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Sergio ChiarloniPer la chiarezza di idee in tema di tutele collettive dei consumatori *

1.- Premessa: necessità di distinguere tra azioni di classe e azioni collettive. 2.-Il singolare scambio delle nozioni nella progettazione legislativa. 3.-Inconvenienti dell’importazione di una azione di classe alla nordamericana. 4.-Vantaggi di un’evoluzione dell’azione collettiva delle associazioni dei consumatori. 5.-I precedenti degli attuali progetti di legge in tema di azione collettiva. 5.1-I diversi punti di vista sull’efficacia dell’inibitoria generale ora disciplinata dal codice del consumo. 5.1.2 L’accertamento della responsabilità del professionista nell’inibitoria collettiva fa stato a favore del singolo consumatore. 5.1.3 Sostanziale irrilevanza della distinzione tra sentenza di accertamento della responsabilità e sentenza di condanna generica nell’azione collettiva. 6.-I progetti del legislatore sulla linea della accolta opzione interpretativa della legislazione vigente. 6.1-la nuova azione collettiva come azione di accertamento esercitabile oltre i confini dell’inibitoria generale. 7.-Notazioni su alcune delle più rilevanti differenze tra i diversi progetti per l’azione collettiva c.d. “risarcitoria”. 8.-Tre possibili integrazioni dei progetti. 9-. Brevi notazioni in tema di conciliazione.

1.- Premessa: necessità di distinguere tra azioni di classe e azioni collettive Comincio con un tentativo di mettere ordine. Non sono sicuro di riuscirci perché grande è la

confusione sotto il cielo in materia di tutela dei consumatori. Sia nelle discussioni scientifiche sia nella progettazione legislativa, che vede giacere in Parlamento, se non ho sbagliato a contare, ben nove diversi disegni di legge.

Mettere ordine significa prima di tutto occuparsi del linguaggio, questo “servo infedele e padrone segreto del pensiero”.

Si parla e si scrive di azioni collettive e di azioni di classe. Ma la distinzione tra le due nozioni molto spesso non è chiara nella testa di chi le adopera. Mi sembra che vengano spesso confuse e talvolta scambiate.

Ne offro qui una definizione stipulativa, che spero possa venir condivisa, perché mi sembra corrispondere agli usi consolidati del passato. Un’operazione banale, ma forse utile per contribuire a chiarire i termini delle diverse scelte che oggi si presentano oggi sulla scena della progettazione legislativa.

Per azioni di classe intendo quella che vengono instaurate da un singolo individuo nell’interesse anche di una pluralità di soggetti (la classe) che si trovano in una comune situazione giuridica bisognosa di tutela giurisdizionale. Un’azione sottoposta ad un vaglio preventivo di ammissibilità, opportuno, anzi direi necessario perché in caso di ammissione il risultato finale vincola, a certe condizioni, tutti gli appartenenti alla classe. Tanto se si tratti di un provvedimento, sia di accoglimento sia di rigetto, quanto se si tratti una conciliazione. Tanto se si tratti di una sentenza di puro accertamento quanto se si tratti di una sentenza di condanna (che può anche portare alla creazione di un fondo in denaro destinato alla soddisfazione, sotto controllo di un “amministratore”, di crediti riconosciuti ai singoli membri della classe).

Per azioni collettive intendo quelle che vengono instaurate da associazioni nate e affermatesi come “centri di imputazione” di interessi che fanno capo ad una collettività di individui sovente più ampia rispetto agli associati e non legati tra loro da alcun rapporto giuridico. L’azione, di cui questi c.d. enti esponenziali sono titolari esclusivi, tende ad ottenere la tutela giurisdizionale degli interessi comuni attraverso provvedimenti che accertino l’illegittimità di comportamenti dell’impresa convenuta pregiudizievoli a quegli interessi ed eventualmente ne ordinino la cessazione. In ordine all’efficacia del giudicato la tendenza culturale e della progettazione legislativa va verso il

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riconoscimento dell’efficacia secundum eventum: a favore, ma non contro i singoli appartenenti alla collettività che intendano agire in giudizio per la tutela delle loro posizioni individuali.

Mi sembra che queste due definizioni, per il momento molto generiche, sono peraltro sufficienti per identificare due modalità di tutela giurisdizionale storicamente presenti da tempo in una pluralità di ordinamenti.

La c.d. class action nordamericana, da un lato, e l’azione a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti, dall’altro lato, sul tipo di quella ora preveduta, nel nostro Paese, a seguito di un recente intervento di consolidazione di normative preesistenti, dall’art. 140 del Dlgs 6 settembre 205, n. 206, intitolato Codice del consumo.

2.-Il singolare scambio delle nozioni nella progettazione legislativa Eppure, a testimonianza della confusione di cui parlavo, succede che le due nozioni

risultano invertite nel linguaggio di alcuni dei progetti legislativi attualmente in discussione in parlamento.

La proposta di legge n. 1834, di iniziativa del deputato Pedica; la proposta n. 1443 di iniziativa dei deputati Poretti e Capezzone, la proposta n. 1330 di iniziativa del senatore Fabris sono tutte proposte chiaramente ispirate al modello nordamericano (azione individuale; giudizio preventivo di ammissibilità, nomina del c.d. curatore amministrativo). Ma le azioni ivi previste sono denominate, azione collettiva (proposta Fabris), oppure azione giudiziaria collettiva (proposte Poretti e Pedica).

Per converso, la proposta di legge di iniziative dei ministri Bersani e Mastella, la proposta n. 1662 di iniziativa del deputato Buemi e altri, la proposta n. 679 di iniziativa del senatore Benvenuto sono tutte proposte che si limitano a segnare un’evoluzione (neanche così marcata, come vedremo) dell’azione inibitoria già presente per il nostro ordinamento nel ricordato art. 140 del codice del consumo. Ma le azioni ivi previste sono denominate, in inglese, class action nella relazione della prima proposta e addirittura nella rubrica del primo articolo delle ultime due1, con una non molto lodevole manifestazione di esagerato cosmopolitismo.

La ragione di questa singolare inversione terminologica è per me un mistero. Sarebbe troppa malignità pensare che i proponenti di una semplice, piccola evoluzione di un meccanismo giurisdizionale da anni presente nel nostro ordinamento l’abbiano voluta verniciare con un riferimento di gran moda e che, per converso, i proponenti dell’importazione del modello nordamericano abbiano scelto l’understatement allo scopo di far passare più facilmente una vera e propria rivoluzione che ha trovato un certo numero di oppositori al tempo di analoghe iniziative della passata legislatura.

3.-Inconvenienti dell’importazione di una azione di classe alla nordamericanaDichiaro subito la mia perplessità di fronte alle iniziative indirizzate ad importare

dell’azione di classe alla nordamericana nel nostro ordinamento. Per molte ragioni.In primo luogo per l’enorme, eccessiva complicazione della procedura. Anche a prescindere

da alcune curiose particolarità dei progetti presentati. Come, per esempio, la singolare duplicazione degli stessi elementi nell’istanza per l’ammissione dell’azione collettiva, che trovo in tutte le proposte di legge. Si richiedono, oltre la trascrizione integrale della citazione, completa di tutti gli elementi di cui all’art. 163 c.p.c., una serie di indicazioni, che fanno già parte della citazione che si intende notificare. Trovo al riguardo molto buffo veder scritto che bisogna inserire in questo atto introduttivo “oltre a quanto previsto dall’art. 163 del c.p.c., una esposizione sommaria dei fatti e degli elementi di diritto oggetto della domanda nonché delle domande proposte”.

1* Questo saggio è destinato agli Studi in onore di Vittorio Colesanti? La proposta di legge n. 1289 di iniziativa dei deputati MARAN e altri, che si inserisce nella tipologia evolutiva dell’azione collettiva già disciplinata dall’art. 140 del codice del consumo parla di “azione di gruppo”, a seguito di una probabile suggestione della “group action” del diritto inglese, che però è ben diversamente disciplinata.

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Ma a parte questi rilievi di tecnica legislativa, trovo preoccupanti: la previsione di una competizione tra i diversi promotori della classe, con attribuzione al giudice del delicato potere discrezionale di scelta del vincitore. L’ulteriore eccesso di discrezionalità insito nella valutazione a lui rimessa, di un requisito evanescente come la “meritevolezza” dell’azione per decidere sull’ammissibilità. La mancata previsione di controlli sul provvedimento che nega l’ammissibilità dell’azione, foriera di dubbi di legittimità costituzionale per violazione del diritto di azione. La previsione che il giudizio si svolga secondo le regole del rito societario, ormai sottoposto ad una reazione di rigetto degli operatori, per i continui problemi di applicazione e le conseguenti oscillazioni di orientamento nel diritto vivente2. La possibilità per il giudice di condannare il convenuto al pagamento dei danni punitivi a favore della classe, suscettibile di una censura di incostituzionalità, analogamente a quanto già deciso tempo fa dalla Corte costituzionale tedesca in un caso di richiesta di delibazione di una sentenza nord americana. Il silenzio delle proposte circa gli effetti della sentenza nei confronti degli appartenenti alla classe che non si sono iscritti. Il silenzio circa la posizione degli iscritti alla classe dissenzienti rispetto ad una proposta transattiva poi consacrata nella sentenza. L’evenienza molto probabile che si diffonda tra gli avvocati una mentalità da cacciatori di taglie con un qualsiasi membro della classe come obiettivo. Evenienza tenuta dallo stesso legislatore, inducendolo a scrivere3, credo con la stessa efficacia di una grida manzoniana, che “è fatto divieto agli avvocati di organizzare azioni collettive risarcitorie in qualsiasi forma, anche indirettamente o per interposta persona”.

Esistono poi ragioni di ordine più generale a giustificare perplessità circa le proposte in discussione4.

La cultura cosmopolita prevalente nel nostro Paese (in contrasto con la cultura opposta che domina Oltralpe) ha molti lati positivi. Nel campo del diritto comporta peraltro dei rischi, primo fra tutti quello, già sperimentato per la vigente disciplina del processo penale, di farsi prendere da un non sufficientemente sorvegliato cupio imitari, senza tener conto del contesto italiano in cui l’istituto straniero che si vuole trapiantare è destinato ad intervenire.

La struttura della class action è un frutto della mentalità estremamente competitiva e individualista che prevale al di là dell’Oceano e può opportunamente avvalersi del carattere imprenditoriale della professione legale, dove studi di grandi dimensioni sono in grado di affrontare i rischi economici connessi alle indagini spesso complicate e costose indirizzate a valutare le opportunità di promozione del giudizio (non per nulla si parla correntemente di legal industry per denotare il lavoro degli avvocati).

In Italia non abbiamo niente di simile5. Senza contare oltretutto che la pratica delle class action ha dato luogo ad inconvenienti nello stesso Paese di origine6, pur dovendosi ad essa riconoscere la qualità di un potente strumento di democrazia economica per tenere a freno gli istinti animali del capitalismo di rapina7. Inconvenienti verificatisi soprattutto con riferimento al forum shopping tra giurisdizioni statali alla ricerca della giuria più incline all’accoglimento dell’azione,

2 Qualche approfondimento sui gravi difetti del processo societario in CHIARLONI, Il rito societario a cognizione piena: un modello processuale da sopprimere, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, p. 865 ss. 3 Cfr. art. 15, comma 1° della proposta Pedica.4 Non credo però che esistano insuperabili ostacoli d’ordine costituzionale all’introduzione dell’istituto, a condizione di importarlo con qualche modifica, rispetto ai modelli prevalenti in USA, in particolare la previsione di efficacia della sentenza o della conciliazione nei confronti degli appartenenti alla classe che abbiano effettuato il c.d. opt in, invece di escluderla nei confronti degli appartenenti che abbiano effettuato il c.d. opt out. Per l’incostituzionalità v, peraltro, RESCIGNO, Sulla compatibilità tra il modello processuale delle class actions ed i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, in Giur. It., 2000, p. 2224 ss5 Nel senso che il “protagonismo economico” dell’avvocato (oltre che la “funzione regolatrice e manageriale del giudice civile”) negli Usa non trovino riscontro nel nostro ordinamento e che per questa ragione il modello delle class actions sia oggi inimitabile in Italia (pur nel contesto di un’apertura verso il futuro) cfr già CONSOLO, Class actions fuori dagli USA?, in Riv. dir. civ., 1993, I, p. 653 ss.6 Particolarmente, è opportuno rilevare, proprio con riferimento alla Mass Tort Litigation, che può veder coinvolti centinaia di migliaia di danneggiati, con difficoltà di gestione che danno talvolta luogo all’invocazione dell’intervento legislativo in sostituzione di quello giurisdizionale. Come nella famosa (e famigerata) Asbestos Litigation, su cui vedi, da ultimo, PARLOFF, Tort Lawyers: There They Go Again, in Fortune, Europe edition, 2004 (15), p. 76 ss.7 Non mi sento pertanto di condividere le perplessità le perplessità di qualche scrittore neoliberista che preferirebbe affidarsi a supposte virtù taumaturgiche del mercato. Le trovo evidente frutto di pregiudizio ideologico. Cfr. ad esempio, recentemente, POSNER, The Economics of Business Scandals and Financial Regulation, in www.sspa.it/pdf/scuo laspeech.pdf , che trovo citato adesivamente da COSTANTINO, Note sulle tecniche di tutela collettiva, in Riv. Dir. Proc., 2004, p. 1009, nota 1.

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Chiarloni, 09/12/2006,
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alla tendenza, del management responsabile delle imprese coinvolte particolarmente avverso ai rischi, ad accettare un settlement una volta certificata l’azione pur ritenuta infondata, nonché all’avidità degli studi legali nell’appropriarsi grazie al patto di quota lite di gran parte dei benefici economici derivanti da una sentenza o più frequentemente da una transazione. Tanto da provocare di recente un intervento legislativo per reprimere gli abusi8.

4.-Vantaggi di un’evoluzione dell’azione collettiva delle associazioni dei consumatoriLe proposte imperniate sull’evoluzione dell’azione collettiva delle associazioni dei

consumatori sembrano a me preferibili, e anche qui per una pluralità di ragioni. Prima di tutto perché si inseriscono in una tradizione interna favorevole all’associazionismo,

che ha visto i c.d. enti esponenziali in prima linea nella tutela degli interessi collettivi, a cominciare dagli interventi operati per la tutela dell’ambiente e del paesaggio che videro verso la fine degli anni sessanta la giurisdizione (prima quella amministrativa poi quella ordinaria) accogliere le prime domande di tutela.

In secondo luogo perché la legittimazione ad agire concessa esclusivamente alle associazioni di cui venga certificata la rappresentatività attraverso l’iscrizione in elenchi pubblici consente di evitare inopportune complicazioni della procedura, a cominciare dal giudizio sull’ammissibilità dell’azione9.

In terzo luogo perché la limitazione dell’oggetto del processo all’accertamento della responsabilità dell’impresa per violazione dell’interesse collettivo tutelato, accompagnata al più da una sorta di condanna generica di cui bisognerà analizzare il significato determina una struttura necessariamente divisa in due fasi se il singolo consumatore desidera avvalersi del risultato positivo dell’azione collettiva allo scopo di ottenere la liquidazione del danno da lui subito.

La cosa è a mio giudizio positiva, specialmente ora che il c.d. decreto Bersani ha, se non abolito, fortemente intaccato il divieto del patto di quota lite, perché evita ciò che in base all’esperienza nordamericana abbiamo visto poter avvenire con le azioni di classe. Stimolare gli avvocati delle associazioni a premere sul cliente per avviare azioni di fondatezza discutibile allo scopo di indurre il convenuto ad una transazione o ad una conciliazione, riservandosi una percentuale o un multiplo della parcella sulle somme recuperate. Quando la legittimazione ad agire sia riservata alle associazioni, prive di scopo di lucro e mai beneficiarie in alcun modo dell’ammontare eventualmente ricavabile dall’indicazione dei criteri per le future liquidazioni a favore dei singoli, pare a me chiaro che quell’ammontare non potrà mai costituire un indice di risultato per la liquidazione degli onorari.

5.-I precedenti degli attuali progetti di legge in tema di azione collettivaI diversi progetti di legge in tema di azione collettiva ora all’esame del Parlamento trovano

la loro origine, sia pure con differenze anche rilevanti, nel disegno di legge n. 3058 approvato dalla Camera nella passata legislatura e poi decaduto per mancato esame da parte del Senato.

Per meglio comprendere la portata dell’ampliamento del raggio di azione della riforma dell’azione collettiva ora all’esame del Parlamento conviene un altro passo indietro: muovere dallo jus quo utimur.

Fin dal 1998 l’art. 3 della legge n. 281 (ora primi sei commi dell’art. 140 del codice del consumo) allarga l’azione inibitoria prima prevista nei confronti delle clausole abusive nei contratti di massa a tutti i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori. Dal complesso della normativa (si parla di misure adottabili dal giudice idonee a correggere o eliminare gli effetti

8 Si tratta Si tratta del Class Action Fairness Act (CAFA) del 18 febbraio 2005, in http://www.theorator.com/bills109/s5.html, indirizzato soprattutto a privilegiare la competenza federale, dove i giudici sono più severi nel concedere la certification e in generale più sensibili agli orientamenti dell’esecutivo e del mondo degli affari, nonché a rendere più incisivo il controllo del giudice sulle convenzioni concernenti gli onorari degli studi legali.9 A questo proposito occorre rilevare che forse ci si potrebbe anche accontentare di un controllo sulla rappresentatività dell’associazione eseguito dal giudice, che consentirebbe una maggiore elasticità, capace di una maggiore aderenza all’evoluzione della vita delle associazioni, come ha dimostrato il controllo giurisdizionale sulla legittimazione al procedimento di repressione dell’attività antisindacale previsto dall’art. 28 dello Statuto dei lavoratori.

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dannosi delle violazioni accertate, nonché di conciliazione il cui verbale acquista efficacia di titolo esecutivo, si deve ricavare la possibilità di emanare una sentenza di condanna ai sensi dell’art. 612 c.p.c. a seguito dell’accertamento di un obbligo di fare o di non fare da parte del convenuto (ad esempio la distruzione di una partita di prodotti difettosi: se può costituire oggetto di conciliazione il cui verbale è eseguibile, a maggior ragione può costituire oggetto di sentenza!). L’esecuzione per surrogazione non può invece estendersi all’emanazione di sentenze di condanna per somme di denaro, semplicemente perché i titolari dei relativi crediti di risarcimento sono i singoli consumatori e non le loro associazioni. In casi del genere l’associazione che agisce in giudizio può ottenere l’inibitoria che da sentenza di accertamento in futuro10 si è trasformata in sentenza di condanna a seguito dell’introduzione di una misura coercitiva o di esecuzione indiretta con la l. 39 del 2002 (la c.d. legge comunitaria 2001), ora comma settimo dell’art. 140 codice del consumo11.

Orbene, è proprio sull’efficacia dell’inibitoria passata in giudicato che occorre concentrare l’attenzione: l’efficacia sia nei confronti dei singoli consumatori coinvolti, sia nei confronti delle associazioni colegittimate all’esercizio dell’azione collettiva.

5.1-I diversi punti di vista sull’efficacia dell’inibitoria generale ora disciplinata dal codice del consumo

Supponiamo che l’inibitoria riguardi la diffusione sul mercato di un prodotto dannoso. Sembra a me intuitivo che l’emanazione del provvedimento richieda preliminarmente l’accertamento della dannosità del prodotto. E sono convinto che l’associazione, se per qualche ragione lo ritiene opportuno e se il produttore contesta che il suo prodotto sia dannoso possa limitare la sua domanda (nel più sta il meno) al mero accertamento dell’illecito. Dal che possiamo dedurre che anche nel caso di richiesta e di concessione dell’inibitoria l’accertamento che la sorregge viene senz’altro a costituire la “minima unità strutturale”12 capace di costituire l’oggetto di una sentenza civile.

Sull’efficacia di quest’accertamento nei confronti dei terzi e più precisamente nei confronti delle altre associazioni legittimate a proporre l’azione collettiva e dei singoli consumatori titolari dell’azione individuale si è molto discusso. Possiamo dire che tutte le possibili tesi sono state avanzate, in stretta connessione con i valori di volta in volta più o meno esplicitamente condivisi dai singoli autori in ordine ai conflitti tra imprese e universo dei consumatori.

Con riferimento alla posizione dei colegittimati all’azione estranei al giudizio, alcuni ritengono che la sentenza faccia stato solo nei rapporti tra le parti, dovendosi applicare l’art. 2909 c.c., anche se qui ci si trova alla presenza d’interessi non semplicemente individuali13. Il che non significherebbe, forse, rendere l’inibitoria un’arma spuntata del tutto, vista l’efficacia persuasiva del

10 Così credo che vadano qualificate tutte le inibitorie in materia di rapporti obbligatori, quando siano prive di una specifica sanzione per il caso di loro violazione. Il giudice accerta che un determinato comportamento è illegittimo e ne inibisce la reiterazione. Ciò significa che, se il medesimo comportamento viene ripetuto dal soggetto che se lo è visto inibire, il giudice investito per la “violazione” dell’inibitoria dovrà limitarsi ad accertare l’identità del nuovo comportamento con la trasgressione già accertata e una volta compiuta quest’operazione sarà vincolato a dichiarare il comportamento illegittimo.11 Va precisato che la qualifica di sentenza di accertamento in futuro andrebbe tuttora ascritta alle inibitorie relativamente alle quali si ritenga che non consentano l’applicazione della misura coercitiva, trattandosi di provvedimenti che generano il dovere di un comportamento omissivo e reiterato nel tempo, senza prevedere un puntuale e specifico adempimento in positivo da parte del professionista (Cfr.MARINUCCI, Azioni collettive e azioni inibitorie da parte delle associazioni dei consumatori, in Consumatori e processo, la tutela degli interessi collettivi dei consumatori, a cura di Chiarloni e Fiorio, Torino, 2005, 47, nota 12) Va tuttavia rilevato che una diversa conclusione e’ possibile, che ritenga invece applicabile la misura coercitiva a cominciare dal giorno in cui l’ordine di non fare venga trasgredito e per tutto il tempo in cui durerà la trasgressione. Quest’ultimo punto di vista, che riterrei preferibile, urta forse contro un’interpretazione strettamente letterale della normativa, ma ne integra meglio la ratio, in quanto consente di evitare un’applicazione troppo ristretta del nuovo istituto. Certo molto più chiaro a favore di un’interpretazione che estenda l’applicazione della misura coercitiva è l’art. 163 della legge sul diritto d’autore, che prevede il pagamento dell’astreinte non solo per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento, ma anche per ogni “violazione o inosservanza successivamente constatata”..Questa conclusione sarebbe applicabile a molte inibitorie con questa struttura, a cominciare dalla maggior parte di quelle in materia di clausole abusive. Va tuttavia rilevato che una diversa conclusione e’ possibile, che ritenga invece applicabile la misura coercitiva a cominciare dal giorno in cui l’ordine di non fare venga trasgredito e per tutto il tempo in cui durerà la trasgressione. Quest’ultimo punto di vista, che riterrei preferibile, urta forse contro un’interpretazione strettamente letterale della normativa, ma ne integra meglio la ratio, in quanto consente di evitare un’applicazione troppo ristretta del nuovo istituto?.

12 Cfr. VERDE, Sulla “minima unità strutturale” azionabile nel processo (a proposito del giudicato e di emergenti dottrine), in Riv. dir. proc., 1989, p. 573 ss.13 FERRI C., l'azione inibitoria prevista dall'art. 1469 sexies c.c., cit., p. 936 ss.

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precedente favorevole, non solo quando la relativa sentenza fosse resa dalla corte di cassazione. Certo, la tesi lascia comunque aperto un margine d’incertezza, che potrebbe tentare il professionista a perseverare nel comportamento inibito, sapendo che potrà nuovamente difendere l’innocuità del suo prodotto di fronte all’azione collettiva intentata da altro legittimato.

Altri ritengono invece che il giudicato, in virtù della peculiarità del suo oggetto si estende a favore o contro i colegittimati all'esercizio dell'azione14. Questa tesi mi sembra criticabile, sia per la violazione del diritto di azione cui andrebbero incontro le associazioni estranee al giudizio, concluso con il rigetto della domanda, grazie all’accertamento dell’innocuità del prodotto contestato, sia per l’incoraggiamento che ne deriverebbe alla costituzione di associazioni “gialle”, amiche degli imprenditori, per la promozione di azioni così mal gestite da condurre al rigetto di domande fondate.

Altri infine, a mio giudizio assai più opportunamente, hanno da tempo preferito pensare, già con riferimento ad altre ipotesi di azioni a tutela di interessi collettivi, sulla linea della classica elaborazione di Liebman15 relativa al concorso soggettivo di azioni, ad un’efficacia secundum eventum litis, (analoga a quella legislativamente prevista in materia d’obbligazioni solidali) nel senso che essa si estenderebbe all’universo delle altre associazioni nel caso d’esito favorevole e restringerebbe alle parti del giudizio la sua efficacia in caso contrario16.

Non credo che sia da condividere la preoccupazione autorevolmente avanzata nei confronti di questa tesi, facendo leva sulla circostanza che qui, a differenza che in altri casi di concorso soggettivo d’azioni (si pensi alle impugnative di delibere assembleari) non è previsto un breve termine di decadenza per la proposizione della domanda. Si teme il pericolo per i professionisti di vedersi vessati da domande successive di altri legittimati, malgrado il rigetto della prima e si propone pertanto di ricostruire la situazione delle azioni collettive come se si fosse in presenza di un’unica azione plurisoggettiva, (invece che di un concorso soggettivo di azioni) con conseguente consumazione dell’azione non solo nel caso di accoglimento, ma anche nel caso di rigetto17.

Sennonché è da ritenere ben difficile che altre associazioni vogliano correre il rischio di proporre nuovamente una domanda che è già stata dichiarata infondata, a meno che la declaratoria d’infondatezza non derivi da lacune nella difesa nella conduzione del primo processo, -volontarie o no qui non importa- oppure da una dichiarata insufficienza di prove18. Nei quali casi mi sembra più che opportuna la riproponibilità della domanda ad opera di un diverso legittimato, a tutela del suo diritto di azione e conseguentemente degli interessi dei consumatori. Invece, nell’ipotesi in cui la prima sentenza di rigetto appaia ben fondata in fatto e in diritto penso che sarebbe opportuno ribadire con una norma apposita, a scopo deterrente, l’applicabilità del primo comma dell’art. 96 in

14 TARZIA, La tutela inibitoria contro le clausole vessatorie, in Riv. dir. proc., 1997, p. 639 ss.; CARRATTA, Brevi osservazioni sull’inibitoria a tutela di consumatori e utenti, in Giusto processo civile e procedimenti decisori sommari, a cura di Lanfranchi, Torino, 2001, p. 130 s.; DANOVI F., L'azione inibitoria in materia di clausole vessatorie, in Riv. dir. proc., 1996, p. 1046 ss.; Ma vedi già, nello stesso senso, oltre un quarto di secolo addietro, naturalmente con riferimento ad altre fattispecie, CAPPELLETTI, Appunti sulla tutela giurisdizionale di interessi collettivi o diffusi, in Giur. it., 1975, IV, c. 49 ss.15 Cfr. Azioni concorrenti, nonché Pluralità di legittimati all'impugnazione di un unico atto, ora in Problemi del processo civile, Napoli 1962, rispettivamente a p. 54 ss.e 64 ss.16 Cfr. DENTI, Le azioni a tutela di interessi collettivi, in Riv. Dir. Proc., 1974, p. 533 e ss., in particolare, 549, nota 44; TARUFFO, “Collateral Estoppel” e giudicato sulle questioni, II° parte , in Riv. Dir. Proc., 1972, p. 273, - il tema dei limiti soggettivi che qui interessa è affrontato nelle pagine 293 – 299. Con riferimento all’inibitoria qui in esame v., nello stesso senso, LIBERTINI, Prime riflessioni sull’azione inibitoria dell’uso di clausole vessatorie, in Contratto e impresa /Europa, 1996, p. 567;17 TARZIA, La tutela inibitoria, cit., p. 637 ss. Trovo particolarmente apprezzabile che questo scrittore, appartenente alla tradizione culturale dogmatico-concettualista, scelga la costruzione dell’unica azione plurisoggettiva invece di quella del concorso soggettivo di azioni non sulla base di una presunta correttezza di questa rispetto all’erroneità dell’altra (scientificamente indimostrabile), ma come un semplice Ordnungsbegriff utile a descrivere la conclusione affermata, ad indagine chiusa sulla base dell’affermazione di esplicite scelte di valore.18 Con riferimento a quest’ultimo caso viene ricordato da TARZIA, Op. cit., p. 641 s. che l’art. 108 del codice brasiliano del consumatore prevede la mancata efficacia erga omnes della sentenza di rigetto quando la domanda sia stata ritenuta infondata per insufficienza di prove. Vale la pena peraltro di sottolineare che la legislazione brasiliana distingue tra interessi collettivi o diffusi in senso stretto, con efficacia erga omnes anche della sentenza di rigetto, con la limitazione appena ricordata, da un lato, e interessi individuali omogenei, con efficacia nei confronti dei terzi della sola sentenza favorevole, dall’altro. Cfr al riguardo PELLEGRINI GRINOVER, Il nuovo processo brasiliano del consumatore e I processi collettivi del consumatore nella prassi brasiliana, rispettivamente in Riv. dir. proc., 1991, . 1057 ss e 1994, 110s ss.; LANNI, Il modello brasiliano di responsabilità per danni al consumatore, in Riv. dir. civ.,!992, I, p. 281ss.

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tema di responsabilità aggravata (nella speranza che i giudici siano indotti a farne un’applicazione più frequente e incisiva di quel che avviene nelle cause individuali)19 .

Per quanto riguarda la posizione dei singoli consumatori di fronte all’inibitoria non pare ragionevole pensare che il professionista, convenuto ad esempio per il risarcimento dei danni provocati da un prodotto dichiarato dannoso all’esito di un processo collettivo, sia legittimato a rimetterne in discussione la dannosità “in astratto”. Certamente, nessuno ne può dubitare, egli potrà difendersi e vincere allegando peculiarità del caso concreto. Potrà, ad esempio, sostenere e dimostrare che la mancanza di un danno risarcibile o del nesso di causalità.

Ma la dannosità in astratto del prodotto messo sul mercato è già stata accertata in un processo nel quale il professionista ha avuto tutte le possibilità di esercitare il diritto di difesa.

Si profila allora evidente l’opportunità di escogitare lo strumento tecnico che consenta al singolo consumatore di avvalersi di quell’accertamento.

5.1.2 L’accertamento della responsabilità del professionista nell’inibitoria collettiva fa stato a favore del singolo consumatore

Per indirizzare la scelta conviene muovere da una situazione analoga, caratterizzata dalla circostanza che nei confronti di essa non sono elevabili i medesimi dubbi che conducono molta dottrina a sostenere che l’inibitoria pronunciata nel processo collettivo non ha alcuna efficacia nel processo del singolo consumatore. Supponiamo che su azione del P.M. sia dichiarata la nullità di un brevetto per invenzione industriale. E’ certo che, con il passaggio in giudicato della sentenza, tutti gli imprenditori saranno liberi di produrre e commerciare il prodotto brevettato. Ed è altrettanto certo che identica efficacia va riconosciuta alla sentenza del medesimo contenuto, pronunciata sulla domanda proposta da un concorrente, visto che non è concepibile una differenza di efficacia tra sentenze, a seconda del soggetto che ha proposto la domanda. Il titolare del brevetto dichiarato nullo che pretenda di difenderlo in giudizio va incontro ad una sicura sconfitta, quale che sia il suo convenuto, tra gli imprenditori che producono il ritrovato un tempo coperto da brevetto.

Perché mai ad analoga sconfitta, dovuta al vincolo del precedente accertamento (se non sono presenti le circostanze concrete sopra ricordate, sorta di…cause di giustificazione) non dovrebbe andare incontro l’imprenditore che continui a mettere sul mercato il prodotto dannoso dopo che uno dei soggetti legittimati ad agire dall’ordinamento in sede collettiva ne ha fatto dichiarare la dannosità?

Si dice che l’inibitoria non è in grado di produrre alcun vincolo esterno sulla dannosità del prodotto perché l’accertamento nella causa collettiva non è pregiudiziale rispetto alla causa promossa dal singolo consumatore per ottenere il risarcimento dei danni subiti. Si ribadisce che l’inibitoria non può avere alcun effetto nella causa del consumatore, perché questi non è stato parte nel relativo giudizio. Ci si appella alla vecchia diffidenza nei confronti del giudicato secundum eventum litis per rilevare che qui manca l’espressa previsione legislativa che sola consentirebbe questo tipo di efficacia della sentenza. Si esclude, infine, che la declaratoria della dannosità del prodotto sia suscettibile di acquistare la qualità di un accertamento vincolante entro l’inibitoria, perché essa non avrebbe ad oggetto alcun diritto soggettivo20.

Sono tutte obiezioni superabili. Quando è chiamato dal singolo consumatore ad accertare e liquidare i danni provocati dal

prodotto difettoso il punto pregiudiziale che il giudice è chiamato ad esaminare nei confronti dello stesso professionista già convenuto e condannato nel processo collettivo è appunto la dannosità del prodotto, che ha formato oggetto di quel processo21. E’ pertanto innegabile il nesso logico di pregiudizialità dipendenza tra i due accertamenti, proprio per essere il primo avvenuto in un

19 Sarebbe forse opportuno che, per le cause collettive, la norma fosse modificata prevedendo una sanzione a favore dell’erario, così da consentirne l’applicazione d’ufficio20 MARINUCCI, Gli effetti della sentenza inibitoria prevista dall’art. 1469 sexies c.c., in Riv. dir. proc., 2002, p. 228 ss., ma con riferimento all’accertamento dell’abusività di una clausola contrattuale.21 Nel senso che i parametri, in base ai quali viene ammesso o escluso il carattere vessatorio della clausola, sono i medesimi in ambedue i giudizi cfr. MARINUCCI, Gli effetti della sentenza inibitoria, cit., 219.

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processo “collettivo”, mentre il secondo può, come si è visto, essere più complesso in virtù delle ulteriori questioni che possono risultare controverse tra le parti.

Naturalmente occorre chiedersi se il terzo singolo consumatore, possa avvalersi dell’accertamento pregiudiziale operato nel processo collettivo. Ora, la tesi dell’inidoneità della sentenza a produrre effetti per i terzi salvi i casi eccezionali previsti espressamente dalla legge è tesi vecchia, ormai abbandonata, sia pure con sfumature diverse per i singoli scrittori che si sono occupati del delicato problema22. Ne’ va taciuto che uno degli autori favorevoli alla tesi restrittiva, dopo aver sottolineato che la protezione del terzo costituisce la ragione fondante dell’inettitudine della sentenza a produrre effetti nei suoi confronti, coerentemente distingue tra effetti favorevoli ed effetti sfavorevoli, per concludere a favore dell’estensione dei primi ai terzi titolari delle situazioni dipendenti23. La cosa ben si apprezza con riferimento al nostro caso. Il professionista convenuto dal singolo consumatore ha già avuto la possibilità di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa nel processo collettivo. Pensare che gli sia lecito e che anzi gli sia costituzionalmente garantito di nuovamente tornare a difendere il prodotto dichiarato dannoso appare davvero eccessivo sotto qualunque punto di vista e soprattutto perché il principio di economia processuale ne uscirebbe indebitamente stravolto24.

Le considerazioni che precedono orientano a superare la diffidenza nei confronti dell’accertamento secundum eventum litis, che oltretutto non è nient’altro che una manifestazione dell’essenzialismo dogmatico proprio delle metodologie concettualiste. Al che va aggiunto che proprio in materia di interessi collettivi, dove è ben difficile ottenere la partecipazione di tutti i titolari al primo processo, l’estensione del giudicato favorevole si presenta quasi necessaria per l’effettività della tutela. Laddove l’estensione del giudicato sfavorevole incontra l’ostacolo della violazione del diritto di difesa del consumatore e della correlata ratio, appena ricordata, della disciplina dei limiti soggettivi del giudicato, come ricostruita da un autorevole scrittore.

Quanto all’ultima obiezione, osservo semplicemente che l’accertamento di una situazione “giuridica” rimanda sempre, direi per definizione, ad un diritto soggettivo e all’obbligo correlato. Nel nostro caso si tratta dell’interesse collettivo (così denominato per abitudine semantica e non perché manchi delle caratteristiche del diritto soggettivo), di cui è titolare l’universo dei consumatori e che viene portato in giudizio dall’ente esponenziale25. L’interesse cioè al rispetto delle norme relative alla sicurezza dei prodotti e il correlativo obbligo del professionista a rispettarle per non rischiare di provocare danni di massa. D’altronde sembra difficile negare che l’associazione dei consumatori sia legittimata, se lo ritiene opportuno per qualche ragione, ad agire in giudizio esclusivamente per la declaratoria di dannosità o pericolosità del prodotto. Senza contare poi che l’inibitoria, quando sia priva di sanzione a quella declaratoria si riduce, sia pure con la caratteristica “in futuro” sopra messa in rilievo, venendo senz’altro a costituire la “minima unità strutturale”26

capace di costituire l’oggetto di una sentenza civile.

5.1.3 Sostanziale irrilevanza della distinzione tra sentenza di accertamento della responsabilità e sentenza di condanna generica

Qui giunti dobbiamo chiederci se la ricostruzione operata delle norme di tutela collettiva relative all’inibitoria generale prevista dall’art. 140 del codice del consumo siano utili per facilitare il risarcimento dei danni eventualmente subiti dai singoli consumatori.

22 Rinvio per notizie bibliografiche al riguardo a MARINUCCI, Op. cit., p. 221, note 11 e 1223 ATTARDI, Diritto processuale civile, I, Parte generale, Padova, 1999, p. 515 ss.24 Contra, CARRATTA, Brevi osservazioni, cit., p. 132, obiettando appunto che la tesi in discorso comporta la conseguenza che il professionista non avrebbe avuto modo di esercitare il proprio diritto di difesa nei confronti del singolo consumatore.25 Che si sia in materia di diritti soggettivi si rende conto lo stesso legislatore, sia pure anche con un omaggio alla terminologia prevalente, dove parla di “formazioni sociali che abbiano per scopo statutario esclusivo la tutela dei diritti e degli interessi dei consumatori e degli utenti” (art. 2 l. 281/1998).26 Cfr. VERDE, Sulla “minima unità strutturale” azionabile nel processo (a proposito del giudicato e di emergenti dottrine), in Riv. dir. proc., 1989, p. 573 ss.

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In dottrina si è sostenuto, anche da chi riconosce l’utilizzabilità nella causa individuale del singolo consumatore dell’efficacia ascrivibile al comando contenuto nell’inibitoria che la situazione normativa attuale non consente l’emanazione di una condanna generica al risarcimento dei danni27.

Osservo, peraltro, che minima è la differenza tra sostenere che l’accertamento dell’illiceità del comportamento del professionista operato in sede collettiva fa stato nella causa individuale indirizzata ad ottenere il risarcimento e sostenere, cosa che certamente non si può fare, che ad esso si aggiunge la condanna generica al risarcimento dei danni. Se riflettiamo sull’origine storica della c.d. condanna generica comprendiamo subito che l’unica differenza riscontrabile è data dall’ipoteca, iscrivibile in un caso e non iscrivibile nell’altro. Negli anni trenta del secolo scorso, alcuni giudici di merito, giustamente preoccupati del fatto che le sentenze di mero accertamento della responsabilità aquiliana non costituissero titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale (a differenza di quanto avveniva in altri ordinamenti, come il francese) fecero un’opera di manipolazione linguistica e di distorsione concettuale per ottenere l’iscrivibilità della garanzia, dando a quella sentenza il nome di “condanna generica”. Operazione avallata poi dal legislatore del nuovo codice con l’art. 278. Al consumatore che agisce interessa l’accertamento, molto poco l’iscrivibilità dell’ipoteca, che potrà comunque ottenere in corso di causa quando gli ulteriori presupposti (nesso di causalità, esistenza di un danno risarcibile, se pur non ancora liquidabile) siano acclarati.

6.-I progetti del legislatore sulla linea della accolta opzione interpretativa della legislazione vigente

Il diritto vivente è comunque lontano dal seguire il percorso interpretativo che sfocia nel riconoscere l’utilizzabilità da parte del singolo consumatore dell’accertamento di responsabilità operato in sede di inibitoria collettiva. Come già accennato, la parola è opportunamente passata al legislatore fin dalla passata legislatura, anche sulla spinta dei grandi scandali finanziari di tre anni fa, che hanno coinvolto decine di migliaia di “consumatori”, sotto specie di acquirenti di prodotti finanziari, specialmente obbligazioni spazzatura emesse al di là di ogni merito di credito da società quotate, grazie alla compiacenza e in qualche caso alla complicità delle banche, che provvedevano a “classarle” nel pubblico senza informare circa l’elevatezza del rischio di insolvenza, poi puntualmente verificatasi.

Vediamo le cose un po’ più da vicino. Verso la fine del 2003 e nel 2004 sono stati presentati numerosi progetti, di iniziativa del governo, della maggioranza e delle opposizioni28. In tutto ben nove disegni di legge, di cui alcuni prevedevano una sorta di “tutela indennitaria pubblica”29

attraverso la costituzione di appositi fondi destinati al risarcimento dei risparmiatori danneggiati e altri introducevano un’azione risarcitoria modellata sullo schema della class action nordamericana, 27 MARINUCCI, Gli effetti della sentenza inibitoria, cit., p. 219.28) In proposito v.: a) il disegno di legge C/3838 (on. Bonito e altri), di «Modifica all’articolo 3 della legge 30 luglio 1998, n. 281, recante disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, e introduzione nel sistema di tutela dei diritti dell’azione di gruppo», presentato il 27 marzo 2003 ed assegnato in sede deliberante alla Commissione giustizia della Camera il 28 aprile 2003, dove è tuttora in discussione; b) il disegno di legge C/3839 (on. Lettieri e altri) contenente «Disposizioni per l’introduzione dell’”azione di classe” a tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti», anch’esso presentato il 27 marzo 2003 ed assegnato in sede deliberante alla Commissione giustizia della Camera, dove è stato unificato al d.d.l. n. 3838 nella seduta del 27 dicembre 2003; i due d.d.l., nel testo unificato ed ulteriormente modificato, sono stati approvati dall’Assemblea della Camera nella seduta del 21 luglio 2004; c) il disegno di legge d’iniziativa governativa recante «Disposizioni relative all’introduzione nell’ordinamento giuridico dell’”azione di classe” a tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti», in www.adiconsum.it., annunciato dal Ministro delle attività produttive, ma non ancora deliberato dal Consiglio dei ministri; d) il disegno di legge S/2710 (sen. Cavallaro e Castellani), recante «Disposizioni in materia di “azioni collettive” (class action) a tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti», presentato il 28 gennaio 2004 ed assegnato in sede referente alle Commissioni riunite Giustizia e Industria, commercio, turismo il 25 marzo 2004; e) il disegno di legge S/2792 (sen. Manzione e altri), recante «Modifiche alla legge 30 luglio 1998, n. 281, in materia di azioni collettive a tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti», presentato il 26 febbraio 2004 ed assegnato in sede referente alle Commissioni riunite Giustizia e Industria, commercio e turismo il 25 marzo 2004; f) il disegno di legge C/4639 (on. Fassino e altri), recante «Disposizioni per la tutela del risparmio e in materia di vigilanza», presentato il 27 gennaio 2004 ed assegnato in sede referente alle Commissioni riunite Finanze e Attività produttive il 25 febbraio 2004, il quale, all’art. 30, contiene una delega al Governo per l’adozione di un decreto legislativo che riconosca alla Consob la legittimazione ad agire per ottenere il «risarcimento dei danni derivanti dalla prestazione di servizi di investimento e di gestione collettiva del risparmio nonché da violazioni delle disposizioni contenute nella parte IV del testo unico di cui al d. legisl. 24 febbraio 1998, n. 58» e di un decreto legislativo recante «norme sulla facoltà dei titolari di pretese omogenee al risarcimento del danno verso società quotate, banche, assicurazioni e imprese di investimento, di agire in giudizio collettivamente»; g) il disegno di legge delega C/4747 (on. Letta e altri) per l’«Istituzione del Sistema di tutela del risparmio», presentato il 25 febbraio 2004 ed assegnato in sede referente alle Commissioni riunite Finanze e Attività produttive lo stesso 25 febbraio 2004, il cui art. 3 prevede per la «tutela dei risparmiatori e degli investitori» i «principi generali in materia di azioni collettive nel processo civile».29 Tolgo l’espressione da COSTANTINO, COSTANTINO, Note sulle tecniche di tutela collettiva (a proposito dei disegni di leggesulla tutela del risparmio e dei risparmiatori) in Riv. Dir. Proc., 2004, p. 1011.

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come lo troviamo disegnato dall’art. 23 delle Federal Rules of Civil Procedure, alla medesima stregua di alcuni dei già menzionati progetti al momenti giacenti in Parlamento. Va ricordato in proposito, segnale di una non molto fausta prognosi sul destino degli analoghi progetti della presente legislatura, il fallimento di allora del tentativo delle Commissioni riunite “Finanze” e “attività produttive” della Camera di redigere un testo unificato e il conseguente rinvio sine die dei termini per la presentazione degli emendamenti e la discussione.

Meno accidentato il percorso di alcuni progetti presentati all’inizio del 2003, prima dell’esplosione dell’affare Parmalat, anche a seguito dell’abbandono in corso d’opera di alcune proposte iniziali anch’esse ispirate alle class actions . Dopo l’adozione di un testo base unificato da parte della Commissione giustizia della Camera e l’approvazione di alcuni emendamenti, il 21 luglio 2004 fu varato il testo definitivo più sopra ricordato, poi passato al Senato con il numero 305830. Si trattava di un articolato il quale, in estrema sintesi, arricchiva la disciplina della tutela collettiva agibile dalle associazioni indicate nel primo comma dell’art. 3 della legge 281/98, (ora art. 140 del codice del consumo), stabilendo per tabulas che l’accertamento di “atti illeciti plurioffensivi” commessi dal professionista nell’ambito di contratti per adesione è efficace a favore dei singoli consumatori coinvolti. Al di là delle espressioni usate, un risultato, come abbiamo visto, già conseguibile per via interpretativa, senza eccessi di audacia.

6.1-la nuova azione collettiva come azione di accertamento esercitabile oltre i confini dell’inibitoria generale

A questo risultato aspirano di pervenire i progetti attuali, ora incongruamente intitolati, come abbiamo visto, alla class action.

Che di ciò si tratti, in buona sostanza, risulta non solo dalla fatto che tutti i progetti ora giacenti alle Camere menzionano come loro dante causa il disegno di legge già approvato dai

30Disegno di legge 3058/S/XIV, presentato al Senato il 22 luglio 2004:Art. 1.    1. All’articolo 3 della legge 30 luglio 1998, n. 281, dopo il comma 6 sono inseriti i seguenti:     «6-bis. Le associazioni dei consumatori e degli utenti, di cui al comma 1, le associazioni dei professionisti e le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura possono altresì richiedere al tribunale del luogo ove ha la residenza o la sede il convenuto la condanna al risarcimento dei danni e la restituzione di somme dovute direttamente ai singoli consumatori o utenti interessati, in conseguenza di atti illeciti plurioffensivi commessi nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità previste dall’articolo 1342 del codice civile, ivi compresi quelli in materia di credito al consumo, rapporti bancari e assicurativi, strumenti finanziari, servizi di investimento e gestione collettiva del risparmio, sempre che ledano i diritti di una pluralità di consumatori o di utenti. La legittimazione di cui al periodo precedente è esclusa nei settori in cui siano previste procedure di conciliazione o arbitrali per la risoluzione delle medesime controversie innanzi ad autorità amministrative indipendenti.    6-ter. L’atto con cui il soggetto abilitato promuove l’azione di gruppo di cui al comma 6-bis produce gli effetti interruttivi della prescrizione ai sensi dell’articolo 2945 del codice civile, anche con riferimento ai diritti di tutti i singoli consumatori o utenti conseguenti al medesimo fatto o violazione.    6-quater. Con la sentenza di condanna il giudice determina, quando le risultanze del processo lo consentono, i criteri in base ai quali dovrà essere fissata la misura dell’importo da liquidare in favore dei singoli consumatori o utenti.    6-quinquies. In relazione alle controversie di cui al comma 6-bis, davanti al giudice può altresì essere sottoscritto dalle parti un accordo transattivo nella forma della conciliazione giudiziale.    6-sexies. A seguito della pubblicazione della sentenza di condanna di cui al comma 6-quater ovvero della dichiarazione di esecutività del verbale di conciliazione, le parti promuovono la composizione non contenziosa delle controversie azionabili da parte dei singoli consumatori o utenti presso la camera di conciliazione istituita presso il tribunale che ha pronunciato la sentenza. La camera di conciliazione è costituita dai difensori delle parti ed è presieduta da un conciliatore di provata esperienza professionale iscritto nell’albo speciale per le giurisdizioni superiori ed indicato dal consiglio dell’ordine degli avvocati. Essa definisce, con verbale sottoscritto dalle parti e dal presidente, i modi, i termini e l’ammontare per soddisfare i singoli consumatori o utenti nella loro potenziale pretesa. La sottoscrizione del verbale, opportunamente pubblicizzata a cura e spese della parte convenuta nel precedente giudizio, rende improcedibile l’azione dei singoli consumatori o utenti per il periodo di tempo stabilito nel verbale per l’esecuzione della prestazione dovuta.    6-septies. In alternativa al ricorso alle camere di conciliazione di cui al comma 6 -sexies, le parti possono promuovere la composizione non contenziosa presso uno degli organismi di conciliazione di cui all’articolo 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5. Si applicano le disposizioni dell’ultimo periodo del comma 6-sexies e, in quanto compatibili, quelle degli articoli 39 e 40 del citato decreto legislativo n. 5 del 2003.    6-octies. In caso di inutile esperimento della composizione non contenziosa di cui ai commi 6-sexies e 6-septies, il singolo consumatore o utente può agire giudizialmente, in contraddittorio, al fine di chiedere l’accertamento, in capo a se stesso, dei requisiti individuati dalla sentenza di condanna di cui al comma 6-quater e la determinazione precisa dell’ammontare del risarcimento dei danni o dell’indennità, riconosciuti ai sensi della medesima sentenza. La pronuncia costituisce titolo esecutivo nei confronti del comune contraddittore. Le associazioni di cui al comma 6-bis e le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura non sono legittimate ad intervenire nei giudizi previsti dal presente comma.    6-nonies. La sentenza di condanna di cui al comma 6-quater costituisce, ai sensi dell’articolo 634 del codice di procedura civile, prova scritta, per quanto in essa contenuto, per la pronuncia da parte del giudice competente di ingiunzione di pagamento, ai sensi degli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile, richiesta dal singolo consumatore o utente».Art. 2.    1. Le facoltà e i diritti di cui all’articolo 3, comma 6-bis, della legge 30 luglio 1998, n. 281, possono essere altresì esercitati dalle associazioni di investitori.

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deputati nella passata legislatura. Risulta anche da un passo molto significativo della relazione alla proposta Bersani Mastella, dove troviamo scritto che “l’illegittimità e l’illiceità delle condotte lesive dell’integrità patrimoniale dei consumatori e degli utenti sono accertate attraverso un’iniziativa processuale affidata ad enti esponenziali della categoria” . Benvero che poi si scrive che “la sentenza di accoglimento può (corsivo mio) avere anche un ulteriore contenuto, consistente nella condanna generica del responsabile al risarcimento del danno, accompagnata eventualmente (corsivo mio) dalla definizione dei criteri di liquidazione dei risarcimenti spettanti ai singoli consumatori o dell’importo minimo da liquidare”. Ma al di là delle parole usate, pare a me che ci troviamo sempre in presenza di pronunce di accertamento sia pure, a seconda dei casi, più o meno “specifiche”: accertamento della responsabilità del convenuto, accertamento del diritto al risarcimento del danno, accertamento dei diritti alla restituzione di somme, accertamento della somma minima da liquidare a titolo di risarcimento nei futuri processi. Il tutto a favore dei singoli consumatori che si trovino nelle condizioni stabilite dalla sentenza collettiva. Non si dovrebbe parlare di sentenze di condanna. Non di condanna generica perché la sentenza collettiva non è, non può essere titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale: il diritto al risarcimento astrattamente accertato non è a favore di alcuno degli enti legittimati all’azione. Meno che mai si potrebbe parlare di condanna in senso proprio, perché il relativo concetto rimanda di necessità all’applicazione di una sanzione esecutiva, per surrogazione o indiretta. Né l’uno né l’altro tipo di sanzione sono applicabili nella c.d. sentenza collettiva risarcitoria31.

Come si vede, con riferimento al processo collettivo indirizzato al risarcimento disciplinato dalle proposte qui in esame si arriva alla medesimo risultato circa gli effetti della sentenza cui siamo pervenuti analizzando l’inibitoria generale. Naturalmente sopravvive una interessante differenza almeno per chi pensa che l’inibitoria presupponga la persistenza al momento della proposizione della domanda del comportamento del professionista produttivo di danno.

Infatti, l’accertamento della responsabilità ai fini delle azioni c.d. risarcitorie non richiede, ovviamente, un requisito del genere.

La conclusione che restringe l’azione collettiva al momento dell’accertamento, riservando quello della condanna al successivo esercizio dell’azione individuale mi pare sia confermata in dalla pasticciatissima disciplina della conciliazione. Prendo a paradigma il progetto Bersani. Ivi si stabilisce che dopo emanata la c.d. sentenza di condanna che ha accertato la responsabilità del professionista si deve attivare tra le parti un procedimento di conciliazione32, indirizzato a definire “i modi, i termini e l’ammontare per soddisfare i singoli consumatori o utenti nella loro potenziale pretesa”, stabilendosi poi che la sottoscrizione del relativo verbale rende improcedibile l’azione dei singoli consumatori o utenti per il periodo di tempo stabilito nel verbale per l’esecuzione della prestazione dovuta”.

Questo verbale non può avere l’efficacia di titolo esecutivo. Ha lo scopo di riempire, per dir così, di contenuto economico l’accertamento della responsabilità contenuto nella sentenza collettiva c.d. di condanna. Lo si potrebbe paragonare ad un contratto a favore di terzi, dove il terzo è individuato momentaneamente solo per relationem. Egli verrà soddisfatto, nei termini probabilmente transattivi concordati tra l’associazione e il professionista (id est, l’impresa) se si presenterà entro il termine stabilito e dimostrerà la propria legittimazione e cioè di rientrare nel perimetro della collettività a cui favore l’azione è stata esperita dall’associazione di consumatori 33. Malgrado oscillazioni nei testi di alcuni dei progetti (per esempio il comma 8 octies aggiunto al

31 In verità, come abbiamo avuto occasione di sottolineare nel testo, le uniche sentenze di condanna nelle azioni collettive le troviamo disciplinate nel settore dell’inibitoria, quando sia applicabile l’astreinte di cui al comma 7° dell’art. 140 codice del consumo o emanabile il provvedimento ricavabile dal comma 1° lettera b della medesima norma.

32 Il numero 4 dell’art. 2 della proposta Bersani si riferisce anche, assieme alla sentenza, alla dichiarazione di esecutività del verbale di conciliazione, come momento antecedente alla promozione della “composizione non contenziosa delle controversie azionabili da parte dei singoli consumatori”. Mi pare che la conciliazione cui si riferisce deba essere limitata al caso in cui abbia oggetto obbligazioni di fare o non fare del professionista convenuto (ad esempio la distruzione di una partita di prodotti difettosi, ma non obbligazioni di dare, relativamente alle quali non è pensabile una dichiarazione di esecutività, non essendo individuati al quel momento i relativi creditori individuali. 33 Per collettività intendo tutti i consumatori danneggiati, non soltanto gli iscritti all’associazione, come sembrerebbe risultare dal comma 8 nonies, che l’art. 1 del progetto propone di aggiungere al comma 8 dell’art. 140 del codice del consumo.

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comma 8 dell’art. 140 del codice del consumo al comma 8 dell’art. 140 del codice del consumo dice che “in caso di inutile esperimento della composizione non contenziosa (corsivo mio)….il singolo consumatore o utente può agire giudizialmente…”) non vi è dubbio che il consumatore deve vedersi riconosciuto il diritto di agire in giudizio, se non intende aderire alla (rectius al progetto di) composizione. A pena di illegittimità costituzionale per violazione del diritto di azione.

6. Notazioni su alcune delle più rilevanti differenze tra i diversi progetti per l’azione collettiva c.d. “risarcitoria”

Come già sottolineato, tutti i progetti di azioni collettiva giacenti in parlamento trovano la loro fonte, il più delle volte dichiarata nelle relazioni, nel disegno di legge n. 3058 approvato nella passata legislatura. Sono peraltro rilevabili alcune differenze.

Concentriamo l’attenzione sulla legittimazione ad agire e sul possibile oggetto della domanda.

Sotto il primo profilo alcuni progetti (Maran, Benvenuto Buemi) restringono la legittimazione alle associazioni dei consumatori. Invece il progetto Bersani, sulla scia di quanto già previsto dal disegno n. 3058, estende la legittimazione anche alle associazioni dei professionisti e alle camere di commercio industria e agricoltura.

Ritengo l’estensione operata dal progetto governativo il frutto di un errore di prospettiva e che sia pertanto da preferire la restrizione operata dagli altri progetti.

Se guardiamo alla disciplina della legittimazione all’azione inibitoria nel codice del consumo, vediamo operante una distinzione assai opportuna. La legittimazione estesa si trova all’art. 37, in tema di azione inibitoria nei confronti delle clausole abusive. La ragione si capisce. E’ evidente, almeno alla luce di considerazioni astratte, l’interesse delle associazioni dei professionisti e delle camere di commercio per la trasparenza e la correttezza del mercato, messe in pericolo dall’utilizzazione di clausole abusive, soprattutto nei contratti di massa. Troviamo invece la legittimazione ristretta alle sole associazioni dei consumatori (oltre che gli enti legittimati ai sensi del diritto comunitario per le controversie transnazionali) nel caso di inibitoria generale prevista dall’art. 140. Qui l’interesse delle associazioni dei professionisti e delle stesse camere di commercio a vedersi riconosciuta la legittimazione ad agire sfuma. E’ ben difficile, per esempio, che un’associazione di industriali desideri di far condannare un iscritto per aver provocato danni ai consumatori mettendo sul mercato un prodotto difettoso.

Per quanto riguarda l’oggetto del processo la situazione delle due categorie di progetti sopra ricordati è esattamente uguale nei reciproci rapporti tra estensione e restrizione. Ma qui preferiamo decisamente il progetto governativo, il quale prevede, giustamente, che la c.d. azione risarcitoria possa condurre alla “condanna al risarcimento dei danni e la restituzione di somme dovute direttamente ai singoli consumatori o utenti interessati, in conseguenza di atti illeciti commessi nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti, di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali illecite o di comportamenti concorrenziali, sempre che ledano i diritti di una pluralità di consumatori o di utenti. Non mi soffermo sul linguaggio un po’ zoppicante, sull’elencazione che affianca la categoria generale a casi specifici come si potessero differenziare, sull’uso di categorie improprie, dove si parla di condanna al risarcimento e alle restituzione dove si dovrebbe parlare di accertamento del diritto al risarcimento e del diritto alle restituzioni (anche, quando possibile, in cifre predeterminate), come già sottolineato. Peccati veniali, che non impediscono di intendersi sul contenuto normativo della disposizione. Ciò che importa è l’estensione della tutela proposta dal progetto rispetto al disegno n. 3058. Ben si sa, infatti, che danni di massa derivano più facilmente da illeciti extracontrattuali che non da responsabilità contrattuale inerente alla stipulazione di contratti su moduli o formulari. Basti pensare alla responsabilità del produttore, al numero e all’importanza dei casi risultanti dall’esperienza nordamericana sulla mass tort class actions.

8.-Tre possibili integrazioni dei progetti

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Un ultimo rilievo, che si sostanzia in un interrogativo: ci dobbiamo augurare che il progetto definitivo che sarà presentato per l’approvazione sia arricchito rispetto ai testi presentati?

Direi di sì, almeno sotto tre profili. Come già accennato, sarebbe opportuno ribadire e meglio precisare la minaccia della

condanna per responsabilità aggravata dell’associazione che riproponga l’azione collettiva già rigettata.

Inoltre sarebbe opportuno prevedere la sospensione dei processi eventualmente iniziati da singoli consumatori in pendenza dell’azione collettiva, da rendere nota tramite opportuni mezzi di pubblicità, come l’avviso sulla Gazzetta Ufficiale34. Non si tratterrebbe della sospensione per pregiudizialità prevista dall’art. 295, visto che l’efficacia della sentenza secundum eventum fa sì che nessuna influenza abbia sulla causa del consumatore la sentenza di rigetto.

Ma una sospensione “necessaria per opportunità” si raccomanda per molte ragioni. In primo luogo perché accentua l’utilità dell’azione collettiva dal punto di vista

dell’economia dei giudizi. In secondo luogo perché il suo eventuale accoglimento può indurre il consumatore ad aderire al progetto di risarcimento frutto della composizione non contenziosa successiva. In terzo luogo, last but not least, perché la sospensione delle controversie individuali, (assieme alla minaccia della responsabilità aggravata) può contribuire a smorzare le preoccupazioni che vanno emergendo nel mondo delle imprese di fronte ai progetti attualmente in discussione al Parlamento.

Infine, almeno per i casi in cui il singolo consumatore non potrà ricorrere al decreto ingiuntivo (potrà ricorrervi per la “restituzione di somme” il cui ammontare sia stato determinato per relationem in sede collettiva o di composizione stragiudiziale, ma certo non per la massima parte di domande di risarcimento dei danni)35 bene farebbe il legislatore a progettare altresì, allo scopo di perseguire l’economia dei giudizi oltre che velocità nella tutela, forme semplificate di liquidazione, prevedendo una sorta di unico giudizio di verifica, modellato sul modello offerto dalle procedure concorsuali, secondo l’opportuno suggerimento recentemente avanzato in dottrina36.

9-.Brevi notazioni in tema di conciliazionela tutela giurisdizionale non è l’unico meccanismo indirizzato alla tutela dei diritti di

consumatori e risparmiatori violati da comportamenti delle imprese. Ne esistono altri che possono risultare più efficienti, almeno dal punto di vista della rapidità nella soluzione dei conflitti. Si tratta dei meccanismi di risoluzione alternativa delle controversie o ADR, secondo il fortunato acronimo di origine nordamericana. Come è noto, grazie ad una felice interazione tra giuristi positivi, filosofi e antropologi del diritto fin dagli anni 70 del secolo scorso nacque negli Stati Uniti un imponente movimento, con le sue riviste, i suoi organi, numerosi istituti e fondazioni ben finanziati per lo studio e l’attuazione di programmi sperimentali, la propensione ad esportare il verbo in lussuosi e affollati convegni internazionali. La consapevolezza dei problemi portati dai modi tradizionali di amministrare la giustizia indusse ad escogitare numerosi istituti spesso eterogenei, semplicemente accomunati dall’elemento negativo di essere estranei all’esercizio della potestà giurisdizionale dello

34 In proposito val forse la pena di ricordare una recente legge tedesca che prevede una sorta di azione pilota in materia di alcune tipologie di illeciti finanziari, la Kapitalanleger-Musterverfahrengesetz (KapMuG) entrata in vigore nel novembre 2005 a seguito di uno scandalo finanziario che coinvolse Deutsche Telekom, portando più di quindicimila azionisti a convenirla in giudizio. La procedura è piuttosto complicata, prevede la competenza della Corte d’appello, l’effetto vincolante del provvedimento sulle parti del giudizio di primo grado (almeno dieci) che hanno presentato l’istanza per la decisione pilota e, ciò che qui interessa, la sospensione automatica di tutte le altre cause individuali, malgrado che la decisione non abbia effetto vincolante nei confronti delle parti. Cfr. al riguardo MERKT H., Managing Investor Mass Claims in Germany: Group Litigation under the new Investor-Sample-Proceeding-Law (KapMuG), in Giur. Comm., 2006, I, p. 627ss. E specialmente p. 634. 35 E’ vero che, alla pari degli altri progetti, sia pure con dettati differenti, il progetto governativo prevede che “la sentenza di condanna, ( scilicet in sede collettiva)t unitamente all’accertamento della qualità di creditore costituisce titolo per la pronuncia da parte del giudice competente di ingiunzione di pagamento” Ma è agevole osservare che se il riconoscimento della qualità di creditore dipende dalla sentenza ottenuta ai sensi del comma 7 dell’art. 140 bis introdotto dal progetto, allora la richiesta di decreto ingiuntivo è del tutto superflua, come risulta dalla lettura del comma in discorso, dove, alquanto inutilmente, si precisa che “la pronuncia costituisce titolo esecutivo nei confronti del responsabile”. Per converso, se la qualità di creditore del singolo consumatore è riconosciuta “ai sensi dei commi 5 e 6” e cioè in sede di composizione stragiudiziale, occorre –e la cosa non sarà frequente al di fuori delle controversie dei risparmiatori- che le somme dovute a ciascuno siano determinate per relationem in somme identiche per ciascuno, altrimenti la domanda di ingiunzione non sarà proponibile, essendo indispensabile per ciascun consumatore il singolo procedimento di liquidazione in sede di cognizione ordinaria. 36COSTANTINO, Note sulle tecniche di tutela collettiva, cit., p. 1030 s.

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Stato. Tra questi una particolare fortuna ebbero i diversi istituti conciliativi, connotati dalla soluzione autodeterminata dalle parti, ma attraverso una procedura eterodiretta da un terzo.

Il legislatore italiano, preoccupato dai gravi problemi che assillano la giustizia civile, particolarmente a causa della irragionevole durata dei processi è da alcuni anni molto sensibile alle suggestioni che vengono d’Oltreoceano (anche per il tramite di raccomandazioni, libri verdi e direttive della Unione europea) e ha investito molto sulla conciliazione stragiudiziale37. L’ultimo intervento in ordine di tempo, che introduce una sorta di legge quadro sui principi fondamentali relativi agli organi e il procedimento, risale agli artt. 38, 39 e 40 del dlgs. n. 5 del 2003 che ha introdotto il rito societario. A queste norme fanno riferimento sia i disegni di legge sulla tutela del risparmio ora all’esame del parlamento quando si occupano di conciliazione sia l’art. 27 della legge 262 del 2005 sulla tutela del risparmio che prevede la delega al governo per l’introduzione di procedure di conciliazione e di arbitrato, di un sistema di indennizzo e di un fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori.

Al riguardo sono opportune alcune precisazioni. L’art. 1 del progetto Benvenuto prevede che il tentativo di conciliazione, da esercitare nelle forme degli art. 38 e ss. del rito societario, è obbligatorio a pena di improcedibilità della domanda giudiziale38.

Questa obbligatorietà è a mio giudizio inopportuna, anche se non illegittima per violazione del diritto di azione, come ha già avuto occasione di stabilire la Corte costituzionale con riferimento ad altre ipotesi già vigenti39.

Contro l’obbligatorietà milita l’esperienza, più che le convinzioni di singoli studiosi. Essa non serve, come sembra illudersi il legislatore, ad aumentare il tasso di conciliazioni stragiudiziali, così da provocare una diminuzione del tasso di litigiosità. Dati disastrosi risultano, per le controversie di lavoro, da un’indagine condotta presso l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione di Torino (40). Nel secondo semestre 1997, in regime di tentativo facoltativo le domande pervenute furono 1215 e le conciliazioni effettuate 614; nel secondo semestre del 1998, in regime di tentativo obbligatorio, di fronte a 7809 domande pervenute le conciliazioni effettuate furono solo 550, addirittura con un calo in cifre assolute, per non parlare della percentuale.

In effetti l’obbligatorietà rende impossibile distinguere tra istanze introdotte per l’esistenza, almeno da una parte, di una reale volontà conciliativa e istanze introdotte esclusivamente per

37 A dire il vero, Non esiste un solo nome per indicare il metodo alternativo di composizione delle controversie che si connota per la soluzione autodeterminata, ma attraverso una procedura eterodiretta. Ne riscontriamo due: conciliazione e mediazione. A volte i due termini sono usati indifferentemente, come sinonimi. A volte risultano contrapposti. Se guardiamo alle scelte linguistiche del legislatore francese, come si fronteggiano nei titoli VI e VI bis del primo libro del code de procédure civile constatiamo che parlando di “conciliation” il legislatore guarda al risultato, mentre, parlando di “médiation” guarda esclusivamente alla procedura (ad esempio l’art. 131-10 dice che “le juge peut mettre fin, à tout moment, à la médiation sur demande d’une partie ou à l’initiative du médiateur”). La differenza è chiara e mette in luce il buon esprit de géometrie e il rispetto per l’etimologia dei cugini d’Oltralpe. Gli usi linguistici in Italia sono meno limpidi: si parla di conciliazione tutte le volte che nel tentativo di soluzione concordata è implicato un giudice, sia che riguardi rapporti patrimoniali, sia che riguardi rapporti di stato, come nei giudizi di separazione e divorzio; sempre di conciliazione si parla quando essendo il tentativo demandato ad un terzo, questo ha per oggetto rapporti patrimoniali; si parla, invece, di mediazione quando di fronte al terzo sono in gioco rapporti caratterizzati da profili pubblicistici: mediazione familiare e mediazione penale. 38 Nessun tentativo preliminare di conciliazione è invece previsto dal progetto Bersani. Il che non toglie, naturalmente, che le parti possano conciliarsi, magari ricorrendo agli organismi di conciliazione preveduto dall’art. 38 del rito societario.39Corte Cost. 4 marzo 1992, n. 82, in Giur. it., 1992, I, 1, 1843. Ricordiamo la legge 11 maggio 1990, n. 108, che prevede all’art. 5 un tentativo obbligatorio di conciliazione quando venga impugnato un licenziamento individuale in regime di stabilità obbligatoria; il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, che, riscrivendo l’art. 410 c.p.c., generalizza l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione presso le commissioni provinciali del lavoro e della massima occupazione per tutte le controversie di lavoro; la legge 18 giugno 1998, n. 192, per la disciplina della subfornitura nelle attività produttive, che all’art. 10 prevede per le controversie tra subfornitore e committente un tentativo obbligatorio (ma solo apparentemente in quanto privo di sanzione) presso le camere di commercio; la legge 14 novembre 1995, n.481, e la legge 31 luglio 1997, n. 249, istitutive rispettivamente delle autorità indipendenti per la regolazione dei servizi di pubblica utilità e per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo. L’art. 2 della prima legge e l’undicesimo comma dell’art. 1 della seconda prevedono e i successivi regolamenti disciplinano l’improcedibilità del ricorso in sede giurisdizionale per la decisione di controversie fra utenti e imprenditori esercenti il servizio fino a che non sia esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione40(?) PEYRON C. L’impatto della riforma sul diritto vivente, relazione al Convegno su Pubblico e privato nel processo del lavoro, promosso dalla Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino il 30 aprile 1998, in Giur. It. 1999, 1220.

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ottemperare al comando legislativo. Meglio, molto meglio sarebbe stato prevedere lasciare l’esperimento del tentativo di conciliazione alla scelta delle parti, come del resto previsto, grazie ad una salutare resipiscenza del legislatore, proprio dalle norme in tema di conciliazione societaria.

Per quanto riguarda infine la conciliazione prevista sia dal progetto Bersani che dal progetto Benvenuto dopo la sentenza di condanna, mi limito per ora a rilevare che si tratta di una normativa farraginosa e complicata, fonte di numerosi problemi, che abbisognano di accurati approfondimenti, da riservare ad altra sede.

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