratelli che erano suoi compa­gni d i studio, ne parlano ancora con ammirazione e devozione, come d i un raro esempio d i virtù.

Una figura veramente veneranda per austerità d i vita e ardore apostolico fu P. Arsenio da Trigolo, fon­datore dell 'Istituto delle Suore d i Maria Consolatrice, assai diffuso in Italia e all'estero. Le sue virtù, i l suo zelo sacerdotale e i fatt i straordinari avvenuti durante la sua vita e dopo la sua morte sono descritti i n una ampia biografia pubblicata da P. Liberato da Selle-re (7).

L a guerra del 1915-1918

A turbare la pace del convento venne la guerra che seminò l'angoscia e lo spopolò, obbligando t u t t i i religiosi che ne erano abi l i , a prestare servizio m i l i ­tare. Se i l convento divenne pieno d i tristezza, perché i n esso erano rimasti solo i frat i ammalati e i vecchi, più penosa era la situazione d i quei confratelli che avevano dovuto bruscamente cambiare la pace del chiostro con la vita d i caserma, i l saio francescano con la divisa militare, la casa del Signore col campo d i battaglia. Era penosa questa loro situazione, ma era imposta dal dovere che essi seppero compiere con ono­re fino all'eroismo. Alcuni morirono combattendo, a l t r i furono fatt i prigionieri e non pochi vennero decorati al valore militare. Quelli che erano sacerdoti presta­rono generosamente i l loro servizio negli ospedali m i -

( 7 ) 1 .na.HA i'i> DA SKI.I .KHK, P . Arsenio da Trigolo, Fondatore della Congregazione delle Suore di M. Consolatrice, Milano 1953 .

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l i tar i come infermieri o come cappellani sui campi d i battaglia (8).

Di nuovo sulle vie dell'Apostolato

I l contatto col mondo, se l i aveva messi a dura prova, aveva fatto conoscere loro anche le tante miserie morali delle varie classi sociali e i l conseguente b i ­sogno d i un apostolato più intenso. I fratell i laici , che per gli uffici d i portinaio, d i sacrestano, d i questuante, sono a continuo contatto col popolo, si impegnarono ad essere sempre 'più apostoli del buon esempio e della parola. I f rat i chierici si impegnarono ad uno studio più profondo per divenire guida sicura e sor­gente d i luce per le anime. I sacerdoti si diedero con rinnovato fervore a tutte le opere sante del loro m i ­nistero sacerdotale, accettando serenamente ogni sa­crifìcio fino a dare generosamente anche la propria vita. I n f a t t i , quando la tremenda « febbre spagnola > colpì la città e la provincia, essi, non badando al peri­colo del contagio, si portarono ovunque c'era un am­malato da assistere. I n seguito all'epidemia contratta nell'assistenza degli ammalati, alcuni religiosi v i la­sciarono la vita. Tra essi va ricordato i n modo part i ­colare P. Bentivoglio da Bergamo, giovane d i un ar­dore apostolico eccezionale e compagno indivisibile d i P. Giocondo da Vaglio nella diffusione della Buona Stampa, nella direzione della Biblioteca popolare, e .sopratutto nella propaganda del Terz' Ordine fran­cescano. Questo giovane sacerdote cappuccino del con-

(8) I M E R I O DA C A S T E L L A N Z A , Gli Angeli delle Armate, Ber­gamo 1937.

192 Durante / «• gUtrra 1939-1945 Voltare della Madonna era meta

di continui paUtgrtnaggi

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vento d i Borgo Palazzo moriva vittima della febbre spagnola contratta mentre assisteva i contagiati nella parrocchia d i l'emicranica (9) .

I l Terz 'Ordine Francescano

Portare lo spirito d i S. Francesco nel mondo! Ecco una delle più grandi aspirazioni dei figli del Serafico Padre. I l suo messaggio « Pax et Bonum » -Pace e Bene, come in t u t t i i secoli aveva avuto un influsso benefico nella società, cosi lo doveva avere anche nel nostro secolo, tanto bisognoso d i pace e tran­quillità. Bisognava parlare di pace e d i perdono alle nostre generazioni piene di odio e d i rancori ; parlare d i distacco dai beni terreni agli uomini presi dal­l'ingordigia dell 'oro; parlare d i cielo a questi uomini attaccati alla terra; parlare di spirito dove non si pensa che ai dispiaceri brutal i della carne. Questo doveva essere i l compito principale dei Terziari Fran­cescani in mezzo alla società.

Perciò i frati - i industriavano in tut t i i modi d i diffondere i l Ter/ ' Ordine, tanto raccomandato dai Sommi Pontefici come mezzo veramente efficace per riportare i l popolo sulle vie del Vangelo.

A Bergamo questa attività ebbe un incremento straordinario nel periodo in cui i f rat i non godevano* della tranquillità del loro convento, perché forzati ad abitare ai Celestini, in seguito alla soppressione del 1868.

In fa t t i , come abbiamo visto nel capitolo preceden-

(9) N ver ninniti ilei Frati Minori Cappuccini di Lombardia, Milano 1910, N ottobri 1918; Annali Francescani, 49 (1918).

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te, nel 1873 fondarono la prima congregazione del Terz' Ordine Francescano i n città nella chiesa d i S. Ber­nardino in Borgo Pignolo. Dietro a questa nacquero altre congregazioni i n città e in provincia, che con l'andare degli anni divennero decine e centinaia, tal­mente che si può dire che all ' inizio del nostro secolo non v i era parrocchia o istituto che non avesse la sua congregazione. Lo stesso clero apparteneva nella sua totalità al Terz' Ordine Francescano, perché nel se­minario t u t t i i chierici venivano iscritt i alla congre­gazione locale per essere informati allo spirito dello Ordine (10). Per poterlo poi col^vare anche dopo ordinati sacerdoti, venne istituita « L 'Unione Sacer­dotale Francescana ».

Quando la città e provincia furono ormai permeate dello spirito francescano, venne indetto un grandioso « Congresso Diocesano Terziario francescano i n com­memorazione del 7° centenario della fondazione del T. O. F. » Preparato dal Comitato composto dalle mag­giori autorità religiose e c iv i l i della città, fu presie­duto dall ' Km mentissi ino Card. Sbarretti, Prefetto del­la Congregazione del Concilio e condecorato dalla pre­senza d i Sua Ecc. Mons. Marel l i , Vescovo diocesano, e d i a l t r i Vescovi. Le manifestazioni si svolsero nei giorni 27. 30 aprile 1922 con un concorso superiore a ogni aspettativa, e la sua meravigliosa riuscita fu anche la migliore preparazione al 7° centenario della morte del Padre S. Francesco, che ebbe manifestazioni anco­ra più imponenti, non solo in Bergamo, ma ancora in tutto i l mondo (11).

(10) Annali Francescani, dull'inizio al 1922. (11) Cronaca del convento, aprile 1922; Annali Francescani,

53 (1922) maggio; Verbali della Congregazione Conventuale del T . O . F .

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Settimo centenario della morte di San Francesco

I n una città fervente come Bergamo, la comme­morazione del settimo centenario della morte del Pa­dre San Francesco doveva riuscire una vera apoteosi del - a u t o , data la tradizionale devozione a S. Fran­cesco, fondata sulla persuasione del passaggio del Santo i n questa città e sulla profonda venerazione per i suoi figli, come riconoscenza del bene immenso ricevuto da loro per sette secoli.

Non è possibile riassumere i n poche parole quello che dai giornali locali venne definito : « I l trionfo del Francescanesimo » ; e perciò ci l imitiamo a riman­dare i l lettore a quanto f u scritto i n quei giorni da testimoni oculari (12).

La preparazione della popolazione a tale ricorren­za durò tutto un anno con scrìtti, predicazioni e con­ferenze intese ad illustrare la figura del santo; tal­mente che, nella settimana dal 18 al 25 settembre 1927, nella quale si tenne la conclusione delle solennità, i l popolo era così entusiasmato che volle portare trion­falmente la statua del Santo per le vie della città, i n un tripudio d i fiori, d i canti e d i preghiere, a cui parteciparono i l Card. Locatelli, parecchi Ecc.mi Ve­scovi, tutte le associazioni religiose della città e tutte le autorità c iv i l i e m i l i t a r i . Sembrò veramente che i l Santo passasse fra le vie cittadine, tanto si sentiva presente i l suo spirito d i pace e d i bene.

(12) l'Eco di Bergamo, quotidiano cittadino, 18-25 settem­bre 1927; Cronaca del convento.

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Quarto centenario della Fondazione dei Cappucci­ni e della loro venuta a Bergamo

La cronaca manoscritta del convento ricorda nei giorni 6 - 7 - 8 maggio 1928, le celebrazioni tenute per commemorare i l quarto centenario della Bolla « Reli-gionis Zelus » con la quale i l Sommo Pontefice Cle­mente V I I approvava la nuova riforma francescana dei Frat i Minor i Cappuccini.

Furono come la preparazione alla commemorazione del quarto centenario della venuta dei Cappuccini a Bergamo, che si tenne nei giorni dal 23 al 27 giu­gno 1935. I molt i discorsi pronunciati i n tale circo­stanza, particolarmente quello del Vescovo diocesano Mons. Bernareggi e quello del Professor Paolo Arcat i dell ' Università d i Friburgo, tenuto a tutto i l popolo al teatro Rubini , furono la più grande esaltazione del bene immenso compiuto dai cappuccini i n quattro­cento anni nella terra bergamasca. Tra i mol t i art i ­coli pubblicati dalla stampa cittadina, togliamo un brano d i quanto scrisse Giambattista Carrara sul quo­tidiano « L ' E C O d i BERGAMO » del 28 g iugno^SS : « . . . da una parte i l popolo bergamasco deve molto ai cappuccini, e dall 'altra costoro non hanno mai de­luso nè l'affetto nè l'aspettazione d i quello. Perché come questi f rat i apparvero i n quella lontana prima metà del secolo XVI . . . austeri, operosi, pronti in ogni bisogno del popolo, poverissimi e u l t i m i i n ogni posto, così essi si mantennero e così fecero sempre, su, su, fino a questo vertiginoso 1935.

La città antica d i Bergamo l i vide camminare per le vie semplici e modesti, come S. Francesco e frate Leone per le vie d i Assisi. I l popolo se l i sentì accanto nelle sue ore più tr ist i e torbide, nelle pestilenze e

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nulle guerre, consolatori ineffabili e improvvisati me­dici o chirurghi. L i ascoltò parlanti dai p u l p i t i della morte, della Croce, della vanità del mondo e della misericordia d i Dio. L i osservò infaticati camminatori, portarsi a piedi da un villaggio del piano a un borgo montano per soccorrere le anime e aiutare i poveri nostri preti .

E dal popolo bergamasco i poveri cappuccini fu­rono sempre benedetti e amati i n questi quattro secoli, perche questo nostro popolo, lavoratore tenace, silen­zioso e pieno d i fede cattolica in ogni tempo, com­prese bene che sotto i l ruvido saio cappuccinesco pal-pitavan cuori magnanimi e vivevano spir i t i grandi, capaci d i comprendere t u t t i i bisogni suoi, e pronti e solleciti, come i l samaritano a versar olio e vino sulle sue ferite.

Nè può essere altrimenti spiegato l'attaccamento stretto dei bergamaschi e la loro predilezione verso i cappuccini.

Tale i l poderoso carico d'opere e d i gloria che i Cappuccini d i Bergamo depongono oggi un istante a mirare per cavarne forza e costanza nel cammino sempre immenso che l i attende; per puntare su vette sempre più alte e lontane » (13).

U n grazioso episodio

I l popolo l i amava tanto anche perché d i sovente la loro vita era seminata d i graziosi episodi che da­vano un sapore di freschezza alla loro profonda auste-

(13) L'Eco iti Bergamo, 28 giugno 1935.

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rità; cosa che l i rendeva sempre più cari a t u t t i . Ne riportiamo uno che è ricordato i n un affresco del convento.

Era la festa del Padre S. Francesco, e i f ra t i , come è d i consuetudine, i n quel giorno avevano invitato diversi benefattori alla loro povera mtnsa, che i n tale circostanza si permetteva d i essere un po' abbondante anche per quanto i benefattori stessi usavano mandare. Fra Gioachino, i l vecchio frate questuante, non era andato alla questua, perché era grande festa, e anche perché, essendo i l miglior conoscitore dei benefattori, doveva riceverli alla portineria, fare gli onori d i casa e preparare le mense. Era felice i n quel giorno. F i ­nalmente avrebbe potuto dimostrare ai suoi cari bene­fattori che quanto aveva ricevuto da loro i n dono serviva ad allietare la mensa conventuale e d i più avrebbe fatto vedere che sapeva conservare bene anche i l vino che gl i avevano regalato i n quell'anno. Mentre pensava queste cose, era sceso i n cantina a spillare i l vino da porre i n refettorio. Appena aperta la spina, ecco che suona la campanella della portineria. Fra Gioachino fa i suoi calcoli: intanto che la secchia si riempie faccio a tempo a salire e discendere. Sale, apre la porta e vede un suo caro benefattore arrivato i n anticipo per visitare i l convento. I l buon frate, fe­lice d i quell'incontro, si effonde i n complimenti e ac­compagna quel signore, dimenticando la spina aperta. Dopo parecchio tempo, essendo caduto i l discorso sulla vendemmia, fra Gioachino si ricorda della spina aperta e della botte che ormai deve essere vuota. Come avreb­be fatto a pranzo coi suoi benefattori? Pieno d i fede, innalza una preghiera al suo grande Patrono, S. Fe­lice da Cantalice: i l primo fratello laico cappuccino che salì l'onore degli altari e che come l u i era stato

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questuante per quarantanni. « Fra Felice, fammi tro­vare i l mio vino! » E con alcuni confratelli corre con l'animo sospeso i n cantina. Meraviglia! La spina era aperta, ma i l vino non scendeva. E mentre ammira­vano stupiti, i l vino riprese a discendere.

I n memoria d i questo fatto venne eretta una cap­pella nell'orto fra le v i t i . I l Vescovo diocesano Mon­signor Bernareggi la benedisse i l 27 febbraio 1937, e concesse cinquanta giorni d i indulgenza a chi prega davanti all'immagine che ricorda i l fatto prodigioso.

L a seconda guerra mondiale

L'ult ima grande guerra, che fu causa d i tante ro­vine nel mondo, impegnò i f rat i del vecchio convento d i Borgo Palazzo in una grande missione: fu quella d i portare i l conforto i n ogni casa gettata nella miseria, nel pianto e nel lutto.

Ogni giorno più andavano crescendo le persone che venivano al convento per chiedere l'interessamen­to dei f rat i onde avere notizie dei loro cari, dispersi sui campi di battaglia o portati nei campi d i concen­tramento e che da tempo non si facevano più v i v i ; lasciando madri e spose i n un'angosciosa attesa, che si protraeva per mesi e anni, consumandole nel dolore più straziante. E essi si interessavano a fondo d i ogni singolo caso.

Sapendo quanto sia prezioso i l conforto della fede i n ta l i calamità, innanzitutto venne organizzata una crociata d i preghiere per ottenere dal Signore la ces­sazione dell'immane flagello, dovuto alle colpe private e pubbliche dell'umanità, che si era tanto allontanata da Dio.

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L'altare della Madonna Immacolata, Regina della pace, divenne la meta d i continue preghiere d i mamme che pregavano per i loro figli, di spose che pregavano per i loro mar i t i , d i sorelle che pregavano per i fra­te l l i , d i fidanzate che pregavano per i loro fidanzati, portando all'altare della Madonna la fotografìa dei loro cari, quasi per renderli più presenti allo sguardo della Madre Celeste. Le funzioni per invocare la pace si susseguivano ogni giorno, accompagnate*dalla parola ardente dei religiosi, che scendeva come balsamo in quelle anime ferite e straziate dal dolore.

Dall'altare i f rat i passavano alle case più colpite dalla sventura, alle carceri rigurgitanti d i detenuti po­l i t i c i , ai nascondigli dei perseguitati e dei fuggiaschi, ai luoghi d i concentramento. Ovunque sapevano pene­trare per spegnere gli odi, raffrenare le vendette, r i ­petere la parola della pace e della fraternità.

Accanto all'assistenza spirituale e morale non man­carono d i prodigarsi anche per l'assistenza materiale. Due erano particolarmente le categorie che si trova­vano nella miseria: i poveri e i sinistrati provenienti da altre provincie, ove per i bombardamenti o per i l passaggio della guerra, avevano perduto ogni cosa. Mentre i ricchi potevano provvedersi d i tutto ai prez­zi favolosi del mercato nero, questi non avevano nem­meno i l pane necessario per sfamarsi. Era una con­tinua processione d i gente che veniva alla portineria del convento a chiedere qualche cosa per placare gli .stimoli della fame, piuttosto che mettersi i n pericolo d i commettere qualche errore, perché la fame è sem­pre una cattiva consigliera. E i l convento continuò a dare a t u t t i e sempre per tutto i l periodo della guerra. A chi domandava come ciò fosse possibile fra tanta penuria, i frat i ripetevano che nemmeno essi lo sape-

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vano spiegare, se non attribuendo i l fatto a una par­ticolare protezione della Divina Provvidenza, che sem­brava moltiplicasse i l pane nelle loro mani.

T r a i bombardamenti

La città di Bergamo ebbe la grazia segnalata di essere risparmiata dai bombardamenti. Non per que­sto i f ra t i d i Borgo Palazzo si risparmiarono d i accor­rere a portare i l loro aiuto spirituale e materiale nel­le zone colpite da tale sciagura. Ben d i sovente l i ve­diamo un i t i ai confratelli d i Milano e d i altre città. Ove maggiormente risplendette la loro opera fu nel bombardamento del grande stabilimento d i Dalmine, a pochi chilometri da Bergamo. I l 6 luglio 1944 un bombardamento a tappeto colpiva i n pieno t u t t i i re­part i , facendo circa trecento morti e moltissimi fer i t i . Era una visione desolante! Mentre t u t t i fuggivano ter­rorizzati e spaventati dal susseguirsi del passaggio d i aerei nemici minaccianti nuove incursioni, dal con­vento d i Bergamo partivano t u t t i i giorni i giovani frat i studenti d i teologia, guidati da un loro profes­sore e da altr i padri, si portavano sul luogo col­pito dalla sventura e v i prestavano generosamente la loro opera fino al ricupero completo d i tutte le salme e l'accompagnamento alle loro case. Cosa che richiese del vero eroismo se si pensa che, essendo nei calori cocenti d i luglio, i cadaveri erano in piena putrefazione, brulicanti d i vermi, con esala­zioni che toglievano i l respiro, tanto che i f rat i dovet­tero mettersi i guanti e la maschera. E tutto ciò sotto la continua minaccia d i nuovi bombardamenti.

La popolazione rimase ammirata e scrisse per loro

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