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A cura di :

Lombardo Antonella (matr. 157474) Marchese Marianna (matr. 157451) Mastroianni Delia (matr. 157459)

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Rizzuto Erminia (matr. 157640

INDICE

Introduzione ……………………………………………………………… pag. 2

Par.1: Definizioni generali ………………………………………………… pag. 3

Par.2: Imprese italiane: innovazione o imitazione? ……………………… pag. 6

Par.3: Criticità e possibili rimedi legati all’attività innovativa in Italia …… pag. 9

Par.4: I brevetti: alcuni dati ………………………………………………….. pag. 11

Conclusioni ……………………………………………………………………pag. 15

Bibliografia …………………………………………………………………….pag. 16

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Introduzione

Il mercato, quando funziona correttamente, è un luogo nel quale possono essere favorite e premiate

le innovazioni e la creatività umana. La concorrenza di mercato può essere vista come una gara per

innovare: chi innova cresce e vive, chi non innova resta indietro e esce dal gioco economico e

civile.

Il lavoro esposto di seguito andrà a focalizzare l’attenzione su quali sono gli atteggiamenti adottati

dal nostro Paese, in termini di innovazione e di strategie competitive per fronteggiare la

concorrenza, in continuo sviluppo per effetto della globalizzazione.

In particolare, nel primo paragrafo verrà data definizione dei concetti generali, partendo da quello di

innovazione fino ad arrivare a quello di brevetto. Si cercherà di capire, innanzitutto, la differenza tra

innovazione di prodotto e di processo ed, in quest’ultimo caso, si introdurrà il concetto del

Business Process Reengineering inteso come rivisitazione dell’intero processo produttivo con

l’obiettivo di adeguarlo ai repentini cambiamenti offerti dall’ambiente di riferimento.

Si passerà, poi, nel secondo paragrafo a capire quali sono effettivamente le strategie che le imprese

italiane hanno adottato per perseguire un vantaggio competitivo durevole.

Emergerà inoltre, l’influenza notevole esercitata dalle nuove frontiere della green economy intesa,

da molti, come unico modo per risollevarsi dalla crisi che perdura, ormai, da troppo tempo.

Vedremo poi, già dalla fine di questo paragrafo, come l’Italia sia carente in termini di innovazione

tecnologica tant’è, che in questo campo, anziché innovare imita paesi all’avanguardia come la Cina

perdendo di vista l’importante ruolo rivestito nel business dalla tecnologia.

Nel terzo paragrafo, verranno delineati i principali fattori che bloccano la crescita in termini di

innovazione, di ricerca e di sviluppo. Vedremo come tra questi assume particolare rilievo la

dimensione ridotta delle imprese italiane.

Inoltre, verranno esposti i possibili rimedi necessari a collocare l’Italia in una posizione migliore

rispetto a quella odierna, che la vede protagonista in alcuni settori (alimentare, abbigliamento-

moda) e completamente assente in altri (settore tecnologico).

Infine, nel quarto paragrafo emergerà il confronto in termini percentuali tra il meridione e il

settentrione d’Italia, ma, altresì, tra Italia e resto del mondo.

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A supporto verranno allegati dei grafici che metteranno in evidenza la situazione italiana a partire

dagli anni novanta.

Par 1. Definizioni generali

a cura di Delia Mastroianni

Innovazione è la dimensione applicativa di un'invenzione o di una scoperta. L'innovazione riguarda

un processo che garantisce risultati maggiori, anche se non sempre efficaci e migliorativi rispetto a

ciò che va ad innovare. Innanzitutto, bisogna distinguere l’innovazione di prodotto

dall’innovazione di processo.

L’innovazione di prodotto è indispensabile per le imprese a medio lungo termine. Da una parte, i

consumatori hanno accesso ad un numero di informazioni sui prodotti più ampio rispetto al passato

e questo li rende più sofisticati, informati e consapevoli al momento dell’acquisto. Dall’altra parte, i

prodotti stanno diventando meno differenziati perché le organizzazioni hanno già pronta e

facilmente usufruibile la tecnologia necessaria per lanciare nuovi prodotti con poche differenze, in

termini di qualità, rispetto ai concorrenti. Il processo che sta alla base dello sviluppo di nuovi

prodotti deve tenere in considerazione tre fattori principali:

il grado in cui questo prodotto è nuovo;

l’opportunità legata al rischio di sviluppo;

l’incremento di costo che questo sviluppo può comportare.

Abbiamo diverse tipologie di prodotto che vengono considerate “nuove” sia rispetto al mercato sia

rispetto alla stessa azienda:

prodotti nuovi nel mondo, che creano un mercato completamente nuovo, arrivando anche a

modificare il comportamento esistente tra i consumatori;

nuove linee di prodotto, che sono nuove per l’organizzazione, ma non per il mercato e

rappresentano il punto d’ingresso di un’azienda in un mercato definito;

aumento delle linee esistenti di prodotto;

miglioramento dei prodotti esistenti;

riposizionamenti di prodotti, che vengono indirizzati a nuovi segmenti di consumatori o

sono posizionati per una nuova applicazione o utilizzo.

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L’innovazione di processo, invece, richiede cambiamenti strutturali che consentiranno una crescita

dell’efficienza della produzione di un prodotto o di un servizio. E’ necessario che la gestione

d’impresa avvenga attraverso un approccio sistemico di processi interrelati tra loro, volti al

perseguimento di un fine comune aziendale.

Un tema di grande attualità è il Business Process Reengineering. Con tale termine si indica un

ripensamento globale e radicale dei processi aziendali finalizzato ad ottenere dei miglioramenti

sostanziali in tutte le fasi del processo e nelle aree di performance: costi, qualità, servizio e

tempestività. In definitiva, l’innovazione di processo può elevare enormemente le prestazioni

aziendali avvalendosi di un approccio rivoluzionario teso a cogliere appieno le sinergie offerte

dall’Information and Comunication Technology e della gestione delle risorse umane.

E’ opportuno, però, sottolineare come l’innovazione d’impresa possa riguardare anche le

combinazioni innovative processi-prodotti. Questo tipo d’innovazione nasce dal rapporto reciproco

che lega le innovazioni di prodotto alle innovazioni di processo.

La distinzione tra le due tipologie diventa cruciale quando consideriamo le conseguenze del loro

sviluppo. L’innovazione di processo favorisce l’incremento dell’efficienza della produzione di

particolari beni o servizi, mentre le innovazioni di prodotto accrescono la varietà di beni e possono

dar vita a nuovi mercati, quando il rimpiazzo di vecchi prodotti non rappresenta il modello

dominante all’interno dell’innovazione di prodotto.

Le innovazioni di prodotto e di processo hanno, in termini generali, effetti di sviluppo diversi:

incremento della produttività e sostituzione della forza lavoro nel caso di innovazione di processo;

creazione di nuovi mercati, produzioni e lavori nel caso di innovazione di prodotto.

Nel contesto di innovazione aziendale, spesso accade che un’azienda incontri la necessità di dover

contrattare con altri operatori i termini di uso delle reciproche tecnologie. In questi casi l’aver

accumulato consistenti portafogli di brevetti garantisce all’impresa una più forte posizione

negoziale che le può permettere di spuntare condizioni più vantaggiose durante le contrattazioni.

Il brevetto è uno strumento giuridico che conferisce al suo titolare un monopolio temporaneo per lo

sfruttamento dell’invenzione. Al titolare del brevetto viene attribuito il diritto di impedire l’utilizzo,

la commercializzazione, o l’importazione del prodotto, o l’implementazione del processo produttivo

oggetto della protezione brevettuale.

In particolare, un’invenzione per essere brevettabile deve:

avere come oggetto una materia brevettabile;

essere nuova;

implicare un’attività inventiva;

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avere un’applicazione industriale.

Il brevetto determina una posizione monopolistica in capo al suo titolare. In assenza, l’invenzione

può essere facilmente imitata da altri operatori concorrenti, portando ad una erosione dei profitti di

cui l’operatore può appropriarsi.

Inoltre, questo strumento legale conferisce un diritto di proprietà e come tale può essere venduto ad

altri soggetti interessati. E’ grazie ai brevetti, infatti, che si crea il cosiddetto “mercato delle idee”

sulla cui piazza si comprano e si vendono invenzioni. In verità, un’innovazione potrebbe essere

venduta anche in assenza di un brevetto che ne tuteli la proprietà; tuttavia, poiché nessuno sarà mai

disposto a comprare una nuova tecnologia “a scatola chiusa” ,un inventore, se vuole riuscire a

vendere la propria invenzione, dovrà preventivamente illustrarne contenuto e funzionamento a

chiunque fosse potenzialmente interessato all’acquisto.

Par. 2 Imprese italiane: innovazione o imitazione?

a cura di Marianna Marchese

Fattore fondamentale per lo sviluppo e la sopravvivenza di ogni impresa è l’adozione di una

strategia che le consenta, non solo di primeggiare rispetto ai principali concorrenti ma, altresì, di

sopravvivere in uno scenario di crisi quale quello odierno.

Tuttavia, la strategia adottata da ciascuna impresa, non deve essere fine a se stessa, ma deve essere

“flessibile” , cioè sempre pronta a mutare per stare al passo con lo scenario di riferimento. È noto,

infatti, che la globalizzazione ha da diversi anni preso il sopravvento nello scenario economico,

influenzando non solo le decisioni economiche e politiche ma altresì la mentalità degli

individui/consumatori che vedono mutare le loro preferenze tanto rapidamente quanto l’ambiente

che le circonda; essi,quindi, non si accontentano più di prodotti standard, ma ricercano qualità e

differenziazione.

In questo contesto, pertanto, la visione e la strategia dell’impresa deve mutare ed adeguarsi ai

repentini cambiamenti; inoltre, le forme di cooperazione e comunicazione racchiuse al proprio

interno devono aprire i confini all’esterno e sposare la logica secondo la quale non si può

raggiungere un vantaggio competitivo da soli.

Ecco, allora, che le imprese si sono attivate per ricercare, non solo nuovi sistemi produttivi che

potessero differenziarle rispetto alle concorrenti e portarle ad acquisire un vantaggio competitivo

duraturo, ma ,altresì, nuove collaborazioni con imprese e università.

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Come noto, nello Stato italiano sono in prevalenza presenti piccole e medie imprese che già per la

loro ridotta dimensione incontrano non poche difficoltà a racimolare i finanziamenti necessari. Le

banche dovrebbero, pertanto, finanziare i progetti innovativi anche se provenienti da piccole

imprese guardando, non tanto alla loro dimensione, bensì alla loro prospettiva futura.

Confindustria sostiene che esiste un’Italia che eccelle anche in uno scenario difficile come quello

che sta attraversando.

È infatti noto come la crisi, che ormai perdura da tempo, abbia messo alle strette diverse imprese

costrette, nel migliore dei casi a ridurre la dimensione, nel peggiore a chiudere i battenti con

conseguenze a dir poco disastrose (basti pensare ai milioni di dipendenti rimasti senza lavoro da un

giorno all’altro ).

Nonostante ciò, le imprese devono impegnarsi costantemente in quanto la ricerca e l’innovazione

sono i principali motori della crescita e , in particolare, proprio queste, introducendo nuovi prodotti

e nuovi processi e adottando tecnologie avanzate, hanno un ruolo essenziale, aumentando la loro

efficienza e creando, in questo modo,le condizioni per la crescita economica, l’incremento e la

diffusione del benessere.

Pertanto, oggi come non mai, si ricercano costantemente nuove frontiere per lo sviluppo tra le quali

spicca la green economy. Si tratta di un’economia attenta alla sostenibilità ambientale, da molti

intesa come l’unica rivoluzione che consentirebbe alle economie occidentali di creare nuovi posti di

lavoro e porre rimedio ad una globalizzazione affrettata e non pianificata che ha cancellato in

America, ma anche in Europa, interi settori produttivi.

Le imprese italiane, soprattutto nella veste di distretti, hanno sposato la logica green con l’obiettivo

di rimanere competitivi in un mercato sempre più attento alla sostenibilità ambientale.

In tal senso, l’innovazione è soprattutto in termini di processo; infatti, molte sono state le

rivisitazioni che le imprese hanno dovuto fare ai loro processi produttivi per orientarsi nell’ottica

green. Dagli impianti per lo smaltimento delle acque reflue a quelli fotovoltaici, tutte si sono

attivate per non restare nell’angolo a guardare il mutamento continuo del contesto economico di

riferimento e della visione innovativa del consumatore, sempre più attento alla propria salute e

quindi all’ambiente.

Di certo convertire gli impianti in una nuova chiave eco- sostenibile comporta ingenti costi, ma se

ciò vuol dire continuare ad offrire qualità ed eccellenza, beh le imprese italiane non si tirano

indietro.

L’errore commesso da molti è stato quello di fermarsi ai risultati raggiunti, perdendo di vista la

nascita di nuove esigenze da parte dei consumatori, di accontentarsi di un vantaggio competitivo

immediato, seppur di breve durata ,tralasciando i notevoli vantaggi legati al lungo termine.

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Per godere di questi benefici, tuttavia, non basta innovare solo in tema di processo, ma si rende

necessario migliorare l’efficacia delle attività non produttive connesse alla creazione del marchio, il

design, la commercializzazione dei prodotti, l’assistenza post vendita.

Queste attività sono state introdotte nella nuova categoria delle “innovazioni non tecnologiche”

che si suddividono in: organizzative e di marketing.

Le prime, consistono in mutamenti significativi nelle procedure di gestione aziendale,

nell’organizzazione del lavoro o nelle relazioni con l’esterno; le seconde, comprendono le nuove

strategie e modalità di commercializzazione di prodotti o servizi, nonché le modifiche nelle

caratteristiche estetiche, nel design e nel confezionamento dei prodotti.

In Italia, gran parte delle imprese ha introdotto entrambe le tipologie di innovazione.

Dal quadro appena esposto emerge chiaramente come non abbia senso imitare le strategie adottate

dalle altre realtà economiche. Più costruttivo sarebbe, di certo, prenderne spunto per poi aggiungere

valore al fine di far nascere nuove esigenze e, con esse, il prodotto giusto a colmarle.

Tuttavia l’Italia, in tema di innovazione, rimane distante dagli altri paesi soprattutto a causa di una

scarsa propensione alla digitalizzazione. Questo problema non è solo legato alla carenza di

infrastrutture ma è piuttosto di carattere culturale.

Si aggiunge, poi, la mancanza di un percorso di formazione digitale per manager, liberi

professionisti o imprenditori. Così come non ci sono programmi universitari adeguati che possano

formare studenti da inserire nelle piccole e medie imprese.

Digitalizzare è diventato un elemento chiave, insieme agli investimenti sulle risorse umane, per

aumentare e consolidare la produttività.

Pertanto, muovendosi in una direzione diversa si perdono occasioni di business, si è poco

competitivi e non si è in grado di rispondere in modo veloce alle richieste. Per questi motivi, la vera

sfida diviene quella di formare manager capaci di pianificare anche strategie digitali.

In Italia il settore dell’Information & Communication technology viene considerato come un

ulteriore costo da gestire tralasciando le preziose opportunità di sviluppo che consente. Gli italiani,

in pratica, fanno un uso parziale della Rete, utilizzandola in particolar modo per lo scambio di

informazioni e di comunicazioni attraverso mail e social network. Sono ancora pochi coloro che

vedono in internet un vero e proprio mezzo per fare business e quindi usarlo soprattutto per finalità

produttive.

Se l’Italia vuole continuare ad essere innovativa e, quindi competitiva, dovrà ampliare la propria

cultura e dirigere il proprio interesse anche verso la tecnologia, importante fonte di vantaggio

competitivo durevole. Infatti l’imitazione è importante e svolge una funzione di bene comune, ma il

modo positivo di rispondere all’imitazione è rilanciare la gara, innovando ancora.

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Par 3. Criticità e possibili rimedi legati all’attività innovativa in Italia

a cura di Antonella Lombardo

Riguardo l’attività di innovazione, l’Italia registra un forte ritardo rispetto ai principali paesi

industrializzati e, lo stesso, risente della frammentazione del sistema produttivo in molte piccole

imprese che hanno difficoltà a sostenere i costi elevati insiti nella ricerca e sviluppo e ad

assumersene i rischi.

A questa prima questione si sommano carenze di capitale umano nella funzione manageriale e di

ricerca e un’eccessiva flessibilità dei rapporti di lavoro, che riduce l’incentivo a investire in attività

di formazione. Costituisce un ulteriore ostacolo allo sviluppo dell’innovazione in Italia la carenza di

risorse finanziarie; il capitale azionario, più adatto rispetto a quello di debito a finanziare

l’innovazione, è meno diffuso che in altri paesi. Inoltre, il ritardo innovativo rispetto agli altri

principali paesi europei è da attribuire in parte a una specializzazione settoriale orientata verso

produzioni tradizionali a basso contenuto tecnologico.

Nell’attività innovativa un importante contributo viene offerto dall’attività di ricerca e di sviluppo;

la stessa è correlata alla dimensione delle imprese (cioè è più elevata nelle imprese di grandi

dimensioni); in Italia, essa passa dal 13,8 per cento delle imprese con 10-49 addetti al 50,7 per cento

di quelle con oltre 250 addetti; in ogni classe dimensionale, inoltre, le imprese italiane risultano

mediamente meno propense alla ricerca e sviluppo di quelle tedesche e francesi.

Le risorse pubbliche spese nel nostro Paese per incentivi alle imprese hanno consentito di

raggiungere risultati modesti.

Un altro fattore importante per la crescita in termini di innovazione è rappresentato dai brevetti.

Anche in questo campo, l’Italia risulta essere in netto svantaggio rispetto agli altri paesi, come

Germania, Francia, Olanda e Svizzera.

La motivazione principale risiede nel fatto che il brevetto, per le aziende italiane, è spesso visto

come un costo piuttosto che un investimento utile a crescere. I costi di deposito, in effetti, sono

abbastanza onerosi: si va dai 1.500-4.000 euro per brevetti italiani, ai 4-30 mila euro per depositi

europei ,fino a toccare quota 120-140 mila euro per quelli internazionali. Per evitare il caricamento

di questi costi, alcune aziende preferiscono persino nascondere le proprie scoperte, lamentandosi

quando si ritiene di essere stati copiati.

Altro punto sfavorevole, che comporta il mancato investimento in brevetti, è il complesso

procedimento per la presentazione degli stessi. Le richieste di brevetto avanzate in Italia sono

sottoposte ad una valutazione atta a verificare la sussistenza dei requisiti fondamentali. Alle 9

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domande di deposito in Europa, invece, segue una rigida selezione ed una ricerca di anteriorità che

certifica l’effettiva originalità dell’innovazione. Quando l’esame  di merito verrà istituito anche in

Italia, assai probabilmente si verificherà un ulteriore calo dei brevetti che, però, dovrebbero

aumentare in qualità.

Per abbattere i costi di deposito in Europa si sta discutendo dell’istituzione di un deposito unico che

farebbe scendere i costi complessivi a quota 6 mila euro circa.

Visti i diversi fattori che bloccano la crescita innovativa in Italia si può concludere dicendo che, per

accrescere la capacità innovativa, sono opportune azioni per favorire la crescita dimensionale delle

imprese, l’adozione di forme di gestione più manageriali (infatti in Italia sono principalmente

diffuse imprese a gestione familiare), l’aumento del grado di capitalizzazione.

È importante sostenere lo sviluppo di intermediari di venture capital (1), ancora poco diffusi in

Italia; la gestione degli investimenti pubblici all’innovazione necessita di miglioramenti.

Menzionando alcuni dati riguardo l’attività di ricerca e sviluppo delle imprese in Italia si deve

ricordare il 2008, anno in cui la spesa in ricerca e sviluppo, in rapporto al PIL, era pari all’1,2 per

cento, un valore inferiore alla media dell’Unione europea (1,8 per cento) e ben distante dalla

Germania (2,6 per cento) e dei paesi scandinavi (Svezia e Finlandia che si collocavano

rispettivamente sul 3,7-3,8 per cento del loro PIL).

Per gran parte delle imprese italiane, soprattutto di dimensione piccola e medio - piccola, le

innovazioni di prodotto sono per lo più di natura incrementale, quelle di processo si caratterizzano

soprattutto nell’acquisizione di macchinari: in entrambi i casi, si tratta di innovazioni che richiedono

un minor impegno organizzativo e finanziario. Queste caratteristiche rendono impegnativo

raggiungere l’obiettivo quantitativo del 3 per cento di spesa in ricerca e sviluppo in rapporto al PIL

previsto nell’ambito della strategia dell’UE2020 (2), ma soprattutto, conseguire l’obiettivo più

generale di rendere la nostra economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione.

In Italia gli incentivi monetari all’attività innovativa delle imprese sono inferiori a quelle degli altri

paesi europei. In base ai dati forniti dall’Eurostat relativi agli aiuti di Stato per la ricerca e sviluppo,

nel 2009, l’Italia ha erogato risorse pari allo 0,06 per cento del PIL contro lo 0,09 della UE 27 e

della Germania, lo 0,11 della Francia e lo 0,13 della Spagna. La probabilità di ricevere tali aiuti

1 Il venture capital è l'apporto di capitale di rischio da parte di un investitore per finanziare l'avvio o la crescita di un'attività in settori ad elevato potenziale di sviluppo. Spesso lo stesso nome è dato ai fondi creati appositamente, mentre i soggetti che effettuano queste operazioni sono detti venture capitalist.

2 L’Unione si è posta cinque ambiziosi obiettivi – in materia di occupazione, innovazione, istruzione, integrazione sociale e clima/energia – da raggiungere entro il 2020. Ogni Stato membro ha adottato per ciascuno di questi settori i propri obiettivi nazionali. Interventi concreti a livello europeo e nazionale vanno a consolidare la strategia.

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cresce con la dimensione delle imprese, soprattutto in Italia e in Spagna dove si passa da circa

un’impresa su 4 tra le aziende con 10-49 addetti a quasi la metà in quelle con oltre 250 addetti. La

Francia e la Germania riescono maggiormente ad accedere ai finanziamenti dell’UE essendo

formate soprattutto da imprese con elevate dimensioni. Invece, le imprese in Italia e in Spagna,

essendo di piccole e medie dimensioni, non ricevono finanziamenti da parte delle autorità nazionali

ed europee, ma solo da parte delle autorità locali.

Dopo aver analizzato i principali fattori che determinano il basso investimento in attività di

innovazione da parte delle imprese italiane si possono individuare i principali passi utili ad

incrementare l’innovazione, quale strumento necessario a rendere più competitive le imprese nel

settore in cui operano.

Necessitano, quindi, al fine di far crescere di dimensione le imprese, trattamenti fiscali agevolati per

le operazioni di ristrutturazione aziendale, che rendano meno onerose le operazioni di fusione e

aggregazione tra imprese. A proposito, per favorire l’aggregazione tra imprese, è stato di recente

introdotto nell’ordinamento, il contratto di rete, uno strumento con cui più imprese regolano

l’esercizio in comune di una o più attività rientranti nel proprio oggetto sociale con l’obiettivo di

accrescere il coordinamento tra imprese e la loro capacità innovativa e competitiva sul mercato.

Inoltre, si necessita di una riduzione dell’aliquota di imposta sui profitti al fine di incentivare un

maggiore utilizzo del capitale di rischio che è lo strumento più adatto al finanziamento

dell’innovazione. Sono necessari, inoltre, ulteriori investimenti nel sistema di istruzione secondaria

e universitaria, e corsi di formazione per i lavoratori, utili a garantire investimenti in tecnologia e in

innovazione.

Par. 4: I brevetti:alcuni datia cura di Erminia Rizzuto

A seguito della’analisi teorica precedentemente illustrata, ci si vuole soffermare sui risultati

registrati dal nostro Paese nei vari settori produttivi, soffermandosi sul tema riguardante i brevetti.

Dall’analisi effettuata emerge che l’Italia investe poco in ricerca (circa l’1.2% del PIL), con il

risultato di produrre poche idee originali, assai spesso in settori tradizionali, come la meccanica

industriale e poco in settori in espansione come le biotecnologie. La recente crisi non ha fatto altro

che peggiorare questa situazione. Molte aziende italiane non sono più in grado di investire in

innovazione, ma puntano sulla tutela della proprietà industriale in particolar modo nel momento in

cui il brevetto comincia a diventare obsolescente.11

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Un importante indicatore per misurare la capacità innovativa di un paese è rappresentato dal numero

di brevetti depositati in ambito nazionale ed internazionale. Secondo i dati diffusi dal World

Intellectual Property Organisation, a livello mondiale, nel 2010 i depositi di brevetto sono

aumentati del 4,8%, soprattutto grazie alla forte Cina che ha registrato un netto aumento. L’Italia

occupa solo il 12° posto con 2.632 richieste (anche nel contesto europeo sembra restare indietro).

Nel 2010 i brevetti europei presentati dal nostro Paese sono stati 2.300, quasi il 40% in meno

rispetto al 2009.

L’ufficio italiano, nel 2010, ha registrato 9.639 brevetti in linea con quelli dell’anno precedente ed

in calo rispetto ai circa 10 mila del 2006. Dei depositi italiani meno di un terzo è stato esteso anche

all’Europa: si tratta di una percentuale molto bassa. Osservando l’indice di specializzazione dei

brevetti (Isp)3, nell’alta tecnologia, a partire dagli anni ‘80 l’Italia mostra un arretramento costante e

progressivo nel tempo. La differenza del sistema innovativo italiano riemerge, invece, quando

questa produttività è valutata con riferimento al rapporto brevetti high-tech per ricercatore. I minori

valori, che si verificano in questo caso, trascurano in effetti la diversa specializzazione produttiva.

L’andamento dell’ indice di specializzazione dei brevetti (Isp) nell’alta tecnologia conferma la

divergenza nelle specializzazioni produttive tra Italia e UE ed, inoltre, una allocazione di risorse

per la R&S più accentuata nelle produzioni a medio bassa tecnologia.

Tabella 1: Quota percentuale dei brevetti mondiali dell’Italia nei 12 settori High-tech (numero di brevetti ponderato per il numero di citazioni ricevute).

1983-1985 1989- 1991 1993-1995 1998-2000

Farmaceutica 1,45 2,17 1,65 1,39Energia termoidraulicaChimica

1,772,57

3,33 4,541,95 1,77

2,57 1,73

Materiali 2,13 1,55 1,41 0,18Automazione industriale 4,66 5,64 5,98 4,08Macchine per ufficio 1,52 1,25 1,86 0,67TelecomunicazioniElettromedicaliComponenti elettrici

1,29 2,30 0,87

1,32 1,19 2,47 1,98 2,06 3,59

0,65 1,16 1,85

Aerospazio 1,79 2,39 0,49 1,94Strumenti di precisione 1,14 1,44 1,34 0,71Strumenti e materiale ottico 1,53 1,45 2,14 2,03

Fonte: Banca Dati Ueb-Cespri

3 L’Isp e dato dal rapporto tra la quota mondiale di brevetti high – tech e la quota di brevetti totali di un Paese.

Isp=[((quota brevetti high-tech/quota bevetti totali)-1)/((quota brevetti high-tech/quota bevetti totali)+1)]*100

A valori positivi corrispondono casi di specializzazione a valori negativi casi di de specializzazione.12

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Una buona competitività emerge nell’automazione industriale, mentre maggiori divergenze

appaiono dalle performance dei brevetti nelle aree della chimica e della farmaceutica. Soprattutto in

quest’ultima, si nota una crescita nella de specializzazione accentuando il distacco dall’ UE nei

primi 5 anni del nuovo decennio anche in termini di dinamica delle quote sui brevetti mondiali.

Di seguito viene riportato il grafico relativo alle quote di brevetti sul totale nazionale distinguendo

tra settore High- tech e settore Low- tech.

Grafico1: Settore High – tech

Grafico 2: Medium Low – tech

NORD-OVEST NORD-EST CENTRO SUD-ISOLE0

10

20

30

40

50

60

1989-19911993-19951998-20002000-2003

13

NORD-OVEST NORD-EST CENTRO SUD-ISOLE0

10

20

30

40

50

60

70

80

1989-19911993-19951998-20002000-2003

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Fonte: Elaborazione osservatorio Enea su Banca Dati Ueb – Cespri

Rilevante, inoltre, è il rafforzamento della ripartizione nelle quote dei brevetti Medium Low-tech

che, dall’inizio del nuovo decennio, hanno subito un incremento del 10% arrivando a superare il

36% del totale nazionale, determinando un’ ulteriore accentuazione della specializzazione

tecnologica nell’area dei comparti a medio – bassa intensità tecnologica.

Escluso da qualsiasi dinamica positiva è il Mezzogiorno, fonte di una già debole ottica innovativa.

Infatti, nei primi anni del nuovo decennio, ha registrato ingenti perdite nella produzione dei brevetti

che si attesta, nel 2000 – 2003, su valori poco più superiori al 6% del totale nazionale. Sembra

consolidarsi negli anni più recenti la tendenza verso un nuovo divario di competitività tecnologica

tra nord e Sud del Paese, comparso proprio dall’inizio del decennio.

Nell’attuale scenario di crisi, il Mezzogiorno si confronta con una più precaria posizione del Centro

e con un area Settentrionale in cui pesa l’arretramento del Nord – Ovest , mentre il Nord – Est,

essenzialmente specializzato in produzioni a medio – basso contenuto tecnologico, stabilizza

appena il positivo percorso di crescita della competitività tecnologica avviato negli anni ’90.

Il nostro Paese, proprio in questo campo, sembra stare più a guardare che agire da protagonista.

Il declino economico sulla scena internazionale trova conferma anche nell’analisi dei trend dei

brevetti. Peccato davvero per un Paese che è stato a lungo copiato nel mondo e che può vantare

importanti inventori.

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Conclusioni

Alla luce di quanto esposto, si può comprendere come l’Italia, nonostante il periodo di default che

sta vivendo, cerca costantemente nuove strategie per risollevarsi e rimanere competitiva rispetto

agli altri paesi.

È ben chiaro come non possa intraprendere da sola questo cammino; avrà, infatti, bisogno non solo

di sussidi governativi e aiuti economici in genere, ma altresì, di personale competente in grado di

produrre sempre nuove idee.

È fondamentale dirigere l’ottica familiare, che prevale nella maggior parte delle imprese italiane,

verso una logica manageriale. Solo così potranno incrementare le loro dimensioni e,

contestualmente, accedere con più facilità al credito godendo di quei benefici purtroppo riservati

solo alle grandi dimensioni.

Necessitano, inoltre, incentivi volti a favorire la fusione e l’aggregazione tra più imprese, che hanno

lo stesso oggetto sociale, al fine di creare una cooperazione costruttiva che possa incrementare il

loro valore aggiunto.

Dall’analisi è emerso che l’unico settore in cui il nostro Paese è quasi completamente assente è

quello tecnologico, non tanto per una questione di incapacità produttiva bensì per una questione

culturale.

Il settore dell’Information & Communication technology viene considerato, infatti, come un

ulteriore costo da gestire perdendo di vista le preziose opportunità di sviluppo che consente di

ottenere.

Per quanto riguarda gli altri settori, invece, l’Italia si colloca in posizione intermedia rispetto ai

paesi dell’Unione Europea. Tuttavia, gli ingenti costi legati alla creazione di un brevetto, hanno

fatto, negli anni, registrare un forte calo nei depositi.

Il fattore innovativo è cruciale per la sopravvivenza delle imprese in un contesto dominato dalla

globalizzazione che ne causa il continuo e rapido cambiamento.

Pertanto, per rimanere competitivi, è necessario abbandonare la logica imitativa e sposare quella

innovativa soprattutto in campo tecnologico. Ovviamente, il tutto dipende dalla realtà economica

del paese: infatti, l’Italia, a differenza dei paesi orientali che posso puntare su bassi costi di

manodopera e accontentarsi quindi di imitare, dovrà basare il proprio vantaggio competitivo sulla

creazione di prodotti sempre nuovi e di alta qualità.

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BIBLIOGRAFIA & SITOGRAFIA

“L’Italia nella competizione tecnologica internazionale” ,V° rapporto, Franco Angeli 2007, a cura

di Sergio Ferrari, Paolo Guerrieri, Franco Malerba, Sergio Mariotti, Daniela Palma.

Questioni di economia e finanza. Il gap innovativo del sistema produttivo italiano: radici e possibili

rimedi, di Matteo Bugamelli, Luigi Cannari, Francesca Lotti e Silvia Magri (Banca d’Italia).

L’imprenditore: “l’Italia che innova” di Angela Ciccarone.

“Innovazione e imitazione come strategie competitive”, di Angelo Bonomi (Agosto 2000).

Cento Studi Confindustria: “Innovazione e crescita delle imprese nei settori tradizionali”, di

Sandro Trento.

www.viaggioglobale.it: “innovazione di prodotto e di processo”

www.spazioimpresa.it : “Brevetti: un costo più che un investimento”

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