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LE DONNE CAMBIANO…..IL LAZIOCoordinamento Donne Cgil Roma e Lazio

CONTESTO E PROSPETTIVE

Il nostro Paese sta attraversando una fase di profonda trasformazione, le dimensioni della crisi che stiamo vivendo impongono per il suo superamento cambiamenti radicali che investano il modo di produrre , ma anche di vivere e di essere. E il cambiamento dovrà essere nell’ottica di una società molto più “femminile” dell’attuale, spostando le priorità dai beni alle persone, dalla produzione di beni alla produzione di benessere. Uscire dalla crisi con misure difensive è impossibile, la sfida da affrontare è quella di costruire un modello di sviluppo rinnovato che si ispiri all’economia delle quattro E: ecostenibile, etica, egualitaria, ed anche empatica.Il territorio è la palestra fondamentale in cui creare reti, rapporti, integrazioni, condivisione : coesione sociale e sviluppo economico.

La nostra regione, il Lazio, costituisce la cerniera tra il Nord ed il Sud ed è particolarmente rappresentativa della realtà nazionale e delle sue contraddizioni e diseguaglianze, a partire da quelle di genere, ma anche delle enormi potenzialità culturali, sociali ed economiche.

Le politiche di risanamento basate essenzialmente su tagli lineari agli enti locali ed alla spesa pubblica hanno avuto sull’economia del Lazio, per le sue caratteristiche produttive e sociali, un impatto più marcato che in altre regioni e colpiscono in maniera particolare le donne, determinando una riduzione dei servizi, già inadeguati rispetto ai vecchi e nuovi bisogni, un calo dell’occupazione femminile ( prevalente in quei settori) ed una riduzione della possibilità per le donne di lavorare. I dati sull’occupazione femminile nella nostra regione ci indicano che il gap di genere è strutturale, come d’altra parte nel resto del Paese, ma la crisi ha avuto pesanti ricadute , in termini qualitativi oltre che quantitativi.La fase recessiva ha interrotto un trend positivo di crescita lieve ma costante dell’occupazione femminile che ha caratterizzato gli anni fino al 2008 e determinato un arretramento che è ancora in atto.La recessione ha colpito inizialmente i settori a prevalente occupazione maschile ( industria ed edilizia) e pertanto ha avuto maggiori effetti sull’occupazione maschile, ma successivamente, ed in particolare nel 2011/2012 gli effetti, anche a causa delle politiche di tagli pubblici e spending review, si sono estesi anche al settore dei servizi, pubblici e privati, in cui le donne sono largamente presenti.L’occupazione non è neutra: quella femminile ha caratteristiche profondamente differenti da quella maschile ed anche meno leggibili, perché largamente presente nel lavoro atipico, precario, stagionale, nel part time non scelto, nel “lavoretto” con scarsa retribuzione e scarsi diritti che paradossalmente cresce in questa fase, spinto dalle accresciute difficoltà economiche e magari dal venir meno del reddito del “capofamiglia” licenziato o in cassa integrazione.Ed infatti l’occupazione femminile è peggiorata soprattutto in termini qualitativi , calano

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le donne nel lavoro dipendente, e nelle professioni più qualificate e meglio retribuite aumentano le partita iva, aumentano tra i contratti precari ( collaborazioni, tempo determinato ecc…) in cui sono largamente maggioritarie : la precarietà è donna, ed in particolare ( ma non solo!!) giovane donna.Rimane alta l’occupazione tra, badanti e baby sitter , risposta parziale ed insoddisfacente a bisogni in crescita nella nostra società, lavori svolti prevalentemente da migranti , ma anche per la prima volta da molti anni delle donne italiane.La componente immigrata femminile è nella nostra regione molto elevata, ed attiva sul mercato del lavoro, in quanto riflette la natura della domanda di lavoro, espressione della struttura economica e del sistema di welfare del nostro Paese. Non si tratta solo di baby sitter e badanti, ovviamente: l’immigrazione femminile è caratterizzata da una complessità, versatilità e molteplicità di situazioni e strategie di inserimento che richiedono una maggiore sensibilizzazione e sostegno nei confronti delle sue protagoniste, nonché analisi e riflessioni mirate anche riguardo alle seconde generazioni.Si riduce l’occupazione qualificata delle donne, mentre cresce il lavoro stagionale : ed infatti il dato congiunturale è molto superiore a quello tendenziale proprio perché condizionato dal lavoro stagionale.All’interno della regione si evidenziano forti differenza tra la provincia di Roma e le altre province, in cui il livello di inattività è pari o poco superiore a quello delle regioni del mezzogiorno, solo una donna su tre ha un’occupazione regolare e retribuita.Le nuove povertà determinate dalla crisi colpiscono in larga misura le donne: donne anziane sole e donne con figli. L’85% delle famiglie monogenitoriali è composta da madri con figli e questa tipologia di nuclei familiari è, insieme alle famiglie numerose, la più esposta al rischio povertà per le forti difficoltà del capofamiglia donna nell’accesso al lavoro e nella conciliazione, soprattutto in presenza di reti familiari deboli, tra impegni lavorativi e familiari.D’altra parte in tutte le tipologie di famiglia la correlazione negativa tra occupazione delle donne e numero dei figli è evidente , una donna su quattro lascia il lavoro in conseguenza della nascita di un figlio, testimonianza di un nodo tuttora irrisolto tra lavoro e cura.Non è questione che riguardi soltanto le donne, ma interroga l’intero modello di sviluppo e di società.Europa 2020 afferma che la parità di genere è strategica per la sostenibilità della crescita economica e sociale e per l’efficacia di qualunque strategia occupazionale.La diseguaglianza di genere è uno dei fattori di arretratezza anche economica oltre che sociale e culturale del nostro Paese e perciò va rimossa per superare la crisi non solo in termini difensivi, ma costruendo un nuovo modello di sviluppo che dovrà necessariamente essere paritario.

L'occupazione femminile ha un effetto moltiplicatore rispetto all’economia, riconosciuto dai principali studi seppure in misura variabile, in quanto crea essa stessa ulteriore occupazione , incentiva la domanda di servizi, in particolare di cura alla persona ma non solo, contribuisce alla crescita della massa fiscale e previdenziale, riduce il rischio povertà, rende la famiglia meno vulnerabile ad eventi avversi ed aumenta la fiducia e la capacità di spesa.Può quindi rappresentare un prezioso volano di crescita e sviluppo del territorio, anche in

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chiave anticiclica, ed un occasione reale di cambiamento, ma un gap strutturale come il nostro non si recupera in tempi brevi senza interventi specifici e politiche mirate.Il nostro modello sociale fa perno sul lavoro di cura , gratuito, misconosciuto, escluso dal conteggio del Pil donato dalle donne che, donne acrobate o nonne sandwich, suppliscono alle inadeguatezza del welfare, pagando il prezzo di una esclusione o marginalità nel mondo del lavoro e nella vita pubblica.Occorre ripensare il welfare, i servizi di supporto alla cura, le politiche di conciliazione vita - lavoro , la conciliazione come strumento per rimettere in moto il paese, oggi è un diritto negatoMa serve anche un cambiamento dal punto di vista culturale, una diversa condivisione tra donne e uomini all'interno della famiglia ed un equilibrio della presenza dei due generi nei ruoli decisionali, nel mondo del lavoro e delle imprese, così come nella rappresentanza politica e sociale. Una società paritaria è basata su una piena partecipazione delle donne alla sfera pubblica e lavorativa, e nel contempo da una riscoperta maschile della dimensione della cura, a partire dalla genitorialità.

Per raggiungere questi obiettivi è necessario mettere in atto una sinergia di azioni ed una pianificazione; in questo senso il Piano per l'occupazione femminile nella regione Lazio 2009/2010 segnava un'importante evoluzione culturale, un cambio di passo , ma questo nuovo metodo è stato abbandonato dalla Giunta Polverini. Oggi è indispensabile costruire un nuovo patto sociale per lo sviluppo di Roma e del Lazio in cui il lavoro, produttivo e riproduttivo delle donne, sia centrale ed elemento fondante del modello sociale ed economico.

PROPOSTE

Le nostre proposte si articolano lungo quattro assi: Occupazione e Mercato del lavoro, Contrattazione e Organizzazione del lavoro, Welfare e Beni Comuni, Sostenibilità e Sviluppo Urbano

Occupazione e Mercato del Lavoro

Sviluppo e occupazione Serve una pluralità di azioni integrate in ottica di genere, rivolte alla formazione ed all’orientamento al lavoro, ai nuovi assi di sviluppo quali green economy, infrastrutture telematiche, ciclo dei rifiuti, riqualificazione spazi urbani, servizi innovativi, cultura, arte e artigianato, benessere, agricoltura sociale. La limitatezza delle risorse impone una scelta attenta dei settori dove investire, in un quadro strategico che tenga conto delle vocazioni e delle caratteristiche del nostro territorio e che sia finalizzato alla costruzione di un modello di sviluppo di qualità. eco-compatibile, policentrico, inclusivo e socialmente sostenibile, con particolare attenzione alla possibilità di creare o favorire nuova occupazione femminile.

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La riforma pensionistica ha duramente colpito le donne sia nella maturazione del diritto che nell’ammontare della prestazione: i percorsi lavorativi più poveri o discontinui che spesso sono femminili, rischiano con le nuove norme di non riuscire mai a maturare un requisito pensionistico . L’allungamento dell’età pensionabile, oltre a modificare legittime aspettative e a non riconoscere in alcun modo il ruolo delle donne nella nostra società, il contributo rilevantissimo allo svolgimento del lavoro di cura, il doppio ruolo ( se non triplo) che svolgiamo, determina anche situazione drammatiche per quelle lavoratrici ultra cinquantenni espulse dal mercato del lavoro, oppure in condizioni di lavoro precario, ed ancora lontane dal nuovo requisito. Riteniamo indispensabile che la Riforma venga cambiata a livello legislativo, nel frattempo, però, è necessario cercare di gestirne le ricadute anche a livello territoriale, ad esempio prevedendo agevolazioni e strumenti dedicati per il reinserimento lavorativo delle donne non più giovani che nell’attuale crisi hanno ben poche possibilità di trovare un lavoro ( e la relativa contribuzione pensionistica)

L'occupazione delle donne è diffusa negli appalti che hanno drammaticamente subito gli effetti della crisi, della spending review e delle gare al massimo ribasso: è urgente approvare una legge regionale sugli appalti

Formazione e Politiche attiveI dati evidenziano un gap nell’accesso alla formazione tra donne ed uomini sia all’interno delle aziende e nell’ambito di fondi interprofessionali che per quel che riguarda l’utilizzo delle risorse pubbliche Migliorare la governance integrata dei sistemi formativi servirebbe a rafforzare la dimensione di genere sia nella formazione della domanda che nello sviluppo dell’offerta formativa. Una delle sfide più rilevanti per evitare sprechi e inutili sovrapposizioni tra i diversi strumenti di finanziamento riguarda proprio la capacità di integrare le risorse pubbliche del FSE con quelle del FESR e del sistema dei Fondi Interprofessionali ricorrendo ad azioni e strumenti di coordinamento a regia pubblica per garantire un uso efficace, coerente e sistematico dell’insieme delle risorse disponibili, soprattutto in un momento come quello attuale in cui buona parte di queste risorse sono state assorbite dalle politiche passive. Un sistema di monitoraggio efficace a livello regionale, una mappatura di quante risorse il Lazio può disporre per la formazione, consentirebbe una programmazione organica e intelligente di progetti di formazione e sviluppo locale

Una seconda priorità riguarda l’opportunità di avviare strumenti di integrazione tra tutte le misure e le fonti di finanziamento disponibili, attraverso luoghi e misure di governance partecipata, concertata con tutte le parti sociali; in questo modo il rilancio del dialogo sociale diverrebbe uno strumento di supporto alla programmazione integrata e di facilitazione per accelerare l’efficacia delle spesa formativa su progetti di crescita dei cittadini, delle lavoratrici, dei contesti produttivi e dei territori.L’Isfol ci dice anche che esiste una vasta quota di popolazione in cui è molto elevata la presenza femminile che non partecipa ad azioni formative di alcun genere, che non cerca lavoro e non si forma su tematiche inerenti il mondo professionale.: le cosiddette “scoraggiate”

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Qualsiasi tipo di azione tesa a recuperare quote di popolazione ad oggi escluse dalla formazione e dal mercato del lavoro, necessiterebbe, in primo luogo, di interventi propedeutici di tipo orientativo e rimotivante: mettere al centro l'orientamento come azione di tutela, per facilitare l'accesso ad azioni formative qualificanti e professionalizzanti, alle politiche attive ed alla ricerca attiva del lavoro.

Il sistema di orientamento deve essere legato al processo di interazione tra gli standard formativi, al sistema di certificazione delle competenze formali ed informali ed al sistema delle qualifiche, in modo da costituire il dispositivo che rende possibile la realizzazione dei processi di integrazione dei vari sistemi (scuola, formazione professionale, università, istruzione, formazione continua, lavoro). Alle persone, ai lavoratori ed alle lavoratrici in questo modo sarebbe offerta la possibilità di percorrere itinerari personalizzati di apprendimento, vedere valorizzate ed accreditate le competenze comunque acquisite nel percorso di vita, formazione e lavoro, esercitare concretamente il diritto alla mobilità sia nello spazio nazionale che europeo. E' perciò fondamentale costruire un sistema di certificazione delle competenze che consenta oltre che di ripercorrere i corrispondenti itinerari di apprendimento, anche di fruire in modo flessibile di opportunità formative trasversalmente ai sub-sistemi scuola/formazione professionale/lavoro.

In sintesi le nostre proposte in tema di orientamento e formazione riguardano i seguenti aspetti:

promuovere l’offerta di percorsi formativi che facilitino e sostengano l’accesso al lavoro delle donne e la loro occupabilità soprattutto nei settori a maggiore presenza femminile

promuovere misure di orientamento al lavoro e analisi delle competenze delle lavoratrici, finalizzate soprattutto alle donne fuoriuscite dal mercato del lavoro per problemi familiari e che intendono rientrarvi ( es. reinserimento donne over 40/50 dopo una separazione o una maternità)

la promozione ed il sostegno di progetti di conciliazione tra tempi di lavoro, di vita e di cura

promozione e sostegno a progetti di auto impiego giovanile e femminile, orientato soprattutto a mettere in luce il rischio di impresa, l’accesso al credito e le problematiche relative alla gestione, sia attraverso i SOL CGIL presenti nelle CdLT sia attivando le reti sui territori (BIC, Informagiovani, associazionismo ecc).

potenziare la contrattazione per sviluppare azioni e dispositivi di tutela e promozione delle istanze di partecipazione femminile alle attività formative e di riduzione degli effetti critici strutturali di segregazione e discriminazione

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Sistema dei servizi alle imprese, accesso al credito

Il tessuto produttivo della regione è costituito in buona parte di piccole e piccolissime imprese che non riescono ad avere gli strumenti per affrontare e superare la crisi, molte di queste sono imprese femminili, promosse da donne native o migranti, spesso nate con un grande bagaglio di entusiasmo ed anche di idee prodotto originali, ma con uno scarso know how che rende difficile, ad es. l’accesso al credito, l’utilizzo di agevolazioni o l’accesso ai fondi strutturali europei, l’apertura a mercati più ampi, ad es internazionali. E’ necessario sostenere questi progetti, supportando queste imprese con servizi dedicati ed aiutarle a mettersi in rete: Distretti- incubatori di imprese - spazi di cooworking- agevolazioni creditizie anche attraverso meccanismi di cofidi- incentivazioni all'impresa femminile e giovanile sono strumenti fondamentali per rilanciare lo sviluppo del territorio, e l’occupazione .

Organizzazione del lavoro e contrattazione

Stiamo attraversando una fase di estrema difficoltà nella contrattazione a tutti i livelli, sviluppata in forma essenzialmente difensiva, in cui temi dell'odl e degli orari sono assenti, oppure vengono inseriti solo in una logica di contrazione dei diritti e sfruttamento ( orari selvaggi, peggioramento turni ecc...) che è particolarmente pericolosa per le donne.Il differenziale retributivo tra donne ed uomini è stimato nel nostro Paese intorno al 20-25%, in gran parte è determinato dal minore e più difficile accesso delle donne rispetto ai benefit aziendali, agli incentivi, alle ben note difficoltà nei percorsi di carriera, soprattutto i più elevati ( il soffitto di cristallo è ancora sopra di noi), alla minore disponibilità a prestazioni straordinarie e turnazioni ecc… E’ sostanzialmente il prodotto di una cultura d’impresa che tende a valutare la quantità piuttosto che la qualità della prestazioni ed a premiare la disponibilità incondizionata piuttosto che valorizzare competenze e talenti di cui le donne sono spesso assai ricche.Il recente Accordo sulla produttività siglato tra le Parti Sociali, e non condiviso dalla Cgil rischia di aggravare questa situazione ed avere pesanti ripercussioni proprio sulle donne. Infatti spostare il baricentro della contrattazione sul secondo livello, quindi sul salario collegato alla premialità ed alla produttività, a scapito del contratto nazionale è evidente che nelle condizioni attuali, di tipo organizzativo ma anche culturale, può accentuare le differenze salariali a danno delle donne.Fermo restando quindi la nostra contrarietà all’Accordo separato, è necessario tentare di contrastarne lo spirito anche nella contrattazione aziendale, ed evitarne le ricadute ad esempio escludendo dal calcolo delle assenze – uno degli indicatori cui sono in genere commisurati i premi di produzione – tutte le voci collegate alla maternità, all’assistenza ai disabili, ai compiti di cura.Ma non basta. E' necessario affermare il nostro punto di vista di genere come strumento di cambiamento rispetto a modelli di organizzazione del lavoro maschili antiquati, indirettamente discriminatori per le donne, ma che si sono anche rivelati poco efficienti. In una fase in cui è indispensabile produrre qualità, innovazione di processo e prodotto, come unica alternativa alla competizione al ribasso su costi e diritti, proviamo a rilanciare un nostro ragionamento sul rapporto tra benessere organizzativo e produttività.

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L’organizzazione del lavoro e dei tempi di lavoro sono un nodo determinante sia per la possibilità di conciliazione tra vita personale e lavorativa di donne ed uomini ( ma sappiamo che nell’attuale organizzazione sociale ha un impatto ed un peso molto maggiore sulle donne) sia per la produttività e l’efficienza aziendale. Tuttavia la presunta contrapposizione tra queste due esigenze è spesso determinata più da rigidità e resistenze di tipo culturale che non da motivazioni reali : numerose esperienze sia in Italia che ( in maggiore numero) in altri Paesi Europei, oltre che un’ampia letteratura sull’argomento, dimostrano i vantaggi anche in termini di produttività determinati da politiche aziendali “gender friendly”. Troppo spesso la cultura aziendale, ed a volte anche sindacale, è ancorata a modelli superati che confondono competenza e qualità con disponibilità illimitata e ossequio delle gerarchie, che premiano soltanto la presenza quantitativa non essendo in grado di valutare la qualità complessiva della prestazione. Inevitabilmente questi meccanismi penalizzano proprio le donne e finora la presenza femminile nei luoghi di lavoro, pur crescente, non è riuscita a modificare in maniera significativa la realtà lavorativa : questa è la sfida che abbiamo di fronte.

La contrattazione di genere, superando la logica delle “pari opportunità” deve diventare patrimonio complessivo dell’organizzazione, ponendosi l’obiettivo ambizioso di trasformare e rinnovare le politiche contrattuali tutte ed il mondo del lavoro.E’ evidente che una pratica contrattuale di questo tipo necessita di una presenza diffusa e rilevante di donne sindacaliste nei posti di lavoro ed a tutti i tavoli di contrattazione, dalle Rsu e dagli Rls ai livelli più elevati. Perciò il tema della Rappresentanza e della costruzione, anche all’interno della nostra organizzazione, di una Democrazia Paritaria è essenziale per produrre un reale cambiamento.

La contrattazione a tutti i livelli deve costruire un sistema di relazioni sindacali, a partire dal posto di lavoro, che favorisca l’applicazione del GENDER MAINSTREAMING e EMPOWERMENT come politica d’impresa. Accesso e miglioramento dei percorsi di carriera delle donne nel rispetto delle specifiche scelte personali, ruolo della formazione come strumento di valorizzazione delle differenze e monitoraggio dell’organizzazione del lavoro come priorità nelle politiche contrattuali delle categorie con particolare attenzione al rientro da maternità/congedi parentali Prevenzione dei rischi di discriminazione sia diretta che indiretta anche grazie all’introduzione di strumenti, iniziative e misure di contrasto alla violazione dei principi di pari opportunità soprattutto verso le lavoratrici con contratto part-time, affrontando le cause della disparità salariale. Garanzia del diritto sostanziale alla maternità così come del diritto all’utilizzo dei congedi parentali Inserire nell’organizzazione del lavoro elementi di innovazione in grado di favorire un equilibrio tra tempi di lavoro e tempi di vita, rivolti non in via esclusiva alla componente femminile, ma anche alla componente maschile, nell’ottica della CONDIVISIONE DELLE RESPONSABILITA’ TRA UOMO E DONNA. A tale scopo, nella contrattazione aziendale, appare necessario porre particolare attenzione alla gestione e all’incentivazione all’utilizzo di alcuni strumenti contrattuali (es congedi parentali o

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congedi legati ad esigenze di cura, da concepire come strumenti contrattuali dedicati a uomini e donne), promuovendo anche la diffusione e la conoscenza degli strumenti e dei fondi pubblici utilizzabili così come previsti dalle normative per il sostegno delle azioni positive. Promuovere e rafforzare nella contrattazione di secondo livello, aziendale e territoriale, strumenti di prevenzione e contrasto ad ogni forma di violenza e discriminazione di genere e Piani di conciliazione e del benessere organizzativo aziendale per armonizzare la vita lavorativa e la vita personale/familiare Proporre forme di incentivazione, sia a livello fiscale, che in termini di immagine ( ad es. Bollino Rosa) per le aziende che valorizzino la componente femminile, rimuovano le discriminazione, e realizzino sistemi organizzativi gender friendly Vigilare affinchè la valutazione dei rischi a norma Dlgs. 81/08 sia fatta tenendo conto

anche dello stress lavoro correlato legato al genere e venga posto attenzione alla prevenzione delle malattie anche in ottica di genere

· Inserire nella Responsabilità sociale d’impresa il tema del riconoscimento e della valorizzazione delle differenze di genere nell’organizzazione aziendale, sviluppando azioni e modelli organizzativi

E’ indispensabile vigilare affinchè non ci siano nella contrattazione decentrata, in nessun livello né aziendale né territoriale, utilizzando i varchi aperti dall’accordo sulla produttività, accordi al ribasso su tutti gli aspetti correlati alla maternità ed alla genitorialità. E’ un rischio che riteniamo molto concreto e sarebbe opportuno prevedere strumenti appositi di rilevazione e verifica, quali un Osservatorio, su base regionale o nazionale.

Welfare e Beni Comuni

Le politiche di welfare sono centrali per sostenere la libertà , l’autonomia ed il lavoro delle donne e , in senso più ampio, per determinare il modello di società. Negli ultimi anni è stata teorizzata da più parti l’insostenibilità del welfare, indicato come zavorra per la crescita e lo sviluppo del Paese: non vi è alcuna valida dimostrazione economica di questa asserzione, al contrario. Come abbiamo potuto verificare anche nel nostro territorio, i tagli indiscriminati alla spesa pubblica ( cosa ovviamente diversa dalla razionalizzazione degli sprechi) si sono tradotti in riduzione o addirittura cancellazione di servizi essenziali, aumentando le disuguaglianza, le povertà, la fragilità sociale, mettendo persino a rischio l’esigibilità dei diritti costituzionalmente garantiti. Tutto questo, accompagnato da una svalutazione ed un attacco anche ideologico al lavoro pubblico, non ha certo risolto ma ha aggravato la crisi economica, ed ha avuto ricadute particolarmente pesanti sulle donne, in termini sia di occupazione femminile, largamente presente nel settore dei servizi, sia rendendo ancor più complicato, ed in qualche caso impossibile, la conciliazione tra vita lavorativa e familiare

Il territorio deve essere in grado di garantire quel supporto rispetto al lavoro di cura di anziani, bambini, non autosufficienti, disabili che altrimenti, come ben sappiamo, ricade prevalentemente sulle donne, costringendole ad un ruolo di supplenza del welfare.

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Ed il welfare, opportunamente, riqualificato, non è un peso , ma un fattore di sviluppo economico oltre che di inclusione sociale: le infrastrutture sociali non sono meno necessarie né produttive di altre infrastrutture materiali. C’e’ una forte domanda, in larga parte insoddisfatta, e grandi potenzialità legate alla produzione ed al consumo di servizi e beni collettivi, intrecciando politiche sociali, risanamento urbano, nuove politiche di sviluppo, partendo dal territorio. La contrattazione sociale territoriale può svolgere un ruolo prezioso contribuendo a costruire risposte concertate ai bisogni di donne e uomini, cittadini/e e lavoratori/trici in tema di servizi sociali e sanitari, politiche per la non autosufficienza, invecchiamento attivo, servizi educativi per l’infanzia e per la scuola, politiche di conciliazione, politiche dell’abitare, inclusione sociale e lavorativa, politiche culturali, ambientali e della mobilità.

Centrale è il tema dei Servizi all’infanzia, in una logica che deve accompagnare il bambino dai primi mesi di vita fino all’adolescenza e garantire la qualità dell’offerta pedagogica e formativa. Particolare attenzione va posta all’offerta di asili nido e scuole dell’infanzia, fondamentali per la formazione della personalità e l’educazione alla socialità, ma anche ai servizi ai servizi pre e post scuola, ai centri estivi, ed alle attività educative extrascolastiche ( ricreative, ludiche, sportive) che oggi sono in gran parte delegate agli oratori, all’associazionismo, al mercato privato con costi elevati per l’utenza, da un lato, nessun controllo qualitativo né rispetto alla prestazione, né relativamente al rispetto ai diritti degli operatori, dall’altro. La contrattazione territoriale è fondamentale per governare l’intero sistema degli interventi, assicurando a bambini e ragazzi servizi che possano favorire la coesione sociale, anche facilitando l’integrazione dei minori migranti, e offrano risposte di qualità alle esigenze di conciliazione di madri e padri rispetto ai tempi e agli orari di lavoro . In questa logica si inserisce la necessità di promuovere gli asili nido pubblici, ma anche aziendali, aperti all’utenza del proprio territorio, nelle grandi aziende, e nei siti produttivi dove coesistono diverse tipologie di aziende e lavoratrici/tori, ad esempio nei centri commerciali per venire incontro sia alle esigenze delle lavoratrici che ai bisogni delle famiglie di quel territorio, soprattutto nelle periferie dove l’offerta di servizi è più scarsa e la mobilità spesso difficile.

Per quel che riguarda gli anziani, occorre privilegiare nei confronti di una persona malata cronica non autosufficiente - spesso, a loro volta, donne!! - la cura al domicilio attraverso l’integrazione degli interventi sanitari e sociali per prolungarne il più possibile la permanenza presso la propria abitazione, ridefinendo un nuovo concetto di domiciliarità, in cui tutti i soggetti della rete territoriale possono e devono fare la propria parte: dalla famiglia, alle associazioni di volontariato, ai servizi sociali e socio sanitari, mettendo in campo Interventi, servizi e prestazioni differenziate (assistenza domiciliare sociale, assistenza domiciliare sanitaria e integrata, centri diurni per anziani fragili e per malati di alzheimer) e interventi monetari (il sostegno economico, all’affitto, come l’assegno di cura o il contributo per il sostegno al lavoro di cura). dentro una logica di sistema che non lasci sole le anziane e le famiglie nel percorso di cura della persona parzialmente e non, autosufficiente e che consenta davvero all’anziana di rimanere il più a lungo possibile nella propria casa.E’ necessario verificare lo stato dell’integrazione dei servizi sociali e dei servizi sanitari

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che, se attuata rende proficuo l’intervento e riduce la dispersione delle risorse messe in campo per garantire:

· Livelli Essenziali di Assistenza integrata Socio Sanitaria -LEA-LEPS a tutti i/le cittadini/e.

· La presa in carico e gli interventi di prevenzione, servizi dedicati alle problematiche relative alla terza età (menopausa,ecc.) all’interno dei Consultori. Un sistema di servizi integrati post acuzie (lungodegenze) e di riabilitazione per il mantenimento dell’autonomia residua, prevedendo anche interventi integrati per gli aspetti sanitari e sociali rivolti alla persona non autosufficiente o senza appoggio familiare quando viene dimessa dall’ospedale,

· Servizi di telesoccorso e teleassistenza.· L’accesso dei comuni al Fondo per la non autosufficienza istituito a livello

regionale. · Il contrasto attraverso adeguate iniziative, degli abusi e maltrattamenti alle

anzianie in ambiente domestico e con specifici controlli delle RSA e delle case di riposo convenzionate, chiedendo l’apertura di tavoli negoziali con le istituzioni ai vari livelli per la definizione di adeguati requisiti di idoneità e di accreditamento e per il successivo controllo del rispetto dei requisiti stessi.

· L’orientamento e la formazione, con i soggetti pubblici e privati. · La promozione da parte degli enti locali di programmi di attività che, nel

rispetto dei limiti e delle abilità individuali, consentano alle anziane di partecipare ad attività ludico espressive e di praticare lo sport.

Sono altresì urgenti interventi per l’integrazione sociosanitaria nel settore della disabilità e per il sostegno al lavoro, al reddito ed alla promozione della vita indipendente delle persone con disabilità , con un’attenzione specifica alla disabilità psichica, ripristinando la legge 68 per il collocamento obbligatorio. In crescita la realtà delle Famiglie monogenitoriali , prevalentemente composte da donne con figli a carico, con redditi medio-bassi , evidenti, maggiori difficoltà nella conciliazione tra vita e lavoro ed un altissimo rischio povertà. Servirebbero misure specifiche : Priorità nell’accesso ad alcuni servizi ( in particolare per i bambini e ragazzi)- Agevolazioni tariffarie o fiscali – Meccanismo di garanzia/anticipo dell’assegno di mantenimento nei casi di inadempienza.

Alla crisi delle reti familiari è possibile rispondere anche costruendo nuove reti di solidarietà ( banche del tempo, condomini solidali, forme di coabitazione tra diversi soggetti e generazioni) . Molte iniziative stanno nascendo spontaneamente nei quartieri, forme di autogoverno che in questa fase di crisi sperimentano nuove modalità coniugando economia welfare e socialità. Un'attenzione ed un impegno degli enti locali e delle istituzioni potrebbe favorire l'incontro tra i diversi bisogni ed aiuterebbe a supportare, rafforzare e mettere in rete le esperienze positive, evitando un “fai da te” selvaggio determinato dall’assenza di risposte.

Crediamo che come già sperimentato in altre regioni la contrattazione territoriale di genere possa fornire strumenti attraverso la definizione con le Istituzioni e le parti

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sociali di Patti territoriali di conciliazione.

Salute della donna – l. 194 – contrasto alla violenza ( reti e buone pratiche) – consultori

La crisi non è soltanto economica ma anche sociale e culturale e gli effetti di una involuzione culturale si sono scaricati pesantemente sulle donne, sulla loro rappresentazione, sulla libertà ed i diritti, a partire dal diritto alla salute psico fisica ed all’autodeterminazione di sé e del proprio corpo.Nella nostra regione è stato posto in essere un autentico attacco alla libertà di scelta delle donne cui ha però corrisposto una forte reazione del movimento femminile e della società civile.Ricordiamo la Proposta di legge Tarzia sui Consultori familiari, bloccata grazie alla mobilitazione messa in atto ed alla raccolta di centomila firme. Purtuttavia lo stato dei consultori nella nostra regione è ancora assai precario ed incerto, oggetto di un progressivo depauperamento di risorse. Occorre rilanciare il ruolo del consultorio come strumento di integrazione socio-sanitaria sul territorio, rivolto a tutelare la salute psico fisica della donna, alla educazione alla sessualità responsabile, alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. Un presidio importante che può fornire risposte anche a nuovi bisogni: alle donne migranti, prevedendo servizi di mediazione culturale, alle donne anziane, estendendone la fruibilità anche dopo l’età fertile, alle giovani ed ai giovani, attraverso campagne mirate.

Anche la situazione relativa all’applicazione della legge 194 è nel Lazio particolarmente drammatica. In media una struttura ospedaliera pubblica su tre non esegue alcun tipo di interruzione ( né IVG né terapeutico), incluse alcune strutture universitarie che disattendono perciò anche i compiti in materia di formazione dei nuovi ginecologi. E’ da notare che le stesse strutture praticano e prescrivono l’amniocentesi, ma rifiutano poi di eseguire il terapeutico, in caso di gravi malformazioni.E le difficoltà più gravi si hanno proprio nell’accesso al terapeutico che, per le sue caratteristiche, necessita di un’equipe ospedaliera completa. L’obiezione di coscienza , in base a dati recenti, riguarda nel Lazio il 91,3% dei ginecologi ospedalieri e costringe a ricorrere spesso a medici convenzionati esterni; inoltre l’età media dei non obiettori è elevata e perciò si prevede un peggioramento nei prossimi anni, senza interventi che producano un’inversione di tendenza.Nelle province la situazione è ancora più pesante, ed in 3 province su 5 ( Frosinone, Rieti, Viterbo) non è possibile eseguire aborti terapeutici; di fatto, la maggior parte delle donne, sia per gli aborti terapeutici, che IVG si rivolge alle strutture romane che sono sempre più in difficoltà.Ancor più difficoltoso l’accesso alla RU486, il cui utilizzo nella regione è difatti scarsissimo.

La violenza contro le donne è un fenomeno purtroppo in crescita, troppo spesso oggetto di strumentalizzazioni o di operazioni di immagine piuttosto che di autentiche politiche di contrasto da parte delle Istituzioni, con l’eccezione della provincia di Roma che

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attraverso Solidea, Istituzione di genere unica in Italia ha messo in rete i centri antiviolenza del territorio. Occorre proseguire su questa strada e moltiplicare gli sforzi, attuando nella nostra regione le proposte contenute nella Piattaforma NO MORE, cui anche la Cgil ha aderito:

- Rafforzamento della rete tra centri anti violenza, ospedali, consultori, forze dell’ordine, magistratura, servizi sociali, associazioni e sindacati per prevenire e contrastare efficacemente ogni forma di violenza di genere ed offrire sostegno e protezione alla donna in difficoltà.

- Sostegno e certezza nei finanziamenti ai centri antiviolenza che operano in ottica di genere

- Formazione specifica di tutti gli operatori ( dalle forze dell’ordine al personale medico) che si trovano per il loro ruolo a confrontarsi con le vittime di violenza, ad accogliere le denunce , a prestare il primo soccorso

- Campagne culturali e di educazione nei mass media e nelle scuole di ogni ordine e grado indispensabili per riconoscere e combattere la violenza nella sua matrice culturale.

E’ altresì necessario porre particolare attenzione alla violenza contro le donne migranti e rifugiate, in quanto la specificità della loro condizione può in alcuni casi aumentarne la vulnerabilità e può soprattutto limitare le forme di tutela e risarcimento a cui hanno accesso. Anche la violenza sulle donne anziane, di natura non sessuale, ma fisica e psicologica registra un preoccupante aumento e necessita di iniziative mirate.

Sostenibilità delle città , un’altra idea di territorio e di società

Nuove forme di economia e di vita urbana si stanno diffondendo nel nostro territorio come risposta alla crisi, spesso proprio a partire dalle donne: tradizione del riuso, orti urbani, Gas, ecc... La gestione di beni e spazi comuni favorisce la condivisone dei consumi, la cura del territorio e la creazione di legami sociali, sviluppando partecipazione, democrazia ed economia. Si uniscono cura dei luoghi e cura delle relazioni, come avviene ad esempio negli Orti Urbani (guerrilla gardening). Ma anche nei Gruppi di acquisto solidale che sviluppano un rapporto tra produttore e consumatore con una filiera minima ed una condivisione di progetti e non solo di prodotti .Esperienze di questo tipo si stanno moltiplicando nel nostro territorio, ma in maniera frammentaria ed episodica: è auspicabile una valorizzazione e diffusione di queste buone pratiche. Dobbiamo dialogare con i protagonisti di queste nuove esperienze, costruire progetti comuni, promuovere nuove forme di cultura, economia, perfino di welfare e di contrattazione territoriale. Occorre costruire nessi tra risanamento urbano e politiche sociali, sollecitando la partecipazione attiva dei cittadini e dell’associazionismo, ad es. in progetti di recupero e riqualificazione dei quartieri e delle periferie (laboratori municipali di quartiere).

· Agricoltura sociale e partecipata che intreccia sviluppo, nuovo welfare e utilizzo del territorio

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· Riuso dei materiali e scambio equo-solidale· Riqualificazione e nuova vivibilità degli spazi urbani· Utilizzo terre e beni confiscati alle mafie per attività di promozione sociale

Tempi delle cittàLe donne anche nel nostro territorio sono state le prime a riflettere sull’esigenza di una diversa scansione dei tempi di vita , e di lavoro, di una armonizzazione dei tempi e degli orari delle nostre città, partendo dai bisogni delle persone e dall’esigenza di conciliare interessi diversi ed a volte contrapposti, ma nello spirito di cercare nuovi equilibri che consentissero una migliore qualità della vita e del lavoro.Purtroppo in molti contesti questo equilibrio è completamente saltato, e l’approccio anche culturale che è stato alla base del ragionamento sui tempi è stato falsato e snaturato, in nome di una flessibilità selvaggia, non contrattata con il sindacato né condivisa tra i diversi attori sociali, che si è scaricata sulle fascie più deboli e precarie, spesso donne. Basti pensare alle aperture indiscriminate dei centri commerciali ed ai turni spesso imposti alle donne ( ed agli uomini ) che ci lavorano.Eppure l’idea di partire dai tempi per rendere più vivibili ed a misura di donne, anziani, bambini, giovani, uomini le nostre città, superando le schizofrenie tra orari – di lavoro e/o di servizi- assolutamente rigidi ed altri indiscriminatamente flessibili è oggi più che mai valida e necessaria. Utilizzando anche le opportunità e gli strumenti offerti a livello legislativo ( l. 53/00) è indispensabile riaprire una stagione di proposta, elaborazione e condivisione di obiettivi e strumenti, attivando Tavoli di concertazione a livello territoriale.

MobilitàQuestione irrisolta, decisiva per lo sviluppo urbano : Anche il trasporto, però, è “differente” in base al generePer le donne italiane il ricorso mezzo pubblico è frutto di una più difficile condizione economica, lavorativa e familiare, in poche parole è una scelta obbligata dalla mancanza di alternative.La flessibilità e atipicità degli orari determinata dalla necessità di combinare lavoro con esigenze di cura familiare, la precarietà, la maggiore occupazione femminile nei servizi, l’aumento dei flussi migratori sono tutti fenomeni che influiscono sulle modalità di spostamento.Tutto ciò produce profonde differenze rispetto ai bisogni di mobilità ed alle relative modalità di fruizione, differenze generalmente note e percepibili, ma completamente rimosse: non sono solo le imprese di trasporto a ignorare la necessità di dati disaggregati per fornire un servizio migliore, ma anche gli Enti Locali committenti, che nel definire all’interno dei Contratti di Servizio i livelli minimi degli stessi pensano ad un’utenza neutra, cioè maschile.A ciò si aggiunge l’assenza totale di programmazione e investimenti da parte del Governo, che ha continuato, come il precedente, a operare solo tagli sia ai fondi stanziati direttamente che a quelli destinati agli Enti Locali.

Le donne compiono più viaggi degli uomini nell’arco della giornata, le percorrenze sono più brevi ed “erratiche” e meno nelle ore di punta. I tempi di spostamento però sono

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uguali a quelli degli uomini, essendo il mezzo pubblico più lento. Alla motivazione “lavoro” si aggiungono quelle per commissioni, salute, genitori e figli. Ciò produce un maggior bisogno di accessibilità sia logistica che economica, oltre che una più alta domanda di sicurezza.

Le possibili soluzioni, pur essendo sufficientemente economiche o addirittura a costo zero, ove praticate sono di tipo sperimentale, e legate alla presenza di fondi europei, e perciò quando questi finiscono il sistema del TPL non “riesce” a consolidare gli interventi.E ‘ evidente, invece, l’assoluta necessità di un rapido cambiamento culturale che contribuisca a rendere accessibili e definitivi gli interventi.

Concretamente occorre rivendicare in tutte le sedi: estensione generalizzata di dati disaggregati per genere, con inserimento nei Contratti

di Servizio degli “standard Rosa”. Valutazione di genere degli strumenti di pianificazione dei trasporti urbani; Affermazione della presenza delle donne nella governance delle aziende di traporto e

nelle strutture della pubblica amministrazione. Sicurezza nel trasporto pubblico: fermate illuminate, in comunicazione con i servizi

di sorveglianza, sistemi di chiamata del personale a bordo dei veicoli, posti riservati vicino al conducente;

Allestimento dei veicoli e delle stazioni che agevoli l’accesso. Rilascio di un “bollino Rosa” emesso a vista dai Municipi, da richiedere nell’arco

della gravidanza, che dura in ogni caso nove mesi, e che consente di parcheggiare gratis e su qualunque colore di strisce.

Attenzione alle esigenze di specifiche fasce di popolazione, quali le anziane e gli anziani, e le persone diversamente abili, sia in termini di abbattimento delle barriere architettoniche che rendono spesso impossibile la fruizione del servizio pubblico (autobus, treni, aerei, stazioni), sia di percorsi di collegamento specifici, spesso inesistenti ( asl , ospedali, centri commerciali)

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Risorse La scarsità di risorse rischia di trasformarsi anche in un alibi: sono poche , ma spesso mal utilizzate o addirittura sprecate: e lo spreco è tanto più insopportabile in questo periodo di crisi e sacrifici. In vece di ottimizzare l'efficienza e garantire la trasparenza gli attuali amministratori della Regione Lazio e del Comune di Roma sono continuamente coinvolti in vicende di clientelismo, inefficienza e corruzione.E' necessario imporre, invece, un sistema che si basi sulla programmazione trasparente della spesa , e sulla costante verifica dei risultati raggiunti, occorre partire dall'analisi delle risorse disponibili o reperibili e del loro utilizzo, ivi compreso il recupero dell'evasione fiscale e il pieno utilizzo dei Fondi Europei. Inoltre l’incidenza delle risorse, al netto dei trasferimenti monetari, destinate, ad esempio, al welfare locale rispetto al PIL complessivo è talmente minima che poche (relativamente) risorse aggiuntive consentirebbero di ottenere netti miglioramenti.

Fiscalità localeLe politiche economiche non sono neutrali, le scelte delle amministrazioni locali possano influire in modo differente sugli uomini e sulle donne, perché le vite, i ruoli familiari, i carichi di cura e lavorativi sono molto diversi tra i sessi e le politiche possono riequilibrare o peggiorare la situazione.

La stessa fiscalità locale non è neutra, alcuni meccanismi possono penalizzare le donne e incentivare o disincentivare il lavoro femminile ( es. quoziente familiare)

Il rispetto del pareggio finanziario non è pertanto l’unico elemento di valutazione dell’operato di un Ente Locale, ad esso va aggiunta la capacità di individuare e centrare gli obiettivi relativi alle esigenze della collettività, identificare i beneficiari delle politiche e verificare i risultati raggiunti attraverso l’attività di gestione.

Bilanci sociali e di genere nella predisposizione del bilancio di previsione dei comuni, province e regioni, rispondono a questa incapacità degli enti locali di tradurre in numeri la realtà e i bisogni.

1 lotta all’evasione che rendendo operativo il Patto Antievasione da stipulare o stipulato tra Comuni e Agenzia delle Entrate, per ottenere risorse da orientare verso il welfare e lo sviluppo.

2 IRPEF attuare la progressività delle fasce di reddito per abbassare e ridefinire le esenzioni garantendo le fasce più basse di reddito a partire dalle famiglie numerose e monoparentali, molto diffuse tra le persone anziane di cui il 70% sono donne

3 ISEE dovrà configurarsi progressiva e di istantanea applicazione. per ridurre i costi dei servizi,

4 IMU detrazioni famiglie monogenitoriali, anziane sole o in coppia con reddito modesto (si potrà definire la soglia di reddito) e per famiglie con persone disabili a carico.

5 Adozioni tariffe agevolate per persone disagiate su acqua, gas, rifiuti urbani.

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Fondi Europei

La nuova programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali è un appuntamento importante da sfruttare al meglio, declinando gli assi in ottica di genere, così come è indispensabile verificare che il residuo della precedente programmazione sia stato totalmente impegnato

Rendicontazione di genere come pratica da assumere sempre

La valutazione dell’impatto di genere di ogni azione/politica/progetto è una pratica che deve essere assunta ad ogni livello ed in ogni ambito e va effettuata sia ex ante rispetto alla decisione da assumere sia ex post rispetto ai risultati ottenuti (bilancio di genere)