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La Giornata * * * * * * In Italia Nel mondo UNIONE BATTUTA IN SENATO SULLA BASE. COLLOQUIO PRODI-NAPOLITANO. Secondo indiscrezioni, in serata il capo del- lo stato avrebbe chiesto al premier un chia- rimento politico. Ieri a Palazzo Madama i senatori si sono espressi sull’ampliamento della base americana di Vicenza con due diversi ordini del giorno. La votazione si è conclusa con 152 voti a favore, 146 contrari e 4 astenuti sul documento proposto dalla Lega che esprime approvazione per la de- cisione del governo. Decisiva l’assenza di diciotto parlamentari dell’Unione, tra i quali Willer Bordon (Margherita): “Sarebbe stato folle votare contro un documento che approvava la linea del governo”. Il ministro della Difesa, Arturo Parisi: “E’ necessario un chiarimento profondo, la politica estera di difesa è una cosa seria. Ne parlerò con il premier”. Anna Finocchiaro, capogruppo dell’Ulivo al Senato, nega “conseguenze sulla tenuta del governo”. Il presidente del- la Camera, Fausto Bertinotti: “L’episodio esprime un elemento di difficoltà e manife- sta un problema politico che dev’essere af- frontato dalla maggioranza”. *** Nessuna misura contro il medico di Welby. E’ stato archiviato dall’ordine dei medici il procedimento a carico di Mario Riccio, l’a- nestesista di Cremona che sedò Welby. Il leader radicale, Marco Pannella: “So- no felice anche perché la decisione è stata presa all’unanimita”. *** “Necessaria la riforma delle pensioni”, di- ce la Corte dei conti: “Il sistema rischia di non essere sostenibile, va aumentata l’età pensionabile perché la spesa pensionistica in Italia è superiore alla media europea”. *** Per Petruccioli la tv è “ormai tripartita”. Con Sky scompare il duopolio tv di Rai e Mediaset. Lo ha detto il presidente della Rai: “Non si può più parlare di duopolio, ma di tripartizione”.L’intervento arriva po- chi giorni dopo le parole del garante del- l’Antitrust Catricalà, che ha sostenuto che il tetto alla raccolta pubblicitaria delle tv previsto nella riforma Gentiloni è contrario alle regole di mercato. Si è espresso anche il presidente emerito della Corte costituzio- nale, Antonio Baldassarre, sollevando dub- bi sulla costituzionalità del ddl. *** Per D’Alema confronto nipponico sul Pd. In visita a Tokyo il vicepremier, Massimo D’Alema, ha detto che “il Partito democra- tico in Italia non esiste ma governa”. Un pa- radosso “visto con interesse in Giappone”. Anna Finocchiaro sul Pd: “Credo in un rinnovamento generazionale nella scelta del leader”. Rispondendo a Panorama su un’eventuale candidatura di Veltroni: “Ha la mia stessa età, e io non sono più un vol- to nuovo della politica”. *** Fmi: “Il pil dell’Italia crescerà nel 2007 dell’1,4 per cento”. Questa la previsione del Fondo monetario internazionale. Il ministero dell’Economia comunica che il fabbisogno statale di gennaio è sceso. A GAZA SEI MORTI NEGLI SCONTRI TRA FAZIONI PALESTINESI. Incursione di Tsahal in Cisgiordania, tre vittime. Ieri, no- nostante il cessate il fuoco in vigore da lu- nedì sera, sono ripresi – a Gaza e nel nord della Striscia – gli scontri tra gli uomini di Fatah, fedeli al presidente Abu Mazen, e i miliziani di Hamas, il partito islamico al go- verno. Due vittime appartenevano alla guardia della sicurezza dell’Anp. In Ci- sgiordania, l’esercito israeliano ha ucciso tre uomini delle Brigate dei Martiri di al Aqsa. Stavano preparando razzi da lancia- re contro Israele. Fonti palestinesi hanno riferito anche di quattro civili uccisi dai soldati israeliani lungo il confine. Ieri il premier israeliano Olmert ha dife- so le sue scelte di fronte alla commissione Winograd, incaricata di far luce sulla ge- stione della guerra contro Hezbollah, e ha detto che Israele ha vinto quel conflitto. Il ministro della Difesa, Amir Peretz, ha scel- to un nuovo sistema di difesa antimissili per il suo paese: si tratta dell’“Iron Dome”, prodotto da industrie israeliane. *** In Iraq almeno 60 morti negli attacchi ter- roristici. L’attentato più grave è stato nella città sciita di Hilla: due autobomba hanno ucciso 45 persone. A Baghdad un’esplosio- ne ha fatto almeno una ventina di vittime. Il generale Casey, ieri davanti alla com- missione Forze armate del Senato, per le audizioni a conferma della nomina a capo di stato maggiore, ha detto che per rendere sicura Baghdad servono meno della metà delle truppe che il presidente Bush ha deci- so di inviare (21.500 uomini). Casey sarà sostituito dal generale Petraeus in Iraq. *** Mosca “interessata” all’Opec del gas. Ieri il presidente russo Putin ha detto che è “in- teressante” la proposta di Teheran di crea- re un cartello con l’Iran e gli altri paesi pro- duttori di gas, tra cui l’Algeria. Il presiden- te russo ha anche precisato che le risorse energetiche non sono un’arma per raggiun- gere obiettivi di politica estera. Il leader russo ha detto che alle prossime elezioni presidenziali del 2008 lascerà ai russi la “libera scelta democratica” di deci- dere il suo successore. *** Blair reinterrogato sullo scandalo dei Lord. Ieri il premier inglese è stato sentito per la seconda volta da Scotland Yard, che sta indagando sulle nomine “a pagamento” dei Lord. Il contenuto del colloquio è rima- sto segreto per volere della politiza inglese. Il governo inglese ha deciso ieri di invia- re 800 uomini in Afghanistan. Il ministro della Difesa Browne ha detto che, entro l’e- state, il contingente conterà su 5.800 unità. *** Mons. Mamberti denuncia il calo dei cri- stiani in medio oriente. Il ministro degli Esteri del Vaticano, oltre al “doloroso pro- blema” della diminuzione dei fedeli nei paesi arabi, ha anche invitato il mondo isla- mico a confrontarsi con la modernità. IL FOGLIO ANNO XII NUMERO 28 DIRETTORE GIULIANO FERRARA VENERDÌ 2 FEBBRAIO 2007 - 1 quotidiano S i chiama Carabus olympiae. Ma non ha nulla a che fare con le olimpiadi. Olimpia si chiamava la signora che nel 1854 ne trovò un esemplare morto in un bosco sopra Biella, nella zona che la ge- nerosità di un industriale tessile del luo- go, Ermenegildo Zegna, ha trasformato negli anni Trenta del secolo scorso in un parco naturale. Olimpia era sorella di un famoso entomologo del tempo, Euge- nio Sella. Sella accertò che lo splendido carabo dai riflessi metallici era scono- sciuto e endemico del luogo. Lo descris- se, lo classificò con il nome della sorella e lo votò all’estinzione. I collezionisti erano e sono disposti a pagare molti sol- di per un carabo bello e rarissimo. Si scatenò la caccia. Il Carabus olym- piae era già dato per estinto, quando un arti- sta, intellettuale e ento- mologo torinese, Mario Sturani, riuscì a trovar- ne un nido. Invece di aggiungere gli ultimi esemplari viventi alla sua collezione, li spo- stò in un luogo irrag- giungibile, in modo che in segreto potessero te- stimoniare con le loro elitre metalliche la bellezza e la richez- za del creato. Ora, poiché qualche volta le storie hanno un lieto fine, l’olympiae è diventato il simbolo dell’Oasi Zegna. Con le Olimpiadi ha invece a che fare la tigre del sud della Cina. Questo è con- siderato da alcuni zoologi il ceppo da cui hanno avuto origine tutte le sottospe- cie di tigri. Le tigri sono ormai rare dap- pertutto. Diversamente dai carabi, per sopravvivere hanno bisogno di un terri- torio di caccia molto ampio. I cinesi poi hanno per secoli attribuito al grasso di tigre facoltà terapeutiche miracolose. L’ultimo avvistamento accertato di un esemplare in libertà è avvenuto più di vent’anni fa. Tuttavia al mondo sopravvi- ve una ventina di queste tigri. Gli zoo, per malinconici che possano sembrare, servono anche a conservare specie estinte o in via di estinzione in natura. All’inseguimento del pollo Una fotografia apparsa sul Daily Tele- graph mostra una giovane tigre che inse- gue un pollo. La foto è buffa, ma per Li Quat, zoologa cinese a capo del progetto di cui parliamo, è consolante. Significa che la tigre, abituata dalla nascita a ve- dersi servire la colazione a letto, sta re- cuperando l’istinto della caccia. E’ una delle due tigri (erano tre, ma una è mor- ta di crepacuore) che il governo cinese ha inviato in Sudafrica per abituarle al- la vita naturale. Il progetto intende in- trodurre di nuovo in parchi naturali ci- nesi la sottospecie. Se le due tigri, ormai in Sudafrica da tre anni, hanno recupe- rato un po’ dell’istinto della caccia, la- sciano ancora molto a desiderare quan- to a istinto sessuale. Hanno ancora un po’ di tempo, ma non troppo. Per il 2008 devono essere pronte. L’impresa serve a fare un po’ di maquillage all’immagine di una Cina molto disattenta verso l’am- biente in occasione delle olimpiadi a Pechino. Con il delfino del Fiume azzur- ro è già andata male. Cioè. Arturo Parisi, che è il governo, fa il suo rapporto sul- la base Usa di Vi- cenza. Roberto Cal- deroli, che è l’oppo- sizione e vuole but- tar giù il governo, letto il rapporto di quello che vorrebbe buttare giù, dice che va tenuto su. Tutti quelli che vogliono but- tar giù Parisi votano quindi per tenerlo su, laddove tutti quelli che vogliono tener su Parisi votano contro quelli che per buttar- lo giù lo tengono su. Parisi, che non vuole andare giù, sa benissimo che tenerlo su è il modo per buttarlo giù. E presenta un altro documento per restare su a dispetto di co- loro che lo vogliono giù. Tutti quelli che, vo- lendo buttar giù Parisi, hanno votato per te- nerlo su, votano allora contro quello che hanno votato prima per buttarlo giù. Men- tre tutti quelli che, volendo tener su Parisi, prima hanno votato contro quelli che per buttarlo giù lo hanno tenuto su, votano adesso contro quello che loro stessi hanno votato dianzi, quando hanno tenuto giù ciò che volevano su. E votano per Parisi, ma non al fine di mandarlo giù, al fine di tener- lo su. E fin qui tutto fila. Come in una storia tanto rigorosa possa non entrarci Cacciari rimane invece un mistero. Questo numero è stato chiuso in redazione alle 21 Redazione e Amministrazione: L.go Corsia Dei Servi 3 - 20122 Milano. Tel 02/771295.1 Poste Italiane Sped. in Abbonamento Postale - DL 353/2003 Conv. L.46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO ECOTRUCCHI La Cina vuole recuperare la faccia in campo ambientale con la tigre “rieducata” alla caccia L’ antisemitismo ebraico e di sinistra Un saggio dell’American Jewish Committee accusa i più importanti intellettuali ebrei e liberal, da Tony Judt a Noam Chomsky, di fomentare un “revival antisionista”,ovvero una nuova forma di odio antisemita I l nuovo antisemitismo è ebraico e di sini- stra. La scioccante accusa è contenuta in un paper intitolato “Pensiero progressista ebraico e nuovo antisemitismo”, scritto dal professor Alvin H. Rosenfeld e pubblicato dall’American Jewish Committee, una delle più antiche istituzioni ebraico-americane che, oltre a pubblicare la rivista Commen- tary, dal 1906 si batte contro il fondamentali- smo e l’antisemitismo nel mondo. Il docu- mento di Rosenfeld ha provocato un gran di- battito sui giornali americani perché non si limita ad accusare di antisemitismo una par- te del pensiero progressista ebraico, ma fa anche i nomi dei principali intellettuali ebrei e liberal che in questi anni avrebbero contribuito a diffondere l’odio contro Israe- le, alleandosi implicitamente con l’estremi- smo di destra e il radicalismo musulmano nella comune campagna per la distruzione dello stato di Israele. I nomi sono quelli di Tony Judt, guru della sinistra intellettuale newyorchese, professo- re alla New York University, editorialista di The Nation e della New York Review of Books, di Tony Kushner, sceneggiatore cine- matografico, premio Pulitzer e coautore con Steven Spielberg di “Monaco”, di Richard Cohen, editorialista del Washington Post, di Noam Chomsky, linguista di Harvard, più va- ri accademici e seguaci di Edward Said, lo scomparso professore alla Columbia nonché dirigente dell’Olp di Yasser Arafat. Nessuno di loro chiede di cancellare Israele dalla car- tina geografica, contestano però la legittimità della sua fondazione, propongono soluzioni binazionali che porterebbero all’estinzione di Israele, denunciano la “nazificazione del- la società israeliana” e chiamano “giudeo-na- zisti” i soldati dell’esercito israeliano. “Criticare le politiche israeliane non si- gnifica essere antisemiti – precisa il rappor- to – ma definire Israele uno stato nazista, ac- cusarlo di promuovere l’apartheid e di pra- ticare la pulizia etnica o il genocidio va ben oltre la legittima critica”. Il documento di Rosenfeld cita libri, articoli e discorsi pub- blici di questi intellettuali in cui Israele vie- ne regolarmente chiamato belligerante, cru- dele, sanguinario, pericoloso, corrotto, cata- clismico, militarista, brutale, assassino, ter- rorista, cieco, pazzo, demoniaco, fanatico, razzista, criminale, matto, violento e così via. La critica di certa sinistra ebraica allo stato d’Israele, secondo l’American Jewish Com- mittee, non è più rivolta alle politiche dei suoi governi e all’occupazione dei territori, ma viene fatta risalire al “peccato origina- le”, “all’ingiustizia”, “all’orribile errore”, al “crimine”, ovvero alla data di fondazione, nel 1948, dello stato ebraico. Costoro sosten- gono che Israele sia “un male per gli ebrei”, paragonano il padre del sionismo Theodor Herlz ad Adolf Hitler, Israele alla Germania nazista, i palestinesi agli ebrei del ghetto di Varsavia eccetera. Sul Washington Post, Ri- chard Cohen si chiede se “Israele debba esi- stere”, una domanda improponibile sulla Svezia, sul Canada o sul Giappone. “L’impen- sabile, nel caso di Israele, è accettabile e la questione del diritto dello stato ebraico ad avere un futuro diventa una domanda legit- tima per un dibattito in classe”. L’antisionismo ebraico non è una novità. I marxisti ebrei consideravano il sionismo im- perialista, razzista e repressivo e anche di- versi gruppi ortodossi pensavano fosse bla- sfema l’idea di istituire uno stato ebraico prima della venuta del Messia. Ma una volta creato Israele nel 1948 e, soprattutto, in se- guito agli attacchi subiti nel 1967, l’antisioni- smo ebraico è scomparso quasi del tutto. Il pensiero di alcuni intellettuali ebrei di sini- stra ha prodotto un “revival antisionista”, che altro non è se non “la forma che prende gran parte dell’odierno antisemitismo”. L’esecutivo,sotto accusa per aver aiutato la Cia, si difende invocando sicurezza nazionale e giusto segreto Accade in Germania Berlino. Mandati di cattura, interrogatori, inchieste sulle responsabilità del governo. In Germania le “renditions” della Cia hanno scatenato la stampa contro il ministro degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier. Il tribunale di Monaco ha emesso un mandato di cattura per 13 agenti della Cia responsabili di aver prelevato, nel dicembre del 2003, il tedesco d’origine libanese Khaled al Masri, liberato cinque mesi dopo con l’ammissione america- na di uno scambio di persona. Ieri sono stati interrogati due agenti dei servizi segreti, che nel settembre del 2002 si erano recati a Guan- tanamo per interrogare Murat Kurnaz, citta- dino turco nato e cresciuto a Dresda, cattura- to in Pakistan nel 2001 e portato a Guantana- mo. A metà del 2002 la Cia s’accorge di aver fatto un errore e segnala la disponibilità a ri- lasciare Kurnaz. Due casi, due mezzi errori. Ma allora Steinmeier, capo del gabinetto del- l’ex cancelliere Gerhard Schröder, estromet- te dal processo l’allora ministro degli Esteri, Joschka Fischer, s’attiene alla linea del mini- stro dell’Interno, Otto Schily, cioè “in dubio pro securitate” e comunica agli americani che Kurnaz dev’essere rimandato in Turchia. Oggi il socialdemocratico Steinmeier con- trobatte a chi lo accusa: “Proviamo a imma- ginare che cosa sarebbe accaduto se ci fos- se stato un attentato nel quale era magari coinvolto anche lui”. La Germania – che, stando alle parole di Schröder alla vigilia della campagna irachena, “non partecipa a questa guerra” – ha lasciato atterrare nei suoi aeroporti 238 voli della Cia; ha inviato 007 in Iraq consegnando agli americani la pianta di difesa di Baghdad fatta da Sad- dam; ha mandato agenti a interrogare pre- sunti terroristi a Guantanamo. L’8 marzo Steinmeier risponderà alla commissione d’indagine parlamentare e secondo molti analisti rischia il posto. Ma la politica difen- de le scelte del governo. Il cancelliere An- gela Merkel mantiene la linea espressa al primo incontro con Condoleezza Rice, se- gretario di stato americano: “Il rispetto del diritto internazionale è fondamentale, ma per ragioni di sicurezza nazionale non tutto può essere reso pubblico”. Parigi. Il presidente francese, Jacques Chirac, non teme una bomba nucleare nelle mani di un regime integralista islamico il cui presidente inneggia alla distruzione di Israele. “Quel che è pericoloso” con l’Iran – ha detto Chirac in un’intervista al New York Times e al Nouvel Observateur registrata lu- nedì – “non è il fatto che abbia una bomba nucleare: averne una, forse una seconda un po’ più tardi, non è molto pericoloso. Il peri- colo non è la bomba che (l’Iran, ndr) avrà e che non gli servirà a niente. Dove la lancerà questa bomba? Su Israele? Non avrà per- corso 200 metri nell’atmosfera che Teheran sarà rasa al suolo”. Mar- tedì, il presidente ha cercato di cor- reggersi, riconvocando i giornali- sti per riallineare le posizioni francesi con la comunità inter- nazionale: “coesione” contro il programma nucleare iraniano; a essere “distrutta” non sa- rebbe Teheran ma la bom- ba; di Israele “non ricordo di aver parlato”. Ma “il la- sciarsi andare” di Chirac è finito comunque in prima pagina. La svolta ha contrariato i partner europei, tanto più che ora devono fronteggiare l’ipo- tesi di un’Opec del gas tra Iran e Russia (“idea interessante”, ha detto Vladimir Pu- tin). Nel momento in cui il Consiglio di sicu- rezza dell’Onu deve nuovamente discutere del nucleare, un asse Mosca-Parigi rende- rebbe impossibile ulteriori sanzioni. Nelle ultime settimane, Chirac si è posto come no- vello Chamberlain della crisi con l’Iran. Già a metà gennaio – come raccontato dal Foglio – il presidente avrebbe voluto inviare a Teheran il suo ministro degli Esteri, Philip- pe Douste-Blazy – che ieri ha cercato di rial- linearsi con la comunità internazionale – per negoziare un “gran bargain”: l’abbando- no delle sanzioni in cambio della non ag- gressione in Libano. L’iniziativa unilaterale è saltata soltanto dopo i “no” dell’Egitto e dell’Arabia Saudita. In Europa, Parigi guida il fronte di paesi che s’oppone alla richiesta americana di accentuare l’isolamento ira- niano, lasciando a Washington e Riad il far- dello del contenimento dell’Iran. “Ossessio- nato” dalla questione libanese e dalla fine del suo mandato, Chirac sta riuscendo a ot- tenere ciò che, nell’intervista di rettifica, lui stesso dice “l’Iran auspica: la divisione del- la comunità internazionale”. L’Eliseo s’infu- ria e grida al complotto americano, ma per- sino il Monde s’interroga sulla “credibilità” della Francia. In attesa di Sarkozy. No u veau Chamberlain Per Chirac l’Iran con una o due bombe atomiche non è poi così pericoloso Il presidente francese dice che a Teheran l’ordigno nucleare non serve perché non potrebbe lanciarlo. Poi prova a ritrattare L’Eliseo grida al complotto Roma. Romano Prodi cercherà di rimpan- nucciare le cose con un vertice di coalizio- ne. Anche lui non dubita che ieri il centrosi- nistra abbia fatto del proprio meglio per affondare in Senato insieme col proprio or- dine del giorno sulla base americana di Vi- cenza. L’unico a non essere sorpreso, perché è il regista furibondo del siluramento, è il ministro della Difesa Arturo Parisi. L’ele- mento più bislacco della giornata non si esaurisce nell’approvazione – 152 sì e 146 no, con voti sparsi e assenze tattiche da parte di senatori della maggioranza – del furbo odg proposto dalla Cdl per sanzionare positiva- mente la relazione in Aula di Parisi, perché favorevole all’ampliamento del- la base. Il fatto scon- certante è che l’U- nione sia arrivata al voto dopo aver alle- stito un proprio testo (approvato per alza- ta di mano a disastro avvenuto) che, “pre- so atto della comuni- cazione” parisiana, si limitava a esigere “una conferenza sul- le servitù militari in Italia” e a confermare gli intenti di revisio- ne degli accordi con l’America contenuti nel programma elettorale. La ricostruzione della giornata deve muo- vere dalla riunione mattutina dei capi- grupppo della maggioranza. In mancanza di accordo, la presidente ulivista Anna Finoc- chiaro cerca d’impegnare i colleghi a ritira- re qualsiasi testo, per limitarsi a bocciare le mozioni del centrodestra. Niente da fare, perché le sinistre massimaliste preannun- ciano un documento con il quale richiedere ancora una consultazione locale sulla base. Alla fine si decide di arrangiare quell’ordi- ne del giorno così sgangherato che sospende nella caligine il giudizio sul discorso di Pa- risi e di fatto sconfessa la promessa fatta agli Stati Uniti da Prodi. A quel punto ai senatori di centrodestra è venuto facile improvvisare un odg stringato e parisiano – “Udite le comunicazioni del governo, le si approva” – in modo da stana- re il consenso dei moderati consanguinei al ministro della Difesa che aveva confermato lealtà all’alleato statunitense. Ed è merito del leghista Roberto Calderoli aver presen- tato il documento in cima alla lista. La Fi- nocchiaro l’aveva da subito respinto come un “consenso strumentale”. Ma non è basta- to per garantire la disciplina e liquidare il testo dell’opposizione. Per non votare contro la relazione di Parisi, cinque senatori della maggioranza sono usciti dall’aula: Willer Bordon, Andrea Manzella, Sergio Zavoli, Lamberto Dini, Roberto Manzione. Tranne Dini sono tutti prodiani. Altri quattro si so- no astenuti, sapendo che in Senato l’asten- sione vale come voto contrario: Gavino An- gius, Massimo Brutti, Paolo Bodini e Dome- nico Fisichella. Il parisiano Natale D’Amico (Dl) e l’ex dipietrista Sergio De Gregorio (mi- sto) hanno votato a favore del testo polista, insieme con loro anche il senatore a vita Giulio Andreotti. Risultato: Parisi adesso re- clama un chiarimento nella maggioranza – “ne parlerò con il presidente del Consiglio” – e lo fa dopo aver dimostrato che, al ricatto di Rifondazione, Verdi e Pdci, il blocco pro- diano reagisce confusamente ma con fero- cia. Le sinistre antiamericane si appellano alla lettera della mozione di maggioranza e non hanno torto: loro hanno rispettato la consegna, altri “al centro della coalizione”, non sono stati leali. Il presidente della Ca- mera,Fausto Bertinotti, promette che non ci sarà crisi. I dalemiani non sanno bene cosa dire, anche perché D’Alema è in Giappone, tuttavia recriminano per non aver votato en- trambi gli odg. L’opposizione per una volta sorride e chiede all’esecutivo delle dimissio- ni che non arriveranno. Non ancora. La fatal V icenza L’Unione sconfessa Parisi e i parisiani si vendicano votando assieme alla Cdl Il Senato approva un documento del centrodestra sulla base americana. Prodi annuncia un vertice riparatore Tra lealtà e “servitù militare” Il governo riordina le authority. Nell’Unione cresce il modello Terna, e non soltanto per Snam Il gol delle reti Roma. Il governo stringe i tempi sulla riforma delle Autorità indipendenti e sul futuro di Snam Rete Gas. Oggi il Consiglio dei ministri approverà il riordino delle Authority. L’esecutivo è al lavoro anche sull’assetto azionario di Snam Rete Gas, controllata da Eni, proprietaria dei tubi di trasmissione. La sinistra estrema dell’U- nione è contraria alla riduzione al 20 per cento della quota Eni in Snam. Una pro- spettiva alla quale non si oppone invece la parte riformista dell’Unione. Si sono schie- rate pure le Authority: pro Eni, Antitrust e Consob; Energia contro. Il modello per Snam potrebbe essere Terna, la rete elettrica in passato dell’E- nel, che ora ne controlla meno del 5 per cento. L’azionista di maggioranza relativa è la Cassa depositi e prestiti con il 29,9 per cento. La Cassa è destinata a giocare un ruolo pervasivo in questa partita. Non sol- tanto per la costituzione del fondo per le infrastrutture in cui – secondo ambienti della maggioranza – far confluire quote ri- levanti ad esempio di Snam e Terna, ma anche per il progetto che va sotto la dizio- ne di holding delle reti, progetto che sva- riate banche d’affari da settimane stanno sottoponendo all’esecutivo. Il ministero dello Sviluppo economico sta vagliando anche uno studio di Mediobanca che pre- vede la fusione di Snam e Terna. Dice Carlo Scarpa, professore di Politica indu- striale a Brescia: “Non ci sarebbero van- taggi in una simile fusione, non ci sareb- bero sinergie industriali, risparmio nei costi, né guadagni di efficienza”. La holding delle reti, magari sotto il cap- pello statale, vagheggiata da larghe parti dell’Unione, allungherebbe il proprio pe- rimetro anche a Rfi (Rete ferroviaria italia- na, controllata delle Ferrovie spa) e alla rete telefonica fissa. Ne ha riparlato ieri Angelo Rovati, ex consigliere economico di Prodi, difendendo il suo piano che preve- deva l’acquisto del 30 per cento della rete Telecom da parte della Cdp. La società del- le reti si allineerebbe con quell’Autorità unica sulle reti indicata nel programma del centrosinistra che avrebbe appunto an- che il compito di bilanciare il potere della Super rete. Un organismo, quello del- l’Authority unica per le reti, auspicato in un recente scritto di Giulio Napolitano, do- cente di Diritto amministrativo, figlio del presidente della Repubblica, che ha elabo- rato con Enrico Letta il testo di riforma delle Autorità indipendenti che oggi discu- terà il Consiglio dei ministri. Nello studio di Napolitano si esprime tra l’altro la pre- ferenza per le nomine governative dei commissari delle varie Authority. Perché la nomina del diessino Bassanini alla Cassa depositi e prestiti è uno schiaffo a D’Alema Ds in fuorigioco Roma. La nomina alla Cassa depositi e prestiti di Franco Bassanini, ex senatore ds nonché ex ministro nel governo guida- to da Massimo D’Alema, attuale presiden- te dei Ds, da un punto di vista politico ha un significato inequivocabile, ancorché apparentemente paradossale: la sconfitta dei Ds, e in particolare di Massimo D’Ale- ma. Una sconfitta maturata sul terreno de- gli assetti economici già nel 2005, con il fal- limento della scalata di Unipol a Bnl. E con tutto quello che ne seguì. Una disfatta, arrivata per giunta al termine di una bat- taglia che aveva spaccato la “finanza ros- sa” così come il movimento cooperativo, su una linea di frattura analoga a quella che aveva diviso il partito: da un lato Roc- ca Salimbeni, sede del Monte dei Paschi di Siena; dall’altro via Stalingrado, sede di Unipol. Da una parte parlamentari come Franco Bassanini e personalità come Giu- liano Amato; dall’altra, Piero Fassino e so- prattutto Massimo D’Alema, accusati di so- stenere la scalata di Gio- vanni Consorte. Divisi al loro interno, isolati nel centrosinistra, attaccati da avversari e alleati – e non certo difesi da Romano Prodi – in uno scontro che vedeva schierato contro di loro l’intero establishment economico (editoriale), messi più o meno esplici- tamente sotto accusa da quella stessa procura di Milano per anni accusata di essere la loro longa manus – con tutto questo – ai Ds non occorrevano grandi doti di preveggenza per capire che la sconfitta avrebbe avuto conseguenze durissime. E durature. Era chiaro sin dal- l’inizio. Sin da quel fatidico 2005, quando sul Corriere della Sera o sul Sole 24 Ore lo stesso Franco Bassanini, con tanti altri, si univa alle critiche contro D’Alema e Fassino. Dopo la sconfitta di Unipol, per- tanto, era nel conto che la nuova stagione di governo, sul terreno degli equilibri eco- nomico-finanziari, per i Ds non sarebbe stata una rigogliosa primavera. E se pro- prio nella mancata ricandidatura di Bas- sanini, ai primi del 2006, tutti i grandi giornali denunciavano la vendetta dale- miana, non stupisce che oggi, a spingere Bassanini verso la Cassa sia stata Mps. Non certo D’Alema. (segue a pagina quattro) ROMANO PRODI F RANCO B ASSANINI

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La Giornata* * * * * *

In Italia Nel mondo

UNIONE BATTUTA IN SENATO SULLABASE. COLLOQUIO PRODI-NAPOLITANO.Secondo indiscrezioni, in serata il capo del-lo stato avrebbe chiesto al premier un chia-rimento politico. Ieri a Palazzo Madama isenatori si sono espressi sull’ampliamentodella base americana di Vicenza con duediversi ordini del giorno. La votazione si èconclusa con 152 voti a favore, 146 contrarie 4 astenuti sul documento proposto dallaLega che esprime approvazione per la de-cisione del governo. Decisiva l’assenza didiciotto parlamentari dell’Unione, tra iquali Willer Bordon (Margherita): “Sarebbestato folle votare contro un documento cheapprovava la linea del governo”. Il ministrodella Difesa, Arturo Parisi: “E’ necessarioun chiarimento profondo, la politica esteradi difesa è una cosa seria. Ne parlerò con ilpremier”. Anna Finocchiaro, capogruppodell’Ulivo al Senato, nega “conseguenzesulla tenuta del governo”. Il presidente del-la Camera, Fausto Bertinotti: “L’episodioesprime un elemento di difficoltà e manife-sta un problema politico che dev’essere af-frontato dalla maggioranza”.

* * *Nessuna misura contro il medico di Welby.

E’ stato archiviato dall’ordine dei medici ilprocedimento a carico di Mario Riccio, l’a-nestesista di Cremona che sedò Welby.

Il leader radicale, Marco Pannella: “So-no felice anche perché la decisione è statapresa all’unanimita”.

* * *“Necessaria la riforma delle pensioni”, di-

ce la Corte dei conti: “Il sistema rischia dinon essere sostenibile, va aumentata l’etàpensionabile perché la spesa pensionisticain Italia è superiore alla media europea”.

* * *Per Petruccioli la tv è “ormai tripartita”.

Con Sky scompare il duopolio tv di Rai eMediaset. Lo ha detto il presidente dellaRai: “Non si può più parlare di duopolio,ma di tripartizione”. L’intervento arriva po-chi giorni dopo le parole del garante del-l’Antitrust Catricalà, che ha sostenuto cheil tetto alla raccolta pubblicitaria delle tvprevisto nella riforma Gentiloni è contrarioalle regole di mercato. Si è espresso ancheil presidente emerito della Corte costituzio-nale, Antonio Baldassarre, sollevando dub-bi sulla costituzionalità del ddl.

* * *Per D’Alema confronto nipponico sul Pd.

In visita a Tokyo il vicepremier, MassimoD’Alema, ha detto che “il Partito democra-tico in Italia non esiste ma governa”. Un pa-radosso “visto con interesse in Giappone”.

Anna Finocchiaro sul Pd: “Credo in unrinnovamento generazionale nella sceltadel leader”. Rispondendo a Panorama suun’eventuale candidatura di Veltroni: “Hala mia stessa età, e io non sono più un vol-to nuovo della politica”.

* * *Fmi: “Il pil dell’Italia crescerà nel 2007

dell’1,4 per cento”. Questa la previsione delFondo monetario internazionale.

Il ministero dell’Economia comunicache il fabbisogno statale di gennaio è sceso.

A GAZA SEI MORTI NEGLI SCONTRITRA FAZIONI PALESTINESI. Incursione diTsahal in Cisgiordania, tre vittime. Ieri, no-nostante il cessate il fuoco in vigore da lu-nedì sera, sono ripresi – a Gaza e nel norddella Striscia – gli scontri tra gli uomini diFatah, fedeli al presidente Abu Mazen, e imiliziani di Hamas, il partito islamico al go-verno. Due vittime appartenevano allaguardia della sicurezza dell’Anp. In Ci-sgiordania, l’esercito israeliano ha uccisotre uomini delle Brigate dei Martiri di alAqsa. Stavano preparando razzi da lancia-re contro Israele. Fonti palestinesi hannoriferito anche di quattro civili uccisi daisoldati israeliani lungo il confine.

Ieri il premier israeliano Olmert ha dife-so le sue scelte di fronte alla commissioneWinograd, incaricata di far luce sulla ge-stione della guerra contro Hezbollah, e hadetto che Israele ha vinto quel conflitto. Ilministro della Difesa, Amir Peretz, ha scel-to un nuovo sistema di difesa antimissiliper il suo paese: si tratta dell’“Iron Dome”,prodotto da industrie israeliane.

* * *In Iraq almeno 60 morti negli attacchi ter-

roristici. L’attentato più grave è stato nellacittà sciita di Hilla: due autobomba hannoucciso 45 persone. A Baghdad un’esplosio-ne ha fatto almeno una ventina di vittime.

Il generale Casey, ieri davanti alla com-missione Forze armate del Senato, per leaudizioni a conferma della nomina a capodi stato maggiore, ha detto che per renderesicura Baghdad servono meno della metàdelle truppe che il presidente Bush ha deci-so di inviare (21.500 uomini). Casey saràsostituito dal generale Petraeus in Iraq.

* * *Mosca “interessata” all’Opec del gas. Ieri

il presidente russo Putin ha detto che è “in-teressante” la proposta di Teheran di crea-re un cartello con l’Iran e gli altri paesi pro-duttori di gas, tra cui l’Algeria. Il presiden-te russo ha anche precisato che le risorseenergetiche non sono un’arma per raggiun-gere obiettivi di politica estera.

Il leader russo ha detto che alle prossimeelezioni presidenziali del 2008 lascerà airussi la “libera scelta democratica” di deci-dere il suo successore.

* * *Blair reinterrogato sullo scandalo dei

Lord. Ieri il premier inglese è stato sentitoper la seconda volta da Scotland Yard, chesta indagando sulle nomine “a pagamento”dei Lord. Il contenuto del colloquio è rima-sto segreto per volere della politiza inglese.

Il governo inglese ha deciso ieri di invia-re 800 uomini in Afghanistan. Il ministrodella Difesa Browne ha detto che, entro l’e-state, il contingente conterà su 5.800 unità.

* * *Mons. Mamberti denuncia il calo dei cri-

stiani in medio oriente. Il ministro degliEsteri del Vaticano, oltre al “doloroso pro-blema” della diminuzione dei fedeli neipaesi arabi, ha anche invitato il mondo isla-mico a confrontarsi con la modernità.

IL FOGLIOANNO XII NUMERO 28 DIRETTORE GIULIANO FERRARA VENERDÌ 2 FEBBRAIO 2007 - € 1

quotidiano

Si chiama Carabus olympiae. Ma nonha nulla a che fare con le olimpiadi.

Olimpia si chiamava la signora che nel1854 ne trovò un esemplare morto in unbosco sopra Biella, nella zona che la ge-nerosità di un industriale tessile del luo-go, Ermenegildo Zegna, ha trasformatonegli anni Trenta del secolo scorso in unparco naturale. Olimpia era sorella diun famoso entomologo del tempo, Euge-nio Sella. Sella accertò che lo splendidocarabo dai riflessi metallici era scono-sciuto e endemico del luogo. Lo descris-se, lo classificò con il nome della sorellae lo votò all’estinzione. I collezionistierano e sono disposti a pagare molti sol-di per un carabo bello erarissimo. Si scatenò lacaccia. Il Carabus olym-piae era già dato perestinto, quando un arti-sta, intellettuale e ento-mologo torinese, MarioSturani, riuscì a trovar-ne un nido. Invece diaggiungere gli ultimiesemplari viventi allasua collezione, li spo-stò in un luogo irrag-giungibile, in modo chein segreto potessero te-stimoniare con le loroelitre metalliche la bellezza e la richez-za del creato. Ora, poiché qualche voltale storie hanno un lieto fine, l’olympiaeè diventato il simbolo dell’Oasi Zegna.

Con le Olimpiadi ha invece a che farela tigre del sud della Cina. Questo è con-siderato da alcuni zoologi il ceppo dacui hanno avuto origine tutte le sottospe-cie di tigri. Le tigri sono ormai rare dap-pertutto. Diversamente dai carabi, persopravvivere hanno bisogno di un terri-torio di caccia molto ampio. I cinesi poihanno per secoli attribuito al grasso ditigre facoltà terapeutiche miracolose.L’ultimo avvistamento accertato di unesemplare in libertà è avvenuto più divent’anni fa. Tuttavia al mondo sopravvi-ve una ventina di queste tigri. Gli zoo,per malinconici che possano sembrare,servono anche a conservare specieestinte o in via di estinzione in natura.

All’inseguimento del polloUna fotografia apparsa sul Daily Tele-

graph mostra una giovane tigre che inse-gue un pollo. La foto è buffa, ma per LiQuat, zoologa cinese a capo del progettodi cui parliamo, è consolante. Significache la tigre, abituata dalla nascita a ve-dersi servire la colazione a letto, sta re-cuperando l’istinto della caccia. E’ unadelle due tigri (erano tre, ma una è mor-ta di crepacuore) che il governo cineseha inviato in Sudafrica per abituarle al-la vita naturale. Il progetto intende in-trodurre di nuovo in parchi naturali ci-nesi la sottospecie. Se le due tigri, ormaiin Sudafrica da tre anni, hanno recupe-rato un po’ dell’istinto della caccia, la-sciano ancora molto a desiderare quan-to a istinto sessuale. Hanno ancora unpo’ di tempo, ma non troppo. Per il 2008devono essere pronte. L’impresa serve afare un po’ di maquillage all’immaginedi una Cina molto disattenta verso l’am-biente in occasione delle olimpiadi aPechino. Con il delfino del Fiume azzur-ro è già andata male.

Cioè. Arturo Parisi,che è il governo, fail suo rapporto sul-la base Usa di Vi-cenza. Roberto Cal-deroli, che è l’oppo-sizione e vuole but-tar giù il governo,letto il rapporto di

quello che vorrebbe buttare giù, dice cheva tenuto su. Tutti quelli che vogliono but-tar giù Parisi votano quindi per tenerlo su,laddove tutti quelli che vogliono tener suParisi votano contro quelli che per buttar-lo giù lo tengono su. Parisi, che non vuoleandare giù, sa benissimo che tenerlo su è ilmodo per buttarlo giù. E presenta un altrodocumento per restare su a dispetto di co-loro che lo vogliono giù. Tutti quelli che, vo-lendo buttar giù Parisi, hanno votato per te-nerlo su, votano allora contro quello chehanno votato prima per buttarlo giù. Men-tre tutti quelli che, volendo tener su Parisi,prima hanno votato contro quelli che perbuttarlo giù lo hanno tenuto su, votanoadesso contro quello che loro stessi hannovotato dianzi, quando hanno tenuto giù ciòche volevano su. E votano per Parisi, manon al fine di mandarlo giù, al fine di tener-lo su. E fin qui tutto fila. Come in una storiatanto rigorosa possa non entrarci Cacciaririmane invece un mistero.

Questo numero è stato chiuso in redazione alle 21

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ECOTRUCCHILa Cina vuole recuperare

la faccia in campo ambientale conla tigre “rieducata” alla caccia

L’antisemitismo ebraico e di sinistraUn saggio dell’American Jewish Committee accusa i più importanti

intellettuali ebrei e liberal, da Tony Judt a Noam Chomsky, di fomentareun “revival antisionista”, ovvero una nuova forma di odio antisemita

Il nuovo antisemitismo è ebraico e di sini-stra. La scioccante accusa è contenuta in

un paper intitolato “Pensiero progressistaebraico e nuovo antisemitismo”, scritto dalprofessor Alvin H. Rosenfeld e pubblicatodall’American Jewish Committee, una dellepiù antiche istituzioni ebraico-americaneche, oltre a pubblicare la rivista Commen-tary, dal 1906 si batte contro il fondamentali-smo e l’antisemitismo nel mondo. Il docu-mento di Rosenfeld ha provocato un gran di-battito sui giornali americani perché non silimita ad accusare di antisemitismo una par-te del pensiero progressista ebraico, ma faanche i nomi dei principali intellettualiebrei e liberal che in questi anni avrebberocontribuito a diffondere l’odio contro Israe-le, alleandosi implicitamente con l’estremi-smo di destra e il radicalismo musulmanonella comune campagna per la distruzionedello stato di Israele.

I nomi sono quelli di Tony Judt, guru dellasinistra intellettuale newyorchese, professo-re alla New York University, editorialista diThe Nation e della New York Review ofBooks, di Tony Kushner, sceneggiatore cine-matografico, premio Pulitzer e coautore conSteven Spielberg di “Monaco”, di RichardCohen, editorialista del Washington Post, diNoam Chomsky, linguista di Harvard, più va-ri accademici e seguaci di Edward Said, loscomparso professore alla Columbia nonchédirigente dell’Olp di Yasser Arafat. Nessunodi loro chiede di cancellare Israele dalla car-tina geografica, contestano però la legittimitàdella sua fondazione, propongono soluzionibinazionali che porterebbero all’estinzionedi Israele, denunciano la “nazificazione del-la società israeliana” e chiamano “giudeo-na-zisti” i soldati dell’esercito israeliano.

“Criticare le politiche israeliane non si-gnifica essere antisemiti – precisa il rappor-to – ma definire Israele uno stato nazista, ac-

cusarlo di promuovere l’apartheid e di pra-ticare la pulizia etnica o il genocidio va benoltre la legittima critica”. Il documento diRosenfeld cita libri, articoli e discorsi pub-blici di questi intellettuali in cui Israele vie-ne regolarmente chiamato belligerante, cru-dele, sanguinario, pericoloso, corrotto, cata-clismico, militarista, brutale, assassino, ter-rorista, cieco, pazzo, demoniaco, fanatico,razzista, criminale, matto, violento e così via.La critica di certa sinistra ebraica allo statod’Israele, secondo l’American Jewish Com-mittee, non è più rivolta alle politiche deisuoi governi e all’occupazione dei territori,ma viene fatta risalire al “peccato origina-le”, “all’ingiustizia”, “all’orribile errore”, al“crimine”, ovvero alla data di fondazione,nel 1948, dello stato ebraico. Costoro sosten-gono che Israele sia “un male per gli ebrei”,paragonano il padre del sionismo TheodorHerlz ad Adolf Hitler, Israele alla Germanianazista, i palestinesi agli ebrei del ghetto diVarsavia eccetera. Sul Washington Post, Ri-chard Cohen si chiede se “Israele debba esi-stere”, una domanda improponibile sullaSvezia, sul Canada o sul Giappone. “L’impen-sabile, nel caso di Israele, è accettabile e laquestione del diritto dello stato ebraico adavere un futuro diventa una domanda legit-tima per un dibattito in classe”.

L’antisionismo ebraico non è una novità. Imarxisti ebrei consideravano il sionismo im-perialista, razzista e repressivo e anche di-versi gruppi ortodossi pensavano fosse bla-sfema l’idea di istituire uno stato ebraicoprima della venuta del Messia. Ma una voltacreato Israele nel 1948 e, soprattutto, in se-guito agli attacchi subiti nel 1967, l’antisioni-smo ebraico è scomparso quasi del tutto. Ilpensiero di alcuni intellettuali ebrei di sini-stra ha prodotto un “revival antisionista”,che altro non è se non “la forma che prendegran parte dell’odierno antisemitismo”.

L’esecutivo, sotto accusa per averaiutato la Cia, si difende invocandosicurezza nazionale e giusto segreto

Accade in Germania

Berlino. Mandati di cattura, interrogatori,inchieste sulle responsabilità del governo. InGermania le “renditions” della Cia hannoscatenato la stampa contro il ministro degliEsteri, Frank-Walter Steinmeier. Il tribunaledi Monaco ha emesso un mandato di catturaper 13 agenti della Cia responsabili di averprelevato, nel dicembre del 2003, il tedescod’origine libanese Khaled al Masri, liberatocinque mesi dopo con l’ammissione america-na di uno scambio di persona. Ieri sono statiinterrogati due agenti dei servizi segreti, chenel settembre del 2002 si erano recati a Guan-tanamo per interrogare Murat Kurnaz, citta-dino turco nato e cresciuto a Dresda, cattura-to in Pakistan nel 2001 e portato a Guantana-mo. A metà del 2002 la Cia s’accorge di averfatto un errore e segnala la disponibilità a ri-lasciare Kurnaz. Due casi, due mezzi errori.Ma allora Steinmeier, capo del gabinetto del-l’ex cancelliere Gerhard Schröder, estromet-te dal processo l’allora ministro degli Esteri,Joschka Fischer, s’attiene alla linea del mini-stro dell’Interno, Otto Schily, cioè “in dubiopro securitate” e comunica agli americaniche Kurnaz dev’essere rimandato in Turchia.

Oggi il socialdemocratico Steinmeier con-trobatte a chi lo accusa: “Proviamo a imma-ginare che cosa sarebbe accaduto se ci fos-se stato un attentato nel quale era magaricoinvolto anche lui”. La Germania – che,stando alle parole di Schröder alla vigiliadella campagna irachena, “non partecipa aquesta guerra” – ha lasciato atterrare neisuoi aeroporti 238 voli della Cia; ha inviato007 in Iraq consegnando agli americani lapianta di difesa di Baghdad fatta da Sad-dam; ha mandato agenti a interrogare pre-sunti terroristi a Guantanamo. L’8 marzoSteinmeier risponderà alla commissioned’indagine parlamentare e secondo moltianalisti rischia il posto. Ma la politica difen-de le scelte del governo. Il cancelliere An-gela Merkel mantiene la linea espressa alprimo incontro con Condoleezza Rice, se-gretario di stato americano: “Il rispetto deldiritto internazionale è fondamentale, maper ragioni di sicurezza nazionale non tuttopuò essere reso pubblico”.

Parigi. Il presidente francese, JacquesChirac, non teme una bomba nucleare nellemani di un regime integralista islamico ilcui presidente inneggia alla distruzione diIsraele. “Quel che è pericoloso” con l’Iran –ha detto Chirac in un’intervista al New YorkTimes e al Nouvel Observateur registrata lu-nedì – “non è il fatto che abbia una bombanucleare: averne una, forse una seconda unpo’ più tardi, non è molto pericoloso. Il peri-

colo non è la bomba che (l’Iran,ndr) avrà e che non gli servirà aniente. Dove la lancerà questa

bomba? Su Israele? Non avrà per-corso 200 metri nell’atmosfera che

Teheran sarà rasa al suolo”. Mar-tedì, il presidente ha cercato di cor-

reggersi, riconvocando i giornali-sti per riallineare le posizionifrancesi con la comunità inter-

nazionale: “coesione” contro ilprogramma nucleare iraniano;

a essere “distrutta” non sa-rebbe Teheran ma la bom-ba; di Israele “non ricordodi aver parlato”. Ma “il la-sciarsi andare” di Chirac

è finito comunque in prima pagina.La svolta ha contrariato i partner europei,

tanto più che ora devono fronteggiare l’ipo-tesi di un’Opec del gas tra Iran e Russia(“idea interessante”, ha detto Vladimir Pu-tin). Nel momento in cui il Consiglio di sicu-rezza dell’Onu deve nuovamente discuteredel nucleare, un asse Mosca-Parigi rende-rebbe impossibile ulteriori sanzioni. Nelleultime settimane, Chirac si è posto come no-vello Chamberlain della crisi con l’Iran. Giàa metà gennaio – come raccontato dal Foglio– il presidente avrebbe voluto inviare aTeheran il suo ministro degli Esteri, Philip-pe Douste-Blazy – che ieri ha cercato di rial-linearsi con la comunità internazionale –per negoziare un “gran bargain”: l’abbando-no delle sanzioni in cambio della non ag-gressione in Libano. L’iniziativa unilateraleè saltata soltanto dopo i “no” dell’Egitto edell’Arabia Saudita. In Europa, Parigi guidail fronte di paesi che s’oppone alla richiestaamericana di accentuare l’isolamento ira-niano, lasciando a Washington e Riad il far-dello del contenimento dell’Iran. “Ossessio-nato” dalla questione libanese e dalla finedel suo mandato, Chirac sta riuscendo a ot-tenere ciò che, nell’intervista di rettifica, luistesso dice “l’Iran auspica: la divisione del-la comunità internazionale”. L’Eliseo s’infu-ria e grida al complotto americano, ma per-sino il Monde s’interroga sulla “credibilità”della Francia. In attesa di Sarkozy.

Nouveau Chamberlain

Per Chirac l’Iran con unao due bombe atomichenon è poi così pericolosoIl presidente francese dice che a Teheran

l’ordigno nucleare non serve perché nonpotrebbe lanciarlo. Poi prova a ritrattare

L’Eliseo grida al complottoRoma. Romano Prodi cercherà di rimpan-

nucciare le cose con un vertice di coalizio-ne. Anche lui non dubita che ieri il centrosi-nistra abbia fatto del proprio meglio peraffondare in Senato insieme col proprio or-dine del giorno sulla base americana di Vi-cenza. L’unico a non essere sorpreso, perchéè il regista furibondo del siluramento, è ilministro della Difesa Arturo Parisi. L’ele-mento più bislacco della giornata non siesaurisce nell’approvazione – 152 sì e 146 no,con voti sparsi e assenze tattiche da parte disenatori della maggioranza – del furbo odgproposto dalla Cdl per sanzionare positiva-mente la relazionein Aula di Parisi,perché favorevoleall’ampliamento del-la base. Il fatto scon-certante è che l’U-nione sia arrivata alvoto dopo aver alle-stito un proprio testo(approvato per alza-ta di mano a disastroavvenuto) che, “pre-so atto della comuni-cazione” parisiana,si limitava a esigere“una conferenza sul-le servitù militari inItalia” e a confermare gli intenti di revisio-ne degli accordi con l’America contenuti nelprogramma elettorale.

La ricostruzione della giornata deve muo-vere dalla riunione mattutina dei capi-grupppo della maggioranza. In mancanza diaccordo, la presidente ulivista Anna Finoc-chiaro cerca d’impegnare i colleghi a ritira-re qualsiasi testo, per limitarsi a bocciare lemozioni del centrodestra. Niente da fare,perché le sinistre massimaliste preannun-ciano un documento con il quale richiedereancora una consultazione locale sulla base.Alla fine si decide di arrangiare quell’ordi-ne del giorno così sgangherato che sospendenella caligine il giudizio sul discorso di Pa-risi e di fatto sconfessa la promessa fatta agliStati Uniti da Prodi.

A quel punto ai senatori di centrodestra èvenuto facile improvvisare un odg stringatoe parisiano – “Udite le comunicazioni delgoverno, le si approva” – in modo da stana-re il consenso dei moderati consanguinei alministro della Difesa che aveva confermatolealtà all’alleato statunitense. Ed è meritodel leghista Roberto Calderoli aver presen-tato il documento in cima alla lista. La Fi-nocchiaro l’aveva da subito respinto comeun “consenso strumentale”. Ma non è basta-to per garantire la disciplina e liquidare iltesto dell’opposizione. Per non votare controla relazione di Parisi, cinque senatori dellamaggioranza sono usciti dall’aula: WillerBordon, Andrea Manzella, Sergio Zavoli,Lamberto Dini, Roberto Manzione. TranneDini sono tutti prodiani. Altri quattro si so-no astenuti, sapendo che in Senato l’asten-sione vale come voto contrario: Gavino An-gius, Massimo Brutti, Paolo Bodini e Dome-nico Fisichella. Il parisiano Natale D’Amico(Dl) e l’ex dipietrista Sergio De Gregorio (mi-sto) hanno votato a favore del testo polista,insieme con loro anche il senatore a vitaGiulio Andreotti. Risultato: Parisi adesso re-clama un chiarimento nella maggioranza –“ne parlerò con il presidente del Consiglio”– e lo fa dopo aver dimostrato che, al ricattodi Rifondazione, Verdi e Pdci, il blocco pro-diano reagisce confusamente ma con fero-cia. Le sinistre antiamericane si appellanoalla lettera della mozione di maggioranza enon hanno torto: loro hanno rispettato laconsegna, altri “al centro della coalizione”,non sono stati leali. Il presidente della Ca-mera, Fausto Bertinotti, promette che non cisarà crisi. I dalemiani non sanno bene cosadire, anche perché D’Alema è in Giappone,tuttavia recriminano per non aver votato en-trambi gli odg. L’opposizione per una voltasorride e chiede all’esecutivo delle dimissio-ni che non arriveranno. Non ancora.

La fatal Vicenza

L’Unione sconfessa Parisie i parisiani si vendicanovotando assieme alla CdlIl Senato approva un documento

del centrodestra sulla base americana.Prodi annuncia un vertice riparatore

Tra lealtà e “servitù militare”

Il governo riordina le authority.Nell’Unione cresce il modello

Terna, e non soltanto per Snam

Il gol delle reti

Roma. Il governo stringe i tempi sullariforma delle Autorità indipendenti e sulfuturo di Snam Rete Gas. Oggi il Consigliodei ministri approverà il riordino delleAuthority. L’esecutivo è al lavoro anchesull’assetto azionario di Snam Rete Gas,controllata da Eni, proprietaria dei tubi ditrasmissione. La sinistra estrema dell’U-nione è contraria alla riduzione al 20 percento della quota Eni in Snam. Una pro-spettiva alla quale non si oppone invece laparte riformista dell’Unione. Si sono schie-rate pure le Authority: pro Eni, Antitrust eConsob; Energia contro.

Il modello per Snam potrebbe essereTerna, la rete elettrica in passato dell’E-nel, che ora ne controlla meno del 5 percento. L’azionista di maggioranza relativaè la Cassa depositi e prestiti con il 29,9 percento. La Cassa è destinata a giocare unruolo pervasivo in questa partita. Non sol-tanto per la costituzione del fondo per leinfrastrutture in cui – secondo ambientidella maggioranza – far confluire quote ri-levanti ad esempio di Snam e Terna, maanche per il progetto che va sotto la dizio-ne di holding delle reti, progetto che sva-riate banche d’affari da settimane stannosottoponendo all’esecutivo. Il ministerodello Sviluppo economico sta vagliandoanche uno studio di Mediobanca che pre-vede la fusione di Snam e Terna. DiceCarlo Scarpa, professore di Politica indu-striale a Brescia: “Non ci sarebbero van-taggi in una simile fusione, non ci sareb-bero sinergie industriali, risparmio neicosti, né guadagni di efficienza”.

La holding delle reti, magari sotto il cap-pello statale, vagheggiata da larghe partidell’Unione, allungherebbe il proprio pe-rimetro anche a Rfi (Rete ferroviaria italia-na, controllata delle Ferrovie spa) e allarete telefonica fissa. Ne ha riparlato ieriAngelo Rovati, ex consigliere economico diProdi, difendendo il suo piano che preve-deva l’acquisto del 30 per cento della reteTelecom da parte della Cdp. La società del-le reti si allineerebbe con quell’Autoritàunica sulle reti indicata nel programmadel centrosinistra che avrebbe appunto an-che il compito di bilanciare il potere dellaSuper rete. Un organismo, quello del-l’Authority unica per le reti, auspicato inun recente scritto di Giulio Napolitano, do-cente di Diritto amministrativo, figlio delpresidente della Repubblica, che ha elabo-rato con Enrico Letta il testo di riformadelle Autorità indipendenti che oggi discu-terà il Consiglio dei ministri. Nello studiodi Napolitano si esprime tra l’altro la pre-ferenza per le nomine governative deicommissari delle varie Authority.

Perché la nomina del diessinoBassanini alla Cassa depositi e

prestiti è uno schiaffo a D’Alema

Ds in fuorigioco

Roma. La nomina alla Cassa depositi eprestiti di Franco Bassanini, ex senatoreds nonché ex ministro nel governo guida-to da Massimo D’Alema, attuale presiden-te dei Ds, da un punto di vista politico haun significato inequivocabile, ancorchéapparentemente paradossale: la sconfittadei Ds, e in particolare di Massimo D’Ale-ma. Una sconfitta maturata sul terreno de-gli assetti economici già nel 2005, con il fal-limento della scalata di Unipol a Bnl. Econ tutto quello che ne seguì. Una disfatta,arrivata per giunta al termine di una bat-taglia che aveva spaccato la “finanza ros-sa” così come il movimento cooperativo,su una linea di frattura analoga a quellache aveva diviso il partito: da un lato Roc-ca Salimbeni, sede del Monte dei Paschidi Siena; dall’altro via Stalingrado, sede diUnipol. Da una parte parlamentari comeFranco Bassanini e personalità come Giu-liano Amato; dall’altra, Piero Fassino e so-prattutto Massimo D’Alema, accusati di so-stenere la scalata di Gio-vanni Consorte. Divisi alloro interno, isolati nelcentrosinistra, attaccati daavversari e alleati – e noncerto difesi da RomanoProdi – in uno scontro chevedeva schierato contro diloro l’intero establishmenteconomico (editoriale),messi più o meno esplici-tamente sotto accusa daquella stessa procura di Milano per anniaccusata di essere la loro longa manus –con tutto questo – ai Ds non occorrevanograndi doti di preveggenza per capire chela sconfitta avrebbe avuto conseguenzedurissime. E durature. Era chiaro sin dal-l’inizio. Sin da quel fatidico 2005, quandosul Corriere della Sera o sul Sole 24 Orelo stesso Franco Bassanini, con tanti altri,si univa alle critiche contro D’Alema eFassino. Dopo la sconfitta di Unipol, per-tanto, era nel conto che la nuova stagionedi governo, sul terreno degli equilibri eco-nomico-finanziari, per i Ds non sarebbestata una rigogliosa primavera. E se pro-prio nella mancata ricandidatura di Bas-sanini, ai primi del 2006, tutti i grandigiornali denunciavano la vendetta dale-miana, non stupisce che oggi, a spingereBassanini verso la Cassa sia stata Mps.Non certo D’Alema. (segue a pagina quattro)

ROMANO PRODI

FRANCO BASSANINI

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Mentre il pil mondiale cresce del 5,3 percento e quello italiano dell’1,7 per cento (chegià ci sembra una performance eccezionale),per l’ennesima volta noi ci attardiamo nel so-lito, inutile dibattito ideologico su mercato estato, questa volta sotto le (mentite) spogliedel “ritorno dell’Iri”. Dico subito che non stoné con Prodi né con Giavazzi (e pazienza sedovrò stare con Scalfari). Non sto con il Prodiche, lungi dal voler rifare l’Iri – magari, quel-la era una cosa seria – usa Palazzo Chigi percostruirsi il partito che non ha, e gli dà la for-ma di una banca, la cui nascita annuncia giu-bilante prima ancora che i consigli di ammi-nistrazione lo abbiamo fatto formalmente.Non sto con il Prodi che “adesso gliela facciovedere io a D’Alema come si lancia un’opa”,e spedisce il fidato Costa-magna a costruire la scato-la (Mittel più Hopa) che do-vrà scalare le Assicurazio-ni Generali con l’ausiliodel “ricco del quartiero-ne” Romain Zaleski. Nonsto con il Prodi che rovinaun’idea giusta – utilizzare la reteTelecom per costruire un nuovo soggetto delnostro capitalismo anoressico – per il deside-rio di fare “filotto” e buttar giù in un colpo so-lo Tronchetti Provera, Mieli e Geronzi. Nonsto con il Prodi che spinge Di Pietro ad attac-care i Benetton sulla fusione Autostrade-Abertis, e poi tace quando Bruxelles mandauna lettera di ammonizione – inevitabile egiusta – al governo di Roma. Ma soprattutto,non sto con il presidente del Consiglio che –al pari del precedente, è proprio vero cheProdi e Berlusconi sono perfettamente sim-metrici – non spiega al paese che è in pienodeclino, che per superarlo occorre un nuovopatto sociale e poi però pretende di esserecreduto (e credibile) nel momento in cui si at-teggia ad “ape regina” (efficace definizione diFrancesco Forte sul Foglio, unica cosa buonadel suo pezzo). Tuttavia, non sto neppure conGiavazzi (o Debenedetti, o Mingardi, o Gian-nino, dipende da chi è di turno) quando, innome del Dio mercato, propone le liberaliz-zazioni – e, cosa ancora più grave, le privatiz-zazioni – come fine e non come mezzo, facen-dole diventare tutte necessarie e tutte buoneper definizione. Non sto con i “liberisti-ko-meinisti” quando, in piena “guerra energeti-ca” voluta dal duopolio imperialista del gas,pretendono di attuare una “separazione” trarete (Snam RG) e gestore (Eni) che indeboli-rebbe l’unico soggetto che ci assicura gli ap-provvigionamenti della materia prima sullaquale abbiamo sciaguratamente puntato tut-to, quando un ritocco alla governance (si stu-dino il caso della rete tlc di British Telecom,i nostri tardo-thatcheriani) potrebbe tran-quillamente bastare. Non sto con Giavazziquando propone di fare la versione italianaNational Grid (cioè unire Snam e Terna) – be-ne, sono mesi che lo predico – ma pretendeche sia fin dall’inizio una public companytranquillamente comprabile dagli stranieri,ignorandone la strategicità ai fini della sicu-rezza energetica nazionale. E non sto con chi,ignorando colpevolmente i dati di fatto, ha giàcriminalizzato F2I, il fondo per le infrastrut-ture – e Dio solo sa quanto questo paese neabbia bisogno – che ha il solo torto di mette-re insieme la Cassa depositi e prestiti (cheladdove c’è, come in Francia, da anni svolgeun utile funzione di collante di diversi grup-pi del capitalismo d’oltralpe) con le fondazio-ni bancarie (tornate a essere bersaglio dopol’infelice, ma chiuso con recita di mea culpa,tentativo di Giulio Tremonti di metterle albando) e alcuni istituti di credito italiani estranieri. Tra i quali c’è sì la prodianaSant’Intesa – e dall’altra parte è la prima ban-ca del paese, sarà bene farcene una ragione –ma c’è pure l’anti-bazoliano Unicredito (e nonè detto che sia finita lì). Il fondo, poi, è statoaccusato di voler ristatalizzare – è un po’ du-ra, avendo la Cdp solo il 15 per cento – Snam,Terna, Enel e quant’altro, quando invece nel-l’agenda delle sue future acquisizioni ci sa-ranno autostrade, aeroporti, porti, insommaroba del settore trasporti. Francamente, ionon sto con questo modo di ragionare per cuiil fine non è lo sviluppo ma l’etica – come sela vera etica del capitalismo non fosse ap-punto la creazione di ricchezza e sviluppodentro un quadro di regole condivise – e inbase al quale la politica non deve assumersila responsabilità di indicare le linee strategi-che di crescita del paese, che dunque saran-no semplicemente la somma dei singoli com-portamenti individuali. E lo dico in partico-lare ai miei amici Volenterosi: saremo tali so-lo usando il massimo del pragmatismo, nonscherzando col fuoco del manicheismo.

Enrico Cisnetto

ANNO XII NUMERO 28 - PAG 2 IL FOGLIO QUOTIDIANO VENERDÌ 2 FEBBBRAIO 2007

Nella lettera natalizia indirizzata a Be-nedetto XVI, il presidente dell’Iran,

Mahmoud Ahmadinejad, ha definito Gesù“divino profeta” al cui ritorno “offrirà tut-te le bellezze e la bontà al genere umano”.Per il teologo anglicano Mark Durie, la let-tera fa parte della visione islamica supre-matista del rapporto fra le tre religionimonoteistiche. Pastore della chiesa angli-cana, Durie ha pubblicato molti libri suirapporti fra cristianità e islam. Docentenelle università del Mit, Ucla e Stanford,Durie è il più importante comparatistadella chiesa anglicana, all’interno dellaquale si batte contro la vulgata del “Diounico”. Inoltre è in prima fila per la li-bertà dei cristiani in Indonesia e nelle Fi-lippine. Il suo ultimo libro si intitola “Re-velation?”, recensito entusiasticamente daBat Ye’or sul settimanale americano Na-tional Review. “Il Corano non vede l’islamin modo cronologicamente successivo agiudaismo e cristianesimo”, dice Durie alFoglio. “Le due fedi sono branche deviatedal corpo dell’islam”. Il profetismo isla-mico deriva da quello giudaico-evangeli-co: Ibrahim viene da Abramo, Ishaq da

P E R M A R K D U R I E E ’ U N ’ A R M A I N M A N O A G L I I S L A M I S T I

Isacco, Yaqub da Giacobbe, Nuh da Noah,Dawud da David, Sulayman da Salomone,Ayyub da Giobbe, Yusuf da Giuseppe, Mu-sa da Mosè, Harun da Aronne, Zakariyyada Zaccaria, Yahya da Giovanni Battista,Isa da Gesù, Ismail da Ismaele, Al Yasa daElisha, Yunus da Jonah e Lut da Lot. Ledifferenze incolmabili sorgono con Isa, ilGesù islamico evocato da Ahmadinejad.

“Secondo il Corano, Isa è al Masih, ilMessia confermato dallo Spirito Santo fi-glio di Maryam. Se i Vangeli testimonianola crocefissione di Cristo, Isa non è stato uc-ciso, ma è asceso verso Allah. Il giorno del-la resurrezione, Isa sarà testimone controebrei e cristiani che hanno professato lasua morte. Maometto è stato il dono di Al-lah ai cristiani per redimersi: devono ac-cettare che il Corano sia la rivelazione fi-nale. Ai cristiani viene ordinato di non cre-dere che Isa sia il figlio di Dio e di rifiuta-re la dottrina dell’incarnazione e della Tri-nità. Sta scritto che ‘Isa è solo un messag-gero di Allah’. Se Gesù era sia un rabbinoebreo sia il figlio di Dio, Isa è solo un pro-feta musulmano. Se Gesù è risorto il terzogiorno, Isa non è morto sulla croce. Se Ge-

sù tornerà per giudicare, Isa per distrugge-re coloro che hanno deviato. Se Gesù ha in-segnato ad amare i nemici, Isa a combatte-re i nemici di Allah. Se Yhwh è autore delbene ma non del male, Allah è creatore siadel bene sia del male. Se gli esseri umanisono creati a immagine di Yhwh, niente èassociabile ad Allah. Il Corano concepiscesolo in termini di obbedienza il rapportocon Allah, come ‘schiavo di Allah’, Abdul-lah. Se Yhwh ama i peccatori, Allah odiacoloro che lo odiano e ama coloro che gliobbediscono. Il ‘regno di Allah’ è la sharia,il ‘regno di Dio’ è la salvezza cristiana”.

Non solo i musulmani pensano che dav-vero adoriamo lo stesso Dio, “questo mes-saggio è una componente centrale nelladottrina islamica. L’islam vede se stesso co-me l’autentica cristianità e giudaismo. Losceicco Yusuf al Qaradawi nel luglio 2003ha invocato il dogma ‘Dar al Harb’: in tuttele regioni del mondo in cui l’islam non èancora dominante, le vite e le proprietà deinon musulmani sono muba’a, obiettivi mi-litari. Per secoli la validità del jihad espan-sionista è sembrata autoevidente agli stu-diosi islamici, resa valida dalle vittorie mi-

M E G L I O A N D A R E D A I M O N A C I D E L M O N T E A T H O S

Fausto si rimette a frequentare compagni e a sinistra scoppia il casinoE tu, sei guevarista o allendista? Al suo-

no della musica andina, i compagni sele danno. A sinistra-sinistra, nel nome sem-pre venerato del Che e in quello di attuale

bertinottiana rievocazione del Presidentecileno, scoppia un nuovo pandemonio stori-co-giornalistico-politico. La faccenda: Berti-notti se n’è andato, in attesa del MonteAthos, a bazzicare vicino la cordigliera del-le Ande. E in Cile ha, saggiamente, omag-giato la tomba di Salvador Allende, “profe-ta disarmato”, il presidente socialista mor-to durante il golpe fascista di Pinochet, cuioppose “resistenza mite e coraggiosa”. An-zi, per dirla tutta, “Allende era meglio delChe”. Il pronunciamento bertinottiano hasollevato acceso dibattito, tanto a destratanto a sinistra. Per dire, ieri sulla primapagina del Giornale si mettevano a con-fronto le opinioni di Geminello Alvi e di Ma-rio Cervi, manco si trattasse della contesa

Veronica-Cav. Oddio, vero che i due, piutto-sto che sostenere se è meglio il Che o meglioil Presidente si sono accapigliati intorno al-la questione se faceva più pena (politica)uno o più repulsione (politica) l’altro. E in-fatti i titoli dei due commenti erano: a) “E’giusto svalutare il Che”; b) “Ma rivalutareAllende è sbagliato”. Questo, diciamo, acentrodestra (e già non sarebbe poco). Ma ilmeglio si è verificato a sinistra. Dove il pre-sidente della Camera si è beccato pratica-mente un vaffanculo da Valentino Parlato,padre nobile del Manifesto, “Bertinotti va-da a quel paese”, e ha suscitato indignatereazioni palesandosi, tra i compagni-coltel-li, come un chiaro alleato della reazionesempre in agguato. Proprio il Manifesto ie-ri stendeva l’impietoso atto d’accusa al ber-tinottismo che si fa riformismo, che trovapiù seducente il palazzo della Moneda doveAllende morì della Selva Lacandone dovelotta il subcomandante Marcos. Già il titolopromette male: “Confortevole Allende, a

misura di Bertinotti” – che per inciso va atrovare i governanti socialdemocratici escarta, secondo il giornale, quelli belli tostie antagonisti tipo Chávez. “Forse è troppomalizioso pensare che il navigato politicoFausto Bertinotti voglia tirare un po’ di ac-qua al mulino del suo recente ripensamen-to ‘pacifista’”. Forse sarà troppo malizioso,ma intanto eccolo lì nero su bianco. E giùbotte. Il sito del correntone diessino, Apri-le.online, pubblica l’intervento del respon-sabile esteri del Pdci, Jacopo Venier, chenon la fa tanto difficile. Per lui, Bertinotti simuove “alla spasmodica ricerca di un nuo-vo album di famiglia compatibile con il pro-getto di un partito non più comunista, nonpiù socialista, ma molto radical chic”, un’o-perazione “oltre il limite del ridicolo”. E ibertinottiani, come replicano? Gennaro Mi-gliore, capogruppo del Prc a Montecitorio,rievoca la sua prima tessera da giovane co-munista, con la faccia del Che sopra, ma an-che Allende vale, “entrambi vittime della

stessa repressione”. E gli attacchi da sini-stra? “Sono interessati a fare polemiche conBertinotti da molto tempo. Non mettononeanche in conto un esercizio di ragiona-mento. Sono solo espressioni di ortodossia.E il manifesto, in questo senso, non è moltodiverso dal Pdci”. Piero Sansonetti, diretto-re di Liberazione, da una vita si trascinadietro un poster del Che. Dice che è d’ac-cordo con Bertinotti, “ripartire da Allende,dalla possibilità del socialismo radicale edemocratico”, e ciò detto “non bisogna can-cellare il Che”. Spiega Sansonetti: “Nessu-no di noi ha mai pensato che la sinistra eu-ropea dovesse essere guevarista. Si trattavadi un eroe romantico e generoso: un’ammi-razione sconfinata, ma neanche vent’anni fasostenevo che esistesse un modello gueva-rista. Mentre il modello allendiano esiste”.Le polemiche? “Di tale insensatezza chenon riesco a prenderle in considerazione”.Perciò il poster del Che resta al suo posto,casomai si aggiunge quello del Presidente.

F A C C I A M O U N “ P A T T O G E N E R A Z I O N A L E ”

Quarantenni e leader. Giurano di togliersi dai piedi entro i sessantaMilano. Stanno studiando anche il logo,

ma su questo sembrano un po’ in altomare.Per il resto sono decisi. Hanno preso co-scienza del fatto che “un’indubbia geronto-crazia ha dato vita a generazioni che hannorimosso e allontanato ogni avventura di re-sponsabilizzazione”, vogliono un mondo incui nessuno si senta più insostituibile, per-ché “sentirsi insostituibili è una debolezzaumana che col passare degli anni confondemolti uomini”. Così hanno fatto una pro-messa: noi a sessant’anni ce ne andremo. Sichiama “Patto generazionale”, al momentoè un appello che gira informalmente daqualche settimana tra quarantenni dotati diragionevole aspettativa di successo, e inten-zionati a dare il buon esempio preventivo intema di ricambio generazionale.

A promuovere l’iniziativa un quaranten-ne che della sua aspettativa di successo hagià cominciato a fare raccolto, Luca Josi, im-prenditore televisivo: “Ho quarant’anni, hodue figlie da due matrimoni, ho due vite pro-fessionali ormai distanti tra loro ma sono or-mai ventun anni che ricevo inviti per parte-cipare a convegni sul ricambio generaziona-le”, spiega. Ma il ricambio generazionale

non l’ha visto nessuno. Allora ha buttato giùun appello: “Chi di noi, coerentemente aquando chiede, ricambio e competitività, èdisposto, oggi, a sottoscrivere un patto che loimpegni, raggiunta l’età dei 60 anni, a la-sciare o non accettare un ruolo di leader-ship (cariche primarie della politica e del-l’economia) continuando a offrire il suo im-pegno nei ruoli di vice, di numero due, disaggio, di consulente o di qualsiasi altra po-sizione che consenta alla società di avvan-taggiarsi e non disperdere la sua esperien-za?”. Per ora ha raccolto una cinquantina diadesioni: alcuni quaranta-cinquantenni che“ruoli di leadership” occupano già, parecchiche per quei “ruoli” vantano una discretaaspettativa, più un fiero manipolo di “volen-terosi” che, in nome del principio e dell’al-truismo, ha messo la firma su un appello chepotrebbe anche non riguardarli tra un paiodi decenni. Protagonisti del mondo econo-mico come Alessandro Profumo, MatteoMarzotto, Giorgio Gori; intellettuali comeFrancesco Bonami e Andrea Romano; poli-tici “freshmen” o già consumati come Da-niele Capezzone, Marco Follini, Chiara Mo-roni, Gianni Cuperlo. E un manipolo di gior-

nalisti, da Maria Latella a Gad Lerner, daGiovanni Floris a Rula Jebreal, da FilippoFacci a Daniele Bellasio.

L’importante è il concetto che i promoto-ri del patto generazionale intendono farpassare: stimolare i giovani a prendersi leproprie responsabilità: “Noi abbiamo avutomolto, e, se anziché chiedere saremo prontia dare, ad autolimitare a soli altri vent’annila finestra del nostro potenziale primato,tutto ciò richiamerà all’obbligo di crescerechi giovane lo è ancora davvero”. Un patto,esattamente. Come quelli che in altri paesiimpegnano i candidati a qualsiasi caricapubblica fin nelle minuzie. E che vengonopoi fatti puntualmente rispettare. Può fun-zionare? Fra i “candidati” che sono stati fi-nora contattati, si sono raccolti anche rifiu-ti di principio, con motivazioni metodologi-che: quale senso ha impegnarsi ora suun’opzione non verificabile per il futuro? Arigor di logica, potrebbero aderire a un talepatto soltanto coloro che già oggi occupanoposizioni di leadership.

Evidente che l’idea di Luca Josi contengaun aspetto di provocazione intellettuale. Chenon sfugge di certo a uno studioso appassio-

nato dei processi di mobilità sociale comeMaurizio Sacconi, già sottosegretario al La-voro e autore, con Michele Tiraboschi, del li-bro “Un futuro da precari?” in cui poneva,seppure in altra prospettiva, lo stesso pro-blema della mobilità e dell’accesso alla re-sponsabilità dei giovani. Ma proprio perprendere sul serio la provocazione intellet-tuale del Patto, Sacconi preferisce ribaltar-lo: “Di mobilità sociale abbiamo disperata-mente bisogno, proprio per non condannareun’altra generazione alla non-maturazione.Ma non credo minimamente che questo sipossa ottenere imponendo dei ‘tetti’, perquanto volontari siano: all’età di pensione, alasciare la carica, eccetera. Non è il meto-do”. Sacconi concorda sulla necessità di nonperpetuare la gerontocrazia, anche se – labutta in politica – “bisognerebbe saltarnedue di generazioni, quella che sta arrivando,quella dei 50enni cresciuti negli anni 70, è lapeggiore”. Il punto da battere è però il “ni-chilismo del prepensionamento, il posticipocontinuo della responsabilità. Ma l’ascenso-re sociale va azionato dal basso, dall’altonon funziona. Nemmeno Tony Blair, giuntoal dunque, ha voglia di lasciare”. (m.c.)

B E N V E N U T I A S A R A J E V O , I N P U R G A T O R I O

La Bosnia è divisa, ha una moneta scomparsa e tra poco sarà sovranaQuindici anni fa era uno

dei posti peggiori. Unaterra di nessuno, traSarajevo e il cer-

chio dell’assedio.Lasciavi il viale

dei cecchini, all’al-tezza dell’edificio scarnifi-

cato di Oslobodenje, nella cui

cantina continuavano a lavorare i tipografi,e infilavi una strada che aveva a sinistra leprime trincee bosniache e a destra le ulti-me postazioni serbe. Era lungo quella stra-da che appariva il muro di una casa crivel-lato da schegge e la scritta, come un arco ditrionfo alla rovescia, da fotografare: benve-nuti all’inferno. Adesso, lungo quella stes-sa strada che conduce dall’aeroporto incittà, tra depositi di materiali edili e centricommerciali, c’è un cartello: “Prodajsezemlija”. Cioè “Si vende questo terreno”:ma in bosniaco, e in serbo e in croato,“zemlija” non suona soltanto come terreno,ma anche come suolo, come patria, cometerra.

Anche a Sarajevo l’argomento del giornoè il clima – l’unica cosa che cambia – per-ché le temperature sono insolitamente mi-ti, e la neve che ogni inverno seppelliva lacittà si attarda sui monti. Per arrivare allamia casa nella periferia di Bare, lascio allasinistra il vecchio, grande cimitero, dovesembra essere sepolta la Jugoslavia intera.All’ingresso una selva di stele bianche –sembra una Manhattan balcanica, una pic-cola selva di minuscoli grattacieli – indicale sepolture dei combattenti bosniaci, e poila collina si divide ordinatamente: il setto-re delle tombe ortodosse dei serbi, quellodelle tombe cattoliche dei croati, quellodelle tombe musulmane, quello delle tom-be ebraiche, e l’angolo delle morti laiche,

che comprende un po’ di tombe partigianecon la stella rossa. La strada che sale versocasa si chiamava Sipska, perché portava alborgo di Sip. Adesso si chiama DejzinaBikica, dal nome di un combattente caduto.All’inizio della strada, che è stata asfaltatada poco, c’è un piccolo monumento, con inomi dei 56 caduti del quartiere. Una voltatutto attorno c’erano campi, adesso ci sonodue centri commerciali, due concessiona-rie d’automobili, un distributore, due edifi-ci che servono da cliniche residenziali pergli invalidi di guerra e un nugolo di condo-mini ancora in costruzione. Accanto alla ca-sa che mi aspetta, cresciuta di un piano chesarà abitabile a marzo, c’è dall’altr’anno unambulatorio comunale e, da quest’anno,una nuova moschea. E’ ancora senza nome.Costruita con soldi sauditi, è appena un po’più piccola dell’altra moschea, che sorgesulla cima della collina, e che comprendela scuola del quartiere. Entrambe appaio-no un po’ fuoriposto, quasi dei corpi estra-nei: troppo marmo, troppe vetrate, come sefossero state disegnate a Riad da architettiche non hanno mai visto le piccole mo-schee bosniache, lievi e aggraziate, mo-schee montanare di legno e di rame. Ma imiei amici ci vanno solo nei giorni del Ra-madan e del Bajram, e a caval donato nonguardano in bocca. Non guardarono in boc-ca neanche agli aiuti umanitari, durante laguerra. E così in questi giorni una proces-sione di camion ha svuotato i depositi del-la vecchia Direzione federale dei beni diconsumo, dove erano conservate cinquantatonnellate di medicinali. In buona partescaduti, e molti scaduti prima ancora digiungere in Bosnia (alcune confezioni ri-sultano essere scadute nel 1943: qualcunoaveva svuotato depositi della Seconda guer-ra mondiale, i luoghi di guerra sono buonediscariche). A Lukavac i medicinali solidisaranno separati da quelli liquidi, e ver-

ranno inviati a una discarica austriaca peressere eliminati. Del resto, allora, ogni aiu-to serviva. Anche quello dei battaglioni dimujaheddin, venuti dai quattro angolid’Europa e dell’islam. E adesso c’è polemi-ca, perché è stata tolta la cittadinanza a 330di loro, che l’avevano ottenuta per meriti diguerra, per matrimonio o solo per abitudi-ne, e altri 500 sono nella lista di cancella-zione. Una decisione che ha alimentatonervosismo e dibattito, e confermato unoscontro sotterraneo (è stato meno sotterra-neo nel Sandzak, l’enclave islamica in Ser-bia, dove il conflitto tra wahabiti e locali si

è prodotto in una sparatoria nella moscheadi Novi Pazar e numerosi feriti). Finoraerano i casi estremi, quasi cronaca nera, afare notizia: l’uccisione a sangue freddo, daparte di un wahabita locale, di una famigliacattolica croata il giorno di Natale, l’ucci-sione della madre, che rifiutava di unirsialle preghiere del mattino, da parte di unaltro zelota autoctono, la scuola illegale

della comunità wahabita di Gornja Maoca,dove i programmi di studio sono sì quellistatali, ma dello stato di Giordania, non del-la Bosnia. Ma adesso, davanti alla questio-ne della cittadinanza è dovuto intervenire,un po’ salomonicamente, il massimo espo-nente dell’islam bosniaco, Mustafa Ceric:“Noi ci aspettiamo che la Bosnia Erzegovi-na rispetti i diritti di tutti i suoi cittadini,senza discriminazione di razza, religione oprovenienza. E’ immorale discriminarequelli che ci hanno portato aiuto, ma lo èancora di più sottolineare in continuazionel’aiuto offerto”. La penetrazione dell’islamwahabita in Bosnia appare difficile, manon inesistente. E, ovviamente, conta sugliaiuti economici del mondo islamico e sui ri-tardi europei. Le elezioni dell’ottobre scor-so hanno riconfermato la forza dei partiti diraccolta etnica, ma l’Unione europea sem-bra intenzionata a tenere ferma la scaden-za di giugno, quando dovrebbe essere chiu-so l’ufficio dell’Alto rappresentante, che fa-ceva della Bosnia un protettorato interna-zionale. La Federazione dovrebbe insom-ma diventare sovrana, il rappresentantedell’Unione europea diventerebbe solo unconsigliere, e gli aiuti (43,8 milioni di euro,l’anno scorso) ridursi sostanzialmente. Conuna disoccupazione che sfiora il 40 per cen-to, tentazioni secessionistiche della parteserba, e riforme di là da venire, il futuronon sembra confortare l’agenda europea,del resto inevitabilmente distratta dallaquestione del Kosovo. Nella Federazionebosniaca eserciti, polizie, monete sono an-cora divisi, e Sarajevo è l’unica città d’Eu-ropa dove resiste una moneta scomparsa, ilmarco tedesco. Deludente? Qualcuno pro-pone un modello Bosnia per l’Iraq: separa-zione e autonomie come male minore. A es-sere realisti, può essere, se questa è la solapace possibile. Benvenuti in purgatorio.

Toni Capuozzo

litari nel mondo cristiano, nella Persia zo-roastriana e nell’India induista”. QuandoRatzinger ha provato a spezzare l’incante-simo del Dio unico “lo sceicco somalo Abu-bukar Hassan Malin ne ha invocato l’ucci-sione ‘sul posto’ e il Gran Muftì saudita, Ab-del Aziz, ha detto che ‘Dio autorizza a com-battere coloro che ci combattono’. Amrozibin Nurhasin, il dinamitardo di Bali, in au-la il giorno della sentenza ha detto: ‘Ebrei,ricordatevi di Khaibar’. Al tempo di Mao-metto, Khaibar era una fertile oasi del de-serto arabico, popolata da ebrei che man-tenevano il sistema di irrigazione. Il dirittodegli ebrei ad abitare a Khaibar fu revoca-to nel 640 da Umar, lo stesso anno in cui l’A-rabia venne ripulita dei non musulmani. Ilprecedente di Khaibar oggi continua congli ebrei dell’Iran, i copti in Egitto, gli afri-cani in Sudan, i cristiani pachistani, gliindù e gli zoroastriani. L’accesso alla tom-ba di Abramo a Hebron, che il Corano chia-ma musulmano, è stato vietato ai non mu-sulmani fino ai nostri giorni. Il primo nonislamico ammesso dai tempi dei crociati èstato il Principe del Galles”.

Giulio Meotti

Un teologo anglicano svela l’impostura del “Dio unico”Perché su F2I non sto nécon Prodi né con Giavazzi Il primo con la finanza vuol farsi il partitoche non ha, il secondo moraleggia

Tre palle, un soldo

Come diceva Mao Tse Tung, c’è confusio-ne sotto il cielo. Chi sono gli statalisti,

chi i fautori del mercato? Chi sono i libera-lizzatori, chi i difensori delle rendite? Chi

sta dalla parte dei consumatori, chi dallaparte dei monopoli, pubblici e privati chesiano? E infine che cosa accade all’econo-mia italiana e che cosa promette alla mediadegli italiani? Le parti in commedia sonotante e non sempre chiare, come testimo-niano i giornali della settimana che ripor-tano solo la superficie del dibattito sulleprivatizzazioni dei servizi locali di pubblicautilità, sul Fondo per le infrastrutture, oquello più alla portata del comune cittadi-no sui tanti provvedimenti della “lenzuola-ta” del ministro Bersani, che ha preso il no-me alquanto sbrigativo di liberalizzazioni.

Alle domande iniziali non è possibile ri-spondere in questo breve diario, ma l’ulti-ma offre spunti interessanti di riflessione.Dopo la fase preelettorale del catastrofi-smo, siamo entrati in quella in cui le previ-sioni sull’andamento dell’economia italianavolgono al meglio. Le cifre su cui si basavail pessimismo di ieri e l’ottimismo di oggisono più o meno le stesse, ma il bicchiereda mezzo vuoto è diventato mezzo pieno. Sesi guarda ai cosiddetti elementi oggettivi, lasituazione si presenta nel modo seguente.L’economia europea, e con essa quella ita-liana, risente, in un mondo interconnesso,della crescita mondiale. Ebbene, la cresci-ta dei colossi asiatici, India e Cina, continuaal di sopra delle previsioni e fornisce ilmaggior apporto alla crescita mondiale. GliStati Uniti hanno avuto nell’ultimo trime-stre una crescita maggiore delle aspettativee, grazie ai soliti consumatori e alla ripresadelle esportazioni dovute al dollaro debole,non si prevede alcun prossimo rallenta-mento della loro economia nonostante ilprogressivo sgonfiarsi della bolla immobi-liare. I paesi europei, chi più chi meno, au-mentano la produzione oltre il previsto. An-che l’Italia, sebbene si mantenga tra i paesiche crescono meno. L’Italia tuttavia sembraavere almeno due peculiarità. La prima ri-guarda la questione salariale, la secondal’orientamento fiscale a essa collegato. Ne-gli Stati Uniti, come in altri paesi occiden-tali, ci si pone ormai sempre più il proble-ma della crescente disuguaglianza dei red-diti, e ci si interroga sul perché la stragran-de maggioranza dei redditi da lavoro di-pendente siano rimasti stagnanti nell’ulti-mo decennio nonostante la continua cresci-ta della produttività. Anche in Italia, il fe-nomeno della crescente disuguaglianza èormai manifesto, ma i dati statistici diconoche la produttività media del lavoro è sta-gnante – la crescita è sostenuta da maggioreoccupazione ma non da maggior prodottoper lavoratore. Non ci si può quindi chie-dere dov’è finito l’aumento della produtti-vità. Naturalmente questi sono i valori me-di, dovuti all’estensione dei lavori a bassaproduttività (e bassi salari) che compensa-no gli aumenti di produttività di altri setto-ri. Ma il gioco delle rendite, e questo è ilproblema, fa sì che in mercati poco concor-renziali l’incremento di prodotto non vadasempre a remunerare coloro che ne sono gliartefici, e quando la crescita complessiva èbassa i conflitti distributivi aumentano. Sidirà che è per questo che si parla di libera-lizzazioni e di riforme di struttura. Questo èvero. Ma, perché si adotti un ragionevole pa-rametro di efficacia per questo tipo di rifor-me, la questione salariale non dovrebbe es-sere elusa. La questione salariale sta dietroalle contestazioni e alle manifestazioni diopposizione al governo che provengono an-che da parte di settori sindacali, come quel-lo dei metalmeccanici, che non dovrebberoessere particolarmente ostili verso un go-verno che passa per amico.

Come spendere il dividendo fiscaleNon crediamo che il governo debba en-

trare nel conflitto salariale (a meno che nonsia il datore di lavoro), ma c’è un problemafiscale non eludibile. Questo governo, travi-sando lo stato dei conti pubblici, ha sceltostrategicamente di aumentare la pressionefiscale, in controtendenza rispetto al restodell’Europa, per utilizzare il “dividendo” fi-scale allo scopo di mantenere alta la spesapubblica e accattivarsi i favori di qualchelobby industriale. Il paradosso è che la si-nistra cosiddetta estrema, presente nel go-verno, è a favore di questa strategia, perchévi vede la possibilità di appropriarsi dellarendita politica connessa all’allargamentodelle risorse a disposizione. Sarebbe meglioche riscoprisse la lotta di classe e pensasseai salari, possibilmente al netto delle tasse.

Ernesto Fellli e Giovanni Tria

W la lotta di classe

C’è una questione salariale(e fiscale) che anche la sinistra

estrema elude. Va affrontata

AGENDA BERTINOTTI

OCCHIAIE DI RIGUARDO

Dunque la commissione disci-plinare dell’ordine dei medici di

Cremona, composta di quindicimembri, ha deciso all’unanimità che l’ope-rato del dottor Riccio era stato ineccepibi-le, che non si era trattato di eutanasia ben-sì del doveroso accoglimento della ragione-vole e legittima volontà di PiergiorgioWelby. Di che cosa avevamo parlato?

PICCOLA POSTAdi Adriano Sofri

Grazie mp3 che rendendoobsoleto il cd hai costrettoVasco Rossi a pubblicare un singolo e nonun album intero. In questo modo anzichéventi idiozie ne dobbiamo ascoltare soltan-to due. La prima è: “Basta poco, a fare bel-la figura / basta poco, basta esser buoni ladomenica mattina”. La seconda: “Basta po-co, per essere intolleranti, / basta poco, ba-sta esser solo un po’ ignoranti”. Il soggettoera più lucido quando beveva whisky alRoxy Bar: sono almeno quarant’anni chenessuno fa più bella figura andando a mes-sa e io ho dovuto leggere tutti i libri per di-ventare l’intollerante che sono.

PREGHIERAdi Camillo Langone

DIARIO DI DUE ECONOMISTI

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ANNO XII NUMERO 28 - PAG 3 IL FOGLIO QUOTIDIANO VENERDÌ 2 FEBBRAIO 2007

• Forza Italia e Lombardo (Mpa) hanno smontato il giocattolo delle agenzie create dal governatore dell’Udc. Ed è soltanto l’inizio

• Si è dato poteri dittatoriali, detterà legge per 18 mesi, nazionalizzerà. Oltre a costruire statue con frecce puntate contro l’America

• Il leader degli eco-no-global ha deciso di candidarsi. Ha fiutato le difficoltà della socialista Royal, e ora le crea un bel problema

Roma. Pier Ferdinando Casini rompe la Cdl a Roma. E ilconto lo paga Totò Cuffaro in Sicilia, dove quel che restadella Cdl si rivale su di lui. E lo fa capovolgendo per la pri-ma volta uno schema aureo che aveva consentito a Cuffarodi stravincere nell’aprile scorso l’appuntamento con la ri-conferma alla presidenza della regione. Ma sopra tutto distravincere da intoccabile, visto che fino a ieri non era il ca-so di fare sgarbi al governatore dell’Udc per non innervosi-re Casini. Oggi tutto è cambiato, l’ex presidente della Ca-mera ha deciso di fare l’opposizione per conto proprio, e al-lora a Palermo si stringe su “Totò vasa vasa” – improvvisama prevedibile – una manovra a tenaglia orchestrata daForza Italia e assecondata attivamente dall’ex gemello Raf-faele Lombardo del Movimento per l’autonomia siciliana. Ifatti dicono questo: nell’arco di pochi giorni, mentre si vo-tava la Finanziaria locale, i franchi tiratori del centrodestrahanno smontato l’agenzia per il Mediterraneo – senza im-pedire però un largo giro di assunzioni avvenute poco pri-ma del trapasso – e il sistema dei supermanager attraversoi quali Cuffaro aveva svuotato di potere i più pesanti fra idodici assessorati, come l’assessorato per l’Ambiente, oquelli per le Infrastrutture e la Sanità. Ma in che modo? Di-rottando i fondi nazionali ed europei verso le neonate agen-zie, come quella per le Acque e i rifiuti, affidata alle mani

possenti e discrete di Felice Crosta, un manager che Cuffa-ro, prima del brusco taglio agli stipendi dei superdirigenti,pagava quattrocentomila euro all’anno, qualcosa come mil-le euro al giorno. Il risultato è che gli assessorati sono statideclassati al rango di organi esecutivi per “il più a prati-carsi”. Troppo, per Forza Italia e An. Troppo, per non urla-re allo sfregio pubblico dello statuto regionale. Figurarsiper uno come Lombardo, il quale ha perfino dissotterratol’ombra del “governo parallelo”, un’accusa che non si ascol-tava dai tempi di Rino Nicolosi, l’ultimo proconsole demo-cristiano alla guida della regione prima che sopraggiunges-se la falce di Tangentopoli.

A quel punto è cominciato il così detto “gioco con il ba-stone del massaggio”: un colpo dietro l’altro sul collo di Cuf-faro per ricondurlo alla ragionevolezza con il favore del vo-to segreto in aula. E così il gruppo del presidente è andatosotto per diciassette volte e gli si è sciolto il giocattolo tra lemani, sotto lo sguardo soddisfatto dei maestri orchestrali.Né si può dire che sia finita qui, per l’Udc siciliana rappre-sentata da Cuffaro e sostenuta complessivamente dal 6 percento dell’elettorato. Tra pochi mesi nell’isola si voterà peril rinnovo di tre grandi consigli comunali e per eleggere ilpresidente della provincia di Ragusa. A Palermo DiegoCammarata (FI) dovrebbe essere riconfermato sindaco an-

che in assenza del sostegno centrista. Stessa situazione aTrapani per Girolamo Fazio e ad Agrigento per Aldo Piaz-za, entrambi forzisti. Mentre per la presidenza della pro-vincia di Ragusa il centrodestra punta sull’uscente Giovan-ni Francesco Antoci dell’Udc, ma si tratta ancora di verifi-care la consistenza dell’accordo. Non che il partito di Casi-ni sia improvvisamente diventato ornamentale nel fertilis-simo granaio di Cuffaro, è che il ventaccio romano ha finitoper rimescolare gli antichi equilibri. Peraltro Cuffaro ci hamesso del suo, ospitando la contromanifestazione casinianadel 2 dicembre scorso, mentre tutto il centrodestra sfilavaper le vie di Roma. E tentando di costruirsi intorno, se nonil governo ombra di cui parla Lombardo, per lo meno unacittadella di potere personale ben fortificata. Oggi gli allea-ti hanno fatto crollare le prime mura e gli rivolgono un mes-saggio chiaro e forte: sarai pure un politico dalle clienteleestese, ma il tuo partito senza di noi non potrà garantirle alungo. Non bastasse, sul cielo di Totò Cuffaro incombe unbrutto processo per favoreggiamento alla mafia e la manoalzata della corrente caselliana, sempre forte nella procurapalermitana guidata da Francesco Messineo. Non si può di-re che al successore di Pietro Grasso manchino le pressio-ni, dall’interno e dall’esterno, affinché si attivi nel movi-mentare un poco la cronaca giudiziaria siciliana.

Parigi. Ieri si è aperta una nuova falla nel fronte della si-nistra francese che mette in difficoltà la candidata socialistaalle presidenziali, Ségolène Royal. Non bastavano la corsadi Nicolas Sarkozy in testa ai sondaggi e la simpatia del cen-trosinistra per il centrista François Bayrou: José Bové ha an-nunciato la sua candidatura all’Eliseo.

Bové – il contadino del Larzac, il sovranista leader dellasinistra alternativa e dei no global, il vincitore del referen-dum antieuropeo – da anni combatte contro gli ogm, taglian-do interi campi coltivati a mais transgenico. Nel 1999 si fecearrestare per aver preso d’assalto il McDonald’s di Millau,nell’Aveyron, diventando il simbolo della rivolta no global.Adesso ha deciso di candidarsi all’Eliseo, in nome della si-nistra radicale, antiliberale, ecologista e solidale, che non sicontenta del Patto ecologista, proposto dalla star tv NicolasHulot e sottoscritto dai principali candidati. “C’è una Fran-cia invisibile, che non si esprime né nella scelta tra Ségolè-ne e Sarkozy”, ha spiegato in un’intervista al Parisien uscitaieri. “E’ a lei che voglio dare voce”. A parlare è un perso-naggio pittoresco, “l’abile ibrido tra il contadino vecchiostampo e il consumista provetto, difensore dei prodotti del-la terra, e internazionalista convinto”, come dice di lui AlainMinc, il consulente del Cac40, che lo detesta e lo considera“un sosia di Walesa clonato da Coluche”. In effetti, baffuto

come il polacco capo di Solidarnosc e disposto alla provoca-zione in difesa degli esclusi, come il comico che inventò i Re-stos du coeur, Bové è più furbo di quel che sembri. Intanto,lungi dall’essere un prodotto genuino del deserto Larzac, do-ve vive da trent’anni in una casa ecologica a Montredon, al-levando pecore, ha origini borghesi. Suo padre, ricercatoreagronomo dell’Inra, ha passato tutta la vita a studiare la pa-tologia delle piante, facendo sperimenti sulla transgenesi:“Mio figlio si oppone alle piante transgeniche”, ha scrittosul Monde nel 2001. “Invece per me, che sono uno scienzia-to e un biologo, non vanno condannate a priori, perché so-no uno strumento di analisi fondamentale”. Bové figlio, dun-que, non è immune dalle contraddizioni. Pur essendo un an-tiamericano fanatico, parla un perfetto inglese e ha un de-bole per Bob Dylan e Jack Kerouac, avendo vissuto da ra-gazzo negli Stati Uniti, a seguito del padre. Pur essendo “unhomme du terroir”, ha un debole per la vela, e s’è persinocostruito una barca con le sue mani, il che gli servirà ad af-frontare le tempeste, come scrive su Libération, LaurentJoffrin, il direttore velista, che plaude alla decisione. E purvivendo come un contadino, si coltiva benissimo i mass me-dia, e non disdegna l’astrazione intellettuale, patito com’èdi Jacques Ellul e della sua critica alla tecnica.

A candidarsi, Bové ci ha pensato e ripensato. Due mesi fa

era convinto di rinunciare. Poi ha cambiato idea. Una peti-zione in sua favore lanciata su internet ha raccolto più di 32mila firme. Gli altri candidati della “gauche” estrema, la co-munista Marie-Georges Buffet, il postino Olivier Besancenot,e la pasionaria di Lutte ouvrière Arlette Laguiller hannoperso smalto. Gli ecologisti sono al traino, nonostante il suc-cesso mediatico di Hulot. E poi il motivo è che Ségolène ar-ranca. E’ costretta a venire a patti con gli elefanti del Parti-to socialista, ma per non perdere la faccia, deve farlo sotto-banco. E la faccia, naturalmente, è l’immagine della candi-data alternativa al partito, riflesso dell’opinione e delle sueattese, che forse ora si scopre effetto di un’allucinazione col-lettiva. Ma la ragione vera della candidatura di Bové non èsolo l’ambizione generosa di aprire un fronte a sinistra del-la sinistra, per battere Sarkozy. Il che del resto pare un obiet-tivo problematico, visto il rischio di indebolire troppo la can-didatura di Ségolène al punto perfino da mettere a rischio ilballottaggio. Il 7 febbraio, Bové deve comparire davanti altribunale di Carcassonne per rispondere dell’occupazionedel sito della Monsanto a Trèbes. Il 27 marzo, davanti al tri-bunale di Tolosa per la distruzione del campo di Saint Hi-laire in Gironda. E in più, il suo movimento politico sinda-cale, la Confederazione contadina, rischia l’asfissia finan-ziaria, tenuta com’è a versare 650 mila euro di danni.

Casini rompe i patti a Roma, e il conto lo paga Cuffaro in Sicilia

Hugo Chávez mira a un Venezuela con un solo partito, il suo

Da oggi a Parigi Sarkozy può declamare: “T’amo pio Bové”

Caracas. Nel 1962 il Psi decise di sotto-porre l’energia elettrica al provvedimentoche aveva l’altisonante nome di “naziona-lizzazione”, piuttosto che essere più tran-quillamente messa sotto l’Iri. Piero Ottone,allora, lo paragonò al Raskolnikov di “De-litto e Castigo”, che “uccise una vecchiaper dimostrare a sé stesso d’essere un su-peruomo”. Hugo Rafael Chávez Frías oraha fatto votare dall’Assemblea nazionaledi Caracas una legge che gli permette di“dettare decreti con rango, valore e forzadi legge” per un anno e mezzo. La norma èstata “approvata all’unanimità, con il votodel popolo”, ha commentato la presiden-tessa della stessa Assemblea, Cilla Flores,in una sessione straordinaria celebrata inpiazza, davanti a una folla osannante. Al-l’unanimità perché – pur avendo ottenutoil 42 per cento dei voti al referendum re-vocatorio dell’agosto del 2004 e il 36,88 per

Eni di Mattei; Sip irizzata; riforma Vanoni;Regioni. La differenza è che, nel Venezue-la moderno, la base del potere è l’uso degliidrocarburi come patrimonio personale ela crescente stretta sulle comunicazioni,mentre i controlli fiscali e le campagne diespropriazioni sono il principale bastoneutilizzato contro chi non si adegua. La“riorganizzazione territoriale” consisteràin una specie di soviet cui sarà affidata lagestione dei bilanci locali, eliminando lepoche province e municipi ancora in manoall’opposizione. Tutte cose peraltro cheChávez avrebbe potuto ugualmente faresenza bisogno dei pieni poteri, avendo il to-tale controllo dell’Assemblea nazionale.

Secondo alcuni una chiave di lettura po-trebbe essere l’annunciata intenzione difondere tutti i movimenti che lo appoggia-no in un Partito unico della rivoluzione bo-livariana: un’idea che non piace a molti, in

particolare ai comunisti che, pur essendomolto pochi, sono orgogliosi della loro iden-tità. Ma forse è un’analisi che risente delladiffusa speranza di molti oppositori da tem-po in attesa di spaccature che annuncino lacrisi del regime. Più importante potrebbeessere la dichiarazione del vicepresidentedell’Assemblea nazionale, RobertoHernández, secondo cui il Venezuela sta vi-vendo un momento “solo comparabile aigloriosi giorni” della guerra d’indipenden-za con la Spagna. E poi c’è l’annuncio cheChávez ha appena commissionato a OscarNiemeyer, il novantanovenne architetto co-munista già progettatore di Brasilia: un mo-numento di 100 metri per 170 a Bolívar, conuna freccia puntata contro gli Stati Uniti.Raskolnikov uccise una vecchia per sentir-si “superuomo”, Chávez si è fatto dare pie-ni poteri da un’Assemblea impotente persentirsi Bolívar.

cento alle presidenziali dello scorso di-cembre – l’opposizione, boicottando le po-litiche del 2005, ha consegnato la vittoria al“colonnello”. All’Assemblea nazionale og-gi siedono soltanto deputati di partiti chelo appoggiano: 116 del Movimento QuintaRepubblica; 18 del Podemos; 10 di Patriapara Todos; 7 del Partito comunista; e 10 diuna manciata di gruppuscoli minori.

Chávez dice che questi poteri li useràper “approfondire la rivoluzione bolivaria-na” e avanzare “verso la costruzione del so-cialismo”. Locuzioni ampie e indetermina-te che in concreto vorrebbero dire: la na-zionalizzazione dell’energia e della princi-pale società di telecomunicazioni, la Cantv;una riforma tributaria sui “beni suntuari”;una nuova regolamentazione del gas; unariorganizzazione territoriale. In teoria,niente di sovietico, ma poco più dell’“aper-tura a sinistra” italiana degli anni ’50 e ’60:

• Oggi l’inviato Ahtisaari presenta il progetto che, secondo diplomatici, non contiene la parola “indipendenza”. L’Uck si organizza

Belgrado e Pristina sono già contro il piano dell’Onu sul KosovoMilano. Inizia già in salita la missione del-

l’inviato dell’Onu Martti Ahtisaari che oggidovrebbe illustrare a Pristina e a Belgradoil piano delle Nazioni Unite per il futuro sta-tus del Kosovo. Il premier uscente serbo,Vojislav Kostunica, ha già chiarito che nonlo incontrerà; in Kosovo cellule clandestineparamilitari albanesi ed ex guerriglieri del-l’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck) so-no già pronti a riprendere i kalashnikov perottenere la piena indipendenza. Alcuni di-plomatici occidentali hanno lasciato trape-lare che nel piano di Ahtisaari non è maiusata la parola indipendenza, per evitareche la Russia ponga il veto in Consiglio di si-curezza, con l’appoggio della Cina, in fun-zione anti americana. Il Kosovo dovrebbe di-ventare un’entità “democratica e multietni-ca” con un “rappresentante civile interna-zionale” che sovrintende alle azioni del go-verno, come è successo in Bosnia. I sedici-

mo ministro kosovaro, Agim Ceku, lancia ap-pelli alla calma, ma nei giorni scorsi, l’orga-nizzazione paramilitare Vetëvendosje (Au-todeterminazione) ha lanciato la proposta diuna manifestazione a Pristina il 10 febbraio.Alcuni veterani dell’Uck hanno fatto sapereche “una qualche forma di resistenza civilenon è da escludere” se il Kosovo non otterràl’indipendenza, chiesta dalla maggioranzaalbanese. I soldati della Kfor, compreso ilcontingente italiano, sono in stato di massi-ma allerta. Ieri il comandante della Nato, ilgenerale John Craddock, ha chiesto a serbie albanesi del Kosovo di evitare violenze.

La proposta di Ahtisaari punta alla “crea-zione di uno stato con tutti gli elementi del-la sovranità cui però, per opportunità politi-ca, non sarà concessa da subito la sovranitàinternazionale e la piena indipendenza.Non è ancora chiaro se questa mancanzasarà soltanto per un breve periodo di tempo

mila soldati della Nato presenti sarebberolentamente sostituiti da una forza di poliziadell’Unione europea. Il Kosovo avrà una suabandiera, un inno e una “forza di sicurezza”che controllerà il territorio, compresi i “con-fini”. La questione delle frontiere è una li-nea rossa che Belgrado non intende supera-re: considera il Kosovo parte integrante del-la Serbia e ammette soltanto un’ampia au-tonomia. Altro segnale verso l’indipendenzaè la possibilità per la provincia ribelle diaderire a istituzioni internazionali come l’O-nu e il Fondo monetario. Per i serbi delnord del Kosovo – circa un terzo dei cento-mila che abitavano lì prima dell’attacco del-la Nato del 1999 – è prevista un’ampia auto-nomia, se non l’autogoverno. Lo stesso lea-der moderato dei serbi del Kosovo, OliverIvanovic, ha però ammesso che, se gli alba-nesi dichiareranno unilateralmente l’indi-pendenza, proclamerà la secessione. Il pri-

Al conte Franz von Karsch-Kurwitz nonrimane più nulla da fare in terrafer-

ma. Affetto da un senso di vanità per tuttele attività umane, fin dall’adolescenza ave-va rifiutato ogni carriera conforme al suoceto sociale, diventando un ordinario do-cente di Oceanografia. Il 15 aprile del 1913,lasciandosi alle spalle l’aristocratica fami-glia di possidenti terrieri della Pomeraniae una promessa sposa, si imbarca sul quat-tro alberi Posen diretto a Valparaiso. Il no-bile idrografo trascorre le giornate in co-perta, intento a misurare del moto ondoso,cercandone la formula, trasformandolonell’immagine della sua noia esistenziale.

Tra i compagni di viaggio ci sono il mer-cante di salnitro Amilcar Moser e un inse-gnante di lingue classiche, Ernst Totleben,imbarcatosi in circostanze oscure alla vol-ta di un improbabile ginnasio di Valparai-so. Moser si professa “uomo dei fatti”,estraneo alle speculazioni scientifiche o fi-losofiche, e nel corso delle lunghe discus-sioni con Karsch prende le parti di un pro-saico mondo a venire, in cui gli uomini co-

me il conte di Pomerania non avranno piùposto e dove le uniche leggi vincenti sa-ranno quelle legate all’azione.

Il quattro alberi approda a Lisbona, do-ve si imbarca un’amletica avventuriera,Asta Maris, che si presenta come attrice epianista e di cui Karsch si invaghisce con-tendendola allo sfuggente Totleben. A Riode Janeiro la compagnia si disperde e nelcorso di una tumultuosa nottata si svele-ranno le identità occulte dei personaggi. Illetterato, che viaggia con un passaporto fal-so ed è ricercato come sospetto istigatore

del suicidio di uno studente, viene aggre-dito da un sicario e trattenuto dalla polizia.Asta Maris, non riuscirà più a nasconderela sua vera natura di oppiomane e alcoli-sta. Gli osceni dettagli fisiologici della di-pendenza, tra vomito e sporcizia, trasfor-meranno l’innamoramento del conte inuna sorta di amorosa assistenza prestata aun caso umano in fondo simile al suo.

A Valparaiso i viaggiatori si disperdono.Karsch, l’unico di cui continuiamo a se-guire le tracce, malato di una sifilide vo-lutamente trascurata, torna in Germania enel vano tentativo di dare un ordine pre-cario alla sua esistenza si arruola nell’e-sercito. Nel giugno del 1917 è in Pomera-nia. Attraverso la doppia testimonianza diun dottore e di una cameriera veniamoinformati dei suoi malinconici ultimi anni,anestetizzati dall’oppio e interrotti da ungiovane soldato americano che per errorelo colpisce a morte. Morendo, assicura lagovernante, il conte rideva. L’olandeseSchröder rivisita le atmosfere del romanzoeuropeo di cent’anni fa.

LLIIBBRRIIAllard Schröder

L’IDROGRAFO202 pp. Iperborea, euro 14

(nel qual caso si parla ‘d’indipendenza vigi-lata’) o se essa sarà condizionata al raggiun-gimento di qualche risultato di governance(nel qual caso si tratterebbe ‘d’indipenden-za condizionata’)”, si legge sull’Osservatoriodel Centro militare di studi strategici italia-no, molto attento alle vicende balcaniche. Ilnodo del Kosovo sta condizionando la for-mazione del nuovo governo in Serbia. Ko-stunica vuole fare il primo ministro, nono-stante il partito democratico del presidenteBoris Tadic, che domani dovrebbe incontra-re Ahtisaari, sia il movimento più forte, intermini di voti, nella compagine filoeuropea.Kostunica vuole inserire nel programma digoverno gravi ritorsioni bilaterali nei con-fronti dei paesi che riconosceranno l’indi-pendenza del Kosovo. Altrimenti minacciadi allearsi con gli ultranazionalisti radicali,primo partito del paese, che vorrebbero ri-prendere le armi per il Kosovo.

OGGI – Nord: foschie dense e strati neb-biosi al mattino su tutto il settore pada-no e sulle valli adiacenti. Centro: nuvo-loso sulla Sardegna con piogge sparse,più probabili sui settori orientali. Sud:nuvoloso sulla Sicilia con piogge sparse.Bel tempo quasi ovunque. DOMANI – Nord: passaggio di sottili ve-lature senza conseguenze al mattino subasso Piemonte e ponente ligure. Cen-tro: velature e deboli passaggi nuvolosisul settore tirrenico in un contesto ditempo abbastanza soleggiato. Sud: nu-voloso e piogge sparse su Molise, sulnord della Puglia e settori campani.

EEDDIITTOORRIIAALLII

Meglio Abertis di F2I

Sto per partire per il Giappone – ave-va detto martedì a Repubblica il mi-

nistro degli Esteri D’Alema – Al mio ri-torno, fatemi trovare il governo”. Il go-verno lo ritrova, ma la sua maggioranza,su un punto importante della politicaestera, l’allargamento della base ameri-cana di Vicenza, no. Perché mentre l’U-nione ieri ha votato solo per prendereatto della relazione del ministro dellaDifesa Parisi, la Cdl, con qualche votoraccolto dall’altra parte ma con il “no”del centrosinistra nel suo complesso,l’ha approvata. Ora il governo si trovacon una decisione presa e comunicataall’alleato americano ma non approvatadalla coalizione, che ha così di fatto sfi-duciato il ministro della Difesa, annac-quando la sua scelta con cavillosi di-stinguo. Difficile trincerarsi dietro la

denuncia di trucchi parlamentari: checos’è se non un trucco la decisione del-l’Unione di non inserire l’esplicita ap-provazione dell’operato del ministronel testo da votare? Difficile soprattuttoche il presidente della Repubblica, cheperaltro guida il Consiglio supremo diDifesa, si accontenti di semplici rassi-curazioni: non c’è crisi. Anche perché ilcapogruppo di Rifondazione Russo Spe-na è sincero: “Sulla base il governo nonha la maggioranza”. Ha ragione il furio-so Parisi: “Serve un chiarimento profon-do. La politica estera e di difesa è unacosa troppo seria”. Come aveva certa-mente ragione D’Alema, quando al Mes-saggero il 24 gennaio diceva: “Un gover-no deve avere una maggioranza in gra-do di sostenere la sua politica estera”.Ieri si è visto che non ce l’ha.

Insensibilità verso i vivi, l’ha chiama-ta Mariuccia Ciotta sul Manifesto. La

Lombardia ha deciso che i feti, tutti ifeti (anche sotto i cinque mesi), do-vranno essere sepolti, a spese degliospedali se i genitori non vorranno: in-somma non saranno più gettati nellaspazzatura. Non saranno più “un rifiu-to speciale”, ma soltanto quel che sono,una vita abortita perché non era possi-bile, era troppo difficile farla nascere,vite abortite perché la madre ha dovu-to rinunciare: la cosa, secondo la Ciot-ta, è raccapricciante, “devastante”, an-zi è “un incubo”. Un grumo di cellule,anche quando ha quattro mesi (ed es-sendo bombardati in continuazione daecografie tridimensionali, filmini di vi-ta nell’utero eccetera, persino per Ma-riuccia Ciotta è molto faticoso conti-nuare a fingere che non sia niente), in-

somma un oggetto molto piccolo di cuiè possibile liberarsi in fretta non devemai, nell’immaginazione ormai più checonsapevole, essere sovrapposto al sor-riso di un bambino. Sennò è come scri-ve lei, è “devastante”. E non per le vol-garità espresse da Carlo Flamigni, cheha commentato con un “è la dittaturadell’embrione”, quindi la dittatura diuna vita indifesa e interrotta che, persensibilità verso i vivi, deve scivolarevia silenziosa, nello scarico del water.Ma perché finché c’è un’orribileespressione medica a rassicurarci, fin-ché la formula è “rifiuto speciale”, al-lora è sopportabile. Così è più difficile:rivendicare la libertà diventa lugubre,l’autodeterminazione delle donne di-venta gelida e funesta, e l’aborto ritor-na a essere quello che è: una immensa,cimiteriale conquista sociale.

Il commissario per la ConcorrenzaNeelie Kroes ha inviato al governo

italiano il previsto avviso di violazionedelle regole comunitarie riguardantegli ostacoli apposti, per via ammini-strativa e legislativa, alla fusione fraAbertis e Autostrade che la Commis-sione aveva approvata. Le violazionisono tre. Il ministro della Infrastruttu-re Antonio Di Pietro s’è messo di tra-verso alla fusione con l’argomento, nonpertinente, che essa comportava unaplusvalenza per le società che la rea-lizzavano. Le altre violazioni riguarda-no la libera circolazione dei capitali ela libertà di stabilimento nel mercatoeuropeo. Due accuse pesanti per un go-verno presieduto da un ex presidentedella Commissione europea il cui mi-nistro dell’Economia ha fatto dell’eu-

ropeismo la sua carriera e il cui mini-stro delle Attività produttive si erge apaladino delle liberalizzazioni. Questiavvisi d’infrazione gettano un’ombrasul governo sulle politiche pro merca-to. Ma soprattutto gettano un’ombrasulle motivazioni che avrebbero indot-to il ministro Di Pietro, d’intesa con ilpresidente del Consiglio, a impedire lafusione Autostrade-Abertis, alla lucedel fatto che, mentre su tale fusione siabbatteva una valanga di atti ammini-strativi e di leggi ostative, veniva crea-ta dal governo la società F2I, per la ge-stione di un fondo italiano per le infra-strutture in cui entra, come dominus,SanPaolo Intesa, con il compito di fi-nanziare Autostrade. Di qui il sospettoche quella fusione non si dovesse fare,allo scopo di agevolare quest’altra.

Se la vita è un “rifiuto speciale”

Il governo senza maggioranza

Seppellire i feti sarà discutibile, parlare di “dittatura dell’embrione” cos’è?

Parisi: “La politica estera e di difesa è cosa troppo seria”. Prendetene atto

Il governo bloccava la fusione di Autostrade per tenere la rete nel suo fondo

Rutelli marca visita

Alla vigilia del vertice di Caserta,Francesco Rutelli aveva imposta-

to un’iniziativa politica che aveva l’am-bizione di respingere le spinte estre-miste. Due settimane dopo, può soloconteggiare una serie di insuccessi. Labandiera della difesa della famiglia“costituzionale” nel centrosinistra èrimasta in mano a Clemente Mastella,mentre le frasi di Rutelli sono rimasteschiacciate sotto la disponibilitàespressa da Franco Marini. Sono pas-sate le microliberalizzazioni di Pier-luigi Bersani, mentre il progetto piùambizioso di Rutelli, compresa lariforma delle pensioni, per ora è al pa-lo, bloccato dalle obiezioni dell’estre-ma sinistra. In politica estera, dove in-tendeva affermare una più netta sinto-nia occidentale, trova lo spazio occu-

pato da Massimo D’Alema e, sulla que-stione della base americana di Vicen-za, da Arturo Parisi, diventato prota-gonista di un’incredibile votazione aparti rovesciate al Senato.

Anche in quest’ultima paradossalevicenda, che ha visto la maggioranza ri-fiutarsi di approvare la relazione di unministro della Margherita, sostenutainvece dall’opposizione, il presidentedel partito (e vicepremier) vittima diquesto sgarbo poco ha fatto e poco hapotuto. Si dice che fosse a casa, vittimadi un’influenza. Assieme agli auguri dipronta guarigione, merita forse quellidi un ristabilimento politico. E’ nei mo-menti difficili che un leader mostra lacapacità di recupero e trova lo spazioper reinserirsi nel gioco. A meno chenon preferisca marcare visita.

Vicenza, facs, liberalizzazioni. Il leader dei Dl è ammaccato, serve uno scatto

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ANNO XII NUMERO 28 - PAG 4 IL FOGLIO QUOTIDIANO VENERDÌ 2 FEBBRAIO 2007

Al direttore - Quando un uomo o una don-na intende divorziare in genere la colpa è ditutti e tre.

Gianni Boncompagni

Al direttore - Rivoluzione nelle assicurazioni:invece della constatazione amichevole, si dirà“mi devi delle pubbliche scuse”.

Maurizio Crippa

Al direttore - Beh, proprio non si può direche questa volta sia stata l’opposizione a re-spingere quell’approccio bipartisan che sucerte questioni di interesse nazionale come lapolitica estera tutti auspicano. “Il Senato,udite le comunicazioni del governo, le appro-va”. Erano queste le uniche parole contenutenell’ordine del giorno presentato ieri dall’op-posizione. Ebbene, paradossalmente, il vice-

ministro degli Esteri Ugo Intini, a nome delgoverno, ha espresso parere contrario, acco-gliendo, invece, solo la mozione della maggio-ranza, ben più articolata, piena di condizionie distinguo, e che si limitava a “prendere at-to” delle comunicazioni di Parisi. L’ordine delgiorno del centrodestra è passato, quindi pre-cludendo il voto su ogni altro documento,contrario o anche solo “diminutivo”, dell’or-dine del giorno già approvato. Per un giornol’opposizione è stata maggioranza e ha datola fiducia al governo, e la maggioranza è sta-ta opposizione. Il governo è riuscito ad anda-re sotto dando parere contrario a un ordinedel giorno che approvava incondizionatamen-te la sua linea di politica estera e di difesa. In-somma, il governo Prodi ha ancora la fiduciadel Senato?

Federico Punzi, Roma

Al direttore - Oddio, l’essere umano sta surri-scaldando il pianeta con le sue malefatte, i ghiac-ci si stanno sciogliendo e ci sommergeranno abreve, moriremo tutti! Mi chiedo tuttavia perchéla landa ghiacciata della Groenlandia prende ilnome da green land. Non sarà che sulla terra facaldo o freddo a prescindere dalla nostra cattive-ria così vituperata da ambientalisti terroristi?

Stefano Iuliano, via web

Al direttore - Vorrei anch’io contribuire a ri-

cordare le “tacche” sul fucile dell’ingegner Car-lo De Benedetti. Si tratta del Banco Ambrosia-no: l’ingegnere venne (entrò in consiglio di am-ministrazione), vide (forse qualcosa che non an-dava) e potò (nel senso che vendette il proprio si-lenzio in cambio di una plusvalenza di qualchedecina di miliardi del vecchio conio). Il tutto nelgiro di una manciata di giorni. Arrivederci allaprossima “tacca”.

Giovanni Bardani, Cervia

Al direttore - A suo tempo Luciano Lama se-gretario della Cgil disse che potendolo avrebbevotato l’Avvocato Agnelli come presidente del-la Repubblica. In questi giorni dopo la mortedi Leopoldo Pirelli abbiamo letto che un altroimportante segretario della Cgil, Sergio Coffe-rati, era amico di Leopoldo Pirelli “di anticadata e veniva spesso a trovarlo” (Corsera

25.1.07 pag. 13). C’è da chiedersi: contro chi lot-tavano gli iscritti della Cgil?

Giorgio Solmi, Bologna

Al direttore - Nella controversia sul segreto distato tra Luciano Violante e il procuratore ag-giunto di Milano, Armando Spataro, è giocofor-za dare ragione a Violante. L’opportunità diestendere la facoltà di opporre il segreto di statodai testimoni, per i quali soltanto è prevista, agliimputati e agli indagati è manifestamente giu-sta. Tale estensione opererebbe a favore di Polla-ri, che ha già lamentato la presente impossibilità,ma in ciò non v’è nulla di scandaloso. Una mo-difica alla legge processuale influisce sempre suiprocessi in corso e, poiché di questi ve n’è semprequalcuno, volere impedire tale influenza signifi-cherebbe non cambiare mai nulla.

Luigi Bitto, Bergamo

L’ammuina del Senato, il terrorismo ambientalista e un’altra tacca di CDB Ds in fuorigioco

Il partito di Fassino pagaancora il conto della débâcledi Unipol nella scalata a Bnl

(segue dalla prima pagina) Peraltro Bassanini en-tra in sostituzione del consigliere LuisaTorchia – che ha motivato le sue improvvi-se dimissioni con ragioni personali – a so-li tre mesi dalla naturale scadenza. Un’ac-celerazione che molti collegano a immi-nenti decisioni su questioni come la pro-prietà di Enel e Terna. Nonché ai buonirapporti tra Giuseppe Guzzetti, presidentedell’Acri (l’associazione che rappresentale casse di risparmio e le fondazioni di ori-gine bancaria), e Giuseppe Mussari, presi-dente di Mps. Un gioco di alleanze, comesi vede, che spazia dalla finanza all’indu-stria, passando certamente – e più volte –per la politica. Ma non per i Ds. Di certonon per Fassino, e tanto meno per D’Ale-ma. Ma tutto questo, in fondo, si può direche fosse nel conto.

Quello che nei Ds nessuno aveva imma-ginato, almeno fino a ieri, era che alla di-sfatta sarebbe seguito il dileggio. Quelloche non era nel conto, per farla breve, eral’incipit dell’articolo apparso sul Sole 24Ore di ieri: “La Cassa depositi e prestiti...ha da ieri una dimensione politica più for-te nell’orbita diessina”. E ancora: “Dopol’ingresso di Iozzo, molto gradito al segreta-rio dei Ds Piero Fassino, ieri il Cda dellaCassa ‘ha cooptato’ Franco Bassanini, unapoltrona per l’area dalemiana”.

Prima di passare alla Cassa, Alfonso Ioz-zo ha avuto un ruolo non secondario nellafusione tra SanPaolo e Banca Intesa, l’ope-razione che ha incoronato Giovanni Bazolidominus della finanza italiana, e che certonon è dispiaciuta a Romano Prodi. Nomi-nando il manager del SanPaolo Iozzo allaCassa depositi e prestiti, inoltre, Prodi haoggettivamente contribuito a risolvere unproblema di sovrapposizione tra i verticidei due istituti in via di fusione. Definire lanomina di Iozzo come un’operazione fassi-niana, pertanto, appare assai arduo. Quan-to alla milizia dalemiana di Bassanini, leultime due annate del Sole 24 Ore offronoabbondanti testimonianze del contrario. Adomanda diretta, comunque, ieri i dalemia-ni rispondevano così: “Bassanini è personastimata e autorevole, che potrà svolgere almeglio un ruolo che si attaglia perfettamen-te al suo profilo e ai suoi interessi, e cheavrà di certo un’importanza strategica peril paese”. Per poi aggiungere: “L’unico ram-marico è che questo fa automaticamentevenir meno la sua spendibilità in altri im-portanti incarichi nel campo della funzio-ne pubblica”.

La vicenda Bassanini finisce dunque perinserirsi all’interno di un confronto, già nonfacile, tra le diverse correnti destinate a co-stituire, forse, il futuro Partito democratico.E in un quadro che sul piano di quelli chesi usa chiamare poteri reali – forse per di-stinguerli dal potere, sempre più virtuale,della politica – vede i Ds chiusi in un ango-lo. Attoniti e impotenti dinanzi alla tenagliache sembrerebbe stritolarli: il crescenteespansionismo bazoliano, con il fidato Ro-main Zaleski che continua a inanellare par-tecipazioni e scatole di controllo un tempoben lontane dagli ambienti bresciani; l’in-faticabile attivismo prodiano, la cui Weltan-schauung è ben riassunta dall’intervistaconcessa ieri alla Stampa dal suo ex consi-gliere Angelo Rovati, a proposito di reti eruolo dello stato (e della Cassa depositi eprestiti); le costanti incursioni di FrancescoRutelli, sempre pronto ad aggredire tutti glispazi – come si dice nel calcio – tra politicaed economia. Sia direttamente, come nellavicenda delle liberalizzazioni, in pressingsul diessino Pierluigi Bersani; sia indiretta-mente, passando la palla al ministro LindaLanzillotta (moglie di Franco Bassanini).

Uno scenario da Pulp Fiction, per i Ds,che si consuma mentre il ministro degliEsteri Massimo D’Alema si trova impegna-to in Giappone. Da dove potrà agevolmentescegliere se fare harakiri o se darsi allamacchia. O magari – per restare al cinemadi Quentin Tarantino – come la sposa trafit-ta da mille pallottole proprio dinanzi all’al-tare, eppure miracolosamente sopravvissu-ta, restare in Giappone soltanto il temponecessario a farsi temprare un’affilata, lu-cente katana. Ma queste, probabilmente,sono cose che accadono solo nei film.

Francesco Cundari

La spugna più capientedel mondo è in vetrinadal ferramenta al miopaese. Non la vendononemmeno se fai scambioalla pari con un uovo diFabergé. Ecco le sue di-mensioni: è lunga 40 cm,è alta 28 cm, tira su il vo-

lume d’acqua di una piscina olimpionica.E’ considerata patrimonio dell’umanità.Chiaramente quando è imbevuta di ac-qua aumenta di peso talmente tanto chepuò spostare l’asse terrestre. Per quelloil ferramenta non la vende. Non vorreiche finisse in mani straniere e fosse usa-ta per scopi militari. Allora di mia inizia-tiva, senza essere ordinato di servizio danessuno, monto di guardia davanti allavetrina della ferramenta. Sono stato arre-stato per disturbo della quiete pubblicae adescamento. Quello è vero, se passavaper strada un fotomodello che andava al-le sfilate di moda io gli dicevo: “Ciao bel-lo, vieni a mangiare la pizza con me sta-sera?”. Mai chiedi, mai saprai se era me-glio chiedere o no. Auguri.

II parteWww.candegginaace.it. Vado nel sito

scritto sopra e mi ricevono così: “Cosa seivenuto a fare? Candeggina è candeggina.C’è sempre stata e sempre ci sarà. Nonhai la morosa? Allora sloggia da qui, cheè un sito sotto copertura militare”.

INNAMORATO FISSODI MAURIZIO MILANI

Vittorio Emanuele di Savoia e la con-sorte Marina sono in vacanza aGstaad. Felici sotto la neve.

Alta Società

Page 5: 028 VEN 02-02-07

di Richard NewburyQuesta conversazione ha avuto luogo a

Sunday Hill Farm nella campagna in-glese vicino alla città di Brinksworth, nellacontea del Wiltshire, dove vive il filosofo Ro-ger Scruton, con il quale ho chiacchieratodell’influenza di Edmund Burke sulle undi-ci “argomentazioni a favore del conservato-rismo” presentate nel suo libro “A PoliticalPhilosophy. Arguments for Conservatism”,(ed. Continuum, Londra, 2006).

1 - Preservare le nazioni“Nel mio libro ‘Gentle Regrets’ – mi dice

Scruton – ho inserito un capitolo che descri-ve come sono diventato conservatore, in cuiattribuisco una certa importanza a Burke.Ovviamente è una semplificazione, perchésono tante le influenze che ci rendono quel-lo che siamo, ma penso davvero che ‘Rifles-sioni sulla rivoluzione francese’ sia parte in-tegrante delle mie riflessioni da cui è ger-mogliata l’idea che le soluzioni ragionevoliemergono collettivamente nel tempo, men-tre le soluzioni razionali dominano una solatesta in un preciso momento. E penso che ladifferenza tra queste due impostazioni dicamoltissimo sulla differenza tra la mentalitàconservatrice e quella rivoluzionaria, cosìcome sulla differenza tra il modo francese difare le cose e quello inglese”.

E’ davvero notevole quanto domini anco-ra, ad esempio sulla stampa italiana, il pun-to di vista francese. Si stanno ancora acca-pezzando su comunismo e fascismo. “Lo so.Naturalmente in Inghilterra siamo fortuna-ti, vista la nostra tradizione del diritto con-suetudinario. La nostra politica si basa sul-la consuetudine. Persino oggi, con una clas-se politica semi-istruita e piuttosto distrutti-va, che sta sfasciando tutto, è ancora veroche la consuetudine ha la meglio sulla ra-gione, quando le due entrano in conflitto”.

E’ molto interessante notare che il lea-der della Camera dei Comuni, Jack Straw,abbia detto che non avrebbe trovato il tem-po per discutere una disposizione che pre-vedesse l’impossibilità di entrare in guerrasenza un voto in Parlamento, sostenendoche sia una convenzione, e non una legge, avolere che si voti, e che tale dovrebbe ri-manere. “Ecco, appunto”.

Lei ha parlato di fragilità del nostro si-stema attuale e di una classe politica semi-istruita. “Lo è. Insomma, tutte le dispute ri-solte sono fragili per loro natura, perché so-

no sottoprodotti inattesi dei negoziati chequotidianamente intratteniamo gli uni congli altri, e basta che un grande ego in fasedi rottura si metta in mezzo, che tutto crol-la. Penso che sia proprio quello che abbia-mo visto accadere tante volte nel continen-te. Se non è successo in Inghilterra, è statosolo perché abbiamo avuto fortuna, penso.Ma naturalmente sta succedendo ora, nelsenso che l’Unione europea lo sta facendoper noi. Sta cioè introducendo in politica iconcetti di controllo centrale razionalizza-to e di programmazione”.

Sembra che ci sia una reazione. Mi siscalda il cuore a vedere l’atteggiamento deimiei figli, ormai adulti, e dei loro amici; so-no così… “contrari a tutto quello che stasuccedendo…” Sì, e conservatori. “Che l’U-nione europea sia allo sbaraglio è eviden-te. Ormai non è che un’élite superprivile-giata che rimane attaccata a pezzi di carta,e che ce li agita davanti al naso dicendo èstato deciso così, ma è incapace di persua-dere alcuno che altri abbiano partecipatoalla decisione”.

2 - Preservare la NaturaLa cosa interessante è la relazione in cui

si situano questi elementi tra loro, e il colle-gamento tra conservatore, conservare e con-servazione e tra agri-coltura e cultura. “So-no d’accordo. Sono assolutamente favorevo-le alla cultura dell’agricoltura, tanto quantosono contrario all’agricoltura come businessovviamente, e vorrei che si riuscisse a ripor-tare la cultura in tutti quei modi di vivere.Fa parte della mia visione del mondo, semai sarà possibile”.

Burke ha fatto un ottimo lavoro per il mi-glioramento agricolo nei 600 ettari della suaproprietà a Gregories, e coi suoi cugini, i Na-gle, in Irlanda. “Giusto. Sono più che favore-vole ai miglioramenti, a patto che siano supiccola scala. Questo luogo (Sunday HillFarm) era in uno stato di completo abban-dono quando l’ho comprato, e la casa colo-nica vicina era crollata. Abbiamo fatto qual-che miglioria”.

Tutto questo, la cordialità col vicinato, l’i-dea di agire su “piccola scala” invece che sugrandi progetti, ha un che di burkeiano, nonsolo nel senso che si sottraggono le grandiproprietà aristocratiche al mercato per con-segnarle a dei fiduciari, ma anche nell’ideadi non togliere il diritto di decidere alla fu-tura progenie e agli antenati. “Sì, direi che èil pensiero principale di Burke: sostituire icontratti con gli accordi fiduciari, come for-ma ultima di patto tra cittadini. Penso chesia anche un’idea molto inglese. Abbiamoinventato il diritto fiduciario pensando su-bito all’istituzione del fiduciario come a unapersona giuridica”.

Vede delle possibili cause comuni tra con-servatori e ambientalisti? “Se gli ambienta-listi prendessero coscienza di quel che di-cono. Il problema, per me, è che il movi-mento ambientalista è stato ispirato daglistessi atteggiamenti risentiti di sinistra che

esemplare tipico di intellettuale del suotempo. Era un conservatore che non potevaconfessarlo. Il suo ‘non lasciare che accada,dipende da te’ va paragonato a Burke,‘quando i malvagi si uniscono, i buoni de-vono associarsi; altrimenti cadranno, unodopo l’altro, sacrificio che non genera pietàin una battaglia spregevole’”.

11 - Eliot e il conservatorismoLei fa sempre ritorno anche a Eliot, è

stato importante nella sua progressioneverso il conservatorismo? “Sì, sin dalla pri-ma volta che l’ho letto, a scuola, è statoestremamente importante. Innanzitutto, ilsuo linguaggio è così improntato al ‘Book ofCommon Prayer’ (il testo fondamentaledella chiesa anglicana) e così moderno,nelle sue scelte. E’ come se il passato del-l’Inghilterra guardasse al presente attra-verso i suoi versi”.

Per concludere. Se Burke rimane unWhig, e forse lei pensa che non sia così, checosa non fa di lui un Tory? “Non sono ab-bastanza esperto di storia per poter dire co-sa sia un Tory e cosa sia un Whig, special-mente nel mondo moderno. Ovviamente seseguiamo l’opinione di Herbert Butterfield,per cui ci sarebbe una teologia ottimistadei Whig, secondo la quale continuamenteprogrediamo verso una maggiore libertà,allora Burke era l’opposto di un Whig. Nelcontesto della politica moderna quello chedice, in particolare l’esaltazione del ragio-nevole rispetto al razionale, e della con-suetudine sull’invenzione e via dicendo, èl’archetipo del pensiero Tory e conservato-re. Insomma, il nostro partito Tory l’ha la-sciato piuttosto indietro”.

Se i Whig sono ottimisti, i Tory sono pes-simisti sulla natura umana. “In realtà pen-so che i Tory siano ottimisti, perché hannouna visione tanto bassa della natura uma-na che qualsiasi cosa di buono succeda lisorprende ed è comunque meglio di quel-lo che temevano. Mentre a sinistra c’è unfalso ottimismo, perché è sempre associa-to a una visione di quel che è possibile,che è naturalmente del tutto contrario al-la natura umana”.

Sia Gladstone che Disraeli videro inBurke il padre dei partiti che fondarono, ri-spettivamente quello liberale e quello con-servatore. Ma lei ritiene che sarebbe così ri-levante anche oggi? “Sì. Se ci fosse una ri-flessione sulla politica, le cose andrebberocosì. Ma la probabilità che ci sia una rifles-sione sulla politica è molto bassa, perché ov-

viamente il nostro mondo è stato conquista-to da cose come la televisione, che preclu-dono la riflessione”.

“L’era della Cavalleria è passata. Le èsucceduta quella dei sofisti, degli economi-sti e dei calcolatori; e la gloria dell’Europasi è spenta per sempre”, come predisseBurke? La televisione è anti-riflessiva?“Non c’è solo questo di sensazionale. Puòintrodurre dei pensieri solo nella misura incui vengano presentati sotto forma di slo-gan, che hanno pari possibilità di essere ve-ri o falsi, perché la loro forza d’attrazionenon dipende dalla loro ragionevolezza, madall’impatto che esercitano. Per questo pen-so che i giorni in cui la politica poteva esse-re fondata su un qualsiasi tipo di pensieroo filosofia siano passati”.

Sono passati per sempre? Lei tende ad es-sere pessimista. Le cose non possono ritor-nare? “Potrebbero. Il punto è che ci sono an-cora gli istinti. La domanda è come risve-gliare quegli istinti, come fece Burke conuna magnifica perorazione. Dobbiamo tro-vare un altro modo di risvegliarli”.

E’ stato il repubblicanesimo di SouthPark (il cartone televisivo statunitense, ra-dicalmente libertario) a fare di mio figlio unconservatore. “Quello di scrollarsi di dossolo stato è un istinto sociale fondamentale, sesi riesce a rianimarlo. Penso che lo spettrodi tutte le alternative alla fine riporterà lagente al conservatorismo. Penso che la cau-sa principale dei conservatori ora debba es-sere l’abolizione delle leggi. Liberiamocene,fermiamole, ne abbiamo abbastanza”.

Quando Burke fu espulso dagli elettori diBristol disse di essere stato “bandito dal-l’interna nazione”. Roger Scruton si sentecome lui, anche se ora sembra che le sueidee vadano per la maggiore? “Sono semprestato attaccato dalle alte sfere, ma non homai avuto una posizione da cui essere ban-dito. Sono solo una persona che se ne stadietro le quinte e che commenta quel chesuccede. Ritengo di essere un pensatore pernulla originale, che si limita a dire quelloche tutti pensano. La differenza sta nel fattoche la maggior parte delle persone non osadirlo. Ma lo pensa lo stesso. Credo sia tuttoqui quel che è successo”.

Se Burke è nostro progenitore, certamen-te ci aiuterà a prevedere il futuro. “La so-cietà è in effetti un contratto… diventa un’al-leanza non solo tra chi è in vita, ma tra chi èin vita, chi è morto e chi deve ancora nasce-re”. Penso che Burke sia un nostro progeni-tore. Ma non gli risparmio alcune critiche.C’è una sorta di roboante sentimentalismonei suoi scritti, che introduce gravi pecche.Punti in cui dovrebbe essere determinato,magari persino cinico, e in cui romanzeggiala condizione umana in un modo che certa-mente non è d’aiuto.

Nel 2006, Richard Newbury ha pub-blicato, in più puntate apparse sul Fo-glio, la prima biografia italiana del filo-sofo e politico Edmund Burke.

hanno portato all’antirazzismo, all’animali-smo e via dicendo. Per cui non ha mai avutoun’idea positiva di quello che vuole. Si limi-ta a essere sempre contro le Grandi Impre-se o contro il successo. Penso che, come sot-tolinea Nietzsche, questo risentimento siauna caratteristica naturale della condizioneumana. Il successo degli altri è insopporta-bile per i più, e qualsiasi cosa lo razionaliz-zi ottiene immediatamente seguito. Pensoche sia questo il problema del movimentoambientalista, che razionalizza molto facil-mente quel risentimento ma non produceun obiettivo politico coerente capace di uni-re le persone. Penso, quindi, che i conserva-tori debbano fare propria la causa ambien-talista, perché potrebbero unire le personesu questo obiettivo. Avrebbero buoni risul-tati e potrebbero avere dalla loro sia il mon-do degli affari che le persone normali”.

3 - Mangiare gli amiciLei ha allevato e mangiato un maiale cui

aveva dato il nome del filosofo che ha teo-rizzato i diritti degli animali: Singer. Questoepisodio ci riporta all’idea più ampia di“mangiare gli amici” come, appunto, il maia-lino. “Sfortunatamente non abbiamo maialial momento, ma dalla finestra può vedere lacasa in cui ha vissuto Singer. Siamo diversidagli animali, siamo esseri morali, mentregli animali non lo sono. Da qui la domandase mangiarli o meno. Loro non si pongonoquesta domanda. Difendo l’opinione secon-do cui noi dobbiamo mangiarli perché senon li mangiassimo non esisterebbero”.

Se vuoi che la campagna sia fatta solo dicampi di soia, diventa vegetariano. “Esatto.Il punto è come li trattiamo. Il maialino Sin-ger si è divertito con il suo amico giù alla ca-panna, poi, al momento opportuno, ne ab-biamo fatto salsiccia”.

Ed è anche una questione sociale. Nellevalli alpine del Piemonte, da dove viene miamoglie, sappiamo che tutti sono coinvolti nel-l’uccisione del maiale. “Ahimè, purtroppoquesta tradizione sta sparendo dall’Inghil-terra, e i regolamenti dell’Unione europea lacancelleranno da ogni luogo. In realtà non èpermesso ufficialmente. Abbiamo uccisoSinger illegalmente, a casa, con l’aiuto di unmacellaio comprensivo. Poi l’abbiamo appe-so, gli abbiamo fatto perdere il sangue e neabbiamo fatto salsiccia, boudin noir e tutto ilresto. Ma era tutto severamente illegale.”

Sa che nel caso di attacco nucleare il pro-gramma ufficiale d’emergenza prevede chenon siano i dottori, ma i macellai e i panet-tieri a occupare i primi posti nella lista del-le persone da salvare, perché sono in gradodi dare da mangiare ai sopravvissuti le cuicondizioni sanitarie non siano ancora di-sperate a causa delle radiazioni. “Davvero?Sarà allora che, infine, pagheremo pegnoper tutte le nostre assurdità”.

4 - Morire serenamenteParliamo, dunque, della morte. Nel bel

mezzo della vita siamo alla morte. Anchequesta è una questione cruciale, dal puntodi vista di Burke. Lei, come Burke, indicauna differenza tra consuetudine e leggenella differenza tra “aiutare qualcuno amorire” e l’eutanasia. Questa è una di quel-le aree di cui Burke direbbe che si tratta dicampi nei quali l’ambito delle consuetudi-ni e degli usi e quello del diritto differisco-no. “Sono d’accordo. Portando tutto questoalla luce, con l’introduzione della legge,creiamo un disservizio per i morenti. E an-che per i dottori. Ci sono modi di affronta-re la situazione che non dovrebbero essereresi troppo precisi, né fatti oggetto di esa-me troppo palese”.

Il fatto che abbiamo il diritto di fare qual-cosa non significa che dobbiamo farlo. InItalia non si può fare nulla, a meno che ci siauna legge che dice che si può. Col dirittoconsuetudinario si può fare qualsiasi cosa, ameno che ci sia una legge che dice che nonsi può. “Non ho una risposta definitiva sullaquestione dell’eutanasia, ma sembra essereun punto sul quale la medicina ci ha messoin una situazione nuova, senza che noi di-sponiamo delle categorie morali per affron-

tarla. Ma penso che la gente si stia rifiutan-do di prendere coscienza di quanto sia nuo-va la situazione e di riconoscere effettiva-mente che in realtà la medicina moderna haun lato negativo, oltre che uno positivo, eproduce un certo tipo di essere umano, chenon è pronto a morire anche se non c’è nul-la per cui vivere”.

Questa è la vera novità. Stavo ripensan-do all’idea di meraviglia di Burke nel suo“Inchiesta sul Bello e il Sublime”. Il modoin cui Burke riteneva che la vita fosse “or-rida” è una cosa che non capiamo. Il nostrointeresse è morboso; per esempio, pensia-mo al terremoto di Lisbona: non è scientifi-co né razionale. Di fronte a questo mostromegalitico usiamo in nostri metodi di valu-tazione, ma forse in questo caso sono più gliesseri umani, che non la natura a lasciarci,come i romantici, inebetiti d’orrore. C’èconflitto tra i diritti umani e la natura uma-na? “Oddio. E’ una questione gigantesca, acui non ho risposta”.

5 - Un matrimonio pregno di significatoC’è un’altra cosa oggi minacciata: un ma-

trimonio che sia pregno di significato. “Ov-viamente viviamo sempre più in un mondoin cui le persone credono che lo scopo dellavita sia quello di sfamare quanto possibile ipropri appetiti, perché non c’è aldilà. La co-sa interessante è che quando le persone

quel determinato momento”.

6 - Spegnere la luceMi piace quello che lei ha detto sul post-

modernismo, in cui “la sintassi è tutto e lasemantica non è nulla”. Mi ha fatto tornarein mente George Orwell e il suo “Linguaggiodella politica”. Siamo alla cosiddetta “teo-logia del relativismo”, perché ha assunto ca-ratteristiche religiose. “Tutti quei movimen-ti che si sono susseguiti nel mondo accade-mico dagli anni Sessanta, Foucault, Lacaneccetera, sono quasi delle religioni per la lo-ro ispirazione. Non avrebbero avuto tuttaquella forza se non fossero stati tali, propriocome il marxismo e l’esistenzialismo. Erachiaro già dal modo in cui Sartre ha presen-tato l’esistenzialismo, che tutti i suo concet-ti fossero essenzialmente teologici”.

Naturalmente Sartre era protestante, co-me me d’altronde, e la forza trainante dellalaicité in Francia era protestante, ma la con-seguenza, inattesa, fu la creazione di una re-ligione di stato che sostituiva Dio. “Beh, èuna religione di se stessi, no? E’ un vero pec-cato che le lingue contengano la parola ‘sé’”.

Pensa che Burke ne sarebbe stato sorpre-so? “Già dei rivoluzionari francesi Burke di-ce che la loro filosofia è un sostituto della re-ligione. Sfidano la ragione”.

7 - La religione e l’illuminismoPassando alla religione e all’illuminismo,

Burke sottolinea quanto fossero numerosele religioni consolidate nell’impero britan-nico. Nel Quebec la religione consolidataera quella cattolica, in Scozia quella presbi-teriana, in Inghilterra l’anglicana e in Indial’hindu e quella musulmana. E lui era favo-revole a tutto questo. Il problema per lui erache in Irlanda il cattolicesimo, la religione

di maggioranza, non era consolidato. Burkestesso era stata istruito in una scuola ele-mentare cattolica, in una scuola secondariaquacchera e in un’università anglicana in Ir-landa. Era anglicano, e aveva madre e mo-glie cattoliche. Il collegamento tra religionee territorio è un elemento comune tra lei eBurke? Lei stesso parla delle radici dell’ap-partenenza collettiva, di un tronco di fiduciae obbedienza comuni, di rami fatti di pen-siero e emozioni, di foglie e fiori costituiti daliturgia e venerazione. La venerazione di dèigrossolani, come Elvis e la Principessa Dia-na, dimostra che, come Burke, lei reputa chela religione sia necessaria, come parte dellacondizione umana. “Non ne sono certo. Pen-so che la lealtà territoriale in Europa si siasostituita alla lealtà religiosa, e questa èdavvero una delle conquiste più grandi. E’uno dei fattori che ha portato alla fine di tut-te le guerre di religione, no? Fu quando ilcardinale Richelieu disse che avrebbe rite-nuto francesi tutti coloro che vivevano sulsuolo di Francia. Che fossero cattolici o pro-testanti non faceva alcuna differenza. Quelgenere di idee ha effettivamente posto finealle guerre di religione. Sono assolutamen-te favorevole a una qualche forma di nazio-nalismo elementare, perché ci offre un pun-to alternativo su cui concentrare la nostralealtà, rispetto ad altre cose più pericolose”.

8 - La tentazione totalitariaLa strada della rivoluzione francese con-

duce al totalitarismo, come aveva previstoBurke. Lo immagina nelle “Riflessioni”:“Questa specie di persone è talmente presadai diritti dell’uomo che ha dimenticatocompletamente la sua natura… Poiché odia-no troppo i vizi, finiscono per amare troppopoco gli uomini… Questa filosofia barbara,che è il frutto di cuori freddi e menti confu-se… Nei parchi delle loro accademie, alla fi-ne di ogni sentiero, non si vedono che for-che”. “Beh, è vero”.

Lei dice che il totalitarismo è una cultu-ra vittimistica, per cui chi sta al potere sol-leva il ponte levatoio. Mussolini fu moltoperspicacie nel dire “prendiamoci semprecura degli intellettuali”, i maestri di scuo-la, come lui. “Era lampante che le cosestessero così in Italia. E’ quel che ha fattotanto bene Gramsci. I suo scritti sono tuttirivolti a semplici maestri, in lode del tipodi istruzione che un maestro avrebbe potu-to voler fornire”.

Al Quaida non è un movimento religioso,ma un nuovo tipo di terrorismo senza stato,con una vaghissima idea di cosa vuole crea-re e una concezione chiara di cosa vuole di-struggere. E’ questa la direzione verso cuistanno mutando i movimenti religiosi. “Pen-so che uno dei grandi problemi dei paesimusulmani sia il fatto che non generanoquesta lealtà al territorio. C’è un solo luogosanto, lontano migliaia di chilometri, da vi-sitare una volta nella vita se sei fortunato,tutto il resto dello spazio è improvvisato. Perquesta ragione penso che l’aspetto religiosodella cultura musulmana non riesca a tro-vare una sua collocazione spaziale nel mon-do moderno, e diventi una sorta di negazio-ne vagante delle condizioni in cui le perso-ne oggi devono vivere”.

9 - Linguaggio nuovo e linguaggio europeoLoro dicono chiaramente quello che vo-

gliono ma noi, col nostro linguaggio nuovo,col nostro linguaggio europeo, non siamo ingrado di dare risposte. Lei rileva che il no-stro dialogo parlamentare e il sistema di di-ritto consuetudinario sono sistemi che pro-cedono dal basso, non imposti dall’alto.Un’altra ragione per cui l’Inghilterra non siaddice all’Europa? “Sì, questo naturalmen-te è un grosso problema per il futuro del-l’Europa, non c’è un piano B. O riusciamo afar stare insieme le cose o non ci riusciamo.Per cui dobbiamo trovare un modo di conci-liare l’impostazione inglese, quella che pro-cede dal basso, con quella continentale, cheimpone dall’alto. Non so come. Insomma,penso che le persone normali preferiscanoun’impostazione che va dal basso verso l’al-to, naturalmente. Se si parte dall’alto, spe-

cialmente in posti come l’Italia, i politicicontinuano a dettare le regole ai cittadini,che poi le ignorano, e la legge finisce co-munque per cadere in discredito. La mag-gior parte degli italiani non vive assoluta-mente secondo la legge. Mentre la maggio-ranza degli inglesi sì, perché nella legge ve-de un amico.

“It’s not fair”, non è traducibile. E un re-cente sondaggio ha dimostrato che in Ger-mania la maggioranza è contraria all’appar-tenenza all’Unione europea, ma quest’ideanon è rispecchiata nell’élite. “Perché l’éliteguadagna molto dall’Unione”.

Però c’è un piano B, scegliere di aderireall’anglosfera. “Non c’è un piano B per l’Eu-ropa nella sua integrità, e ritengo che siauna grande tragedia, perché l’Europa è untutt’uno, o almeno dovrebbe esserlo, ideal-mente. Ma, a meno che si scopra un piano B,non lo sarà. Condividiamo tutto quanto c’è dipiù importante. L’idea dell’eredità legale.L’idea della cittadinanza. E naturalmente lacultura cristiana”.

10 - La natura del maleCondividiamo anche la banalità del ma-

le. L’incapacità di usare il linguaggio. Lapersona di cui vorrei scrivere, dopo Burke,è Orwell, e sento che se fosse vissuto più alungo, potrebbe aver pensato in modo si-mile a quanto facciamo noi. “Sì, era un

pensano in questo modo, presto smettono diriprodursi. Le istituzioni che aiutano le per-sone a riprodursi, e il matrimonio è la piùimportante di tutte, sono le prime vittime diquesto atteggiamento, perché non c’è nullacome il sacrificio dei nostri appetiti presen-ti per l’interesse a lungo termine della spe-cie. E penso che lo stiamo vivendo in questomomento, è molto interessante. I sociologinon avevano assolutamente previsto che larivoluzione sessuale avrebbe portato allasterilità. Sembra l’opposto di quello che ciaspetteremmo, ma ormai è evidente”.

L’ammiraglio responsabile della strategiamilitare di lungo termine a Warminster (l’uf-ficio del dipartimento della Difesa che si oc-cupa di programmazione) sostiene che la co-sa che più lo preoccupa è che nel 2040 il 49per cento della popolazione sulla riva suddel Mediterraneo avrà meno di 29 anni, e il49 per cento sulla riva nord avrà superato i50. Da un punto di vista di programmazionemilitare è questa la preoccupazione princi-pale. Ed è avvenuto molto rapidamente. “Sì,vent’anni fa il problema non esisteva”.

Burke ci porta inevitabilmente sulla que-stione del matrimonio gay, vista la sua coa-bitazione in un ménage à trois con WillBurke e sua moglie. Però non ha mai com-mentato la cosa. “Accettare che cose del ge-nere possano succedere e non fare com-menti è una reazione tipicamente inglese.Tutta questa questione del matrimonio gayè una cosa americana. Gli americani non vi-vono con l’idea di starsene nascosti, e devo-no credere che qualsiasi cosa facciano siagiusta. Gli inglesi hanno sempre provato uncerto brivido nel fare quel che era ritenutosbagliato. Gli americani devono risistemaretutto il panorama della morale così da giu-stificare quello che capita loro di fare in

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ANNO XII NUMERO 28 - PAG I IL FOGLIO QUOTIDIANO VENERDÌ 2 FEBBRAIO 2007

Il filosofo inglese Roger Scruton a Sunday Hill Farm