· Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più...

52
1 Perluigi Albini Diario di un volontario in Francia Guerra franco-tedesca 1914-15 Trascrizione, commento e note a cura di Danilo Agliardi Originale presso Ateneo di Brescia

Transcript of  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più...

Page 1:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

1

Perluigi Albini

Diario di un volontarioin Francia

Guerra franco-tedesca1914-15

Trascrizione, commento e note a cura di Danilo Agliardi

Originale presso Ateneo di Brescia

Febbraio 2018

Page 2:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

2

Nell’agosto del 1914, dopo che l’Austria aveva dichiarato guerra alla Serbia, PL ritorna in Montenegro per arruolarsi come volontario. L’uno di agosto il nostro si trova a Cettigne, l’allora capitale del piccolo stato.

Non per molto. Saputo che anche la Francia è coinvolta nel conflitto, chiede di arruolarsi nell’esercito francese.

Il 17 Agosto del ‘14 si trova a Roma, da qui a Nizza, dove arriva il 25 agosto, quindi ad Avignone, dove ha inizio il periodo di addestramento.

Cettigne, 1 Agosto 1914

La dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia ebbe per pretesto l’assassinio all’arciduca ereditario austriaco accaduto il 28 giugno scorso in Saraievo. Otto giorni di ostilità e sono partito nuovamente da casa e questa volta sicuro che anche il Montenegro si metteva a fianco della Serbia.

Ho molta volontà che mi si mandi sul Lowcen tanto ambito dagli austriaci, ma che l’Italia non permetterà mai che faccia parte del suo territorio.

Dal luogo in cui scrivo ne scorgo la lontana sommità principale, il Ieserski (o Feserski) Vrn ove è la tomba del Vladiviska Petre II. Diciotto mesi orsono a Taraboch per battere i Turchi ed ora andrò contro gli Austriaci. Ma questa volta, se la guerra si farà, sarà uno sfacelo per l’Austria. Credo che nessun italiano si sente (sic) di aiutarla. La nostra alleanza è stata approvata dai governi passati e presenti, ma il popolo italiano non ne volle mai sapere.

Roma 17 Agosto – Quante reciproche dichiarazioni di guerra in così pochi giorni. Le ignoravo completamente perché ero sul Lowcen, di là del confine, in Austria. Si sapeva qualcosa, ma erano tutte notizie vaghe.

Quando però con precisione seppi che la Germania aveva violato il Belgio per muovere nel cuore della Francia, allora pensai che sarebbe stato bello andare là. Poter combattere il baldanzoso militarismo prussiano, la mala setta ed il superbo imperatore!

“Animo” dissi a me stesso “la Francia è attaccata, altre nazioni compresa l’Italia, prenderanno le armi per difenderla e se tanta forza armata non si mette in stato di poter resistere, tutta la speranza di libertà dei popoli sarà tolta”.

Da soli quattro giorni ho potuto liberarmi dal servizio nel Montenegro, l’autorità mi fornì di un lasciapassare, fui in Albania ed ora sento di potere entrare in Francia onde arruolarmi nel suo esercito.

Nizza, 25 Agosto - PL Albini, si trova a Nizza e legge il Messaggio del presidente della Repubblica francese (testo in francese) che riporta integralmente nel diario

Avignone 28 agosto 1914 - Da Nizza fummo inviati qui ad Avignone, dove il governo della Repubblica ci ospita nel Palazzo dei Papi. Questo immenso monumento di architettura gotica si erge verso il limpido cielo della Provenza e domina un delizioso panorama. Questa nostra attuale residenza ha più della fortezza che del palazzo. È stato costruito sulle rovine di un tempio di origine pagana. Ben tenuto esteriormente non è più riconoscibile all’interno: la mano dell’uomo, più che il tempo, ha distrutto una così bella, grande ricchezza storica.

Non restano più vestigia dell’occupazione romana: i monumenti antichi hanno dato posto ai moderni.

Page 3:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

3

Agosto 29 - Questa città due secoli avanti Cristo fu visitata da Annibale di passaggio per Roma. Il museo Calvet (?) raccoglie dei mosaici che datano dall’epoca di Giulio Cesare. Attualmente conta circa sessantamila abitanti. È una delle più antiche città della Francia, più antica di Nimes.

Il fiume Rodano scorre impetuoso e sempre torbido dietro alla città e giù in fondo le

montagne lontane amorevolmente abbracciano la città in un amplesso gigantesco.Come ogni angolo di Francia, la città è zeppa di soldati di ogni arma e di ogni età.

È un mirabile spettacolo di compattezza, di stoicismo e salda fiducia. Tutti sono compresi dell’era tragica, tutti sanno che si deve attendere e soffrire senza strepito, senza millanteria.

Questa guerra opererà un miracolo. Da tanto sangue e da tanta rovina la nazione francese e le altre nazioni con essa trascinate nel conflitto, usciranno rafforzate moralmente. I cittadini saranno più pronti alle battaglie future, che non si faranno più con le armi, ma col cervello e col cuore.

Dopo questa mostruosa bufera di sangue, i popoli avranno ben acquistato il diritto alla pace e alla liberazione dall’insopportabile peso degli armamenti.

Agosto 31 (1914) - Quanta pioggia durante la marcia! Se fossimo stati ritorti a guisa di un lenzuolo estratto dal bucato ne sarebbe colato un secchio d’acqua.

Eppure cantavamo, cioè cantavano gli altri, non so bene che cosa, ma me ne son fatto dare una copia.

La baionette arme de FranceVa chercher le coeur des herosMais les Prussiens, de preferenceSe la font entrer dans les dos

Si fanno le esercitazioni militari sulle sponde del Rodano. Io e molti altri, già equipaggiati, siamo costretti, prima di partire pel teatro della guerra, ad attendere che almeno un battaglione sia composto e ben istruito nella conoscenza degli ordini e nel maneggio delle armi.

Domandiamo quando andremo sulla linea del fuoco, ma ci viene risposto che abbiamo tempo e che la guerra non finirà tanto presto.

Settembre 2 - Essendo in troppi, abbiamo dovuto separarci: i primi volontari arrivati, e già istruiti, sono passati in uno stabilimento scolastico.

È appunto in un banco di scuola che scrivo queste note. Ma che fatica faccio! Appena ci posso stare con queste ginocchia alte nel banco basso!

Presso il buco del calamaio un’alunna incise col taglierino il suo nome: Elene Clavel.

Siamo occupatissimi tutto il giorno. Dalle tre o dalle quattro del mattino non ho disponibili cinque minuti. Sempre esercitazioni.

Le cartoline che spedisco sono tutte scritte fuori città, in campagna, mentre mangiamo un tozzo di pagnotta con un grappolo d’uva.

La campagna è splendidamente bella. Per andarci, ogni mattina passiamo sopra un ponte sospeso sul fiume e dopo pochi chilometri di tragitto ci troviamo sul campo da tiro. Alla destra del fiume, sopra una collina, siede Villeneuve col suo vecchio castello. Sonvi molti ulivi, frutta e uva prelibate in quantità. La popolazione ci dimostra molta simpatia. Essa lietamente ci accoglie ed applaude ogniqualvolta torniamo dalle manovre. Ci distingue perché, pur essendo vestiti come gli altri

Page 4:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

4

soldati, portiamo ognuno coccarde al petto o bandierine allo zaino della nostra patria.

Per questo sono entusiastici battimani e sorrisi dalle porte dei negozi. Da parte nostra, o meglio dei meno disciplinati, sono baci che scoccano da lontano all’indirizzo di qualche fanciulla che ancora sonnolenta si affaccia alla finestra.

Lo zaino è un piccolo santuario di semplici, gentili ricordi. Souvenir di donne di Francia, vecchie e giovani, che vanno a gara per renderci meno disagevole la vita.

Chi produce aghi e pezzuole, chi regala un’immagine o una tasca. Dipendiamo da ufficiali e sottufficiali quasi tutti decorati. Il mio sottotenente è

fregiato della medaglia militare. A contatto con tali superiori, più vivo è il desiderio di correre ove la mischia maggiormente ferve. Intanto si ride, si canta e sopportiamo le fatiche di questi utilissimi esercizi con entusiasmo ed ognuno fa il possibile per apprendere bene e sollecitamente affinché i superiori abbiano a convincersi finalmente che tutti siamo abili e pronti alle esigenze della guerra.

Settembre, 3, ore 7 - Passa un convoglio di feriti, forse diretto a Marsiglia. Ne è tutto pieno vi troviamo i lettini e le coperte sotto le quali, mentre il treno corre rapido sul ponte, si indovina il ferito. Molti sono appoggiati agli sportelli dei vagoni e sorridono ai nostri applausi e battimani, altri sventolano fazzoletti o bandierine.

Eccezione fatta dei febbricitanti, i quali sono pallidi, sparuti, gli altri, cioè quelli feriti leggermente, hanno il viso cotto dal sole. Evidenti sono le impronte dei disagi sofferti. Ma che importano le fatiche e le privazioni quando non si ha che un solo pensiero e questo pensiero sostiene e dà la forza e la volontà di vincere?

Ore 14 - Il caporale insegna molto bene. Stamane, dopo il passaggio del convoglio dei feriti, ci insegnò come dobbiamo comportarci in caso di ferimento. Poi come si debbono portare i messaggi da un posto all’altro. Quando sta per finire ripete sempre: “Essere soldati vuol dire: quando si ha fame non mangiare, quando si ha sete non bere, quando si è spossati dalle fatiche, camminare e quando non si può più portare se medesimi, portare il compagno ferito”.

Settembre, 12 – Ricevetti lettera da casa or ora, appena tornato da una marcia faticosa. I giornali quotidiani pubblicano le sottoscrizioni per le famiglie bisognose dei militari in guerra, ovvero per i feriti. A titolo di curiosità ne trascrivo qualcuna.

Pour la reussite de la France 1 fr Pour que la iustice triomphe 0,20 . Pour le retour de mon amoreuse 0,25. Au memoire de mon fils B. M. 0,2 Pour que S. Antoine de Padove protege la France 5.00

Ho fede nella vittoria finale della Repubblica francese, non solo perché credo al coraggio dei suoi soldati ed alla loro disciplina, ma perché confido nella forza del diritto e della giustizia. Si è risoluti ai più grandi sacrifici, pur di resistere e vincere.

La santità della causa, l’imminenza e la gravità del pericolo uniscono in una stretta comunione di idee governo e popolo.

Guai alla Francia se da questo immane conflitto uscissero vincitori i Tedeschi, ma guai anche all’Italia, poiché quella non ci perdonerebbe la nostra neutralità. Scrivo ancora da un’aula scolastica. I banchi sono stati asportati, sul pavimento abbiamo sparso la paglia. Alle pareti borracce, fucili, baionette, cinturini sono appesi disordinatamente.

Page 5:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

5

In mezzo, appoggiati l’uno all’ altro sono gli zaini. Il caporale con un gesto sta scrivendo sulla lavagna i nomi dei soldati componenti la nostra squadra.

Settembre 24 - Anche oggi e per l’ultima volta siamo andati al campo delle esercitazioni di questa città. È là che prese il comando del battaglione il capitano Collet.

Dopo aver fatto presentare le armi, nel più profondo silenzio, e di fronte a circa novecento cinquanta uomini, disse di essere lieto di prendere il comando del battaglione. Ringraziò gli ufficiali ed i graduati del modo intelligente col quale cooperarono nell’istruire noi volontari in così breve tempo.

È molto soddisfatto di noi tutti e ci ringrazia con fervore ed in particolare noi italiani i quali numericamente siamo i più. Ringrazia perché noi compensiamo il sacrificio fatto dalla Francia sui campi di Pastrengo, di Magenta e di solferino. Sono rimasto molto soddisfatto delle sue parole. Dimani si parte.

27 settembre, Campo di Mailly (Aube)– Finalmente siamo vicini al campo di battaglia. Ho fatto un viaggio assai allegro, sebbene ci trovassimo a disagio nei carri merci. Uno spirito bizzarro aveva scritto col gesso sul vagone, eccitando così l’ilarità generale: Tram du plaisir pour Berlin.

Al nostro passaggio le popolazioni salutavano mandando baci, sventolando fazzoletti e gettando mele e pere.

L’altro giorno ci è stata consegnata la medaglietta atta ad identificarci in caso di morte. Si annoda al polso sinistro con una fettuccia nera: è di alluminio ed ovale.

È domenica eppure non possiamo uscire nemmeno per fare una capatina nel villaggio vicino, ancora sotto il peso dell’invasione tedesca di qualche settimana fa.

Quattro ore rimasero qui i Tedeschi, ma poi si ritirarono dopo aver subito forti perdite ed averne arrecate pure di lievi ai Francesi.

Ottobre 3 - Sono le quattro circa e già da un’ora quasi si è in marcia. A destra il cielo sembrami un’immenso (sic) canestro ricolmo di fiori vermigli e bianchi. Sboccia l’aurora, nascerà presto il sole. Odesi il rombo del cannone lontano: questo il saluto del giorno che spunta.

Più avanti, i Tedeschi tempo fa hanno incendiato, demolito edifizi pubblici di culto e privati, senza scopo nessuno, pel solo istinto vandalico e brutale.

Più oltre ancora, un piccolo rettangolo di terra cenerognola forma rialzo su terreno circostante. In esso è piantata una croce, formata da due rami di pruno selvatico. Ivi fu sepolto un francese. Il berretto che apparteneva al morto pende da detta croce, tutto molle di rugiada. Una goccia sta per cadere sotto la visiera di cuoio: scintilla al sole come una lacrima. Entrati in un piccolo bosco io ed altri sette compagni vi abbiamo trovato una cinquantina di lepri. Fuggirono sbigottite di quà (sic) e di là come non sapessero raccapezzarsi.

L’allegria di quel momento mi fece scordare tutta la stanchezza.

Ottobre 2 - Non sempre si può essere allegri: molte cose rattristano, sono di passaggio per queste vie i profughi del Nord. Non sanno orientarsi, sembrano ebeti.

Quelli dei villaggi conducono i loro animali trainanti rotabili rustici, carichi di masserizie e di provvigioni e raggiungono come possono il loro paese, a tappe impreviste, irregolari.

Le mogli e le figlie a volte prendono il treno, impazienti di vedere il loro campanile, la loro casa.

Page 6:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

6

Quando ogni anno, in primavera, la graziosa rondinella ritorna confidente nelle nostre contrade, trova il nido suo ancora sospeso al solito trave ed intatto, ma queste povere francesi, fuggiasche dal Nord o dall’Est, come troveranno la loro casa, il loro nido?

Ottobre 3 - Vedo lunghe file di biade raccolte in covoni, ma non trasportate nei rispettivi casolari. Vi è pure una grande quantità di segale, trifoglio ed avena, la quale ormai matura, cede sullo stelo e fa letame a se stessa.

Le donne s’affrettano e s’adoprano in luogo degli uomini a riparare in quanto esposto al danno, ma come accudire a tutto?

La guerra sarà lunga ed aspra…ne verrà l’inverno e noi saremo ancora con le armi in pugno.

Il servizio postale migliora, così pervengono le lettere dirette ai volontari. Una mamma scrive al figlio che, sebbene sia certa che la guerra finirà fra un mese, tuttavia però sta lavorando un paio di calze di lana che invierà appena pronte. Una “petite fille” chiede al suo amoroso una ciocca di capelli.

Addolorato deve rispondere che per ordine superiore i capelli devono tenersi tagliati fino alla cotenna. Un padre chiede se ha bisogno di qualcosa, indi lo invita a battersi con onore.

Ottobre, 12 ore 20 - Si scorge a Nord una piccola cometa. Le canzoni dei volontari russi assomigliano a quelle che udii nel Montenegro: sono irte e difficili a comprendersi. Sembrano canzoni funebri, un canto ferino. Voci lente e basse, aventi la prevalenza nei cori e di molto significato.

Soddisfano invero l’udito, sono piacevoli. Ritornai sui miei passi, apposta per sentirne le note quiete e solenni.

Ottobre 14 - Non scorderò il terribile confronto che esiste tra i paesaggi pacifici lasciati e le miserie umane che qui si offrono allo sguardo. File di uomini e donne camminano lungo le strade tenendo i bambini per mano.

Da qualche momento contemplo la pietosa processione. Tutti i mezzi di trasporto sono utili per effettuare l’esodo di codesti fuggitivi. Alle sponde dei carretti od agli utensili rurali posti sui carri i fanciulli si assicurano con le manine. Ma pel carattere tragico della loro situazione viaggiano in un silenzio che non è per la loro età.

I formidabili avvenimenti che si susseguono li hanno resi seri.Ma anche quelli che non sono stati costretti ad abbandonare con la famiglia il loro

paese non sono più felici. Un maestro di scuola chiese ai suoi scolari di manifestare per iscritto il loro pensiero riguardo al momento attuale. Per una strana combinazione, ho avuto il piacere di venire a conoscenza come questi risolvette il compito datogli:

“Mio fratello è stato ucciso nel mese di agosto, egli era a piedi. Noi siamo restati senza sue nuove, poi un giorno i genitori hanno appreso che era stato ucciso sul campo di battaglia. A me non avevano detto nulla, ma compresi ugualmente dal modo in cui mia mamma mi abbracciò”.

Sebbene militarizzati, i maestri di scuola continuano a prodigare per tutta la Francia l’istruzione nelle scuole ed io sono ben lieto di avere occupato il posto di uno di questi.

Ottobre 17 - Partiamo domani per Fere-Champenoise, a 22 chilometri, ignorando il tragitto a percorrersi nei giorni seguenti.

Page 7:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

7

Moranis a 7 km da Fere-Champenoise, 18 ottobre - Abbiamo riposato in una scuderia del farmacista di questo paese ripartendo stamani. Qui avanti alle porte ed allineate sul cammino le donne singhiozzano, alzando sulle braccia i bambini e tendendoli a noi con gesto di protezione.

Gli scolari escono dalle scuole tendendo le mani tutti contenti se possono ripetere al condiscepolo di aver toccato le nostre…

Moranis è completamente distrutto e abbandonato: i colombi soli sono rimasti.

Ottobre 23 venerdì - Passando per la Champagna ho potuto godere della bellezza dei luoghi, le ricche colline simmetricamente coltivate a vigneti, come un immenso mosaico si stendono sino al luogo dove sto scrivendo. Trovomi nella fattoria di un ricco enologo, modernamente costruita, e poiché sono i giorni della vendemmia, trovansi qui alloggiati parecchi vendemmiatori che provengono da regioni lontane come ad esempio vengono su da noi nel bresciano i toscani e i tirolesi nei giorni della sfrondatura dei gelsi. Ho pure visto come si lavorano e si pigiano le rinomate uve.

Ottobre 25 - Da sette giorni nessuno riceve posta. Evidentemente ben pochi sono i volontari che non ricevono notizie ma ve n’è pur uno che non ne riceve affatto.

Esso mi interessa pel carattere suo taciturno. Vedo il suo imbarazzo e la sua tristezza quando appare il sergente con un pacco di lettere per le mani e fa l’appello: il tale il tal altro quest’altro… e distribuisce alle mani avide le buste contenenti gli incitamenti degli amici ed i baci della mamma, tutti sono di aspetto grave e tendono le orecchie. Non vi è niente per lui ed egli lo sa e se può, contrariamente agli altri, quietamente si allontana.

ore 16Mentre porto sul carro le corazze per le sentinelle, vengo a sapere che si deve

partire stasera.

26 ottobre - Passando dalla trincea sulla via che conduce al mulino devo attraversare i binari della ferrovia Paris- Reims-Chalons-Metz.

Sopra le spranghe che servono da barriera vidi scritto “Ionets d’enfantes emportès d’Allemagne”. I giocattoli consistevano in proiettili di piccolo calibro, tutti fracassati, pesti naturalmente, ed erano sulla spranga esposti in linea come veri giocattoli da vetrina.

Gli zuavi sono gli autori dello scherzo. Sono solamente quattro i reggimenti zuavi.Non portano il numero del rispettivo reggimento, ma questo si distingue

egualmente dal colore che tengono al fianco del giubbetto: bianco, rosso, celeste o giallo.

Ottobre 27 - Dunkerque è il primo motto dato a noi di sentinella. Vengono a noi e presso gli zuavi gli obici tedeschi provenienti dal colle in fronte.

Scorgo quattro bei fagiani che tranquillamente passeggiano sulla via e nei campi circostanti, incuranti del pericolo che loro sovrasta. Ci sono pure molte pernici ed una infinità di allodole.

Mucchi di covoni di frumento e avena che il proprietario non fece a tempo a trasportare, servono a noi quale giaciglio nelle nostre tane.

Page 8:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

8

Dal mio buco di osservazione scorgo a destra due macchine agricole ed una quindicina di morti che trovandosi tra noi e il nemico non possono essere sepolti.

All’una di questa notte fummo di soprassalto svegliati. Si diceva di dover avanzare e così tutta la notte abbiamo vegliato.

Continuamente guizzano sora il capo i proiettili tedeschi, fischiano come colpi decisi di uno scudiscio.

Mi si riferisce che alle 14 con altri debbo andare ad abbassare il livello della trincea a destra. Sto meglio oggi, non sento quasi più il dolore generale delle ossa.

Ottobre 29 - Si lascia il fucile a portata di mano per prendere il piccone e il badile. Molti non sono abituati a questi duri lavori, ciononostante si costruiscono delle piccole fortezze sotterranee, veri lavori di talpe.

I campi sono per diritto e per traverso in forma di sega tagliati. Il terreno è riversato dalla parte ove è il nemico, il quale a sua volta pure lui è appiattito nelle sue trincee. Uno nuovo a codesti lavori resta stupefatto dell’ingegnosità colla quale sono costruiti cotesti simmetrici abituri, fatti con le regole complete della geometria. Ve n’è di diverse sorta: dei semplici buchi e delle profonde e larghe fosse ove facilmente possono nascondersi parecchi uomini.

In quelle trincee nelle postazioni di tiro ci si trova solidamente appoggiati ad una specie di cuscino di terra cui si possono con agio appoggiare le braccia: così si evita la fatica e si può resistere in caso d’attacco maggior tempo.

I piedi restano appoggiati sopra un gradino alto circa trenta, quaranta centimetri, ed allo zoccolo di questa vi è un rigagnolo che serve nei giorni di pioggia a riunire le acque, che a loro volta passano in una profonda buca che tutte le accoglie.

La parte scoperta della trincea abilmente viene ricoperta con frasche, paglia, scale a pioli, griglie da finestra, antiporti trasportati dal paese, traversine delle ferrovie, vimini di modo che resta quasi impermeabile alla pioggia ed al vento.

Il suolo di dentro è ricoperto di paglia, la quale permette di riposarti e di essere completamente al coperto.

Lusso inusitato, alcune hanno persino dei sedili ed un tavolo, il tutto scavato nel terreno col piccone ed il badile.

Appena vi è uno spazio di tempo libero si può vedere un soldato cucire i pantaloni od attaccare un bottone. Un’altro (sic) colle corde della chitarra lasciata chissà dove perché impediva, ora ne ha composta un’altra imbastendole sopra una scatola vuota di carne conservata, strimpella ugualmente note stonate, ma che per noi sono dilettevoli lo stesso. Da un’altra parte un gruppo dii volontari legge il “ Secolo” di Milano di dieci giorni fa. Lusso straordinario anche questo. È la guerra!

Sento un ronzio lontano, che sempre più distinto s’avvicina: è un biplano francese che torna da una ricognizione. Ne vedo pure un altro: è tedesco? Un cannone lancia contro l’apparecchio diversi srhappnel: dei fiocchi bianchi, prodotti dallo scoppio si vedono subito vicino all’aeroplano e questi presto scompare nelle nubi spesse ed alte.

Codesti arditissimi aviatori tedeschi e francesi ad ogni momento ricevono l’ordine di passare sulle linee, di scrivere esattamente la posizione e l’importanza delle forze nemiche, di scrutare ove sono le artiglierie per poi rendere possibili dei tiri precisi ed efficaci.

La notte viene e con questa cessa il crepitio ed il rombo e subentra un poco di tranquillità.

Durerà sino domattina?Ad ogni buon conto le sentinelle vegliano.

Page 9:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

9

30 ottobre – Attendo che sia pronto il caffè per portarlo in trincea. Trovomi nel paese di Prunay completamente distrutto. Dal piccolo posto di osservazione a qui saranno circa mille metri.

Passai per la trincea colle due marmitte, attraversai una siepe, indi un orto, salii sulle macerie di un muro di cinta rovinato dalle cannonate, attraversai un altro orto tutto a buche profonde, infilai il corridoio di una casa pericolante da ogni lato, fui in un’aia ed infine ecco i fuochi della cucina della mia compagnia.

Vicino, al chiarore della luna, discerno un avanzo di casa. Sopra il muro isolato ancora è presente il comignolo; sembra un dito, pare voglia dire a qualcuno: “Badate che sono qui, è questa la vostra casa”.

L’abitazione apparteneva ad un carpentiere: nella stanza di lavoro, appesi al muro, ancora in ordine vedo gli attrezzi: seghe, pialle, madreviti, succhielli, cerchi, scalpelli. Il resto della casa fu abbattuto dalle cannonate dei Tedeschi. Il tetto rovinò sul pavimento degli ambienti del primo piano, questo, pel peso soverchio, alla sua volta cedette, tutto poi ammassandosi sul piano terreno.

Letti, armadi, tavoli, ritratti, pentole, sedie, attaccapanni, tutto bruciacchiato, pesto e coperto di calcinacci, mattoni, travi e tegole. Una cosa è ancora a posto: un piccolo quadro nel quale sta incorniciato il certificato dii promozione alla quarta classe elementare di un ragazzo.

Così sono tutte le altre case, nonché la chiesa e il cimitero dalle lapidi ed urne infrante. Coteste ruine sono il soggetto dei miei pensieri. Non so distruggere naturalmente, e mi domando qual sentimento mi coglie e mi ferma all’entrata di una casa o d’una camera evacuata dai proprietari. Mi chiedo quale emozione mi padroneggia innanzi a questo spettacolo di vita intima abbandonata in un momento di folle paura.

La luna passa sul cimitero, sugli orti, sulla chiesa, sulle case scoperchiate, sugli alberi spaccati a metà o bucati nel tronco a mo’ di cruna d’ago, sui torrenti e sui canali dove si specchia continuando il suo cammino incurante delle sofferenze e degli orrori di quaggiù.

2 novembre - Vediamo venire su tre persone in abito civile: due donne ed un uomo. È tanto difficile, strano vedere individui che non siano militari che l’uno con l’altro ce li indichiamo. Subito si comprende che sono profughi di ritorno alle loro case… quale compassione destano in noi questi poveretti!

Precede la comitiva un vecchio barcollante pel carico di un voluminoso sacco sul dorso, lo segue una giovane pallida e dimessa con un fardello sotto l’ascella sinistra e nella mano destra una sporta: cammina però abbastanza spedita; terza è la madre che a mala pena può reggersi.

Sdrucciola sul terreno viscido e pare che cada ad ogni momento. Non parlano, tengono lo sguardo fisso sul terreno.

6 novembre - In questi giorni ho assistito ad un duello di artiglierie: sono sempre quelle che lavorano. “Les marmites” ronzavano con uno zufolio speciale, scoppiando nel suolo come tuono e sollevando enormi quantità di terra.

Gli obici, les marmites come si chiamano in gergo, possono ben piovere, noi ci sdraiamo come conigli nel corridoio scavato profondo e si lascia passare la raffica. Il numero dei morti e feriti è sempre ristretto. Noi abbiamo l’ordine di non sparare, è semplice difensiva la nostra: d’altronde a chi si dovrebbe mirare se anche i Tedeschi sono sotterra come noi?

Page 10:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

10

Crepitano qua e là durante la notte le fucilate, ma rare, perché altro scopo non hanno che di salvaguardarci da qualche sorpresa od attacco notturno e di impedire al nemico la posa del filo di ferro spinoso a riparo delle linee.

Il morale si mantiene eccellente ed anche gli ammalati sono relativamente pochi. Più che i proiettili si teme il sopravvenire del freddo, l’aprirsi della stagione rigida.

La notte, di sentinella al piccolo posto ove si sorveglia il nemico, si battono ritmicamente i piedi come sogliono fare gli arrotini.

Novembre 13 - Lavoriamo troppo nelle trincee. Ho le membra indolenzite: ne chiesi agli altri e pure loro sono nelle medesime condizioni. Giorno e notte si lavora e senza distinzione di tempo. Giorni piovigginosi, uggiosi e notti pessime. Non di rado, appena sdraiato sulla misera umida paglia ed abbandonato il corpo stanco, tanto affaticato che immantinente come i lattanti ci addormentiamo, ecco che carponi e di corsa passa qualcheduno gridando ad ogni vano: aux armes, aux armes!

Si dorme vestiti, naturalmente, colle tasche dei proiettili già disposte sul corpo. Nulla abbiamo a fare, solo si getta in disparte la coperta, s’infila il buco, s’afferra ognuno il fucile, che è sempre alla portata di mano, si passa al suo posto sopra il gradino ed in direzione del nemico.

Avanti a noi, allo scoperto, sulle zolle soffici della trincea, si fermano innumeri le palle scoppiettanti come le castagne non sbucciate poste sotto le ceneri calde.

A qualche metro dalla trincea, principiano i reticolati di filo di ferro, ai quali sono appesi dei piccoli campanelli e latte vuote di carne conservata.

Qui si resta mezz’ora, un’ora, attendendo che la furia si calmi. Che sarà stato a causare ciò? Non si sa. eppure sono frequenti tali all’armi.

Una sentinella che crede udire qualcosa di sospetto, o vede male una cosa, un cane od una lepre che tocca un filo e fa suonare i campanelli: “ et tout le monde est reveillé”.

14 Novembre – Mi si portò uno scritto che attendevo da parecchio tempo. Stavo lavorando col piccone a principiare la trincea individuale, paziente lavoro da formiche. Delle tre pagine ne avevo letto una, quando mi sento gridare: “dans le trou tout le monde dans son trou”. Era il tenente che gridava a me perché delle cannonate nemiche passavano a livello del suolo. Tutti gli altri già erano sotto, mentre io mi trovavo pressoché allo scoperto non avendo avvertito ciò tanta era l’attenzione della lettura e la convinzione che fossero francesi.

Difficoltosa è stata l’entrata nel buco, troppo piccolo anche per me, mentre la volontà di rannicchiarmi dentro era grande. Entrando pel capo restavano fuori le gambe e se introducevo le gambe rimaneva fuori la testa. Allora passai col dorso e mi accoccolai ritorto come una lumaca nel suo guscio. Là dentro continuai la lettura interrotta, mentre di sopra i proiettili spazzavano le opere nostre compiute la notte. Un compagno ebbe l’affusto del fucile spezzato.

15 Novembre – Oggi quete (sic) profonda sulle posizioni. Nemmeno un colpo di fucile o di cannone. La giornata è estremamente fredda: cadono dei ghiaccioli di neve.

Tra noi e le posizioni tedesche a quattrocento metri si scorgono dei cadaveri sul campo. I Tedeschi si direbbero scomparsi, ma essi sono là invisibili, nella prima trincea bianca e tra il bruno bosco della collina.

Appena uno si porta livello del terreno è subito scorto e fischiano le palle: rimanendo ancora un attimo verrebbe colpito.

Page 11:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

11

Eppure un giorno dovremo pur uscire di qui, se non vengono loro a molestarci prima. Non resteremo in eterno in questi formicai se si vuole che la guerra abbia un termine.

Eppure, “il est toujour defendu de tirer sur l’ennemi”.

15 novembre, ore 19 – Trovomi gettato tra Vasconi e Daucovich il rumeno.Questa sera, mentre tutti tenevano la gamella in mano, capitò un generale,

accompagnato dal suo aiutante. Con lui vi era pure il nostro colonnello ed il comandante di battaglione.

Chiese diverse cose a noi: se era buono il vitto, se c’erano ammalati o feriti. Passò a vedere la trincea e quando fece ritorno, scorgendo che noi eravamo ancora sull’attenti, disse di proseguire. Abbassandosi in un angolo ove fumavano alcuni tizzoni, accese la sua pipetta.

Novembre 16 – Mentre la destra è appoggiata al fucile, immobile guardo là basso verso le trincee, sento il sergente dietro a me passare di corsa e ripetere ad ognuno:”Allons pliez tout, emballez tout, on part! Sac au dos”.

- Mais la soupe? – dice uno.- Un autre jour, la soupe. On part tout de suite.Intendendo ciò mi venne la volontà di ridere. Intanto aspettavo che mi venissero a

dare il cambio per poter io pure preparare il mio zaino.È stata una costernazione, un mormorio sordo: odo alcuni grugnire parole di

collera.“Partire senza mangiare, senza una tazza di brodo caldo! non li abbiamo qui i

Tedeschi a poche centinaia di metri senza andare a cercare altrove?”Qui mi sovvenni delle parole del caporale di Avignone: “Essere soldato vuol dire

quando si ha fame non mangiare, quando si ha sete non bere, quado si è spossati dalla fatica camminare e quando non si può più portare se medesimo, portare il compagno ferito”.

Un’eccitazione nervosa sembra che incessantemente ci tenga sollevati da terra. Dire che in tutta la campagna non abbiamo ancora bruciato una cartuccia; siamo alla frontiera, abbiamo passato delle terribili notti, ed ancora non si è visto un tedesco.

E loro sono là!“Defendu di tirer” è l’ordine ripetuto alle sentinelle. Ma essi sparano e non vi è

giorno che qualcuno non si prema le mani sulla ferita ricevuta. Così pensavo, fisso lo sguardo avanti, là basso verso le trincee.

Era vero che si doveva partire? Dopo un’ora di cammino siamo di passaggio da Verzenay. Anche qui vi sono danni come se fosse passato uno di quei terribili uragani di tempesta e di folgori che annientano una plaga in pochi minuti.

Col pretesto che sono uno dei più forti mi si carica sul dorso anche il mulino del caffè. Intanto il peso diviene grave. Un breve riposo e si ripiglia il cammino.

Con un’alzatina di spalle mi aggiusto le cinghie dello zaino. E si prosegue: ma il cammino diviene abbominevole, un cammino che monta con ondulazioni lente nel mezzo di vasti campi tutti a vigne.

Molte volte si scorgono dei boschetti di pini dalla verdura cupa, un poco triste in mezzo a quelle terre bianche, ove non di rado, vicino a qualche trincea piccola e frettolosamente fatta, si scorge una croce. Riparo momentaneo e fossa eterna scavatasi dal caduto.

Effettivamente questa è stata una delle camminate che fanno epoca, perché, oltre la stanchezza e l’appetito che ci mordeva, sopraggiunse anche la pioggia. Una

Page 12:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

12

pioggerella fine, fastidiosa, che entrava nei panni e inumidiva il corpo. All’ultima sosta ed al chiarore di una lanterna, poiché si era già fatta notte, una brutta notte dal cielo sparso di nuvole lente e gravi, aprimmo lo zaino e mutammo gli indumenti. Fumavano come lisciva.

Quelli di corvée entrarono con grandi bracciate di paglia, la sparsero sul terreno e si accovacciarono russando presto come fossero tra le piume.

Entrai nei locali dell’Hotel de France, così si chiama il luogo che ci ospita e chiesi se c’era qualcosa da mangiare, ma già immaginavo la risposta che non si fece attendere: “Rien de tout”.

Chiesi allora del vino bianco, vi inzuppai un quarto di pagnotta e ciò mi rese un poco di calore. Passai dopo tra i compagni addormentati.

Stazione Prunay, 21, ore 9 - È fermo l’orologio. Segna le ore 5,12. La linea è tutta ostruita da pali, fili telegrafici, mobili trasportati fuori dal paese, macchine ed utensili agricoli, traverse.

Attraversando i binari non si teme il sopravvenire dei treni. Anche dopo la guerra occorrerà del tempo prima che la linea possa essere riattivata.

Ad una cinquantina di metri, sull’unico muro rimasto d’un piccolo albergo, sta ancora scritto: AU RENDEZ V….DES VOYAGEUR…,che vorrebbe dire “Al ritrovo dei viaggiatori”, ma il restante delle lettere è caduto col muro.

Con questo freddo e col lavoro che quotidianamente ci fanno fare, l’appetito è straordinario e tale che ora preferisco mangiare la mollica di pane, piuttosto che adoperarlo a pulire la gamella ed il cucchiaio, molte volte sporchi di terra, rotolatavi dentro dalla trincea, non potendo aver qui acqua onde risciacquare.

I superiori impartiscono ordini acciò le trincee siano fatte in un modo più razionale, sicuro. Nella presente guerra hanno una importanza particolare le piccole fortificazioni e queste fortificazioni sono le trincee. Sui numerosi punti del fronte, cioè in prima linea, la lotta ha preso carattere d’una vera guerra d’assedio. Bisogna premunirsi contro gli effetti dei proiettili dei cannoni avversari.

I Tedeschi hanno fatto sin dal principio della guerra un impiego giudizioso e costante delle trincee sul campo di battaglia, ed hanno così potuto evitare delle perdite gravi. Ne viene di conseguenza che scavar delle trincee costituisce un lavoro del quale l’utilità immediata consiste nell’accrescere la forza di resistenza momentanea delle truppe, minacciando le esistenze e nel contempo aumentando la potenza difensiva, poi.

Queste vengono costruite strette e profonde, in modo che dentro possano circolare ad uno ad uno gli uomini. A livello del suolo hanno dei pertugi, in cui è posto costantemente il fucile in direzione del nemico. Il tetto, quando si può, è in traverse di legno, usci ecc. sopra vi si dispone poi il terreno.

Sotto il livello circa sessanta centimetri il terreno principia a divenire bianco finché lo si trova come la calce od il gesso. Lavorando si screpolano le mani.

Novembre 24 - Attacca l’avvenire chi combatte la Francia, ma è accertato che la Francia vincerà, non ne ho mai avuto il minimo dubbio. La guerra durerà a lungo, sarà aspra, ma si vincerà. La cintura di ferro e fuoco che cinge il popolo tedesco a poco a poco sempre più si restringe come le tenaglie che per bene afferrano il dente cariato. Quando la mano abile e ben sicura le tiene, dà lo strappo finale ed ecco abolito finalmente il dolore.

Il tarlo roditore non è più e nel contempo è evitato il pericolo che si propaghi anche agli altri denti laterali.

Page 13:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

13

La Francia soccombente sarebbe ben ridotta, ma come il Piemonte prima della guerra di redenzione d’Italia, sarebbe stata la roccaforte, il focolare dei rivoluzionari, avrebbe mandato i suoi soldati, il suo popolo, là, ove idee di progresso, di libertà, si fossero manifestate. Per la Francia il genere umano respira.

Spero, ritornando in Italia, che la carta geografica di questa sia mutata. Le acque del Sarca, un tempo tinte inutilmente di sangue volontario, scaturiranno veramente sul suolo italiano e più gradite e leggere scenderanno ad innaffiare i fiori dei giardini e le zolle dei terreni nostri. L’acqua del Benaco nostro, tutto nostro, più fresca e profumata ci sembrerà scendere dalle abetaie del Trentino.

Novembre 28 – Un telegramma ufficiale annunziò una grande vittoria russa in Polonia. Il comandante nostro, generale Blondelat, volle festeggiare questa nuova vittoria, successa a quella della Marne e del Nord. Alle 22,15 la musica del 118° fanteria vicino alla stazione di Sellery suonò la Marsigliese e l’inno russo. Finita la musica, a destra e a sinistra delle linee di fronte e da tutte le linee retrostanti, fu un grido unico di “Vive la France!”, mentre dal forte Pompel partì un razzo il quale indicò che tutte le artiglierie di grosso calibro dovevano principiare la loro azione sul nemico.

È stato un baccano d’inferno. Molti sparavano, altri cantavano la Marsigliese. Un piemontese gridò: “Viva il Barbera”. L’ufficiale gli chiese che cosa intendeva dire, provocando così l’ilarità di tutti noi.

Più lontano, in mezzo a quel diavolio, si udiva distintamente cantare le note della popolare canzone “Les montagnard”. Io mi trovavo metà di qua e metà di là del corridoio e gridavo stando orizzontalmente steso, guardavo un po’ la luna, un po’ verso i Tedeschi, colla speranza che avessero ad uscire; ma un silenzio profondo vi era di là, persino le solite fucilate avevano smesso.

Venne sospesa la pattuglia per quella notte.

Dicembre, 1 ore 20.40 - Mi trovo ferito all’ambulanza. Una palla mi colpì alla gamba destra mentre di pattuglia mi trovavo alla località “Ferme Marquise”. Non è una ferita grave. Passai da me attraverso le linee sin qui. Dopo essere stato medicato mi adagiai sopra questo lettuccio di paglia.

3 dicembre, ospedale di Avenay (Marne) – Erano le diciotto dell’altro ieri. Un’ora dopo dovevo uscire in pattuglia. Ad un tratto sento chiamare: “Vasconi, Berger, Albini”.

Infilo carponi il buco che dà nella trincea e giù di corsa verso il luogo onde era venuto l’appello. Non poteva essere che la posta. Difatti mi fu consegnata la corrispondenza d’Italia. Mi rintanai ed accesi un pezzo di candela sempre religiosamente risparmiata: lessi attentamente, spensi e più soddisfatto di prima mi riaccovacciai.

Di fuori intanto piovigginava. Alle 19, con un sergente, un caporale e dieci soldati si formò una squadra che,

ricevuti degli ordini, in silenzio si diresse verso la fattoria “Marquise” nelle cui vicinanze dovevamo tutta la notte restare in perlustrazione scoperta. Dopo che il sergente ebbe messo a posto la sentinella, ci disponemmo rasente un muro, avanzo del fabbricato distrutto, per ripararci dall’acqua almeno da un lato. Fattomi uno sgabello con delle tegole, e su questo sedutomi appoggiando il dorso e il fucile al muro, mi collocai ai fianchi ed un poco sotto due covoni di frumento.

Page 14:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

14

A sinistra gli altri compagni facevano i medesimi movimenti. Più avanti la sentinella, ch’io per primo avrei dovuto rimpiazzare se ne stava in piedi e nascosta dietro un olmo sulla strada che conduce a Reims.

Proprio alla mia destra e molto vicina era la trincea nemica.Mentre scioglievo dalle due cinghie la coperta, un tocco, pari a quello della nocca

delle dita contro un materasso, sento alla gamba destra.Ero ferito.Carponi, servendomi delle mani e del solo ginocchio sinistro, mi allontanai lento,

strisciando verso i compagni che sommessamente mi chiedevano cosa avessi. Essendo il nemico vicino, non si poteva parlare e tanto meno rispondere al suo fuoco: ne sarebbe seguita una scarica terribile che sfiorando il suolo ci avrebbe perduti. Il caporale corse a chiamare i “biancardiers”. Intanto mi slego la fascia intorno al polpaccio e tasto se la ferita è grave.

- Vous etes blessé, Albini? – mi chiede il sergente.Sciolta la fascia e i calzoni e le mutande allargandosi sento cadervi la palla.

- Voilà la balle, mon sergent- ed in così dire slaccio le mutande e la raccolgo con la mano.

- Tutti vorrebbero vedere, ma il momento è pericoloso; altre palle fischiano sopra, il sergente chinasi su di me come in atto di protezione, ed io caccio tra le tegole la testa la cui parte ancora scoperta copro poi col calcio del fucile e colle mani.

Con un’inquietudine da gatto, frattanto, gli altri giacciono stesi in terra, immobili come corpi morti. Quando giunse il milite della Croce Rossa mi accommiatai come potei dai compagni, incamminandomi con lui disarmato ed appoggiato alla sua spalla.

Era il volontario piemontese Bertoldi Angelo di Castelbeltrame Novarese.

Avenay 4 dicembre – Passando per la nostra trincea di riposo volli salutare il sergente della quindicesima Fleury Giring. Mi fece molti auguri di pronta guarigione e, dati e ricevuti saluti, ripigliai il cammino faticoso. L’infermiere voleva portarmi in spalla, ma come fare in un sentiero così stretto e maledetto! Alla fine arrivammo al primo posto di soccorso in Prunay.

Levata la prima fasciatura fatta malamente all’oscuro, e lavata la ferita, questa fu constatata lieve. Mi fu medicata e dichiarata guaribile in solo 25 giorni. Mi levai l’altro stivale, girai lo sguardo attorno, prima sullo zaino poi al soffitto, alle pareti non ancora sfondate da alcuna cannonata, al pagliericcio accennatomi dianzi e finalmente sdraiatomi tuffai la testa in un morbido cuscino. Ma come prender sonno con quel freddo addosso?

Sopravvenuta però la febbre, mi assopii. Alle otto del mattino un chiacchierio di fuori nel cortiletto mi sveglia. È l’ora della visita medica e tutti gli ammalati qui si riuniscono. La stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso. Alle 10, come di consueto, tuonano le cannonate. I Tedeschi sanno che è l’ora della zuppa e nonostante che la cucina ogni giorno muti luogo appunto per sfuggire alle cannonate, c’è sempre qualcuno che resta ferito o morto.

Telefonicamente ordinata, viene alle 11 un’ambulanza che mi porta alla fattoria ove, raccolti due altri feriti, si continua la via in direzione di Verzeney. Nonostante la febbre, spiavo di fuori attraverso un piccolo spiraglio.

Passammo luoghi sconosciuti. La strada, che traversa splendidi vigneti ma devastati, è tanto ineguale e rovinata dal passaggio ininterrotto di carri delle munizioni, viveri ecc. che il veicolo ad ogni tratto sobbalza facendomi soffrire.

Page 15:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

15

I due cavalli trottavano sempre.In venti minuti si arriva ad un ospedale, già scuola. Una sosta poco allegra. Sulle

lettiere vi erano dei pagliericci chiazzati di sangue. Niente lenzuola, niente guanciali. Gli srhapnel arrivavano anche là, stante che il nemico non era che a cinque, sei chilometri, per questo fummo presto levati anche da quel luogo.

Un’automobile ci trasportò più lontano dalle linee del fuoco distribuendo gli ammalati in un luogo, i feriti in un’altro (sic). Con una barella fui portato nella scuola comunale di qui. Che gioia nel vedere quei letticcioli bianchi e ben disposti, quale sospiro di soddisfazione nel trovarmi in quell’aula calda, levarsi dopo tre mesi le scarpe e i vestiti, trovare un lettuccio caldo, in una stanza tiepida dove magari si può anche leggere i giornali: c’era da benedire quasi la palla che mi aveva colpito.

Ospedale di Avernay, 6 (dicembre) – Prima di me scesero dall’ambulanza cinque altri che potevano camminare da sé.

Ultimo fui io. Mi curvavo onde dispormi sulla barella stesa in terra, quando udii una voce femminile venire dal crocchio di persone, che stavano ad osservare dal marciapiede, dire ad uno dei soldati infermieri:

Il est marié?Oui – risposi io – avec la France.Comment?Oui, marié avec la France, voilà le maire que nous a marié – ed in così dire

indicai la parte del ginocchio ferito.La donna sorrise e gli altri pure. Fui trasportato in questa sala, dove stando seduto nel lettuccio, scrivo.

Avenay, 9 dicembre – Già mi sostengo sulla gamba, non ho più febbre, la ferita si rimargina, qualche giorno ancora e poi ritornerò alle trincee. Qui non manca niente. Ogni dì persone gentili ci vengono a trovare, portandoci sempre qualcosa, con incoraggiamenti ed auguri. V’è chi offre libri, riviste, sigarette, carta da lettera. Possiamo leggere anche dei giornali. Insomma, rientrammo nel mondo dopo aver rischiato di passare all’altro.

In questa sala siamo in dieci, quasi tutti feriti in guerra, ma nessuno è grave. Solo ieri sera ne venne introdotto uno, al quale l’infermiere, per confortarlo un poco, disse che sarà completamente guarito fra due mesi.

Oggi venne a farci visita una signora con tre graziose signorine. Ci distribuirono una bella mela ciascuno e due tavolette di cioccolatte.

Una delle tre donatrici si chiama Gisele Lefevre ed ha 17 anni. Ieri una bambina ci portò buone lattughe, non passa giorno che non si abbiano visite. Vi è poi un caro ragazzo sulla cui spalla sono certo di trovare sempre un appoggio ogniqualvolta esco nel cortile e che è contentissimo quando di nascosto del sergente infermiere può renderci dei piccoli, ma pur utili servizi.

È un rifugiato delle Ardenne, uno di quelli che colla loro famiglia riuscirono a scappare prima dell’invasione tedesca. Si chiama Henry Compagnon. Stamane lo mandammo a comprarci delle castagne: entrò cauto nella sala, si levò il berretto, prese le commissioni e fuori di corsa tutto giulivo. Dopo mezz’ora ritornò e dal grembiule versò gli acquisti fatti. E come si indispettisce quando gli dico che assomiglia ad un tedesco!

Davvero è un bravo piccolo francese.

Page 16:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

16

Avenay, 13 – Guardo da uno dei grandi finestroni che danno luce ed aria a quest’aula scolastica. È presto ancora: la via è deserta, solo una donna si avvicina: è una giovinetta, guarda in su e forse pensa che io qua dentro occupo il suo posto. Il locale è ad un centinaio di metri dalle abitazioni. Tutto circondato da ricchi vigneti, attraversati dalla linea ferroviaria che conduce ad Epernay. La Marne, al cui dipartimento questo ridente luogo appartiene, è rinomata per gli eccellenti vini, per la bellezza del bestiame e bontà delle carni, per la buona qualità dei cereali e del legname, nonché per la squisitezza della frutta.

Fiorente è anche l’industria, essendovi cave di pietra e di carbone, stabilimenti per la filatura delle lane, sete, telerie e fabbriche di porcellana.

Qui dintorno furono i campi d battaglia più celebrati nella storia.Giulio Cesare, Principe di Condé, Napoleone qui spiegarono il loro genio.

Sebbene si oda ancora il cannone lontano, però non si corre qui alcun pericolo. Temo piuttosto un grosso mappamondo che sta sopra il mio letto e che non so dove mettere.

Allorquando, aperte le finestre, l’aria solleva una grande carta geografica questa gli batte violentemente contro, facendolo girare su due poli. Io di sotto lo guardo titubante, senza alcuna intenzione di passare alla storia per aver preso, come Atlante, il mondo sulle spalle o sulla testa…

Dicembre 16 – Curiosa guerra, questa e molto diversa veramente da quella che si poteva credere. Sonvi migliaia e migliaia di combattenti che, dopo più di quattro mesi di guerra tra i quali ben due di trincea, in faccia quindi al nemico, ancora non hanno visto un Tedesco da vicino o da lontano. Sembra inverosimile, eppure è la verità.

Si può passare al Creatore da un momento all’altro; quando tranquillamente coll’ago si sta assicurando un bottone al giubbetto, o di notte si accomoda la paglia sulla quale ci si stenderà per dormire, o mentre già si dorme sognando il fuoco del Natale, il desco famigliare ed i parenti. Una cannonata ben assestata sfonda il soffitto della tana e, se non manda all’altro mondo mediante i frammenti del proiettile, può far morire soffocati, sepolti sotto le macerie. Ho adempiuto a servizi diurni e notturni, vicino e lontano dal nemico, sono stato anche ferito, senza aver sparato un colpo di fucile, senza aver mai visto un cannone, né tedesco né francese, un prigioniero, una bandiera.

Il nemico non si vede ma si sente e si studia ove è e come è, lo si calcola e lo si numerizza. Così la freddezza, la calma, lo spirito d’abnegazione, la disciplina sono qualità che in una guerra come questa hanno un valore inestimabile.

Durante i periodi che sembrano di tregua agiscono le artiglierie.Esse sono ben occulte e tentano distruggersi l’una con l’altra.Mi sta vicino un bel giovanotto, un tirailleur algerino che prese parte al

combattimento di Charleroi nel Belgio. Ne ha viste di tutte. L’esistenza sua non aveva più alcun valore. Chi pensa mai alla vita in quei momenti? Eppure non lo colse una palla. È nelle trincee di qui, ove tutto il corpo è al riparo nei profondi corridoi, e dopo qualche giorno un proiettile lo trovò, sfiorandogli l’orecchio senza offenderglielo e forando invece completamente l’osso nasale. La ferita è leggera, ma se fosse stato colpito un po’ più a sinistra, era spacciato.

I medici sono cortesissimi ed assidui e sempre domandano se il vitto è buono.

Avenay 17 dicembre - L’altro giorno abbiamo vuotato parecchie bottiglie di Champagne, gentilmente offertoci. Eravamo in ventitré, compresi gli infermieri seduti a rustiche tavole.

Page 17:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

17

Intorno, letti da campo, negli angoli stampelle e bastoni: sui davanzali delle finestre, pagnotte, giornali, riviste regalateci. Alle pareti carte geografiche, il regolamento scolastico, il ritratto del Presidente della Repubblica che ci guarda bere un vino così prelibato in semplici ciotole di latta. Brindiamo alla salute della Francia, degli alleati, dell’Italia, dell’offerente nonché alla nostra.

Anche oggi rulla il tamburo. Tutti i giorni così. Chiedo e mi viene risposto essere il messo comunale che, per ordine del sindaco, avvisa il popolo di qualche nuovo decreto etc,

18 dicembre - Mentre scrivo al fratello, entra la signora alla quale dietro richiesta sua consegnai il guanto bucato ed una calza di lana da rammendare. Mi riferisce che è inutile lavorarli e che me ne darà di nuovi.

Poi per un segno fatto a lei senza che io me ne accorgessi, aggiunge che nulla mi consegnerà , se non mi faccio sentire a cantare “la garibaldina”.

Devo accontentarla, altri fanno coro a me. Ma che spropositi dicono volendo imitarmi e non sapendo naturalmente cantare in lingua italiana.

Il parroco di qui ci mandò le seggiole che si trovavano in chiesa.Ogni giorno viene con qualcosa di nuovo. Io credo che abbia la sola sottana

addosso costui.È un buon vecchio sacerdote.

Bouzy 21 dicembre – Non sono più nell’ospedale di Avenay. Ieri, in automobile, siamo stati trasportati a Bouzy. È distante circa otto chilometri.

Venne a salutarmi la mamma dell’istitutrice, la quale cercò di me, dell’italiano. Sollevai le tende, ed essa, dopo avermi salutato, mi consegnò un’involtino (sic) da parte della figlia.

Fu talmente improvvisa la partenza che l’insalata che avevo preparato dovetti mangiarla in un giornale. Abbiamo dovuto lasciare il posto di Avenay per altri feriti che sarebbero sopraggiunti. Ormai in piena convalescenza faccio con gli altri camerati corte ma amene passeggiate in questi dintorni veramente bellissimi, deliziosi.

O subito prima o subito dopo Natale sarò in trincea.

22 dicembre – “Au jus la’dedans”. Ecco le prime parole che mi destarono stamane qui a Bouzy. Erano le sette. Quello che così gridò depose il secchio del caffè su una panca: noi ci alzammo tutti e colla nostra ciotola in mano andammo a riceverlo. Alle 8.0 c’è stata la visita medica. A me furono ordinate delle frizioni, ma ormai non abbisogno più di nulla.

Quando ho finito di mettere in ordine il mio diario, chiedo di essere mandato in trincea: ci sarà molta posta per me, dopo tanti giorni che non ne ricevo.

Alle 11, zoppicanti e non zoppicanti, andiamo a desinare. Sembriamo i poveri ricoverati di Casa d’Industria a Brescia.

25 dicembre, ore 5.10. - È il giorno di Natale. Già da un’ora sono qui nel refettorio al lume di una candela. Voglio finire, anzi ho finito adesso di copiare questo diario, perché intendo oggi stesso di portarlo al sindaco di qui, acciò faccia in modo di spedirlo a Ciliverghe a guerra finita. Così, ammettendo che io perisca, riceveranno a casa queste mie note.

C’è un vento indiavolato di fuori, ho freddo. Quante cannonate si udirono ieri! Stanotte invece nessuna. Che vogliano fare il Natale la linea di fuoco francese e tedesca?

Page 18:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

18

Ore 20 – Sono stanco. Che brutto Natale. Ho pensato molte volte a casa, ieri e oggi. Sono le ore 20, la candela si è consumata e mi sdraio sul pagliericcio. Ho preparato il mio zaino, mi fu consegnato il fucile: domani torno al mio battaglione e finalmente troverò la corrispondenza che da giorni non ricevo.

1 Gennaio 1915 ore 0,30 – Millenovecento quindici! Che anno infausto! Tutti dormono vicino a me, nessuno della nostra squadra manca sinora, ma le altre hanno dei vuoti. Sette furono i colpiti nella quindicesima, mentre io fui assente. Due morti e cinque feriti per una cannonata in piena trincea.

Che malinconia quelle lettere che ancora arrivano per quelli che mancano! Il sergente scrive con lapis copiativo sulla busta a tergo: Tuè par l’ennemi, oppure blessé per l’ennemi e rimanda le lettere.

2 gennaio 1915, ore 14 – Ecco sono qui ancora nello stesso paese, nella stessa trincea, nello stesso posto di osservazione.

Per ritornarvi attraversai Prunay. Il campanile era ancora intatto a lato delle ruine della chiesa. Durante la mia assenza furono abbattuti tutti gli olmi fiancheggianti la strada per fare il tetto alle capanne sotterranee. Arrivato che fui, mi venne il desiderio di rivedere il luogo ove precisamente 33 giorni fa sono stato ferito. Anche da questa posizione si vede benissimo la ferme Marquise. In linea retta sarà distante 500 metri, ma andandovi per questi corridoi, un vero labirinto, il percorso si allunga di un chilometro.

Ma quale percorso! Ha piovuto e il passaggio delle truppe ha reso impraticabili questi anditi fangosi, pieni di mota.

Fui dunque sul luogo: osservai tutto minimamente. Ho ben fermi nella memoria e il canale pluviale connesso al muro lesionato e diroccato, a cui quella sera mi appoggiai, la porta sgangherata e crivellata e i covoni di frumento che forse rallentarono il proiettile.

Passeri cinguettanti e fringuelli starnazzanti saltellano sulla stradetta accanto, e poco discosto vidi una targa celeste incastrata superiormente al muro. Assomiglia a quella del Touring Club Italiano ed indica: “A Verzenay km 6 – a Prunay km 1,200”.

Fischiano insidiose sopra la testa le pallette di piombo: allora, ginocchioni, ritornai del corridoio. E tanto va il topo al lardo, sin che, o presto o tardi, ci lascia lo zampino.

4 gennaio – Une nuit blanche abbiamo passato. Doppiamente bianca perché alla pioggia di ieri sera successe la luna. Si usa dire così quando per servizio si veglia tutta la notte. Abbiamo steso al sole il cappotto e la tenda, i quali ora fumano come panni passati al bucato… ho perduto l’abitudine di lavarmi il viso; quando posso, però, non tralascio l’occasione. Per questo ho posto la gamella sotto la doccia che proviene dalla paglia che forma letto alla cagnacca , raccolgo l’acqua indi alla meglio mi laverò quando ve ne sarà caduta dentro un poco.

Tutta notte abbiamo lavorato, dalle diciotto di ieri alle cinque di stamattina e sempre lavori di sterco che fiaccano le ossa.

10 gennaio, Bouzy – Fui tre volte di sentinella, ieri e stanotte e sempre al cimitero. La consegna è di non lasciar passare alcuno senza il permesso rilasciato dal sindaco o dalle autorità militari. Tutti debbono essere nelle loro case avanti sera.

Page 19:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

19

Ad eccezione di un soldato ciclista, seguito subito da una sezione mitragliatrici, nessun’altro (sic) passò. Sono le ventuno.

Pioviggina e spira vento, m’avvicino al cancello del camposanto, guardo dentro e per osservare meglio nell’oscurità, caccio la testa tra le verghe di ferro. Distinguo le croci, le tombe ed i cesti di fiori che immagino avvizziti; più lontano le cime nere, ondulanti dei cipressi sopravanzano dal muro opposto.

E anche questi poveri morti mi occupano la mente. Non subiscono alcun oltraggio essi sotto la zolla che li ricopre! Mentre più avanti, sono tanti cadaveri dissepolti, esposti alle intemperie, squarciati ancora dai proiettili francesi e tedeschi e profanati anche dagli animali.

Levo una cartuccia dalla giberna e colla punta di rame della palla, scrivo la data d’oggi sul pilastro sinistro del cancello. Ricomincio a passeggiare avanti e indietro, mentre il compagno se ne sta coccoloni contro il muro del cimitero. Qui la via si biforca, una strada passa tra i campi e l’altra, la più bella e spaziosa, entra nella borgata. Laggiù scorgo una luce viva, intensa: dev’essere Epernay.

Quel chiarore mi rammenta Reims quando mesi fa era in fiamme.

24 gennaio – A prezzo di fattura i nostri cannoni mandano di là una cinquantina di proiettili. Tra poco risponderanno quelli ed io, tralasciando di scrivere, metterò fuori la testa per curiosare. Come in tutte le cose esiste la legge sovrana dell’abitudine! Chi si trova sul fronte nella zona dell’armata ed è venuto qui per elezione o per dovere, deve far subire all’animo suo un cambiamento. Tre periodi deve questo attraversare: prima un’angoscia misteriosa, alla quale anche il più forte di spirito deve sottostare, causata dall’incognita che così repentinamente gli si è messa davanti; in seguito, a seconda dei temperamenti, la prostrazione con un’eccitazione nervosa provocata dai formidabili elementi di distruzione e di morte; infine succede l’abitudine, l’abitudine che spegne ogni sensibilità, che disciplina i nervi.

Ma questa abitudine non è quella che mi fa diminuire né dimenticare il freddo intenso che in questo momento ho per tutto il corpo, e che è tale che mi costringe a deporre lapis e notes.

26 (gennaio) martedì – Quanti visitatori in questi luoghi a guerra finita e quante curiosità! Invero è uno spettacolo nuovo. Ognuno dei volontari, a seconda dei luoghi ove proviene, ama ricordare questi, dandone il nome alla trincea o alla capanna.

27 gennaio – Se non è da lodarsi l’imprudenza commessa, bisogna però considerare il vantaggio morale avuto dalle truppe nell’apprendere l’atto di coraggio compiuto dal giovane che s’avventurò fuori dalle trincee per levare la piccola bandiera dai tedeschi portata questa notte a circa duecento metri davanti la loro trincea.

Questo è un volontario polacco proveniente dall’Italia, ove era a studiare pittura e di là partito allo scoppio delle ostilità. Si chiama Stanislao Popeyiscki. Lo trovai in compagnia di Zinovi Pechinoff, il figlioccio di N. Gorki pur lui proveniente dall’Italia.

5 febbraio – Mi sento chiamare da un compagno.- Il vaquemestre ha parecchi giornali da consegnarti. - Va bene, grazie – risposi, e intanto mi lambiccavo il cervello per sapere chi

poteva essere questa volta la persona che mi aveva fatto l’invio.

Page 20:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

20

Era sera ed eravamo venuti per trasportare ciascuno dei pali che dovevano servire per tirare il filo spinato sulla linea. Tutti noi avendo scorto un cavallo attaccato ad un pesante carretto, ci avvicinammo a quello prodigandogli un’infinità di carezze e così pure al cane che seguiva il conduttore. Noi qui siamo separati dal mondo, la nostra vita differisce molto da quella giù vissuta. Stiamo delle settimane fermi nel medesimo luogo, non si vedono che soldati e non si odono che delle cannonate; si ignora la data del giorno e l’ora si calcola approssimativamente, se l’orologio si è reso inservibile. Vedere un carro ed un cavallo è stato una gioia per tutti. Godemmo per un attimo della vita e ci rincrebbe veder partire il bell’animale, tosto seguito dal cane che sfuggì alle nostre carezze.

28 febbraio – Fra poco principierà l’offensiva, la seconda fase di questa guerra, la più micidiale, certo. Il nemico è formidabile, agguerrito, preparato, ma non è valoroso e dovrà inesorabilmente soccombere. Giammai la forza deve avere il sopravento sul diritto. Il grande come il piccolo, nazioni od individui, ugualmente debbono essere rispettati innanzo la ragione ed il diritto. Per questo migliaia e migliaia di volontari sono qui convenuti da ogni lontana contrada: individui appartenenti a partiti anche i più avversi al militarismo, e questo appunto per combatterlo, definitivamente por termine al sistema, annientare la forza bruta.

7 marzo – Gli altri sono usciti e non rientreranno che stamattina alle sei. Mi fa pena vederli uscire con questo brutto tempo i miei compagni. Vorrei essere con loro pure stanotte per dividere con essi i pericoli e i disagi.

Trovami solo: ai lati sono gli zaini posti obliquamente in modo che servano da cuscino; i tascapani sopra ogni zaino colle cinghie appesi a legni confitti nel terreno. La nostra metà sezione è di guardia, epperciò la 15^ squadra ha finito il suo servizio, tocca alla mia ora, la 16^. Il sergente ha scelto me per cucinare. Dapprima rifiutai, ma infine obbedire; ciò sarà solo per otto giorni. È un lavoro affatto nuovo per me e vi accudisco con buona volontà. Al mattino scendo nel paese, preparo l’acqua nei pentoloni, macino il caffè, taglio a fette il pane. Alle nove e mezza vengono gli uomini di zuppa e se la portano via con un secchio di vino: ogni tanti giorni si ha il tabacco ed una tavoletta di cioccolatte.

Mangiamo pure noi, poi, in attesa che ritornino le marmitte da prepararsi lavate per la zuppa della sera, si spacca la legna. Questa legna consiste in travi cadute dalle case e che sostenevano i tetti, armadi, sgabelli, sedie; serve tutto purché sia secco, da bruciare.

È tutta roba di proprietà dello stato questa, epperciò nostra. Non si può camminare qua e là nel paese, mentre probabilmente un obice viene a scoppiare vicino. All’ora della zuppa ne piombano sempre, rovistando, distruggendo ogni cosa, demolendo gli ultimi brandelli di case.

In uno spazio di tempo che ebbi ieri libero, corsi a rivedere il cimitero ove sono sepolti i volontari. Ve ne sono molti di italiani, più di quanti supponevo.

Che orrore in quel piccolo camposanto che cinge colle sue mura la chiesa del villaggio. È più rovinato, distrutto che quattro mesi fa, quando lo vidi la prima volta.

15 marzo – Nulla vi è di nuovo e di veramente interessante.. il mio pensiero, più che alla Francia, è costantemente adesso rivolto all’Italia. Il silenzio solenne che ci circonda, molto dice in quest’ora tragica, foriera della bufera che tra poco tutta l’Europa coinvolgerà.

Page 21:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

21

L’Italia nostra entrerà in scena per porsi alfine con gloria nel rango che le spetta, al quale chiamano la natura dei cittadini, la posizione geografica sua, ed acciò anche non si rimanga isolati più tardi, inermi e facile preda dell’invasore.

Ogni italiano deve convincersi che non sale in gloria colui che siede in piuma, dorme sotto coltre e tergiversa con i Turchi.

È l’ora di agire, di rivendicare i sacrifici dei nostri antenati, e Brescia ne conta!... A che pro nel nostro cimitero ogni anno commemorarli con discorsi!Fatti ci vogliono, non parole. Dai loro avelli i martiri dell’indipendenza tendono

l’orecchio, attendono il grido di guerra vendicatore!

16 marzo, Verzenay – Finalmente avemmo una settimana di riposo, ma ce la lasceranno finire, o verremo d’improvviso chiamati e mandati in altro luogo? Sebbene sia domenica, i contadini sono tutti sparsi nei campi a lavorare le vigne, pressati nei lavori che, causa lo stato di guerra, sono quest’anno in ritardo.Piuttosto che nelle loro case, codesta gente preferisce stare fuori, al largo, perché in quelle sono minacciate dal cannone tedesco. La campagna, sì ricca di vigneti, è ora triste e desolata. La povera grigia borgata dove ci troviamo a riposo e che prima della guerra avrà contato cinque o seimila abitanti, ora ne conterà la metà, mentre è tutta brulicante di soldati e di veicoli carichi di vettovaglie e munizioni.Cinque chilometri circa in linea retta dal fronte che si vede, ed il cannone arriva sin qui e laggiù romba cupamente, pressoché senza interruzione.…Siamo a riposo per pochi giorni, ma in che consiste questo riposo? Si dorme sulle assi e sulla paglia, polverizzata dall’uso. Il vantaggio vero consiste nel non trovarsi più a contatto con il terreno umido.Il paese è consegnato e questo vuol dire che non si può fornire né pane né bevande ai militari. Le botteghe per noi sono aperte dalle 17 alle 19.A quell’ora, quieti quieti, ci ritiriamo a dormire e così pure i cittadini, i quali non possono più transitare in nessun luogo, né accendere lumi ecc.È una vita difficilissima anche per le persone civili, molte delle quali, per cause più o meno giustificate, sono mandate all’interno.Parlai ieri con un contadino, il quale si rammaricava di non poter finire gli impellenti suoi lavori campestri e tendendo le braccia mi faceva segno laggiù, ove si vedono le linee bianche ed irregolari delle trincee nostre e nemiche. Mi chiese quando li cacceremo di là.

- Mon ami, je ne sais pas, nous avons besoin du soleil et de la chaleur – risposi.

30 marzo, ore 5 del mattino - Come si potrà scordare questo luogo che da cinque mesi abitiamo, sotterranea città da romanzo? Qui dietro a noi in parte si dorme e in parte si lavora. Noi siamo come i doganieri alle porte della città occulta. Vi sono gli spalti, il filo di ferro spinoso, le reti.

Se qualcuno però si avvicinasse, non si chiederebbe se ha qualcosa di soggetto al dazio. Si può sparare subito senza tema che gli “escargote du trattoir” (detto ironico che vuole indicare gli agenti municipali di Parigi) sopravvengano.

Ad un soldato che, tutto imbacuccato, mi passa vicino chiedo dove va.- Al bistrò – rispose.

Bistrò nell’argot parigino vuol dire liquorista.- È troppo presto, non ha ancora aperto – dissi io.

Infatti è una città curiosetta questa: alle cinque del mattino non si vede un giornalaio, una lattivendola, un erbivendolo, non si ode una campana annunziare il giorno.

Page 22:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

22

Però si sente il profumo grato del caffè. Certo è l’ordinanza di qualche ufficiale che lo sta preparando.

Come i sensi della vista e dell’udito, per l’ininterrotto esercizio, si sono resi più acuti, così l’odorato è più fino, non essendo corrotto da profumi vani.

4 aprile – Il mio tempo è sempre rigorosamente occupato, ed appena ne ho un ritaglio, subito lo impiego. Qui sulla linea, se qualcuno che ne ha volontà potesse rendere visita ai soldati, ne avrebbe la migliore delle impressioni.

Tutti sono coscienti della superiorità morale che hanno acquistato sul nemico che sta di fronte e tutti hanno fede assoluta sulla vittoria finale.

La sorveglianza è maggiore, ci troviamo continuamente in stato di all’erta. Non sembriamo degli uomini, ma dei blocchi di creta, tanto siamo lordi. Il viso, l’uniforme, le mani, sono tutti inzaccherati di fango, il fucile solo è forbito e lucente.

Ma sotto queste croste di terra si avrebbe agio di scorgere una coraggiosa sublime rassegnazione e di sovente del gaio umore. Alla vittoria finale che un’era nuova segnerà nella storia del mondo colle sue conseguenze grandiose, spero contribuirà anche l’Italia nostra, mediante il sacrificio. Questo è l’augurio che invio dalle trincee della Champagne il giorno di Pasqua del 1915.

Ore 21 – Nonostante la vita difficile si godono dei bei momenti. L’altra sera (erano circa le 20) udimmo delle grida concitate alla nostra sinistra. Tendemmo le orecchie, alcuni sporgendo la testa e mezzo corpo fuori dalla trincea. Erano gli zuavi ed i tedeschi che si insultavano a vicenda.

- Sales coches (tedeschi lordi) gridavano i francesi dai loro buchi.- Franzasen caput (francese finito) rispondevano i chiodi.- Venez ici, tetes de cochou – ripetevano ancora i francesi.

Mi divertivo molto a simili complimenti.

Giacché ne ho l’occasione, ti faccio la traduzione della vera storia della marsigliese: certo ti sarà cosa grata l’apprenderla.

(segue la traduzione della storia della marsigliese, inviata da PL Albini all’amico Giovanni Bagni, di Brescia)

13 aprile – Ho la consegna di sorvegliare gli aghi dei binari (les aiquilles) e che nessuno si fermi, sia militare che civile. Sono le due di notte e posso scrivere sul mio taccuino senza tema di essere visto dai superiori. Quando sarà chiaro troverò questo scritto fatto per diritto e per traverso stante l’oscurità: dei segni solamente a me comprensibili.

A destra la linea è stata demolita da alcune cannonate; dormono gli altri nella sala d’aspetto della stazione. In questa sala i cartelli riguardanti il servizio, i viaggiatori, gli orari sono tutti ricoperti di firme ed indirizzi dei soldati tedeschi che furono qui di passaggio.

Fra un momento mi si verrà a mutare, intanto continuo a passeggiare su e giù per gli aghi.

22 aprile – Si vocifera di una prossima partenza, ma questa volta per passare in luogo adatto per un riposo ristoratore e che ci possa rimettere in forze dopo sei mesi di ininterrotta trincea.

Le truppe fresche verranno a darci il cambio e noi probabilmente passeremo a deposito del reggimento a Lione..

Page 23:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

23

Si sussurra pure che andiamo ai dardanelli, altri dicono a Soissons. Di certo infine nulla si sa, però la probabilità della partenza esiste. Dopo tanto tempo mi dispiace lasciare questa località così dilaniata in ogni più recondito luogo e che mi rammenta tanti piccoli episodi, tanto paziente lavoro notturno. Mai come in questo momento mi arrecherà dolore la completa sua demolizione.

24 Aprile – Ed infatti partimmo questa notte per destinazione sconosciuta. Chi ci diede il cambio è stato il 130 ° fanteria.

A Vezeney, sulla strada che conduce alla stazione, si riunirono le quattro compagnie che compongono il battaglione. Tenendo poi la destra, ci portammo a Loudes. Ognuno faceva pronostici sulla località ove saremmo stati probabilmente diretti, ma nessuno la imbroccava giusta, anzi ad unanimità si disapprovava il suo dire. Nubi di polveri sollevavamo al nostro passaggio, sì che presto ne fummo tutti ricoperti. Fatto nuovo per noi questo, perché in trincea non v’è polvere.

Arrivammo a Villers- Allerand dopo essere passati per Chigny e Rilly la Montagne. Già faceva chiaro. Tutta la divisione è partita, ed i battaglioni alloggiano chi in una borgata, chi in un’altra, in attesa evidentemente di ordini superiori. Le compagnie e sezioni si dividono nei solai e fienili.

La mia squadra, più fortunata delle altre, alloggiò nella Comune e precisamente nella Salle des mariages, sala dei matrimoni.

25 aprile – Più non ci si raccapezza: evidentemente si vuol tenere segreta la nostra partenza. Ci si fa passare per di qua (sic), per di là, in ogni luogo e mai si prende una direzione certa. Stamane di nuovo abbiamo dovuto preparare il sacco.

Da Villers- Allerand alla ricca foresta delle Montagnes di Reimis, passammo nelle vicinanze di Germain, ove è una stazione ferroviaria, località nascosta nelle piante come in un imbuto.

Si doveva prendere il treno ed in attesa che si componesse il convoglio sostammo nel bosco ove ci si fece la rivista dei viveri di riserva e delle munizioni.

Addio riposo, che delusione per chi lo desiderava!

27 aprile – Saliti noi, condotte le carrette delle munizioni, dei viveri, dei cavalli ed i muli sui carri del lungo treno, alle 17.20 partimmo da Germain l’altro dì, il 25.

Dopo Epernay si prese la direzione per Parigi ed alcuni che avevano ancora l’illusione di andare a riposo, cantarono l’aria della Traviata:

“Parigi o cara noi ti vedremoLa vita uniti trascorreremoDi tutti i malanni un compenso avremoE la salute ritornerà!

Alle 24 però, quando fummo sulla cintura della capitale, visto che il convoglio non s’arrestava più, e continuava a scorrere rumoroso sulla fitta, intricata ragnatela di linee e aghi senza manco lasciarci vedere la Senna, ci guardammo in viso l’un l’altro, non stupefatti, perché nulla più ormai reca meraviglia.

- Arrivederci riposo! – ripetemmo.I capotreno, i conducenti, i macchinisti ignoravano completamente il nostro

itinerario. Ebbero un foglio di via segreto, si mutarono parecchie volte durante il percorso ed

a tutti era stato inibito di parlare con noi. Dal sacco furono levate la coperta e la tenda, si chiusero gli sportelli del vagone e ben presto fummo addormentati. Uno

Page 24:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

24

dei conduttori pure sonnecchiava in un angolo, avendo a lato disposta sui nostri fucili una lanterna accesa. Giunti ad Amiens, al mattino potemmo finalmente apprendere notizie. Abbiamo visto un convoglio di feriti: un treno di truppe inglesi partì prima di noi. Stante l’ora mattutina, poche persone erano in stazione e ripetevano: “Bon courage, bon courage!”.

Da Amiens fummo diretti ad Etaples, vicino al mare del Nord ed in direzione di Calais; qui abbiamo aspettato lungo tempo in attesa di ordini forse, infine con nuova nostra sorpresa, passammo a Montreuil e di qui, finalmente, a Aubigny en Artois, ove scendemmo dopo ventitré ore di viaggio.

1 maggio – Non si sono alzati ancora, è troppo presto. Delle buone notti sulla paglia secca mi rimettono. Siamo a cinque o sei chilometri dal fuoco. Che piacere poter vivere un poco di libertà! Ecco un villaggio ove ogni finestra è guarnita di fiori e non di fucili, come quello sotterraneo che abbiamo fatto noi fuori di Prunay.

Si può andare e venire all’aria libera, si gioca al foot-ball, si cammina a spalle alte e col viso in su fiutando l’aria imbalsamata di questo primo giorno di maggio.

Non sembrerebbe di essere in guerra, se tante cose subito non conducessero alla realtà al primo sguardo dato in giro.

Un pallone captivo ogni mattina si eleva e serve pe regolare i tiri di artiglieria, i dirigibili e gli aeroplani che vanno e vengono come uno sciame di api uscito dal loro alveare. Descrivono dei voli protettori, se ne vanno inseguiti non poche volte da centinaia di proiettili di cannone, i frammenti dei quali cadono su di noi. Un treno blindato è potentemente armato di artiglieria.

I preparativi s’accentuano. Non è a dirsi che si tratti di un attacco locale, senza dubbio sarà un’azione estesa. Per la comodità del vettovagliamento, i treni arrivano sin qui, sino nel piccolo villaggio ove i pezzi nemici non possono sparare e che si trova proprio nel cuore delle nostre linee. Sono sempre carichi di pane, botti di vino, casse. Trovomi seduto nella mangiatoia della stalla; due coppie di rondini vanno e vengono dalla piccola finestra, hanno fabbricato il loro nido qui, proprio sotto il volto. Una bella mucca forbisce il muso al suo nato.

3 maggio. - È stato gravemente ferito l’amico Luigi Brenna. Mi cadde vicino, ferito nel petto. Aiutato da Gibellino, gli sbottonai le vesti, lo confortai, lo baciai prima che venissero a portarlo via. Il suo primo pensiero è stato rivolto alla famiglia e stamane appena arrivato ho soddisfatto al suo desiderio. Non lo intesi mai cantare e ieri sera unì la sua alle nostre voci, mentre ci recavamo, prima che facesse notte, sul luogo ove il battaglione intero, disposto in fila indiana, scavò una nuova lunga trincea.

Era buono ed amato da tutti, il pensiero rifugge dall’idea, eppure dovrà soccombere, il poveretto! Sono triste pur oggi. La guerra non solo danneggia la salute, ma anche lo spirito.

7 maggio - Da due notti e due giorni il battaglione veglia in prima linea, senza

alcuna tregua di vigilanza e di lavoro. A centoventi metri vi è il nemico: quaranta pali fissi sul terreno, a tre metri di spazio l’uno dall’altro, me ne indicano presso a poco la distanza. Ed ogni notte questa diminuisce per l’ininterrotto lavoro convergente che si opera con badile e piccone. Noi udiamo loro e loro udranno noi e di giorno ci stiamo a fissare attraverso i buchi formati dai piccoli sacchetti di terra. Stanotte udii le grida di un Tedesco ferito da un nostro 75.

Passano sibilando questi proiettili sopra le nostre teste e cadono avanti portando la devastazione e la morte. I frammenti con un tonfo sinistro arrivano sin qui, cadono

Page 25:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

25

vicini a noi, dopo essere stati gettati ad un centinaio di metri nello spazio. Noi le prime volte al loro passaggio istintivamente si abbassava il capo, ma ora più non ci occupiamo, avendo avuto agio di conoscere la precisione del tiro.

A noi invece non si può sparare perché siamo troppo sotto la collina, ma indietro, ed in special modo alla ferme Berthonial, quasi ininterrotto è il cannoneggiamento dalla fumata gialla e cenerognola.

Mi si pose proprio vicino al cadavere di un francese. Che puzzo ne emana! Ancora qualche giorno e poi esso pure sarà sepolto. Ora è impossibile.

Aguieres, ore 17 dell’8 (maggio) – Fummo provvisti d vettovagliamento per tre giorni e di munizioni doppie. Gli altri tre battaglioni sono sul fronte e noi ritornammo qui a riposo, riposo che però nessuno osa sperare di poter avere, poiché probabilmente si parte questa notte stessa. Seppi che l’attacco doveva principiare la notte scorsa, ma la pioggia caduta rende il terreno inadatto. Vi è un fermento straordinario nella nostra divisione: di artiglierie, di uomini, di ogni cosa.

Est Mont- S.t Eloy, 9.30 del 9 maggio –Partimmo da Aguieres alla mezzanotte credo e senza alcuna fermata intermedia arrivammo qui. Una trincea è stata fatta da lungo tempo a ridosso di questa viuzza che conduce al paese, la quale poi si divide, conducente l’altra, quella a destra, alla ferme Berthonial. Qui ci occultiamo per essere al riparo delle artiglierie nemiche in caso avessero intenzione di cercare e distruggere le nostre.

Strano, però, nonostante tutto questo bombardamento, non una cannonata fu qui rivolta.

Che le batterie siano state abbattute?L’attacco è incominciato un’ora e mezza fa. Gli orologi dei superiori segnavano

tutti la medesima ora: le otto.Dapprima qualche 75 nascosto intorno alla chiesa sembrava volesse suonare la

diana al posto delle campane ruinate a terra colla torre, ma a poco a poco si moltiplicano le formidabili detonazioni, i sibili e gli ululati spaventosi delle artiglierie di grosso calibro, che, dietro disposte, come immenso innaffiatoio, vomitano dalle loro bocche zampilli di acciaio e fuoco. Nessuno di noi mai ha assistito ad un fatto simile. Di qui si vedono saltare all’aria le opere bianche cosiddette perché biancastre, le quali sulla cresta formano una corona unica di bastioni e di trincee.

Le allodole, arpe locali, non si odono più.Ci è stato inibito di alzarci e guardare avanti, ma chi obbedisce? Alla minima

disattenzione dei superiori, mettiamo fuori il naso e poi giù in fretta nuovamente rannicchiati. È troppa la curiosità e l’impazienza di dover combattere.

Ospedale di Sens, 17 maggio – Ho la mente torbida: confusamente mi passano per la memoria i ricordi della giornata del 9 e seguenti. La testa sembra una locomotiva sotto pressione, eppure già sono passati otto giorni. Una suoneria, un ronzio ininterrotto mi frulla alle orecchie. Mi sembra intendere un continuo, importuno canto di cicala.

Così le spalle e il petto mi recano più dolore che la ferita alla gamba.Sebbene mi sia molesta l’occupazione della mente, a poco a poco intendo

ricostruire i fatti, prima occupandomi dell’azione generale, finché ne feci parte, poi parlando di me, allorquando, ferito, mi trovai solo sul terreno, circondato da altri invalidi, morti o feriti. È alla fattoria Berthonial che vedemmo i primi prigionieri,

Page 26:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

26

circondati da alcune sentinelle. Erano lordi e confusi, istupiditi dal bombardamento. Usciti da questo locale, infilammo nuovamente i nostri corridoi; qui il cammino diventò malagevole perché si lasciava il passaggio ai feriti che principiavano ad essere evacuati dalle posizioni.

Altri battaglioni erano avanti a noi: l’artiglieria efficacissima aveva aperto a loro la via, demolendo completamente ogni impedimento. In ordine sparso, mentre non siamo visti, lentamente si passa sulle trincee entro le quali si vedono sotterrati dal bombardamento i cadaveri tedeschi. Qui la collina declina, epperciò siamo in vista; principiamo così a miagolare le prime palle. Avanti circa settecento metri v’era un’interminabile, irregolare fila di punti neri, sul terreno ondulato.

Era la prima linea. A destra e a sinistra le code si prolungavano a perdita d’occhio. Il nemico resisteva ancora e continuava a tirare.

Eccoci così, dopo una breve corsa, sulla nazionale Betlemme (Bethuine?)- Arras. Le opere bianche sono lontane, dietro noi. Chi si getta sulla cunetta adiacente alla strada, chi si ripara accostandosi ai mucchi di ghiaia, altri si fanno proteggere dai grossi olmi che in doppia fila ornano il viale. Alla nostra diritta abbiamo un gruppo di case, denominato “la targette” e più su, circa un chilometro, Neuville- saint Waast.

Il battaglione di testa ha salito la cresta e manda indietro tutto ciò che incontra. Gli altri proteggono. Incominciano anche da noi i primi morti e i primi feriti. Non importa! Si continua, si raddoppia l’ardore.

Ci guardammo l’un l’altro. A destra, gettato a terra, avevo il luogotenente comandante la sezione e a sinistra il caporale. Chi avrebbe supposto che di noi tre, nessuno sarebbe stato illeso?

“Quarta sezione avanti, in direzione delle pile di paglia, ma non tutti insieme: uno, due, tre alla volta e sparsi” grida il luogotenente. La lotta è dura sul terreno a pendio e grandi cunette, però si guadagna e si raggiungono gli altri, di venti in venti metri, a piede a piede. L’artiglieria che subito seguì i nostri movimenti fu efficacissima, così pure esemplare l’unione e soprattutto lo slancio del primo battaglione uscito, il quale teneva alle sue ali i tirailleurs algerini e gli zuavi.

I superiori diedero il buon esempio, dimostrando ai soldati le loro qualità di coraggio.

Tale è stata la fisionomia della giornata e delle operazioni di domenica 9 maggio, sino al momento che (sic) fui ferito, cioè circa alle ore tredici.

Dopo ignoro tutto, non sono a conoscenza dei dettagli, solamente posso dire ciò che successe a me: però i risultati avuti sono molti e soddisfacenti nonostante debbano contare delle perdite ed in special modo negli ufficiali.

Il generale di brigata che si era portato avanti alle sue truppe, ebbe il petto attraversato da una palla. Il colonnello, tre comandanti di battaglione, il mio capitano feriti o morti: il mio luogotenente ferito, il caporale morto.

Dei compagni ignoro la sorte, Bergev so che è pure morto. Ebbi agio di constatare l’inutilità del sacrificio dei superiori. Questi, per impartire gli ordini, ed anche per dare il buon esempio, molte volte si rialzano dal suolo. È allora che una scarica subito li raggiunge, perché in quel modo sono riconosciuti dal nemico, già all’uopo istruito.

L’esercizio di passarsi gli ordini l’un con l’altro ed in fretta esiste, ma molte volte non è messo bene in pratica, e da questo deriva che bisogna ripetere l’ordine e di conseguenza ne vengono mali che possono decidere delle sorti di un conflitto. Sostammo poco alle pile di paglia: la prima linea scompariva al di là della nuova cresta e noi dovevamo unirci ad essa; epperciò più che loro, avanzammo in fretta. Continuo fruscio come di frecce invisibili. Ma qui due palle quasi

Page 27:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

27

contemporaneamente mi colpirono senza però ferirmi, anzi, la prima non mi produsse che semplice bruciatura di pelle. Questa si fermò nella larga fascia celeste che cinge il ventre, mentre la seconda, passando sul dorso, mi scorticò superficialmente le natiche. Dapprima credetti d’essere ferito in malo modo, epperciò stetti sul posto onde curarmi. Col minuscolo badile continuavo a rialzare la zolla di protezione gettando la terra ai lati dello zaino posto davanti.

Alla mia diritta un caporale era ferito e completamente allo scoperto, come pure molti altri intorno. Lo chiamai facendo segno che venisse; scivolò a stento, carponi, avanti a me: era pallido, quasi giallo. Nella foga del lavoro scordai di essere ferito, passai la mano sotto e premetti. Non mi feci gran male; pensai allora di dover andare avanti constatando che era più l’impressione che il malanno. Salutando il caporale gli dissi di non muoversi da quel posto finché non venivano a prenderlo e che intanto era relativamente al sicuro.

Due notti e un giorno e mezzo passò fuori anche lui come me prima d’essere raccolto. Diedi in fretta uno sguardo agli altri che si contorcevano sul terreno e chiedevano insistentemente acqua e di corsa mi portai avanti, raggiungendo gli altri che si sono uniti al grosso delle truppe.

Ma come si può correre collo zaino tenuto colla mano sinistra all’altezza dello stomaco per poterlo proteggere, col fucile nella destra, il manico della pala in bocca, il tascapane pieno di munizioni, la baionetta ed il bidone che saltella ai fianchi!

Gettatomi a terra, principiai a fare il lavoro di poco prima: gli altri già venuti sparavano. Col corpo e le gambe a contatto del ventre formavo come un grosso 4.

Poco dopo, principiavo a trovarmi a mio agio, la preoccupazione principale era di approfondire piuttosto che allargare per potere trovarmi al più presto al riparo degli shrappels se ne fossero capitati.

Proiettili di grosso calibro già ne giungevano, perché i cannoni che mandavano quelli non avevano ancora mutato posizione.

Le palle pure ci passavano sopra innumerevoli. Il parapetto si alzava, la buca si approfondiva, stante il terreno buono, soffice. Ma non doveva continuare così poiché, quasi inavvertita, presto una nuova scarica si sprofondò avanti a me, tre metri circa di distanza.

Non vidi né udii nulla, rimasi sepolto nel mio piccolo rettangolo, sotto la terra, rovesciatami intorno dalla granata che mi giunse. Non so quanto tempo rimasi là sotto, non mi orientai, svegliandomi, il cervello sembrava non funzionasse, ero intontito, avevo un brusio nell’orecchio simile a quello di un alveare lontano.

Il corpo era indolenzito in ogni parte, lo stomaco e le spalle in particolare modo sembrava fossero stati schiacciati da un peso enorme, eppure non sentivo nulla. Il covo fatto dalle granate lo vidi a due metri. Niuna scheggia, né pallottola ebbe efficacia, fortunatamente su di me, solo la piccola ferita alle natiche bruciava.

Mi scossi infine come per aggiustare le ossa, che sembrava fossero contorte e guardando attorno conobbi la situazione grave nella quale mi trovavo. Strisciai colla destra sul suolo, prendendo il fucile, pur quello tutto ricoperto di terra, indi sollevandomi riguardai la buca fatta dal proiettile.

In questa enorme scodella, pensai, sono bene al riparo. E passai infatti sul ciglio, ma, mentre sto per saltare dentro, ecco che una terza palla, come un piccolo filo di ferro rovente mi attraversa repentinamente la gamba sotto al ginocchio.

È qui che commisi un’imprudenza, la quale per poco non mi costò la vita.Trovatomi così malconcio, il primo pensiero è stato quello di portarmi fuori dalla

linea di combattimento, e il più presto possibile: ma come fare con la gamba che mi penzolava morta e le spalle indolenzite?

Page 28:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

28

Avrei dovuto ripararmi nel mio buco, ma il pensiero di una ritirata, l’istinto della salvezza, la tema d’essere fatto prigioniero dai tedeschi io, che sono italiano, mi si affollarono nella mente; non stetti a fare ragionamenti e risolsi immediatamente d’andarmene, come potevo, naturalmente.

Ero venuto di corsa e dovetti tornare carponi. Sbarazzatomi di ogni cosa ingombrante, principiai ad aggrapparmi al terreno, ad ogni gruppetto d’erba: mi stiravo passando avanti un braccio e poi l’altro, una gamba e poi l’altra che mi dolorava. Come non sia stato più ferito, io non lo so, poiché le palle cadevano qua e là, come precisamente fa la grandine frammista ad un acquazzone. Avrò fatto un trecento metri in quel modo, ma quanto tempo vi impiegai!

Infine, alle pile di paglia mi sono riparato e fasciato la ferita dopo aver tolto i calzoni e le mutande.

Tutta quella notte ed il giorno appresso rimasi là senza che alcuno venisse a portarci via. Altri feriti erano vicini a me e più gravi. Non si rendevano conto della posizione nostra pericolosa. Pur io avevo una forte febbre ed una sete straordinaria. Nel pomeriggio del 10 alcuni soldati portarono sulle braccia un comandante di battaglione ferito. Venne deposto vicino a noi, mentre io nel frattempo osservai che alcune truppe indietreggiavano e udii anche gridare: “retraite”.

Son bell’e spacciato – allora pensai – passerò nelle mani dei Tedeschi se non resto qui sul posto ucciso.

Quando poi vidi che in fretta portavano via il comandante di battaglione del 156° fanteria, ne fui più che persuaso. I commilitoni ai lati non fiatavano, erano tutti rossi per la febbre ed avevano l’occhio sonnolento. Provai ad alzarmi, non potevo, mi sentivo impallidire. I soldati che scappavano indietro prendevano un poco di respiro e poi giù di corsa un’altra volta. Fremevo di collera.

Che debba essere fatto prigioniero dopo tanto tempo che sono ferito, dopo vent’otto ore? – dicevo tra me indispettito.

Riunii tutte le forze di corpo e di spirito ed invece di camminare appoggiato ad un fucile, feci come il giorno prima, mi mossi ginocchioni.

Soffrivo, ma andavo però, e mi allontanavo; il sole era ancora alto e chissà che due soldati della croce rossa non mi vedessero e mi trasportassero. Ma mi vide invece prima qualche tedesco, da qual parte io non so.

Sparavano ed io vedevo le piccole nuvolette alzarsi dal terreno. Mi portai sempre rasente terra, strisciando come una biscia, nella carreggiata più bassa per essere meno visto. Avevo fatto intanto circa ottanta metri ed ero già stanco, ma risoluto ad allontanarmi di là, a costo di qualunque sacrificio. Avanti parecchie decine di metri c’era un morto.

Meno male –– costui è stato uno dei primi a rimanere ucciso ed avrà il bidone dell’acqua quasi intatto”.

La sete che mi divorava, e la speranza di avere dell’acqua, mi procurarono le forze per continuare. Udivo ancora il tonfo di proiettili divenuti più rari, mentre andavo colla guancia rasente il suolo, ma non vedevo ove cadevano: nemmeno più vi facevo caso. Ero esaurito.. nella cunetta sotto gli olmi della strada Betlum-Arras vi erano dei tirailleurs gettati ed in attesa di passare avanti. Un sergente mi disse di restare presso loro, ma io avevo sete e fissavo il morto che avrei presto raggiunto. Vidi le cartucciere, il fucile, lo zaino che teneva ancora sul dorso. Non sembrava morto, era ginocchioni e curva la fronte sulle braccia, come un turco in preghiera. Vidi il tascapane a lato, ecco la cinghia del bidone, ma… e il bidone? Quello con un coltello era stato tagliato via da un altro che prima di me era passato.

Page 29:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

29

“Schwangers” vidi stampato sopra una tavoletta di legno all’angolo di un corridoio poco lontano. Ebbi la forza di condurmi entro quello, ove mi gettai estenuato. Che brutti momenti ed in qual luogo infelice mi ero portato!

I tirailleurs, che facevano il servizio delle munizioni, dovevano passare per di là e così intercettavo il passo a loro che avevano fretta.

Essendo il corridoio a zig zag, carichi e frettolosi, trovavano in me che sonnecchiavo dalla febbre, intoppo grave, poiché anche gli altri dovevano fermarsi.

Impossibile restare là; intanto sul fronte non s’era alcuna tema di ritirata, anzi come il girono prima avanzavamo.

Era stata una falsa notizia, come è facile se ne divulghino sempre trovino fautori che le propaghino. Mi ero proprio accostato ad una nostra batteria ed un cannone di grosso calibro qua e là la cercava.

Oh, le grosse marmittacce che piombarono intorno per due ore!Infine si fece notte: pregai alcuni soldati ed anche una coppia di ufficiali di riferire

che mi si venisse a prendere in quel luogo nascosto.Ma chi si cura di un ferito mentre più ferve il conflitto?Prima il servizio, la vittoria, poi si penserà a quelli che sono sul campo. Infatti è

giusto.Mi raccolsero alle tre del mattino del seguente giorno 11, e cioè 38 ore dopo che

fui stato ferito. I soldati che mi avevano visto non si erano scordati di indicare a chi spettava ove io erami riparato.

Ed adesso sono qui nell’ospedale di Sens, circondato da quattro muri che immagino di uno spessore enorme. Vedo dei tetti attraverso le sbarre di ferro della mia finestra. Io che sono abituato al sole, all’aria, alla luna, alla pioggia trovomi qui a dovervi restare per lungo tempo!

Attendo che la gamba mi obbedisca per poterla condurre ancora sul fronte.

24 maggio - “L’Italie marche”. Con lieto viso mi si annuncia l’entrata in guerra dell’Italia.

Ogni quarto d’ora entra qualcuno e mi riferisce la medesima cosa. Sanno che ne sono a conoscenza, pure per attestarmi la loro letizia, il loro compiacimento, vengono e ripetono “Vive l’Italie, vive les allies”. Sono orgoglioso di questo atteso gesto della Patria e non so nascondere il mio contento, ripetendo nel contempo ai cortesi visitatori che per me non è un fatto inatteso, che non ne avevo dubitato mai, conoscendo da lunga data come il popolo italiano abbia sempre nutrito simpatia per la Francia, mentre non ne ebbe mai per l’Austria.

Quando poi sono solo, penso che sarebbe pur una bella cosa poter essere, in questo momento tragico per il mio paese, sotto il suo vessillo.

Con ansia attesi fino ad oggi l’annunzio della dichiarazione delle ostilità, ed ora che la guerra esiste veramente, ne ho quasi dispetto, ne sono pressoché dolente in considerazione dello stato in cui mi trovo.

Odo quelli che passano sotto nella via parlare dell’Italia, sento il fischio di una locomotiva alla stazione poco distante e le grida di molte persone. Già immagino che quel convoglio è carico di italiani rimpatrianti, come appresi dal giornale che ne diede l’annuncio stamattina.

Penso alla locomotiva, ai carri adorni di fronde e di fiori, di bandierine italiane e francesi; ed io trovomi qui, vi dovrò restare per lungo tempo ancora. Chissà però che prima di allora non mutino le cose, che si conchiuda un cambio di truppe e così lascino passare pur noi.

Che entusiasmo susciterebbero gli zuavi in Italia, a Trento e Trieste ed i bersaglieri nostri in Alsazia, nella Lorena, nel Belgio…

Page 30:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

30

Monsieur Maurice Barris de l’Academie francaise, Paris. ça fait presque deuse semaines que je Vous ai ecrit et le meme jour ai ecrit à la personne de notre connaisance .

Je voudrai vous demander si vous avez expliqué notre cas.Je suis en correspondance avec des italiens qui sont dans les ospiteaux blessés;

quand notre guarison serà finie, nous experons de rentrer dans notre patrie, qui appelle tous ses fils: c’è la meilleure recompense des notres blessures.

ça me fait beaucoup de peine de me voir dans un lit et mon pays en guerre…On peut faire une echange des troupes. Quel enthousiasme pour les peuples, pour

les soldats.Pouvoir voire les fils des zouaves de Solferino en Italie, à Trieste, à Trento et les

bersaglieri ici en France, dans l’Alsace- Lorraine ou en Belgique!Vous avez du coeur et vous comprenez cette choseTres Votre devouiéP. Luigi Albini 19008 M.le – A’ Sens 8 Juin 1915

24 giugno – Avignone ore 17.45 – Palazzo dei papi – Chiesi al sergente di guardia di lasciarmi passare sotto l’atrio ed entrare nella corte. Accondiscese subito. Trovansi ancora dentro alloggiati militari delle diverse armi: fanteria, marina, artiglieria, genio.

Vidi un artigiano che con polso sicuro lavorava con delle pietre che dovranno restaurare i fianchi dell’edificio.

Si chiama pietra di S.te Remy, in Provenza, alle bocche del Rodano ed è della medesima qualità di quella antica che servì a costruire il palazzo.

Sebbene in stato di guerra – dissi a lui – non si trascura l’arte . Rispose che non si ha mai finito. Rimarginata una ferita antica, se ne apre un’altra.Come furono contente di vedermi le poche famiglie di Avignone che conobbi

dieci mesi orsono e come sono spiacenti delle mie ferite!!!

Villanuova (di san Daniele del Friuli) Settembre (1915)

Venni congedato dall’esercito di Francia , fu accolta la mia domanda e ritornai in Italia dopo quasi un anno a Ciliverghe. Per alcune settimane stetti in famiglia, indi mi arruolai nel 7° reggimento bersaglieri a Brescia.

Ma mi si fece camminare e correre troppo, la parte ferita si gonfiava e dovetti chiedere una nuova licenza di convalescenza che mi venne subito concessa. Però constatai che andando in bicicletta la parte malata non mi faceva male ed è perciò che più tardi, sapendo esservi stato richiesta di bersaglieri ciclisti che avrebbero dovuto passare al fronte, mi presentai di nuovo per essere aggregato a tale reparto.

Dopo qualche giorno mi trovai qui a Villanuova di San Daniele del Friuli, ove è accampato il 7° battaglione di bersaglieri ciclisti.

Appena giuntovi, i superiori vennero a conoscenza delle mie avventure, dimostrandosi lieti di ciò. Il comandante del battaglione, dopo soli otto giorni, mi promosse caporale; promozione questa che mi giunse grata quanto un elogio.

Anch’io però mi adoperai onde non farmi conoscere pigro, sebbene in verità tutte queste esercitazioni mi affatichino non poco.

Ora le mie note non apparterranno più al presente diario, ne scriverò probabilmente delle altre sopra un terzo, quello d’Italia.

Page 31:  · Web viewLa stanza in cui mi trovavo era la cucina di una casetta civile che, per essere più delle altre dei dintorni riparata, era stata trasformata in locale di primo soccorso.

31