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Introduzione La presente tesina si propone, avvalendosi del corso di Storia delle istituzioni politiche II 1 della Professoressa Manca, di elaborare una sintesi critica e complessiva di tre testi che, prendendo in considerazione realtà statuali diverse, vogliono tutti in ultima analisi evidenziare i caratteri innovativi del costituzionalismo europeo del Novecento. 2 La prima sezione della tesina, che si compone dei primi due paragrafi, si propone una rilettura del primo dei testi qui esaminati, quello di Silvio Gambino e Maria Rizzo, 3 il quale fornisce una panoramica generale dei fondamenti dello Stato liberale del XIX secolo e una sintesi di quelli che sono stati rispetto ad esso i princìpi nuovi che hanno ispirato le Costituzioni del primo e del secondo dopoguerra. In particolar modo questo testo verrà usato come spunto per comprendere la genesi, l’articolazione e soprattutto gli aspetti innovativi della Costituzione di Weimar in rapporto allo Stato liberale ottocentesco. La seconda sezione tematica, comprensiva dei paragrafi dal terzo al settimo, vuole indagare i punti chiave dello studio di Maurizio Fioravanti, Costituzione e popolo sovrano, cercando di 1 I paragrafi della tesina non specificatamente corredati di note che rimandino ad una fonte testuale precisa sono stati scritti sulla base della riflessione condotta sulle lezioni del corso. 2 I tre testi di cui mi occuperò e che sono citati anche in bibliografia sono: S. GAMBINO, M. RIZZO, Le costituzioni del Novecento, in A. VITALE (a cura di), Il Novecento a scuola. Un ciclo di lezioni , Donzelli, Roma, 2001, pp. 155-207; M. FIORAVANTI, Costituzione e popolo sovrano. La Costituzione italiana nella storia del costituzionalismo moderno , Il Mulino, Bologna, 2004; infine, G. GOZZI, L’esperienza costituzionale tedesca dalla costituzione di Weimar alla Legge fondamentale di Bonn, in MAURIZIO FIORAVANTI, SANDRO GUERRIERI (a cura di), La Costituzione italiana, Carocci, Roma, 1999, pp. 247-270. 3 Vedi nota precedente. 1

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Introduzione

La presente tesina si propone, avvalendosi del corso di Storia delle istituzioni politiche II1 della

Professoressa Manca, di elaborare una sintesi critica e complessiva di tre testi che, prendendo in

considerazione realtà statuali diverse, vogliono tutti in ultima analisi evidenziare i caratteri

innovativi del costituzionalismo europeo del Novecento.2

La prima sezione della tesina, che si compone dei primi due paragrafi, si propone una rilettura

del primo dei testi qui esaminati, quello di Silvio Gambino e Maria Rizzo,3 il quale fornisce una

panoramica generale dei fondamenti dello Stato liberale del XIX secolo e una sintesi di quelli che

sono stati rispetto ad esso i princìpi nuovi che hanno ispirato le Costituzioni del primo e del

secondo dopoguerra. In particolar modo questo testo verrà usato come spunto per comprendere

la genesi, l’articolazione e soprattutto gli aspetti innovativi della Costituzione di Weimar in

rapporto allo Stato liberale ottocentesco.

La seconda sezione tematica, comprensiva dei paragrafi dal terzo al settimo, vuole indagare i

punti chiave dello studio di Maurizio Fioravanti, Costituzione e popolo sovrano, cercando di

analizzare, in accordo con il ragionamento condotto dal noto costituzionalista, l’orientamento

delle discussioni della Costituente italiana, nonché i fini da essa perseguiti nella formulazione di

alcuni degli elementi chiave della Costituzione del 1948, soprattutto in materia di sovranità

popolare e del rapporto fra quest’ultima e la Costituzione stessa. In merito al concetto di “popolo

sovrano” Fioravanti mette in luce la forte continuità della cultura dei costituenti con la tradizione

dello Stato parlamentaristico - liberale, la quale identificava nel Parlamento, organo legislativo

supremo, nonché luogo privilegiato di espressione della sovranità popolare e della volontà

generale.

Infine, nell’ottavo paragrafo, coincidente anche con la terza ed ultima sezione della tesina, si

prenderà in considerazione il testo di Gustavo Gozzi,4 cercando di cogliere quali debolezze della

Costituzione di Weimar si cercò di correggere nell’elaborazione della Grundgesetz di Bonn.

1 I paragrafi della tesina non specificatamente corredati di note che rimandino ad una fonte testuale precisa sono stati scritti sulla base della riflessione condotta sulle lezioni del corso.2 I tre testi di cui mi occuperò e che sono citati anche in bibliografia sono: S. GAMBINO, M. RIZZO, Le costituzioni del Novecento, in A. VITALE (a cura di), Il Novecento a scuola. Un ciclo di lezioni, Donzelli, Roma, 2001, pp. 155-207; M. FIORAVANTI, Costituzione e popolo sovrano. La Costituzione italiana nella storia del costituzionalismo moderno, Il Mulino, Bologna, 2004; infine, G. GOZZI, L’esperienza costituzionale tedesca dalla costituzione di Weimar alla Legge fondamentale di Bonn, in MAURIZIO FIORAVANTI, SANDRO GUERRIERI (a cura di), La Costituzione italiana, Carocci, Roma, 1999, pp. 247-270.3 Vedi nota precedente.4 Il testo è citato supra, nota 2.

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1. Il passaggio dallo Stato liberale alle Costituzioni degli anni Venti del

Novecento

Il potenziale innovativo del costituzionalismo novecentesco prende le mosse dalla crisi dello

Stato liberale, non più adeguato, a partire dalla fine del XIX secolo, ad assorbire le nuove forze

politiche e sociali emergenti, e non più in grado di arginare la politicizzazione delle masse, che nel

partito socialista ed in quello cattolico avevano trovato proprie forme di organizzazione ed

emancipazione.5

La forma di Governo dello Stato liberale coincideva con la monarchia costituzionale, che

escludeva forme di concentrazione del potere, nella misura in cui il monarca divideva la potestà

legislativa con un Parlamento elettivo, organo impersonale che a livello di principio rappresentava

la volontà generale, ed era lo strumento della sovranità del popolo.6 Lo Stato liberale era regolato

dalla legge, e pertanto da essa legittimato; il suo principale limite consisteva nel riconoscimento

dei diritti dell’uomo, che il Parlamento era chiamato a garantire. Lo Stato era chiamato ad

assicurare la protezione della libertà e della proprietà dei singoli, rimanendo totalmente estraneo

agli accordi di tipo economico occorrenti fra gli individui e per questo definito “agnostico”,

“neutrale” e “non interventista”.7

Lo Stato liberale, che in linea teorica proclamava la libertà e l’uguaglianza di tutti, alla prova dei

fatti, tuttavia, si configurava come il braccio secolare della borghesia mercantile ed

imprenditoriale, vòlto a sostenere l’espansione dei ceti detentori delle forze economiche, e

avallando il loro dominio. Lo Stato borghese, infatti, assumeva come unica diversità tra i suoi

cittadini quella economico - giuridica, non riconoscendo né bisogni sociali che non si esplicassero

all’interno della logica economica e di mercato, né soggetti che non fossero riconducibili entro la

dialettica sociale borghese. Così facendo, si istituivano, paradossalmente rispetto al dichiarato

intento liberista di non indirizzare il sistema economico del Paese, le precondizioni necessarie per

lo sviluppo di un ben determinato ordinamento economico: il capitalismo. Lo Stato, soltanto in via

presuntiva astratto e universale, finiva, attraverso questa via, per essere vincolato ai rapporti di

produzione, perpetuando il potere politico della borghesia. Questa classe sociale risultava

egemone anche dal punto di vista politico, se si tiene presente che ancora sul finire del XVII secolo

il Parlamento inglese era eletto a suffragio ristretto, e gli aventi diritto al voto erano selezionati

5 GAMBINO, RIZZO, Le costituzioni del Novecento, cit., pp. 162-164.6 Ibid., p. 161.7 Ibid., pp. 157-158.

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sulla base di criteri censitari molto rigidi, dando vita ad una rappresentanza parlamentare

eminentemente borghese. Limitando i diritti politici e non conoscendo ancora quelli sociali, di

fatto lo Stato liberale creava una società di ineguali, che di lì a poco non avrebbe assorbito il

contraccolpo derivante dall’incipiente politicizzazione delle masse, aperte al rinnovamento

democratico. Sull’imbrunire del XIX secolo alla democrazia di stampo liberal - parlamentare

subentrò una democrazia di massa, che trovava la sua anima in quelle associazioni di cittadini

politicamente attivi, che fecero dello Stato lo “Stato dei partiti”.8 A fronte di tali radicali

trasformazioni socio - politiche si profilava, quindi, anche l’esigenza di uno Stato che non fosse più

minimale nei suoi interventi, ma che applicasse misure concrete a favore dei ceti non possidenti,

devastati dalla rivoluzione industriale.

Un tentativo di superamento dello Stato liberale, monolitico e discriminatorio, fu rappresentato

dalla Costituzione di Weimar, firmata dal Presidente del Reich, Ebert, il 14 agosto 1919. Questa

Costituzione si propose, infatti, di adeguare lo Stato liberale del XIX secolo alle esigenze dello Stato

pluriclasse del XX, introducendo quei princìpi di eguaglianza, che stanno alla base di una moderna

società democratica. Weimar sancì anche il moltiplicarsi dei centri di potere, con lo scopo precipuo

di sottrarre la concentrazione del potere alle mani del Kaiser e del Bundesrat, titolari fino ad allora

del potere esecutivo, ma che avevano condotto la Germania alla guerra e alla disfatta militare.

Prima di inoltrarci in quelli che sono gli aspetti più innovativi della Costituzione di Weimar,

bisogna premettere qualche cenno sul nuovo periodo che si aprì nella politica alla fine della prima

guerra mondiale. Le Costituzioni del Primo Novecento videro come protagonista il ceto colto dei

giuristi, che impose la tendenza a contenere attraverso formule giuridiche la forza eversiva del

potere, manifestatasi attraverso le sedizioni popolari, seguite alla fine della guerra in Germania

come in Austria. Inoltre, al fine di evitare il conflitto latente che si era manifestato spesso nel XIX

secolo tra monarca e Parlamento, e che si era risolto di volta in volta in termini politici a favore di

quella che in quel momento risultava la forza più vigorosa, si volle altresì giuridicizzare il conflitto

tra le istituzioni, trovando soluzioni normative già nella Costituzione. I giuspubblicisti della prima

metà del Novecento mirarono a conferire al sistema politico una certa stabilità istituzionale. Un

ulteriore elemento caratterizzante le Costituzioni degli anni Venti si può individuare

nell’introduzione del sistema parlamentare. Questa forma di Governo non implicava soltanto che il

Parlamento fosse al centro della vita politica. In primo luogo, infatti, il Parlamento trovava una

nuova e più larga legittimità, divenendo la rappresentanza di tutto il popolo attraverso il suffragio

8 Ibid., pp. 159-165.3

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generale; in secondo luogo, il Parlamento non significava il dominio di una massa indifferenziata di

deputati, ma al suo interno doveva essere articolato secondo il principio della maggioranza;

inoltre, il sistema parlamentare implicava il primato dell’esecutivo: il fine ultimo dell’elezione

dell’Assemblea legislativa era la creazione di un Governo, il quale non ricopriva compiti di mera

esecuzione, ma doveva creare il contesto normativo adatto alla realtà in cui le leggi dovevano

essere applicate, ed era legittimato dal popolo, in quanto derivante dalla maggioranza del

Parlamento. Infine, i giuristi che propendevano per un sistema parlamentare di Governo

ritenevano opportuna al contempo la presenza di una figura di un Capo di Stato forte, che

prendesse in mano la situazione nel momento di difficoltà dell’assemblea legislativa. Ma ora

vediamo più nel dettaglio la concretizzazione di questi aspetti nella Costituzione di Weimar.

La democrazia weimariana era effettivamente rappresentativa, perché non si infrangeva sui

requisiti di censo e di istruzione, che impedivano la partecipazione di tutti i cittadini alla vita

politica. La costituzione di Weiamr si inseriva pienamente nella tradizione della sovranità popolare,

presentandosi come il frutto della riappropriazione da parte del popolo della sua sovranità: 9 a

differenza delle Costituzioni delle monarchie costituzionali ottocentesche, che erano state

concesse dal sovrano (Costituzioni “ottriate”), la Costituzione tedesca del 1919 era, al contrario,

espressione della volizione cosciente del popolo sovrano,10 in quanto il soggetto costituente era

dato dal popolo ed il mandatario dal Parlamento.

La Costituzione di Weimar rappresentava anche il tentativo di razionalizzare la forma di

organizzazione statale attraverso un dualismo equilibrato fra due centri di autorità, entrambi eletti

direttamente, e quindi legittimati dal popolo: il Reichstag, in cui si riflettevano gli interessi del

Paese, ed il Presidente del Reich, che aveva la funzione di compensare gli effetti negativi del

parlamentarismo. Durando in carica 7 anni, 2 anni in più rispetto al mandato del Parlamento, il

Reichspräsident rappresentava anche la continuità della nazione. Era previsto anche un organo

esecutivo, legato alla fiducia del Parlamento, nella misura in cui doveva godere sempre

dell’appoggio della maggioranza parlamentare.11 L’esecutivo di Weimar non era più

semplicemente il braccio operativo che applicava le leggi del Parlamento, ma diveniva anche

titolare del potere di determinare gli indirizzi politici.12

9 Art. 1: “Das Deutsche Reich ist eine Republik. Die Staatsgewalt geht vom Volke aus”.10 GAMBINO, RIZZO, Le costituzioni del Novecento, cit., p. 174.11 Art. 54:

“Der Reichskanzler und die Reichsminister bedürfen zu ihrer Amtsführung des Vertrauens des Reichstags. Jeder von ihnen muß zurücktreten, wenn ihm der Reichstag durch ausdrücklichen Beschluß sein Vertrauen entzieht”.

12 Art. 56, Absatz I: “Der Reichskanzler bestimmt die Richtlinien der Politik und trägt dafür gegenüber dem Reichstag die Verantwortung”.

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Il capo del Governo suggellava la validità degli atti presidenziali attraverso l’istituto della

controfirma, e si rendeva responsabile della condotta del Presidente di fronte al Reichstag.13 Nel

caso di mancato funzionamento del Parlamento, il Presidente era investito dall’articolo 2514 del

potere di scioglierlo: ecco una delle vie attraverso le quali la figura di un capo di Stato forte, tanto

voluta dalla componente liberale di Hugo Preuss al momento dell’elaborazione della Costituzione,

compensava gli effetti negativi del parlamentarismo.

In sintesi, la Costituzione di Weimar realizzava quello che si può considerare il potenziale più

innovativo delle Costituzioni novecentesche: la ricerca di forme razionalizzatrici dei rapporti tra gli

organi dello Stato. A dispetto delle Costituzioni dell’Ottocento, caratterizzate da uno squilibrio di

potere fra il Parlamento da una parte, ed il monarca (che deteneva in modo autonomo il potere

esecutivo e che condivideva con il Parlamento quello legislativo) dall’altra, subentrava ora un

rapporto bilanciato fra i due poteri. Nel caso specifico di Weimar si rimetteva al capo dello Stato il

ruolo funzionale alla risoluzione dei conflitti tra le istituzioni.15 Altri aspetti che evidenziano la

modernità della Costituzione di Weimar si ravvisano anche:

- nella facoltà del Parlamento di potersi riconvocare, facoltà che evidenzia una più definita

autonomia dell’assemblea legislativa (art. 24)16;

- nell’abolizione dell’incompatibilità parlamentare, al fine di creare un più stretto legame ed una

più efficace comunicazione fra i due organi legislativo ed esecutivo; si creava così una frattura con

lo Stato liberale, nel quale il Governo agiva il più delle volte, invece, indipendentemente dal

Parlamento;

- nella sancita immunità parlamentare, che implicava che al momento sovrano della

deliberazione il deputato rappresentasse in via primaria l’intera nazione e agisse nell’interesse di

tutti; pertanto, egli non avrebbe potuto essere condannato per le sue scelte (art. 21);17

13 Art. 50: “Alle Anordnungen und Verfügungen des Reichspräsidenten, auch solche auf dem Gebiete der Wehrmacht, bedürfen zu ihrer Gültigkeit der Gegenzeichnung durch den Reichskanzler oder den zuständigen Reichsminister. Durch die Gegenzeichnung wird die Verantwortung übernommen”.

14 Art. 25: “Der Reichspräsident kann den Reichstag auflösen, jedoch nur einmal aus dem gleichen Anlaß”.15 GAMBINO, RIZZO, Le costituzioni del Novecento, cit., p. 175.16 Art. 24:

“Der Reichstag tritt in jedem Jahre am ersten Mittwoch des November am Sitze der Reichsregierung zusammen.Der Präsident des Reichstags muß ihn früher berufen, wenn es der Reichspräsident oder mindestens ein Drittel der Reichstagsmitglieder verlangt. Der Reichstag bestimmt den Schluß der Tagung und den Tag des Wiederzusammentritts”.

17 Art. 21:“Die Abgeordneten sind Vertreter des ganzen Volkes. Sie sind nur ihrem Gewissen unterworfen und an Aufträge nicht gebunden”.

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- nella possibilità per il popolo di redigere una proposta di legge, che poi il Parlamento avrebbe

dovuto discutere, se sottoscritta da un decimo degli aventi diritto al voto (art. 73, III comma);18

- infine, nella costituzione della Staatsgerichtshof, una corte giudiziaria per tutto lo Stato con il

compito di dirimere le controversie fra le istituzioni, che mostrò la volontà di far rientrare per la

prima volta nel diritto pubblico i conflitti politico - istituzionali (art. 13).19

Il potenziale rivoluzionario di Weimar si rispecchia anche nella contemplazione nel testo

costituzionale dei cosiddetti diritti sociali, atti a garantire a tutti i membri della collettività statale

gli stessi mezzi di sopravvivenza e le stesse opportunità, come il diritto al lavoro e il diritto

all’istruzione. Attraverso il riconoscimento dei diritti sociali si realizzava una statualità nuova, che

combinava la regolazione politico - giuridica con l’intervento economico - sociale; in una parola lo

Stato conservava la proprietà privata, ma ne sanciva la sua socializzazione, subordinando il diritto

di proprietà al perseguimento di fini sociali.20 In merito a questo aspetto Weimar è stata

l’antesignana di tutte le Costituzioni contemporanee, che riconoscono all’individuo il diritto di

pretendere dallo Stato quelle prestazioni capaci di garantirgli un minimo di sicurezza e di giustizia

sociale, e tali da creare quelle perequazioni materiali, che sole possono rendere gli uomini davvero

liberi ed uguali in dignità e diritti. I diritti sociali garantiti da Weimar impegnavano lo Stato nella

ricerca di nuovi equilibri sociali ed economici, liberandolo definitivamente dall’impronta

minimalista, in cui era stato relegato dalla tradizione liberale ottocentesca.21

18 Art. 73, Absatz III: “Ein Volksentscheid ist ferner herbeizuführen, wenn ein Zehntel der Stimmberechtigten dasBegehren nach Vorlegung eines Gesetzentwurfs stellt. Dem Volksbegehren muß ein ausgearbeiteter Gesetzentwurf zu Grunde liegen. Er ist von der Reichsregierung unter Darlegung ihrer Stellungnahme dem Reichstag zu unterbreiten. Der Volksentscheid findet nicht statt, wenn der begehrte Gesetzentwurf im Reichstag unverändert angenommen worden ist”.

19 Art. 13:“Bestehen Zweifel oder Meinungsverschiedenheiten darüber, ob eine landesrechtliche Vorschrift mit dem Reichsrecht vereinbar ist, so kann die zuständige Reichs- oder Landeszentralbehörde nach näherer Vorschrift eines Reichsgesetzes die Entscheidung eines obersten Gerichtshofs des Reichs anrufen”.

20 GAMBINO, RIZZO, Le costituzioni del Novecento, cit., pp. 168-169.21 Ibid., pp. 181-182.

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2. Il costituzionalismo del secondo dopoguerra: la supremazia della Costituzione

sulla legge

Percorrendo in senso diacronico gli snodi di un ipotetico schema di evoluzione costituzionale,

un ulteriore tassello è individuato nel costituzionalismo del secondo dopoguerra, che qui veniamo

a raffrontare e con l’ordinamento liberale e con le Costituzioni del primo Novecento.

Tutte le forze agenti in seno alle Costituzioni liberali del XIX secolo avevano di fatto ridotto in

misura significativa lo spazio della Costituzione come norma fondamentale. Le monarchie nel

corso dell’Ottocento avevano sì proclamato il principio di derivazione della Costituzione dal suo

unico ed esclusivo autore, il popolo, ma in sostanza erano state ben disponibili a contrattare i

contenuti effettivi di quelle Costituzioni in Parlamento. La Costituzione, infatti, doveva regolare i

rapporti tra gli organi costituzionali, soprattutto tra monarca e rappresentanza parlamentare, e

tutt’al più fissare alcune leggi a tutela dei diritti di una parte dei cittadini, ma non possedeva il

carattere di indirizzo fondamentale. Era caduta parallelamente l’esigenza di mantenere viva la

voce dell’originario autore della Costituzione, il popolo.22 Nelle Costituzioni sorte sulle ceneri del

secondo conflitto mondiale, al contrario, esiste una realtà pregiuridica: il potere costituente del

popolo sovrano. Tale potere rimette al popolo, che si descrive come entità politica, proprio la

capacità di stilare la Costituzione. La Costituzione rappresenta, pertanto, il frutto di una volizione

cosciente, che la rende norma primigenia e prioritaria rispetto alle norme da essa regolate. 23 Le

Costituzioni del secondo dopoguerra sono costrette a rinnovare la questione del popolo come

autore della Costituzione. Anche in quella italiana del 1948, attraverso il secondo comma del

primo articolo,24 torna in primo piano la questione della sovranità popolare. Ma di questo parlerò

più avanti nella tesina.

Si osservi poi che le Costituzioni dell’ultimo dopoguerra non riguardano la formazione delle

leggi, bensì il loro contenuto. Proprio in questo essere della Costituzione e direttrice e limite degli

atti legislativi, prende forma quella supremazia della medesima che, conferendo immediata

effettività ai princìpi e fondamentali, costituisce un’altra caratteristica notevole del

costituzionalismo contemporaneo. Come vedremo nell’ultimo paragrafo, questo aspetto risulta

particolarmente evidente nelle intenzioni del Grundgesetz del 1949.

22 FIORAVANTI, Costituzione e popolo sovrano, cit., p. 10.23 GAMBINO, RIZZO, Le costituzioni del Novecento, cit., pp. 184-185.24 Art. 1, comma II: “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

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La supremazia della Costituzione sulla legge segna anche il distacco dalle Costituzioni del primo

Novecento, le quali, pur costruendo degli argini tra se stesse e le leggi, non sempre erano riuscite

ad essere una garanzia della libertà del cittadino ed un presidio della democrazia. La Costituzione

di Weimar, come si osserverà ancora nell’ultimo paragrafo, rivelò alla prova dei fatti questa

carenza.

Proseguendo nel paragone con lo Stato ottocentesco, rileviamo che, se nell’ordinamento

liberale i diritti erano esistiti attraverso la legge, nel costituzionalismo contemporaneo essi

esistono attraverso la Costituzione, che rappresenta la fonte prima della produzione giuridica. Il

patrimonio e i diritti in essa salvaguardati si pongono al di sopra della legge e al riparo dalle sue

mutevoli contingenze. In tal senso si può affermare che il costituzionalismo contemporaneo

realizza la sostituzione della sovranità della legge, pertinente allo Stato liberale, con la sovranità

della Costituzione,25 e porta a compimento il principio di costituzionalità. Mettendo in crisi la forza

assoluta della legge, quest’ultimo predispone degli strumenti a tutela della Costituzione,

rimettendo ad un apposito organo il compito di sindacare la legittimità costituzionale della legge. 26

Questo organo ha un suo precursore nella storia costituzionale e, più precisamente, è la

Costituzione austriaca del 1920 che per la prima volta istituisce un vero e proprio Tribunale

costituzionale, al quale il semplice cittadino poteva ricorrere per verificare se una legge violava o

meno i propri diritti. Si trattava del cosiddetto Verfassungsgerichtshof, una sezione giudiziaria

istituita su proposta del giurista Hans Kelser, i cui membri erano eletti per metà dal Nationalrat e

per metà dal Bundesrat, e che aveva il compito (previsto esplicitamente dalla Costituzione) di

controllare in via consuetudinaria la costituzionalità delle leggi. Questo Tribunale costituzionale si

rifaceva, a sua volta, allo Staatsgericht, che era stato istituito da una delle Grundgesetze del 1867,

sulle quali si fondava la monarchia austro - ungarica. Lo Staatsgericht aveva agito in veste di

tribunale amministrativo, occupandosi di abusi o cattiva interpretazione delle norme da parte

dell’amministrazione, e anche difendendo i diritti degli individui. Un altro antecedente del

Verfassungsgerichtshof è identificabile nella Corte Suprema Americana, il cui modello fu importato

in Austria proprio dal giurista Hans Kelser. Il Verfassungsgerichtshof vegliava sull’attuazione - è

bene rimarcarlo - dell’intera Costituzione, occupandosi tanto dei conflitti di competenza fra le

istituzioni (fra Bund e Länder, o fra due Länder), quanto della tutela dei diritti fondamentali, contro

eventuali illeciti perpetrati dal Governo, dall’amministrazione e anche dal Parlamento. Per quel

che riguarda questa seconda funzione, il Tribunale costituzionale austriaco, infatti, si pronunciava

25 GAMBINO, RIZZO, Le costituzioni del Novecento, cit., pp. 182-183.26 Ibid., pp. 189-190.

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sulle ordinanze ammnistrative, verificando che esse si muovessero entro i confini delle leggi, ma

anche sulla conformità alla Costituzione delle leggi elaborate dal Nationalrat, dal Bundesrat e dal

Landtag. Ed è qui che risiedeva la portata innovativa del Tribunale: per la prima volta si muoveva

dal presupposto che anche la maggioranza parlamentare poteva abusare del proprio potere e

violare la Costituzione facendo le leggi, contravvenendo alla tutela dei diritti democratici di tutti.

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3. La sovranità popolare nella Costituzione italiana del 1948: un principio ancora

filtrato dalla vecchia cultura liberal - parlamentaristica

Prima di affrontare i temi discussi da Fioravanti (paragrafi 4-7), riepilogo brevemente come si

arrivò alla formazione dell’Assemblea Costituente italiana, i cui dibattiti portarono all’entrata in

vigore il 10 gennaio del 1948 della nostra Costituzione. La prima Costituzione provvisoria, altrimenti

detta Decreto luogotenenziale n. 151, del 25 giugno 1944, emanata dal Governo Ivanoi - Bonomi,

prevedeva nel suo primo articolo che il popolo avrebbe eletto un’Assemblea Costituente, con il

compito di elaborare una Costituzione e con quello di deliberare sulla forma di Governo e sulla

forma di Stato, e precisava altresì che le modalità dell’elezione sarebbero state stabilite con

successivo provvedimento. Infatti, di lì a poco, il Governo, avendo preso atto del parere della

Consulta nazionale del Regno, varò la legge elettorale per l’elezione della Costituente, istituendo il

suffragio universale, il sistema proporzionale e lo scrutinio di lista. L’elezione dell’Assemblea

Costituente si svolse il 2 giugno 1946, contemporaneamente al referendum istituzionale, che

decretò vincente la scelta della forma di Stato repubblicana. L’Assemblea Costituente tenne la sua

prima seduta il 25 giugno 1946 nel Palazzo Montecitorio, e cominciò immediatamente la

discussione sulla Costituzione. In particolare la discussione tenne banco nell’Assemblea plenaria e

nella Commissione permanente per la Costituzione, la notissima “Commissione Forti”, altrimenti

detta “Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato”.

Lo studio di Fioravanti ruota intorno al modo in cui i costituenti italiani intesero il concetto di

sovranità popolare che, pur riconosciuto come prioritario nell’incipiente fase democratica

dell’ordinamento italiano, era ancora imbevuto della cultura del vecchio Stato liberale di diritto del

XIX secolo, a sua volta imperniato sulla sovranità della nazione e dei suoi rappresentanti. Il filo

conduttore dell’intera discussione costituente è rappresentato, infatti, dalla forte ed ingombrante

tradizione ottocentesca dello Stato liberale. I costituenti mirarono sì a superare le angustie del

parlamentarismo liberale, senza per questo, tuttavia, cedere alla radicalità del principio della

sovranità popolare. È proprio questa idea “imperfetta”, “deficitaria” di sovranità popolare che, in

ultima analisi, fa da sfondo ad alcune delle scelte fondamentali assunte dai nostri costituenti, dopo

lunghe sedute di discussione: la scelta di non rimettere al popolo il potere di determinare

l’indirizzo politico dominante e governante (quarto paragrafo); quella di lasciare la concreta

attuazione della Costituzione al Parlamento, e non alla giurisprudenza redatta dalla Corte

costituzionale (quinto paragrafo), la quale si ammantava di un potere meramente correttivo nei 10

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confronti delle leggi parlamentari e, infine, quella di istituire un referendum popolare di tipo

abrogativo (settimo paragrafo).

Nella cultura dei costituenti il concetto di sovranità popolare fu inteso nei termini di sovranità

della volontà generale, della nazione, che si rispecchiava nel Parlamento. Ciò era possibile

attraverso il sistema elettorale proporzionale (che faceva sì che ciascuna quota di quella totalità

avesse i suoi rappresentanti nell’assemblea elettiva), e attraverso i partiti, che erano chiamati a

indirizzare i contrastanti bisogni sociali, e a trasformarli in una sintesi politica e nella forma

sovrana della legge. Mi soffermerò a lungo, e nel quarto e nel quinto paragrafo, sulla concezione

istituzionale del partito, sviluppatasi nella dottrina giuridica a partire dagli anni Trenta e Quaranta,

secondo la quale i partiti concorrevano realmente alla costruzione del regime politico. Era

mediante la rappresentanza partitico - parlamentare, infatti, che il popolo diveniva capace di fare

le leggi e produrre il Governo. Come è ben illustrato da Mirkine - Guetzévitch, 27 in un sistema

parlamentare, il Governo scaturisce dalla maggioranza del Parlamento. Nella cultura dei

costituenti italiani, però, tale maggioranza non doveva essere creata, insieme alla minoranza,

direttamente dal popolo, ma doveva essere il Parlamento a riprodurre l’intero popolo sovrano.

Quest’ultimo, pertanto, non si rendeva direttamente responsabile della determinazione

dell’indirizzo politico prevalente e quindi governante.

27 Vedi il saggio introduttivo in BORIS MIRKINE - GUETZÉVITCH, Le Costituzioni europee, Edizioni di comunità, Milano, 1954. 11

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4. Il mancato riconoscimento al popolo del potere di determinazione della

funzione di Governo

La concezione del partito politico che dominava nell’Europa dell’Ottocento è detta “societaria”,

in quanto la natura del partito cui faceva riferimento era sociale e non istituzionale. I partiti, infatti,

in qualità di associazioni, svolgevano sì la funzione di organizzare la libertà di associazione dei

cittadini e di far emergere dalla società le idealità in essa presenti, ma non quella di determinare

l’indirizzo politico di Governo.28 Questa era la mansione che spettava al Parlamento, vale a dire ai

rappresentanti eletti, poiché nel costituzionalismo liberale ottocentesco sovrano era lo Stato con il

suo diritto, e sovrana era la volontà generale con i suoi rappresentanti. Le Costituzioni liberali

vedevano nei partiti un fattore di spaccatura e di lacerazione della nazione, ricondotta ad unità

soltanto mediante la figura dello Stato - persona. Il popolo, pertanto, poteva essere sovrano

attraverso i suoi rappresentanti (la dichiarazione di appartenenza dei quali all’uno o all’altro

partito non era vincolante nell’esercizio della potestà legislativa), e non attraverso i partiti.29

A partire dagli anni Trenta, e in seguito avvalendosi in modo prioritario della riflessione di

Costantino Mortati,30 la concezione del partito venne progressivamente modulandosi secondo

nuovi crinali, e approdò alla dimensione istituzionale, alla base della quale stava l’idea che il

popolo (o la nazione) fosse un insieme di interessi eterogeni ed reciprocamente in conflitto. A

fronte della coesistenza di forze divergenti e financo contradditorie tra di loro, il partito assumeva,

allora, la funzione fondamentale di ricondurre ad unità questo mosaico di interessi particolari. Era

necessario che dal disordinato intersecarsi dei valori popolari emergessero alcune grandi opzioni e

tendenze, che provvedessero a loro volta ad organizzare e ad aggregare tali valori. Al contrario,

privi di quelle prospettive più ampie e di lungo periodo che solo i partiti riescono a costruire, i

molteplici e discordanti interessi della società premerebbero sulle istituzioni in modo immediato e

per l’istantanea realizzazione di se medesimi. I partiti politici rappresentavano in tal senso il primo

embrione di unità politica, perché di fatto essi organizzavano e, quindi, riducevano in numero i

diversi interessi di cui la società si componeva. In ordine alla concezione istituzionale i partiti erano

pienamente fattori di integrazione e di disciplinamento degli interessi.31 Il partito, allora, non era

più semplicemente societas (associazione), bensì universitas, cioè istituzione, perché la ragione 28 FIORAVANTI, Costituzione e popolo sovrano, cit., p. 71.29 Ibid., pp. 72, 76-78.30 In particolare Fioravanti cita il saggio di Costantino Mortati del 1957, elaborato per gli Scritti giuridici in memoria di Vittorio Emanuele Orlando, nel quale il noto costituzionalista spiega il passaggio dalla concezione societaria a quella istituzionale del partito. Ibid., p. 73. 31 Ibid., pp. 73-76.

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ultima del suo esistere era data dalla volontà di perseguire il bene comune, quello di tutta la

collettività.32

Pur avendo individuato nei partiti politici le istituzioni adatte a costruire un nuovo regime

democratico fondato sulla sovranità popolare, i costituenti italiani, tuttavia, non accettarono fino

in fondo le implicazioni della concezione istituzionale del partito. Essi ricusarono, cioè, la proposta

di deputare al popolo il potere di scegliere direttamente l’indirizzo politico maggioritario e il suo

titolare. Se da una parte si stabilì che non fu più completamente sovrano il Parlamento, dall’altra

non si accettò neppure che il popolo fosse inteso come soggetto pienamente sovrano.33

Rendere il popolo direttamente responsabile della creazione di un indirizzo politico prevalente

in Parlamento sarebbe stato possibile soltanto a mezzo del principio elettorale maggioritario, ma i

costituenti, coerentemente con il proprio orientamento liberal - parlamentaristico, al quale ancora

rendevano conto, vi rinunciarono a favore del sistema proporzionale.34 Ciò avvenne per due

motivi. In primo luogo l’adozione del sistema maggioritario avrebbe significato elidere dalla

rappresentanza della totalità del popolo alcune delle sue parti, e ciò a sua volta avrebbe indebolito

lo sforzo di rappresentare davvero l’interesse generale, contravvenendo al principio secondo il

quale il Parlamento fosse espressione dell’intera nazione.35 Secondariamente si temeva da parte di

tutte le forze politiche che una di esse, magari l’avversaria, si facesse unica portavoce ed unico

interprete dell’indirizzo politico scelto dal popolo, e che assumesse una vera e propria funzione di

Governo. Il popolo doveva essere sovrano, perché la sua infinita complessità veniva rappresentata,

attraverso il sistema proporzionale ed il correlato ruolo istituzionale dei partiti, in Parlamento, dal

quale sarebbe scaturito il Governo, e non perché il popolo stesso fosse chiamato realmente e

direttamente dalla Costituzione a scegliere l’indirizzo politico dominante e governante, cioè la

funzione di Governo.36 Specularmente il Parlamento era sovrano, perché era il luogo in cui la

complessità del popolo era resa abile ad esprimersi nei termini sovrani della legge.

32 Ibid., p. 75.33 Ibid., pp. 79-80 .34 Ibid., pp. 74, 80.35 Ibid., p. 96. Scrive Fioravanti Ibid. :

“nella loro cultura il Parlamento non doveva rappresentare la maggioranza e la minoranza presenti nel Paese, ma - ed è cosa ben diversa - la totalità del popolo sovrano. E questa rappresentazione sarebbe gravemente monca se da essa fosse sottratta una parte, anche piccola, del consenso elettorale”.

36 Ibid., p. 81.13

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5. Il primato del Parlamento nell’attuazione della Costituzione

Nel secondo dopoguerra la Costituzione fu chiamata a disegnare non solo ambizioni di ordine

giuridico - ordinativo, ma anche tutta la trama dei rapporti politici e sociali. Per tale motivo essa

non poteva non fondarsi su una forza propulsiva iniziale, e non poteva non dichiarare l’identità del

sovrano: il popolo. Pur riconoscendo la necessità di basare il nuovo regime democratico sulla

sovranità popolare, la Costituzione italiana, tuttavia, la temeva,37 e fu questo timore il filo rosso di

tutta la discussione della Costituente in materia di sovranità.

Il principio della sovranità popolare è formulato nel secondo comma del primo articolo della

Costituzione italiana del 1948,38 anche se, come emerge dai dibattiti che condussero alla sua

enunciazione, nella cultura dei costituenti prevaleva non l’idea di sovranità popolare propria del

nuovo ordinamento democratico, bensì ancora la posizione tradizionale, che sosteneva la

sovranità dello Stato - persona, come rappresentazione obbligata della comunità nazionale.39

La formulazione originaria dell’articolo primo40 non menzionava, infatti, il popolo come il

soggetto titolare della sovranità, e i poteri ad esso attribuiti avevano solo un valore organizzativo,

alieno dal piano della legittimazione. Il potere di fare le leggi, infatti, apparteneva in via primaria

allo Stato sovrano, ed esisteva prima di ogni manifestazione della volontà collettiva e prima della

stessa Costituzione.41 Per la quasi totalità delle forze politiche di allora, quelle di sinistra come

quelle di destra, la sovranità dello Stato si esprimeva in modo privilegiato nella sovranità del

Parlamento, quale luogo di esistenza e rappresentazione del popolo sovrano.42 In virtù di tali

presupposti discese che il popolo non fosse sovrano per sua natura, come nella tradizione

giacobina, ma divenisse tale grazie all’opera dei partiti politici, che - secondo la già citata dottrina

giuridica degli anni Trenta e Quaranta, poi compiutamente espressa da Costantino Mortati nel suo

saggio del 1957 - scomponevano dapprima il popolo in parti distinte, a seconda delle disuguali

inclinazioni sociali e politiche che in esso si profilavano, per poi ricomporne l’unità in Parlamento.

Il partito allora era “parte totale”: “parte”, perché differenziava il popolo secondo distinte

ideologie; “totale”, in quanto questa differenziazione non era altro che il primo passo che 37 Ibid., cit., p. 11.38 “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.39 FIORAVANTI, Costituzione e popolo sovrano, cit., p. 91.40 L’articolo in questione venne discusso una prima volta nel 1946 dalla Prima Sottocommissione della notissima Commissione Forti, e recitava:

“La sovranità dello Stato si esplica nei limiti dell’ordinamento giuridico formato dalla presente Costituzione e dalle altre leggi ad essa conformi. Tutti i poteri sono esercitati dal popolo direttamente o mediante rappresentanti da esso eletti”. Ibid., p. 92.

41 Ibid.42 Ibid., p. 95.

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preparava il popolo, politicizzandolo e organizzando le sue propensioni, a ricomporsi nella sua

interezza in Parlamento, e a rendersi capace di esprimere la propria sovranità.43

Vorrei ora prendere in esame un ulteriore aspetto che rivela quanto ancora fortemente

radicate fossero nella cultura costituzionale italiana degli anni Trenta e Quaranta l’idea

tradizionale delle leggi parlamentari quale luogo privilegiato in cui la sovranità popolare era resa

atta ad esprimersi, e l’idea della loro assoluta priorità anche rispetto alla Costituzione.

I costituenti si rifacevano ad una tradizione europeo - continentale, secondo la quale il potere

di fare la legge era un potere assolutamente primario, contenente in sé un imprescindibile

momento di deliberazione sovrana, che precedeva la Costituzione e che da essa era disciplinato,

ma non generato. Scrutata sotto questo profilo, la legge non era una fonte di diritto derivata da

uno dei poteri voluti dalla Costituzione, e non poteva neppure dipendere, per la sua conformità,

da una norma superiore. Ciò sarebbe stato, infatti, gravemente lesivo del valore di sovranità,

attribuito alla legge attraverso il legislatore. Per non inficiare tale valore, nella nostra Costituzione

non fu inserita la clausola di supremazia costituzionale, il che significa che non si vincolarono in

modo esplicito i giudici a dare priorità alla Costituzione nell’applicazione del diritto. Ne consegue

che, pur riconoscendo la Carta il principio dell’inviolabilità dei diritti, la loro attuazione non si

concretizzava mediante la Costituzione, mediante la legge suprema. I diritti fondamentali non

erano concepiti come pretese soggettive assolute, ma si configurarono piuttosto come norme di

principio da attuare attraverso il Parlamento. La norma fondamentale, la Costituzione, riceveva

attuazione dal Parlamento: diveniva concreta attraverso e non contro il legislatore.44 La forza

propulsiva che aveva generato la Costituzione, il popolo sovrano, avrebbe dovuto riprodursi

tramite i partiti in Parlamento; sarebbe stato poi il Parlamento che avrebbe provveduto

all’attuazione della Costituzione.

43 Ibid., p. 96.44 Ibid., pp. 12-16.

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6. Il progetto di riforma costituzionale del 1997: il conferimento di una

legittimazione popolare all’esecutivo?

La pratica costituzionale ha corroso man mano nel tempo quella concezione elevata della

politica e dei partiti, che identificava nel Parlamento il luogo privilegiato di attuazione e

concretizzazione dei precetti costituzionali, e ha prodotto la necessità di una riforma della

Costituzione. Il deprezzamento del valore della politica e dei partiti deriva dal fatto che, in misura

progressivamente maggiore, si è attribuito ai giudici il compito di rendere concreta la Costituzione

e di affermare i diritti fondamentali in essa contenuti, con il conseguente rischio della nascita di un

vero e proprio Stato giurisdizionale.45

Ma tentiamo ora di comprendere per sommi capi le intenzioni che animano il progetto di

riforma, contenuto nella legge costituzionale del 24 gennaio 1997. Tale progetto istituisce uno

speciale processo di revisione che può interessare, però, soltanto la seconda parte della

Costituzione, lasciando inalterata quella sui diritti fondamentali. Esso, tuttavia, non è mosso da

un’autentica volontà costituente, a causa della crisi del sistema politico, prodottasi in Italia dopo il

1948. Oggi, infatti, i partiti non possiedono più quel ruolo fatalmente centrale, che svolsero

all’epoca della redazione della Costituzione democratica del secondo dopoguerra, e la carenza di

legittimazione in cui essi versano ha ridotto notevolmente lo spazio delle ambizioni costituenti

della nostra politica.46

L’appello al popolo sulla legge di riforma è previsto dalla stessa nell’articolo quattro, ma nei

termini di referendum popolare semplicemente confermativo.47

La legge costituzionale del 1997, inoltre, non si propone la creazione di una nuova Costituzione,

e non sottende un’ispirazione di fondo, o un modello preciso e storicamente determinato di

Costituzione, di forma di Stato, o di forma di Governo. Manca una vera e propria decisione

costituente. Formulate in modo troppo analitico, le correzioni apportate sono lontane dalla

dimensione concettuale della norma di principio (ben nota, invece, ai costituenti del 1947), e

pertanto inducono ad un impoverimento del valore delle norme costituzionali.48

Al di là degli aspetti più propriamente formali del progetto, veniamo ora al suo contenuto: al

centro sta la questione della forma di Governo, ed è su questo tema che si ha la resa dei conti sulla

storica questione del rapporto fra Costituzione e popolo sovrano.

45 Ibid., pp. 17-20.46 Ibid., p. 24.47 Ibid., pp. 21-24.48 Ibid., pp. 24-25.

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Nella Commissione parlamentare per le riforme istituzionali si sottopongono ad esame due

ipotesi di riforma, che partono entrambe dal presupposto che la legittimazione parlamentare del

Governo non sia più sufficiente. Le due ipotesi che ci si propone di attuare sono rispettivamente

definite “neo – parlamentare” e “neo – presidenziale”.

La prima si prefigge l’obiettivo di creare un collegamento diretto fra corpo elettorale e

Parlamento, tale da garantire che la coalizione vincente sul piano elettorale (cioè sul piano della

scelta dell’indirizzo politico da parte del popolo sovrano) risulti maggioritaria anche in Parlamento.

In tal modo l’assemblea elettiva non sarebbe più rappresentativa di tutte le forze presenti nel

Paese, e quindi della totalità del popolo sovrano, ma rispecchierebbe l’esistenza nel Paese di due

indirizzi politici: uno prevalente, e un altro uscito minoritario dalla prova elettorale. Per ottenere

questo risultato, sarebbe necessaria una legge elettorale adeguata, che favorisca la formazione di

un indirizzo politico chiaramente scelto dal corpo elettorale, e tradotto in una stabile maggioranza

in Parlamento. Si supererebbe così l’investitura esclusivamente parlamentare del Governo: il

Governo continuerebbe a scaturire dal Parlamento, ma deriverebbe anche dal popolo, nella

misura in cui l’organo legislativo rappresentasse due indirizzi scelti direttamente dall’elettorato:

quello governante e quello minoritario.

Questa stessa ipotesi fu discussa anche dai costituenti del 1947, salvo poi essere scartata. Essi,

infatti, temevano una maggioranza parlamentare direttamente scaturita dalla volontà nazionale (e

non costituitasi attraverso accordi in Parlamento), per tre motivi. In primo luogo, troppo forte era

la lacerazione politica del Paese all’indomani del termine della guerra; in secondo luogo, troppo

vicino risultava ancora il ricordo del “Governo forte” del periodo fascista; infine, essi erano

convinti che la designazione parlamentare del Governo già concretizzava a sufficienza il

fondamento democratico dell’esecutivo, visto che quella designazione avveniva proprio nel luogo

in cui la sovranità popolare si realizzava: il Parlamento.49

Oggi, al contrario, l’ipotesi neo - parlamentare è tornata d’attualità nel progetto di riforma, per

via della presa di coscienza di un dato di fatto: la crisi dei partiti. Questi ultimi non si dimostrano

ormai più in grado di essere elementi centrali nel processo di costruzione del consenso e di

rappresentanza in Parlamento della realtà del Paese. Poiché i partiti non sono più capaci di

assolvere al loro compito di rappresentanza chiara e sicura dell’intero corpo elettorale, precipita

anche il presupposto, secondo il quale il popolo sovrano sia realmente rappresentato in

Parlamento, e si comincia ad intravvedere la possibilità che l’indirizzo politico di maggioranza non

49 Ibid., pp. 26-27.17

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si costituisca più esclusivamente nell’Assemblea elettiva, ma piuttosto a partire direttamente dalle

elezioni, dalla scelta del popolo sovrano per una determinata coalizione maggioritaria.50

La seconda ipotesi prevista dal progetto del 1997, quella neo - presidenziale, prevede

l’investitura popolare del Presidente dell’esecutivo. Questa linea fu anche quella che molti

costituenti del 1947 avrebbero voluto attuare, ma che all’epoca non fu possibile realizzare.

Vediamo in che senso.

Durante le sessioni di discussione della Costituente l’elezione popolare del Presidente fu presa

in considerazione, in funzione di stabilizzazione, razionalizzazione e garanzia del Governo

parlamentare, dato che è nella natura di questo sistema tendere alla produzione di maggioranze

governative non sempre sicure, e di avere, quindi, bisogno di far affidamento sul potere di

arbitrato del Presidente, che interveniva allo scopo.51

L’ipotesi di una legittimazione popolare del Presidente non era tanto una forma di

legittimazione dal basso dell’esecutivo (la maggioranza del popolo che lo elegge non coincide con

la maggioranza titolare dell’indirizzo politico di Governo), quanto piuttosto una forma di

legittimazione dal basso del potere di arbitrato del Presidente, nelle fasi in cui il Parlamento non

fosse stato in grado di rispecchiare con immediatezza l’esistenza di una sicura maggioranza

governante.

50 Ibid., pp. 28-29.51 Ibid., pp. 29-30.

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7. La funzione puramente correttiva della Corte costituzionale verso le leggi del

Parlamento

Nell’interpretazione di Maurizio Fioravanti altre due deliberazioni della Costituente palesarono

il senso che i giuristi assegnarono al principio di sovranità popolare: l’istituzione di un referendum

popolare di tipo abrogativo, e la creazione di una Corte costituzionale operante in singoli casi

specifici, e non attraverso una giurisprudenza propria e sistematizzata. Ma vediamo con ordine.

Il referendum di tipo abrogativo opera nei confronti del legislatore solo in senso correttivo e

non sostitutivo: il popolo può negare la volontà già espressa dal legislatore, e in questo senso può

correggerla, ma non può sostituirsi ad essa con il proprio volere. Nel momento della deliberazione

della legge è esclusivamente il Parlamento che opera, non il popolo come soggetto distinto e

primario. Il referendum abrogativo fu l’unico a sopravvivere alle discussioni della Costituente.

Cadde, invece, l’ipotesi di un referendum di tipo preventivo, perché esso avrebbe messo in

discussione l’intera tradizione parlamentare dello Stato di diritto, in nome di una interpretazione

troppo radicale del principio di sovranità popolare: richiamando in vita una vecchia norma

giacobina del 1793, 52 esso, infatti, prevedeva un vero e proprio veto posto dal popolo sovrano al

legislatore.53

Per quel che riguarda la funzione con la quale la Corte costituzionale fu creata, fu anch’essa

debitrice dell’ipotesi che il popolo sovrano fosse sovrano solo mediante il Parlamento, e non come

soggetto distinto ed autonomo.

Dai primi anni Cinquanta, attraverso il contributo imprescindibile di Costantino Mortati e di

Vezio Crisafulli, prese forma l’idea che l’attuazione della Costituzione si sarebbe concretizzata con

l’istituzione di una Corte ad hoc e con la sua interpretazione delle norme costituzionali, mentre

non sarebbe stata più possibile attraverso la sola via parlamentare. Da quella teoria prese le mosse

un’amplissima produzione di giurisprudenza costituzionale, che di fatto, attraverso il controllo di

costituzionalità, ridusse notevolmente, e riduce tutt’ora lo spazio tradizionale della legge, quale

manifestazione primaria della sovranità politica.

Richiamandoci ancora al momento della discussione alla Costituente, e facendo

cronologicamente un ulteriore passo indietro verso la cosiddetta “Commissione Forti”, possiamo

affermare, tuttavia, che i suoi protagonisti non pensavano affatto alle norme della Costituzione

come princìpi che avrebbero potuto essere elaborati da una vera e propria giurisprudenza

52 La norma cui si fa riferimento così si esprime: “Il popolo delibera sulle leggi”. Ibid., p. 99.53 Ibid., pp. 98-99.

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costituzionale; piuttosto, giudicarono quelle norme alla stregua di direttive per il legislatore, cioè

a futura attuazione politico - parlamentare. In altre parole l’Assemblea costituente riteneva che la

Costituzione si sarebbe dovuta attuare non attraverso l’interpretazione dei giudici della Corte, ma

mediante l’opera politica dei partiti in Parlamento, immaginati come vere e proprie componenti

del sistema costituzionale, e tra loro legati dal patto fondamentale costituente. La Corte avrebbe

tutt’al più dovuto correggere la rotta nei casi singoli di incostituzionalità delle leggi, non certo

indicarla attraverso l’interpretazione costituzionale. Tale orientamento trovava espressione nella

voce di Piero Calamandrei, che non poteva accettare che venisse messo in discussione il primato

della legge e della volontà generale espressa in Parlamento.

Era estranea, inoltre, ai costituenti l’idea che la Corte costituzionale potesse essere

protagonista nell’interpretazione dei princìpi fondamentali,54 e che essa, quindi, non nasceva

dall’esigenza di tutelare i diritti fondamentali.

Allora è legittimo chiedersi: con quale funzione la Corte fu creata dai costituenti? La Corte

costituzionale nacque su pressione di quella preoccupazione, tipicamente positivistica, di garantire

la coerenza dell’ordinamento giuridico, e solo indirettamente di garantire la tutela delle posizioni

giuridiche soggettive dei cittadini. Nel momento in cui una nuova norma giuridica, la Costituzione,

s’introduceva in un ordinamento primariamente costruito dalle leggi dello Stato, era necessario,

infatti, assicurare la non contraddittorietà tra le due diverse fonti del diritto. Ciò sarebbe stato

possibile attraverso un’interpretazione della Costituzione da parte della Corte costituzionale, che,

un giudice d’impugnazione, avrebbe dichiarato l’incostituzionalità della legge, e l’’avrebbe

comunicata al Parlamento. Soltanto quest’ultimo, ed in un secondo momento, avrebbe proceduto

all’abrogazione della norma in questione. Così si evitava, da una parte, il conflitto tra le due

istituzioni e la messa in discussione del sovrano potere di fare le leggi da parte del Parlamento,

dall’altra, il politicizzarsi della Corte, cosa che sicuramente sarebbe accaduta, quando essa si fosse

opposta al Parlamento, munita di un potere astratto di abrogare le leggi. 55 È evidente che per i

costituenti, nei conflitti tra la Corte e l’organo legislativo per eccellenza, l’ultima parola spettava

sempre a quest’ultimo, perché espressione del popolo sovrano.

In sintesi, la corte costituzionale nacque con l’intento di correggere le leggi del Parlamento,

ritenute non conformi alla Carta, e si configurava come una sorta di Corte di Cassazione,

54 In merito all’interpretazione della Carta costituzionale, soltanto Costantino Mortati sottolineò all’epoca, e contro l’opinione prevalente nella Costituente, il primato dei giudici sulla discrezionalità politica del legislatore. Egli si oppose al postulato della necessaria intermediazione del Parlamento nell’attuazione dei princìpi costituzionali, assioma proprio dello Stato di legislazione ottocentesco. Ibid., p. 102.55 Ibid., pp. 104-106.

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specializzata nei profili costituzionali, al fine di salvaguardare un’interpretazione uniforme e

coerente della Costituzione. In tal modo i princìpi della Costituzione entravano in modo graduale e

non traumatico nell’ordinamento, e questo rimaneva imperniato sulla volontà espressa dal

Parlamento nella forma sovrana della legge e sulla legge. È chiaro, dunque: anche la giurisdizione

costituzionale, cioè l’istituto che più avrebbe potuto essere pensato in modo nuovo rispetto alla

tradizione impersonata dal legislatore, in realtà, fu plasmata in modo meramente correttivo

dell’autorità del legislatore, la cui sovranità veniva riaffermata.56

56 Ibid., pp. 107-108.21

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8. Il “Grundgesetz” del 1949: interventi correttivi in senso democratico delle

debolezze di Weimar

Questo paragrafo vuole comprendere in quale misura e attraverso quali soluzioni il Grundgesetz

del 1949 tentò di superare i limiti della Costituzione di Weimar. Sulla scorta del saggio di Gustavo

Gozzi, già citato nell’Introduzione, proverò a costruire un confronto ragionato fra le due carte

costituzionali, per quel che attiene alla loro natura e ai loro scopi, ai principi in esse sanciti, e agli

strumenti predisposti per la loro tutela.

Il primo confronto fra la Costituzione di Weimar ed il Grundgesetz è relativo al potere

costituente, che è sotteso alla prima, ma non è alla base del secondo.

Ripercorrendo brevemente la storia tedesca del primo dopoguerra, infatti, sappiamo che il 16

ottobre del 1918 l’Assemblea generale dei Consigli degli operai e dei soldati aveva convocato

nuove elezioni parlamentari per il 19 gennaio del 1919, intravvedendo così un termine alla propria

esistenza e alla propria funzione di organizzazione dello Stato. Da quelle consultazioni elettive,

svoltesi in regime di suffragio universale e sulla base del sistema proporzionale, era scaturita la

cosiddetta Nationalversammlung, la cui maggioranza era data da una coalizione di centro sinistra

(SPD, DDP, Zentrum). L’Assemblea nazionale di Weimar, in quanto eletta dal popolo, era stata da

esso direttamente investita del potere costituente: si trattava a tutti gli effetti di un’Assemblea

Costituente.

Nel caso del Grundgesetz non ci fu né l’elezione diretta di un’Assemblea nazionale costituente,

né la conferma della Costituzione da parte di una consultazione popolare e, quindi, si può

affermare che la Legge fondamentale di Bonn non rappresentò un atto del potere costituente. I

Ministerpräsidenten, in cui gli Alleati individuarono gli interlocutori per la formazione di un nuovo

Stato dopo la fine della guerra, esclusero, infatti, di dar vita ad una Assemblea nazionale

costituente, per due ragioni: da una parte, il dualismo tra sovranità delle potenze occupanti e

potere dello Stato occupato; dall’altra, il carattere provvisorio del nuovo Stato. Spettò, pertanto, ai

Landtage inviare delle proprie rappresentanze, affinché formassero un Parlamentarischer Rat, con

il compito di elaborare un progetto di Costituzione.57

Si tenga presente, tuttavia, che il Consiglio parlamentare non scaturiva da un’elezione diretta, e

che i membri dei Landtage, pur essendo i rappresentanti legittimi della popolazione tedesca che

57 GOZZI, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., p. 247.22

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risiedeva nelle zone occupate, non erano abilitati a deliberare sulla Costituzione. Di fatto il

Parlamentarischer Rat mancava di potere costituente e di legittimazione democratica.58

La condizione di occupazione impediva, infatti, la piena espressione della sovranità del popolo,

rendendo il Consiglio parlamentare non autenticamente rappresentativo, tanto che si preferì il

termine Grundgesetz, in luogo di Verfassung, per sottolineare che la stesura di una “Costituzione

tedesca” in senso proprio avrebbe dovuto essere rinviata, finché non fossero stati creati i

presupposti per una regolamentazione dell’intera Germania, e finché la sovranità tedesca non

fosse stata ripristinata nella sua totalità.59 Il carattere provvisorio dello Stato fu ravvisato anche nel

Preambolo della stessa Legge fondamentale, che esorta il popolo tedesco a completare il processo

costituente, attuando una Costituzione, che sia espressione di una sua libera decisione.60

Un secondo aspetto oggetto di paragone fra le due Costituzioni è dato dal loro intento: alla base

di entrambe sta la decisione di organizzare uno Stato democratico, in seguito al declino dello Stato

di diritto monarchico - autoritario nel caso di Weimar, e sulle rovine del secondo conflitto

mondiale all’epoca del Grundgesetz.

In ordine alla Legge fondamentale, tuttavia, intervengono ulteriori considerazioni: il

Parlamentarischer Rat si propose di eliminare, attraverso il Grundgesetz, i meccanismi previsti

dalla Costituzione del 1919 che avevano condotto in ultima analisi al totalitarismo

nazionalsocialista; in altre parole, ci si impose di non ricadere in una democrazia indifesa, quale

era stata quella di Weimar, la cui Costituzione aveva consentito la formazione di governi deboli,

non supportati da un’adeguata maggioranza parlamentare e, pertanto, non sufficientemente

tutelati da eventuali involuzioni dittatoriali. Fu a causa di tale precarietà politica e del relativo

vuoto di potere che il nazionalsocialismo trovò ampie falle in cui annidarsi.

Per comprendere meglio queste osservazioni è necessario fare un passo indietro, ed

esattamente al 1930, quando nel Reichstag tedesco, l’organo centrale del sistema di Governo

parlamentare sancito dalla Costituzione di Weimar, non esisteva più una coalizione di maggioranza

chiara e sicura. Di fatto per tutti gli anni Venti la costellazione dei partiti non aveva trovato una

coalizione stabile per poter governare, con il risultato di un progressivo coinvolgimento nel

Governo delle forze di destra (quali la DVP e la DVNP, una frangia di estrema destra, identificabile

con i nazionalisti tedeschi), e con la parallela e graduale estromissione della SPD dalle posizioni

chiave dell’esecutivo. Secondo Max Weber, l’incapacità dei partiti di trovare un accordo in seno al 58 Ibid., pp. 247-248.59 Ibid., p. 251.60 “Das gesamte Deutsche Volk bleibt aufgefordert, in freier Selbstbestimmung die Einheit und Freiheit Deutschlands zu vollenden”.

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Parlamento, per esprimere una maggioranza governante, era dovuta ad una tradizione che

affondava le sue radici nel Secondo Impero, quando essi non erano spinti a cercare alleanze fra di

loro, poiché di fatto le decisioni non venivano prese dalla maggioranza parlamentare, ma erano

rimesse nelle mani del re e dell’esecutivo.

A tale situazione politica incerta, si era aggiunta una fortissima crisi economica, che aveva

costretto, ripetutamente durante l’intero lasso di tempo 1919 - 1930, il Presidente del Reich a

disporre dell’articolo 48, che gli accordava la prerogativa di adottare misure straordinarie dietro la

proclamazione dello stato di emergenza.61

Le cosiddette Notverordungen (ordinanze di emergenza) potevano essere emanate dal

Presidente anche quando il Parlamento era riunito, ed entravano in vigore senza che prima un

organo istituzionale le avesse verificate. È pur vero che il Reichstag poteva opporsi alle misure

straordinarie, e in seguito a tale obiezione il Presidente aveva l’obbligo di ritirarle,62 ma ciò di fatto

non ebbe a verificarsi, perché il Presidente non avrebbe mai adottato misure straordinarie,

sapendo che il giorno successivo all’emanazione esse sarebbero state respinte dal Parlamento. Tali

misure avevano la funzione di protezione della Repubblica in un momento di profonda crisi

politica ed economica; infatti, per evitare la formazione di forze politiche estremiste, a loro volta

causa di disordini e attacchi terroristici, arrivarono a pregiudicare anche la libertà di associazione,

sancita dall’articolo 24 della Costituzione di Weimar,.

A questo stillicidio di ordinanze di emergenza, si era accompagnata molto spesso anche la

propensione del Parlamento a lasciare il Governo libero di prendere tutte le decisioni importanti.

Attraverso le cosiddette Ermächtigungsgesetze,63 il Reichstag aveva autorizzato il Governo ad

esercitare la facoltà legislativa. La convergenza del potere legislativo e di quello esecutivo in un

unico organo, la Regierung, era stato indice delle ardue difficoltà che il Parlamento aveva

incontrato nel fare le leggi, a causa della propria incapacità di trovare un accordo fra le sue forze

politiche. A mezzo delle leggi di delega il Governo aveva deliberato su interi settori, la cui riforma,

61 Art. 48, Absatz II: “Der Reichspräsident kann, wenn im Deutschen Reiche die öffentliche Sicherheit und Ordnung erheblich gestört oder gefährdet wird, die zur Wiederherstellung der öffentlichen Sicherheit und Ordnung nötigen Maßnahmen treffen, erforderlichenfalls mit Hilfe der bewaffneten Macht einschreiten. Zu diesem Zwecke darf er vorübergehend die in den Artikeln 114, 115, 117, 118, 123, 124 und 153 festgesetzten Grundrechte ganz oder zum Teil außer Kraft setzen”.

62 Art. 48, Absatz III: “Von allen gemäß Abs. 1 oder Abs. 2 dieses Artikels getroffenen Maßnahmen hat der Reichspräsident unverzüglich dem Reichstag Kenntnis zu geben. Die Maßnahmen sind auf Verlangen des Reichstags außer Kraft zu setzen”.

63 Le Ermächtigungsgesetze furono emanate sulla base delle ordinanze di emergenza, con cui il Governo aveva già agito nel 1917, in seguito all’estromissione dalla vita politica del Parlamento durante il corso della guerra, e al suo successivo scioglimento.

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per la portata delle loro conseguenze, avrebbe dovuto attuarsi mediante norme che fossero state

il frutto di ampi, dettagliati e certosini dibattiti parlamentari.

A fronte della mancanza di una maggioranza parlamentare stabile e in tale disordine

istituzionale, la figura del Reichspräsident aveva acquistato una fondamentale importanza, in virtù

del potere, conferitogli dall’articolo 53 della Costituzione di Weimar, di formare un nuovo

Governo. L’articolo deliberava che l’atto formale di nomina e di licenziamento del Cancelliere e dei

ministri spettasse al Presidente del Reich, e si caricava di notevoli conseguenze, soprattutto in

rapporto alle disposizioni di quello successivo. L’articolo 54 stabiliva, infatti, che i ministri erano

responsabili di fronte al Reichstag, e che dovevano ottenerne la fiducia, in ordine alla logica che

presiedeva al sistema di Governo parlamentare.64 Ne discendeva che, perché la delegittimazione

del Governo si compisse, fosse il Presidente a prendere atto della sfiducia del Parlamento, e a

revocare il mandato dei ministri. La coesistenza nella Costituzione di Weimar dell’articolo 53 con

l’articolo 54 comportò di fatto la formazione, durante gli anni Venti, di “Governi di minoranza” o

“Governi del Presidente”, cioè Governi nominati da quest’ultimo e che non avevano la fiducia del

Parlamento. Dal canto suo il Reichstag, quando non riuscì a creare un’alleanza sicura fra le forze

parlamentari per formare il Governo, lasciò al Presidente l’iniziativa di nominare i membri

dell’esecutivo. Ma volgiamo un rapido sguardo agli eventi.

Dopo le elezioni parlamentari del 1930 il Presidente del Reich Paul von Hindenburg aveva

incaricato Heinrich Brüning, un esponente del Zentrum, di formare il Governo. Il Governo Brüning I

aprì una lunga serie di “Governi di minoranza”; operò servendosi di ordinanze di emergenza; e

chiese, infine, lo scioglimento del Parlamento. Si configurò così una forte contrapposizione fra il

legislativo e l’esecutivo. Al Governo Brüning I seguì il Governo Brüning II, che cadde a sua volta.

All’indomani delle elezioni del 1932 il Presidente Hindenburg demandò al conservatore Franz von

Papen il compito di formare il Governo. Anche questo, tuttavia, risultò essere un “Governo del

Presidente”. L’idea di von Papen era quella di coinvolgere i nazionalsocialisti, poiché si erano

rivelati il partito più forte dal punto di vista del numero di voti, ma a patto che essi limitassero la

loro forza eversiva. Dal canto suo il capo dei nazionalsocialisti, Adolf Hitler, a fronte della

preponderanza di consensi che il suo partito aveva riscosso alle elezioni, non accettò questa

condizione, e von Papen fu costretto a chiedere lo scioglimento del Parlamento. Al Presidente

Hindenburg non rimase altra alternativa se non quella di deputare ad Hitler l’onere di formare il

Governo.

64 L’articolo 54 è già integralmente citato nella nota 11 a pag. 5.25

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Ecco, in ultima analisi, in che modo la coesistenza degli articoli 53 e 54 della Costituzione di

Weimar aveva portato all’ascesa di Hitler al potere, che aveva potuto compiersi per via legale. Il

Parlamentarischer Rat del 1949 tenne conto di tali pregresse vicende politiche e si propose in via

principale la difesa della Costituzione democratica come compito costituzionale.

Il Parlamentarischer Rat si chiese se fosse opportuno inserire in una Costituzione dal carattere

transitorio una parte sui diritti fondamentali. In proposito Adolf Süsterhenn65 affermò che lo Stato

non era la fonte di tutto il diritto, e che esistevano diritti prestatali e sovrastatali, che si davano sul

fondamento della natura e dell’essenza dell’uomo e che lo Stato doveva rispettare. Solo se lo Stato

avesse riconosciuto i propri limiti rispetto a questi Gottgewollten Rechte, l’uomo sarebbe stato

autenticamente libero nello Stato. E qui si innesta l’altro nodo di contrapposizione fra la legge di

Bonn e la Costituzione di Weimar.

Come sappiamo, l’inserimento di una parte sui diritti fondamentali nella Costituzione di Weimar

aveva costituito uno degli aspetti di maggiore modernità della Carta del 1919. Quella sezione era

stata il frutto di un faticoso confronto e di un serrato dialogo fra i tre partiti che allora formavano

la maggioranza, che in seno alla Costituente esprimevano ideologie e valori profondamente

diversi. Grazie al compromesso raggiunto dalle forze politiche sul tema dei diritti fondamentali, la

Costituzione di Weimar aveva dato prova di essere un diritto molto avanzato. Fra i diritti di libertà

con carattere universale, ricordiamo, ad esempio, la libertà della persona (art. 114), l’inviolabilità

del domicilio (art. 115); la segretezza della corrispondenza (art. 117); il diritto di riunione pacifica e

senza armi (art. 123); il diritto di formare unioni e associazioni per scopi che non fossero in

contrasto con la legge penale (art. 124) e, infine, il diritto di proprietà (art. 153). Erano stati sanciti,

con valore programmatico, anche i princìpi di una Costituzione sociale ed economica, ai quali il

legislatore doveva ispirarsi.66

I diritti fondamentali statuiti a Weimar, in ogni caso, non erano giustiziabili, vale a dire che

qualora una legge avesse leso uno di questi diritti, l’individuo offeso non avrebbe avuto la

possibilità di rivolgersi ad un organo di giustizia. Lo Staatsgerichtshof, la cui esistenza era prevista

dalla Costituzione, infatti, era un Tribunale che si limitava a dirimere le controversie sorte fra le

istituzioni (fra il Reich e i Länder, o fra due Länder), e non valutava la costituzionalità delle leggi. In

questo senso il Parlamento della Repubblica di Weimar era “onnipotente”, poiché nulla si sarebbe

65 Adolf Süsterhenn, noto costituzionalista, fu anche un politico di primo piano nella costruzione della Bundesrepublik Deutdchland, come membro prima del Consiglio parlamentare e, successivamente, del Parlamento federale.66 GOZZI, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., p. 255.

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potuto opporre alle leggi da esso emanato, anche nel caso in cui esse fossero state sospette di

incostituzionalità.

Il fatto che nella Repubblica di Weimar mancasse una specifica giurisdizione costituzionale

aveva lasciato, tuttavia, ampio spazio ai tribunali ordinari per avocare a se stessi la competenza di

verificare la costituzionalità delle leggi, e aveva finito di fatto con il limitare fortemente la potestà

del legislatore. Consapevole di ciò, il Parlametarischer Rat vide nell’estensione, all’interno del

Grundgesetz, del catalogo dei diritti un possibile limite ed un indebolimento del Parlamento, e

rifiutò di conseguenza di introdurvi diritti sociali e scopi socio - economici. Rinunciando, infatti, ad

ampliare il ventaglio dei diritti in materia sociale ed economica, ne derivò per riflesso un

incremento delle competenze del legislatore, al quale veniva rinviato di volta in volta il giudizio su

eventuali provvedimenti economici o di natura sociale da adottare. Data anche la propria natura

provvisoria, il Grundgesetz si limitò, quindi, ad enunciare soltanto lo scopo dello “Stato sociale”,67

nella misura in cui ne affidava la concreta realizzazione alla futura legislazione.68

Fra le preoccupazioni del Consiglio parlamentare vi era anche quella di difendere, da eventuali

nemici e attraverso le opportune garanzie costituzionali, la democrazia sulla quale il nascente

Stato tedesco si fondava. È a tale scopo che l’articolo 18 del Grundgesetz prevedeva la

sospensione dei diritti fondamentali, recitando:

“Chi abusa della libertà di espressione del pensiero, in particolare della libertà di stampa, della libertà di insegnamento, della libertà di riunione per combattere l’ordinamento fondamentale democratico e liberale, perde questi diritti”.

Nella Costituzione di Weimar, al contrario, non erano state contemplate restrizioni per la libertà

di insegnamento, né per quella di associazione.69 Ma la differenza più evidente fra il Grundgesetz e

la Costituzione di Weimar su questo aspetto sta nel fatto che nel 1949 la determinazione a livello

costituzionale delle condizioni stesse che implicavano una minaccia per l’ordinamento

democratico e liberale fece perdere al weimariano articolo 48 la sua ragione d’esistere.70 L’articolo

48 della Costituzione di Weimar rimetteva al Presidente la valutazione dello stato d’emergenza e la

facoltà di adottare misure straordinarie, per ristabilire l’ordine e la sicurezza pubblici. Tra queste si

includeva anche la sospensione dei diritti fondamentali. Il Presidente del Reich ricopriva un ruolo

tanto forte di partecipazione al potere esecutivo, proprio perché era legittimato direttamente

dall’elezione popolare. Nel 1949, invece, si affidò al Grundgesetz, e non più al Presidente, la

valutazione dello stato di emergenza. 67 Art. 20, Absatz I: “Die Bundesrepublik Deutschland ist ein demokratischer und sozialer Bundesstaat”.68 GOZZI, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., pp. 255-256.69 Ibid., p. 257.70 Ibid., p. 258.

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Rimaneva, però, ancora un’altra questione: chi avrebbe difeso la Legge fondamentale? Si istituì

allora il Bundesverfassungsgericht, quale organo di garanzia della Costituzione. Di tale tribunale si

mise in risalto, da un alto, il suo carattere eminentemente costituzionale: in confronto al

weimariano Staatsgerichtshof, il Bundesverfassungsgericht divenne in senso autentico l’Hüter der

Verfassung, tanto che l’articolo 99 della Legge fondamentale stabiliva che le sentenze del

Bundesverfassungsgericht, che annullavano l’effettività di una norma, dovevano avere forza di

legge, e costituivano diritto immediatamente valido. Dall’altro, però, si sottolineò anche il rilievo

politico di questo Tribunale, nella misura in cui, ponendosi come il difensore dei diritti

fondamentali, esso entrava in conflitto con il potere legislativo, assumendo a pieno titolo un chiaro

orientamento politico.71

L’innovazione introdotta in tema di diritti fondamentali dal Grundgesetz rispetto alla

Costituzione di Weimar appare estremamente significativa. In primo luogo, nei dibattiti all’interno

del Parlamentarischer Rat si decise di anteporre la sezione sui diritti fondamentali a quella relativa

all’organizzazione dello Stato, mentre la Costituzione di Weimar, al contrario, aveva posto i diritti e

i doveri fondamentali dei tedeschi nella seconda parte della Costituzione. Inoltre, nel Grundgesetz

i diritti fondamentali non erano più semplice appendice della Costituzione, ma si posero come

diritti prestatali e precostituzionali; Questa pre - costituzionalità o pre - statualità rappresentava

un progresso rispetto a Weimar, ed era stata espressa nel Grundgesetz, ponendo i diritti

fondamentali come diritti dell’uomo e come norme giuridiche immediatamente valide, in quanto

tali vincolanti per la legislazione, il potere esecutivo e la giurisdizione.72

Nel 1949 si vollero parimenti individuare dei limiti precisi all’intervento del legislatore nei

confronti di tali diritti, e in ogni caso nessuno di essi poteva essere leso nel suo contenuto

essenziale. Sulla loro base, infine, ogni tedesco poteva avviare un’azione di fronte all’autorità

giudiziaria.73

In via conclusiva si può affermare che la Legge fondamentale di Bonn, da una parte, fornì allo

Stato la possibilità di esercitare una difesa della democrazia, intervenendo nell’ambito dei diritti

fondamentali (art. 18)74; dall’altra, però, si delinearono con chiarezza i limiti del legislatore in

71 Ibid., pp. 259-260.72 Ibid., pp. 254, 262. Si veda anche il terzo comma dell’articolo primo del Grudgesetz: “Die nachfolgenden Grundrechte binden Gesetzgebung, vollziehende Gewalt und Rechtsprechung als unmittelbar geltendes Recht”.73 GOZZI, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., pp. 262-263. Si vedano rispettivamente il secondo ed il quarto comma dell’articolo 19 del Grundgesetz:

“…In keinem Falle darf ein Grundrecht in seinem Wesensgehalt angetastet werden. (…);.Wird jemand durch die öffentliche Gewalt in seinen Rechten verletzt, so steht ihm der Rechtsweg offen. Soweit eine andere Zuständigkeit nicht begründet ist, ist der ordentliche Rechtsweg gegeben”.

74 Vedi p. 27.28

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questo intervento (art. 19),75 operando il sovraordinamento del rango della Costituzione rispetto

alle deliberazioni parlamentari.76

75 Vedi p. 28, nota 73.76 GOZZI, L’esperienza costituzionale tedesca, cit., pp. 263-264.

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Bibliografia

SILVIO GAMBINO, MARIA RIZZO, Le costituzioni del Novecento, in ARMANDO VITALE (a cura di), Il

Novecento a scuola. Un ciclo di lezioni, Donzelli, Roma, 2001, pp. 155-207.

MAURIZIO FIORAVANTI, Costituzione e popolo sovrano. La Costituzione italiana nella storia del

costituzionalismo moderno, Il Mulino, Bologna, 2004.

GUSTAVO GOZZI, L’esperienza costituzionale tedesca dalla costituzione di Weimar alla Legge

fondamentale di Bonn, in MAURIZIO FIORAVANTI, SANDRO GUERRIERI (a cura di ), La Costituzione

italiana, Carocci, Roma, 1999, pp. 247-270.

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Introduzione....................................................................................................................................... 1

1. Il passaggio dallo Stato liberale alle Costituzioni degli anni Venti del Novecento..........................2

2. Il costituzionalismo del secondo dopoguerra: la supremazia della Costituzione sulla legge...........7

3. La sovranità popolare nella Costituzione italiana del 1948: un principio ancora filtrato dalla

vecchia cultura liberal - parlamentaristica.......................................................................................10

4. Il mancato riconoscimento al popolo del potere di determinazione della funzione di Governo....12

5. Il primato del Parlamento nell’attuazione della Costituzione.......................................................14

6. Il progetto di riforma costituzionale del 1997: il conferimento di una legittimazione popolare

all’esecutivo?....................................................................................................................................16

7. La funzione puramente correttiva della Corte costituzionale verso le leggi del Parlamento........19

8. Il “Grundgesetz” del 1949: interventi correttivi in senso democratico delle debolezze di Weimar

......................................................................................................................................................... 22

Bibliografia....................................................................................................................................... 30

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