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D. HEÓRTODRÓMION CORSO DELLE FESTE FISSE O CICLO DEI MÈNÀIA

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HEÓRTODRÓMION

CORSO DELLE FESTE FISSE

O CICLO

DEI MÈNÀIA

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TAVOLA 27 - Cristo Pantokràtòr e la santa Dièsis - Iconostasi della chiesa di S. Nicola, Piana degli Albanesi; di Caterina di Candia, sec. 17°.

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TAVOLA 28 - S. Andrea Apostolo - Studio del Vescovo, Piana degli Albanesi, datato 1603. S. Giovanni il Teologo - Chiesa di S. Maria di Mezzojuso, sec. 17°.

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1.SETTEMBRE

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1° SETTEMBRE

INIZIO DELL'INDIZIONEOSSIA DELL'ANNO

NUOVO

La rubrica di questo giorno si presenta molto carica, e va tenuta pre-sente:

INIZIO DELL'INDIZIONE, ossia dell'ANNO NUOVO; e memoria del Santo Padre nostro Simeone lo Stilita (+ 459); e la sinassi della Sovrasanta Theotókos dei Miaseni. E del Santo Martire Aithala (+ 355); e delle Sante 40 Donne (+ 312), e di Ammun diacono, e di es-se maestro; e memoria dei Santi Martiri Kalliste, Evodio ed Ermo-gene i fratelli; e memoria di Giosuè figlio di Nave; e commemora-zione del grande incendio (a. 461).

È l'inizio dell'Anno liturgico, in concomitanza con l'anno civile. E qui va subito annotato che questo giorno così ricco, per essere feriale in pressoché tutte le nazioni, passa ingiustamente come inosservato.

Uindiktos,in latino indictio, è la data che simbolicamente, ed a tutti gli effetti, da l'inizio di un regno, della legislazione, della datazione dei documenti; con effetti economici, ancora oggi infatti la produzione ri-prende il suo ritmo pieno con l'inizio di settembre. Così il primo giorno chiude l'anno passato ed apre sul nuovo. Tale data ebbe diverse solu-zioni tra le nazioni cristiane, fino a tutto il medio evo.

Situato strategicamente a ridosso di grandi Feste, come la Natività della Madre di Dio e l'Esaltazione della Croce (8 e 14 Settembre), il 1° Settembre oltre tutto corrisponde circa al più antico Capodanno ebraico (ró'sha-sànàh, cf. l'antico calendario ebraico di Lev 23,23-25; era giorno di penitenza annunciato dalla tromba sacerdotale).

Teologicamente, l'Anno liturgico permanente della Grazia divina è cominciato con la Resurrezione del Signore e dunque dal Dono inconsu-mabile dello Spirito Santo (Gv 20,19-23, la sera della Resurrezione; At 2,1-4, alla Pentecoste), e si estende senza interruzione fino alla Parousia seconda e terribile. In esso si agginge il simbolismo dell"'anno" solare di origine ecclesiastica. Ma in esso trionfa la Domenica, la vera "Festa delle Feste", di origine apostolica, l'inizio autentico della settimana. Vi si ag-giunge anche il simbolismo della giornata. Si hanno così i simboli dell'i-nizio, della crescita, della conclusione, nel "più" senza termine della Gra-zia divina dello Spirito Santo.

Sul piano teologico, l'Anno liturgico trae inizio dall'inaugurazione della "lettura" proclamante della divina Parola. Questo già nell'A.T.:

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Dt 31,9-14. È la "linea continua" (cf. Parte I, Cap. 4 e 5). Il suo inizio è esclusivamente la suprasanta Veglia della Resurrezione. Il presente la-voro è fedele a questo inizio del tutto singolare.

L'Anno liturgico infatti è caratterizzato solo dalla Parola della Re-surrezione, l'Evangelo del Signore Risorto con lo Spirito Santo, illu-strato dal resto delle Scritture e accolto e riletto dai canti della Chiesa.

H I 0 Settembre mostra tutto questo con ricchezza ed abbondanza.

I. - LE ORE SANTE

Non è difficile scoprire già nelle Ore che la Liturgia qui opera una sapiente prolessi: la Grazia del Giubileo portato dal Signore, e che è lo Spirito Santo, per sé in azione dalla Resurrezione e dalla Pentecoste, opera già all'inizio dell'Anno.

Lo Stichèrón 1° dell'Indizione, al Vespro, in un certo senso aprendo la strada a tutti gli altri Tropari, canta:

Avendo imparato la preghiera dell'Insegnamento di Cristo, da Lui detto, e divino, ogni giorno noi gridiamo al Creatore: Padre nostro, che abiti nei cieli, dona a noi il Pane supersustanziale, passando so-pra alle nostre cadute".

È un'anamnesi grandiosa di Dio Creatore, del Figlio Maestro divino e benevolo, della Dottrina salvifica. Insieme è un'epiclesi avvolgente e globale, al Padre Buono affinchè realizzi i contenuti del "Padre no-stro": il Pane epioùsios, "supersustanziale", ossia che travalica effica-cemente lo spazio tempo della nostra salvezza, e "quotidianamente", ogni giorno, nutre i figli di Dio nel triplice provvidenziale modo: come pane del corpo, come Pane della Parola, come Pane dei Misteri del Convito di Grazia (così i Padri). È perciò è chiesta la remissione mise-ricordiosa delle colpe.

Con lo Stichèrón 3° dell'Indizione poi si canta:

Tu al Monte Sinai allora avendo scritto le Tavole (della Legge), adesso di persona a Nazaret secondo la carne mostrasti il Libro pro-fetico da leggere, Cristo Dio, e richiusolo, insegnasti ai popoli che in Te la Scrittura era stata adempiuta,

quest'ultima frase essendo Le 4,21, che si ritroverà nell'Evangelo del giorno.

Così all'inizio dell'Anno della Grazia si presentano in Cristo l'A.T. e il N.T., l'intera Rivelazione divina. Nel suo sovrano adempimento da par-

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te del Padre in Cristo con lo Spirito Santo, "il Padre compiacendosi, il Fi-glio attuante e lo Spirito Santo cooperante" (S. Massimo il Confessore).

Ma all'inizio del medesimo Anno sta come concentrata la fede dei fedeli nel loro amore per il Padre e per il Figlio e per lo Spirito Santo, in proiezione lungo tutto il resto del tempo. Amore della fede codifica-to, per così dire, nel quotidiano "Padre nostro", preclaro divino Inse-gnamento del Figlio di Dio ai suoi discepoli di ogni tempo.

E qui vanno tenute presenti, per completare poi quanto si dirà sulla Divina Liturgia, le Letture bibliche del Hesperinós e deWÓrthros.

a) Vespro:- Is 61,1-10: lo Spirito di Dio "sta sopra" ed "unge" il Re messianico,

che è anche il Sacerdote, inviato dal Signore a portare l'Anno accetto, della remissione totale delle colpe, anzitutto evangelizzando i poveri: i vv. 1-2 saranno proclamati da Cristo Signore nella sinagoga diNazaret (vedi Evangelo del giorno);

- Lev 26,3-10.1 1b-12.14-15a.l6a.c.l7.19-20.22ab.33b.27b-28a: questo testo, così selezionato, fa parte delle promesse di bene, o di sanzione punitiva, che il Signore dall'inizio propone al suo popolo, ponendolo davanti alla scelta, praticare o no la sua santa Legge, che èla sua Volontà;

- Sap 4,7-15: la sorte felice del giusto davanti al Signore se conduce lasua esistenza davanti a Lui mantenendola immacolata, diventandocosì amato da Lui; allora sarà trasferito accanto a Lui, che lo sottrarràagli iniqui;

- Stichoi: dal Sai 64, un' "Azione di grazie comunitaria", il v. 2, la lode a Dio in Sion; il v. 5, la felicità dell'eletto da Dio; il v. 12, l'Annodel Giubileo, che sarà poi il Koinónikón del giorno.

b) Mattutino:- si deve considerare qui soprattutto l'Evangelo, Le 6,17-23, parte del

"discorso della pianura" di Luca, in cui il Signore proclama le beatitudini per i poveri, gli affamati, i piangenti, i calunniati. Tali in realtàdebbono farsi trovare tutti i fedeli del Signore, i quali così sono postiin luogo privilegiato, all'inizio dell'anno come al centro e come allafine: poiché "grande è la loro ricompensa" fin dal principio.

A questo deve aggiungersi la considerazione della Madre di Dio, che da oggi è memorata invariabilmente con i suoi privilegi singolari, e come potente Difesa di tutti i suoi fedeli devoti;

Infine, appare il corteo dei Santi del Signore nelle varie condizioni della loro esistenza in cui si fecero trovare: monaci come il grande Si-meone lo Stilita; i gloriosi martiri come Aithala, le 40 Donne fedeli e il

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diacono Ammun, Kalliste, Evodio, Ermogene. La memoria storica risa-le fino all'A.T., alla figura di Giosuè, il fedele servo del Signore e di Mosè, il quale introdusse il popolo santo d'Israele nella sua patria, og-getto della Promessa divina.

È posto insieme un evento che commosse il mondo, l'incendio che devastò Costantinopoli per diversi giorni nel 461, memorato qui come causa dell'intervento soccorritore divino ottenuto dall'intercessione della Madre di Dio e dei Santi.

Si ha, in poche parole, un vasto materiale di mistagogia, come una traccia, che può essere seguita lungo tutto l'anno, nelle mirabili ric-chezze e variazioni della celebrazione perenne della Chiesa.

II. - LA DIVINA LITURGIA

1. AntifoneAntifone comuni, o i Typikà e Makarismói.

2. EsodikónComune (o ordinario, o giornaliero, con l'invocazione ...ho en

hagiois thaumastós).

3. Tropari

1) Apolytikion, dell'indizione, Tono 2°, canta una "teologia della storia". Il Signore è acclamato quale potente Operatore dell'intera creazione che fonda lo spazio tempo della salvezza, ossia il mondo e la storiadegli uomini, che detiene sotto la sua Potestà divina (exousia) stabilmente. Con epiclesi a Lui si chiede che "benedica la corona dell'annodella Bontà" (cf. Sai 64,12, che torna poi nel Koinònikórì), e questo siapercepito come la sua custodia nella pace dei re fedeli e della Cittadinanza terrena già tesa verso quella celeste. E per l'intercessione efficace della Madre di Dio si chiede fin d'ora di essere salvati.

2) Apolytikion di S. Simeone lo Stilita: rievoca la sua epopea, essendoegli diventato per la Grazia divina "colonna della pazienza", avendoemulato i Progenitori (cf. Ebr 11, la "fede dei Padri" dell'A.T.), tra iquali Giobbe e le sue sofferenze, Giuseppe ebreo nelle sue tentazionida cui uscì vittorioso. Egli già nel corpo era stato divinamente trasferitonella Cittadinanza degli Angeli. La Chiesa lo prega come Padre santo,affinchè interceda presso Cristo Dio per salvare le anime nostre.

3) Apolytikion della Theotókos: comincia con le parole dell'Angelo:"Gioisci, Madre di Dio Vergine resa tutta grazia!" (cf. Le 1,28), e prosegue con i titoli mariani: Porto e Protezione del genere umano. La lo-

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de di Maria prosegue con il centro dell'Incarnazione: da Lei infatti prese la carne il Redentore del mondo. I privilegi singolari della Madre di Dio restano perenni: Ella sola infatti è Madre e Vergine, in eterno benedetta (cf. Le 1,42, Yaspasmós di Elisabetta) e glorificata. A Lei la Chiesa orante chiede di intercedere presso Cristo Dio, affinchè doni la pace all'intero mondo abitato.

4)Apolytikion del Santo titolare della chiesa.

5)Kontàkion dell'8 settembre.

4. Apóstolosa) Prokéimenón: Sai 146,5, "Inno di lode". Vedi Domenica 2a di Pa-squa. Dall'inizio dell'anno e dunque anche sempre, è acclamato come Grande il Signore nostro, ed è riconosciuta come grande la sua Poten-za, mentre si accentua la nota apofatica: non esiste "numero" (misura) per il suo Intelletto.

Lo Stichos, Sai 134,3, "Inno di lode", chiama alla lode del Signore, poiché è Buono, e a salmodiare a Lui, poiché questo è l'unico Bene.

b)l Tim 2,1-7L'Apostolo si raccomanda al fedele discepolo e Vescovo, anzitutto

per il comportamento di carità che vincola tutti i cristiani. E la prima carità è pregare sempre in favore degli uomini. Viene qui un vero voca-bolario della preghiera biblica e cristiana: déèseis,richieste; proseuchài, preghiere intense; entéuxeis, domande fiduciose; euchari-stiai, azioni di grazie "in favore di tutti gli uomini" (v. 1). Tali termini possono essere tra essi intercambiabili, e comunque sono di uso liturgi-co o "personale" ormai diventato tecnico nella Chiesa. "Tutti gli uomini" significa amici e nemici, favorevoli e indifferenti. Ed anzitutto, occorre insistentemente pregare per i re della terra, e per quanti sono in condizione di preminenza (hyperochè), di autorità nel condurre le na-zioni. Il fine non è egoistico, come potrebbe apparire, bensì tende al be-ne comune: vivere, condurre l'esistenza quieta e tranquilla (èremos kài èsychios bios), seguendo per intero le dovute pietà (eusébeia) e santità {semnótès) (v. 2). Sono le virtù con le quali si apre l'accesso alla rela-zione devota con il Signore.

Questo è il modo buono, il solo accetto davanti al Salvatore nostro Dio, che rigetta ogni empietà ed ogni contaminazione (v. 3). Egli infatti vuole di Volontà voluta (théló) che così ciascun uomo e tutti gli uomini possano essere salvati. E questo si ottiene giungendo all'esperienza vis-suta (epignósìs) della Verità (v. 4). Si ha qui un tema biblico insistito nei Due Testamenti a partire dalla predicazione profetica (Ez 18,23.32; 3,18; 33,11) e dalla riflessione sapienziale (Eccli 11,14; Sap 1,13;

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11,24; 12,19), passato come prezioso patrimonio della predicazione apostolica (oltre che qui, cf. Tit 2,4.6.11; 2 Pt 3,9). Evidente eco vibrata della predicazione di Cristo Signore, che in un certo senso si conclude e si codifica nelle parole della Cena, anticipo della sua Croce vi-vificante per tutti gli uomini. Questa è "la Verità". Ora il v. 4 è oggi il privilegiato oggetto della discussione "missionaria", in cui correnti de-leterie sostengono che non occorre più l'Evangelo, il Regno, Cristo, il Padre, la Chiesa, poiché lo Spirito Santo sparge i "semi" in tutte le re-ligioni, in tutte le culture. Le quali, stante la Volontà divina salvifica universale: "vuole che tutti gli uomini siano salvati", sarebbero "vie autonome della salvezza". È qui evidenziato un errore dottrinale, del tipo della falsa gnósis antica, che di certo sta producendo e produrrà danni inecuperabili alla fede, alla predicazione missionaria, alla sal-vezza degli uomini. Religioni e culture della terra mescolano fatal-mente grani di verità, come l'ansia umana verso la "salvezza", la vita, la ricerca di Dio, con ammassi di errori, di oscuramento della coscien-za, di tenebra, di peccato. Il cristiano deve discernere questo alla Luce divina della Verità, che va predicata al fine che sia accettata. Non deve accettare il nominalismo, il razionalismo, l'iconoclasmo permanente, il lassismo spirituale e morale, il pensiero debole (poco intelligente) del dibattito attuale.

Ora precisamente Paolo, "apostolo" e "missionario" e "predicatore dell'Evangelo", dichiara esplicitamente quale sia questa Verità, l'unica che occorre "sperimentare e vivere" per essere salvato divinamente. Con il gàr, "infatti" esplicitativo, enuncia la formula: "Unico infatti è Dio, Unico anche il Mediatore di Dio e degli uomini, l'Uomo Cristo Gesù (v. 5). È significativo che oggi i teorici della "non-azione" mis-sionaria citino solo il v. 4, ma mutilato, "Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati", ed omettono del tutto il v. 5, nonché, ovviamente, i vv. 6, sul Sacrificio redentivo, e 7, sulla "missione" di predicazione di questo affidata a Paolo.

La Verità salvifica dunque è la Realtà divina che è il Padre, il Dio Unico (cf. Dt 6,4-5; e Mt 22,37-40, e par.), ed in Lui il Dio Unico sono il Figlio e lo Spirito Santo. La Verità salvifica è altresì la Realtà umana del Figlio di Dio, il Mesitès, il Mediatore di Dio con gli uomini, e degli uomini con Dio. In Lui la Realtà divina e quella umana, degli uomini, trovano il punto di incontro, di riconciliazione e di comunione, mentre fuori di Lui regna la distanza, l'inimicizia, la separazione degli uomini da Dio. Ma Paolo insiste sull'Umanità del Figlio di Dio: "l'UomoCri-sto Gesù" (v. 5). È il realismo dell'Oikonomia divina della salvezza, che si è calata nella storia degli uomini (cf. ancora YApolytikion del-l'Indizione). E degli uomini ha assunto la "sostanza". Così che il Figlio di Dio per sé sussiste come Theologia inconoscibile ed incomprensibile

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come il Padre e lo Spirito Santo. Tuttavia volontariamente si fa oggetto anche dell' Oikonomia indicibile e per suprema Sygkatàbasis, Condi-scendenza, si fa Uomo vero, unendo già "secondo 1' Ipostasi" la sua Divinità con la sua Umanità. Egli resta consustanziale con il Padre e con lo Spirito Santo, ma per la mediazione necessaria della Semprever-gine Madre di Dio da cui assume la sua carne, diventa anche consu-stanziale con tutto il genere umano. È l'enunciazione di principio ne-cessaria (secondo i termini di S. Massimo il Confessore).

Il v. 6 però esplicita ulteriormente la Verità salvifica, la Realtà divina del Dio Unico, la Mediazione umana del Figlio di Dio. Gli enunciati di qui sopra non restano solo formule, ma furono storicamente "testi-moniati nei tempi stabiliti", quando l'Uomo Cristo Gesù donò se stesso quale "riscatto (antilytrorì) per tutti". Tali espressioni, anche se più per contenuto che per forma letteraria, raggiungono i testi del Servo soffe-rente di Is 52,13 - 53,12, che "consegnò la sua anima alla morte" per la redenzione degli iniqui. È richiamato così il sacrificio d'offerta della Croce, per il quale il Signore è anche Mediatore sacerdotale (cf. Ebr 12,24) dell'alleanza ultima ("nuova") nel Sangue, donata agli uomini nella Coppa sacrificale offertoriale della Divina Liturgia.

Così però è chiara anche l'affermazione che chiude il v. 6: "la testi-monianza {martyrion) nei tempi proprii (kairóis idwis)". Quando si tratta di martyria nel N.T., si deve aprire la considerazione a diverse e concomitanti direzioni: la martyria infatti è un luogo di convergenza, in quanto il Padre ed il suo Spirito Santo la danno al Figlio, come il Fi-glio la da al Padre ed ai suoi fedeli (cf. 1 Cor 1,6! Essa è "confermata" dallo Spririto Santo nei fedeli), e questi a Lui sotto la guida dello Spirito Santo. Qui la partenza è la martyria che si ebbe al tempo opportuno, stabilito divinamente, della Vita storica del Signore. Essa prosegue nel tempo, è consegnata alla Chiesa, alla sua fede, alla sua celebrazione, al-la sua carità operante nel mondo. È la suprema Testimonianza del Me-diatore e Redentore di tutti, che irrompe come unica istanza dell'umana salvezza, per sempre.

E prosegue nella Chiesa (v. 7) per l'opera e la fatica e la tribolazione apostolica. Infatti il martyrion del Signore esige che Paolo sia "posto" quale kèryx, predicatore (da kéryssó) non di propria autorità, bensì co-me apóstolos, inviato, con il compito specifico, e del tutto singolare di fare di lui il didaskalos ethnón, Maestro delle nazioni per portare la fe-de agli uomini, e la Verità divina ad essi. Paolo qui inserisce una clau-sola di autenticità: "la verità io parlo in Cristo, non mento", che è anche il sigillo della sua estrema umiltà. Poiché non parla "come Paolo", di sua iniziativa, bensì nel terribile vincolo d'unità e di collaborazione fat-tiva in "Cristo", un dativo che indica anche la sua opera "insieme e me-diante" il Signore.

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Questo Martyrion della verità divina consegnato alla Chiesa è cele-brato dalla medesima Chiesa fedelmente, autenticamente, lungo tutto l'Anno della divina grazia, Fonte inesauribile di doni dello Spirito Santo.

5. EVANGELO

a) Alleluia: Sai 64,2, "Azione di grazie comunitaria".La Chiesa saluta l'Evangelo del giorno con l'acclamazione dossolo-

gica: "A te conviene l'inno, Dio, in Sion", nella Comunità fedele ades-so raccolta a celebrare i Misteri divini. E prosegue: "ed a Te sarà reso il voto in Gerusalemme", poiché la medesima Comunità orante restitui-sce l'azione di grazie per ogni bene ricevuto dal medesimo Signore. Questo significa che l'inno ed il voto saranno il segno celebrativo lun-go tutto l'anno, che così si presenta dal suo inizio come lode ininterrot-ta al Signore Buono, tributatagli dalla "sua" Cittadinanza fedele.

b) Le 4,16-21UEvangelo di oggi annuncia il Giubileo divino dello Spirito Santo.Il contesto è di "inizio". Infatti dopo il Battesimo dello Spirito Santo

(3,1-20,prodrome di Giovanni il Battista; vv. 21-22, Battesimo; vv. 23-38, genealogia del Signore fino ad Adamo ed a Dio), Cristo Gesù è condotto dal medesimo Spirito Santo per essere tentato nel deserto ed uscirne vittorioso nella fedeltà battesimale al Padre suo (4,1-13). Qui si colloca l'episodio della sinagoga di Nazaret (4,14-30), che è un altro "inizio". E poi viene 1' "inizio" dei "segni" potenti che il Signore ope-rerà, con la guarigione dell'indemoniato di Cafarnao (4,31-38). Tutto questo quadra bene con l'inaugurazione dell'Anno liturgico.

L'episodio della sinagoga di Nazaret a sua volta è propriamente con-tenuto tra i vv. 16-30, ed è preceduto dah" "inizio" del ministero mes-sianico di Gesù, che avviene sotto la "spinta dello Spirito" battesimale (v. 14) a cominciare dalla Galilea, dove Egli insegnava nelle sinagoghe, ed era glorificato da tutti per la sua sapienza e la sua dolcezza (v. 15).

Il Signore torna a Nazaret, "dove era stato nutrito", ossia allevato, educato, cresciuto. Lì, "secondo il costume a lui" proprio, entra di sa-bato in sinagoga. Va qui meditato il fatto. Già quando aveva 12 anni, Gesù sale secondo l'uso ebraico a Gerusalemme per la pasqua. "Tre volte" l'anno ogni maschio israelita doveva "salire" a Gerusalemme per le feste maggiori, ossia pasqua, pentecoste e le Capanne (cf. Es 23,14, testo fondamentale per le celebrazioni d'Israele). Allora Gesù è ritrovato dopo 3 giorni dai Genitori allarmati nel tempio, con gli esperti della Legge santa, mentre docilmente li ascolta e sapientemente li inter-roga (Le 2,41-46), nella meraviglia degli astanti per la sua intelligenza e per le sue risposte (v. 47). Al preoccupato ma dolce rimprovero dei

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Genitori (v. 48), risponde: "Perché mi cercavate? O non sapevate che io debbo stare nelle "realtà del Padre mio?" (v. 49). Ora, queste "Realtà del Padre" riguardano primariamente l'annuncio e la spiegazione della Parola divina, l'A.T., da cui scaturisce la realtà storica e profetica e sa-pienziale per gli uomini. Da buon Israelita fedele, Gesù è assiduo alla preghiera per così dire "locale", ossia dove si trova. E la massima espressione di essa è la solenne celebrazione comunitaria del sabato, la massima festa ebraica. Un esempio mirabile per i fedeli di tutte le ge-nerazioni (vedi il 1° Gennaio).

Di sabato, in sinagoga, secondo l'uso liturgico, dopo la proclama-zione della Tóràh, che spettava a sacerdoti e leviti, si leggeva il resto della Scrittura. In pratica, al Pentateuco era data la massima importan-za, mentre il resto dell'A.T. veniva come illustrazione di quella Parola primaria. Analogamente, l'Evangelo è il centro della celebrazione cri-stiana, il resto della Scrittura ne è l'illustrazione pur necessaria. Ora, Gesù dal capo della sinagoga di Nazaret è chiamato alla lettura profeti-ca, detta "di chiusura" (v. 16). Infatti a questo punto chi ha letto una o due pericope della Tóràh, vi ha già condotto sopra l'omelia.

A Gesù è consegnato il rotolo manoscritto della lettura profetica del giorno, che è il profeta Isaia. Egli sceglie il passo, che è Is 61,1-2. Ma guardando da vicino il testo che adesso segue, esso è integrato da altri testi di Isaia (v. 17). La sostanza della lettura di Gesù suona così:

Lo Spirito del Signore su me,perciò unse me,ad evangelizzare i poveri inviò me,a curare i contriti di cuore,a predicare ai prigionieri la remissioneed ai ciechi la vista,a rinviare i feriti in remissione,a predicare l'Anno del Signore accetto (vv. 18-19).

I testi di Isaia che si scoprono analizzando questo testo sono /s 61,1-9, di cui il brano cita solo l-2a; 58,1-12, spec. 6-10, sulle opere della carità che consegue la conversione del cuore; 35,1-10, sulla Venuta sal-vifica del Signore al suo popolo. Sono testi straordinari, decisivi, che con sovrana sicurezza il Signore applica pubblicamente a se stesso, an-nunciando finalmente di essere il Realizzatore dell'intera Promessa profetica, da adesso e per sempre.

"Lo Spirito del Signore su me" è la formula grandiosa che apre la profezia di Is 61,1-9 sull'Unto misterioso. È la cosiddetta "formula di possesso", con cui è annunciato che il Signore assume uno, scelto tra tanti, se lo riserva, per così dire lo sequestra ad opera del suo Spirito di

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Potenza divina, lo consacra per la missione. È una formula analoga e parallela a quella che suona così: "la Mano del Signore su me" (cf. ad esempio Ez 37,1), dove la "Mano di Dio" è la metafora significante lo Spirito quale onnipotente Potenza operatrice del Signore, Potenza sem-pre in atto. Ma qui occorre tenere sempre presente il senso ultimo che nell'A.T. rivela lo Spirito del Signore. Egli non è ancora considerato come una divina Ipostasi. Però l'A.T. procede ragionatamente, meno con concetti e più con eventi ed interventi da concettualizzare, e dai quali si può anche ricavare una definizione valida anche per il N.T.: nell'A.T. lo Spirito del Signore è il Signore mentre si comunica agli uo-mini. Poiché già l'A.T. ha compreso la grande legge: "In Dio, tutto è Dio, en Theó, pànta Theós". Perciò la Parola, la Sapienza, lo Spirito (come il Braccio, la Mano, il Dito, il Volto, gli Occhi, il Cuore) in quanto provengono dal Signore Unico, "sono Lui". Da Lui infatti nulla di creato o di mescolato può mai provenire.

Ora qui si manifesta come il Signore si comunichi sul suo Prescelto. È un personaggio considerato dal Profeta come decisivo per le realtà che è destinato a portare agli uomini da parte del Signore. E però, dalle funzioni che dietro impulso dello Spirito Santo questo Prescelto deve operare, è possibile anche riconoscere di quali titolati uffici Egli sia sta-to divinamente incaricato.

Ed intanto, lo Spirito che riposa su Lui, anche Lo "unse" (chrio). Il verbo, che spesso corrisponde all'ebraico mdsah, da cui Masiah, "l'Unto" di Dio, il Messia, indica la "consacrazione" santa ed indele-bile. È il "segno" misterico che sigilla per sempre la "segregazione" del Prescelto per l'opera a cui è destinato, e con ciò il possesso irri-nunciabile che finalmente il Signore da adesso esercita in modo effet-tivo su Lui. Nell'A.T. 1'"unzione" consacratoria è riservata al sacer-dote del santuario (cf. Lev 8-9), ed al re (per David, 1 Re (= 1 Sam) 1,11-13). Essa è prevista esplicitamente per il Re "Unto-Messia", in greco "il Cristo di Dio" (Sai 2,2), che è il Figlio di David (Sai 88,21), dalla Mano stessa del Signore. Nella ripetizione di questo grande te -ma, si ha che il gesto diventa per il Re amato da Dio 1' "unzione della gioia" divina e nuziale (Sai44,8).

In questa direzione, la prescelta, il possesso e l'unzione dello Spiri-to da parte del Signore conferiscono al Re-Messia, che è dunque anche Sacerdote e Sposo, i Sette Doni sapienziali nella loro pienezza (Is 11,1-10, testo di molto precedente ad Is 61,1-2, ma affine). Sono in vi-sta le funzioni che il Re consacrato dovrà esercitare in mezzo al suo popolo, il popolo santo del Signore, il Dio Vivente e Vero, e dal popo-lo anche tra le nazioni (cf. qui il Sai 71, un "Salmo regale" come i Sai 2; 88 e 44). Seguendo il filone così ricco, si scopre come lo Spirito consacratore è divinamente donato per la sua missione profetica, sa-

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cerdotale, regale, redentrice e nuziale anche al Servo del Signore, il Servo sofferente (cf. Is 42,1; 48,16, e 44,3).

Luca ha conservato fedelmente il grande tema, e in At 10,38 riporta il testo fondamentale, nella predicazione di Pietro a Cornelio ed ai suoi, con il compendio di tutte le funzioni sopra accennate: Cristo dal Padre fu unto di "Spirito Santo e di Potenza", e passò nel mondo quale Re euergetón, "evergete", il "beneficiante" di tutti.

Il medesimo Luca in 4,18-19 cita i Profeti per descrivere le funzioni dell'Unto di Dio sotto la spinta e la guida onnipotente dello Spirito Santo. Ma qui vale la pena di citare letteralmente i testi sopra richia-mati; il testo base è il greco dei LXX:

a) Is 61,1-9Lo Spirito di Dio su me,perciò unse me,ad evangelizzare i poveri inviò me,a guarire i contriti di cuore,a predicare ai prigionieri la remissioneed ai ciechi la vista,a chiamare (kaléó) l'Anno del Signore accetto,ed il giorno della retribuzione,a consolare tutti i penitenti,a donare ai penitenti di Sion gloria invece di cenere,unzione d'olio di gioia ai penitenti,abito di gloria invece di spirito ignavo.E saranno chiamati "generazioni di giustizia","piantagione del Signore per la gloria".E costruiranno deserti secolari,desertificazioni di prima rialzeranno,e rinnoveranno città deserte,rese deserte per generazioni.E giungeranno stranieri pascolanti le pecore tue,ed estranei aratori e vignaioli.Voi però sarete chiamati "sacerdoti del Signore","liturghi di Dio".La forza delle nazioni voi mangerete,e della loro ricchezza vi meraviglierete.Così al doppio erediteranno la terra,e gioia eterna sulle teste vostre.Io infatti sono il Signore, l'Amante della giustiziae l'Odiatore delle rapine per iniquità.E darò la ricompensa loro ai giusti,ed alleanza eterna stabilirò con essi.

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E sarà conosciuto tra le nazioni il loro seme e i loro nipoti: chiunque vedendoli li conoscerà bene, poiché essi sono seme benedetto da Dio;

b) Is 58,1-12...bensì sciogli ogni vincolo d'ingiustizia,dissolvi gli strangolamenti di contratti violenti,rinvia i feriti con remissioneed ogni contratto iniquo strappa,spezza all'affamato i pane tuo,ed i poveri senzatetto introduci in casa tua,se vedi il nudo, rivestilo,e dai familiari del seme tuo non ritraiti...e dona all'affamato il pane dell'anima tua,e l'anima umiliata riempi...e sarà il Dio tuo con te per sempre...;

e) Is 35,3-10...diventate forti, mani deboli, e ginocchia paralizzate,consolate, voi anime piccole nella mente,siate forti, non temete:ecco il Dio nostro il giudizio rende e renderà,Egli verrà e ci salverà.Allora saranno aperti gli occhi dei ciechi,e le orecchie dei sordi ascolteranno,allora salterà come cervo lo zoppo,e distinta sarà la lingua del bleso...e i radunati dal Signore tornerannoe giungeranno a Sion nella gioia,e gioia eterna sulla loro testa,poiché sulla loro testa lode ed esultanza,e la gioia li avvolgerà,fuggirà dolore e tristezza e lamento.

Così appaiono evidenti le funzioni divine dell'Unto di Dio, mosse dallo Spirito del Signore:

a) evangelizzare i poveri, anzitutto e soprattutto. Il termine euaggelizo-mai va riportato sempre alla sua origine, Is 52,7, dove il fine è il Signore che "regna", ossia salva; e poi alla sua realizzazione, come primario an-nuncio di Cristo Signore: Me 1,14-15. È la funzione primordiale, in quanto se il Signore ama tutte le sue creature, tuttavia privilegia anche e dovutamente le più preziose agli occhi suoi, quelle rese più preziose dal-

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la sofferenza, i poveri, quelli che ormai si attendono tutto da Lui, i quali sono i fedeli, i pii, i devoti. Da Lui si attendono primariamente l'annun-cio del Regno (Is 52,7; Me 1,14-15), 1' "Evangelo" del Regno quale condizione donata gratuitamente di salvezza totale. E si attendono nel possesso del Regno, la prima tra tutte le beatitudini (Le 6,20b), di essere con-regnanti. È il loro unico Bene messianico, consolazione unica e fi-nale. Si possono qui rileggere testi come Sai 33,1-9; 146,3; Mt 11,5; Me 1,38. E si deve notare che "evangelizzare" è "annunciare lanovella (lati-no giuridico) buona", la disposizione favorevole da parte del Re. È fun-zione anzitutto regale, poi profetica e sacerdotale.

b) Annunciare ai prigionieri la remissione, Yàphesis. È la scarcerazione per amnistia generosa totale, l'abbandono, la cancellazione totale delle colpe contratte verso Dio e verso il prossimo, poiché da tali colpe essi erano im-prigionati e detenuti. Ora, Yàphesis, "remissione ", ed il verbo aphièmi, "ri-mettere, rimandare libero" rinviano senza dubbio al vocabolario dell'anno sabatico, e soprattutto del Giubileo biblico, traducendo numerosi termini ebraici come derór, jòbél (sostantivi), sélihah e verbo sàlah, sillùMm e ver-bo sàlah, semittàh e verbo sàmat, che sono circa omonimi. Per l'anno saba-tico il rimando è Dt 15,1-9; Lev 25,1-7; per l'anno del giubileo, a Lev 25,8-22. Queste due istituzioni singolari, confluenti nel medesimo scopo umani-tario ma anche santo e sacro, tendevano all'abbandono di ogni debito ogni 7 anni ed ogni 50 anni. Debitori, schiavi, animali, terra dovevano essere li-berati e riposare. Ogni 50 anni perciò la proprietà doveva tornare al deten-torc originale, a cui era toccata quale "lotto sacro"; dunque la proprietà era Dio: "Mia è la terra!" (Lev 25,23), aveva proclamato il Signore. Liberati debitori e schiavi, si doveva tornare a riformare la famiglia come in origi-ne, poiché tutti gli uomini, ma specialmente il popolo santo appartengono solo al Signore: "Essi sono servi miei!" (Lev 25,42, che con il testo prece-dente appartiene al contesto del Giubileo). Non occorre dibattere la que-stione se l'anno sabatico, ma soprattutto quello giubilare fossero stati mai osservati dentro Israele, quale "drenaggio" e "rastrello" dell'avidità e del-l'arricchimento dell'uomo sopra il fratello. Essi causano la "rabbia profeti-ca", del grido di dolore per le iniquità dei prepotenti, i "ricchi scemi", con-tro il popolo (cf. Is 49,8; 63,4; 58,1-12, vedi sopra). Qualche eco sta anche nel N.T. (cf. 2 Cor 6,2). Ma il N.T. fa deìYàphesis sabatica-giubilare l'ini-zio, il centro e il fine dell'annuncio dell'Evangelo.

Infatti la "lettura Omega" dell'Evangelo permette di dare questi schemi tematici:

I) Àphesis come Dono iniziale escatologicoII quale viene dalla Resurrezione del Signore e dunque dalla Pente-

coste dello Spirito Santo, viene "personalmente", dal Figlio deìYagape, l'Amore fontale del Padre (Col 1,14):

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- la sera stessa della Resurrezione, nel cenacolo, è Pentecoste: con laPace, il Soffio dello Spirito, l'invio a portare 1' àphesis al mondo (Gv20,19-23; e vedi sopra, la Pentecoste; e la Domenica di S. Tomma-so); in Le 24,47, con altra prospettiva, la promessa del medesimoevento, sempre la sera della Resurrezione, nel cenacolo;

- la mattina della Domenica di Pentecoste (At 2,1-4), Giubileo della remissione portata dagli Apostoli al mondo (10,43), anzitutto agli Ebrei(Af 2,38; 13,38).V àphesis proviene dal Sangue prezioso della Croce vivificante

(Eph 1,7).E già nella Parola d'amore del Figlio al Padre, dalla Croce stessa:

"Padre, rimetti ad essi!" (verbo aphièmi) (Le 23,34).

II) Àphesis come Dono permanente- nei Divini Misteri: della Cena, la Coppa (Mt 26,28); del battesimo

(At 2,38); nella confessione dei peccati (1 Gv 1,9; 2,12), per il Nomedivino del Signore Gesù; nella santa Unzione dell'olio (Gc 5,15);

- per la potenza della preghiera al Padre Donante, come scambio ai figli che perdonano i fratelli: il "Padre nostro" (Mt 6,12.14.15, testoclassico, il più usato; Le 11,4;Me 11,24-26). Qui rispettivamente, "rimettere", "remissione" vengono ben 4; 6; 2 volte;

- come dono di scambio perdonante verso i fratelli: "70 volte 7" (Mt18, 21-22; Le 17,3.4);

- considerando che il Giubileo precede sempre il perdono fraterno: vedi la parabola dei 10.000 talenti "rimessi", vero Giubileo regale (inMt 18,23-35, spec. vv. 27.32.35; vedi domenica 11° di Matteo);

III) Àphesis già donata nella Vita del Signore tra gli uomini- al paralitico, come Dono del Figlio dell'uomo: (Mt 9,2.5,6.; Le

5,20.21.23.24; Me 2,5.7.9.10);- alla peccatrice "che molto amò" (Le 7,47.48.49);

IV) Àphesis negata severamente- "a quelli che stanno fuori": Me 4,12, senza par.;- a chi bestemmia lo Spirito Santo: Mt 12,31-32; Le 12,10; Me 3,28-29;

Così nella sinagoga di Nazaret, con il verbo kèryssó, annunciare per la prima volta (da cui kèrygma), il Signore espone il suo "manifesto" messianico giubilare, che come Profeta, Sacerdote e Re munifico viene ad attuare, anzitutto con Vàphesis, la remissione delle colpe generale, vero Giubileo regale illimitato generoso definitivo.

e) Ai ciechi, il tornare a vederci. È la grande funzione profetica e sa-pienziale di dare la luce della visione a chi aveva la mente ottenebrata a causa del peccato e dell'ignoranza della divina Realtà; era stato pro-

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messo dai Profeti (Is 8,21 - 9,5, LXX), per l'opera del Bambino, del Fi-glio, del Re Forte, dell'Angelo del Grande Consiglio divino (Is 9,6), del Servo sofferente (Is 42,7, con lo Spirito di Dio, 42,1).

d) Rinviare con Yàphesis i contriti di cuore: quelli già contemplati dalDisegno divino preeterno, sapienziale e provvidente, come perdonatisecondo il suo Beneplacito (Sai 145,8.9), e preavvertiti misericordiosamente dal Profeta (Is 58, vedi sopra). È la funzione consolatrice tipicadel Sacerdote che indice il Giubileo per il perdono universale.

e) Annunciare l'Anno accetto del Signore. Il supremo sigillo apposto aquesto Programma divino sta in Le 4,19, che citaIs 61,2a. L'Unto dalloSpirito del Signore, che riposa ormai stabilmente su lui - cf. qui ancheGv 1,32.33: lo Spirito discende e "resta" (meno) in Colui che ormai battezza nello Spirito Santo -, deve finalmente annunciare l'Evento sempre atteso, l'Anno gradito al Signore, quello in cui Egli può finalmenteperdonare tutti e per sempre. Se si considera il contesto della profezia diIs 61, si recupera il fatto che quel Profeta probabilmente scrive dopo ilritorno dall'esilio babilonese, ponendosi alla scuola del grande Isaia.Ad un povero popolo ancora frastornato dagli eventi, che ancora non riprende la sua vita religiosa davanti al suo Signore nella pienezza desiderata da Lui e dai suoi servi fedeli, il Profeta annuncia un futuro digrandi realizzazioni positive. Verrà ad esso il Signore stesso, che abiteràin mezzo al suo popolo, e farà di questo la sua Sposa diletta (Is 60; 62).Quale dote nuziale divina, Egli porrà in lei tutta la sua Grazia, lo SpiritoSanto (cf. 63,10-11.14), e questo Evento finale sarà riassunto nel massimo simbolismo biblico teologico: l'Anno del Giubileo eterno. Adesso ilGiubileo non avrà solo, non principalmente, la connotazione sociale politica economica familiare umanitaria. Esso sarà opera dello Spirito delSignore. Gli effetti saranno totali, avvolgenti e sconvolgenti, poiché sono diretti ormai anzitutto agli uomini peccatori, così perdonati per sempre; sofferenti, così guariti e consolati; oppressi, così consolati e liberati; e soprattutto poveri, senza volto, senza avvenire, senza speranza, acui invece si manifesta il Volto divino di Bontà, l'avvenire del Regno,la speranza della Vita nella sua Pienezza divina.

Tutto questo è donato con infinita supereffluenza già dalla Croce, dalla Resurrezione, dalla Pentecoste permanente nella Chiesa e tra gli uomini: "Nel Nome suo (del Risorto Signore) saranno predicati a tut-te le nazioni (pagane) la metànoia (conversione) e Yàphesis (perdo-no) dei peccati, a cominciare da Gerusalemme" (Le 24,47): sotto la guida onnipotente dell'Epaggeliadel Padre, la Promessa che è lo Spi-rito del Risorto.

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Luca dunque pone quale prima parola pubblica del Signore questo immane annuncio: Egli venne a donare il Giubileo divino dello Spirito Santo. Allora la famiglia umana sarà di nuovo ricomposta, quella di cui è Padre Unico lo stesso "Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo", e che sarà formata "qui e ora" dai poveri, dai prigionieri, dai ciechi, dai contriti di cuore. Da schiavi finalmente liberati, che saranno "cittadini" a pieno titolo della Cittadinanza custodita dalla Croce. I miserabili de-bitori sono rimandati sollevati da ogni dovere verso altri. La proprietà, la klèronomia, l'eredità è ricostituita nella sua integrità per tutti, unico inesauribile "fondo comune" (cf. At 2,41-47; 4,32-35, conseguenze del-la Pentecoste giubilare!). Essa tende alla ricostituzione della Terra, la Patria comune, finale, i cieli nuovi e la terra nuova (cf. Ap 21,1-5).

Cristo Signore battezzato dallo Spirito Santo ha parlato. È Parola di Dio indelebile. Può arrotolare il volume profetico, restituirlo affinchè sia custodito preziosamente per memoria indelebile. Può sedersi per te-nere, secondo il costume sinagogale, l'omelia sulla Parola letta. Tutti allora guardano verso Lui (Le 4,20). La folla infatti pende sempre dalle sue labbra (cf. 19,48), ma adesso con tensione speciale, e come si vede dal seguito, con sentimenti contrastanti.

Gesù comincia la sua divina Omelia con il classico inizio, che sarà ritenuto dall'omiletica dei Padri: "Sèmeron, oggi". L'Omelia è mistago-gia ed è attuazione "oggi qui per noi" delle Realtà proclamate, adesso spiegate per essere assimilate. "Oggi è stata adempiuta (peplèrótai) questa Scrittura nelle orecchie vostre" (v. 21). Testo strapotente: Oggi da Dio è stata adempiuta (passivo della Divinità) questa Scrittura in voi che ascoltate. Oggi e sempre. Il sèmeron non è occasionale: è eterno presente. In chiunque ascolta l'Evangelo della Grazia e si dispone ad accettarlo. Oggi il Padre infatti ha già donato il suo Giubileo divino mediante il Figlio nell'opera dello Spirito del Signore. Il Giubileo divi-no comincia già "oggi". Il Dono precede l'accettazione. I talenti la loro trattazione per aumentarli. Il Giubileo come Dono dello Spirito Santo è 1' "oggi" dell'iniziazione cristiana, è 1' "oggi" dei Divini Misteri cele-brati. "Oggi la salvezza avvenne per il mondo", si canta alla fine della "Grande Dossologia" che immette nella Divina Liturgia. È 1' "oggi" degli altri Misteri della Chiesa. È 1' "oggi" della carità operata dalla Chiesa in quanto Chiesa Sposa del Signore e Madre nostra.

Il v. 22 è tagliato nell'ultima parte, che riporta la sorpresa di quelle parole uscite dal "Figlio di Giuseppe", da tutti conosciuto come umile artigiano. L'inizio narra la reazione dei presenti: gli testimoniavano (martyróó) contro, evidentemente, "per le parole della Grazia" che ave-va pronunciato, sia leggendo Is 61,l-2a, sia nell'omelia. Ora, che signi-ficano qui "parole della Grazia"? I presenti dovevano esserne consolati, mentre - ed il seguito lo narra ancora di più, fino a tentare di precipita-tolo

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1° SETTEMBRE

re Gesù da una roccia (cf. vv. 28-30) - si mostrano sommamente sor-presi ed irritati. Ma dal punto di vista loro, avevano anche ragione. Il testo di Is 61,2 infatti suona così (vedi sopra):

a chiamare l'Anno accetto del Signore, ed // giorno della retribuzione.

Si attendeva infatti la liberazione dai nemici e la consolazione del po-polo di Dio, certo, ma anche, nell'esasperazione di questo per le op-pressioni e le lunghe speranze ed attese andate deluse, la punizione, "retribuzione" in negativo, che il Signore mediante il suo Unto avreb-be dovuto infliggere ai nemici del suo popolo, così umiliati e dispersi per sempre.

Gesù invece intenzionalmente omette quel mezzo versetto. Dimo-strando ed insegnandoci almeno due fatti: che come Verbo Dio ha il so-vrano dominio anche sulla Parola profetica e sulla sua Ìnterpretazione autentica; che come Unto di Dio misericordioso, non punirà i nemici, poiché venne nello Spirito a portare il Giubileo divino a tutti i poveri, i contriti, i prigionieri e ciechi, ossia:

Nel Nome suo saranno predicate a tutte le nazionila metànoia e Ydphesis dei peccati,a cominciare da Gerusalemme (Le 24,47).

E già qui si vede come è difficile "dare Ydphesis" ai fratelli, quando già ci fu donata da Dio, chiedendoci però di elargire misericordia a tutti.

L'Anno liturgico comincia sotto il segno del Giubileo dello Spirito Santo, dell'Anno accetto della Grazia divina.

Esso è permanente ed inesauribile. È donato "oggi", quando per chi comunica ai divini trasformanti Misteri il Signore "corona l'Anno della Bontà" benigna, come si canterà con il Koinónikón.

6. MegalinarioOrdinario.

7. KoinónikónÈ il Sal 64,12a, "Azione di grazie comunitaria": "Tu benedici la co-

rona dell'anno della Bontà tua, Signore". Il Salmo è una delle più splendide "Azioni di grazie comunitaria". Esso celebra il Signore per-ché è Lui, nei suoi titoli, e per le sue opere mirabili. Si chiede a Lui di ricevere ancora i suoi doni mai meritabili, di salire alla comunione con Lui in forza della lode che a Lui si tributa in Sion (v. 2). Ora, "oggi"

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l'indicibile mezzo sono i vivificanti Misteri che si vogliono comunicare ai fedeli oranti e celebranti. Ma ancora una volta va annotato qui che questo si pone già all'inizio dell'Anno della Grazia, della Bontà divina, della Benedizione divina. E i fedeli ancora una volta sono chiamati a meditare sulla propria esistenza, che questa Grazia infinita donata sen-za resto vuole solo che cresca all'infinito.

Perciò già al 1° Settembre si deve annotare che non "la fine corona l'opera". Nel Disegno divino, come si è visto lungamente sopra, la Grazia sta sempre all'inizio, per accompagnare e seguire chi la riceve come la "terra buona", con l'anima disposta sempre. Il Signore stes-so promette di essere Corona splendente e Diadema regale folgorante per il popolo suo di santi e devoti, e Spirito della Misericordia (Is 28,5). I battezzati per questo sono anche "coronati" dopo il Dono del-lo Spirito Santo, che precede la loro vita di fede. La corona finale sarà solo la ratifica della coronazione già donata (vedi Apóstolos della Domenica prima delle Luci).

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4 SETTEMBRE

S. BABILA, VESCOVO D'ANTIOCHIA, IEROMARTIRE

S. MOSÈ VEDENTE DIO E PROFETA

1. AntifoneOrdinarie, o Typikà e Makarismóì.

2. EisodikónOrdinario.

3. Tropari

1) Apolytikion di S. Babila. L'illustre Ieromartire è celebrato perché diventò (si lasciò fare dalla Grazia) partecipe del modo di vita degli Apostoli, e loro successore sulla cattedra , e come ispirato da Dio trovò lavia pratica verso la contemplazione divina. Perciò, fedele dispensatoredella Parola della Verità, fu atleta della fede fino al sangue. La Chiesalo implora come Ieromartire glorioso, che interceda presso Cristo per lasalvezza delle anime dei fedeli.

2) Apolytikion di S. Mosè. Rivolti al Signore, i fedeli che festeggiano lamemoria del suo Profeta Mosè, implorano che mediante lui salvi le loro anime.

3) Apolytikion del Santo titolare della chiesa.

4) Kontàkion dell'8 Settembre.

4. Apóstolos

a) Prokéimenon: Sai 15,3.8, "Salmo di fiducia individuale".Il Signore rese mirabile la sua Volontà nei suoi Santi già sulla terra.

L'Orante da sempre pose davanti a lui il Signore {Stichos, v. 8) poiché sa che Egli sta alla sua destra, nel combattimento, e non sarà scosso.b) Ebr 11,33- 12,2a Pentecoste di Matteo> di Tutti

E VApóstolos della Domenica la m Pentecoste (li Santi), nonché della Domenica dell'Ortodossia.

5. EVANGELO

a) Alleluia: Sai 33,18.20, "Azione digrazie individuale". . ., È l'Alleluia della Domenica 1- ^Watteo. I giusti e santi gridano

verso il Signore, che li esaudisce sempre, e li libera da ogni loro ango-scia. Le tribolazioni del giusto infatti (Stichos, v. 20) sono sempre mol-te, ed il Signore da esse lo libera. Qui con la gloria del maritirio.

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b) Mt 10,32-36; 11,1II Signore battezzato dallo Spirito Santo esplica la sua missione

messianica nel medesimo Spirito annunciando l'Evangelo e spiegando-lo, ed operando le opere del Regno, i segni potenti con cui recupera al Padre il dominio su ogni creatura impedito gravemente dal Male e dal Maligno. L'Evangelo di oggi in conseguenza mostra come il Signore con il "discorso di missione" (Mt 9,35 -11,1) istituisca ed istruisca i di-scepoli, che dovranno proseguire nel mondo tra gli uomini la sua me-desima missione. Tale è il contesto della pericope.

L'accento, nell'occasione della memoria dello Ieromartire Babila, è la grande homologia, la " confessione" o professione di fede nel Si-gnore. Essa è la base del rapporto di comunione con il Signore, con-dizione assoluta per entrare nella Vita divina. Anche se dovesse co-stare, come fu nel caso di S. Babila, la "testimonianza di sangue". Ora, il Signore fa di questo un fatto formale. Al v. 28 aveva detto di non temere quelli che possono solo spegnere la vita umana. Al con-trario, si deve temere religiosamente solo Colui che unico può "per-dere (apollyò) nella gehenna sia l'anima sia il corpo". In sostanza, la gehenna, luogo di Gerusalemme, era una Valletta dove ardeva il fuoco perenne dove quotidianamente si bruciava fino all'incenerimento l'immondizia urbana. La metafora indica che il Signore con il fuoco simbolico della pena eterna, il quale è inestinguibile ma anche irresi-stibile (3,12; 5,22; 13,40.42.50; 18,8.9), ed eterno, mentre la sostanza umana non è eterna (25,41), e può annullare l'esistenza umana da Lui stesso creata per la Vita eterna. Forse i cristiani, parlando del "fuoco spirituale" dell'inferno, hanno dimenticato questo lógion terrificante, unico nella Scrittura (ma molti precedenti si trovano nell'A.T.). Si ri-vedano testi come Ap 20,10 e 14-15. E i Padri orientali dei primi se-coli. S. Babila dunque non temè i carnefici del suo corpo, ma "con-fessò" il suo Signore.

Gesù dunque stabilisce che chiunque "confesserà" (homologéó) Lui davanti agli uomini, senza timore di conseguenze anche fatali, sarà "confessato" (homologéó) da Lui davanti al Padre dei cieli (v. 32). Il che equivale alla presentazione e l'ingresso liturgico festoso al Padre, per la Festa eterna e gioiosa. Tale "ingresso", come si disse più volte, è carico di diversi contenuti. Poiché il Padre è il Signore Dio, il Re divi-no, a cui il Figlio riconsegnerà il Regno affinchè "Dio sia del tutto in tutti" (cf. 1 Cor 15,24.28). Così i fedeli facenti parte del Regno vengo-no a far parte della corte celeste. Il Padre è anche il Giudice di miseri-cordia, che assolve i fedeli presentati dal Figlio, e li ammette alla sua comunione. Ed infine è il Signore adorabile e adorato, per cui il Figlio, Sommo Sacerdote nello Spirito Santo, con tutti i fedeli per l'eternità tributerà al Padre il culto di lode e d'azione di grazie.

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4 SETTEMBRE

Ma sta qui la terribile antinomia. Il Signore infatti contempla (v. 33) anche il caso, purtroppo non astratto, di chi, avendo aderito a Lui, si trova poi per viltà e stupidità e colpa a "rinnegare" Lui {arnéomaì) da-vanti agli uomini, per compiacere i nemici della Croce santa. Il caso di Giuda non era restato isolato nella Chiesa dei primi secoli. Sotto la de-vastante pressione delle persecuzioni (S. Babila fu martire sotto quella di Decio, nel 254), troppi cristiani non solo non "confessarono" il Si-gnore, ma con atti contrari alla fede Lo "anatemizzarono", Lo rinnega-rono anche semplicemente bruciando un grano d'incenso sull'altare degli idoli. In specie sull'altare del culto reso all'imperatore, oppure consegnando i Libri sacri ai persecutori, o come delatori denunciando i fratelli nella fede. Il Signore in questo caso "rinnegherà" Lui questi apostati, che non avranno l'ingresso al Padre e alla beatitudine eterna. Né qui si dirà che viene meno la divina Misericordia. Infatti, questa nulla può contro la volontà malvagia dell'uomo, e nulla vuole né mai farà contro la libertà di decisione degli uomini. Chi rinnega il Signore in realtà si esclude da solo da ogni possibilità di salvezza. A meno di essere finalmente di nuovo sensibili alla Grazia divina che è sempre offerta. Di fatto la Chiesa antica conobbe molti apostati pentiti, che chiedevano di essere riammessi alla "comunione cattolica". Il fenome-no fu così grave da procurare contrasti tra le Chiese di diversa discipli-na. E fu così concreto, che ogni Chiesa ha un rito apposito per il perdo-no degli apostati.

Però, perché gli uomini si trovano costretti a confessare il Signore? Il Signore non garantisce ai suoi fedeli la Grazia e la pace?

I fedeli non debbono illudersi. Il cristianesimo è un fatto totale. Per-ciò urta direttamente i non cristiani, li irrita, e questi reagiscono con violenza. La storia delle Chiese è come il "taccuino di viaggio" sotto le persecuzioni. Chi vuole seguire Cristo Signore deve attendersi ogni sorta di persecuzione, anche la morte. È promessa formale del Signore stesso (Me 10,30). Ed è impegno formale dei discepoli suoi: accettare la propria croce (Mt 16,24-26), "ogni giorno", precisa Luca nel passo parallelo (Le 9,23).

Che Signore e Dio è questo, che ai suoi fedeli promette l'insuccesso umano, fino alla perdita violenta della vita?

È Colui che questo lo avverte prima che i discepoli aderiscano a Lui, con tagliente lealtà, e con drammatica chiarezza.

E qui (v. 34) lancia un imperativo puntuale (in aoristo): "Non vi cre-dete (nomisète)\" Egli non venne a "gettare pace sulla terra", espressio-ne semitica che indica il dono che è la suprema aspirazione dell'uomo di sempre, anche se il medesimo è sempre pronto a fare la guerra. Gesù lo ripete: "Io non venni a gettare pace, bensì spada! È uno dei segni escatologici, come sotto simboli narra anche Ap 6,4: dal cielo è inviato

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uno dei 4 cavalieri, che doveva togliere la pace falsa dalla terra, e porre in guerra gli uomini, e quel guerriero brandisce una terribile spada. È la spada della divina Parola che divide gli uomini totalmente, poiché essi debbono decidersi se stare a favore o stare contro. Anzi, che divide lo stesso uomo da se stesso, dalla parte non buona, molto dolorosamente, e "penetra fino a dividere anima e spirito, giunture e midolla, e fa di-stinguere i sentimenti ed i pensieri del cuore" (Ebr 4,12). È la stessa spada che traverserà l'anima della Madre di Dio (Le 2,35a ). Non pace e tranquillità ignave, dunque, con la Venuta del Figlio di Dio, bensì spada, che porterà la situazione più tragica ma necessaria: dividere (di-chàsai) l'uomo dal padre suo, e la figlia dalla madre sua e la nuora dalla suocera sua (Mt 10,35). Poiché la Parola divina chiamerà a rispondere. E l'uomo e la figlia e la nuora che accetteranno quel "taglio" inesorabile ed immane, dovranno "dividersi" dalle loro famiglie, irreversi-bilmente, poiché chi ama il padre e la madre più del Signore, e il figlio e la figlia più di Lui, e non si assume per intero la sua croce, non è de-gno di Lui (vv. 37-38), e chi privilegia la sua vita, la perderà, mentre chi non la prezza, però per solo amore verso Lui, l'acquisterà (v. 39). È delineata la condizione ultima della sequela, quella dei gloriosi Martiri, poiché avverrà che il fratello, il padre e i figli si ribelleranno e porranno a morte i rispettivi fratelli e figli e genitori (v. 21).

Il Signore in un testo analogo afferma anche: "Fuoco venni a portare sulla terra, e che desidero, se non che già sia acceso?" (Le 12,49). La Spada della Parola ed il Fuoco dello Spirito sono dunque inizialmente guerra e divisione, per essere poi creazione nuova e comunione di Vita divina indivisa.

Di fronte a questo i fedeli staranno molto attenti agli avvertimenti del Signore: "ed i nemici dell'uomo, i domestici di lui" (v. 36). Ossia, l'adesione al Signore pone il fedele nell'ultima divisione: i familiari (oikiakói, facenti parte della medesima casata, domestici) saranno i peggiori nemici. Il profeta Michea lo aveva preavvertito. Quando giun-gerà inesorabile il grande Giorno del Signore, non ci si deve fidare più dell'amico e del compagno, neppure della sposa fedele umanamente, poiché allora nelle famiglie avverranno i peggiori oltraggi contro i pa-renti a causa del Signore, e i peggiori nemici, quelli senza misericordia, saranno i familiari (Mich 7,5-6). Gesù riporta dunque il testo profetico alla lettera, mostrando che quel Giorno è ormai giunto. I Martiri suoi lo hanno accettato in tutto il suo rigore, una sorte da scegliere per amore di Lui e del Regno.

Al v. 11,1 (che per sé è la conclusione del "discorso di missione"), Matteo annota che Gesù termina almeno per ora di istruire (diatàssòn) i discepoli, che qui sono i Dodici scelti prima del discorso (cf. 10,1-4), e si trasferisce da lì verso altre città, dove il suo ministero divino battesi-

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4 SETTEMBRE

male nello Spirito Santo lo porta a "insegnare e predicare" l'Evangelo del Regno, affinchè raggiunga gli uomini.

S. Babila Ieromartire e Vescovo fu molto venerato nell'antichità, ed ebbe grande culto anche in Occidente. A Milano è dedicata a lui una chiesa paleocristiana.

6. MegalinarioOrdinario.

7. KoinónikónDel giorno.

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DAL 7AL 13 SETTEMBRE DOMENICA

AVANTI L'ESALTAZIONE DELLA S. CROCE

Questa Domenica, come quella che segue l'Esaltazione della S. Cro-ce, vanno rilette anzitutto come contesto del 14 Settembre, e poi tenen-do sempre conto dei contenuti della Domenica 3a di Quaresima e del Venerdì delle Sofferenze del Signore. E va considerato che questa teologia globale non è occasionale, ma si estende e si ritrova lungo l'intero Anno liturgico.

1. AntifoneSono quelle della Festa dell'8 Settembre, se la Domenica cade tra il

9 e il 12 di questo mese.Typikà e Makarismói, se la Domenica cade il 7 o il 13 Settembre.

2. EìsodikónDella Domenica.

3. Tropari

1) Apolytikìon anastàsimon del Tono occorrente.

2)Apolytikion del Santo titolare della chiesa.

3) Kontàkion: dell'8 Settembre; se la Domenica cade il 7, è il Proeór-tion, se cade il 13, è Ouranóspolyphòtos.

4. Apóstolos

a)Prokéimenon: Sai27,9 .1, "Supplicaindividuale".Il Prokéimenon è il v. 9, "Salva, Signore, il popolo tuo, e benedici

l'eredità tua", che è della Domenica 3adi Quare&Aa Mi sopra). Qui va appena aggiunto che l'invocazione come genere letterario è la clas-sica "supplica epicletica per il popolo", non infrequente nel Salterio. Così si hanno anche questi altri testi:

Libera, Dio, Israeleda tutte le sue tribolazioni (Sai 24,22);

II Signore forza al popolo suo donerà,il Signore benedice il popolo suo con la pace (Sai 28,11);

Sia la Misericordia tua, Signore, su noi, per quanto noi sperammo in Te (Sai 32,22).

Lo Stichos, il versetto della risposta (v. 1), è l'attestazione del fedele

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DOMENICA PRIMA DELLA CROCE

che gridò al suo Signore, e l'epiclesi al Dio della sua alleanza affinchè non seguiti a tacere, ma si manifesti.

La Croce è la "salvezza del popolo" santo, e il grido del Figlio al Padre dalla Croce ebbe la grande risposta: la Resurrezione, la Gloria, il Dono dello Spirito sui fedeli.

b)Gal 6,11-18È YApóstolos della Domenica 5a di Luca.

5. EVANGELO

a) Alleluia: Sai 88,20-21.22, "Salmo regale"II Signore mediante Natan profeta aveva promesso a David discen-

denza regale (cf. 2 Re (= 2 Sam) 7,4-17, spec. vv. 13-16). Il Salmista canta questa azione divina di mirabile misericordia gratuita: il Signore esaltò l'Eletto del popolo della sua alleanza, tra tanti si scelse David, suo servo fedele, il tipo del Re messianico, e lo unse di consacrazione regale "in santa misericordia", che è amore illimitato.

Lo Stichos (v. 22) mostra la conseguenza dell'unzione regale, poi-ché il Signore con la sua Mano onnipotente soccorre sempre il suo Re, e con il Braccio irresistibile gli conferisce la potenza vittoriosa, e per-ciò per sé tutto al Re proviene dal suo Signore.

E stabilita così perfettamente la tipologia David-Cristo che regna dalla Croce santa.

b) Gv 3,13-17Nel Cap. 3 di Giovanni il Signore attende la visita notturna di Nico-

demo, un Ebreo pio e giusto, facente parte del sinedrio (cf. 7,50), e che fu tra quelli che con amore dolente aveva tributato a Lui gli onori estre-mi della sepoltura (cf. 19,39; aveva portato una quantità enorme di co-stosa mirra). All'inizio, quest'uomo profondamente onesto e pensoso, aveva timore di essere rigettato dal suo ambiente, e quindi accostava il Signore con cautela. L' "incontro con Nicodemo" si svolge nel testo occupato dai vv. 1-16; secondo i critici, i vv. 17-21 sono la riflessione dell'Evangelista, che tuttavia per così dire mischia le parole della dot-trina di Gesù con le sue parole, mirabile modo della Parola di Dio.

I vv. 13-16 formano come l'epilogo di quest'incontro notturno, che apre a Nicodemo l'alba della sua vita "nuova", quella che secondo le promesse dell'A.T. ormai viene al compimento in Cristo Signore.

In precedenza, il Signore aveva annunciato a Nicodemo che per entrare nel Regno occorre "dall'Alto - nascere di nuovo", come per-mette di tradurre l'avverbio ano, qui composto come particella con l'avverbio ànóthen (v. 3), che sta in stretto nesso significante con

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CICLO DEIMÈNÀ1A

l'avverbio e particella anà, "sopra" e "di nuovo". Questo è opera solo dello Spirito, poiché precisamente occorre nascere "dall'acqua (batte-simale) e dallo Spirito Santo" (vv. 6-7). Alle timide domande di Ni-codemo, meravigliato di questa nuova inaudita Oikonomia, il Signore risponde con ammonizioni severe: Egli parla di realtà che come Ver-bo Dio conosce perfettamente per averle viste dal Padre (v. 11), e chiede di essere creduto sia quando parla di realtà terrene, sia quando tratta di Realtà celesti (v. 12).

Tutte queste realtà sono conosciute solo da Uno, nella più singolare vicenda della divina Oikonomia, dal Figlio dell'uomo, che sovrana-mente opera tre movimenti. Poiché è ho On, "il Sussistente", il Signore (cf. Es 3,14, la rivelazione a Mosè dal Roveto ardente) che vive "nel cielo", presso il Padre, nel Seno del Padre (1,18), Egli nella pienezza dei tempi dal cielo discende (katabàinó) per risalire di nuovo (anabdinó) al cielo, dove senza interruzione e senza movimento seguita a sussistere come Dio.

Il v. 13 ha come "punta" però il termine "il Figlio dell'uomo", la fi-gura divina umana di Dan 7,13-14, il quale viene da Dio a Dio per rice-vere da Lui i destini di salvezza di tutti gli uomini, con ogni potere. Se "discende", deve farlo al modo che ha scelto, incarnandosi (1,14), e se "ascende" di nuovo deve farlo egualmente al modo che ha scelto, me-diante la Croce che è la sua "esaltazione" (verbo hypsóó, al v. 14).

Ma la Scrittura ci insegna qui diversi fatti fondanti. Al cielo può ascendere per sé solo il Signore (Prov 30,4), l'Unico che ne misura ogni dimensione per averlo creato (Eccli 1,2). Anche da questa parte si manifesta la Divinità del Figlio dell'uomo, che ascende dove sussisteva "prima" (6,62). Lo aveva anche predetto David nel Sai 109,1, nell'assi-curazione del Signore Dio Padre al Signore Dio Figlio Re messianico (Figlio dell'uomo), e poi nel Sai 67,19 (citato in Efes 4,8):

Tu ascendesti verso l'alto, imprigionando i prigionieri, accettasti doni tra gli uomini (salvati).

La "discesa" va contemplata da vicino. Giovanni lo ha fatto, quando afferma (1,18) che il Dio Monogenito, che sussiste in eterno in relazio-ne al Seno del Padre, senza abbandonare il Seno paterno che è la sua Cattedra divina, tuttavia viene per essere l'Unico Esegeta del Padre. Egli "va verso l'Alto" (il Padre) poiché sta sopra tutto" (3,31). Per que-sto sovranamente può discendere, "per compiere la Volontà" paterna, non la sua (6,38), quale Pane di Dio (6,33), il Pane della Vita ossia che dona lo Spirito Santo (6,42). Pane che è Parola sussistente, anzitutto. Paolo in Rom 10,6 mostra che da questa Parola divina viene la fede, citando Dt 30,11-14 sui comandamenti santi che donano la Vita:

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DOMENICA PRIMA DELLA CROCE

Questi precetti che Io ti dono oggi,non sono infatti così alti, che tu non possa comprenderli,né così lontani, che tu debba ricercarli.Non stanno in cielo, così che tu dica:Chi salirà però in cieloe ce li porterà e ce li farà conoscere,così che si possano praticare?E neppure stanno al di là del mare,così da dover dire:Chi passerà per noi al di là del mare,e ce li porterà e ce li farà conoscere,così che si possano praticare?Questa Parola invece sta molto vicina a te,sta sulla bocca tua e nel cuore tuo,in modo che tu possa praticarla!

Questa Parola è discesa per sempre dal cielo, sta qui, per risalire al cielo portando tutti quelli che ne "mangiano", e così la assimilano nella loro esistenza per la Vita eterna. Nella "Preghiera sacerdotale" il Signo-re darà ulteriori spiegazioni (17,1-26), implorando epicleticamente dal Padre che dove Egli starà con Lui, nello Spirito Santo, là stiano anche quelli che Egli amò "fino al télos", fino alla fine ed al fine, la Croce, così che vedano la sua Gloria in eterno e ne siano trasformati (17,24, da leggere con 1 Gv 3,1-2).

Ma sussistere, discendere da questa condizione divina, ascendere di nuovo lì, che cos'è, nel linguaggio giovanneo fedele alle parole del Si-gnore, se non un'"esaltazione" (hypsóó)!Il v. 4 propone qui una com-parazione solo in apparenza repugnante e paradossale, quella del "ser-pente nel deserto". Mosè "esaltò (hypsóó) il serpente nel deserto". L'e-pisodio è narrato in Num 21,4-9. Il popolo è demoralizzato, è nauseato dalla manna, non trova vero buon pane, né acqua abbondante, e irritato "mormora" contro il Signore (vv. 4-5). Il Signore allora invia per puni-zione temporanea, medicinale, i serpenti "infuocati", velenosi, così fre-quenti in ogni deserto della terra (v. 6). Il popolo confessa la colpa, e chiede a Mosè di intercedere presso il Signore, e Mosè lo fa (v. 7). Il Signore gli prescrive di fondere un serpente di bronzo, e di issarlo su un legno, così che chi lo contempla, riconoscendo le colpe, sia guarito (v. 8). Mosè esegue il lavoro, e la guarigione avviene (v. 9). Ora, il cen-tro della narrazione è il legno e la contemplazione. Il legno è "issato", "esaltato" (hypsóó), posto in alto così che sia visibile da tutti, e sia non causa bensì "segno" della guarigione.

Così secondo il Disegno divino, il Figlio dell'uomo "si deve" (dèi) che egualmente "sia esaltato" (hypsóó), il che avviene sul Legno medi-

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CICLO DEI MÉNÀIA

cinale della Croce, in alto sopra la miseria degli uomini, sopra la loro malattia mortale. Più tardi il Signore dirà direttamente: "quando voi avrete 'esaltato' (innalzato sulla Croce!) il Figlio dell'uomo, allora co-noscerete che 'Io sono'" (8,28, sempre con rimando a Es 3,14). Allora gli uomini conosceranno la Divinità del Figlio dell'uomo, secondo co-me vuole il Padre (8,28). E tra le ultime parole agli uomini nella sua Vita pubblica, annuncerà questo: "Io, quando sarò stato "esaltato" (hy-psóò) da terra (sulla Croce, ma anche nell'Ascensione gloriosa!), trarrò tutti a Me" (12,32), significando così la sua Morte (12,33).

In sostanza, Giovanni raccoglie la più antica tradizione, propria anche di Paolo (cf. il "discorso della Croce", 1 Cor 1,17 - 2,16), secondo cui la Gloria, la Sapienza, la Potenza di Dio si manifestano dal patibolo del-l'infamia, poiché la croce come supplizio finale era riservata agli schiavi senza personalità giuridica, ai ladroni di strada senza più diritti civili, ai ribelli militari senza più diritti politici; era considerata pena che infama-va per sempre la memoria, e un "crocifisso" era un non-uomo. Lì sta la Gloria divina, assumersi come proprio ogni obbrobrio degli uomini.

La Gloria divina però ha il fine supremo, che è spiegato dal v. 15: chi crede nel Figlio dell'uomo "esaltato" sulla Croce, non perisce nella rovina eterna, al contrario, consegue la Vita eterna. La condizione es-senziale è "credere", pistéud, aderire dunque con amore fedele a Lui. Giovanni raccoglie in modo accurato, quasi ansioso, i luoghi in cui il Signore esige la fede, nei verbi principali: credere, e vedere. Credere ascoltando, vedere la realtà immediata, umana, del Signore, per poter contemplare insieme anche quella divina. La suprema epiclesi al Padre da parte del Figlio, nella "Preghiera sacerdotale", è che i fedeli presenti, i discepoli, e da essi poi quelli futuri, credano "conoscendo" solo il Padre, l'Unico Vero Dio, e Colui che il Padre inviò, Gesù Cristo (17,3). Questa è la "Vita eterna", unica definizione in tutta la Santa Scrittura. Credere in Gesù Cristo è anche credere che Egli è "la Resurrezione e la Vita", e questo dona la Vita (11,25). Che Egli è "la Via e la Verità e la Vita" (14,6), poiché chi vede Lui vede il Padre (14,9). La 1 Giovanni è pullulante di questo tema vitale; cf. qui solo 1 Gv 5,12-13.20.

Gesù adesso spiega come e da dove viene la Vita da conseguire con la fede: dall'amore del Padre. Poiché il Padre amò "il mondo" dei pec-catori senza avvenire e senza speranza, che da solo non può avere nes-suna possibilità di salvezza. Lo amò tanto, da "donare il Figlio suo, il Monogenito". Donare è senza resto: donare al mondo, al mondo di pec-cato di morte, alla morte per questo mondo creatura divina da salvare a qualsiasi prezzo. Il Padre deve pagare "il Prezzo", l'Unico Figlio. Da "donare alla Croce", da donare dalla Croce al mondo. Solo così chiun-que ha la fede divina, "non sia perduto, bensì abbia la Vita eterna" (v. 16, con questa frase che ripete il v. 15). Non solo, Gesù assicura: "Io

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DOMENICA PRIMA DELLA CROCE

venni affinchè essi (le pecore perdute) abbiano la Vita, ed abbondante-mente la abbiano" dal Pastore Buono (10,10b).

Tale è l'amore divino per gli uomini, che precede ogni risposta di fe-de e di amore degli uomini. Il tema è ripreso dalla tradizione giovan-nea. Uno dei testi più sublimi, al limite dell'incomprensibilità tanta ne è la vertiginosa profondità, è un annuncio gioioso:

Vedete quale amore (agape) donò a noi il Padre,così che figli di Dio siamo chiamati.Perciò il mondo non ci conosce,poiché non conobbe Lui.Diletti, adesso figli di Dio noi siamo,ed ancora non fu manifesto quello che saremo.Noi sappiamo che quando sarà manifestato,simili a Lui noi saremo,poiché vedremo Lui come è (1 Gv 3,1-2).

In 1 Gv 4,8.16 viene la definizione di essenza: "Dio è agape, amore", ed in 4,10 è spiegato che non noi amammo Lui, bensì Egli ci amò, in-viando il Figlio come Vittima espiatoria per i peccati. Da cui proviene l'esigenza stretta che i fratelli debbano amare i fratelli.

Paolo riprende il tema in molti contesti. Qui basterà citare Rom 5,8-9: l'amore divino è preveniente, ci precede, e Cristo morì quando eravamo peccatori senza speranza; per questo il Padre in Cristo ci amò e ci donò la consolazione eterna e la "bella speranza" (cf. anche Rom 8,28-30).

Amore senza resto. Senza dunque esigenze di ritorno da parte degli uomini. Amore che è il Gratuito divino. E che non fa vendetta mai contro chi non è pronto ad amare. Anzi Gv 3,17 esplicita: Dio inviò il Figlio suo al mondo non affinchè giudicasse il mondo. Eppure Cristo Signore è il Giudice dei vivi e dei morti (At 10,42), a questo scopo an-che "unto" dallo Spirito Santo (10,38), che si presenterà alla fine dei tempi nella gloria (Mt 25,31-46). Ma solo per riprendersi i suoi, resi beati, eredi del Regno (ivi). Dunque non per "giudicare" (krinó), che nel linguaggio umano significa in fondo "condannare". Dio è Vita e vuole che gli uomini abbiano la Vita sua (Gv 3,15-16!). Perciò il Padre invia il Figlio nel mondo, al mondo, solo al fine che questo sia salvato. Il tema dell'invio occupa largamente l'Evangelo di Giovanni (cf. Gv 5, 26.38; 6,29.58; 7,29; 8,42; 10,36; 11,42; 12,49; 17,3; 20,21.) e la sua Epistola principale (1 Gv 4,9.10.14). Non meno è presente in Paolo (cf. qui solo Rom 8,3).

Padre e Figlio, invio ed "esaltazione", Croce e Vita eterna, mondo di peccato però ormai salvato ed introdotto alla Vita eterna.

La Croce è l'unica via. Terrificante. Divina. Sublime. Irrepetibile.

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CICLO DEI MÉNÀIA

Una e molteplice. Ciascun fedele sotto la Croce che contempla, deve riacquisire la coscienza della "sua" croce, strumento indivisibile, dolo-roso, fedele, benefico però, poiché "ogni giorno" (Le 9,23) accompa-gna, purifica, ridimensiona la superbia, aumenta l'umiltà, acquisisce al suo portatore il Tesoro della Grazia dello Spirito Santo.

6. Megalinario Ordinario.

7.KoinònikónDella Domenica, Sai 148,1.

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8 SETTEMBRE

NATIVITÀ DELLA SOPRASANTA SOVRANA NOSTRA

LA MADRE DI DIO E SEMPREVERGINE MARIA

Con questa grande Festa comincia la serie nutrita delle celebrazioni che la Chiesa dedica alla Madre di Dio, oltre alla memoria quotidiana immancabile. Infatti alcune realtà connesse in special modo con il Signore, e qui si possono mentovare Maria, la Croce e Giovanni il Prodromo, sono distribuite ai fini celebrativi lungo l'intero Anno litur-gico, nei rispettivi veri e propri sistemi festali.

L'8 Settembre da inizio alle "Feste" della Madre di Dio, il 31 Agosto vi pone il sigillo. È quella che si chiama una grandiosa "inclu-sione", formata da due estremità che racchiudono ed evidenziano il contenuto, che è la sublime contemplazione ée\Y Oikonomia divina sulla Vergine di Nazaret. Tale contemplazione conduce a comprendere la grande legge formulata da Paolo con espressioni lapidarie in testi come Rom 8,11; quanto il Padre con lo Spirito Santo operò per Gesù Cristo, con il medesimo Spirito Santo opererà per tutti noi — a comin-ciare dalla Madre del Figlio suo.

Le Feste della Madre di Dio hanno anche lo scopo di presentare questa progressiva assimilazione della Madre al Figlio, dalla Nascita alla Gloria, lungo la Vita storica del Signore, nell'incertezza apparente della vita quotidiana, dunque anche nella sofferenza, nell'assistenza alle Sofferenze divine, alla Croce, alla Resurrezione, alla Pentecoste, alla glorificazione, alla gioia.

Però neppure questo basta. Poiché il Disegno divino prevede che la Madre sia donata ai fedeli del Figlio suo. E come mai abbandonò il suo Monogenito, così mai abbandona gli "altri" figli. Perciò l'ufficiatura dell'8 Settembre è insieme una concentrazione di visuali "economiche", ed una complessa ed impressionante prolessi di tali visuali: in un certo senso, la Natività (tó genéthlion) della Vergine già permette il farsi della salvezza degli uomini. La concentrazione, l'inclusione mostrano oggi di continuo la "teologia della storia": da Adamo all'escatologia, alla "gioia pancosmica". Le profezie si realizzano, il Salvatore può operare.

Questo è visibile nei numerosi titoli mariani, ciascuno dei quali indi-ca una o più funzioni, e talvolta tutte le funzioni che nel Disegno divi-no spettano alla Madre di Dio. Come quello di "Paradiso mistico" della Katabasia dell'Ode 9\che è una totalità finale.

Infine, l'8 Settembre richiama a riflettere ancora una volta sul divino adorabile Disegno, che dall'inizio alla fine della storia dona alla Comunità della salvezza, ed a guardare bene a tutto il genere umano, una serie ininterrotta, impressionante di figure femminili, sotto questa

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CICLO DEI MÈNA1 A

realtà: una Donna sta all'inizio, per permettere all'Uomo di operare la salvezza. Se non viene la Donna, l'adempimento non può attuarsi. Su questo seguirà alla fine una "Nota".

I. - LE ORE SANTE

È possibile vedere in un tessuto continuo l'insistenza della Chiesa orante su questi temi.

A. H VesproGià una "teologia della storia", ossia uno squarcio che a colpo d'oc-

chio abbraccia tutta la realtà salvifica, viene dallo Stichèrón autómelon 1° dopo il Kyrie ekékraxa:

Oggi, il Dio che riposa sui troni spirituali,si preparò sulla terra un Trono santo:Colui che stabilì in sapienza i cieli,costruì per amore degli uomini un Cielo animato.Da radice infruttifera, infatti,un Rigetto portatore della Vita fece crescere per noi,la Madre sua.Dio delle meraviglie e Speranza dei disperati,Signore, gloria a Te!

In un certo senso, Dio è incontentabile per amore degli uomini (phi-lanthrópia), a Lui non bastano i troni angelici spirituali, ma vuole il Trono émpsychos, spirituale, che è tutta vita, il Virgulto nuovo che porta la Vita divina agli uomini. È il grande tema sapienziale di Maria "Trono della Sapienza" divina. Con questo Dio opera i thaumàsia senza fine, e ricolma di bene gli uomini prima disperati. Lo Stichèrón autómelon 2° si avanza esplicitando:

Questo è il Giorno del Signore, gioite o popoli!Ecco infatti l'Aula nuziale della Luce,ed il Libro della Parola della Vita si avanza dal seno,e la Porta per l'Oriente, partorita,attende l'Ingresso del Sacerdote Grande,unica che introduce l'Unico Cristo nel mondoper la salvezza delle nostre anime.

È presente il tema nuziale: in Maria la Divinità si unisce nuzialmen-te, in modo fedele, irreversibile e fecondo, alla sua propria Umanità (S.

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8 SETTEMBRE

Grillo Alessandrino), e il Libro del tutto scritto del Lògos tés Zòès è partorito per attuare le realtà che contiene. Con la Nascita della Madre ormai sorgono "gli Orienti", il Sole della Giustizia, il Sommo Sacerdote che adempie l'intera Economia salvifica. Maria resta qui l'u-nica portatrice di tanto privilegio.

Le Letture bibliche del Vespro tornano anche in altre Feste della Madre di Dio.

a) Gen 29,10-17Giacobbe, il "primogenito" per diritto carpito al padre Isacco, fugge

verso la Mesopotamia. Lungo la via deve pernottare ed ha in sogno la visione di una Scala che unisce la terra al cielo, che ha intorno gli Angeli di Dio. Il Signore gli parla: come Dio d'Abramo padre suo e di Isacco, gli rinnova la promessa della terra e della discendenza, e gli assicura che sarà per lui VImmanuèl, il Dio sempre presente. Giacobbe si sveglia e confessa che veramente il Signore gli parlò, stando lui nella Casa di Dio ed alla Porta del Cielo. Per la spiegazione della Scala, vedi la Domenica dell'Ortodossia. Maria è questa Scala che unisce la terra con il cielo, è la Dimora di Dio, è la Porta del Cielo, titoli molto usati dalla Tradizione.

b)Ez 43,27 -44,4All'ultimo dei tempi il Signore stabilisce la terra nuova, la città

nuova, il popolo nuovo, il sacerdozio nuovo, il tempio nuovo. AH'8° giorno, che è il 1° Giorno, vi sarà il Sacrificio nuovo, e il Signore sarà propizio al suo popolo. Il tempio nuovo ha la Porta principale ad Oriente, da dove si leva il Sole. Essa è chiusa in eterno, poiché attraverso essa è passato solo il Signore. H Principe solo starà in rapporto ad essa. Il Profeta poi vede che la Gloria del Signore riempiva la Dimora. Da Maria, la Porta spirituale intatta viene perciò il Sacrificio nuovo del sacerdozio nuovo. Ella partorì il Principe del popolo di Dio, restando eternamente vergine. E come Dimora di Dio, la Gloria dello Spirito Santo la ricolma per intero.

e) Prov 9,1-11È il testo celebre del Convito della Sapienza, che ha tutto preparato

per uomini fin'allora stolti, ma anche per quelli che stavano sulla via difficile del conseguimento della Sapienza divina. La preparazione del Convito è ovvia: Cristo Signore è il Pane della Vita e la fonte dell'Acqua della Vita.

B) II MattutinoII Canone di Giovanni monaco è particolarmente ricco di teologia

e di poesia. Si ripetono i temi già accennati. Così VExaposteildrion

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CICLO DEI MENAI A

"altro" dell'Ode 9a conclude riprendendo ancora una sintesi: Adamo ed Eva oggi sono rinnovati e magnificati, i Profeti, gli Apostoli e i Giusti gioiscono, poiché nel mondo venne la "gioia comune" per gli Angeli e per gli uomini dai giusti Gioacchino ed Anna. Infatti nasce la Theotókos.

L'Evangelo eotino è Le 1,39-49.56, che narra della Visita di Maria ad Elisabetta; vedi il 2 Luglio.

II. - LA DIVINA LITURGIA

II sapiente accostamento di Letture bibliche e di Salmi, con la corni-ce di testi eucologici, fanno della celebrazione di oggi un tessuto molto ricco di temi. Ancora una volta la Nascita della Madre di Dio è l'occa-sione per una celebrazione complessa, dove non è facile accordare le visuali che si presentano in ordine. Ancora una volta, in sostanza, un fatto "iniziale", come la Nascita della divina Bambina, serve alla Chiesa per contemplare l'intero Mistero del Figlio. È la "lettura Omega", dove il Fine guida la rilettura a fondo dell'inizio, ma l'inizio è necessario per porre in atto ogni adempimento. In specie l'Evangelo richiama i fedeli a "stare ai piedi del Signore", per ascoltare "il Lògos di Dio". Perciò la beatitudine della Madre di Dio è precisamente perché fu la "prima Ascoltante del Lògos di Dio".

1. Antifone

1) Si intercala ad ogni Stichos: Tàispresbéiais tès Theotókou.- Sai 131, 1, "Salmo regale": il Salmista canta l'amore del Signore per

David e per la sua mansuetudine, per cui a suo tempo "fa memoriale"di lui e della promessa messianica;

- Sai 131,6: finalmente in Errata, a Betlemme, è trovata l'Arca dell'alleanza, la quale porta in sé la divina Presenza, ed è Maria;

- Sai 86,3, "Cantico di Sion": a Maria è applicato il titolo prestigio-so di "Città di Dio", che contiene dunque tutti i figli di Dio, e sulla quale il Signore stesso e gli uomini narrano "fatti gloriosi" lungo i secoli;

- Sai 45,6, "Cantico di Sion": la Città di Dio è visitata dal Signore, chesi pone dentro di Lei, così che Ella è resa stabile per sempre. La divi-na inabitazione richiama il tema dell'Arca.

2) Si intercala ad ogni Stichos: Sòson hèmas... ho en hagiois thaumastós.- Sai 131,11, "Salmo regale": è cantato il giuramento del Signore a

David (cf. 2 Re (=2 Sam) 7,13-16; Sal 88,25-38), che è irreversibile:Egli porrà "il frutto del suo seno" sul trono messianico;

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- Sal 131,17: l'orante prosegue con la Promessa divina: nascerà perDavid la sua "potenza" ("corno", un semitismo), sarà disposta laLucerna, la Luce imperitura della Casa di David;

- Sai 131,13: il Signore tra tutti i siti della terra scelse solo Sion, la"sua" Città, di cui si compiacque ed in cui pone in eterno la sua stes-sa Dimora. Con questo è richiamata ancora la Madre di Dio.

3) Si intercala ad ogni Stichos VApolytikion della Festa.- Sai 131,14: il Signore proclama ancora il suo compiacimento per la

sua Città, Maria, nella quale vuole dimorare in eterno;- Sai 45,5, "Cantico di Sion": questa sua Dimora privilegiata, il

Signore la santificò in modo speciale ed unico, essendo l'Altissimo e Trascendente che viene nelle realtà umane;

- Sai 64,5, "Azione di grazie comunitaria": questo Tempio del Signoreè santo, reso meraviglioso per la sua "giustizia", la sua totale santità,che è vicinanza e adesione a Dio.

3. Tropari

1) Apolytikion della Festa: la Chiesa si rivolge con la sua lode allaMadre di Dio, proclamando che la sua Natività significò la gioia per laterra intera, poiché da Lei si levò il Sole divino della Giustizia divinamisericordiosa, Cristo Dio nostro. Il quale, avendo sciolto e annullatola maledizione antica (cf. Gen 3), donò invece la divina Benedizione(cf. Gai 3,13-14) che è lo Spirito Santo, ed avendo annullato gli effettidella morte, elargì generosamente a noi la Vita eterna.

2) Kontàkion della Festa: il canto rievoca intensamente VOikonomiadivina, la quale in questo momento liberò sia Gioacchino ed Anna, isanti Genitori della Madre di Dio, dall'umana vergogna della mancanza di prole, sia Adamo ed Eva dalla corruzione della morte da essi stessi procuratasi. Tutto questo, a causa della mirabile Nativitàdell'Immacolata Madre di Dio, adesso celebrata dal popolo "suo",finalmente redento dall'orribile stretta delle colpe. Perciò adesso insieme grida a Lei: "La sterile (Anna; cf. qui Le 1,36-37 a proposito dell'altra sterile, Elisabetta, che concepisce miracolosamente) partorisce laMadre di Dio, e Colei che nutrì la Vita nostra", il Signore Gesù Cristo.

4. Apóstolos

a) Prokéimenon: Le 1,46-47.48.E l'inizio del cantico di Maria, il Megalynei he psyche mou tón

Kyrion. Fin dalla sua Natività mirabile, la Madre di Dio magnifica il suo Signore, e gioisce nello spirito per il Dio suo Jéhó-sù 'àh = Gesù, "il Signore è la salvezza", il Salvatore. Lo Stichos (v. 48) ribadisce

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Y Oikonomia divina in Maria: il Signore dall'eternità tiene lo sguardo fisso sulla Serva fedele ed umile, prescelta tra tutte le donne della sto-ria degli uomini. La conseguenza deborda nella vita degli uomini, che "da adesso", e dunque fin dalla sua mirabile Nascita lungo le genera-zioni chiameranno "beata" la Madre di Dio, onorandola exairétòs, in modo del tutto speciale.

b)Fil 2,5-11II termine doùlè, serva, del Prokéimenon felicemente fa da collega-

mento con Y Apóstolos, che oggi è uno dei testi più importanti e più dif-fìcili dell'intera Scrittura Santa.

Paolo toccò la prima volta il territorio dell'Europa continentale a Filippi. La fondazione di quella comunità restò per lui esemplare. Il rapporto paterno-filiale, ed insieme fraterno con essa segnò il successi-vo apostolato di Paolo, per la totale partecipazione e comunione di sen-timenti e di intenti. Oltre tutto i Filippesi furono generosi all'eccesso, in fondo i soli veri finanziatori dei viaggi apostolici di Paolo, che così poteva restare indipendente dalle altre comunità via via fondate, che gli crearono sempre molti problemi (come i Galati, i Corinzi, i Laodicesi). L'Apostolo così scrive ai suoi Filippesi un'Epistola carica di teologia, ed insieme di affetto e di esortazione verso la perfezione.

E così anzitutto presenta le sue sofferenze come necessarie ali'Evangelo, alla sua diffusione - per vie dritte o meno, tutto, purché Cristo sia annunciato: 1,16-20 -, poiché per lui "vivere è Cristo, e morire è guadagno" (1,21). I Filippesi dunque debbono comportarsi in modo degno dell'Evangelo (1,27-29). Il cap. 2 è dedicato all'unità necessaria nella comunità, quella nella medesima fede.

La motivazione è mirabile: se esiste una consolazione in Cristo, un conforto d'amore di carità, tenero affetto e misericordia, i Filippesi ren-deranno piena la gioia dell'Apostolo partecipando al medesimo sentire, alla medesima carità (2,1-4), in una parola, debbono "sentire" esatta-mente quanto "sentiva" Cristo Gesù (2,5). In realtà, come quella di ogni altro uomo, l'esperienza ad esempio di Paolo stesso non è ripetibi-le da nessun altro fedele. Invece tutti i fedeli, ed anzitutto Paolo, posso-no, anzi debbono vivere proprio quanto visse e vive il Signore Gesù. Tale vissuto salvifico è tratteggiato dai vv. 6-11, che formano il cele-berrimo "inno dei Filippesi".

Su un testo così denso e difficile già nell'età patristica gli approfon-dimenti sono senza numero. Fino ai giorni nostri poi si è accumulata un'immensa letteratura, che nessuno specialista al mondo riesce ormai, da solo, a controllare più.

La critica è d'accordo nel ritenere l'"inno" come un testo della Comunità aramaica prepaolina, che l'Apostolo ha fatto suo e rilanciato

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nel mondo dei cristiani provenienti dal paganesimo, con la solo modifica al v. 8, nel senso che Paolo precisa: "morte però di croce". La critica non è d'accordo invece sulla struttura letteraria e sul movimento dell'"inno", sui parallelismi e le contrapposizioni. Soprattutto fanno difficoltà alcuni termini, come harpagmós (v. 6), e in modo speciale quel kenóò (v. 7), che indica lo "svuotarsi" volontario di se stesso che dovette operare Cristo come Dio per assumere la sostanza ("forma") umana. Si deve dire però che sostanzialmente il testo mostra un senso generale del tutto chiaro sia nelle linee, sia nei particolari, con il dinamismo "alto - basso - alto", ossia un movimento del Signore che dalla Divinità si abbassa all'umanità per risalire alla Divinità. È ovvio, è un "moto" non spaziale, bensì solo teolo-gico simbolico. Per semplificare, qui si segue questo schema tripartito.

a) Cristo Gesù dunque è visto e contemplato anzitutto nell'eternità,nella quale Egli sussiste (hypàrchó) "nella forma (morphè) di Dio". Iltermine "forma" è biblico, e non va letto secondo la sola filologiagreca, la quale suggerisce questi significati: forma, figura, aspetto esteriore (e così, la statura); la bellezza (ossia, in positivo), la grazia (anchedella parola, etc.); l'apparenza di una realtà; la sorte, la specie di unarealtà; il gesto, l'atto di gesticolare; filosoficamente (Aristotele), laforma, il principio formale, la natura; medicinalmente, il cadavere.

Ma già Aristotele per morphè da il senso di natura, di sostanza. Ossia, nella totalità d'una realtà, quanto appare è quella realtà in sé stessa, non sempre forma si oppone a sostanza, anzi il realismo sugge-risce il contrario. Il N.T. assume morphè (e i verbi connessi: morphizó, symmorphizó, metamorphóó, etc.) come forma e sostanza.

Cristo Gesù perciò sussisteva dall'eternità nella sostanza, o essenza, o natura di Dio (v. 6a). Eppure, non considerò un "possesso geloso", esclusivo ed escludente (harpagmós) di essere "eguale a Dio", che qui è Dio Padre. Dunque in un kairós, che non è nominato, Egli attua nel tempo una decisione eterna (v. 6b).

b) La prima azione che compie secondo quel Decreto è "svuotare(kenóó) se stesso" delle sue prerogative divine. L'atto che ne consegueè allora Y ensàrkósis,V enanthrópèsis, il sàrx egéneto di Gv 1,14.L'Incarnazione indicibile, misteriosa e terribile, non è solo un "atto"puntuale, la concezione dallo Spirito Santo e da Maria Semprevergine(cf. Le 1,35; e il Simbolo battesimale della fede), ma è anche la condizione irreversibile per cui restando immutabile ed impassibile il DioVerbo si fa anche Uomo vero, così che la Persona divina del Dio Verboormai, essendo "composita" (synthetos, i Padri), restando inalterate leprerogative divine e quelle umane, sussista tutta e per intero sia nellasua ousia divina, sia nella sua ousia umana assunta. Per cui ancora, ilDio Verbo, restando in eterno consustanziale con il Padre e con lo

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Spirito Santo, diventa, mediante la Madre Semprevergine, anche con-sustanziale in quanto Uomo vero con tutti gli uomini. E poi, così il Dio Verbo è contemplato realmente nelle sue due ousiai "dalle quali e nelle quali e le quali sussiste" ormai in eterno (S. Massimo il Confessore). E non in modo che Yousia divina si "relativizzi" a quella umana così da sopraffarla (monofisismo), ma il Dio Verbo kath'hypóstasin assume Yousia umana in modo da divinizzarla con le Energie divine, nella sua intatta integrità.

E però, questo avviene "per specie contraria", il Figlio di Dio "avendo assunto (labóri) la forma dello schiavo". Anche qui l'attenzione va data ai singoli termini. H verbo lambànó, prendere, assumere, per sé nel con-testo deve essere tradotto con "accettare" volontariamente - ad esempio, si può "prendere" una punizione, subirla, senza però accettarla; si può "prendere" una decisione ingrata, ma non volendola -: a partire dal Disegno del Padre. La "forma", morphè, anche qui indica la sostanza ultima che determina il modo dell'esistenza. Il sostantivo doùlos va preso nel senso letterale estremo, "schiavo" senza libertà, assoggettato total-mente al peso della sua condizione infima, ingrata, che è priva della pos-sibilità del riscatto. Ora, chi è il massimo "schiavo" che si possa immagi-nare, chi si trova nella condizione infima ed ingrata dell'esistenza umana, chi è del tutto privo della possibilità del riscatto con le sue sole forze e con le sostanze che non ha? L'uomo peccatore. E chi è l'autentico "uomo" che si rese per sua colpa "schiavo del peccato"? Adamo. Il Figlio di Dio accetta volontariamente di assumere per intero il terrificante carico della schiavitù di Adamo, e per diventare l'Adamo Ultimo ("nuovo") deve prima identificarsi, per così dire, in tutto - senza com-mettere peccato! - all'Adamo "primo" ("antico", o "vecchio"), con tutte le mortali conseguenze.

Per questo Egli "si fece (diventò) nella somiglianzà degli uomini", dove homòiòma, somiglianzà, esprime non il senso usuale di una "cosa simile" ad "un'altra cosa", ma di identità: Uomo vero davanti a Dio e davanti agli uomini. Solo così il Figlio di Dio può attuare il Disegno divino. Il v. 7 insiste alla fine: "e fu trovato come "schèma" quale uomo", trovato dunque nel momento decisivo (heurethéis, participio aoristo puntuale) della storia "sua", da Dio e dagli uomini, anche da questa parte come Uomo vero. Il termine greco schèma è molto com-plesso; indica infatti: figura, forma, esteriore, modo d'essere (cf. 1'"abito" come modo di comportarsi); forma di malattia; del discorso (ad es. forma metrica, etc.); forma di governo, costituzione politica; figura geometrica; filosoficamente, forma del sillogismo; posizione, atteggiamento, gesto, posa (di attori di teatro); contegno morale o sociale, espressione comunicativa (umile, superba, di dominatore, di servo); pompa, prestigio, magnificenza (ad es. regale); una parte da

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sostenere, un ufficio da attuare, una condizione; un pretesto. Significato preciso, qui nel contesto paolino, va con termine preciso, da scegliere tra quelli elencati: tale termine è "modo di essere".

Il Figlio di Dio dunque si fa schiavo-Adamo, di sostanza umana, di vissuto umano, nel realismo umano più totale.

Tale condizione lo conduce volontariamente alla messa in essere della condizione di schiavo: all'estrema umiliazione (tapeinóó) di se stesso, fat-tosi obbediente (hypékoos) fino alla morte. Obbediente però a chi? In diverse direzioni: anzitutto, ovviamente, all'augusta Maestà del Padre, che attende da Lui la realizzazione del Disegno divino per poter procedere all'atto finale; e poi se così si può dire, ad Adamo, allo schiavo del peccato, a tutti gli uomini schiavi del peccato in Adamo, alle loro necessità estreme, mortali, senza speranza. "Fino alla morte - morte però di Croce!" (v. 8).

Come si è detto (Domenica avanti l'Esaltazione della Croce, Evangelo), lo staurós era il patibolo dell'infamia umana, per schiavi e ladroni e rivoltosi politici. La croce nell'antichità era terrore per chi vi pensava, ed infamia per chi la subiva, era scherno e denuncia di totale fallimento. Oggi non è meno per il mondo musulmano, vero "nemico della Croce", che cerca di distruggere dovunque getti la mano. E in Sudan crocifigge i cristiani.

Ma "lo Schiavo" fu consapevole di tutto questo: che solo traversan-do con la Croce benedetta la tenebra della morte da una parte all'altra, "conoscendola" tutta, avrebbe glorificato il Padre e redento "gli schia-vi" del peccato e della morte.

e) Dall'Alto all'estremo in basso: qui irrompe l'Onnipotenza del Padre. "Perciò", per tutto quello detto finora, Dio superesalta (hyperypsóó) il Figlio fattosi Schiavo, e Gli dona "il Nome sopra ogni nome" (v. 9). Il testo fa difficoltà se si interpreta indebitamente al modo ariano, ossia circa così: il Figlio di Dio "non" aveva "il Nome", che è la Divinità del Padre, e per l'impresa eccezionale di donare la vita sulla Croce ebbe questa eccezionale ricompensa dal Padre. L'interpretazione della Tradizione santa è quella vera. Il testo, poiché "la Bibbia si legge con la Bibbia nella Tradizione", va riletto insieme con tanti altri, come Rom 1,3-4, in cui la Divinità del Figlio è manifestata dal Padre con lo Spirito Santo "a partire dalla Resurrezione dai morti"; come Gv 17,1-3, l'inizio della "Preghiera sacerdotale", in cui il Signore prega epicletica-mente il Padre di glorificare il figlio con quella Gloria, lo Spirito Santo, che possedeva "presso il Padre" prima della fondazione del mondo, dunque dall'eternità (17,5). Il che significa che il Figlio Dio, accettando di sprofondare verso 1'"estrema umiliazione (la akrotàtè tapéinósis, come suona Yepigraphè dell'icona santa del Nymphios), per Decreto permettente del Padre, adesso dal medesimo Padre, terminata la sua missione nel "basso", è superesaltato verso l'"Alto".

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Come Dio, il Figlio recupera le prerogative divine di cui si era "svuotato" (kenoó) (FU 2,7), rinunciandovi temporaneamente ed in modo assolutamente misterioso, e come Uomo partecipa pienamente al Nome divino, che è della Persona divina, dunque compete alYousia divina ed ormai anche alYousia umana nelle quali sussiste in eterno.

Questo, però, "affinchè" nel Nome adorabile: Ièsoùs, siano costrette a "piegare ogni ginocchio", a prestare omaggio divino, tutte le sostanze create, amiche e nemiche, delle regioni sovraccelesti e terrene e sotter-ranee (v. 10), ed ogni lingua ormai "confessi" (exomologéomai) la suprema formula che unisce il cielo e la terra per sempre: "Signore, è Gesù Cristo!" al fine che il Padre consegua la gloria che divinamente gli spetta, da parte di tutti (v. 11).

In Ebr 1,4 si rievoca questo conseguimento del Nome superiore ad ogni nome anche angelico da parte del Figlio. La predicazione apostoli-ca del Nome di Gesù annuncia che è l'unica istanza di salvezza: Pietro in At 4,12 e 10, e già in 2,21, citando Gioele 2,32 (cf. At 2,17-21, e Gioele 2,28-32). Così che la Chiesa apostolica conosceva anche il bat-tesimo "nel Nome di Gesù".

Che cosa significa "Signore, è Gesù Cristo"? Sotto sta la formula antica aramaica: "Màrànà',lsò' Mésihà' l", che a sua volta resa in ebraico da "IHVH, Ièsù'àh MàsiàhVOssia: "Signore Dio è questo Uomo conoscibile e conosciuto, Gesù il Messia" divino d'Israele!

La Croce e la Resurrezione con la sovresaltazione, che è la diviniz-zazione dell'Umanità del Figlio di Dio ad opera dello Spirito Santo, sono la causa, il movente e lo scopo per cui il Padre finalmente manife-sta che il Figlio è Dio "da Lui", come lo Spirito Santo è Dio "da Lui". L'Unico Signore e Dio.

È la suprema manifestazione della Trinità santa consustanziale indi-visibile vivificante.

La Natività della Madre di Dio è dunque preparata per questo even-to straordinario della Teofania suprema.

La Natività della Madre di Dio a sua volta prepara tutto, affinchè con l'incarnazione del Figlio quell'Evento sia possibile.

"Paradossale meraviglia!"La Natività della Madre di Dio da occasione per l'intera rilettura che

la Chiesa fa della "teologia della storia".

5. E VANGELO

a) Alleluia: Sai 44,11.13, "Salmo regale".Il magnifico Salmo dell'epitalamio divino regale interpella la

Regina all'ascolto intenso delle dolci parole che le rivolge pieno d'a-more il Re divino, ed a guardare tutte le realtà del suo Sposo, dunque a

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dimenticare tutte le realtà umane vissute fino a quel momento, compre-sa la provenienza, la Casa del padre che è il Casato di David, realtà adesso realizzata nella pienezza che lo trascende.

Lo Stichos (v. 13) esalta la ricompensa che adesso spetta per sempre alla Regina: i ricchi del popolo della terra, oltre che i poveri di Dio, ormai si rivolgeranno con fiducia al Volto bello della Sposa, e senza distaccarsene lo imploreranno, poiché sanno che Ella è potente interce-ditrice di ogni grazia dello Spirito presso lo Sposo.

b)Le 10,38-42; 11,27-28Questa pericope è usata per altre Feste della Madre di Dio. Essa va

attentamente contemplata.La prima parte è l'incontro del Signore con Marta e Maria. Occorre

sempre prima considerare che non si tratta di "un episodio" dell'Evangelo, bensì di un fatto che forma la linea continua del mini-stero messianico del Signore. Occorre partire sempre dal suo santo Battesimo, quando il Padre con lo Spirito Santo Lo consacra per l'an-nuncio dell'Evangelo e per le opere del Regno e perciò il culto al Padre medesimo — Evangelo e Regno e culto il cui culmine indicibile sarà la Croce per la Resurrezione.

Il Signore dopo la Trasfigurazione comincia la sua "salita a Gerusalemme" (cf. Le 9,28-36, tra il 1° ed il 2° annuncio della Passione e Resurrezione, cf. 9,22 e 43b-45; infine, 9,51), dove deve "compiersi il suo esodo" al Padre (9,31). Egli détta le norme per seguirlo (9,57-62), invia i discepoli in missione (10,1-16); questi tornano (10,17-20), e allora il Signore vive il suo "Giubilo messianico" (10,21-24). Segue la parabola del Buon Samaritano (10,25-37), e finalmente la pericope di oggi. Ma questa è seguita dalla catechesi sulla preghiera, il cui nucleo è il "Padre nostro" (11,1-13).

Così inquadrato, l'incontro del Signore con le due sorelle assume rilievo diverso. Esse sono conosciute anche dall'Evangelo di Giovanni, come sorelle di Lazzaro (Gv 11,1-45). Maria in specie aveva unto i piedi di Gesù a Betania, proprio mentre Marta ancora una volta ministrava la tavola (Gv 12,1-8). D'altra parte, è probabile che questa unzione sia tra-sposta significativamente da Luca molto prima nel suo Evangelo, in casa del fariseo, e operata dalla peccatrice anonima (Le 7,36-50), a cui fa seguire l'elenco delle donne che fedelmente seguivano il Signore per ser-virlo, e tra esse l'Evangelista nomina "Maria, chiamata Maddalena, dalla quale sette demoni erano usciti" (8,2), richiamata anche in Me 16,9 con la nota "dalla quale (Gesù) aveva espulso sette demoni". Eppure era apparso per primo come Risorto proprio a lei. Già i Padri si interrogava-no sull'identificazione della Maria di Betania con la Maddalena, propen-dendo, non senza difficoltà, per la risposta positiva (vedi 22 Luglio).

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II Signore adesso sta "salendo a Gerusalemme" dalla Galilea, e così all'ora del cibo, sia a metà giornata, sia la sera (il testo non lo precisa) entra in un villaggio non nominato. Qui riceve l'invito e l'accoglienza caritatevole {hypodéchomai) di una donna di nome Marta, il cui nome è aramaico (Marthà, femminile di Mar, signore, dunque "Signora"; nome teoforico però che significa "il Signore è il Dio mio"). Ella mette a disposizione la casa per ospitare Colui che viene (v. 38).

E però, come dovunque Egli entri e si sieda fissandovi la sua dimo-ra, così con i farisei, con i pubblicani, nella Cena del Giovedì grande, ad Emmaus, e non meno quando moltiplica i pani e i pesci, e finalmente quando appare Risorto sul lago (Gv 21,1-14), e sempre, dove sta, Gesù lì Egli ospita tutti alla sua Mensa, Ospite divino dolcissimo ed accoglientissimo. In casa di Marta perciò l'Ospite è Lui, come risulta chiaramente dal contesto.

Infatti, Marta ha una sorella, Maria. Gesù in quella casa, come dovun-que, sta seduto in trono, Sapienza divina discesa dal Trono divino del cielo senza abbandonarlo, per portare sulla terra la sua Dottrina ed il suo divino Convito (cf. qui Sap 9,10, l'epiclesi per la Sapienza dal Trono divino; Prov 9,1-6, il suo Convito tra gli uomini). Come era uso antico, anche presso i rabbini, i discepoli si sedevano in terra davanti al maestro, lo ascoltavano attentamente e lo interrogavano, prendevano anche appunti dell'insegnamento. Così fa Maria, sedutasi ai piedi di Gesù, per ascoltare "la Parola sua", "il Lògos di lui", rapita, e così distratta da ogni altra cura necessaria (v. 39). Per Maria questo è il divino Convito, suo nutrimento per la vita, il resto sembra quasi dimenticato.

Fa contrasto l'attivismo di Marta, che "si affaccendava con molto servizio (diakonia)" (v. 40a). Questa donna aveva invitato il Signore, ne aveva tanto amore e stima, voleva "servirlo" degnamente, con un pranzo sontuoso, come sa chi ha sperimentato l'ospitalità del vicino Oriente. Anche i poveri preparano, a costo di debiti, pranzi e cene agli ospiti. Forse l'ora è tarda - per fortuna, Gesù non aveva orari per sé, tanto meno per gli altri, non era schiavo di orologi, e del resto non poneva mai in imbarazzo chi Lo accoglieva -, e Marta vede che tutto è in ritardo. Perciò si ferma, e non interpella la sorella direttamente. Ne conosce l'irriducibilità. L'Ospite infatti passa così di rado, che Maria non vuole perdersi l'occasione gratificante di ascoltarlo. Marta tuttavia interrompe proprio il Signore che parla, credendo di ricevere compren-sione: "Signore, non ti curi, Tu". Con questo si vede che Marta ha molta confidenza con il Signore, in un certo senso può permettersi di parlare così. Servirlo degnamente infatti chiede l'aiuto {synantilambà-nomai, verbo raro) spontaneo della sorella che l'ha lasciata a servire (diakonéó) da sola. La spontaneità però ormai non può avvenire, il Signore può solo ordinare a Maria di aiutare la sorella nelle faccende

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(v. 40b). Così Marta non comprende che l'onore più grande che si possa fare all'Ospite divino, è anzitutto di stare ad ascoltarne le Parole della Vita, che nessun altro possiede, e che precedono ogni altra istanza di una vita veramente da vivere.

L'Ospite divino dice qui una parola che resta fondamentale per la vita della Chiesa di tutti i tempi. Il suo rimprovero a Marta è insieme dolce, ma netto: "Marta, Marta, tu ti preoccupi (merimnàó) e ti perturbi (thyrbdzó, per thorybàzo) intorno a molte (faccende)" (v. 41). Maria "ascoltava" solo la Parola di Lui (v. 39), e dunque aveva fatto dentro di sé il silenzio attivo, recettivo, la quiete singolare dell'"ascolto" di fede e d'amore, respingendo ogni mérimna, ogni thórybos. Questo è adesso il suo cibo, la sua bevanda, la sua vita. Il Signore d'altra parte né si curava né si preoccupava né si agitava, poiché quale Ospite divino stava nutrendo al Convito trasformante della sua Parola le anime che "Lo ascoltavano". Perciò deve insegnare a Marta anche come si deve vivere se si vuole essere suoi discepoli e suoi convitati.

"Dell'unico fatto c'è necessità": di ascoltare Lui, la Parola. "Maria la buona parte prescelse, la quale non sarà portata via da lei" (v. 42). La agathèmerìs è "conil Signore", "avere parte con Lui" (cf. Gv 13,8b), a par-tire dal Tesoro del Convito della Parola. Questo segue ogni fedele che l'ac-cetta, fino alla Vita eterna, Tesoro inalienabile che porta alla Vita eterna.

Sui vv. 41-42 esiste un'immensa letteratura spirituale, non tutta di qualità eccelsa, poiché non sempre l'applicazione alla vita cristiana ne fu secondo l'intenzione ultima del Signore. In sostanza, si tese ad opporre la "vita attiva", Marta, e la "vita contemplativa", Maria. Questa è applicazione allegorica. Gesù non parlava di contrapposizione di due scelte di vita religiosa, la prima per la massa sempre imperfetta, o per religiosi meno perfetti; la seconda per pochi privilegiati, i "con-templativi", uomini e donne, i perfetti, incuranti degli "altri". Questo è solo nella letteratura successiva.

L'esperienza spirituale di secoli di vita cristiana ordinata mostra un altro quadro, quello vicino alle intenzioni del Signore. L'equilibrio fu sempre tra vita contemplativa e attiva. Di fatto proprio i monaci, con-templativi per elezione e per definizione, nei secoli, chiamati dai Vescovi legittimi e per stretta obbedienza ad essi, furono intrepidi mis-sionari dell'Evangelo; furono maestri di scienze di teologia; furono costruttori di città, di ponti e strade; furono abili contadini; organizza-rono le diakoniai dal sec. 4° per l'assistenza ai poveri nelle Chiese, e dunque di raccolta di elemosine, di ospedali, di ptococomi (per i pove-ri), di xenocomi (per i pellegrini); assisterono l'amministrazione civile dove serviva; furono curatori di anime nella pastorale.

Che disse realmente Gesù Signore alle due sorelle? Volle contrap-porle, privilegiandone una e mortificando l'altra? Non pare. Volle solo

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stabilire per sempre il principio, che dalle donne rimbalza sugli uomini: che la "vita attiva" è di vero discepolo, nella sua necessità ineludibile e mai trascurabile, solo se proviene dalla "vita contemplativa". Così che in un certo senso la vita contemplativa precede ed è ordinata alla vita attiva e questa deve diventare un aspetto della prima. Stretta unità: Marta avrebbe dovuto prima "ascoltare la Parola", e poi procedere alle faccende di casa per fare pieno onore all'Ospite divino, poiché di certo Maria dopo "avere ascoltata la Parola" avrebbe lavorato al medesimo scopo.

Il contesto della pericope di Le 11,27-28 è tratteggiato già da quanto detto per la prima pericope, che segue di poco: dopo la catechesi sulla preghiera, contemplativa, ma per la vita attiva {Le 11,1-13), che porta al Dono dello Spirito Santo, il Signore procede all'insegnamento sul-l'espulsione dei demoni (vv. 14-26). Da questo una donna della folla grida la sua ammirazione.

È una donna anonima. Nell'Evangelo suo, Luca raccoglie molto materiale sulle donne, alcune meravigliose come la Madre di Dio, ma anche Elisabetta, Anna la profetessa, altre di innominabile bassezza, ma recuperate a Dio dalla Misericordia del Signore. Le Donne fedeli, nell'attestazione unanime degli Evangelisti, seguirono il Signore fino alla Croce, fino alla sepoltura, ed ebbero il privilegio unico, incompara-bile e fondante di essere visitate dal Risorto per prime, consacrate così nella Chiesa di tutti i tempi come la "testimonianza vivente" della Resurrezione per tutta la Comunità di fede; per questo l'ambone per la proclamazione dell'Evangelo, che è sempre "Evangelo di Resurrezione", era sempre posto nelle chiese dalla parte delle donne (vedi 22 Luglio).

Questa donna dunque ancora una volta "ascolta la Parola", poiché l'episodio avviene "mentre Lui parlava" {légo, da cui lògos, parola). Tra i presenti una donna è colpita nel cuore, comprende chi è il Parlante davanti a lei. Al contrario di ogni uso orientale, dove la donna prende la parola solo se interrogata, ella ha il coraggio temerario di "alzare la voce" tra la folla. Perciò grida con immensa ammirazione la sua lode del tutto femminile, che colpisce il centro della Vita del Signore, e così esprime una "beatitudine": "Beato il seno che Ti portò". Il verbo bastàio qui è molto bello, poiché esprime il senso di portare con fatica, come un soave ma grave "carico", fatto proprio delle donne gravide. Ed aggiunge: "E beate le mammelle che succhiasti" (v. 28). È la lode magnifica della madre ad una Madre, che "portò" il Signore, e che Lo nutrì del suo latte verginale. È una lode vera, per nulla smentita, nonostante le apparenze, dalla parola del Signore che segue, che sem-bra contraddire duramente la donna.

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8 SETTEMBRE

II Signore in effetti coglie l'occasione per tessere la contro-lode alla Madre sua, ma lo fa in forma impersonale, indiretta, tanto più efficace, con un plurale di maestà: "Piuttosto", menoùnge, particella composta di men-oun-ge, e che significa: asseverare correggendo una parola o un fatto che precede, assentendovi però. E dunque: "Piuttosto, beati gli ascoltanti la Parola di Dio e i praticanti di essa" (v. 28).

Allora il senso è chiarissimo: Di certo, la Madre mia è beata poiché prestò alla mia Divinità il seno verginale per la mia Umanità, e fu la mia immacolata Nutrice. Però la sua beatitudine ultima è soprattutto il fatto che fu la prima e totale Ascoltatrice della Parola divina, già per bocca dell'Angelo, e la prima e totale, perfetta Operatrice di essa, quando parlò così: "Ecco la Serva del Signore — avvenga a me secon-do la Parola tua!" (Le 1,38).

Ovviamente, Maria la Semprevergine Madre di Dio non è lasciata sola dal Padre del Figlio suo. Il quale dispone che, seguendo il Figlio suo, molti altri "ascoltatori" ed "operatori" della Parola divina siano beati, e Maria sia così circondata dalla Nube di Testimoni che con Lei vivono la beatitudine che non tramonta.

Il Signore lo aveva già anticipato in un'altra parola mal compresa di Le 8,19-21. Quando gli annunciano che la Madre ed i fratelli stanno lì per parlare con Lui, confuso tra la folla a cui insegna, Egli risponde: "Madre mia e fratelli miei sono quanti ascoltano la Parola di Dio e la praticano". Ancora una volta viene l'elogio della Madre: Ella lo è, Madre, perché già prima ascoltò la Parola divina e la mette di continuo in pratica. Perciòproprio come Lei verranno "altre madri" del Signore.

Per noi questa pratica è la Protezione, l'Aiuto, l'Intercessione poten-te della Madre di Dio, la Prostasia tòn christianòn, aiutati così precisa-mente all'ascolto ed alla pratica della Parola santa.

Le due pericope evangeliche sono meravigliosa applicazione di con-tenuti alla Natività della Sovrana nostra. E Maria, la prima Ospite dell'Ospite divino, che scelse la "parte buona" con il Figlio ascoltando-lo come Verbo Dio del Padre, prima e più fedele Discepola diacona, "attiva", praticante le meraviglie del Regno.

La Chiesa contempla questo nella Bambina che oggi Gioacchino ed Anna prendono nelle braccia per mostrarla alla nostra venerazione d'a-more filiale.

6. MegalinarioÈ il Heirmós: Allótrion tòn mètérón: la Chiesa canta i mirabili pro-

digi del Signore in Maria che nasce, poiché se estranea è la verginità alle madri che partorirono, altrettanto per le vergini è il parto verginale. Eppure ambedue questi prodigi furono operati in Maria dalla divina

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CICLO DEI MENAI A

Oikonomia indicibile. Perciò senza posa tutte le tribù della terra magni-ficano la Madre di Dio che nasce.

7.KoinònikónSai 115,13, "Azione di grazie individuale". L'Orante adesso riceve

la Coppa divina della salvezza, ed invoca il Nome del Signore, mentre partecipa ai suoi Misteri trasformanti e vivificanti. È l'unico modo per rendere grazie al Signore per tanti prodigi.

NOTA SU "LA DONNA PER L'UOMO"

L'Apostolo Paolo definisce il realismo dell'Incarnazione del Figlio di Dio preeterno con un'espressione lapidaria:

Quando poi venne la pienezza del tempo (chrónos),inviò Dio il Figlio suo,nato da Donna, nato sotto la Legge (Gai 4,4).

"Sotto la Legge" indica la precisione della nazione, Israele, e della sua costituzione storica, l'osservanza della santa Legge del Sinai, che10 distingueva da ogni altro popolo. Si ha quindi il luogo, la Palestina,la cultura semitica, la storia passata di quello che fu il primo vero popolo della storia. Per "popolo" si intende un gruppo umano con una"coscienza storica", e questa l'avevano i Sumeri, i Babilonesi, gliEgiziani, i Greci, i Romani. Ma di una storia non mitologica, bensì fondata da un Disegno divino, con il suo preciso benché misterioso sviluppo, e con il suo fine trascendente, e questo la ebbero solo gli Ebrei.

"Nato da Donna" è questa coscienza storica che si rifa all'arcano tessuto del Disegno divino, che neh"Oikonomia tra gli uomini ordisce la presenza attiva e significante di molte figure femminili. La Semprevergine Maria che nasce oggi, in un certo senso va vista così, che mentre di necessità è "una" di quelle figure femminili della Rivelazione biblica, insieme però le riassume tutte, ed a tutte conferisce11 loro ultimo senso e valore.

A) A.T.L'A.T. presenta una vera fioritura di figure femminili nell'ordine

dell'Economia salvifica.

a) All'origineSi deve porre all'origine delle origini la Sapienza divina. Che non è

un'ipostasi, una "persona" in Dio. È piuttosto una figurazione necessa-ria. È divina, è preeterna, sta in Dio indivisibilmente, è il divino

IMO

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NOTA SU "LA DONNA PER L'UOMO"

Consiglio. Partecipa all'ordine della creazione quale sapiente Architetto divino. In un certo senso è delegata a tenere i rapporti con gli uomini, e qui la Sapienza si manifesta nella sua essenza, che è l'Amore unitivo, consumante, che assume l'aspetto dell'amore nuziale. Ella viene tra gli uomini, insegna ad essi a cercarla per avere la vita. I grandi testi qui sono: Prov 8,22-36; Giob 28; Ecclì 24; Sap 7-9. Ma elementi sapienziali sono largamente contenuti presenti nei libri storici e profetici (ad esempio, nel Deuteronomio, in Daniele).

Il riferimento continuo dei testi liturgici ad Eva è più che fondato. Nonostante, ed anzi a causa del suo peccato, Eva riceve la prima promessa: la sua discendenza schiaccerà la testa del Serpente (Gen 3,15). Ma questo non a caso, poiché il Signore precisamente l'ha creata per uno scopo preci-so. In Gen 2,18 vuole che Adam non sia un Adam solo ed inutile, bensì abbia "un aiuto secondo lui" (boèthón kaf autóri), consustanziale con lui, in modo che i due siano "un'unica carne" o esistenza {Gen 2,23-24). Ma anche in modo che, per così dire l'"aiuto" preceda sempre l'opera necessa-ria di Adam. "Eva" solo può porre "Adamo" in grado di operare.

b) Nello svolgimentoQuesto è largamente visibile, come vero motivo ricorrente, nelle

figure femminili che procurano la salvezza di volta in volta agli sposi, ad Israele, alla Città di Dio.

Così è di Sara verso Abramo, preservando lei la linea genealogica patriarcale con Isacco, ed esclusione (che potrà apparire ingenerosa) di Ismaele.

Così Rebecca recupera questa linea per Giacobbe ad esclusione di Esaù.

Lia e Rachele sono l'indispensabile aiuto e difesa di Giacobbe da Labano, sulla linea della genealogia dei 12 Patriarchi.

Tamar costringe Giuda, anche con l'inganno, a proseguire questa linea (Gen 38,12-26).

Maria salva Mosè dallo sterminio dei maschi ebrei (Es 2,1-10).Ma già Shifrah e Puah, le due levatrici ebree, avevano salvato i

maschi ebrei dall'ordine genocida del faraone (Es 1,15-19), permetten-do la crescita del popolo (1,20).

Sipporah, la sposa di Mosè, lo salva dall'assalto misterioso dell'Angelo del Signore, in forza della circoncisione del figlio (Es 4,24-26).

La profetessa Deborah salva Israele dai Cananei (Gdc 4-5). E qui un'altra donna, Iael, sposa di Heber il Qainita (vedi la Nota sui Qainiti, al 25 Dicembre), uccide il generale in capo dei nemici (Gdc 4,11-24).

Anna la sterile per le sue preghiere ottiene un figlio, Samuele, sacer-dote, profeta e giudice d'Israele, che ungerà David come re (1 Re (= 2 Sam) 1,1-2,11).

IMI

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CICLO DEI MÈNÀIA

Mikol, figlia di Saul, almeno in un primo tempo, salva David dalla persecuzione del re padre suo (1 Re (= 1 Sam) 19,9-17).

Ioseba, figlia del re Ioram, salva dallo sterminio il piccolo Ioas che diverrà re di Giuda (4 Re (=2 Re) 11,1-4), permettendo la prosecuzione della linea regale messianica da David.

Certo, in questo esiste anche la linea femminile perfida, identificata tra le altre con Iezabele, Atalia, ed infine con Babilonia.

e) Nella sublimazioneSpiccano in questa sintesi, fino all'esilio, due singolari figure fem-

minili, sulla linea messianica.La prima è "la Vergine" che concepisce e partorisce il Figlio (Is

7,14), che è il Re divino, il Messia divino.La seconda, è "la Sposa", Israele, nella concentrazione finale della

santa Sion, preconizzata già nelle più antiche tradizioni d'Israele (nel Deuteronomio, la terminologia del Signore come "il Dio geloso" della sua Sposa, Dt 4,24), e dai primi profeti: Osea, Isaia, Geremia, il Deutero Isaia, Ezechiele, Sofonia; dai Salmi (Sai 86).

d) L'approssimarsi: ilpostesilioL'esilio babilonese, con la catastrofe nazionale, segna un'interruzio-

ne, seguita però da una vigorosa ripresa, che porta altri contributi sulla "donna senza cui non è possibile la salvezza".

È stato notato acutamente (Anne Marie Pelletier, Lectures du Cantique des Cantique - De Vénìgme du sens auxfigures du lecteur, citato largamente nella Parte I, Cap. 3) che il periodo del ritorno dall'e-silio (fine del sec. 6° in poi) la Rivelazione biblica presenta una serie di altre figure bibliche, che formano una specie di necessaria transizione.

Con Rut la Moabita pagana, che sposa Booz discendente di Giuda attra-verso Fares, si ha la nascita di Obed, padre di Ishai, padre di David. H tipo stesso del Re d'Israele, la figura messianica per eccellenza, discende dunque da una stirpe femminile estranea ad Israele, contro ogni ferrea regola per cui "si è Ebreo se si nasce da madre ebrea", non da padre ebreo. La Rivelazione mostra attraverso Rut come ormai si debba passare alla fase dell'apertura verso le nazioni, senza perdere la speranza e la linea messianiche.

Giuditta è la figura stessa di come debba essere il popolo di Dio: bella, senza più sposo, pia e devota, integerrima, figlia autentica del suo popolo, innamorata della sua nazione, foltissima e vittoriosa, dove gli uomini nulla potevano.

Ester è la dimostrazione di come anche nelle lontane terre d'esilio la donna ebrea opera e soffre per la salvezza della sua gente.

e) Nell'ultima sublimazioneAncora una volta nel periodo postesilico si accentuano due figure

femminili, "la Sposa" in due diverse angolazioni.

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NOTA SU "LA DONNA PER L'UOMO"

Sion adesso è la Sposa finalmente rinnovata, radunata in nazione compatta, feconda di figli di Dio, innalzata come segnale per tutte le nazioni, che il Signore si unisce nelle Nozze divine fedeli e felici. Vedi qui in specie il Trito Isaia: Is 60; 62.

La Sposa del Cantico riceve finalmente, in un poema santissimo -contro le inique miopie, l'ignoranza crassa e le mistificazioni di certa "critica" cominciata solo nel 1600 in ambito cattolico, e letteralmente scatenatasi nella negazione -, la dignità che compete alla depositaria di tutto l'Amore divino dello Sposo.

Che vuole significare l'A.T. con questa sconfinata massa di dati che però forma una salda linea senza interruzione?

Che la divina Promessa accompagnata dalla divina Benedizione si realizza progressivamente, per linee che gli uomini difficilmente sanno decifrare.

In specie, l'attesa si fa sempre più densa di contenuti.Se il Deuteronomio e Geremia avevano predicato che la fedeltà al

Signore ed alla sua alleanza garantiva la permanenza davanti a Lui nella patria; che l'infedeltà avrebbe portato all'esilio; che la conversio-ne del cuore avrebbe portato al sospirato ritorno (Mosè, Dt 30), Geremia stesso poi aveva preannunciato per "i giorni che vengono", gli ultimi, l'"alleanza nuova" (Ger 31,31-34).

Il "nuovo" divino è anche l'inaudito. L'alleanza "nuova" è anche "nuziale" ed eterna. Ora, "nuovo" non può essere il popolo, poiché vor-rebbe dire un "altro" popolo, ma allora proprio il popolo "vecchio", necessitoso di salvezza, non sarebbe salvato. E allora come questo popolo diletto dal Signore può ricevere il "nuovo" che lo redima, lo santifichi, lo renda perfetto? In una parola: lo renda "la Sposa bella"?

Da Eva alla Sposa del Cantico, la Rivelazione divina lo mostra nel-l'onnipotenza del suo svolgersi: nella femminilità.

La donna, da cui parte la vita, è il "segno" vivente della saldatura. Dal Popolo-Sposa nasce il Figlio. Dalla Sposa il Figlio è messo in grado di operare. Dalla Donna emergono e si solidificano la speranza ed il proseguimento. Alla fine, da una Donna.

B) N.T.Il N.T. mostra anzitutto che la Sapienza divina preeterna sussistente

si è fatta carne (Gv 1,14; Apolytikion dell'8 Settembre). In Cristo Dio, l'Amore nuziale divino è disceso nell'umanità.

Si è incarnato il Dio da Dio dalla Vergine (Is 7,14), che realizza la profezia antica: "nato da Donna" (Megalinario dell'8 Settembre).

La più antica teologia della Chiesa, quella della Comunità giudeo-cristiana, parlava della Madre di Dio con note autenticamente bibliche, a partire da Gen 2,18: Dio aveva bisogno di un "aiuto simile" a sé per

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CICLO DEI MÉNÀIA

proseguire il Disegno impedito da Adamo ed Eva. Il Padre come Eva nuova, la Terra Vergine (Gen 2,7; S. Ireneo), ripartendo "da zero", si scelse la Vergine di Nazaret, e ad imitazione della propria divina pater-nità feconda infinitamente, la dotò della grazia della feconda verginità perenne in funzione del Figlio suo. Il Figlio anche si scelse la Vergine di Nazaret, dalla quale assumere la carne per attuare la Volontà del Padre, ed alla quale donare poi la sua carne glorificata, e la fece parte-cipare ai Tre Misteri terrificanti: della Nascita verginale, della Croce che distrugge il peccato antico, e della Resurrezione inaudita gloriosa. E volle che a Cana la Madre desse il "segno" della sua partecipazione all'opera del Figlio (cf. Appendice I).

Ma anche lo Spirito Santo nel Consiglio divino si scelse la Vergine di Nazaret, dalla quale far nascere il Figlio di Dio al fine che collaborasse con Lui. E per questo la dotò della Bontà e Soavità sue; della sua Paràklésis, intesa sia come forte esortazione a vivere davanti al Signore, sia comeparamythia, la consolazione; e la fece anche Paràklètos crea-turale, l'Avvocata potente davanti al Soglio della Grazia.

In Maria confluisce così di necessità anche la figura della Sposa del Cantico, di Sion (Antifone, Kontakion, e Alleluia dell'8 Settembre). La Sion terrena adesso ha come modello la Sion celeste già inaugurata (Gai 4,26). In terra è ancora e sempre "la Donna" maestosa, il "segno grande" su cui si concentra la furia demoniaca (Ap 12). In cielo Maria nella gloria è la realizzazione, come "Paradiso misterico", di quanto la Sposa, la Chiesa, va realizzando con la grazia dello Spirito Santo negli Apostoli e nei Martiri e nei predicatori.

La Comunità scaturita dal Costato immacolato del Signore (Gv 19,34) è anch'essa dunque "la Donna", dalla quale nasce il Messia (Ap 12), di continuo all'infinito (Gai 4,19!).

Come a Cana la Madre di Dio, così la Chiesa, la Sposa messianica mette sempre lo Sposo in grado di operare la salvezza degli uomini con la sua leitourgia e diakonia dell'Evangelo, delle opere della carità del Regno e del culto divino.

Anche il N.T. ha una fioritura di figure femminili, che in qualche modo supportano un aspetto o l'altro di Maria e della Chiesa.

Elisabetta, come l'Anna dell'A.T., con la nascita del Prodromo da la possibilità del preannuncio di "Colui che viene". Anna la profetes-sa (Le 2,36-38) annuncia nel Bambino la liberazione della Gerusalemme di Dio.

Le Donne fedeli assistono il Signore nella sua Vita storica (Le 8,1-3; vedi il 22 Luglio), fino alla Croce ed al sepolcro.

La fede della donna siro-fenicia permette al Signore di guarire la figlia. La fede di Marta e di Maria gli permettono di resuscitare Lazzaro.

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NOTA SU "LA DONNA PER L'UOMO"

Le Donne fedeli con Maria stanno insieme agli Apostoli, compatta Comunità orante con l'epiclesi che attende la Pentecoste (At 1,12-14).

Un numero incalcolabile di donne sono il supporto vero del lavoro degli Apostoli; basterà qui citare il cap. 16 dei Romani, e Lidia di Filippi, la prima cristiana "europea" (At 16,14-15), e Loide ed Eunice, nonna e madre di Timoteo (2 Tim 1,5), sapienti trasmettitrici della fede divina.

Certo, esistono anche figure come Saffira. Ma soprattutto, all'oriz-zonte si staglia la Babilonia, ubriaca del sangue dei Santi e dei Martiri di Dio (Ap 17,6), perenne minaccia contro la Sposa santa ed immacola-ta (Efes 5,27). Ma la Sposa, che opera per lo Sposo suo, da Lui è salvata ed introdotta alle Nozze eterne.

L'8 Settembre, con la Nascita della Donna divina, invita a fare pro-prie queste considerazioni, per l'arricchimento della fede e della carità.

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I SANTI E GIUSTI PROGENITORI DI DIO,

GIOACCHINO E ANNA

Cura degna ebbe la Chiesa, quando alle grandi Feste del Signore o della Madre di Dio volle associare i grandi personaggi che a quegli epi-sodi portarono il loro contributo secondo la divina Oikonomia.

1. AntifoneDell'8 Settembre.

2. EisodìkónOrdinario.

3. Tropari

1) Apolytikion dell'8 settembre.

2) Apolytikion dei SS. Gioacchino e Anna. Il Signore è invocato umilmente affinchè salvi le anime di noi, che festeggiamo la memoria deigiusti suoi Progenitori.

3) Apolytikion del Santo titolare della chiesa.

4) Kontàkion dell'8 settembre.

4. Apóstolos

a)Prokéimenon: Sai 67,36.27.L'Orante celebra il Signore, sempre Mirabile tra i suoi Santi come il

Signore Dio Unico d'Israele.Lo Stichos (v. 27) con imperativo innico si rivolge ai fedeli affinchè

nelle sante Chiese, riuniti compattamente, benedicano il Dio Signore, che è la Fonte delle grazie d'Israele popolo suo.

b) Gai 4,22-27Paolo nei vv. 21-31 parla delle Due Alleanze, riferendosi a quanto

narra la Legge stessa (v. 21, che si riferisce a Genesi e ad Esodo). Ora, la premessa sta nel fatto che il Padre Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava egiziana Hagar, ed è Ismaele, e l'altro dalla donna libera, Sara, ed è Isacco, il "figlio della Promessa" (v. 22). Mentre ovviamente il Si-gnore non conosce preferenza di persone, tuttavia la sua divina Oiko-nomia deve procedere secondo l'imperscrutabile Disegno, che ha scelto un'unica linea delle genealogie, quella che porta al Figlio Gesù Cristo.

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Perciò, il figlio della serva nacque, e fu anche benedetto, però secondo la linea della "carne". Che non è rigettata né maledetta, ma dovrà esse-re "riassunta" dopo, dall'altra linea, quella della divina Promessa (v. 23). E la Benedizione e la Promessa d'Abramo non vengono dalla "car-ne", ossia dagli uomini e dai loro sforzi di conseguire la salvezza, bensì da Dio, poiché furono ottenuti nella pienezza da Cristo con la Croce, nella "maledizione del Legno", e sono lo Spirito Santo, come poco pri-ma aveva detto Paolo in Gai 3,13-14, citando Dt 21,23.

Realtà che Paolo definisce "dette in senso allegorico". Per sé, già nella filologia degli Alessandrini che interpretavano le favole immorali degli antichi Greci, e poi secondo Filone, Ebreo fedele che leggeva la Santa Scrittura dell'A.T., la spiegazione dei fatti va cercata accurata-mente nei particolari, da interpretare secondo V allegoria, la trasposi-zione di senso anche nei dati minimi. Così era trovato sempre un signi-ficato positivo. Nel N.T. qui si ha l'unica volta in cui si usa il verbo graco allegoréuò (il sostantivo mai). Ma Paolo non interpreta un parti-colare, bensì compara grandi eventi tra essi, dunque vuole far compren-dere ai suoi lettori che oltre il senso "storico" ovvio, quelle realtà stori-che hanno anche un altro senso "tipico", insieme storico e comparativo, non puramente immaginario. Il v. 24 così imposta l'interpretazione del N.T. che rilegge l'A.T. Le due spose di Abramo, Hagar e Sara, possono utilmente essere comparate tra esse.

Hagar raffigura l'alleanza del Sinai, la quale alleanza genera solo "schiavi". Non si tratta qui, al modo di Marcione, di squalificare in blocco l'A.T. L'Apostolo in Rom 7 spiega che la Legge donata dal Si-gnore al suo popolo è santa e divina; essa però dalla mancata osservan-za dei suoi precetti fa scoprire la "legge del peccato", e dunque ricon-duce gli uomini ad essere schiavi del peccato, dai quali possono essere liberati solo dalla Grazia divina gratuita accettata nella fede.

Al v. 25 si presenta la prima alleanza, nella sua determinazione che da geografica diventa teologica. H Monte Sinai infatti fa parte dell'Ara-bia, terra straniera ad Israele, e adesso corrisponde alla Gerusalemme ancora soggetta alla Legge antica, ossia che ancora non conosce la libe-razione portata dalla Grazia divina e dalla fede che ne nasce.

Il contrasto diventa ovvio: i cristiani sono generati dalla Gerusalem-me dall'Alto, quella che discende dal Cielo, da presso Dio (cf. qui Ap 21,2), ed Ella è "la Madre di tutti noi", quella che ci genera a Dio. Non si parla più di Sara, la sposa d'Abramo, poiché adesso la Gerusalemme celeste è diventata la Sposa del Signore stesso (v. 26). Questo versetto è un testo molto studiato ed approfondito dai Padri e dagli autori spiritua-li d'Oriente e d'Occidente, che vi hanno letto il Disegno nuziale divino. Poiché, come dicevano i Padri dei primi 3 secoli, l'epoca delle sangui-nose persecuzioni, la Chiesa è la Madre nostra, la "Madre sempre nel

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CICLO DEI MÉNAI A

parto" doloroso. Ma Ella siamo noi, che dunque siamo Madre a noi stessi, formando tutti noi la Sposa diletta del Signore.

L'Apostolo adesso citaIs 54,1, che è anche il versetto applicato alla memoria di oggi, di Gioacchino il giusto, e di Anna la santa e provvi-denzialmente senza possibilità di avere figli, poiché ebbe la sorte straordinaria, quasi incredibile, di generare la Madre di Dio:

Esulta, sterile, che sei senza figli,prorompi e grida di gioia, tu senza doglie del parto,poiché molti sono i figli dell'abbandonata,più di quella che ha lo sposo!

Qui anzitutto va contemplato il Mistero della Chiesa, che nasce dal do-lore della Croce, e che da sola non ha la capacità di generare. Adesso però deve esultare e gridare la sua esultanza, poiché i figli suoi ad opera dello Spirito Santo sono numerosi per il Padre. Ella diventa popolo di popoli secondo la benedizione d'Abramo "Padre di molti popoli", e non teme il confronto con altre "madri".

Poi si deve contemplare Y Oikonomia divina in Anna e Gioacchino. Quale esultanza, quale gioia di Anna la sterile (cf. 1 Re (= 1 Sam) 1,1 -2,11), e di Gioacchino senza discendenza, avendo dal Signore ricevuta la filiazione. Ma quale filiazione! La Madre del Signore, che da sola è più di molti figli, poiché da Lei nascerà il Figlio, che sarà "il Primogeni-to di molti fratelli" (Rom 8,29), tutti figli amati del medesimo Padre.

La devozione tenerissima alla Madre di Dio perciò si deve estendere ai suoi santi e giusti Genitori, poiché "Dio è il Mirabile tra i suoi San-ti", tra i quali si compiace di essere amato e adorato.

5. EVANGELO

a) Alleluia: Sai 33,18.20, "Azione di grazie individuale".Vedi domenica la diMatteo, e il 4 Settembre. L Orante afferma con

grande gravita che i Giusti del Signore gridarono a Lui, unico loro Aiu-to, ed Egli li esaudì sempre. Gioacchino ed Anna implorarono il Signo-re di essere liberati dalla vergogna di non avere prole, ed il Signore li liberò da questa loro tremenda tribolazione.

Lo Stichos (v. 20) ribadisce: anche se molte sono le tribolazioni del Giusto, il Signore li scampa sempre. E il premio grande qui fu la nasci-ta della Madre di Dio.

b) Le 8,16-21II contesto è la prima parte del ministero messianico del Signore

battezzato dallo Spirito del Padre, che percorre terre e paesi annuncian-

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do l'Evangelo ed insegnandolo come la sua Dottrina divina, ed operan-do i segni potenti con cui recupera il Regno al Padre. Il cap. 8 è dedica-to inizialmente da Luca alla parabola del divino Seminatore (8,4-15), e poi a quella della lucerna (8,16-17), con l'ammonizione all'ascolto (v. 18); quindi ai "parenti di Gesù" (vv. 19-21; già accennati).

La lucerna è luce, gioia, comodo grande per la casa. La sera in gene-re l'accende la madre di famiglia, quando attende i suoi dal lavoro e prepara la cena, per riunire la famiglia finalmente riunita insieme, stan-ca ma contenta di ritrovarsi, genitori e figli. Ora, chi accende la lucerna non la copre con un vaso qualsiasi, tantomeno la nasconde sotto il letto, che potrebbe essere un semplice pagliericcio che spegnerebbe subito la fiamma. Al contrario, come in una stanza buia si può provare con una candela, la luce deve essere posta in alto, meglio se sopra l'apposito strumento che è un treppiede sopra cui sta una superficie per posare la lucerna, oppure un braccio da fissare in alto alla parete. Solo così chi entra può godere della luce (v. 16).

Ma quando chi dispone della divina Lucerna che getta la Luce che è la vita donata, è il Signore stesso, fa del tutto affinchè essa sia visibile dappertutto. Tale Lucerna illumina gli uomini. E talvolta è composta di uomini, come i Santi e Giusti del Signore, i quali sono così posti come "luce del mondo e sale della terra" (cf. Mt 5,14 e 13). Tali erano Gioac-chino ed Anna, che il Signore finalmente, a suo tempo, mostra al mon-do, poiché da essi nasce la Madre di Dio.

Infatti, nel pur misterioso, imperscrutabile Disegno divino, tutte le realtà, anche le più nascoste, come la santità dei fedeli del Signore, sa-ranno divinamente manifestate, e le realtà che il mondo crede che siano segrete, saranno portate alla conoscenza di tutti (v. 17).

Qui viene un logion difficile di Gesù: occorre bene considerare (blépó, la visione con gli occhi della fede) il "modo" con cui si ascolta la divina Parola. Poiché a chi possiede quanto ha raccolto dalla divina Parola, a questo il Signore aggiungerà superabbondantemente. Invece a chi questo Tesoro non possiede per sua sola colpa, e dunque crede di possedere autonomia e sufficienza della vita - è il "non avere interes-se" per le Realtà del Regno, oggi diffusamente comune -, il Signore to-glierà tutto (v. 18).

Viene l'episodio già accennato sopra (vv. 19-21), che è di immensa importanza. Esso è riportato con leggere varianti anche dagli altri Si-nottici (Mt 12,46-50; Me 3,31-35). E rivela la preoccupazione per Ge-sù, della Madre del Signore e dei suoi parenti stretti, i "fratelli", che so-no i cugini di cui si conoscono anche i nomi. La predicazione ardita dell'Evangelo del Regno infatti gli ha procurato molti avversali, alcuni dei quali ormai decisi ad intervenire su Lui con la forza. Egli può essere accusato come falso profeta, secondo il noto passo di Dt 18,9-22. Il

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CICLO DEI MÈNÀIA

Signore aveva promesso un Profeta come Mosè, riconoscibile nella sua missione divina per il fatto che quanto avrebbe parlato si sarebbe rea-lizzato. Se uno si fosse presentato come falso profeta, la sua parola in-vece sarebbe stata sterile, ed egli avrebbe dovuto essere sottoposto alla condanna: "egli deve morire di morte!" (Dt 18,20). Di qui la preoccu-pazione dei parenti di Gesù.

Questi si recano dove sta il loro Congiunto, ma la folla che Lo circonda per ascoltarlo e riceve da Lui la consolazione di una guari -gione, impedisce il contatto (Le 8,19). Qualcuno si fa premura di av- • visare Gesù: "La Madre tua ed i fratelli tuoi stanno fuori volendo ve-derti" (v. 20).

Segue il difficile versetto, anch'esso tra i più amati ed approfon-diti dai Padri. La risposta di Gesù infatti sembra che respinga la Ma-dre ed i fratelli, mentre per traverso ne traccia l'elogio: "Madre mia e fratelli miei, quelli sono, che la Parola di Dio ascoltando pratica-no" (v. 21).

Qui l'interpretazione deve dirigersi su due fatti. Uno, già accennato (cf. Evangelo dell'8 Settembre), che la Madre del Signore è beata pre-cisamente perché ascoltò e praticò la divina Parola. Così sono anche i suoi fratelli, se vi si adeguano.

L'altro, di immane portata, è l'estensione della divina maternità da Maria Semprevergine anche, sia pure spiritualmente ma non meno real-mente, a tutti quelli che ascoltano e praticano la Parola di Dio. In so-stanza, chi ascolta e pratica la Parola di Dio, da essa concepisce e genera in modo "mistico", ossia secondo il Mistero e dunque in modo reale-spirituale, il Figlio di Dio. Perciò Madre è la Chiesa perché sta al conti-nuo ascolto della Parola di Dio. Ma Madre sono anche tutti i fedeli ascoltatori e praticanti della Parola. È il culmine, qui, della vita propria-mente spirituale del cristiano. È anche il culmine della divinizzazione.

Per nulla a caso il solito grande Paolo in Gai 4,19 — altro testo in-tensamente e frequentemente approfondito dai Padri e dagli autori spi-rituali — afferma su questa scia: "io continuo a soffrire le doglie del parto, finché non sia formato Cristo in voi". L'Apostolo soffre dunque nel generare alla fede i suoi fedeli, ma questo generare alla fede, para-dossalmente, consiste nel fatto preciso che Cristo sia "concepito", ossia riceva la "forma" (morphóó) di Bambino nei fedeli. "In voi": il parto, ancora paradossalmente, consiste proprio nel contenere Cristo in eter-no, come Cristo contiene tutti i suoi.

Si può anzi si deve parlare qui di perichòrèsis misteriosa che sussi-ste tra Cristo ed i suoi fedeli, del resto esplicitamente annunciata dal Si-gnore stesso nella sua "Preghiera sacerdotale", cf. qui Gv 17,21, che comprende la perichòrèsis tra il Padre ed il Figlio: come il Padre nel Figlio e reciprocamente, così Cristo nei suoi e reciprocamente.

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9 SETTEMBRE

Sappiamo che tutto questo è opera dello Spirito Santo, per cui si deve parlare della "vita in Cristo - vita nello Spirito" (Rom 8,9). L'applicazione ai Santi Gioacchino ed Anna è del tutto ovvia.

6. Megalinario Ordinario.

7.KoinònikónÈ il Sai 32,1, "Inno di lode". Al momento della santa comunione, i

fedeli fanno proprie le parole esultanti di Gioacchino ed Anna alla Na-tività della Madre di Dio: i giusti debbono esultare nel Signore, poiché a chi ha il cuore retto conviene sommamente di vivere nella lode conti-nua di Lui.

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L'UNIVERSALE ESALTAZIONE

DELLA PREZIOSA E VIVIFICANTE

CROCE

È impossibile a mente umana, pur devota ed attenta alle Realtà divi-ne, riuscire a tenere davanti agli occhi, e tanto meno a possedere l'abis-so vertiginoso che in pratica sono e formano i temi relativi alla "preziosa e vivificante Croce". Già il titolo della grande Festa rimanda ai fatti biblici, per cui la Croce del Signore è il "prezzo" terrificante pagato a favore nostro, e per cui la nostra vita di fedeli proviene dalla Croce, ed in un certo senso è la Croce.

Occorre qui tenere conto di una massa di dati: storici, archeologici, teologici, liturgici, mistagogici.

Quanto alla storia ed all'archeologia, sappiamo che sul luogo stesso della Redenzione divina fu deciso di costruire un Martyrion, una testimonianza imperitura. Perciò furono isolati e circondati di costruzioni splendide anzitutto YAnàstasis, il luogo della Resurre-zione; poi il Calvario o Golgota, detto dalle fonti del sec. 4°, con un titolo significativo, "ad Crucem" , dove era stata eretta l'Ara della nostra salvezza e della nostra gloria, e dove ardeva la luce perenne; infine, una grande basilica (il Martyrion proprio), dove la memoria del Signore Crocifisso, ma Risorto, fosse celebrata quotidianamente, anche per le immense folle di pellegrini che convenivano da ogni parte del mondo cristiano. Il 13 Settembre del 335 il santo luogo fu consacrato o "dedicato".

Su questo luogo unico al mondo si organizzò una liturgia "cattedra-le", ossia celebrata dal Vescovo e diacono e clero, con monaci e mona-che e popolo fedele e sempre estasiato. Le Ore sante e i divini Misteri si succedevano con immenso splendore devoto, alternato nei tempi sta-biliti dalla celebrazione degli altri Misteri, soprattutto dell'iniziazione cristiana nella Notte santa del Sabato santo e grande.

Questo fu il culto che grosso modo restò esemplare per tutte le Chie-se. Tracce molto imponenti se ne conservano in tutte le Liturgie orien-tali, sia come modo di celebrare, sia come strutture della celebrazione, sia come Lezionario, sia come Anno liturgico, sia infine come grandi temi teologici e spirituali.

E da quest'ultimo punto di vista, che è il principale, si deve dire che la Resurrezione anzitutto con la Domenica, di origine apostolica, e poi con la data annuale, di origine ecclesiastica, e quindi la Croce, domina-no per intero come la Rivelazione biblica, così la celebrazione di Gesù

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14 SETTEMBRE

Cristo Signore Risorto, condizione per adorare la Triade santa consu-stanziale indivisibile vivificante.

La Resurrezione determina per tanta parte, con i tipici spostamenti calendariali, l'Anno liturgico, ponendosi così quale polo ineludibile di tutto.

Ma anche la Croce ha una funzione circa medesima. A partire dalla Festa del 14 Settembre, e, come è indispensabile per chi vuole realmen-te "conoscere" i contenuti della Parola divina celebrata, tenendo conto delle necessarie "tabelle" , la Croce sta posta così, che dalla Pentecoste tutto porta ad essa, e che da essa tutto riparta fino alla Quaresima. In-fatti le realtà della Croce sono ripetutamente, insistentemente ripropo-ste dalla Chiesa, e basterà qui avere sott'occhio questa tabella parziale delle sue celebrazioni.

La menzione della Croce è anzitutto quotidiana. L'anamnesi di essa ricorre in ogni mercoledì e venerdì dell'anno. Qui vanno anche tenuti in dovuto conto i temi singolari portati dagli Staurotheotokia.

Le principali ricorrenze celebrative della Croce si hanno in questo ordine:

- Domenica 3a dei Digiuni, Adorazione Me 8,34 - % j- Venerdì delle Sofferenze Gv 19,25-37- 1 ° Agosto, Processione Mt 10,16-22- Domenica prima del 14 Settembre Gv 3,13-17- 13 Settembre, Dedicazione dell'Andstasis Gv 12,25-38- 14 Settembre, Esaltazione Gv 19,6,11 a. 13-20.25-

28s.30-35- Domenica dopo il 14 Settembre Me 8,34 - 9,1

Si ha un'"inclusione", con Marco agli estremi, e Giovanni all'interno.È un formidabile tessuto teologico. La legge inderogabile è che la

Chiesa celebra perennemente il Signore Crocifisso ma Risorto "dopo ed a causa ed a partire dalla Resurrezione".

Non esiste, in questo, un'originalità propria della Chiesa, che lungo i secoli avrebbe "inventato" i modi della sua celebrazione, operando scelte più o meno felici. Qui non esiste originalità. Né spazio per le scelte. La Chiesa è determinata a celebrare il suo Signore come Lo pre-senta e Lo tramanda la Tradizione divina apostolica, il N.T.: Risorto in eterno. Bensì con i santi Segni, le Stigmate eterne della Croce: Le 24,39-40; Gv 20,20.25.27; Ap 5,6. Non solo, ma il Risorto tornerà nella sua "seconda e terribile Parnasia" con il "Segno del Figlio dell'uomo", che traversa il cielo come istantanea irresistibile folgore (Mt 24,27), ed è la Santa Croce di fuoco (Mt 24,30).

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CICLO DEI MÉNA1A

I. - LE ORE SANTE

Un aspetto importante delle Ore è lo sviluppo della tipologia biblica della Croce, dalla protologia all'escatologia. Infatti Adamo rifiutò di nutrirsi dall'Albero della Vita che gli avrebbe conferito l'immortalità beata, e si cibò del Legno della morte. Il Disegno divino prosegue nel progressivo recupero dell'Albero salvifico, in numerosi episodi, che anticipavano l'Evento ultimo dell'Albero della Vita piantato nell'Eden nuovo, dove la Morte avrebbe vinto la Morte e donato ai discendenti di Adamo la Vita eterna.

Un tratto tipico della "drammatizzazione" dei testi biblici è il fatto che la Croce è interpellata come una persona vivente e presente, invocata e venerata come vera icona spaziale e temporale della Resurrezione. Così nel Vespro dopo il Kyrie ekékraxa, lo Stichèrónprosómoion 3°; agli Sti-choi, gli Stichèràprosómoia 1°, 2°, 3°. Così anche al Mattutino.

A) VesproLe Letture bibliche ripresentano e confermano la tipologia.

1)Es 15,22- 16,1È l'episodio singolare di Mara, la prima stazione dopo il passaggio

del Mar Rosso (per le stazioni dell'esodo, che sono 40+1, Mara però è la 4\ cf. Num 33,1-50, qui v. 8; si noti il numero simbolico). Qui si tro-vano acque amare non bevibili, acque di morte. Avviene la prima grave mormorazione contro Mosè, che grida al Signore. Il Signore "gli mo-strò un legno", che gettato nelle acque le rende dolci. Fu una prova che il Signore offrì ad Israele. A cui diede i precetti e la grande promessa: di non gravarli con nessuna delle piaghe d'Egitto, poiché Egli è "il Si-gnore, ho Iòmenos", il Guaritore (cf. Sai 102,3). In Elim, altra stazione, esistevano 12 fonti e 70 palme, numeri simbolici delle tribù e degli An-ziani che le governeranno (Num 11,1-30). L'esodo così può proseguire. La tipologia della Croce è il Legno che annulla le acque della morte, e dona l'Acqua della Vita; essendo il supremo strumento del Signore che guarisce da ogni male di morte.

2) Prov 3,11-18Lo splendido testo tesse l'elogio dellapaidéia, che è disciplina, cor-

rezione, insegnamento. Il Signore, come e più di ogni padre buono, corregge con punizioni medicinali, temporanee i figli che ama (v. 12), e che indirizza verso la Sapienza divina. Sarà beato chi trova la Sapienza (v. 13), più preziosa di ogni tesoro in terra (vv. 14-16). È l'unica Via della pace (v. 17). Essa è l'Albero della Vita, che è vivificante per chiunque lo afferra e vi si tiene stretto (v. 18). Tale è la Croce, che è la Sapienza di Dio (cf. 1 Cor 1,17 - 2,16, il "discorso della Croce").

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14 SETTEMBRE

3)75 60,11-16Nel contesto della sua restaurazione, alla fine dei tempi, Sion terrà in

permanenza le porte aperte affinchè seguitino ad entrarvi i popoli della terra (v. 11; la realizzazione, in Ap 21,24-27). Chi si rifiuterà di entrarvi a farne parte, sarà sterminato dalla faccia della terra (v. 12). Tutto lo splendore del Libano sarà conferito a Sion, eletta per essere "il Luogo dei Piedi" divini (v. 13; cf. il Sai 98,3.5.9, nei Versetti del Mattino). E il Hypopódion tòn Podòn del Signore, è la Croce. Così i nemici del popo-lo conosceranno che questa nuova Comunità è la "Città del Signore", la "Sion del Signore d'Israele" (v. 14), non più 1'"abbandonata" e derelitta e scherno dei pagani, bensì la Sposa di gloria del Signore (v. 15). Essa sarà nutrita regalmente, e pienamente conoscerà "il Signore, il Salvato-re, il Redentore, il Forte di Giacobbe", il suo divino Re (v. 16).

B) MattutinoProsegue, ed anzi si amplia, la rilettura tipologica della Scrittura:

tutto avviene "eis typon taù Mystèriou, come tipo del Mistero" che si stava gradualmente manifestando. È ripresa la visuale della storia da Adamo con il gesto mortale di mangiare dal Legno della morte, fino al-la Vita che adesso si è manifestata dalla Croce.

L'Evangelo eotino è Gv 12,28-36, sul Figlio dell'uomo che sarà esaltato dalla Croce.

C) LodiAccentuano l'aspetto indicibile del Mistero della Croce, ripetendo il

Paràdoxon thàuma nei 3 Stichèràprosómoia.Si procede poi alla quadruplice solenne Hypsósis della Croce verso i

quattro punti cardinali.

II. - LA DIVINA LITURGIA

1. Antifone

1) Si intercala ad ogni Stichos: Tàispresbéiais tès Theotókou.- Sal 21,2a, "Supplica individuale": il Giusto orante, il servo regale e

sacerdotale e profetico chiede al suo Signore e Dio di essere soccor-so, e Gli domanda con religioso rispetto perché in questo momento fu abbandonato da Lui;

- Sal 21,2b: egli constata che la confessione delle colpe — che portada Innocente per tutti gli uomini — sembra allontanare ancora di più la salvezza implorata;

- Sai 21,4: tuttavia egli sa bene che il suo Signore abita nel suo "santuario", che è il cielo, è il tempio, è la comunità del suo popolo con-

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CICLO DEI MÉNÀIA

sacrato. Egli è "la Lode d'Israele", il "popolo della lode divina", che attrae tutto a sé, e nulla lascia alla rovina.

2) Si intercala ad ogni Stichos: Sòson hèmàs, ho sarkiStauròthéis.- Sai 73,1, "Supplica comunitaria": l'Orante, che è ancora il Crocifisso,

chiede al suo Signore perché, e fino a quando si mostra come definiti-vamente irritato, alieno e lontano da questa situazione di morte;

- Sai 73,2: con epiclesi drammatica, l'Orante Gli chiede di fare memoria della sua santa assemblea (synagógè), che secondo il Disegno sovrano eterno Egli si acquistò "dall'inizio" (cf. Es 19,3-6, come nazione santa, popolo di sacerdoti). Ora, quando il Signore "fa memoriale"(mimnèskomaì), pone in azione il suo Disegno, e dunque crea, interviene e salva; quando "non fa più memoriale" invece abbandona e distrugge (cf. Ger 31,31, dei peccati del popolo dimenticati a causadell'"alleanza nuova"). E qui, l'Orante è il Nucleo santo dell'assemblea santa, e perciò la situazione indica che senza il "memoriale"santo del Signore tutto sarebbe perduto;

- Sai 73,12: è anche l'Alleluia della Domenica 3a di Quaresima. Invece

la realtà è che il Signore è Re dall'eternità, e operò sempre la salvezza del suo Fedele, ed in lui dei suoi fedeli, nella terra creata, e nellastoria. E questa salvezza proprio adesso è completa.

3) Si intercala ad ogni Stichos VApolytikion della Festa.- Sai 98,la, "Salmo della Regalità divina": la gioiosa proclamazione ha

un unico contenuto: "II Signore regnò!". Essa è anche la forma più antica ed originale dell'Euaggélion della salvezza, Is 52,7, testo fondamentale. Ora, "il Signore regnò dal Legno" della salvezza. Per questo debbono tremare tutti "i popoli", sia quello fedele, sia i nemici della Croce;

- Sai 98,lb: il Signore che regna si manifesta nella sua inimmaginabileGloria, come "intronizzato sui Cherubini", e questo in modo duplicee conglobante, sui Cherubini del Carro della Gloria (cf. Ez 1), dalquale Egli contempla tutto fino alle profondità degli abissi (cf Dan3,55), e sui Cherubini che nel santuario custodiscono l'arca in mezzoal popolo fedele. Per questo la terra creata, in segno di adorazione edi obbedienza al suo Creatore, è commossa, si scuote, là dove gli uomini si rifiutano di farlo;

- Sai 98,3: l'Orante con iussivo innico chiama tutti a "confessare", celebrare, conoscere e far riconoscere il Nome grande del Signore, il"Nome terribile" davanti a cui tutti tremano, "poiché Santo" è il Signore, è l'Onore dei re della terra, ed ama il giudizio giusto. Va notato qui che, al di là dell'antica versione dei LXX, i vv. 3.5.9 in realtàcontengono il "Santo Santo Santo!" di Is 6,3, come si potrà vederedairEisodikón.

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2. EisodikónÈ il Sai 98,5, a cui si aggiunge come Stichos la medesima invocazio-

ne dell'Antifona 2% Sóson hèmàs, ho sarkiStauròthéis;cf. Domenica 3a di Quaresima.

Con l'imperativo innico, il Salmista chiama tutti i fedeli, ma anche tutti gli uomini, ad esaltare il Signore, il "Dio dell'alleanza" ("Dio no-stro", d'Israele), e a venerare "lo sgabello dei Piedi suoi". Con quest'e-spressione si indicano i cieli dei cieli (cf. Is 66,1); l'arca dell'alleanza sulla terra, nel santuario; ed ormai lo sgabello del Trono della Maestà da cui regna in eterno, la Croce santa.

La motivazione è folgorante: "poiché Santo è!" Il v. 5 va letto con il v. 3: "poiché Santo è!", e con il v. 9: "poiché Santo è il Signore Dio no-stro!" È la forma salmica del Trisàgion, cantato dai Serafini in eterno (Is 6,3; insieme con i Cherubini, Ap 4,8), ma anche in eterno dalla Chiesa Sposa fedele.

3. Tropari

1) Apolytikion della Festa. Cf. Domenica 3adi Quaresima. "Salva il popolo tuo" è l'"epiclesi per la nazione", frequente nel Salterio (cf. Sai27,9). Il medesimo popolo chiede di essere benedetto quale "eredità"peculiare del Signore, "preziosa" perché costò il Sangue del Figlio diDio. E in tempi sempre calamitosi chiede che i re cristiani (i capi deipopoli cristiani) ottengano la vittoria che può procurare solo la Potenzadivina, e che la Cittadinanza cristiana sia custodita dalla Croce divina.

2) Kontàkion della Festa: Ho hypsóthéis en tó Stauró hekousiòs. Sonocelebrati gli effetti della santa Croce. Al Signore Risorto, che secondo ilDecreto paterno fu "esaltato sulla Croce" ma con la sua piena volontà{hekousiòs, volontariamente, spontaneamente), acclamato come CristoDio, con epiclesi umile si chiede di donare le sue "tenerezze" misericordiose (oiktirmói) alla sua Cittadinanza, il suo popolo riscattato dallaCroce e che porta il Nome divino suo, sul quale questo Nome onnipotente sempre è invocato dopo il battesimo. Gli si chiede perciò di letificare con la sua Potenza invincibile i re cristiani a Lui fedeli, donandoper generosa elargizione (chorègéó) la vittoria sui nemici della Croce.Solo così essi nella divina alleanza ottengono finalmente l'"arma dellapace", il "Trofeo insuperabile". Tale è la santa Croce.

4. TrisàgionInvece del Trisàgion, si canta una confessione di fede plenaria: "La

Croce tua adoriamo, Sovrano, e la santa tua Resurrezione glorifichia-mo", raggiungendo così i due poli intorno ai quali si muovono tutte le realtà salvifiche.

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CICLO DEI MÉNÀ1 A

5. Apóstolos

a)Prokéimenon: Sai98,5.1.Il Salmista indirizza l'imperativo innico a tutti i fedeli, come si è vi-

sto sopra: "Esaltate il Signore Dio nostro", oggi contemplato nelle realtà della Croce.

Lo Stichos (v. 1) riprende i primi 2 Stichoi dell'Antifona 2\ vedi so-pra. L'insistenza è il "regnare" del Signore, ma dalla Croce.

b)1Cor 1,18-24II "discorso della Croce" è la grande sezione dell'Epistola che Paolo

presenta in apertura ai Corinzi, in preda alle liti e alle divisioni comuni-tarie. Esso secondo gli autori si inizia o in 1,10, o in 1,13, o in 1,17, versetto che termina con la terribile rampogna dell'Apostolo: "affinchè non sia resa vana la Croce di Cristo!"

Ho Lògos toù Stauroù si deve tradurre in diversi modi tutti signifi-canti: "la Parola che parla la Croce", "il discorso che proviene dalla Croce", "il linguaggio proprio della Croce". Espressioni in fondo iden-tiche, che vogliono solo far intendere a cuori distratti da cure umane, da chiacchiere "politiche", che la Croce parla in modo duro, che pone a ta-cere tutte le realtà passeggere degli uomini, che non ammette contesta-zioni, compromessi, transazioni, alleggerimenti, scuse. Da parte di nes-suno. Infatti per quanti vogliono essere "perduti" (apollyménoi), è "paz-zia" (móna), ossia completa perdita della piccola mente umana, incapa-ce di contenere le realtà a cui ogni uomo fu destinato dall'eternità beata. Mentre per i fedeli del Signore, "noi", i salvati, è la Dynamis Theoù, la Potenza divina che non trova resistenze. La Croce è onnipotente, il suo discorso-parola-linguaggio espressivo è onnipotente (v. 18).

Non si dica che queste realtà sono imprevedibili, improvvise, ina-spettate, dunque davanti ad esse si deve rimanere almeno perplessi sul piano dell'umana ragionevolezza. Questa "pazzia" infatti già "è stata scritta" divinamente, da Dio, nelle Sante Scritture, largamente, ma in specie là dove esse parlano così:

Io farò svanire la sapienza dei sapienti,e l'intelligenza degli intelligenti Io farò dileguare" (Is 29,14).

Il Profeta qui parla contro l'insincerità e la pretestuosità degli stessi fe-deli, che dovrebbero tributare al Signore il culto del cuore, non delle sole labbra. Tutto sarà inutile per chi si crede "scienziato" delle realtà divine e ritiene di poterle giostrare ai suoi fini egoistici. Quanto dice Isaia vale anche oggi (v. 19).

Infatti Paolo prosegue citando una parte del vaticinio contro l'Egitto antico, consapevole della sua superiorità culturale sulle altre popolazio-

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ni orientali, e dunque superbo e scostante fino al razzismo. Ma il Si-gnore interverrà, ed allora, dell'Egitto, "dove sta il sapiente"? (Is 19,12). L'Apostolo cita ancora un testo di Isaia: "Dove sta lo scriba", l'esperto, che pondera, misura, annota, mette in archivio la sapienza e la scienza degli uomini? (Is 33,18). Mentre il Signore viene a rinnovare Sion, risanerà il popolo e questo vedrà solo l'irraggiante divina bellezza (cf. Is 33,17-24). Paolo introduce allora una terza questione, sapendo che nessuno alle tre domande che pone è in grado di dare risposta umana: "Dove sta il disquisitore di questo secolo", il sottile ragionatore ed abile sofista? Tutto è silenzio, poiché Dio ha reso pazzia (móràinó) la superba ma inconsistente "sapienza di questo mondo" (v. 20). Venuta la pienezza dei tempi, le filosofie, le ideologie, le religioni, le culture, le quali tutte davano la ragione del mondo, dello spazio e del tempo, degli uomini, del loro destino, delle loro speranze e dei loro desideri, sono ormai "senza senso". L'Apostolo qui tiene ben presente la polemi-ca del Secondo Isaia contro la possente visione del mondo dell'antica e prestigiosa religione babilonese:

Io, vanificatore dei presagi degli indovini,e rendente folli i maghi,che rigetta i sapientie la loro dottrina confonde (Is 44,25).

E questo Egli dimostra adesso, riscattando Israele dalla sua deportazio-ne, contro ogni sicurezza degli aguzzini, e perfino contro ogni attesa del suo popolo demoralizzato.

Ma che è avvenuto, propriamente? Il v. 21 è denso, complicato, dif-ficile, poiché è una "teologia della storia", che abbraccia l'intera vicen-da umana dall'inizio, la creazione, e la caduta di Adamo, fino alla "pre-dicazione di Cristo" (che verrà al v. 23 nella sua ultima esplicitazione). Il mondo, ossia gli uomini, e qui kósmos ha il senso degli uomini in quanto si pongano lontano dal Signore e talvolta contro Lui, nonostante il nessuno suo merito, fu dotato dal Creatore della possibilità di "cono-scere Dio", ossia di avere notizia, esperienza della sua esistenza, ma anche di avere approccio e contatto e comunione con Lui. Infatti Dio non abbandona gli uomini "se già prima non è stato abbandonato", e li visita "in molti frangenti ed in molti modi" con la sua divina Sapienza, donando il lume dell'intelligenza, della coscienza, della riflessione, della decisione, della sensibilità, e lasciando comunque intatta la sua li-bertà ultima. Solo la malattia estenuante e maligna del nominalismo e del razionalismo della tarda scolastica medievale hanno potuto negare questo, e parlare sacrilegamente di "servo arbitrio", negando anche la più remota possibilità di giungere a conoscere l'esistenza di Dio (se-

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quela diretta dell'idealismo agnostico per posizione). In una pagina straordinaria, Rom 1,16-32, il medesimo maestro, Paolo, con spietata consequenzialità mostra come Dio stesso manifesta quanto di Lui si può conoscere argomentando (cf. Sap 13) dalla creazione per risalire al Creatore, conoscendolo, dunque, e riconoscendolo per Signore, dando-gli culto e azione di grazie. Risalire al Signore Dio personale è dono di grazia preveniente, concomitante e conseguente. È la porta di miseri-cordia aperta, lasciata sempre aperta, all'uomo creatura. È anche l'ini-zio della sapienza umana, propria dell'uomo immagine e somiglianzà di Dio (Gen 1,26-27; con il Soffio divino, Gen 2,7).

"Nella Sapienza di Dio, facendo uso della propria sapienza dono, il cosmo non volle conoscere Dio", ossia non volle unire la Potenza divi-na alle proprie facoltà normali, funzionanti, distorcendo dunque queste, e ponendosi fuori dell'efficacia di quella. La "via creaturale" è respinta. La cultura moderna oggi ne è un macroscopico, devastante fenomeno.

Ma il Signore nella sua misericordia infinita non abbandona mai l'uo-mo sempre immeritevole. Egli nel suo Disegno sapienziale eterno im-mutabile "si compiacque" (eudokéo) con amore di salvare quanti accet-tano il dono della fede. Ma opera così "sotto specie contraria", con la móna toù kèrygmatos, la pazzia della predicazione dell'Evangelo. È tut-to il contrario di quanto in ogni epoca, da quella di Paolo a noi, prima di Paolo e dopo noi, gli uomini, fattisi un universo di sicurezze, legittima-mente si attendono. Ma la predicazione della fede divina schianta ogni universo mentale umano, ponendosi al limite estremo di ogni accettazio-ne secondo il gioco delle regole umane, della logica umana. H v. 21 così è l'anticipo di quanto è spiegato di paradossale, anzi di assurdo.

Infatti, era legittimo per gli Ebrei attendersi i sèméia, ebraico 'òtòt, i "segni" potenti che anticipano, preparando, concomitando, operando, e conseguono, confermando, l'intervento divino nel mondo. Così al Si-gnore si chiede: "Che "segno" mostri a noi?" (Gv 2,18). Ben 3 "segni" gli chiede nelle tentazioni satana (cf. Mt 4,1-11). Anche i discepoli fe-deli gli chiedono "i segni della Parousia" (Mt 24,3). Ma che "segno" può dare il Signore? Agli indiscreti, quello di Giona (Mt 12,39), che è duplice: la Resurrezione dopo 3 giorni, e la conversione del cuore co-me fu chiesto ai Nini viti. A satana, nessuno, poiché non solo nella sua accecata stupidità non se lo merita, ma inoltre già sa che Egli è il Figlio di Dio (cf. Mt 8,29), anche se fa finta di revocarlo in dubbio ("Se sei Figlio di Dio...", nelle tentazione, Mt 4,1-7). Ai discepoli... È Lui "il Segno" supremo del Padre, l'Icona del Dio Invisibile (Col 1,15). Ve-nendo Lui si vede il Padre (Gv 14,9). È Lui il Segno, ma nei segni nu-merosi, e tra questi, la Croce.

"I Greci", hoi Hellenes, non indica solo gli antichi Greci, ma i paga-ni in genere, e così per l'intera età patristica. Ora, i pagani per eccellen-

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za sono i Greci, di certo il popolo più geniale dell'antichità, ed anche, secondo Paolo stesso, "sotto ogni rapporto, assai religiosi" (At 17,22, all'Areopago). Però la loro straordinaria cultura, vero immane patrimo-nio dell'umanità per tutti i tempi, la loro raffinatezza artistica, il loro genio scientifico, la loro del tutto singolare attitudine alla speculazione che aveva dato monumenti immortali in uomini come Piatone ma so-prattutto come Aristotele, il più profondo e completo pensatore — tutto questo era usato in modo che in ogni questione era ricercata anzitutto la sophia umana, l'arte del pensare, la consapevolezza delle acquisizioni scientifiche razionali, e infine, piaga e tabe mortale ancora oggi, il "pensare il pensiero", ossia il nulla, il vuoto, uno strumento. I Greci erano restati ammirati della sapienza dei Babilonesi e degli Egiziani, altre enormi millenarie culture. Che cosa poteva significare per loro il piccolo, remoto popolo degli Ebrei, i mythistorèmata di Mosè e dei Profeti? Filone aveva tentato di penetrare da fedele Ebreo nel mondo culturale greco assai sofisticato di Alessandria, allora (fine sec. 1° a.C, inizio del sec. 1° d.C.) la capitale della cultura greca, ma non sembra con conquistante successo.

E un Gesù senza sophia scientifica, con una scholè, ossia un se-guito di rozzi discepoli, che poteva dire ai "Greci"? Almeno in prin-cipio, nulla.

Ed ecco allora la "pazzia della predicazione": "Ma noi invece predi-chiamo Cristo crocifisso"! Non un Socrate nell'inimitabile dignità e maestà della sua morte accettata al limite del suicidio, con non poca su-perbia intellettuale e disdegno morale. Ma un "crocifisso", ossia un in-fame, messo a morte o come schiavo, o come ladrone di strada o come ribelle politico. Un uomo dunque "non uomo", senza patrimonio di cul-tura, d'arte, di letteratura, senza una grande "scuola" istituita, come quelle filosofiche e scientifiche di Atene o di Alessandria.

Inoltre, un Uomo che dai discepoli era adorato anche come Dio, sul-la croce aveva dissipato ogni possibilità di fiducia, avendo dichiarato davanti al mondo il totale fallimento della sua esistenza tra gli uomini per il semplice fatto di morire per sempre.

Per le attese degli Ebrei del tempo di Cristo, tempo febbrile di spe-ranze e di progetti di redenzione politica oltre che morale, un Uomo crocifisso era uno sconfitto, che nulla di buono avrebbe lasciato per il bene del suo popolo. Predicarlo, dunque presentarlo ed insistere su Lui, era skàndalon, un ostacolo che fa inciampare e cadere rovinosamente, perciò da evitare accuratamente.

Per ipróodoi, i progressi che "i Greci" promuovevano in ogni cam-po, in specie nel raggiungere la piena razionalità delle realtà visibili, la terrificante cesura della morte di croce era un non senso assurdo, era piena móna, la pazzia come ultimo male degli uomini (v. 23).

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Che resta, allora? Tutto, resta.Chi odia la Croce e la rigetta nel disprezzo, nell'abominio, sono gli

apollymenoi, i perduti nella rovina eterna (v. 18a), ma volontaria, non decretata e tantomeno voluta dal Signore. Per quelli che venerano la Croce, la amano, l'accettano, la lodano, se ne vantano, è la salvezza per la divina Potenza (v. 18b).

Il v. 24 riprende questo tratto, forma con esso un'"inclusione" tema-tica e letteraria. I sózómenoi, i salvati del v. 18, al v. 24 sono i klètói, i "vocati" divinamente, e provenienti sia anzitutto dagli Ebrei, sia dai Greci. Il "Cristo crocifisso" è ad essi predicato, come è da essi accettato, quale "di Dio Dynamis", Onnipotenza, e quale "di Dio Sophia", Sa-pienza. Al v. 30 l'Apostolo ribadisce che Cristo Gesù fu fatto dal Padre per noi Sapienza da Dio, e Giustizia, e Santificazione, e Redenzione. In Col 2,3 viene la definizione più completa: in Cristo stanno nascosti ma a disposizione dei suoi fedeli "tutti i Tesori della Sapienza e della Scienza" divine, poiché in Lui "abita corporalmente tutto il Plèróma della Divinità", lo Spirito Santo (Col 2,9).

La Sapienza divina è l'Amore nuziale unitivo consumante, che "co-nosce tutto per Amore".

Però tale conoscenza è donata solo a chi piega le ginocchia davanti allo Sgabello santo dei Piedi di Lui che troneggia nella Maestà umile della Croce, che troneggia nell'Umiltà maestosa sovrana della Croce.

La Croce per divina Volontà paterna, per libera elezione filiale, per la Potenza attuante dello Spirito Santo, è ormai l'unica Cattedra della divina Dottrina. Della Sapienza che insegna i suoi piccoli. Della Poten-za che assume e fortifica e santifica i peccatori.

La Sapienza ipostatica incarnata è il Signore Risorto, che in eterno ha come Trono divino e come Cattedra divina la Croce.

Ma la Croce è anche una serie di altre realtà terribili e meravigliose, fondanti e divinizzanti.

6. EVANGELO

a) Alleluia: Sai73,2.12, "Supplica comunitaria".Sono gli Stichoi 2° e 3° dell' Antifona2a, vedi sopra.Si aggiunge qui solo l'inciso del v. 2a: il Signore riscattò "il bastone

della sua eredità". In ebraico l'espressione dice: Tu, Signore, fosti il di-vino Gó'èldello sébet della tua eredità. Il gó' élera il parente più pros-simo, che doveva intervenire spontaneamente a riscattare il parente po-vero, reso schiavo. Con la Croce questo fu compiuto.

Lo sébet indica insieme "bastone" e "tribù", nel senso che il "basto-ne era il simbolo (così in Egitto; e vedi il labaro delle varie legioni ro-mane) della tribù, che al suo segno si radunava. L'eredità, ebraico

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nahdlàh, era il possesso sacro, proprio, irrinunciabile. Con la Croce questa santa "eredità" fu confermata come ormai acquisita per sempre. Lì il Signore regnò in eterno, "operando la salvezza in mezzo alla ter-ra", nella visibilità incancellabile per tutti i popoli.

B) Gv 19,6b-lla.l3-20.25b-35L'inizio di questa straordinaria pericope è: "In quel tempo, consiglio

fecero i sommi sacerdoti e gli anziani contro Gesù, affinchè lo elimi-nassero. E si presentarono a Pilato". Tale testo non è di Giovanni, ma è una "lettura mista" di Me 3,6; Mt 12,14, per introdurre all'episodio che segue, il quale a sua volta comincia da Gv 19,6b.

I cap. 18 e 19 di Giovanni contengono in successione 4 nuclei di fat-ti, che si possono schematizzare così:

a) l'episodio del Getsemani (18,1-11), che si conclude con il lógion:"La Coppa che il Padre mi donò, Io non la bevo?" (v. 11);

b) i due processi subiti da Gesù, davanti al consiglio sacerdotale(18,12-24) e davanti all'autorità romana (18,28 - 19,16);

e) i fatti intorno alla Croce (19,17-37); d)

la sepoltura di Gesù (19,38-42).

La pericope di oggi, con i suoi tagli, abbraccia parte del processo condotto da Pilato: 19,6-11.13-16, e gran parte dei fatti intorno alla Croce: 19,17-20.25-35a.

Davanti alla suprema autorità d'occupazione romana, il procuratore di Cesare, Pilato, si presentano le autorità sacerdotali e gli "anziani", ossia una rappresentanza del sinedrio. Essi chiedono brutalmente a Pi-lato (ekràugasan, aoristo da kraugàzó, gridare con forza) la massima e più terrificante pena di morte, propria dei Romani: crocifiggere "Lui". Occorre qui tenere presente il v. 5, quando Pilato esibisce Gesù come innocente; prima, secondo il processo romano, ma con deroghe gravis-sime dal suo regolare decorso — considerando perciò che Gesù non era civis Romanusl —, l'aveva fatto flagellare dalla soldataglia (19,1), e questa a Gesù aveva imposto una trafiggente corona di spine e gli ave-va gettato sopra uno straccio rosso a modo di mantello di porpora im-periale (v. 2), sbeffeggiandolo con laproskynèsis, la genuflessione do-vuta solo all'imperatore, ed il saluto acclamante: "Gioisci, re degli Ebrei!", colpendolo anche con schiaffi (v. 3). È il segno che Gesù era stato già condannato, e secondo la legge romana aveva perduto ogni di-ritto civile, politico e personale, era una "cosa" in balia dei carnefici, con cui questi, secondo l'uso barbarico della "civiltà giuridica" dei Ro-mani, potevano giocare, e del resto poi dovevano anche spogliare di tutto. Tanto più risalta l'ipocrisia e la crudeltà di Pilato, che conduce

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fuori del pretorio, luogo della flagellazione e del ludibrio, il già con-dannato con la frase infame: "affinchè sappiate che non trovo in lui al-cuna "causa"" (aitia, che traduce qui l'evidente latino giuridico causa, ossia motivo di condanna) (v. 4).

E risalta ancora di più la formula profetica — benché del tutto in-consapevole ed involontaria — di Pilato, quando mostra Gesù coronato di spine, rivestito del mantello di porpora e lo proclama con finta solen-nità: "Ecco l'Uomo!" (v. 5). È l'Icona della kénósis del Figlio di Dio, l'Adamo, lo Schiavo condannato dell'"inno dei Filippesi", per il quale vedi YApóstolos dell'8 Settembre. La corona di spine non è senza ri-chiamare alla nostra mente le spine che fanno parte del destino dell'A-damo peccatore {Gen 3,18), del tutto assunto dall'Adamo Nuovo ed Ultimo, ed il mantello di porpora ci rimanda alle pellicce che il Signore per misericordia fece per Adamo ed Eva denudati di ogni loro dono, salvo l'icona (cf. Gen 3,21). Ma nell'Adamo Ultimo, le spine e le pel-licce stanno per scomparire per sempre, e l'icona sta per recuperare la sua "somiglianzàcon Dio".

Del resto, lo stesso Uomo era stato così male compreso nella sua Vi-ta tra gli uomini, se di Lui si era potuto dire: "Ecco un Uomo mangione e bevone, amico dei pubblicani e dei peccatori!" (Mt 11,19).

E invece è "l'Uomo" come il Signore Lo aveva voluto dall'inizio della Creazione: quale Re e Dispositore di tutto l'universo, e di tutti gli uomini creati. E Lo vediamo adesso, nell'incomprensione dell'acceca-mento peccaminoso di ieri come di oggi. Come il Servo del Signore, reso irriconoscibile dalle sofferenze, senza più "forma d'uomo", e re-pugnante (cf. Is 52,13 -53,12).

A questa proclamazione, la reazione è una sola: "Crocifiggilo! Crocifiggilo!"

La controreazione di Pilato la dice lunga: "Ma allora, prendetelo voi e crocifiggetelo — io infatti non trovo in lui causa" (v. 6). L'ipocrisia e la crudeltà restano, ma si rivela la mostruosità: se Gesù è innocente, la legge romana esige che sia rimandato indemnis, ossia "senza dam-num", senza "con-danna", e con le scuse che accompagnavano l'asso-luzione; se Gesù non è innocente, Pilato deve curarne di persona il pro-cesso, non la farsa che adesso sta manovrando; l'eventuale condanna, ma il processato ha diritto alla difesa; l'esecuzione secondo il rito, e non affidare ad altri, non cittadini romani, tale complessa azione giuri-dica. Tanto più che Roma rivendicava con spietata severità lo ius gladii, ossia la parte dei processi che contemplavano la pena capitale, e mentre era larga nel concedere autonomie locali, non derogava da quel-la condizione, con cui poteva garantire la giustizia e la pace politica e sociale. Già la flagellazione, i colpi e le sevizie, la corona e il mantello sono abusi giuridici gravissimi. La non assoluzione davanti all'inno-

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cenza evidente è un vero principio d'omicidio. L'abbandono alla sua sorte fatale di un condannato ma non colpevole, è reato che comporta la pena di morte.

Il fatto vero è che Pilato odiava e disprezzava ogni Ebreo, per paura della loro religione e dei loro costumi severi, e cercava di procurare ad essi ogni sorta di danno. In questo caso, sia al sinedrio, sia a Gesù. Al sinedrio, poiché Pilato sa bene che esso non può eseguire condanne ca-pitali. In 18,31 aveva tentato di sbarazzarsi del processo cercando di ri-metterlo al sinedrio "secondo la legge" propria di questo, ma gli era stato risposto nettamente: "A noi (Ebrei, sudditi dell'occupante) non è lecito uccidere alcuno!" Ossia, per fatti come quelli con cui accusano Gesù la pena secondo la Legge ebraica è la morte, però questa può irro-garla solo Roma.

È l'argomento di nuovo presentato adesso (19,7). Secondo la Legge chi "bestemmia il Nome" deve morire (cf. Lev 24,16). Ora Gesù ha be-stemmiato il Nome "perché si fece 'figlio di Dio'", in altre parole, ag-giunse "una persona" alla Divinità, reato massimo dello sittùfo "asso-ciazione" di un "altro" al Signore Unico. In effetti, Gesù dopo la guari-gione del paralitico alla piscina probatica, aveva affermato: "II Padre mio fino ad ora opera, ed anche Io opero" (Gv 5,17), dunque "si era as-sociato" (sittùf) a Dio chiamandolo Padre, di cui perciò si riteneva "fi-glio". E poiché aveva compiuto quel miracolo di sabato, reato da pena di morte, aveva aggiunto anche questo, chiamare Dio come "Padre pro-prio", di lui, e con ciò stesso "facendo se stesso eguale a Dio" (5,18), altro reato degno di morte.

In un'altra occasione aveva spinto la sua dichiarazione al limite massimo, quello ontologico: "Io ed il Padre siamo Realtà unica (héiì (Gv 10,30), e: "In me il Padre, ed io in Lui" (10,38). Anche qui la con-testazione fu durissima, con tentativo di lapidazione: "Per un'opera buona, noi non ti lapidiamo, bensì a causa di bestemmia, in quanto tu, essendo uomo (ànthrópos), fai te stesso Dio" (10,33, cf. vv. 31-32). Gesù qui pazientemente aveva spiegato: "Non sta scritto nella Legge vostra: 'Io parlai: Dèi voi siete!' (Sai 81,6)? Ora, se 'dèi' chiamò (Dio) quelli ai quali venne la Parola di Dio — e la Scrittura non può essere annullata! —, a Colui che il Padre consacrò e inviò nel mondo voi dite: Tu bestemmii, perché Io dissi: Figlio di Dio sono" (Gv 10, 34-36).

In realtà, il Verbo Dio chiede agli uomini che credano nella sempli-ce, sublime, divina Parola: "Io sono", che significa: "Io sono il Signore Dio" (cf. ancoraEs 3,14). Ma per questo occorre la Croce.

Pilato quando ascolta l'accusa contro Gesù, che comporta la pena di morte, ha paura, poiché adesso intuisce qualche fatto che credeva di controllare, ma ora non più (v. 8). Perciò entra di nuovo nel pretorio (cf. 18,29.33), in disparte per non essere ascoltato da altri, e chiede an-

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siosamente a Gesù: "Da dove, sei tu?" Gesù non da soddisfazione alla domanda (v. 9). Pilato infatti ha torto. Nel primo interrogatorio (cf. 18,33-37) Gesù ha spiegato a lungo che è "il Re", ma "non di questo mondo", dunque del mondo di Dio da cui proviene. Non "si fa Dio" da solo, ma "è Dio" e Re-Salvatore, ed il suo Regno-salvezza è basato sulla Verità-Fedeltà divina che Egli venne a testimoniare. E proprio Pilato aveva troncato netto, non volendone sapere: "Che è la 'verità'?" (v. 38). Non vuole conoscere la Verità che è Gesù (cf. 14,6). È l'agnostico di tutti i tempi. È nominalista e razionalista. È anticipatore del misera-bile "pensiero debole". Ecco perché ephobèthè, ebbe paura. E questa paura lo costringe a giocare una commedia infinita.

Al mutismo di Gesù infatti Pilato oppone brutalmente Yexousia, il solito potere, la solita autorità che non conosce ostacoli né scrupoli. Che può indifferentemente "crocifiggere" un innocente come Gesù, e "liberare", apolyò, "congedare, rimandare via" un assassino come Ba-rabba. Un' exousia contro ogni norma dello ius romano, redatto nella lex scritta ed in quella edittale ambe immutabili. Può anche essere che Pilato dica questo come deterrente, ma le fonti storiche dicono che il personaggio era quello del potere senza limiti (v. 10).

Adesso Gesù risponde per ristabilire i fatti. Pilato certo gode del "potere" umano. Nessuna exousia però ha su Gesù. E se questa adesso è esercitata, è per divino permesso, "dato dall'Alto". Anche per questo, "il traditore" ha "maggiore peccato" (v. 11). Qui hoparadidoùs, traden-te, indica Giuda, ma la questione torna al v. 16 ed è molto complessa.

H v. 12, oggi omesso, narra come Pilato cerchi di liberare Gesù. E co-me "i Giudei", ossia i presenti — non tutti i Giudei, nemmeno i farisei, come contro la verità storica e divina si è interpretato per secoli, con danni incalcolabili per la carità che i cristiani debbono ai loro fratelli maggiori —, conoscendo bene il carattere servile di Pilato, gli opponga-no che così egli non è "amico di Cesare", è complice infatti di uno che "si fare". Si pone contro Cesare automaticamente e frontalmente.

A queste parole Pilato procede in modo incredibile. Ancora per scherno, ed invece secondo il Disegno divino profeticamente, "intro-nizza" Gesù sulla tribuna da dove si emanano sentenze e decreti, dun-que al posto suo. Il luogo è archeologicamente conosciuto, sta a nord-ovest del tempio, era chiamato in aramaico ("ebraico") Gabbathà, "al-tura", in greco invece Lithóstròtos, "selciato" (v. 13). L'Evangelista an-nota qui che era la Paraskeuè della pasqua ebraica, la "preparazione (di quanto poi era proibito "fare" di sabato, come cucinare), ed era circa l'ora sesta, verso mezzogiorno (v. 14a). Adesso Pilato parla ai presenti: "Ecco il Re vostro!" (v. 14b).

Nella narrazione evangelica della Passione del Signore è facile iden-tificare una serie di motivi che parlano della Regalità di Gesù.

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Nel solo Evangelo di Giovanni se ne ha una sequela impressionante. Se Gesù dopo moltiplicati i pani ed i pesci deve fuggire per non essere proclamato re (Gv 6,15), nel processo davanti a Pilato non può ormai sottrarsi più alla piena rivelazione della sua divina Regalità.

Per questo, si deve ripetere: per beffa eppure profeticamente benché in modo involontario, Egli riceve la corona (di spine) ed il manto di porpora (uno straccio; Pilato era eques, cavaliere; solo i senatori aveva-no diritto alla porpora, e l'imperatore romano perché anzitutto era sena-tore ed investito sia pure nominalmente della tribunitia potestas perma-nente del senato). È presentato ben due volte al popolo come re. È mo-mentaneamente intronizzato sul bèma, il palco dell'autorità. È "decre-tato" re con il cartiglio della croce. E riceve il Trono definitivo, che è la Croce stessa.

La prima domanda (la quaestio penale) di Pilato a Gesù è: "Sei tu il re degli Ebrei?" (18,33). La seconda, sempre a Gesù, è "Allora, re sei tu?" (18,37). La prima risposta esplicita di Gesù a Pilato è: "Tu (lo) di-ci: Re sono Io" (18,37). Il termine basilèus, re, ricorre durante la Pas-sione non meno di 11 volte, da 18,28 a 19,21, ossia in 34 versetti, un numero enorme. Così in 18,33.37 (2 volte); 19,3.12.14.15 (2 volte). 19.21 (2 volte). La questione, che è pura curiosità per Pilato che sa l'in-consistenza della forza politica di chiunque in Palestina, verte tuttavia sul fatto reale e vero: la Regalità di quest'Uomo davanti a lui.

Inoltre, anche il termine basiléia, regno, che ricorre 3 volte nel testo di 18,36, viene a completare il materiale di giudizio.

E pure se Gesù afferma: "la basiléia mia non è di questo mondo", Pilato sta al gioco che ha inaugurato e che è una farsa, e prosegue in fondo a giudicare ed ad abbandonare alla morte un "re". Egli, gonfio della sua autorità che lo pone al di sopra degli uomini, non si cura di acquisire la "verità". "Che è 'la verità'?", in fondo, indica insieme non-curanza, disprezzo, e una buona dose di paura. Rifiutando di conoscere la Verità, il Re, il Regno, ossia rifugiandosi nell'agnosticismo, evita di aprire la vera quaestio processuale in cui egli stesso sarebbe un imputato non dei minori: con tutto l'impero e l'imperatore stesso che rappresenta degnamente. Lo dirà la Comunità dopo un altro processo, quello degli Apostoli davanti al sinedrio, quando pregherà così: Le nazioni pagane fecero congiura contro il Signore ed il suo Re Unto (At 4,25-26, che citano Sai 2,1-2).

"Il re" equivale dunque al Salvatore, il Messia atteso. È la presenta-zione beffarda. Pilato sta provocando al parossismo affinchè Gesù sia posto a morte, ma per disprezzo verso gli Ebrei fa in modo che perisca "il Re loro". Dopo "Ecco l'Uomo", viene la definizione di Uomo-Re. Su questo dovrà essere completata la riflessione quando si commenterà il v. 26. Ovviamente, i presenti irritati chiedono la morte, ma con la

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croce. Pilato prosegue la provocazione: "II Re vostro, io crocifig-gerò?", riaffermando la sua illimitata auctoritas, Yexousia di vita e di morte. E costringe i capi dei sacerdoti alla dichiarazione incredibile, blasfema, al limite dell'idolatria, benché per semplice piaggeria accatti-vante: "Non abbiamo re se non Cesare!" (v. 15). In seguito, a migliaia gli Ebrei stessi, e poi i cristiani, per confessare il loro Signore e Sovra-no e Re divino, rifiutando contestualmente di rendere omaggio a "Ce-sare", saranno posti a morte con ogni sorta di crudeltà. Sarebbe bastato ripetere la formula: "Non abbiamo re se non Cesare" e bruciare un gra-no d'incenso davanti alla sua effige per avere salva la vita. I Martiri del Dio Vivente preferirono "testimoniare" solo Lui, con l'amore che dona la propria vita.

Il v. 16a, nella sua brevità, è l'epilogo del dramma svoltosi finora con risvolti grotteschi. Non sono fatti nomi: "Allora dunque, consegnò Lui ad essi affinchè fosse crocifisso". Pilato abbandonò Gesù nelle mani degli Ebrei, in apparenza, in realtà affinchè fosse messo a morte da Romani. E con la classica pena romana per i "non cittadini" come schiavi, ladroni, terroristi: la croce.

Terminato il "processo" duplice, sono narrati i fatti avvenuti intorno alla Croce. Giovanni trascura perché molto noti alcuni dati dei Sinotti-ci, alcuni li ha in comune con essi, altri sono materiale suo proprio.

Il v. 16b annota che "essi" presero in consegna Gesù e Lo condusse-ro. I verbi di questo consegnare-ricevere sono quelli tipici della tradi-zione, ossia paradidòmi e paralambànó. Così Gesù portandosi da sé "la Croce sua", "uscì". In Ebr 13,12-15 se ne ha una eco potente:

Perciò anche Gesùaffinchè santificasse con il suo proprio Sangue il popolo,fuori della porta soffrì.Perciò, usciamo verso Lui fuori dell'accampamento,la vergogna di Lui portando:non infatti noi possediamo qui una città permanente,bensì di quella futura siamo alla ricerca.Mediante Lui offriamo allora il sacrificio di lodeper sempre a Dio,ossia il frutto di labbra che confessano il Nome di Lui.

Va notato che il luogo dove il triste corteo è diretto, è il "Luogo del cranio", versione greca deU'aramaico ("ebraico") Golgothà', o Gagulthà' (v. 17). Si tratta di un luogo fuori delle mura occidentali di Gerusalemme, una roccia a forma di cranio; l'archeologia del luogo, chiamato nell'età patristica ad Crucem, con una cappella riscoperta recentemente, mostra

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che tale roccia porta ancora i segni del sisma di'cui parlano i Sinottici (cf. Mt 27,51-53, e par.). Vicino al luogo della tomba, sotto Adriano, che volle sradicare il culto cristiano ininterrotto sul luogo della Redenzione divina, il Golgota fu ricoperto di terreno di riporto, e sull'area fu edificato un tempio vergognoso, per il culto orgiastico alla dea del vizio. Con il pro-gramma di costruzioni costantiniane l'area fu liberata, identificati il Gol-gota e il sepolcro, recinti riccamente, il sepolcro anche con un'edicola ro-tonda, YAnàstasis, e furono ambo i luoghi compresi nella monumentale basilica, il Martyrion, di cui oggi dopo la distruzione musulmana resta circa la metà, con abside spostata verso l'antico ingresso. Nella basilica si celebravano le sontuose liturgie, che terminavano con la processione al Golgota ed alYAndstasis. Su questi due monumenti ardeva la luce peren-ne. Una specie di singolare e preziosa "fotografia", in cui si distingue molto bene il Golgota con la grande Croce issatavi per memoria perenne, sta nel mosaico del sec. 5° nell'abside della basilica di S. Pudenziana a Roma. Se ne dovrebbe tenere maggiore conto, poiché è unica testimo-nianza visiva di gente che conobbe bene quei Luoghi.

Lì dunque crocifiggono Gesù. Giovanni annota solo che Lui fu po-sto al centro, e furono crocifissi con Lui "altri due" (v. 18). I Sinottici ne danno i particolari. Si tratta di due ladroni. Luca riporta anche il dia-logo del "Buon Ladrone con Gesù", e la promessa di stare in Paradiso quel giorno stesso (cf. Le 23,33.39-43). I Sinottici in accordo narrano il triplice scherno dei "passanti" e presenti contro il Crocifìsso. Si tratta delle 3 tentazioni escatologiche: "Se sei il Figlio di Dio...", a cui si chiede il miracolo dell'autosalvezza per essere ancora creduto (cf. Mt 27,39-44, e par.). Esse corrispondono alle 3 tentazioni di satana nel de-serto: "Se sei Figlio di Dio...", con richiesta di "segni" per essere credi-bile (cf. Mr 4,1-10).

Va qui anticipato che i Sinottici narrano come Gesù sulla Croce pre-gasse il Padre, sia con Salmi, sia con la richiesta di perdono per i croce-fissori, sia per l'ultimo atto di fiducia con cui il Figlio rimette nelle mani del Padre lo spirito suo (cf. Le 23,34.46 per queste due implorazioni; Mt 27,46, e Me 15,34 per la preghiera salmica). Se ne dovrà trattare a proposito di Gv 19,30.

La legge romana ordinava che si pubblicasse il "dispositivo" della sentenza di condanna. Puntualmente Pilato fa scrivere il titlos, tradu-zione del latino titulus, che è quel dispositivo. Esso fu posto epi toù stauroù, da leggere "in rapporto, accanto alla croce", poiché se la roc-cia in cui la croce fu rizzata era alta circa 5 metri, tale "titolo" per essere visibile doveva stare ai piedi della roccia stessa. Il suo tenore è lapi-dario, e singolare: "Gesù il Nazoreo, il Re degli Ebrei" (v. 19). L'Evan-gelista annota che molti lesserò il titolo, sia perché il luogo della croci-fissione stava poco fuori le mura della città, sia perché era scritto nelle

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lingue correnti in Palestina, la cui lista è: "in ebraico (aramaico?), gre-co, latino" (v. 20). Le edizioni "critiche", che argomentano con altra lo-gica, alterano la lezione originale, che è quella qui presentata, ponendo prima il latino, poi il greco. In realtà, nel sec. 2°Taziano leggeva come ancora riporta l'Evangeliario bizantino, che è la lezione da tenere. In tale successione, è interessante sentire come suonava il titolo:

- aramaico: Isó 'Nasràjà ' malkà ' d-lhùdàjè;- greco: Iésoù ho Nazòràios ho basilèus tón Iudàión;- latino: Iesus Nazarenus rex ludaeorum.

I vv. 21-22 riportano la richiesta, respinta brutalmente da Pilato, di modificare il titolo così: "Quello disse'. Io sono re degli Ebrei".

I vv. 23-24 narrano la sorte gettata dai soldati sulle vesti di Gesù; es-si avevano diritto di preda sui beni dei condannati.

Ma per noi l'episodio va fissato con la discreta allusione alla nudità totale con cui il Figlio di Dio si fa Icona ultima della sua Vita umana, nella "più profonda umiliazione", poiché per gli Ebrei tale era la nu-dità, inflitta ai condannati come deterrente.

I vv. 21-24 sono omessi dalla lettura di oggi.II blocco formato dai vv. 25-27 sono di fondamentale importanza

teologica, ed uno dei capolavori della letteratura giovannea.Stavano dunque in piedi sotto la Croce, meglio, sotto la roccia su cui

troneggiava la Croce, "la Madre di Lui", singolarmente non chiamata per nome, come a Cana (Gv 2,1.3.5.12). Così da un capo all'altro del suo Evangelo, Giovanni non riporta il più bel nome al mondo, il dolcis-simo nome "Maria". Questo è lasciato a Maria di Cleopa, sorella della Madre del Signore, ed a Maria Maddalena (v. 25). Sono "le Tre Ma-rie"; dai Sinottici si sa che stavano con esse altre Donne fedeli, mentre i discepoli erano tutti fuggiti per viltà (vedi il 22 Luglio; Appendice I).

Adesso avviene un episodio straordinario. Gesù vede dunque la Ma-dre con "il discepolo che amava", che era Giovanni l'Evangelista (così la Tradizione unanime, e la parte più informata della critica moderna). Non è annotata una sola parola sul dolore della Madre e delle sue Com-pagne, benché Giovanni di certo conosca Luca e la predizione della Spada che traverserà il cuore verginale della Madre di Dio {Le 2,35a). Di questo, l'eco straziante della Chiesa risuona negli innumerevoli e ti-pici Tropari, gli Staurotheotokia. L'Evangelista vuole attrarre l'atten-zione sulle parole del Signore. Il quale parla alla Madre sua: "Donna, ecco il Figlio tuo".

Le parole: Gynai, ide ho hyiós sou, significano: "Donna, Sovrana, Signora". Ide indica nella Scrittura unprodigio che adesso si manifesta.

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14 SETTEMBRE

II prodigio qui è che Maria è chiamata ad essere la prima e fondamen-tale Testimone della visione del Figlio di Dio crocifisso.

Ma anzitutto, quelle parole coniugano i temi con quelli della parola della Vergine di Nazaret all'Angelo di Dio: "Ecco la Schiava (doulè) del Signore — avvenga a me secondo la Parola tua!" {Le 1,38).

La Schiava-Serva è dichiarata invece Sovrana. Ed è fissata per sem-pre la realizzazione dell'antica Profezia: "Ecco, la Vergine concepisce e partorisce il Figlio, e sarà chiamato il Nome di Lui: ImmanuèF, Is 7,14 riportato nell'annunciazione dell'Angelo a Giuseppe, Mt 1,23.

È la Sovrana Semprevergine Madre del "Dio-con-noi", adesso crocifisso.

"Ecco il Figlio tuo" è l'ultima dichiarazione, con "ecco" relativa a Cristo Signore. Infatti teologicamente si ha questa serie:

- "Ecco il Servo mio, che Io scelsi, il Diletto mio, nel quale si compiacque l'anima mia" {Mt 12,18, cf. vv. 19-21, che citaIs 42,1-4); èla presentazione che il Padre fa del Figlio al mondo;

- "Ecco la Stella" dei Magi, che causa "il gioire di gioia grande molto"{Mt2,9);

- "Ecco l'Agello di Dio, che toglie il peccato del mondo", detto daGiovanni il Battista (Gv 1,29.36), citando Is 53,7-8, sul Servo;

- "Ecco lo Sposo viene! Uscite all'incontro di Lui!" {Mt 25,6).

Gli "Ecco" della serie giovannea terminano concentrandosi nel cap. 19:

- "Ecco l'Uomo! (19,5). È Adamo, YÀnthrópos, l'Uomo per definizione, che comprende tutta l'umanità.

- "Ecco il Re vostro!" (19,14). È il Re degli Ebrei, l'Atteso.- "Ecco il Figlio tuo!" (19,26). È il Figlio di Dio e Figlio di Maria.

Concentrazione ultima.

L'ultimo "Ecco" deve ricollegarsi ad una parola in apparenza dura del Signore, quando i suoi Lo cercano, ed Egli risponde: "Madre mia e fratelli miei sono quanti ascoltano la Parola di Dio e la praticano" {Le 8,21). Precisamente Maria è Madre ancora più vera del Signore, poiché più di tutti ascoltò e praticò la Parola del Signore, quella primordiale, che la chiamava ad essere "la Schiava del Signore", con tutte le conse-guenze. La Croce è questa conseguenza ultima.

Ma così la Madre di Dio è costituita anche Madre di tutti quelli che nel Figlio Monogenito furono e sono e saranno concrocifissi e martiri, di quanti saranno resi icone ancora più preziose di Lui a causa della sofferenza.

Così il v. 27 vede la prima attribuzione della maternità di Maria, al discepolo diletto. L'antica tradizione dice che di fatto Maria fu presa a carico da Giovanni, e visse con lui fino alla beata Dormizione.

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CICLO DEI MENAI A

La Crocifissione tocca adesso il culmine inaudito, indicibile, in due momenti unitari, i vv. 30 e 34, che vanno letti nel loro contesto immediato.

"Dopo questo", formula con cui l'episodio della Madre segna un termine importante (v. 28a), Gesù può concentrarsi, per così dire, nelle ultime realtà che riguardano se stesso ed il Padre. Egli "sa bene che tutto è stato adempiuto" ormai dal Padre.E questo risulta più volte. Alla Cena, anzi come preambolo di essa (13,1-3), e nella "Preghiera sa-cerdotale" (cap. 17); al Getsemani, al momento della sua cattura (18,4). Conosce il Disegno del Padre, di cui è Yautourgós, il "realizza-tore personale" (S. Massimo il Confessore), e sa che esso culmina con la Croce per la Resurrezione, nella Morte per la Vita. Sta pregando il Sai 68, una "Supplica individuale", e giunto al v. 22 dice: "Ho sete!" (cf. anche Gv 4,6-7, al pozzo di Sychar). Anche qui la Scrittura è "per-fezionata", adempiuta (teleióó), quale santa Profezia delle sofferenze del Giusto (19,28).

Tra i tristi mezzi dell'esecuzione capitale si poteva usare l'aceto, il quale serviva per reazione a risvegliare le sofferenze dei condannati, ed era quindi un'ennesima forma di sevizia crudele. Gli esecutori ne riem-piono una spugna e l'accostano alla bocca del Signore, assicurandola all'"issopo" (v. 29). Si discute dall'antichità come un piccolo arbusto, il cui ramo più grande raggiunge circa 6 piedi (meno di 2 metri) ma è flessibile e fragile, sia potuto servire alla bisogna, anche considerata l'altezza del Crocifisso da terra. Alcuni parlano di confusione con un termine che significa giavellotto. Altri ritengono che qui vi sia una di-screta allusione all'issopo che nell'A.T. era usato per le purificazioni: in Es 12,22 per tingere di sangue gli architravi e gli stipiti delle porte degli Ebrei contro l'Angelo sterminatore; in Lev 14,4.6.49.51.52 era usato nel rituale contro la lebbra, considerata impurità anche religiosa; in Num 19,6.18 era usato nel rito della giovenca rossa e dell'acqua lu-strale per purificazione dal contatto di cadaveri. Infine, nel Sai 50,9 l'Orante penitente chiede al Signore di essere purificato con issopo dalle colpe. In tutto questo, l'allusione potrebbe essere al Signore, che pu-rifica dai peccati tutti gli uomini, ma con il suo Sangue, il vecchio isso-po non è più in causa.

Ed ecco il culmine del v. 30.Preso l'aceto, Gesù pronuncia un'unica parola: "Tetélestail" II senso

è chiaro. Con un "passivo della Divinità", il Signore afferma che ormai il Padre "ha già compiuto", teléò (affine a teleióó). L'ovvio oggetto qui è il suo Disegno, ma non genericamente.

La spiegazione sta nel riconsiderare che il Signore nell'agonia divi-na prega ininterrottamente. Si hanno allusioni a diversi Salmi, tra cui il 68, citato qui nel v. 22; 30,6 in Le 23,46, "Padre, 'nelle Mani tue io af-

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fido lo spirito mio'". I Sinottici riportano poi il Sai 21,2 sull'abbando-no"; 21,8; 108,25, sul triplice scherno; 21,9, sulle vesti divise tra i sol-dati. E proprio il Sai 21 è la chiave di interpretazione di Gv 19,30.

Infatti i Sinottici riportano che Gesù gridò "Dio mio, Dio mio, per-ché mi abbandonasti?" (Mt 27,46 in ebraico; Me 15,34 in aramaico). I Padri, e una parte dell'esegesi moderna che si fa sempre più folta, riten-gono, e giustamente, che qui gli evangelisti riportano Vincipit del Sai 21, manifestando così che Gesù pregò l'intero Salmo, come pregò per intero gli altri Salmi, la preghiera a Lui più cara. Ora, precisamente il Sai 21,32 termina così:

...ed annunceranno la Giustizia di Luial popolo partorito,poiché (lo) fece (epóièserì) il Signore (LXX),

molto aderente all'ebraico:

...verranno e narreranno la Giustizia (carità, sédaqàh) di Lui al popolo partorito (nólàd), poiché fece Càsàh, il Signore).

È il popolo "partorito" dai terrificanti heblè ha-Màsiàh, i "dolori del Messia", ad opera del Signore che agisce nella sua Carità (sèdàqàh = dikaiosynè).

Gv 19,30 nella parola: "Tetélestail" indica dunque Vexplicit del Sai 21, la finale. È confermato che Gesù lo aveva pregato per intero.

Giovanni altresì riporta qui un tratto della pietà del Figlio verso il Padre, che con un giro di frase non nomina. H senso è:

...al popolo (adesso) partorito,che dal Signore fu compiuto (tetélestai).

"Partorito" nel dolore di Lui, il Messia, "Ecco il Re vostro!"Operante sempre il Padre, teléó, tetélestai.Allora Gesù può chinare il capo in segno di assenso totale al Padre,

ed al Padre può "consegnare lo Spirito", lo Spirito Santo che aveva ani-mato la sua vita umana tra gli uomini.

La Morte del Signore è un atto triadico, e con ciò stesso messiani-co. Il massimo atto triadico e messianico dell' Oikonomia indicibile: la creazione del popolo messianico.

Adesso da Lui il Padre può donare in modo infinitamente superef-fluente lo Spirito agli uomini. Questo è detto però al v. 34.

Il v. 31 narra la preoccupazione rituale — di purità levitica, cf. Es 34,25; Dt 21,23; e Gios 8,29; 10,26-27 —che il corpo del condannato,

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dei tre condannati, restino esposti; era la parasceve, il grande giorno della "preparazione della pasqua" (cf. Es 12,16), e tutto deve tornare alla normalità. Si apriva ormai al sabato della festa grande. Così le autorità sacerdotali chiedono a Pilato che proceda all'ultimo atto della tragedia, il "colpo di grazia", il famigerato crurifragium. Con tale gesto le grandi vene ed arterie delle gambe erano devastate, e il condannato moriva immediatamente. Al v. 32 l'esecuzione crudele avviene per gli altri due condannati. Ma questo non serviva per Gesù, già morto per le sofferenze della Passione, in specie anche per il dissanguamento della flagellazione (v. 33).

Allora uno dei soldati con un terribile colpo di lancia, e per curiosità e dileggio, squarcia il fianco di Gesù morto, "e subito uscì Sangue ed Acqua" (v. 34).

Questo versetto evangelico fu tra i più studiati dai Padri, come si ac-cennò. Essi scoprirono che in 15 sole parole l'Evangelista aveva con-centrato un'immensa realtà teologica.

Ed anzitutto "il fianco" rimanda alla profezia di Ez 47,1-2. Dal "lato destro", del "tempio nuovo" sarebbe scaturita l'Acqua della Vita (v. 3). Cristo è il Tempio nuovo (Gv 2,19.21-22). E aveva promesso quest'Ac-qua. Alla Samaritana (Gv 4,10.13-14). Alle folle, nel tempio, alla festa delle Capanne (Gv 7,37-39). È l'Acqua della Vita che è lo Spirito Santo, di cui Cristo è la Fonte inesauribile nella sua Umanità risorta (At 2,32-33). Vera e finale realizzazione della Promessa e della Benedizione con-cesse ad Abramo, e che sono il Dono dello Spirito Santo ottenuto dal Si-gnore "appeso al Legno" (Gai 3,13-14, che citaDt 21,23).

Il Sangue e l'Acqua, endiadi indivisibile nella celebrazione della Chiesa, sono i simboli della nuova Oikonomia dello Spirito Santo. Con espressione di alta teologia simbolica, uno dei 24 Anziani spiega a Gio-vanni la visione dei 144.000 "segnati", sigillati dalla Croce battesimale, e dell'infinita moltitudine dei "candidati", i rivestiti in bianche vesti che seguono l'Agnello nella panègyris gioiosa, dovunque Egli vada (Ap 7,1-17): "Questi sono quelli che vengono dalla tribolazione grande (escatologica), e che lavarono le loro vesti e le resero candide nel San-gue dell'Agnello" (Ap 7,14b).

Giovanni stesso spiega: il Verbo Dio venne "con Acqua e Sangue" ed è Gesù Cristo. E lo Spirito, che è "la Verità", Gli rende testimonian-za. Ma dal cielo vennero Tre Testimoni, che sono Hén, Unica sostanza, i medesimi sulla terra, lo Spirito e l'Acqua e il Sangue. È la Testimo-nianza di Dio stesso sul Figlio suo (1 Gv 5,6-9; il v. 8 è espunto dalle edizioni moderne).

Sul molteplice valore del sangue si è parlato molte volte (cf. sopra). Qui se ne fa un semplice accenno: valore di purificazione, di protezio-ne, di propiziazione, di riconciliazione, di vivificazione, di comunione.

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Esso è il simbolo del massimo dono divino, la Vita (Lev 17,11), la qua-le va offerta al Signore affinchè la riempia di benedizione.

E però YOikonomia dello Spirito Santo che scaturisce "subito" dal Costato immacolato del Signore, non resta al livello, pur infinitamente sublime, dei simboli, ma entra nella realtà della storia degli uomini svolgendo per intero i significati e contenuti dei simboli.

Acutamente come sempre, i Padri seppero leggere a fondo il mo-mento, queìYeuthys, "subito" di Gv 19,34. Il Dio Verbo nella sua Uma-nità "adesso" sta dormendo il sonno della morte. Dal primo Adamo ad-dormentato il Signore seppe ricavare Eva, che fu "la carne della carne di lui" (Gen 2,21-23). Dunque nel Protoplaste fu anticipata e raffigurata la morte e la Resurrezione dell'Adamo Ultimo, poiché come quello fu svegliato dal sonno e si alzò e riconobbe come "sua" l'Èva che il Si-gnore aveva "fabbricato" dal suo costato, così il Figlio di Dio risorto dal sonno della sua Morte volontaria, dalla ferita straziata del suo Co-stato immacolato "fabbricò" l'Èva nuova, la sua Sposa amata, YEkklè-sia. Perciò la Croce del Signore divenne e resta il divino Talamo nuzia-le, nel quale deve entrare la Sposa, che deve unirsi al suo Sposo nel medesimo sonno della sua Morte e nelle medesima potenza della sua Resurrezione. Così dal Costato del Figlio di Dio, Servo sofferente e perciò Agnello di Dio (cf. sempre Is 53,7-8, non l'agnello pasquale di Es 12!), fu divinamente disposto che "uscisse subito" il "mirabile Mi-stero" che è la Chiesa Sposa.

Riportiamo qui un testo magnifico, per tutti:

Dal costato, Sangue ed Acqua. Non voglio, ascoltatore, che così fa-cilmente tu passi sopra ai segreti di un così ingente Mistero. Infatti a me resta la preghiera mistica ed intcriore. Dissi già che quell'Acqua e quel Sangue manifestano il simbolo (= efficacia misterica) del bat-tesimo. Infatti da essi fu fondata la santa Chiesa: dalla rinascita e rinnovamento del lavacro dello Spirito Santo (Tit 3,5), dal battesi-mo, dico, e dai Misteri che appaiono scaturire dal Costato. Poiché dal Costato suo Cristo edificò la sua Chiesa, come dal costato di Adamo fu estratta la sua sposa Eva. Infatti per questo anche Paolo testimonia, parlando così: Noi siamo dal suo Corpo e dalle sue Ossa, così significando il Costato. Poiché come da quel costato Dio fece procreare la donna, così dal suo Costato Cristo donò a noi Acqua e Sangue, da cui fosse approntata la Chiesa. E come nel sonno dell'A-damo dormiente, Dio aprì la parte del costato, così adesso dopo la Morte donò a noi Acqua e Sangue. Guardate come Cristo unì a se stesso la Sposa, vedete di quale Cibo ci nutre. Per il medesimo Cibo noi nasciamo e siamo nutriti. Infatti come la donna, spinta dall'affet-to naturale, si affretta a nutrire il bambino partorito con il suo latte e

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CICLO DEI MÈNÀIA

sangue, così Cristo quanti fa rinascere, sempre li nutre con il Sangue suo (S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Catechesi 3,16-19, ed. Wenger, in SChrét 50,175-177).

Così, per riassumere e conglobare, i Padri della Chiesa. Infatti fin dalla metà del sec. 2° fu seguita tale interpretazione pressoché unanime, "ecumenica", d'Oriente e d'Occidente, che può vedersi già nel testo esemplare di S. Giustino Martire (a Roma, verso l'a. 155), Dialogo con Trifone l'Ebreo 135,3: come già Israele fu estratto dal Padre Abramo come da una cava (cf. /5 51,1-2, con Sara quale madre partoriente), così "noi siamo estratti dal Seno di Cristo come da una cava".

La tipologia da Adamo ad Abramo in poi trova così la sua realtà fi-nale nella Croce del Signore.

Giovanni già lo aveva compreso, e lo redige con poche note essenziali. Egli infatti era presente e "contemplante" (heórakós). Perciò ne ha data testimonianza (martyred). Non solo, ma la sua testimonianza, martyria apostolica, è veridica, alèthinè. E per più motivi: quanto ascoltò dal suo Signore, dal suo Petto (Gv 13,25; 21,20), adesso si realiz-za. Quanto vide del suo Signore, adesso è questa realizzazione. Quanto lo Spirito Santo decide, questo è testimoniato. Infatti in Gv 14,15-17, lo Spirito Santo sta e resta con i discepoli: 14,26, ad essi insegna e ad essi fafare anamnesi; 15,26, perché è lo Spirito della Verità e Verità divina Egli stesso, e come tale testimonia (martyred)e fa testimoniare (martyred) i discepoli, v. 27; perché come Spirito della Verità porta al-V intera Verità, alla sua comprensione, tutti i veri discepoli del Signore, e ad essi fa conoscere le Realtà divine, anche l'avvenire: 16,13-15.

Il fine è la fede di chi ascolterà questa Parola sulla Croce (v. 35), e con la fede, la Vita eterna (20,31). È il "discorso della Croce" di Paolo (1 Cor 1,17 -2,16).

Lo stesso Giovanni ribadisce la verità della sua testimonianza, sia nel suo Evangelo (Gv 21,24; 20,31); sia nelle sue Epistole (1 Gv 1,1-3.4), al fine della comunione indicibile con il Padre e con il Figlio ope-rata dallo Spirito Santo, che provoca la Gioia divina negli uomini; sia nella sua "Rivelazione", VApocalisseyero libro di ininterrotta martyria, testimonianza che è rivelazione e profezia, da "leggere" litur-gicamente nelle assemblee sante (Ap 1,1-3).

È rivelazione, testimonianza, profezia, liturgia propriamente infinita. La Croce divina ne è il sublime Segno innalzato su noi.

7. MegalinarioÈ il Heirmós dell'Ode 9a del Canone, Tono 8 : Mystikóséi, Theotóke. La

Madre di Dio è acclamata come Paradiso "mistico", ossia che proviene dal Mistero del Figlio e lo porta. È dunque il "Luogo" do-

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NOTA SULLA S. CROCE

ve si riforma la Plasmazione divina dell'Adamo Nuovo e dell'Eva nuo-va, Paradiso di delizie divine. È la "Terra vergine" (cf. Gen 2,7; e la suggestiva presentazione di S. Ireneo) che non subì "coltivazione" umana, ma restando immacolatamente intatta, fece vivere il Germoglio nuovo e meraviglioso, Cristo Signore nostro. Il fine inteso dal Disegno divino in questo, fu che Cristo così potè "impiantare", mettere a dimora il Legno portatore della Vita e dell'immortalità, la Croce, che schianta la potenza mortale del Legno che causò la morte dei nostri Progenitori e la nostra. Conoscendo questo nella grazia dello Spirito Santo, i fedeli nell'Esaltazione dell'Albero divino adorano il Figlio e magnifìcano la Madre di Lui.

Si completa anche da questa parte la tipologia della Genesi.

8. KoinònikónSai 4,7, "Salmo di fiducia individuale": "Si pose come Segno su noi

la Luce del Volto tuo, Signore". Partecipando ai Doni immacolati, i fe-deli acclamano quanto percepiscono e ricevono oggi: dalla Parola, dal-la santa Tavola, dalla Chiesa. Su essi, a partire dall'iniziazione ai Divini trasformanti Misteri, le cui Realtà divine oggi sono come sempre ce-lebrate festosamente, il Signore pose in eterno il Sèméion supremo, la Croce vivificante, sigillata sulla loro fronte, per indicare che in eterno su essi è invocato il Nome divino che salva.

Questo Segno comincia dal Golgota. Con esso sfolgorò per sempre la Luce divina increata immacolata indivisibile che proviene dal Volto visibile del Figlio di Dio, il Signore nostro, Icona di Luce e di Vita, au-tentica ed unica rivelazione della Bontà triipostatica del Padre e del Fi-glio e dello Spirito Santo. Misericordia e Rivelazione eterne. È quanto nei tempi prescritti cantano i fedeli dopo la comunione: "Vedemmo la Luce, quella Vera, ricevemmo lo Spirito sovraceleste, trovammo la fe-de veridica adorando la Triade indivisibile, poiché Questa ci salvò".

Sono le Realtà permanenti della Croce e della koinónia al Corpo ed al Sangue del Signore, crocifisso ma risorto.

9. Dopo la comunioneSi canta di nuovo YApolytikion della Festa.

NOTA SULLA SANTA CROCE

Al fine di offrire materiale utile alla contemplazione del Mistero della Santa Croce del Signore, ed alla predicazione mistagogica al po-polo santo, si fanno seguire una serie di considerazione tipologiche e tematiche, che hanno come oggetto:

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CICLO DEI MÉNÀIA

a) le figure tipologiche della S. Croce nell'A.T.;b) la tipologia Adamo antico - Cristo Adamo Ultimo;e) titoli e funzioni della S. Croce, ricavati dalla lettura coniugata della S. Scrittura, dei Padri e della Liturgia.

A. Le figure tipologiche della S. Croce nell'A.T.Alcune tra le più rilevanti:

- l'Albero della Vita al centro dell'Eden (Gen 2,9);- l'Arca di Noè (Gen 6-9; 1 Pt 3,20);- il Patriarca Giacobbe incrocia le braccia per benedire Efraim e Ma-

nasse, i figli di Giuseppe (Gen 48,8-20);- Mosè apre le braccia ed alza il bastone per dividere il Mar Rosso e

salvare Israele dal faraone (Es 14,21-29);- Mosè con il bastone fa scaturire l'acqua dalla roccia che salva Israele

dalla sete mortale (Es 17,1-7);- Mosè con le braccia in croce innalza il bastone come segno della vit

toria del Signore contro il mortale nemico Amaleq (Es 17,8-13);- la Verga d'Aronne, unica fiorita tra quelle delle dodici tribù d'Israele

(Num 17,16-26);- il legno che sorregge il serpente di bronzo, la cui visione salva Israele

devastato dai serpenti infuocati (Num 21,6-9);- Israele accampato in forma di croce a gruppi di tre tribù, con al cen

tro il Santuario (Num 2,1-34);- Giosuè incrocia le braccia per chiedere al Signore di fermare il sole e

vincere la coalizione dei re amorrei (Gios 10,12);- il legno dell'ascia tranciante recuperato da Eliseo nel Giordano (4 Re

(= 2 te) 6,1-7);- Giona pone le braccia in croce nel ventre del cetaceo in cui è seppel

lito, per resuscitare al terzo giorno (Gion 2).

B. La tipologia Adamo antico - Cristo Adamo Ultimo

Essa ruota intorno all'Albero della Vita o della morte.

1)11 Giardino- Gen 2,8: il Signore dispone il Gan ha-Eden, il Giardino della delizia

in "oriente", in vista di Adamo;- Gv 19,41: Gesù è sepolto nel kèpos, "nel luogo dove fu crocifisso".

Vedi qui il ricco commento di S. Efrem Siro nel Diatessàron, a Gv19-21. Mentre la Genesi parla solo di paràdeison e di edem, e mai dikèpos per il "giardino, orto", si trova nell'A.T. kèpos per la terra promessa (Dt 11,10); per le tombe dei re di Giuda (2 Re (= 2 Sam)21,18.26; 25,4; Neh 3,16); peril luogo dove si svolge l'incontro delloSposo e della Sposa nel Cantico (Ct 4,12 l'"orto chiuso"; 4,15, la

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NOTA SULLA S.CROCE

fonte; 4,16, la terra d'Israele, e così in 5,1; 6,1.10; 8,13); in Eccli 24,31 la Sapienza emana l'Acqua della vita per il Giardino; in Eccli 24,23-25 il "Giardino" è l'Eden nuovo.

2) II trapianto- Adamo è "trapiantato" dalla steppa nel Giardino delle delizie {Gen

2,8.15);- Gesù è "consegnato" dal Padre alla Croce, e dunque al kèpos.

3) L'Albero della Vita al centro del Giardino- ad Adamo è additato dal Signore l'Albero della Vita {Gen 2,9); al

margine del Giardino sta l'Albero della morte (= "della conoscenzadel bene e del male", Gen 2,9), che è proibito. È offerta una sceltapossibile, di fatto operata per superbia ed egoismo;

- a Gesù è devoluta solo la Croce, senza più scelta, anzi per scelta volontaria, come segno della filialità verso il Padre, e di fraternità versotutti gli uomini.

4) La collocazione- Adamo dopo la caduta è espulso dal Giardino, chiuso per lui e per la

sua discendenza {Gen 3,23-24);- Gesù è sepolto nella tomba "nel kèpos", il luogo da cui sorge per

sempre la Vita (Gv 19,41, e 20, 11-18).

5) La tentazione- per Adamo, la prima è anche l'unica tentazione, a cui soccombe: "se

volete essere come "Dio" (o "come dèi") {Gen 3,5, cf. vv. 1-5);- Gesù è assalito dalla triplice tentazione sotto il titolo "se sei Figlio di

Dio...", nel deserto {Mt4,1-10; Le 4,1-12), come inizio, e alla Croce (cf. Mt21,39-44, e par.), come fine, ma ne esce sempre vittorioso per sé e per noi.

6) L'accettazione- Adamo rifiuta l'Albero della Vita, e benché preavvertito sceglie deli

beratamente l'Albero del peccato per la morte {Gen 3,6);- Gesù accetta l'Albero della morte, che diventa l'Albero della Vita, la

Vita nella Morte e dalla Morte.

7) L'obbedienza- Adamo disattende l'offerta dell'Albero della Vita, e disobbedisce al

precetto di non mangiare dell'Albero della morte, perché con le suesole forze vuole essere "come Dio" {Gen 3,5);

- Gesù in modo filiale totale obbedisce al Padre in favore degli uomini,accettando di essere "nella forma di schiavo - fino alla morte, e mortedi Croce" (cf. FU 2,6-11); l'episodio emblematico è il Getsemani,con l'invocazione: '"Abbà'ì,Padre!" {Me 14,36): la consumazione èla Croce, di nuovo con "Padre!" {Le 23,46).

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CICLO DEI MÈNA1 A

8) La sanzione- Adamo con il suo peccato di superbia e d'egoismo produce il frutto

della morte per sé e per la sua discendenza {Gen 3,22), benché provvisoria, poiché la divina Misericordia "riassume" il genere umano inAbramo e nel Figlio d'Abramo Gesù Cristo (cf. Gen 12,1-3; Mt 1,1;Gai 3,16; cf. 3,29: per noi);

- Gesù con la sua obbedienza fino alla morte di Croce produce la Vitaper sé e per noi, Morte e Vita, due Doni del Padre, con cui conseguiamo la Benedizione e la Promessa d'Abramo, ossia lo Spirito Santo{Gai 3,13-14).

9) La nudità- Adamo ebbe la gloria dell'"immagine e somiglianzà di Dio" {Gen 1

26-27 e 2,7; 2, 25), ma per il suo peccato se ne spogliò {Gen 3,7-12);- Gesù subì volontariamente l'infamia dell'esecuzione capitale romana

che comprendeva la nudità del condannato, e fu spogliato della suatunica integra e delle vesti (Gv 19,23-24), ma fu così l'Icona dellaGloria del Padre.

10) La spoliazione- Adamo si spogliò per sua colpa: "allora aprì gli occhi e si vide nudo,

si coprì con foglie di fico..." {Gen 3,7), profanando la Gloria divina dell'icona creaturale, inabissandola nell'abiezione da cui non si potè rialzare (Gen 3,10-11);

- Gesù permise che fosse spogliato da mani empie, e la sua abiezioneestrema divenne la superesaltazione della divina Gloria.

11) II rivestimento- Adamo dalla divina Misericordia ricevette le "tuniche di pelle", le

"vesti della vergogna" {Gen 3,21), provvisorie, e necessarie alla futura "riassunzione" (i Padri);

- Gesù da Dio nella Resurrezione gloriosa fu rivestito nella sua carneimmacolata della Veste della Gloria che è lo Spirito Santo, destinataa noi nel santo battesimo {Gai 3,27; Rom 13,14).

12) La Vita- Adamo ebbe il dono della Vita dal Soffio dello Spirito di Dio {Gen

2,7), ma la perde per sé e per la sua discendenza per sempre {Gen6,1-3);

- Gesù riconsegna al Padre liberamente il Soffio divino (Gv 19,30),che dal Padre aveva ricevuto indicibilmente alla sua Concezione immacolata indicibile {Le 1,35; Mt 1,18-25), al suo santo Battesimo {Mt3,16-17, e par.), alla folgorante Trasfigurazione {Mt 17,1-9, e par.).Solo così, divenuto per la Resurrezione "Spirito vivificante", può donarlo quale Adamo Ultimo (1 Cor 14,45) già dalla Croce (Gv 19,34,

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NOTA SULLA S. CROCE

"subito Sangue e Acqua"), la sera della sua divina Resurrezione (Gv 20,19-23), alla Pentecoste (At 2,1-4), nel mirabile e trasformante ge-sto dell'iniziazione al suo Mistero (Gai 4,6; Rom 8,15), per essere "Unico Spirito" con chi aderisce a Lui (1 Cor 6,17), essendo ormai l'Unica inesauribile Fonte dello Spirito Santo (At 2,32-33).

13) L'Acqua della Vita- per Adamo il Signore aveva disposto la supereffluenza della Fonte

nel Giardino, con 4 "capi" che dovevano giungere alle estremità dell'universo (Gen 2,10-14), da cui scaturiva la Vita proveniente dall'Albero al centro; ma l'Acqua restò estranea a lui, infeconda;

- Gesù riapre questo santo infinito Flusso che è lo Spirito Santo, "subito" dalla Croce (Gv 19,34, con il Sangue), dal Costato, il Lato destrodel Tempio escatologico (Gv 2,18-20; 7,37-39, su Ez 47,1-3). È ilTempio propriamente divino e vivente (Ap 22,1-5). Riapre dunque ilnuovo ed eterno Eden, il Paradiso delle delizie senza fine, con l'Unica Fonte dall'Unico Albero della Croce, e con i "4 Capi" che giungono ormai ai confini dell'universo, i 4 Evangeli (S. Ireneo).

14) II Sangue Vita- Adamo trasmette a Caino la sua "immagine e somiglianzà" (cf. Gen

5,3, anche se detto per Set), il quale versa il sangue del fratello Abele(Gen 4,3-8), e la terra ne è contamintata orribilmente (Gen 4,10-12, cf.3,18, la maledizione delle spine e triboli per il padre Adamo 9,1-7);

- Gesù è l'Abele Ultimo, che versa il suo Sangue in modo volontario,per tutti gli uomini (Gv 19,34), quale Mediatore dell'Alleanza nuova,che fa accostare tutti gli uomini al Sangue suo purificatore "che parlameglio che Abele" (Ebr 12,24), Sangue che è la Vita (cf. Lev 17,11)da donare a Dio che la dona, affinchè sia carico di efficacia purifìca-trice, propiziatrice, protettrice, riconciliatrice, vitalizzante, ponente incomunione con Dio.

15) II costato- dal costato di Adamo dormiente il Signore "costruisce" l'Èva prima,

la Madre dei viventi nel peccato (Gen 2,21-24 e 3,20), 1'"aiuto similea lui" (Gen 2,18), benché nel peccato (Gen 3,1-6);

- dal Costato immacolato di Gesù, l'Adamo Ultimo addormentato sulla Croce "esce subito" l'Èva Nuova, la Madre dei viventi nella Grazia dello Spirito Santo (Gai 4,26; Efes 5,25-29; Ap 22,17), T'Aiutosimile a Lui" ma nel portare la divina salvezza al mondo, la Chiesa.

16) L'Èva Nuova ultima- Eva la vergine di sterilità morale coglie il frutto proibito della super

bia e della disobbedienza al suo Signore Dio e Creatore, e lo porge

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CICLO DEI MÉNÀIA

allo sposo Adamo e così a tutto il genere umano (Gen 3,6), da sotto l'Albero della morte (Gen 3,1-5);

- Maria l'Èva Nuova (S. Ireneo) con le Donne fedeli con cui forma laComunità, Vergine prima, durante e dopo il parto, Madre di Dio eMadre dei suoi fedeli (per la Comunità, cf. Le 8, 21!), attende nell'obbediente silenzio il Frutto divino dell'Albero della Vita, Fruttodell'umiltà e della filiale obbedienza, sotto la Croce, e lo riceve "subito" come "Sangue e Acqua", lo Spirito Santo (Gv 19,25-28 e-34) egià in anticipo fecondo (Le 1,35).

17) II giorno- Adamo è creato al 6° giorno (Gen 1,26-27 e 31), considerato anche

come il 1° giorno per il Soffio divino dello Spirito di Dio originante(Gen 2,7);

- Gesù al 6° giorno vecchio (Gv 19,31) muore, e il 1° Giorno nuovo re-suscita alla Vita divina dello Spirito Santo (Gv 20,1-12.19-23).

18) II Giorno nuovo- per Adamo è disposto il 1° giorno (Gen 2,7), il 6° giorno (Gen 1,26-

31) ed il 7° giorno, il sabato (Gen 2,1-3); giorno, che si invecchia su-bito per il peccato; con lui si invecchia l'intera creazione (cf. Rom 8,16-25; Ebr 1,11) e l'intero genere umano (2 Cor 3,14; Efes 4,22; Col 3,9);

- Gesù resuscitando dalla Morte al Giorno l°-8° inaugura la creazionenuova che non invecchia più (Col 1,15; e Gai 6,15; 2 Cor 5,17).

19) Uéschaton divino- per Adamo il suo inizio (Gen 1,26-21; 2,7) segna per sua esclusiva

colpa anche la sua fine senza seguito (Gen 3,1-7.8-24);- per Gesù, la sua Fine, nel Tetélestail, "Da parte del Padre è stato

compiuto!" (Gv 19,30a), che è anche il suo Fine, télos (cf. 1 Cor15,24; e Gv 13,1-3), segna coestensivamente il suo Inizio: lo SpiritoSanto (Gv 19,30b), il "Sangue e Acqua subito" (Gv 19,34), Egli stesso Alfa e Omega (Ap 1,8; 21,6; 22,13, cf. Is 41,4), "il Principio" (Gv1,1-18; Col 1,15-20): "Gesù Cristo! Ieri ed Oggi! Il Medesimo per ilsecolo!" (Ebr 13,8).

Crocifisso e Risorto nello Spirito del Padre, Egli è la nostra Fine ed il nostro Fine, nostro Alfa ed Omega, nostro Principio, nostro Ieri e no-stro Oggi. Il nostro Tutto per i secoli eterni con il Padre e con lo Spirito Santo, il Dio Unico, a cui il Regno e la Potenza e la Gloria, l'amore, la lode e l'adorazione. Amen.

C. Titoli e funzioni della S. CroceSi elencano con ordine approssimativo i principali titoli e funzioni

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NOTA SULLA S. CROCE

che la Santa Scrittura e i Padri e la Liturgia fanno conoscere della Cro-ce del Signore.

Molti dei termini, per non dire tutti, sono trasponibili, ossia sono in-tercambiabili tra le varie divisioni e funzioni che qui sono delineate in modo aperto, e non escludente.

1. In rapporto al Mistero trinitario- Croce divina

TeofanicaParusiaca

- FilialeAmorosa

- EternaImmortaleImmutabile Indelebile Infinita Onnipotente

- MistericaMisteriosaSapienziale

- TerribileNobileImmacolata Gloriosa

- RegaleSovrana

- IntronizzataSuperesaltata

- FedeleSanta

- Pacifica- Cosmica- Escatologica.

2. Nell' Oikonomia del Padre nel Figlio con lo Spirito Santo- Croce misericordiosa

Inevitabile- Albero della Passione

Luce del Volto del SignoreOmbra delle Ali divineSplendore di soleSegno sfolgorante tra gli astri

- Trono del RegnoScettro di MaestàSgabello dei Piedi del Signore

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CICLO DEI MÈNÀIA

Bastone del Pastore divino- Corona della Gloria

Arma della VittoriaArma di pace

- Altare del SacrificioTavola dell'OffertaTalamo nuzialeFontana del Sangue e dell'Acqua Incontro dell'Amore

- Prezzo del riscattoAra della riconciliazione Caparra della resurrezione Colonna del creato Ancora di eternità Sostegno dell'universo Scala celeste Tomba vuota

- Icona della GraziaAnamnesi eternaBenedizione universaleLode permanente

- Segno del MisteroIndice della RivelazioneRivelazione della Sapienza eternaVerità della Misericordia

- Vessillo militanteVessillo fiammeggianteAudacia divinaOnore divino

- Luogo della propiziazioneTempio dell'intercessioneSantuario della riconciliazioneStrumento del soccorsoVisione di vocazioneFontana della Comunione

- Inimicizia contro i demoniDisfatta dei demoniPredatrice dell'inferno

- Protezione sovranaFortezza inespugnabile

- Segno della Gioia divinaDivino Tesoro piantato sulla terraAlbero fiorito

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Legno che fa fiorire la VitaLegno fruttuosoAlbero vivificanteLegno che sostiene il Grappolo divinoAlbero del Cibo immortaleAlbero del Cibo dell'incorruttibilità

- Amabile sopra ogni dono.

3. Per YEkklèsia dei primogeniti

a) Degli Angeli- Centro d'adorazione- Gloria

b) Degli Apostoli- Ornamento- Vanto- Predicazione

e) Dei Martiri- Comunione perfetta con Cristo- Desiderio supremo- Arma dell'agone- Ricompensa

d) Dei Santi- Sigillo dell'esistenza- Contemplazione perenne- Ingresso nella Visione

4. Per YEkklèsia sulla terra- Dignità sacerdotale- Decoro verginale- Dono ai mortali- Scala per il cielo- Porta del Paradiso- Luce dei credenti- Protezione dei credenti- Vanto dei credenti- Onore dei battezzati- Consacrazione dei confermati- Conforto dei credenti- Forza dei perseguitati- Trofeo invitto della devozione- Icona della fede- Speranza dei forti

NOTA SULLA S. CROCE

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CICLO DEI MÈNÀ1 A

- Forza dei deboli- Medicina per i malati- Fermezza dei giusti- Soccorso unico per tutti- Difesa dei piccoli- Guida per i ciechi- Albero della Nave- Faro per gli erranti- Liberazione perfetta dell'Adamo caduto- Sostegno per i ritardati- Bastione contro l'inferno- Via per i moribondi- Porto dei flagellati dalla tempesta- Resurrezione di tutti i morti.

5. Ver YEkklèsiaSposa.- Croce amata- nuziale- feconda- generante- fruttuosa- coronante- Vessillo che apre la. panègyris nuziale- Nutrice- Maestra.

6. Per YEkklèsia celebrante- Croce iconizzata- superesaltata- benedetta- venerata- invocata- acclamata- dossologica- resurrezionale- pentecostale- memoriale eterno- epifanica- battezzante- confermante- consacrante- benedicente- predicante- conviviale

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- templare- sacerdotale- profetica- gemmata- festiva- festosa- gioiosa.

7. Per gli uomini rinnovati- Croce liberante- personificante- purificante- redentrice- radunante- unificante- affratellante- stabilizzante- riposante- convertente- accogliente- vivificante- elevante- illuminante- trasformante- divinizzante.

8. Per i re e capi cristiani- Forza dei re e dei capi fedeli- Palladio della Cittadinanza cristiana.

9. Per l'universo- Ornamento- Sicurezza- Custodia- Centro- Perfezione.

NOTA SULLA S. CROCE

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15-21 SETTEMBRE

DOMENICA DOPO L'ESALTAZIONE

DELLA S. CROCE

La Domenica che precede il 14 Settembre, come quella che segue, formano un segmento celebrativo compatto.

1. AntifoneDel 14 Settembre, o i Typikd ed i Makarismói.

2. EisodikónDella Domenica.

3. Tropari

1) Apolytikion anastàsimon del Tono occorrente.

2) Apolytikion del 14 Settembre.

3) Apolytikion del Santo titolare della chiesa.

4) Kontdkion del 14 Settembre.

4. Apóstolos

a) Prokéimenon: Sai 103,24,1, "Inno di lode".Vedi la Domenica 4a di Luca.

b) Gai 2,16-20

Vedi la Domenica 4a di Luca

5. EVANGELO

a) Alleluia: Sa/44,5.8

Vedi la Domenica 4a di Luca.b) Me 8,34 -9,1 . .

E l'Evangelo della Domenica 3a di Quaresima, Adorazione dellaCroce.

L'applicazione all'attuale Domenica deve tenere conto delle consi-derazioni svolte come introduzione alla Festa dell'Esaltazione della Croce, vedi sopra. L'Evangelo di oggi forma un contesto formidabile: dalla Croce del Signore alla croce che ciascun battezzato deve accettare nella sua esistenza, più propriamente, quale sua esistenza vera.

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DOMENICA TRA 15 E 21 SETTEMBRE

Ci si deve riferire anche alle Note poste qui sopra in appendice al 14 Settembre, in specie sotto la lettera C, "Titoli e funzioni della S. Cro-ce". La Croce è dunque l'Indice innalzato per chi vuole ritrovare la via alla Casa del Padre.

6. MegalinarioDella Domenica.L'uso dell'Eparchia di Piana degli Albanesi è cantare qui il Megali-

nario della S. Croce, Mystikós éi, Theotóke, Paràdeisos, vedi il 14 Set-tembre.

7. KoinònikónDella Domenica.

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17 SETTEMBRE

SANTA SOFIA MARTIRE E LE SUE TRE FIGLIE

FEDE E CARITÀ E SPERANZA

1. AntifoneDel 14 Settembre.

2. EisodikónDel 14 Settembre.

3. Tropari

1) Apolytikion del 14 Settembre.

2) Apolytikion del Santo titolare della chiesa.

3) Kontàkion del 14 Settembre.

4. Apóstolos

a) Prokéimenon: Sai 67,36.27 , "Azione di grazie comunitaria".È quello del 9 Settembre. Oggi si canta per richiamare l'attenzione

su questo fatto: il Signore meraviglioso e meravigliante tra i suoi santi, ama essere adorato contornato dalla folla innumerevole di quanti Egli ama, le creature incorporee e le creature umane, sante della medesima Santità conferita dallo Spirito Santo. Tuttavia in specie questo concerne i Martiri, quelli che il Signore volle assimilare più perfettamente al Fi-glio suo Crocifisso ma risorto e glorioso. Così la nostra attenzione si ri-volge alla gloriosa Martire Sofia, "Sapienza" d'amore, ed alle sue inclite Figlie martiri Pistis, "Fede", e Agape, "Carità", ed Elpis, "Speranza", nomi simbolici che abbracciano l'esistenza cristiana e ne fanno il dono totale al Signore.

Lo Stichos (v. 27) chiama a benedire questo Signore nostro nelle sante sinassi celebrative, Egli che è la Fonte inesauribile della santità del popolo suo.

b) Gai 3,23 - 4,5L'Apostolo Paolo qui tratta della natura della pistis, la fede divina

che salva. Essa doveva essere divinamente rivelata, quindi comunicata agli uomini che l'avrebbero accettata per intero, ma la divina Disposi-zione permise che intanto la Legge santa fosse la guida severa verso l'adempimento, in un certo senso racchiudendo i fedeli d'Israele nelle strettoie dei precetti (v. 23). Il giudizio di Paolo non è ingiusto verso la Legge, riconoscendone al contrario i meriti. Gli antichi erano pàides,

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17 SETTEMBRE

necessitosi di essere condotti (ago) lungo la via verso la maturazione da un buonpaidagógós, così finalmente da trovare con sicurezza Cristo Signore. Egli avrebbe portato la "giustificazione", ossia l'assoluzione dalla colpe e la riammissione all'amicizia con Dio, la quale proviene dallapistis, ossia dall'adesione d'amore a Lui che chiama (v. 24).

Ora, la fede venne come indicibile dono portato dallo Spirito Santo e ottenuto da Cristo Signore, e con la fede venne la piena maturazione, e perciò del "pedagogo" buono non esiste più necessità (v. 25).

Infatti avviene l'Evento decisivo, fondante: il dono della fede, me-glio, lo Spirito Santo per la mediazione essenziale di Cristo Signore, in chi l'accetta produce la divina filiazione: "diventare figli di Dio" veri (v. 26). Su questo insiste, oltre Paolo, anche Giovanni, in testi esemplari come Gv 1,12-13; 1 Gv 3,1-2. La filiazione divina, che è il Gratuito divino, è l'assunzione alla relazione trasformante con la Paternità divi-na mediante il Figlio Monogenito. Ora, il proprio e l'ultimo scopo del Figlio Monogenito, facendoci fratelli suoi e diventando così il Primo-genito e Primate tra molti fratelli (cf. Rom 8,28-30), è la divinizzazione nella comunicazione dello Spirito Santo.

Ma la divinizzazione filiale è un termine finale che si deve attendere all'ultimo? Non sembra. È piuttosto una condizione ingressiva ed in crescita, che è divinamente inaugurata nell'essere "battezzati in Cristo". Il N.T. parla, esplicitando, di "battesimo" come iniziazione al Mistero, comprendente per essenza anche la confermazione crismata e l'ingresso al Convito dei Misteri. Inoltre, "essere battezzati" è esistere "come Cri-sto", il che comporta essere consofferenti, concrocifissi, conmorti, con-sepolti con Lui, e perciò anche conresuscitati, conglorificati, conintro-nizzati, conregnanti con Lui presso il Padre - dunque divinizzati. Que-sto è dal "battesimo", quando si diventa "unico Spirito con Cristo" (1 Cor 6,17). L'immagine simbolica che al v. 27 usa l'Apostolo è che i battezzati sono "rivestiti di Cristo". È questo il canto glorioso che sosti-tuisce il Trisdgion nella Divina Liturgia a cominciare dalla Veglia della Resurrezione, nella quale anticamente si conferiva l'iniziazione ai cate-cumeni; e di qui, anche in diverse altre grandi solennità della Chiesa. "Rivestiti" significa portare un "abito" che indossato non si dismette più, non si può "cambiare" più. Se si fa, si commette l'apostasia del peccato. Ora, la "veste che è Cristo", insieme è lo Spirito Santo, che ri-veste i fedeli "dall'Alto", ossia da parte del Padre (cf. Le 24,49).

È quella che successivamente Paolo chiamerà "la vita in Cristo vita nello Spirito Santo" (Rom 8,9). È l'assimilazione perfetta al Signore Risorto operata dallo Spirito Santo e voluta dal Padre (Rom 8,11). E nessuno è stato così perfettamente reso "un Cristo vivente in lui" dallo Spirito Santo, la Potenza divina, se non i Martiri gloriosi ed amati e ve-neratissimi dalla Chiesa e dalle Chiese.

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CICLO DEI MENAIA

Una delle conseguenze di questa filiazione divina che è assimilazio-ne al Figlio Monogenico, è che nei fedeli così conformati scompaiono finalmente le divisioni che sono veri "scismi causati dal peccato": né Ebreo né Greco (divisioni religiose e culturali), pur restando Ebrei cri-stiani e Greci cristiani (ricordando che nel linguaggio del N.T. e dei Pa-dri, "Greco" voleva indicare il pagano per definizione); né schiavo né libero (divisioni sociali e politiche ed economiche), pur restando chi deve stare "sotto" e lavorare per gli altri in una società bene ordinata, e chi deve stare "sopra", e disporre il buon ordine della società; né ma-schio né femmina (divisioni dovute all'odio tra i sessi, cf. Gen 3,12!; se si usa altro linguaggio, si mentirà e si nasconderà la realtà del peccato in cui siamo nati e costituiti), pur restando i due sessi, ma bene ordinati reciprocamente. Scompare ogni "scisma" perché prevale l'unità: essere hén, "unica realtà" in Cristo (v. 28), dove si impone ormai l'amore per Lui e dunque per "i Lui" che sono i fratelli.

Il v. 29 è una "teologia della storia" a partire dalla conclusione per risalire alla premessa: "essere di Cristo", essere proprietà prezio-sa di Lui, costituita dal battesimo, significa per ciò stesso far parte della discendenza d'Abramo, essere coeredi di Cristo Figlio d'Abra-mo (cf. 3,16, fondamentale), secondo la divina Promessa. Ora poco prima il medesimo Paolo aveva insistito: Cristo appeso al Legno ot-tenne per noi la Benedizione e la Promessa d'Abramo, che sono lo Spirito Santo (3,13-14).

In 4,1 è descritto 1'"erede", che finché è minorenne è libero ed in fondo "padrone", e tuttavia è come uno "schiavo". Per lui infatti di-spongono tutto ovviamente i genitori se ancora vivono, altrimenti i ne-cessari tutori, i "pedagoghi", gli amministratori disposti dal tribunale civile, e finché i genitori, se vivi, dispongano altrimenti (v. 2).

La comparazione serve a delineare la nostra stessa condizione: da "piccoli" — poiché la crescita fu solo dal battesimo — i padroni nostri erano gli "elementi del mondo" (v. 3). L'espressione è difficile, ma dice circa questo: prima della fede gli uomini conservano un certo "lume della ragione" (cf. Rom 1, 18-23), per cui dalla creazione visibile po-trebbero risalire al Creatore e Dio e Signore. Di fatto la deviazione con-statabile è la caduta addirittura nell'idololatria, come dirà il v. 8, ossia ignorare il cielo, e curvarsi all'adorazione di quegli "elementi" (astri, cielo, terra, fonti, fiumi, montagne, animali...).

E però la Disposizione divina provocò la "pienezza (plèróma) del tempo (chrónos)", dove il "tempo" è quello malvagio, trasformato bensì in kairós, il tempo opportuno, stabilito, positivo. Allora il Padre inviò il Figlio Unico secondo la legge della natura umana: nato dalla Donna, la Semprevergine Sovrana Madre di Dio (gynè qui è titolo nobiliare!), di-sposto a vivere "secondo la Legge antica" nell'obbedienza (v. 4).

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17 SETTEMBRE

II fine di questa vera katastrophè, ribaltamento delle condizioni del-la storia degli uomini, è uno solo: riscattare i sudditi della Legge, anzi-tutto, e donare ad essi la filiazione divina nel Figlio (v. 5).

Il v. 6, fuori della pericope odierna, ribadisce: il Padre inviò (exapo-stélló, come al v. 4!) lo Spirito Santo, "Spirito del Figlio di Dio", nei cuori. E lo Spirito Santo nei cuori grida Egli stesso la suprema accla-mazione: 'Abbà'l,Padre! È l'evento battesimale richiamato sopra. Ma 'Abbà' si grida sempre, con il "Padre nostro", in specie nella Divina Liturgia, ed in ogni occasione di preghiera, supremo grido d'amore al Padre Buono dei figli con il Figlio Buono nello Spirito Tuttosanto e Buono e Vivificante.

Fu anche il supremo grido dei Martiri, duplicemente battezzati dallo Spirito del Figlio, prima alla kolymbèthra e poi nel dono della loro vita per testimoniare Cristo Signore.

5. E VANGELO

a) Alleluia: Sai 39,2.3b, "Azione di grazie individuale".Il Salmista ricorda che aveva riposto ogni speranza nel Signore. Co-

me sempre, allora, il Signore volse il suo Volto di Misericordia verso lui, ed accolse il suo grido. Così è dei Martiri.

Lo Stichos (v. 3b) conferma: il Signore pone il suo fedele saldamente sulla roccia incrollabile che è la Vita eterna, e dispone che i suoi passi si dirigano verso questa Vita senza tramonto. Ancora richiamo ai Martiri.

b) Me 5,24-34II Signore Gesù, battezzato dallo Spirito Santo, passa lungo la Gali-

lea annunciando nella Potenza divina dello Spirito l'Evangelo del Re-gno, ed operando le opere irresistibili con cui riconquista il Regno del Padre, in specie l'espulsione dei demoni (5,1-20), le guarigioni (la peri-cope di oggi) e le resurrezioni (5,21-23.35-43).

Il parallelo di Le 8,41-56 è stato commentato nella Domenica 7adi Luca, alla quale si rimanda per i contenuti. Qui si daranno alcune trac-ce proprie di Marco.

Ed anzitutto, è questione del contatto volontario del Signore con una donna, già proprio perché donna, e poi malata gravemente di perdite di sangue da ben 12 anni, senza rimedio né speranza di guarigione. Se si può dire così, si ha il caso di una tipica "debolezza" femminile (non nel senso moderno! Le donne non sono il "sesso debole"), ossia una situa-zione che incide gravemente sulla condizione di donna, rendendola inavvicinabile, di certo invisa a parenti e ad amiche, non tollerata dalla società. Inoltre, una donna malata così, era esclusa dall'assemblea litur-gica, fatto massimamente grave per un'Ebrea credente e fedele.

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CICLO DEI MENAIA

L'incontro con Gesù avviene in realtà come accostamento reciproco: Gesù "va tra la folla" per soccorrere la figlia di Iair, il capo della sina-goga, che è data come morente; ovviamente non "va" solo per la bam-bina, poiché "venne" per tutti. La donna si accosta, e nella fede sa che solo se toccherà il lembo della veste del Signore, sarà guarita.

Quando la donna osa compiere questo gesto, Gesù lo sa. Anzitutto, sa che la potenza guaritrice che promana dalla sua santa Umanità, è stata posta in effetto: dalla fede della donna. E poi — qui solo Marco lo annota — sa che si tratta di una donna tra la folla, e quindi "guardava intorno per vedere quale donna (con il pronome femminile tèn) questo aveva fatto (con il participio aoristo femminilepoiésasan) (v. 32).

Va notato che Gesù accetta il gesto, però tiene a ribadire che "la fede tua ha salvato te" (v. 34). E la rinvia in pace (ivi).

La gloriosa Martire Sofia e le sue conmartiri Figlie, in apparenza "donne deboli", confermano oggi come il loro Signore accettò la loro fede, le rese invincibili, le ammise nella "sua Pace".

La Chiesa antica sapeva che la potenza malefica e mortale del de-monio è vinta dalla fede, ma specialmente in due modi: la fedeltà alla Parola di Dio, ed il martirio delle Donne fedeli (Origene).

6. Megalinario Ordinario.

1 .KoinònikónDel giorno occorrente.

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23 SETTEMBRE

IL CONCEPIMENTO DEL VENERATO, GLORIOSO

PROFETA, PRODROMO E BATTISTA

GIOVANNI

Si dovrà notare qui, e con grande attenzione, che la data del concepi-mento di Giovanni figlio di Zaccaria sacerdote e di Elisabetta, fissato dalla Chiesa al 23 Settembre, è data storica, non ideologica. Infatti per ideo-logia si può ragionare così: poiché Gesù fu annunciato alla Vergine di Na-zaret il 25 marzo, e poiché questa corse dalla cugina Elisabetta che era in-cinta da 6 mesi, allora, essendo nato Gesù 9 mesi dopo il mese di marzo, si ha che per Giovanni tutto deve essere retrodatato, per coincidere con la narrazione evangelica, di 9 mesi, la sua nascita cadendo così a giugno.

È strano, ma tale calcolo è giusto proprio perché è fondato su dati storici, scoperti questi ultimi anni.

Nelle grotte di Qumràn, sul Mar Morto, dove la comunità monastica forse di Esseni aveva nascosto parte della sua imponente biblioteca per sottrarla alle distruzioni dei Romani (anni 66-70 d.C), gli esploratori tra l'altro hanno ritrovato finalmente le "liste dei turni" dei sacerdoti nel tempio di Gerusalemme all'epoca di Cristo. Tali liste assegnano 2 turni di officiatura, secondo l'ordine immutabile, alla famiglia di Abijah, a cui apparteneva Zaccaria. Il 2° di tali turni cadeva ali' 8° mese ebraico, circa settembre.

Questo stabilisce che il 25 Marzo, e dunque il 25 Dicembre per Ge-sù, e il 23 Settembre e 24 Giugno per Giovanni il Prodromo, sono sem-plicemente date storiche, conservate religiosamente dalla Chiesa. Vedi anche il 25 Dicembre.

E la Chiesa per l'immensa figura del Prodromo ha voluto disporre una serie di celebrazioni che mostrano la perfetta assimilazione al Si-gnore e suo parente Gesù, del "più grande tra i nati da donna": conce-zione, nascita, martirio, santità. Vedi il 29 Agosto.

1. AntifoneAntifone ordinarie, o i Typikd e i Makarismói.

2. EisodikónOrdinario.

3. Tropari

1) Apolytikion del Prodromo. È la rilettura di una serie di testi biblici. È richiamato Is 54,1, nell'indirizzo ad Elisabetta, invitata a gioire, lei che fino a quel momento era la sterile incapace di partorire. In lei avvenne

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CICLO DEI MÉNÀIA

il prodigio, connotato dalYidoù, ecco, come normalmente si dice quando il Signore interviene nell'esistenza dei suoi fedeli: ella concepì la lampa-da che annuncia il Sole. È la rilettura di Gv 1,6-8, dove Giovanni è il "te-stimone della Luce" del Verbo Dio, e di Gv 5,35, dove Gesù stesso dice di Giovanni: "Era egli la lampada (lychnos) che arde ed illumina"; ed in-fine di Gv 3,30, dove parla Giovanni stesso di Gesù: "Si deve che Egli cresca, e che io diminuisca". La lampada di fronte al Sole è infinitamen-te meno, e tuttavia non è annullata, poiché indica sempre Colui che, Sa-pienza divina, è la Luce su tutta la "futura Oikonomia", già malata di ce-cità colpevole. È chiamato a gioire anche Zaccaria, che ormai può grida-re apertamente (con parrhèsià): "Colui che sta per essere partorito, è Profeta dell'Altissimo!", rilettura di Le 1,76.

2) Apolytikion del Santo titolare della Chiesa.

3) Kontàkion: Prostasia tón christianón.

4. Apóstolos

a) Prokéimenon: Sai 63,11.2, "Supplica individuale".Il giusto è esortato a gioire nel Signore, a confidare in Lui solo (cf.

VApolytikion), insieme con tutti i fedeli dal cuore retto.Lo Stichos (v. 2) è l'epiclesi al Signore affinchè ascolti il gemito del

suo giusto, come ascoltò Zaccaria ed Elisabetta.

b) Gai 4,22-27È VApóstolos del 9 Settembre a cui si rimanda, annotando che la si-

tuazione di Gioacchino ed Anna era analoga a quella di Zaccaria ed Elisabetta. Ricorre anche qui la rilettura di Is 54,1, sull'esultanza della sterile che adesso il Signore guarisce.

5. EVANGELO

a) Alleluia: Sai 91,13.14, "Azione di grazie individuale".La meditazione del Salmista si appunta sul Giusto, che a suo tempo,

come Zaccaria, germoglia come la ricca palma da frutti, e diventa glo-rioso come un cedro del Libano che si innalza al cielo.

Lo Stichos (v. 14), precisa: i Giusti sono trapiantati nella Casa del Signore, fioriscono negli atrii di Lui. Zaccaria come sacerdote fu que-sto a duplice titolo: per officiare nel tempio, e per entrare a far parte della Casa del Signore, il cui Capo è Cristo Signore (Ebr 3,6).

b)Le 1,5-25Luca è uno storico del tutto affidabile. Egli precisa la sua metodolo-

gia nel "prologo" del suo Evangelo: 1,1-4. Sa di essere della seconda generazione apostolica, quando altri prima di lui (in specie Matteo, ma

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23 SETTEMBRE

anche Paolo, Pietro, Giacomo) hanno già scritto sul Signore, per essere stati testimoni oculari e dunque "ministri della Parola". Era necessario che anche lui seguisse questa via, per le necessità delle Chiese. Perciò fece diligenti ricerche, sia negli archivi del tempio, sia interrogando gli Apostoli, sia soprattutto la Madre del Signore. Così ordina tutti i fatti appurati cominciando dall'inizio, così che il lettore (qui, il nobile Teo -filo, un personaggio peraltro sconosciuto) sia confermato in quella Ve -rità, della quale già fu "catechizzato".

Ora, con l'"Evangelo dell'Infanzia del Signore" (Le 1,5 - 2,52), Luca vuole fare, come Matteo (Mt 1,1 - 2,23), una specie di atrio narrativo della Vita del Signore, per così dire "l'inizio dell'Inizio". E ci riesce splendidamente. Senza Luca, si ignorerebbero molti fatti storici della Vita del Signore, tra cui le date certe che costellano l'opera lucana.

Luca allora procede così: concepisce qui un dittico, i cui due pannel li preziosi ed interconnessi sono Giovanni il Prodomo e Gesù. Del resto il medesimo dittico fa con l'Evangelo e gli Atti, con la Vita di Cristo e la vita della Chiesa, viste come analoghe in tutto. Per descrivere gli esordi delle vite del Prodomo e del Veniente Figlio di Dio, Luca si ser ve abilmente del linguaggio dei LXX, creando dunque in greco un'at -mosfera narrativa fortemente ebraica attraverso l'uso di numerosi ed importanti semitismi.

La pericope di Le 1,5-25 va letta da diversi punti di vista, tutti im-portanti. Ed anzitutto, nel contesto dell'intervento divino tipico che si chiama euaggelismós, 1'"annuncio della Novella regale" di bene, se-condo il testo fontale, a cui occorre di continuo rifarsi, di Is 52,7, con il verbo primordiale bissér-euaggelizomai, e con il contenuto universale: "Regnò il Signore!". Ora, il N.T. al suo aprirsi contiene una serie bene ordinata di reiterazioni di questo intervento, in una grande coerenza, che si può disporre così:- Le 1,5-25: Veuaggelismós aZaccaria; il verbo al v. 19;- Le 1,26-38: a Maria Vergine di Nazaret;- Mt 1,18-25: a Giuseppe il giusto;- Le 1,39-56: ad Elisabetta, la "visitazione", o Vaspasmós;- Le 2,20-12: ai Pastori di Betlemme; il verbo euaggelizomai al v. 10.

Si nota che l'Evangelizzatore è sempre l'Angelo del Signore, ad eccezione però che per Elisabetta, dove l'Evangelizzatrice è Maria la Madre di Dio. Inoltre, il contenuto unico dell'Euaggelismós, come poi deWEuaggélion— cf. il classico Me 1,1! — è Gesù il Cristo, il Figlio di Dio.

Sarà anche interessante sopra annotare che i primi 4 episodi del-VEuaggelismós qui elencati formano l'ossatura tipica delle Domeni che del "tempo del Subbàrà1", ossia dell' Annuncio, che precedeilNa-VEuaggelismósquielencatifo il datale del Signore nelle Liturgie siriache delle due tradizioni, orientale e

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CICLO DEI MÉNÀ1 A

occidentale (si può aggiungere anche la Domenica della Nascita del Battista come 4a 5, nella Liturgia maronita). Di questo si dovrà par-lare poi per il 25 Marzo.

D'altra parte, oltre che evidenziare il parallelo Giovanni-Gesù, Luca vuole anche, e forse anche specificatamente, evidenziare il parallelo Li-turgia del sacerdote Zaccaria - Liturgia di Gesù Cristo il Figlio di Dio. Già S. Ireneo (e. 180) aveva acutamente percepito che gli Evangeli aveva ciascuno una "funzione" complementare con gli altri:

"Gli Evangeli non sono né più né meno di questi 4. Poiché 4 sono le regioni del mondo, e 4 i venti principali, e poiché la Chiesa è disse-minata sulla terra intera, e "colonna e fondamento della Chiesa" (cf. 1 Tim 3,15) sono l'Evangelo e lo Spirito della Vita, così 4 sono le Colonne che spirano dappertutto l'incorruttibilità, e donano la vita agli uomini.Di qui appare che il Verbo, Artefice di tutto, che sta intronizzato sui Cherubini (Sai 79,3) e tiene unito tutto (Sap 1,7), ci donò un unico Evangelo quadriforme, informato dal medesimo Spirito. Per questo David, invocando la sua Venuta, dice: "Tu, intronizzato sui Cherubini, vieni!" (Sai79,3). I Cherubini infatti hanno 4 aspetti, che rappresentano l'attività del Figlio di Dio: "II primo Vivente — dice il Profeta (Ez 1,10; Ap 4,7) somiglia al Leone", caratterizzando così la sua operazione dominatrice e regale. "Il secondo è simile al Vitello", indicando la sua destinazione al sacrificio ed al sacerdozio. "Il terzo ha il volto d'Uomo", riferendoci chiaramente alla sua Ve-nuta nella natura umana. "Il quarto è simile all'aquila volante", se-gno della Grazia dello Spirito che alita sulla Chiesa. A tali simboli corrispondono gli Evangeli nei quali sta Cristo...".

Si noti qui l'uso simbolico della Chiesa antica, quello originale: il leone è Giovanni, il Vitello è Luca, l'Uomo è Matteo, l'Aquila è Marco. Per ciascuno, S. Ireneo da la splendida giustificazione. A noi qui interessa la caratterizzazione di Luca:

...E quello "secondo Luca", poiché è di carattere sacerdotale, comin-ciò da Zaccaria il sacerdote offerente incenso a Dio (Le 1,8-10). Già era infatti preparato il vitello ingrassato, che per il ritrovamento del figlio più giovane stava per essere immolato (Le 15,23) (S. IRENEO, Adv. haer. 3,11,8, in PG 7,855B; cf. sopra, p. 161).

Per Luca, la storia della salvezza è una continua Liturgia davanti alla Maestà indicibile del Signore, e in questa visione concepisce la sua opera: dove tale Liturgia passa — nell'esitazione che è il sussulto

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NOTA SULLA LITURGIA DELL'A.T.

per la gioia troppo grande — dal turno officiante del sacerdote Zacca-ria alla Benedizione finale eterna consacrante dell'Unto di DioGesù, il Crocifisso ma Risorto. Così, la lapericope dell'Evangelo (escluso ilprologo), ossia i vv. 5-25, deve essere letta secondo la "lettura Ome-ga" subordinatamente all'ultima, 24,50-53, dove Cristo Risorto, ter-minata la sua Liturgia sacrificale oblativa terrena per il Padre, può fi-nalmente "levare le mani" sui discepoli, e "benedire", per salire quin-di ad inaugurare la Liturgia celeste cosmica eterna. Benedire. Zacca-ria non aveva potuto.

La Liturgia di Zaccaria, vera e divina secondo la Legge santa, dove-va terminare con la "benedizione" al popolo. Ma fu arrestata.

L'euaggelismós a Zaccaria si colloca dunque dentro la Liturgia, il momento più vero della vita umana. In specie, la vita ebraica fedele era considerata una continua Liturgia. Per comprendere questo occorre qui una Nota complementare.

NOTA SULLA LITURGIA NELL'A.T.

Ai "tempi del N.T." (data convenzionale: circa 63 a.C. - 70 d.C, os-sia dalla conquista di Pompeo alla distruzione di Gerusalemme) il mon-do antico ammirava come centro esemplare di culto irreprensibile il santuario di Gerusalemme; il rispetto per il luogo ne aveva fatto, secon-do il concetto della sacralità antica, anche un luogo di deposito intangi-bile di beni da tutte le nazioni. Si accorreva a Gerusalemme per vedere, e chi lo desiderava poteva chiedere di essere associato alle preghiere che si svolgevano nel tempio e ai benefici che se ne credevano ricchi, donando le offerte necessarie. Quotidianamente si pregava anche per l'imperatore di Roma, e precisamente la sospensione di tale pubblica intercessione sacerdotale nel 66 d.C. fu il segnale della ribellione ebrai-ca contro Roma.

Il tempio stava dunque sotto il "segno" del culto "perenne", ininter-rotto anche come orario, in ebraico chiamato tàmid, che nei passi corri-spondenti dell'A.T. il greco traduce in genere con diapantós, "per sem-pre, ininterrottamente", oppure endelechós, ininterrottamente, o anche endelechismoù, "(culto e simili) della non-interruzione", o con additi-vo, endelechismoù dia pantós. Questa "perennità" ininterrotta notte e giorno va compresa sotto diversi registri.

A) La lode perenne (tàmid)Se si assumono i testi come stanno (senza dunque la ricerca "ar-

cheologica" ipotetica delle fonti e della cronologia), si sa che tempio e personale sono destinati alla lode divina perenne; il ceto sacerdotale

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CICLO DEI MÈNÀIA

che sovrintende al sacrificio (1 Cron 16,39-41: Eman e Idutun), i leviti che aiutando i primi, hanno la funzione "diaconale" di far pregare il po-polo (1 Cor 23,30-31), soprattutto intorno all'arca (1 Cron 16,37, Asaf e i fratelli; notte e giorno, Sai 133; Is 21,8; 62,6), sono i punti di forza del culto continuo (cf. 2 Cron 2,3, come scrive Salomone a Hiram, chiedendo il suo aiuto per costruire il tempio).

B) La disposizione sacerdotale perenne (tàmid)Si esprimeva ovviamente con l'atteggiamento celebrativo, ma anche

"pastorale", di cura per il popolo, la santa eredità. Simbolicamente due paramenti erano tàmid, perenni:- il pettorale, che su 12 gemme portava incisi i nomi delle 12 tribù d'I-

sraele (cf. Es 28,29-30);- la lamina d'oro, con inciso sopra "Santo per il Signore" (Es 28,38),

da portarsi tàmid, costantemente, poiché il sommo sacerdote che siaccosta al Signore per impetrare per il popolo deve essere irreprensibile in quanto reso santo dal Signore stesso.

C) L'apparato santo tàmidTutti gli elementi adesso elencati sono tàmid, poiché sono "segni"

necessari del culto perenne:- il fuoco del sacrificio (Lev 6,6);- il candelabro a 7 bracci (Es 27,20; Lev 24,2-4);- il Pane "della proposizione", e anche "del Volto" o "della Presenza" (Es

25,30; Lev 24,8; Num 4,7), che come materia sacramentale era considerata "santo dei santi", ossia "la più santa" tra tutte quelle del culto;

- l'aroma soave da bruciare sull'altare apposito (Es 30,8), la mattina ela sera, in rapporto al rabboccamento del candelabro (Num 4,16);

- l'olocausto, momento massimamente rappresentativo e aggregante,deputato a Sadoq e ai suoi figli (1 Cron 16,39-40), con i leviti checantano le lodi divine (1 Cron 23,31), secondo la minuziosa legge diNum 28-29.

D) Liturgia tàmid come tempo tàmidSi considerava come attuazione perenne la creazione terminata con

la benedizione, con la scansione settimanale e con il sabato quale cul-mine liturgico (cf. Gen 1,31 - 2,4).

La settimana così aveva simbolismo cosmico, ma anche il giorno, che riassumeva in sé la settimana, anzi tutto il tempo. Così il culto doveva es-sere celebrato tàmid, perennemente, ossia "mattina e sera", ossia "sem-pre, durante il giorno", nel senso che le due estremità indicano la totalità: Es 29,39: Lev 9,17; Num 28,4.23; 4 Re (= 2 Re) 16,15; 2 Cron 2,4; Ez 46,15, per il mattino; Es 29,39; Num 28,3-8,23; Ez 3,3, per la sera.

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NOTA SULLA LITURGIA DELL'A.T.

Il culto quotidiano nel tempio,la mattina (circa all'ora 3 \ ossia le 9) e la sera (circa all'ora 9a, oss& ^ ^ era il,primo e fondamentale di ogni altro aspetto celebrativo.

In Num 28,10 - 29,38 si statuisce sul culto del sabato, la principale "festa" del calendario; della pasqua, della pentecoste, delle Capanne, poi del Capodanno e dell'Espiazione. Per ciascuna festa il culto è tàmìd. Ma in quella pericope si riafferma ben 14 volte questo fatto:- ogni giorno, precede il tàmìd quotidiano, insostituibile, fondamenta

le;- poi si fa il tamìd del sabato e delle altre feste.

Così, per dare idea della "perennità, quel Sabato in cui il Signore Gesù riposava nel sepolcro, si accumularono i riti così, mattina e sera:- prima il tàmìd quotidiano,- poi quello del sabato "segnalato",- poi quello della pasqua ebraica,- e la sera, il rito non sacrificale dell'agnello pasquale.

E) Una "teologia della storia"La lode celebrata "perenne" era considerata la vita stessa del popo-

lo di Dio, "popolo della lode". Questo è visibile almeno in due grandi momenti:- quando Nabucodonosor distrugge il tempio (a. 586 a.C), la nazione

sembra abbattuta per sempre. Di fatto, quando da Babilonia cominciano a tornare gli esiliati (dopo il 538 a.C, con 1'"editto di Ciro"), ilprimo "segno" della ripresa, che condizionerà l'intera vita del popolod'Israele rinnovato, è il tàmìd nel santuario restaurato: Esr 3,5-6, secondo la grande legislazione di Num 28-29 (cf. qui sopra); Neh10,33-34, secondo la medesima legislazione;

- quando Antioco IV Epifane contaminerà il tempio (cf. Dan 8,11-13; 11,31), e come primo "segno" abolirà precisamente il tàmìd, la nazione ebraica appare disfatta. Ma la restaurazione dei Macca-bei vittoriosi anzitutto parte dal ristabilimento puntuale del tàmìd dopo i 1290 giorni di privazione (restato come 42, i mesi, quale numero dell'abominazione della desolazione idololatrica, e dun-que della persecuzione dei "santi" del popolo): Dan 12,11, e sem-pre secondo Num 28-29.

La storia d'Israele con il suo Signore prosegue nel "segno" principaledella lode perenne.

F) II tàmìd di Zaccaria sacerdoteLuca accenna appena, ma a sufficienza per chi conosce le realtà del

culto ebraico, che Zaccaria sta alla fine della celebrazione quotidiana, gli resta solo da benedire il popolo.

noi

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CICLO DEI MÉNAIA

Ora, preso in sé, il tàmid della mattina e della sera era identico. La statuizione si ritrova in Es 29,38-46; Num 28,3; Ez 46,13-15. Si avevano come 3 grandi momenti strutturati tra essi:

a) il sacrificio dell'agnello- l'agnello, maschio, di 1 anno, perfetto, era presentato davanti al san

tuario; il sacerdote gli imponeva le mani;- la vittima era uccisa, il sangue era versato sull'altare, il corpo era of

ferto in totalità, "olocausto", ossia consumato dal fuoco permanentedell'altare;

- il sacerdote intercedeva per sé, per i confratelli, per il popolo, comead ogni sacrificio;

- offriva una quantità stabilita di fiore di farina con la relativa quantitàd'olio purissimo, poi libava una rilevante quantità di vino; il fuocosacro "faceva salire" l'offerta al Signore.

Il Signore da parte sua aveva promesso di incontrare il suo popolo proprio in questa occasione, in modo speciale, e così di farglisi presen-te, riconciliato e propizio: Es 29,43-46;

b) l'aroma soave- il sacerdote offriva al Signore nel "santo", sull'altare apposito, l'aro

ma soave che "saliva" al Signore quale preghiera della sera, offertagradita: Sai 140,2; con l'occasione, rabboccava per la giornata o perla notte il candelabro; e recitava la preghiera sacerdotale impetrato-ria. Cf.Es 30,8;

e) la "benedizione" del popolo- il concetto è quello biblico: "la benedizione torna sul benedicente ed

unisce a lui il Benedetto";- la formula usata poteva essere quella ordinaria di Num 6,24-26:

Benedica te il Signore, e custodisca te,illumini il Signore il Volto suo su te, e misericordia ti dia,alzi il Signore il Volto suo su te, e doni a te la pace.

Ma qui è importante tenere conto dei vv. 23 e 27:

A)"Quando voi (sacerdoti) benedirete i figli d'Israele, direte così", esegue la formula;

B) il greco fonde il v. 27 con il v. 23; il tenore è: Così, "essi porranno ilNome mio sui figli d'Israele, ed Io, il Signore, li benedirò";

dove dunque il sacerdote è il mediatore necessario della comunione tra il Signore Benedetto-benedicente e il popolo benedicente-benedetto. E la dinamica di questa béràkah-eulogia da Num 6,24-26 è stupen-

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NOTA SULLA LITURGIA DELL'A.T.

da: è la divina custodia, la Luce divina creante e vitalizzante, il hesed-e/eos-Misericordia dell'alleanza fedele, la costante Visione divina ri-volta al suo popolo, e infine lo sàlóm-eirèné, quella "pace" che è tota-lità di doni e che proviene solo da Lui.

Sarà così da accogliere con gratitudine ammirata il grande testo di Eccli 50,5-21, dove il sommo sacerdote Simone figlio d'Onia è colto quasi con un'istantanea mentre officia il culto tàmid:

Come si glorificò in relazione al popolonell'uscita dall'aula del velo!Come astro mattutino in mezzo a nubi,come luna piena ai suoi giorni,come sole fulgente sul tempio dell'Altissimoe come arcobaleno lucente in nubi di gloria,come fiore di rose nei giorni dei boccioli,come gigli sul corso d'acqua,come germoglio d'incenso in giorni d'estate,come fuoco ed incenso nell'incensiere,come gioiello d'oro martellatoadornato d'ogni pietra preziosacome olivo in gettito di fruttie come cipresso innalzato sulle nubi!Nel ricevere la veste di gloriae nel rivestire la completezza del vanto,nella salita all'altare santo,glorificava il recinto del santuario.Nel ricevere le parti dalle mani dei sacerdotied egli stante presso il fuoco dell'altare,intorno a lui la corona dei fratellicome germogli di cedri del Libano,e lo circondavano come fusti di palme,e tutti i figli d'Aronne nella loro gloriae l'offerta del Signore nelle loro manidavanti all'intera ekklèsia d'Israele,e completando la liturgia sull'altareper adornare l'offerta dell'Altissimo Onnipotente,egli estendeva per la libagione la sua mano,e libava sangue del grappolo,versava alle basi dell'altarequale odore di soavità per l'Altissimo Re universale.Allora strepitavano i figli d'Aronne,con trombe sbalzate echeggiavano,facevano sentire voce poderosa

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CICLO DEI MÉNÀIA

come memoriale davanti all'Altissimo:allora l'intero popolo insieme si affrettavanoe cadevano con il volto a terraper adorare il loro Signore,l'Onnitenente Dio Altissimo.E lodavano i salmodianti con le loro voci,in piena risonanza dolce era la melodia,e supplicava il popolo il Signore Altissimoin preghiera davanti al Misericordiosofinché (Simone) avesse compiuto 1'"Ordine del Signore"e completata la Liturgia di Lui.Allora disceso, alzava le sue manisu tutta l'assemblea (ekklèsia) dei figli d'Israeleper donare la benedizione del Signore dalle sue labbrae per vantarsi nel Nome di Lui.E ripetevano (il popolo) la prostrazioneper ricevere Yeulogia dall'Altissimo.

Adesso si può seguire il testo di oggi, Le 1,5-25. Zaccaria è chiama-to divinamente ad altro ufficio che non può attendere: comunicare la santità divina alla sua sposa, e generare con lei un figlio sacerdotale che sia "Profeta, Prodromo e Battezzatore dell'Altissimo" che viene. Un figlio santo, Giovanni, "sul quale la Parola di Dio" {Le 3,2) che apre la via a Colui che deve venire.

Il riferimento cronologico al v. 5, in apertura della pericope, è "nei giorni di Erode", un semitismo, dove "giorni, hèméraF, significa sia an-ni, sia epoca in genere. Erode è il vecchio re tiranno, di discendenza idu-mea, accorto politico, che comprese come il suo successo sarebbe dipe-so dai dominatori romani, di cui fu alleato fedele ma servile (prima di Antonio, poi di Ottaviano), e dai quali ricevette il regno, tra orribili con-trasti e nefandi delitti, fino alla sua morte, il 4 a.C. (essendo nato verso il 75 a.C). Al momento dell'episodio che adesso Luca narra, Erode è dun-que ancora vivo, e si può presumere che sia verso l'anno 8 a.C.

La datazione serve ad inquadrare la figura maestosa del sacerdote Zaccaria, il cui nome teoforico significa: Zàkar-Jàh, "fece memoriale il Signore", ed è anche significativo di quanto accadrà. Egli faceva parte della famiglia sacerdotale, detta ephèmeria, "di Ab-Jah", nota dall'e-lenco di 1 Cron 24,10. Il termine ephèmenai corrisponde all'ebraico mahlqòt, la cui derivazione è da hèleq, sorte, lotto avuto in sorte per la "divisione" (diairéó) che David fece degli uffici nel santuario secondo i leviti (1 Cron 23) ed i sacerdoti (1 Cron 24). I sacerdoti erano stati di-visi in 24 "case patrie", o "famiglie sacerdotali", con accurata registra-1104

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23 SETTEMBRE

zione di uno scriba (1 Cron 24,6), secondo il tiraggio a sorte (greco klè-ros, ebraico góral). Le 24 classi, chiamate anche mismèròt, "custodie", o ma'àmàdót, "presenze", succedendosi ordinatamente lungo l'anno, dovevano officiare a turno ciascuna 2 volte l'anno.

Fino a qualche decennio addietro, era noto il fatto, ma non le date, ossia i mesi, le settimane e i giorni di ciascuna "classe" sacerdotale, la quale operava con una parallela classe di leviti, e con i turni anche di laici volenterosi. Ma, si accennò, tra le innumerevoli scoperte delle grotte di Qumràn venne anche la lista delle classi sacerdotali che si al -ternavano a servire nel tempio al tempo di Gesù. Così adesso final -mente si sa che la "classe di Abia" doveva espletare ciascun anno 2 turni di servizio:

1°) dall'8 al 14 del mese 3° del calendario ebraico, il mese di Sivan, circa giugno; e

2°) dal 24 al 30 dell'8° mese, Marhesvan, circa ottobre.e,

La lista che adesso possediamo dimostra dall'esterno che Luca narra questo 2° turno, e che l'episodio di Zaccaria avvenne verso la fine di settembre e gli inizi di ottobre, dunque la nascita del figlio Giovanni avvenne 9 mesi dopo, a giugno, data tradizionale ritenuta fedelmente — anche se forse a lungo andare ormai inconsapevolmente — da tutte le Chiese.

E però, se è così, l 'Angelo che aveva visitato Zaccaria ad ottobre, 6 mesi dopo visita la Vergine di Nazaret, dunque a marzo, e 9 mesi dopo, a dicembre, avviene la Nascita del Salvatore nostro.

D'un colpo, sappiamo senza alcun dubbio che il 23 settembre ed il 24 giugno per S. Giovanni il Battista, il 25 marzo ed il 25 dicembre per Cristo Signore, sono date storiche.

Il sacerdote Zaccaria era sposato con Elisabetta, altro nome teofori- co simbolico, JEli-seba\"IIDio mio è(l'oggetto del) giuramento",IlsacerdoteZaccariaerasposatoconElisabetta , dunque l'unica Realtà vera; un'Elisabetta era anche la sposa di Aronne (Es 6,23). Il nome di Elisabetta di Le 1,5 potrebbe essere stato poi ac-costato a sàbat, per cui "Dio è il riposo". Ella è "delle figlie di Aron -ne", ossia di discendenza sacerdotale; il che ricorda che il matrimonio dei sacerdoti, che potevano scegliere una figlia d'Israele purché vergi ne, da qualsiasi tribù, di preferenza però si svolgeva tra le classi sacer dotali (v. 5).

La nota di elogio per Zaccaria ed Elisabetta è: "giusti davanti a Dio", che si ritrova per grandi figure come Noè (Gen 6,9), trovato tale ed unico della sua generazione dal Signore stesso (Gen 7,1); e in seguito, come il pio Simeone (Le 2,25). La spiegazione è che i due sposi "procedevano (poréuomai)", ossia si comportavano nella loro esistenza

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come irreprensibili, praticanti "precetti e giustificazioni del Signore" (v. 6). Questi termini richiamano la fedeltà alla Legge santa, come a lungo canta il Sai 118, dove i precetti sono il comportamento devoto secondo l'alleanza divina manifestata, e le giustificazioni, termine in parte sinonimo di precetti, indicano quanto è stabilito dal Signore a vantaggio dei suoi fedeli (e traduce una serie di termini ebraici come piqqùdim, mispàt, hoq, huqqàh). In una parola, Zaccaria ed Elisabetta erano pii e devoti fedeli, dal cuore osservante la divina Volontà. Così "procedeva" Abramo (Gen 17,1). Così il Signore avrebbe voluto che avesse proceduto Salomone (3 Re (= 1 Re) 9,4). Così procedeva la Chiesa degli Apostoli (At 9,31). E così Paolo esige dai suoi fedeli (1 Tess 5,23; FU 2,15), pronto per questo a giustificare il suo stesso com-portamento (At 23,1) (v. 6).

La seconda nota, dolorosa, è che i due santi sposi non avevano prole, anzitutto perché Elisabetta era sterile, e poi perché ambedue erano anziani. Il tema della sterilità è frequente nella narrazione biblica, ed implica sempre un impedimento immediato alla linea genealogica della storia della salvezza, e perciò all'irruzione del Signore nella vita dei suoi "scelti", la quale procede di necessità "di generazione in genera-zione". Ora, già Sara, la sposa d'Abramo, sterile, fu visitata dal Signo-re, ed ebbe la grazia del "figlio della promessa", Isacco (cf. Gen 18,1-15, la promessa; 21,1-7, la nascita). Anche la sposa d'Isacco, Rebecca, era sterile, ma Isacco pregò il Signore, che concesse il figlio, questa volta gemelli, Esaù e Giacobbe, alla madre resa felice (Gen 25,21). An-che la sposa di Giacobbe, Rachele la bella, era sterile, e il Signore "fece memoriale di lei, l'esaudì (per la preghiera) e fece che concepisse" (Gen 30,22) Giuseppe (v. 23). Così la linea patriarcale, che è regale e messianica, prosegue secondo la fecondità del divino Disegno. Il tema diventa tipologico: la stessa Sposa del Signore, la Città di Dio, ad un certo punto si trova ad essere sterile, ma il Signore la guarirà a suo tempo (Is 54,1-17), poiché "nulla è impossibile" a Lui (cf. Le 1,37). La sterilità per gli antichi era considerata un flagello divino, una "vergogna" sentita quasi come una punizione. Per questo Luca avanza qui questa annotazione (v. 7).

La situazione delineata è simile a quella già vista il 9 Settembre, per i giusti e santi Gioacchino ed Anna (vedi sopra).

I seguenti vv. 8 e 9 pullulano di termini biblici (dai LXX) relativi al servizio liturgico sacerdotale nel tempio di Gerusalemme. "E avvenne" è un tipico semitismo dei LXX, che corrisponde all'ebraico va-jéhi. Mentre Zaccaria officiava liturgicamente, hieratéuein (verbo usato solo nel Pentateuco e solo in testi attribuiti alla "tradizione sacerdotale", con il verbo ebraico kàhan all'intensivo, esercitare il sacerdozio), sta adem-

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piendo all'"ordine del turno suo" (tàxis tès ephèmerias); egli "secondo l'uso dell'officiatura sacerdotale" (éthos tès hieratéias), riceve in sorte di entrare "nel tempio del Signore". Questo è il "santo", che è diviso dal velo rispetto all'inaccessibile "santo dei santi", dove solo il sommo sacerdote, una volta l'anno, con l'incenso ed il sangue sacrificale puri-ficatorio può entrare invocando il Nome divino per il popolo, il "gran-de Giorno dell'Espiazione" (il Kippùr, cf. Lev 16). Nel "santo", dispo-sto verso l'oriente, al lato settentrionale sta il tavolo con i 12 Pani del Volto (o della preposizione, 1 per ciascuna tribù d'Israele), rinnovati ogni sabato con incenso, e mangiati il sabato dopo sul luogo stesso dai soli sacerdoti; al lato meridionale sta il candelabro perpetuo a 7 brac-cia; al centro è posto l'altare dell'aroma soave. Qui Zaccaria deve offri-re l'incenso al Signore, come segno della chiusura del sacrificio "pe-renne" quotidiano, dopo di che deve benedire il popolo presente.

Di fatto (v. 10) questo popolo pio ed orante (con i Salmi) sta in atte-sa, "fuori", il che indica l'atrio "degli Israeliti" e quello più esteriore "delle donne"; dal primo si accedeva ali'"atrio dei sacerdoti" dove stava l'altare sacrificale e la conca per le abluzioni e da questo si entrava nel "santo" mentre dal secondo si usciva verso 1'"atrio dei pagani", e di qui all'esterno.

Ed avviene l'imprevedibile. L'"Angelo del Signore" dalla destra del-l'altare dell'incenso, dunque accanto alla tavola dei Pani che sono la realtà più santa del luogo (cf. Lev 24,5-9: "sono la realtà più santa tra le offerte per il Signore", v. 9), si rende visibile a Zaccaria. L'Angelo "sta in piedi" (hestós), il che indica la prontezza sua nel venire per adempiere la missione divina assegnatagli (v. 11). L'espressione dell'A.T.: "l'Ange-lo del Signore" indica diverse realtà. Si può trattare di una creatura fede-le, un ente incorporeo, un "Angelo" intelligente, sensibile, amante, fede-le (Sai 102,21); si può trattare anche di un fenomeno naturale come la folgore, quale "segno" per gli uommini (cf. Sai 103,4). In ogni caso, queste creature debbono "operare una liturgia", ossia un'"opera in favore del popolo" di Dio. Ma l'Angelo di Dio molto spesso è una metafora per indicare l'intervento diretto, personale, del Signore stesso, come quando accompagna Israele nell'esodo (cf. Es 23,20).

Qui è bene anche accennare alla fede della Chiesa Madre di Geru-salemme, quella giudeo-cristiana, che con suggestiva teologia simbolica concepiva, in modo del tutto ortodosso, la santa Triade divina come la Comunione indicibile di essenza che unisce in eterno il Padre con 1'"Angelo" Figlio e con l'"Angelo" Spirito Santo. Qui "Angelo" va preso in senso biblico, a partire da Is 9,6 (LXX), dove "il Figlio che nasce per noi, il Figlio donato a noi", si fa umile "Angelo del Grande Consiglio" (cf. qui ancora la teologia di Giovanni: il Verbo viene per

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annunciare solo quanto vide ed ascoltò dal Padre; così lo Spirito Santo in Gv 16,13-15!; e la grande teologia di S. Massimo il Confessore). La stessa Chiesa chiamava il Figlio Dio e lo Spirito Santo Dio: "le Mani del Padre" nell'eseguire l'opera della divina salvezza (cf. qui ancora S. Ireneo). Se la Chiesa "della gentilità" in seguito ritenne di affermare la fede ortodossa secondo categorie meno simboliche e più ontiche (cf. Nicea I), che dessero meno ansa a deviazioni eretiche di tipo su-bordinaziano, resta che la visione simbolica della prima generazione cristiana non deve essere disprezzata né abbandonata, ma può essere utilmente contemplata nella sua meravigliosa profondità che viene dalla divina Rivelazione.

La reazione di Zaccaria è tipica. Quando avviene una teofania, infatti, la struttura creaturale dell'uomo è "sconvolta" dall'inusuale, improvviso e prodigioso, e "il terrore cade" su chi ha tale esperienza. La Scrittura dei Due Testamenti presenta numerosi casi del genere. Per il N.T. basterà citare la reazione dei Pastori all'annuncio della Nascita del Si-gnore (cf. Le 2,9), e quella delle Donne fedeli al sepolcro, quando ap-pare ad esse l'Angelo del Signore (cf. Mt 28,8) (v. 12).

E però, quando la teofania è benevola (esiste anche quella rovinosa contro i nemici di Dio), di solito viene la parola rassicurante: "Non te-mere, Zaccaria", come "Non temete" ai Pastori (Le 2,10), e "Non teme-te" alle Donne fedeli al sepolcro (Mt 28,5). Infatti la Parola divina che adesso è pronunciata deve essere accettata con animo disposto, quieto, docile (v. 13a).

Ed ecco Veuaggelismós (verbo euaggeli'zomai, al v. 19) dell'Angelo di Dio: "Non temere, poiché fu esaudita la preghiera tua" (v. 13b). In-fatti Zaccaria prosegue la grande tradizione dell'A.T. sugli oranti e per-severanti nella preghiera al Signore. Nella preghiera si chiede al Signore qualche dono, sulla base della sua Misericordia e Bontà, e della fedeltà indefettibile all'alleanza divina, con cui Egli si è impegnato per sempre verso i suoi devoti che ama. I Salmi sono come la vetrina vivente di questo: i Salmisti sono gli oranti per eccellenza, e non raramente essi dichiarano anche di essere stati esauditi dal loro Signore. Così tutti i "Salmi di azione di grazie", che celebrano il Signore esau-diente generoso. Ma anche diversi altri Salmi. E qui l'esempio classico deve essere il Sai 21, una "Supplica individuale", dove il Giusto sofferente, vicino alle soglie della morte (vv. 2-22), finalmente può esclamare la gioia dell'esaudimento divino (vv. 23-32). Si possono vedere anche i Sai 27,6-8; 29,11-13; 30,22-23; 40,12-13; 61,12-13, e così avanti. Il Signore ascolta sempre la preghiera degli umili, anche tra i pagani, come Cornelio (At 10,4.31). Poiché tale preghiera: a) riconosce lo stato della propria necessità; b) e la propria impossibilità a porvi rimedio; e)

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e che solo al Signore è possibile intervenire; d) e dunque l'orante si af-fida completamente alla divina Misericordia.

Luca non narra il contenuto della preghiera di Zaccaria; con qualche probabilità, si può arguire che chiedesse un figlio per proseguire la di-scendenza sacerdotale, assicurando così al Signore il servizio fedele. Ma il Signore esaudisce sempre quanto alla petizione, non quanto al preciso contenuto di questa, poiché Egli vuole concedere al suo sacer-dote molto di più.

Perciò l'Angelo (v. 13c) precisa: "Elisabetta genererà un figlio a te". Questo è l'intervento divino prodigioso, dove come alla santa madre della Madre di Dio si possono applicare le parole del Profeta "Esulta, o sterile senza figli, prorompi in grida di gioia tu senza doglie...!" (Apóstolos del 9 Settembre, cf. Gai 4,27, che cita Is 54,1). L'intervento divino dunque dona un figlio a Zaccaria: un figlio sacerdote come è nella tradizione dopo Aronne. Un figlio che appartiene per la totalità al padre sacerdote. Il quale come segno di "proprietà" sul neonato gli deve anche imporre un nome inusuale (cf. 1,59-63), Jó-hànan, "II Signore fece grazia".

Di questo "Giovanni", l'Angelo traccia un elogio straordinario. An-zituto segnerà per Zaccaria "gioia ed esultanza" quale coronamento della sua esistenza davanti al Signore. E però anche molti altri ne avranno gioia, e non solo i parenti e vicini, ma tutti quelli ai quali giun-gerà la parola profetica di questo futuro neonato (v. 14). Egli infatti sarà "grande davanti al Signore", e Gesù stesso proclama questo a suo tempo: "Giovanni, il più grande tra i nati da donna" (Le 7,28; cf. Mt 11,11). I suoi costumi saranno esemplati su rigoroso ascetismo, ossia, come gli antichi nazirei (cf. Num 6,3) egli sarà donato al Signore, ma non a tempo come quelli, bensì per sempre, come Samuele (cf. 1 Re (= 1 Sani) 1,11); il segno sarà l'astensione da bevande fermentate ("vino e sicera", una specie di birra).

Però il "segno" supremo della singolarità di Giovanni è quello mes-sianico escatologico: sarà riempito di Spirito Santo fin dal seno della madre sua (v. 15). In 1,41 lo Spirito Santo farà esultare Giovanni nel seno di Elisabetta, quando Maria la Madre del Signore, che ha concepi-to divinamente il Verbo Dio, Lei vera Arca dell'alleanza, visiterà la sua parente, e questa stessa sarà riempita di Spirito Santo (cf. 1,44). È la scelta del Signore, fin dal primo istante dell'esistenza umana, come è detto del Servo (Is 49,1.5), di Geremia (Ger 1,5), dell'Apostolo delle nazioni (Gai 1,15, che citaIs 49,1).

Luca insisterà poi nella descrizione di Giovanni: "la Mano del Si-gnore" starà con lui, metafora che indica lo Spirito Santo (cf. Le 11,20, "il Dito di Dio"); il fanciullo cresceva in età ed era fortificato dallo Spi-rito Santo (1,80), vivendo nel deserto in preghiera e contemplazione, in vista della sua missione.

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Della missione, l'Angelo traccia una linea: Giovanni anzitutto "convertirà molti dei figli d'Israele" al Signore. Epistréphó ed epi-strophè, ebr. sub e tésùbàh, è il violento sterzare dalle vie malvage per rimettersi sulla via regale del Signore. La conversione è dono divino, sempre, ed è perciò sempre opera dello Spirito Santo (cf. At 2,38-39). Per la potenza dello Spirito Santo quindi Giovanni riporterà "al Signore Dio loro" molti fedeli traviatisi; questo è descritto con ricche note in Le 3,1-20, anche con la conseguenza fatale della missione, il carcere e la morte come testimonianza al Signore. "Il Signore Dio loro" si può qui intendere sia di Dio Padre, sia del Figlio, il Signore, "Colui-che-viene" (v. 16).

La specificazione viene al v. 17, con il verbo prosérchomai, preveni-re, precorrere (altro termine: prodrome), venire prima in funzione di qualcuno: Giovanni "previene Lui", il Signore, che è Cristo, per prepa-rargli un popolo "disposto bene". Agirà per l'impulso divino "dello Spi-rito Santo e della Potenza" che fu già del profeta Elia, che riportò al Si-gnore il popolo traviato (cf. 3 Re (= 1 Re) 18). Si tratta di impresa pauro-sa: occorre "convertire i cuori dei padri verso i figli", secondo la profezia di Mal 4,5-6. Sono i fatti scatenanti che preludono al "Giorno grande e terribile del Signore, il quale viene e vuole che tutto sia preparato onde non punire ma salvare. Questo nell'"elogio di Elia" (Eccli 48,1-11) è rie-vocato come placazione dell'ira del divino Giudizio e come "restituzio-ne delle tribù di Giacobbe" (v. 10), del "popolo ormai ben disposto" alla Venuta del Signore. Giovanni è il nuovo Elia (cf. anche Mt 17,10-13, do-ve Gesù chiaramente chiama "Elia" venuto e adempiente la sua missione quel Giovanni, identificato così dai discepoli, e che poi è messo a morte da Erode per questa causa). Con altre parole, l'Angelo indica l'adempi-mento di questa missione così: Giovanni convertirà gli increduli e infe-deli restituendo ad essi, ad opera dello Spirito Santo, "l'intelligenza dei giusti", ossia l'apertura del cuore per sperimentare finalmente la divina Giustizia che è perfetta Misericordia (v. 17).

Parole enormi, ad un sacerdote fedele ma del tutto impreparato a so-stenere l'immane peso di tanta gioia che scaturisce dal Disegno divino. In un istante, Zaccaria "vede" tutto questo, ma ricade nella considera-zione dell'attuale sua miseria: egli è anziano, la sua sposa è anziana di giorni... "Secondo che, io conoscerò questo?" Ossia, va bene, però la sua condizione è necessitosa di un "segno", con e al di là della divina Parola. Non è questa la risposta della Vergine di Nazaret di fronte al medesimo Angelo e sull'urto di un euaggelimós simile, benché infini-tamente più decisivo (cf. poi il 25 Marzo). Zaccaria dunque non ha compreso che "il segno" è duplice: la Parola dell'Angelo — "avvenga a me secondo la Parola tua!", dirà Maria, proclamandosi "la Serva sof-

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ferente del Signore" (Le 1,38) —, ed egli stesso con la sua sposa nel-l'accoglienza di quella Parola (v. 18).

È un'esitazione incapace di risalire dalla soglia del Fatto divino. L'Angelo deve perciò dare una "risposta", la quale sarà severa, medici-nale, temporale, da accettare come purificazione.

Le sue parole sono sublimi. "Io sono Gabriele, l'astante davanti a Dio". Gabrì- 'El significa: "L'eroe potente mio è Dio". Ossia Gabriele è la personificazione della Potenza dello Spirito Santo, ne è il portatore. Egli fa parte delle schiere innumerevoli che "stanno davanti" al Signo-re, in prontezza di esaudimento della sua Volontà, gli adoratori e "litur-ghi" fedeli, silenziosi, efficaci. È uno degli "Angeli del servizio" divi-no. In 1,26 il nome è esplicito quando è inviato alla Vergine di Nazaret. Gabriele è conosciuto dall'A.T., in Dan 8,16; 9,21-22, sovrintendente, con Michele, al popolo di Dio (vedi l'8 Novembre). Una definizione splendida viene da Ebr 1,14:

Forse che non tutti (gli Angeli) sono spiriti liturghi,per servizio (diakonia) inviatia quanti stanno per ereditare la salvezza?

Perciò Gabriele "sta in piedi davanti" al suo Signore (cf. Tob 12,15), contemplando il suo Volto (cf. Mt 18,10, così "gli Angeli dei bambini" innocenti), pronto al suo minimo cenno e desiderio.

Ora, gli Angeli del Signore hanno molta pazienza. Anche Abramo voleva un "segno" che avrebbe avuto un figlio (Gen 15,8; 17,17; 18,11-12); anche Abramo obiettava di essere anziano (Gen 18,11). Ma come il Signore passa sopra ogni impedimento di età (Rom 4,19), così avviene per Zaccaria. Perché però la severità per Zaccaria, e non per Abramo? Abramo sta all'inizio, Zaccaria alla fine. Abramo ancora ignorava l'im-mane divina Potenza, benché mai vacillasse nella fede, "contro la spe-ranza credendo nella speranza" (Rom 4,18-22), una fede ancora oscura, tentata, dunque meritoria. Zaccaria come sacerdote e custode della me-moria storica d'Israele invece deve sapere tutto questo.

Ma il Signore lo ama. Gabriele gli rivela che "fu inviato" divina-mente a parlare con lui, anzi "ad evangelizzargli" (euaggelisasthai) questi fatti "nuovi" ed ormai precorrenti l'Evento ultimo (v. 19). Così Zaccaria è il primo "evangelizzato" dell'Evangelo di Dio e della gioia, come Maria sarà la seconda e più fedele Evangelizzata, e Giuseppe il silenzioso e pio evangelizzato per terzo.

Perciò adesso segue la sanzione: la bocca sacerdotale di Zaccaria sarà sigillata finché non avviene quanto annunciato dall'Angelo, a causa dell'incredulità immediata alle Parole divine, da accogliere senza condizioni. Queste si realizzeranno "al loro tempo stabilito (kairós)" in

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modo infallibile (v. 20). Zaccaria resterà dunque in un teso silenzio, contemplando non tanto la punizione transitoria, quanto le Parole me-ravigliose che gli procureranno "gioia ed esultanza" (v. 14), e che poi lo porteranno ad erompere nell'inno di lode e d'azione di grazie che è VEulogètós Kyrios, ho Theós toù Israel (Le 1,68-79), nello Spirito San-to, profeticamente (1,67) (v. 20).

La liturgia di Zaccaria qui ha termine, il suo servizio sacerdotale nel tempio è interrotto. Il popolo che attendeva in preghiera (v. 10) avrebbe beneficiato dal rito di congedo, la santa benedizione sacerdo-tale; adesso si meraviglia del suo ritardo (v. 21), tanto più che poi lo vede uscire e restare muto, esprimersi a cenni. Così comprende che aveva avuto una visione divina terribile nel cuore del tempio, davanti al "santo dei santi" (v. 22).

Termina anche il tempo del turno sacerdotale, la settimana per la "classe di Abia", come per tutte le altre. E Zaccaria torna a casa, "sulla montagna di Giudea" (cf. 1,39), in attesa che si compia la Volontà divi-na rivelatagli (v. 23).

Adesso l'attenzione di Luca si concentra su Elisabetta. Secondo le parole dell'Angelo, ella concepisce benché anziana e sterile, e per com-prensibile ritrosia nasconde il suo stato per 5 mesi (v. 24).

Allora viene la sua assegnazione al rango delle grandi spose dei Pa-triarchi d'Israele, alle quali è divinamente assimilata. Ella riconosce: "Questo ha operato per me il Signore", come parlò Eva quando concepì da Adamo il primo figlio (cf. Gen 4,1). Ma aggiunge: "nei giorni in cui provvide (intervenne) a rimuovere la vergogna mia tra gli uomini" (v. 25). Queste sono le precise parole di Rachele la sterile, quando prodi-giosamente il Signore le fa nascere Giuseppe (Gen 30,23). La sterilità è Yoneidós, la vergogna, per la quale era beffeggiata Anna, la madre di Samuele (1 Re (= 1 Sam) 1,6); per vincere la quale erano disposte ad ogni eccesso le donne di Gerusalemme (cf. Is 4,1).

Ma "vergogna" che il Signore non tollera dalle spose sante, le quali sono sue servitoci fedeli lungo la linea della salvezza, riassunte tutte nella Città nuova, che esulterà benché fosse sterile, diventata Madre esultante di figli (cf. ancora Is 54,1-17; e la Nota ali'8 Settembre):

Colui che fa abitare la sterile nella casa quale madre di figli esultante (Sai 112,9).

La linea matriarcale prosegue, ed è portata alla conclusione. La sua funzione è permettere, con la nascita del figlio, che il Signore ne di-sponga a suo servizio operando la divina salvezza.

Giovanni che nasce così è sacerdote e asceta e contemplatore, è

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Prodromo (Precursore) e Profeta e Battezzatore. È pieno di Spirito Santo. La preparazione per il Figlio di Dio che viene è immediatamente cominciata.

Di qui l'importanza eccezionale della festa di oggi.

6. MegalinarioOrdinario.

7. KoinònikónDel Precursore: Sai 111,6.7, "Salmo didattico sapienziale". In rela-

zione a Zaccaria, al momento della comunione santa la Chiesa canta la divina Bontà, che rende stabili, che conferisce "memoriale eterno" al giusto, che riempie il cuore di fiducia nel Signore, tutti frutti della par-tecipazione alla Mensa divina.

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TRAPASSO DEL SANTO APOSTOLO ED EVANGELISTA

GIOVANNI IL TEOLOGO S.

NILO DI GROTTAFERRATA

Ho Theológos, il "parlatore di Dio" per eccellenza nella Chiesa apo-stolica, fu titolo attribuito dalla Tradizione a Giovanni l'Evangelista, identificato a ragione con "il discepolo che Gesù amava". È l'elogio di un Apostolo che ebbe l'umiltà di non chiamarsi mai per nome lungo la sua narrazione evangelica, che unico dei Dodici assistè con la Madre di Dio e le Donne fedeli alla Croce del suo Signore, che ebbe l'irripetibile sorte di vedersi affidata come Madre la Semprevergine Maria dallo stesso Figlio di Dio mentre si congeda dagli uomini per tornare al Pa-dre attraverso il grande abisso delle "acqua molte" della Morte.

Il titolo ho Theológos indica la profondità del "discorso su Dio" che svolse Giovanni, giunto ad intuire e ad annunciare il Verbo Dio, arre-standosi sulla soglia dell'infinito Mistero, ma portando tutta la Chiesa a quella contemplazione. Solo due altri grandi personaggi ebbero dalla Chiesa quel titolo, S. Gregorio "il Teologo" (da Nazianzo), e S. Simeo-ne "il nuovo Teologo".

La Chiesa bizantina in Italia celebra oggi un'altra figura umile e gran-diosa, S. Nilo da Rossano, in Calabria, allora ancora largamente greca (circa a. 901-1004), monaco e fondatore di monasteri, che radunò nume-rosi gruppi di asceti e anacoreti, istituendo dimore monastiche anche nel territorio italiano longobardo, appartenente ormai al sacro romano impero, intorno a Salerno ed a Cassino, fino a stabilirsi nella donazione generosa del Tuscolo, a Grottaferrata, pochi chilometri da Roma, monastero presti-gioso e destinato a lunga vicenda storica che ancora prosegue con buoni auspici. S. Nilo fu esemplare per il carattere austero con se stesso, modello di preghiera, di conversione del cuore e di contemplazione, e pacifico e mite nel tratto con gli altri, vero modello di santità monastica irraggiante.

1. AntifoneOrdinarie, oppure i Typikà e i Makarismói.

2. EisodikónOrdinario.

3. Tropari

1) Apolytikion di S. Giovanni il Teologo. Il Santo è invocato come "Apostolo diletto da Cristo Dio", ed implorato ad affrettarsi a scampare

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dai pericoli il popolo santo indifeso. Il desiderio espresso qui è che Co-lui che allora lo accolse sul suo petto immacolato, adesso di nuovo lo riceva mentre intercede piamente. Di nuovo invocato come "il Teolo-go", gli si chiede l'intercessione supplice, affinchè il Signore dissipi la nube delle nazioni pagane, e così ci ottenga la pace e la grande divina Misericordia.

2) Apolytikion di S. Nilo. È chiamato "Padre" sia di santità, sia per lasua famiglia monastica. Gli si attribuiscono le meravigliose qualità chefurono preclare nei grandi personaggi dell'A.T.: poiché S. Nilo conseguì la mitezza di Mosè (cf. Num 12,3: "era infatti Mosè l'uomo più mite tra tutti gli uomini che abitavano nella terra"; Eccli 45,4: il Signore"lo (Mosè) consacrò nella fedeltà e nella mansuetudine, lo preferì adogni carne vivente"), che fu propria anche di David (cf. Sai 131,1,"Salmo regale": "Fa memoriale, Signore, di David, e dell'intera suamansuetudine", e 1 Cron 22,14). Conseguì anche "il divino zelo" chefu del sacerdote Pinhas (Finees, cf. Num 25,1-18, il fosco episodio dellaido culto di Baal-Peor) e del profeta Elia (cf. 3 Re (= 1 Re) 18, la vittoria sui sacerdoti dell'idolo Baal). Conseguì la fede d'Abramo (cf.Gen 15; 17; 22; Rom 4). Perciò adesso il Santo con quelli esulta nelgaudio eterno. L'invocazione finale è densa: "Nilo, vanto dei Santi, perquesto supplica a favore nostro il Signore!"

3) Apolytikion del Santo titolare della chiesa.

4) Kontàkion: Prostasia tòn christianòn.

4. Apóstolos

a) Prokéimenon: Sai 18,5.2, "Inno di Lode".È il Prokéimenon della Pentecoste: "Per l'intera terra uscì la riso-

nanza" degli Apostoli, e "le loro parole" raggiunsero i confini della ter-ra. Tale fu l'efficacia della predicazione apostolica, tanto più se si tiene conto che con buone probabilità Giovanni compose il suo Evangelo in funzione della predicazione di S. Tommaso Apostolo a tutto l'Oriente.

Lo Stichos (v. 2) è la proclamazione innica sui cieli, che con la loro stessa presenza narrano l'immane gloria del divino Creatore; in paralle-lismo sinonimico, il firmamento stellato per se stesso è annuncio dimo-strativo dell'opera onnipotente delle divine Mani del Signore. Così la voce degli Apostoli si unisce alla lode della santa assemblea, che "si fa voce" dell'intera creazione per la lode divina.

La PEoistola ^ Gi°vanni è probabilmente dell'anno 96, ossia appena due anni prima dell'Evangelo; e di questo, infatti, anticipa il voca-bolario, la visuale generale e molti temi. Il cap. 4 dedica i vv. 1-6 agli

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"spiriti" che sono i falsi profeti, "dal mondo e non da Dio", che "non confessano Gesù Cristo venuto nella carne". Invece i vv. 7-21 riguarda-no il tema centrale dello scritto: "Dio è agape", espressione che ricorre al v. 8 ed al v. 16.

Il centro della pericope di oggi è dunque la frase "Dio è agape" del v. 16. Presa in sé, come è tagliata, la pericope letterariamente forma un'"inclusione" magnifica con il verbo agapàó, amare di carità, che ri-corre al v. 12, in apertura, ed al v. 19, in chiusura. La prima volta come dubitativa: "se noi ci amiamo", che però è certezza, e la seconda volta come affermativa aperta: "noi amiamo Lui". La prima è reciprocità umana dentro la comunità, la seconda è la relazione assoluta con Dio.

L'esordio è la riaffermazione apofatica che percorre l'intera Santa Scrittura, dalla Genesi ali'Apocalisse: "Dio, nessuno mai ha contem-plato (theàomai)" (v. 12a). Il Dio Vivente e Vero è invisibile e dunque anche incomprensibile, non circoscrivibile, non comprensibile, non de-scrivibile, insomma indicibile. Con Lui, nessuna struttura creaturale, angelica o umana, può "prendersi confidenza", può credersi di "razio-nalizzarlo", di disporne. Poiché "l'uomo non può 'vedere Dio' e vive-re" ancora (Es 33,20, detto a Mosè prima dell'esodo nel deserto). I pa-ralleli dell'A.T. qui sono innumerevoli (ad esempio, Gen 32,30; Dt 5,24; Gdc 6,22-23; 13,22; Is 6,5; Eccli 43,35, etc.). Altrettatnto nel N.T., e però con particolare insistenza nell'opera giovannea.

Il testo principe qui sta nel Prologo, Gv 1,18, quale stupenda chiusu-ra di esso: "Dio, nessuno vide mai — il Monogenito Figlio (altre atte-stazioni, forse migliori: "il Monogenito Dio"), il Sussistente (rivolto) verso il Seno del Padre, Egli ne fece esegesi {exègèsato)". L'afferma-zione ricorre ancora in 5,37; 6,46; 12,45. Nell'Apocalisse, Dio si mani-festa senza eccezione come "l'Intronizzato sul Trono" bianco splenden-te, simbolo della divina Gloria, in eterno Invisibile (cf. ad es. cap. 4; 22). Sul medesimo Trono invece appare nella sua visibilità l'Agnello di Dio, ossia il Servo sofferente di Is 53,7-8, ma nella gloria di Risorto, in vesti regali sacerdotali nuziali.

Però non meno insistente sull'in visibilità di Dio è S. Paolo, ad esem-pio nel celebre testo di Col 1,15: Cristo è "l'Icona di Dio, l'Invisibile"; 1 Tim 6,16. Egli è seguito da 1 Pt 1,8. Ma a guardare bene, anche i Si-nottici dichiarano l'invisibilità di Dio ad esempio nelle principali teofa-nie: il Battesimo al Giordano, la Trasfigurazione, la Croce, la Resurre-zione, la Pentecoste (opera lucana in At 2,1-4), la Parousia gloriosa.

Seguendo anche in questo fedelmente la Tradizione biblica, parteci-pata con particolare gelosia anche dagli Ebrei, i Padri della Chiesa quasi senza eccezione difesero strenuamente l'invisibilità e l'indicibilità divina, aspramente condannando gli indiscreti "scrutatori" della divi-nità, i razionalisti come gli ariani della seconda generazione (Eumeo).

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Così la linea compatta di S. Ireneo, S. Ippolito, S. Atanasio, i Padri cappadoci, le grandi Sinodi, fino a S. Massimo il Confessore e oltre. Per l'Oriente, basterà seguire la linea S. Efrem e Narsai di Edessa. La stessa grande Sinodo di Nicea II, Ecumenica 7° (a. 787), nel riaffermare l'assoluta convenienza del culto della santa icona di Cristo, dunque delle altre sante icone, ribadisce (e questo in specie poi nell'esplicita-zione di S. Teodoro Studita, che completa meravigliosamente la docu-mentazione), che la Divinità del Verbo Dio resta invisibile e dunque in-circoscrivibile, mentre la sua Persona divina è circoscrivibile ma nella sua Umanità santa e trasfigurata, essendo Cristo Signore "il Visibile del Dio Invisibile" (secondo l'intero N.T., cf. Gv 1,14; 14,9, etc.; la frase, classica, è di S. Ireneo).

Tanto più si estolle ad altezze vertiginose, quindi, la contemplazione dell'Apostolo "Teologo", sottesa tra l'Oceano divino invisibile e la concretezza della "carne" assunta dal Verbo Dio fino alla Croce ed alla Resurrezione.

Dall'invisibilità assoluta di Dio però discendono conseguenze deci-sive. Se nella comunità l'amarsi di carità (agapdó), diventa reciprocità costante ed intensa (allèlous), Dio si fa per i fratelli Parousia, presenza di inabitazione (menò, restare con), e Perfezione, Consumazione di questa divina Agape. Dio raggiunge qui il suo fine ultimo per gli uomi-ni: che essi si amino, condizione per venire e restare nell'Amore divino uniente e consumante (v. 12).

Ma non basta. L'amore di reciprocità tra gli uomini, che provoca la Parnasia amante di Dio in essi, è condizione anche per quella Perfezio-ne che si fa "conoscenza" sperimentale e di fatto sperimentata: l'Opera-tore divino della carità nel cuore degli uomini (cf. Rom 5,5) è lo Spirito Santo, ormai donato da Dio (didòmi) in modo irreversibile. Solo lo Spi-rito Santo "fa conoscere" l'indicibile, paradossale perichòrèsis, la "cir-cumcontenenza" o reciproca inabitazione: di Dio in noi, ma anche di noi in Dio (v. 13). È un'affermazione che era stata anticipata in 1 Gv 3,24, e che sarà a fondo sviluppata poi nella "Preghiera sacerdotale" del Signore alla Cena (Gv 17,1-26), con insistenza: come il Figlio nel Padre e reciprocamente (cf. Gv 10,30.38; 14,10-11.20), così i discepoli fedeli nel Figlio e perciò nel Padre ma anche reciprocamente, ossia il Figlio ed il Padre in essi. Questo in 1 Gv 1,1-4, diventa perfetta koinònia e perfetta chard, ossia comunione e gioia, che l'Apostolo desidera esten-dere a tutti i fedeli. Ancora una volta, Comunione e Gioia sono termini che indicano lo Spirito Santo (cf. 2 Cor 13,13; Gai 5,22-23).

La base ferma, incrollabile di tutto questo è la martyria apostolica, la testimonianza di verità e di vita: gli Apostoli "hanno visto-contem-plato" (thedomai, cf. Gv 1,14) che il Padre inviò come unico Apostolo suo (apostélló) il Figlio, ma quale Salvatore unico del mondo peccatore

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(v. 14). Giovanni insiste anche su questo aspetto fondamentale della fede originaria: così quando vede il Sangue e l'Acqua sgorgare "subito" dal Costato immacolato del Signore sulla Croce vivificante (Gv 19,34-37, con citazione di Sai 32,21 sulle ossa non spezzate del Giusto, e di Zac 12,10 sul Trafitto); quando termina (nella prima finale) la sua nar-razione, sui "segni" scritti e non scritti onde sorga la fede (Gv 20,30-31, senza il verbo "testimoniare"); quando pone fine alla narrazione evangelica come "il discepolo" che testimonia e scrive, la sua martyria è veridica (Gv 21,24-25).

Da questa "testimonianza" apostolica, che è e resta l'unica e salvifi-ca, discende la condizione per avere la fede e la vita: occorre su questa base "confessare" (homologéó) che l'Uomo "Gesù" è "il Figlio di Dio", e dunque Dio da Dio. Solo allora Dio produce la divina peri-chòrèsìs che ha travolgenti effetti umani: Dio resta nel confessante, e questo resta in Lui. Il verbo menò qui, come sempre, indica la "dimora" perenne, nella sua divina-umana reciprocità (v. 15).

Ed ecco il culmine del testo, il v. 16. "Noi", plurale di modestia che indica l'Apostolo, "abbiamo conosciuto (sperimentalmente, vitalmen-te), e perciò "abbiamo creduto", atto di adesione d'amore e di totale fi-ducia. L'oggetto è: Vagape che Dio possiede "m noi". Frase difficile, era più semplice dire qui: "possiedeper noi". E però Dio, come parlano i Padri, ama i suoi fedeli non in quanto peccatori e non per i loro peccati — questi sono distrutti dall'agape divina! —, bensì in quanto li vede come recettori del suo Amore divorante. È la Theophilia.

Per cui viene l'affermazione fontale: "Dio è agape". È "definizione", ossia una circoscrizione di Dio dentro un'analogia: come l'uomo "ama" (agapàó) i genitori, i parenti, la sposa, gli amici, la sua città, così, "al mas-simo grado" si può questo predicare di Dio. Come tutte le "definizioni" di Dio, è chiaro che non si raggiunge se non in modo inadeguato un "concetto su" Dio, mai la sua divina indicibile Essenza. Così quando si dice che Dio è Santo. Però per sfuggire al nominalismo e dunque al larvato indifferenti-smo ed ateismo, la stessa Scrittura Santa ricorre sistematicamente alla "teo-logia simbolica", al linguaggio anche "catafatico", ossia affermante. Perciò tale linguaggio va tenuto, apprezzato, amato, studiato come quello il meno possibile inadeguato ad avere una relazione con Dio. Dio "è Amore" di in-finita Carità, così si rivela, ma resta anche infinitamente al di là anche del concetto così definitivo di "amore". Egli è "il Di Più del Di Più" nell'infi-nito dell'infinito. Qui, benché solo come sulla soglia va precisato, Giovanni vuole che i suoi confratelli nella fede, noi, siamo trasportati.

E su questa "soglia", per così dire, occorre stare saldamente: oc -corre "restare (menò) nelYagape" divina come si è rivelata e si è re-sa accessibile e partecipabile. Il realismo dell'agape divina è tale, che allora l'amante "resta (meno) in Dio" stesso, e così in forza della

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medesima divina agape Dio può "restare" (meno) nel fedele che fe-delmente Lo ama.

E non basta. La realtà della storia degli uomini porta a vivere senza fermarsi mai, poiché Vagape vuole "consumarsi", perfezionarsi (te-leióó), insomma, raggiungere il suo fine ultimo negli uomini e "con (metà)" gli uomini. Il fine è anche la fine della storia, è il Giudizio ine-vitabile, dove però V agape divina conferisce al credente la divina parrhèsia, la franchezza, l'audacia del professare e del parlare e dello stare davanti a Dio quel Giorno. Per questo Dio venne e sussiste "an-che" in questo mondo, insieme ai suoi fedeli che stanno "nel" mondo, pur non essendo "del" mondo (v. 17).

Ma allora è rimosso il terrore (phóbos) dell'esistenza, ed anche quello del Giudizio: Vagape perfetta ha espulso questo terrore che rovi-na tanti uomini. Infatti il terrore ha come oggetto principale il senso di colpa, quindi la coscienza della punizione (kólasis). Ora, chi resta an-cora nel terrore non è stato "consumato" o perfezionato neìY agape di-vina (v. 18). Chi ama il prossimo, e perciò ama anche Dio, non ha più terrore di nulla, e non per presunzione di salvezza autonoma, ma preci-samente perché ha già raggiunto la perfezione dell'esistenza redenta, ha ottenuto ed ha accettato il Dono grande e finale.

H v. 19, come si accennò, forma un'"inclusione" letteraria. Il v. 12 parlava dell'"amarsi reciprocamente". Questa è la base e condizione per la salita, così faticosa, a godere della perfezione dell'agape, e que-sta è "amare Dio". Ma si giunge a quest'amore consumante per sforzi umani per quanto belli e mentori? Per nulla. Tutto è Dono. Tutto è Grazia. Questo vuole qui insegnare l'Apostolo. Infatti il v. 19b, nella sua concisione lapidaria, afferma: "...amare Lui — poiché Egli per pri-mo amò (agapdó) noi". La Carità di dilezione divina, infinita e indici-bile, è la Realtà vera, la quale precede, accompagna, segue e "consu-ma" gli uomini. Qui Giovanni raggiunge Paolo in modo come sempre sublime, quando questi afferma: la Carità divina resta confermata, per-ché quando eravamo peccatori senza merito né speranza, Egli fece morire il Figlio per noi, ed eravamo nemici, e tuttavia fummo riconci-liati dal Figlio con il Padre (Rom 5,8-10). Dio infatti preconobbe e predestinò al bene, a diventare icona del Figlio suo, e chiamò e giusti-ficò e glorificò i peccatori (Rom 8,28-30). In realtà, "chi per primo donò a Lui", così che Dio dovesse restituire qualche cosa a qualcuno? (Rom 11,35).

La Carità di Dio, per usare il linguaggio commerciale che pure la Scrittura Santa usa sapientemente ed a ragion dovuta, è "a fondo perdu-to". Ossia è donata anche a chi non la accetterà mai. Non è mai richie-sta indietro. È la divina "Caparra", primo anticipo del Dono che non sarà mai richiesto "indietro". È lo Spirito Santo.

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5. EVANGELO

a) Alleluia: Sai 88,6.8, "Salmo regale".La proclamazione gioiosa prima della proclamazione dell'Evangelo

sanziona in modo cosmico ed universale l'infinita dossologia dovuta al Signore: i cieli attestano in modo perenne e mirabile che Egli è il Si-gnore che opera solo in modo sempre meraviglioso e sorprendente, e che Egli è il Fedele a se stesso, e quindi per amore è Fedele anche alla comunità celebrante dei suoi Santi diletti.

Lo Stichos (v. 8) ribadisce in parallelismo crescente: il Signore è "il Terribile", ossia Colui che fa tremare d'amore il cosmo e tutti i suoi amici diletti. E tale appare sempre non in modo solitario, bensì nell'as-semblea dei suoi Santi, solo in mezzo ai quali vuole essere adorato, non volendo mai essere isolato, perfino dall'eccessiva pietà. Ma tra i suoi, il Signore appare anche il Trascendente, l'Immenso, il Meraviglioso, Co-lui che non ha eguali: "Chi come il Signore perfino nei cieli? Chi come il Signore tra i "figli di Dio"? (gli Angeli) (v. 7), dove la risposta ovvia è: nessuno mai. Questa è anche la teologia giovannea di oggi.

b) Gv l9,25b-27; 21,24-25Tra i numerosi episodi in cui Giovanni appare insieme al Signore è

scelto qui opportunament quello principale e determinante per l'Apo-stolo, la sua presenza alla Croce.

Per il contesto teologico, di grande complessità, si rimanda al 14 Settembre. Qui si riprende l'allocuzione del Signore dalla Croce, rivol-ta a sua Madre e al discepolo diletto.

La frase più tragica del N.T. riguardo ai Dodici che il Signore aveva scelti e chiamati con sé per sempre, è quella di intensa dolorosità nella sua assoluta brevità: "E abbandonato Lui, fuggirono tutti" {Me 14,50, è tutto il versetto). Giuda ormai aveva tradito il suo Signore, gli altri 10 erano fuggiti per viltà. Giovanni assolutizza ancora di più il tratto quan-do al v. 25b annota a sua volta in modo lapidario, al modo di un'icona: "Stavano in piedi accanto alla Croce di Gesù la Madre di Lui, e la so-rella della Madre di Lui, Maria di Clèopa e Maria Maddalena". Dun-que, gli uomini forti sono scomparsi, quelli che volevano "morire con Lui" (Tommaso, già in 11,16; Pietro, 13,37). La prima Comunità del Signore adesso è formata da Lui morente, dalla Madre divina, da altre Donne fedeli.

Gesù dalla Croce guarda questa Comunità indefettibile, vera Testi-monianza della Croce come lo sarà della Resurrezione. E fissa lo sguardo in specie "sulla Madre", senza altre annotazioni, e sul "disce-polo che stava in piedi, quello che amava (agapàó)". E così può parlare una delle ultime parole della sua Vita tra gli uomini.

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TAVOLA 29 - S. Giorgio Trofeoforo e S. Demetrio Megalomartire - Epìtrachèlìon del Vescovo, Piana degli Albanesi; di Pino Barone, 1987.

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TAVOLA 30 - SS. Cosma e Damiano Anargiri - Episcopio, Piana degli Albanesi, sec.

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Si rivolge alla Madre sua con il titolo regale: "Donna, vedi (ecco) il Figlio tuo", chiamando così la Madre alla contemplazione dell'Icona crocifissa. Come si disse (cf. 14 Settembre), le folle anonime erano state chiamate da Pilato, profeticamente, anche se per irrisione, a contemplare "l'Uomo", il Condannato divino con la corona di spine e con il manto di porpora, Icona regale universale (19,5). Il medesimo Pilato, con il me-desimo spirito profetico involontario e sempre per crescente disprezzo, aveva adesso chiamato gli Ebrei a contemplare l'Icona del "Salvatore = Re" (19,14). Alla Madre spetta la terrificante contemplazione dell'Icona crocifissa. È la Regina Madre, la Gyné regale e sovrana, la quale qui ha espletato per intero la sua funzione provvidenziale, che fu tipologica-mente quella delle spose dei Patriarchi: la Donna secondo il Disegno di-vino deve disporsi integralmente al fine che il Re messianico possa espletare per intero la sua divina missione salvifica (vedi Nota ali'8 Set-tembre). Qui, finalmente, al culmine, la Croce per tutti gli uomini im-mersi senza speranza nel peccato. H v. 27 è dunque, se si può dire così, un'icona nell'Icona, il cui centro è "//Figlio" con il riferimento necessa-rio alla Regina, che sta sempre "alla destra del Re" (Sai 44,10).

Ma quest'icona comprende anche "il discepolo". Il Signore gli parla una parola breve: "Ecco la Madre tua" (v. 27a).

Su queste due parole, alla Madre e al discepolo, dall'età patristica si sono alternati i commentatori in infinita folla, fino ad oggi.

Si può dire che esiste una singolare unanimità nel semplificare quanto il Signore dice: alla Madre, "ecco il figlio tuo", ossia il discepo-lo, di cui diventa Madre spirituale; al discepolo, "ecco la Madre tua", di cui diventa figlio spirituale. Il discepolo raffigurerebbe qui la Chiesa di tutti i tempi, la Comunità messianica. E in un certo senso sarebbe il so-stituto del Signore presso la Madre.

La questione è molto più complessa. Resta sempre da spiegare i 3 "ecco" di Gv 19,5.14.26, ossia l'Uomo, il Re degli Ebrei, "il Figlio" unico di Maria, in una logica ascendente e determinante. La spiegazione qui presentata, se in un certo senso rompe il parallelismo "figlio tuo - Madre tua", è l'unica realmente vera, e ricca all'infinito.

Giovanni al v. 27b annota: "e da quella hòrd \che è la Hòra di Gesù, tema molto caro a Giovanni e da Lui insistito (2,4; 4,21.23.53; 5,25.28.35; 7,30; 8,20; 12,23.27 (2 volte); 13,1; 16,2.4.21.25.32; 17,1; 19,27), "accettò il discepolo Lei" come parte della sua "propria" vita. È la Hòra messianica, della Croce, la Hóra suprema, il Fine ed il Culmi-ne della sua Vita. Che Gesù da parte del Padre attende ed accetta, anche se la teme perché apportatrice dell'"ultima Nemica", la Morte. Ma Hó-ra per questo tanto più necessaria e dunque inevitabile.

La Tradizione più antica annota fedelmente che Giovanni si prese allora come Madre sua la Madre del Messia, e la custodì come il Bene

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prezioso affidatogli dal suo Signore. Si indica anche il luogo, Efeso, città dell'evangelizzazione paolina, ma ormai ricca di memorie giovan-nee. Si identificava anche la casa di Giovanni e di Maria, dove si custo-divano le memorie della morte di ambedue. Si sa storicamente che il luogo della Dormizione della Madre di Dio è Gerusalemme, venerato come tale fin dal sec. 1°, e archeologicamente accertato.

Giovanni così è chiamato a fare da figlio alla Madre di Dio. Lascito divino che è un tesoro divino. Qui realmente Giovanni può figurare co-me la Comunità primitiva, come la Chiesa di Dio che venera incessan-temente "la Tuttasanta, immacolata, suprabenedetta, gloriosa Sovrana nostra, la Theotókos e Semprevergine Maria".

L'Amore del Figlio, la Madre Vergine, è affidato così al "discepolo amato". Ma così, anche a tutti noi, tutti "discepoli amati".

Chi è però questo discepolo amato? Risponde lui stesso in Gv 21,24-25. In una parola difficile, il Signore alla domanda intrigante di Pietro risponde che se vuole che il discepolo amato, che nella Cena aveva riposato sul petto di Lui, "resti finché Io venga", a lui non deve importare (21,20-21). Che non sarebbe morto prima della sua Venuta, era una credenza della prima generazione, che Geù stesso smentisce: non dice che non morrà, ma che resterà fino alla sua Venuta, mentre a Pietro aveva preannunciato la morte gloriosa e testimoniante (21,18-19). Ma la "Venuta" del Signore qui non è la Parousia ultima, bensì la Parousia costante alla Chiesa, la quale ha inizio con l'inaugurazione del Regno, la Cena eucaristica.

Ecco dunque "il discepolo", sul quale si era appuntato lo sguardo del Signore. Egli è stato scelto anche per una funzione primaria nella Chiesa, già accennata sopra: la martyria, la testimonianza della Verità, seguita anche dalla fissazione per scritto dei fatti e detti del Signore: l'Evangelo. E tutti quelli della prima generazione la quale essa stessa ha assistito ai fatti ed ha ascoltato i detti, sanno che il discepolo rende "testimonianza veridica", controllabile, incontrovertibile (v. 24).

L'Evangelo, Testimonianza unica e Verità totale, fissa solo alcuni fat-ti fondamentali della Vita del Signore. Egli però "fece" anche molti altri fatti. Così tanti, e così grandi, che non si possono fissare "uno per uno" per scritto, poiché essi riempirebbero a loro volta così incalcolabili "li-bri" che l'universo, ho kósmos, non potrebbe contenerli tutti (v. 25).

Così da una parte Giovanni è fedele nell'essenziale e coerente con lo scopo: "Molti altri 'segni' fece dunque Gesù davanti ai suoi discepo-li, che non stanno scritti in questo libro" (20,30). Che significa tale at-testazione di limitazione? È chiaro: i sèméia divini sono non solo "molti altri", ma anche difficili da comprendere e da scrivere. Giovanni porta la sua opera fin qui, non osa spingere la sua contemplazione verso l'impossibile.

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E tuttavia, al v. 31 spiega mirabilmente i motivi della limitazione: "questi fatti (o segni) sono stati scritti affinchè crediate che Gesù (l'Uo-mo!) è il Cristo (il Messia divino d'Israele), il Figlio di Dio (il Verbo Dio) — ed affinchè credendo possediate la vita nel Nome di Lui", allu-sione battesimale.

Uno dei testi più recenti del N.T. raggiunge così un testo molto più antico, Me 1,1: "Inizio dell'Evangelo è Gesù Cristo, il Figlio di Dio". Arche, l'Inizio da cui viene la Vita divina.

Perciò Giovanni segna anche il compendio e sigillo dell'intera Rive-lazione divina del N.T. Altezze da vertigine.

6.MegalinarioOrdinario.

7.KoinònikónÈ il Sai 18,5, già visto come Prokéimenon, sopra. L'annotazione che

va data qui è che mentre si comunica ai Santi Doni, si realizza precisa-mente l'intera Parola di oggi: poiché oggi attraverso la comunione al Corpo ed al Sangue preziosi si percepisce per intero la Grazia divina quale Frutto squisito dell'annuncio evangelico del quale la Chiesa sarà debitrice per l'eternità ai suoi santi Apostoli.

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