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Un pessimista intransigente: Mario Alberto Rollier dall’antifascismo all’impegno democratico La capacità di un uomo si misura dalla sua forza di resistenza alla deformazione professionale (Mario Alberto Rollier) Nella sua prefazione al libro della compianta Cinzia Rognoni Vercelli, Giorgio Spini sottolineò la stretta relazione esistente tra la fede cristiana di riformato di Mario Alberto Rollier e la sua scoperta dell’impegno politico da antifascista e da federalista europeo, in senso sovrannazionale e infranazionale (come dimostra la sua partecipazione alla stesura della carta di Chivasso del dicembre 1943) 1 . È un aspetto noto, oggetto degli studi della stessa Rognoni 2 , che, riprendendo un giudizio di 1 Giorgio Spini, Prefazione, in Cinzia Rognoni Vercelli, Mario Alberto Rollier, un valdese federalista, Jaca Book, Milano 1991, p. XII. Cfr. anche, per la Carta di Chivasso, ivi, pp. 117-119 e inoltre Id., Emile Chanoux e Mario Alberto Rollier: elementi per un’analisi comparata, in Paolo Momigliano Levi (a cura di), Emile Chanoux et le debat sur le federalisme, Presses d’Europe, Nice 1997, pp. 35-44; Joseph-Cesar Perrin-Paolo Momigliano Levi (a cura di), La Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine. Chivasso 19 dicembre 1943. Il contesto storico, i protagonisti e i testi , Le Château, Aosta 2003; Giorgio Peyronel, La dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine del Convegno di Chivasso il 19 dicembre 1943, in <<Il Movimento di Liberazione in Italia>>, settembre 1949, pp. 16-26. 2 Cfr. Cinzia Rognoni Vercelli, Mario Alberto Rollier, cit., pp. 20-25, 46-51 e inoltre Neri Giampiccoli, Mario Alberto Rollier, <<Protestantesimo>>, 1980, n. 1, pp. 42-44; Jean-Pierre Viallet, La Chiesa valdese di fronte allo stato fascista, Claudiana, Torino 1985, pp. 273-277; le osservazioni di Altiero Spinelli, Come ho tentato di diventare

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Un pessimista intransigente: Mario Alberto Rollier dall’antifascismo all’impegno democratico

La capacità di un uomo si misura dalla sua forza di resistenza alla deformazione professionale

(Mario Alberto Rollier)

Nella sua prefazione al libro della compianta Cinzia Rognoni Vercelli, Giorgio Spini sottolineò la

stretta relazione esistente tra la fede cristiana di riformato di Mario Alberto Rollier e la sua scoperta

dell’impegno politico da antifascista e da federalista europeo, in senso sovrannazionale e

infranazionale (come dimostra la sua partecipazione alla stesura della carta di Chivasso del

dicembre 1943)1. È un aspetto noto, oggetto degli studi della stessa Rognoni2, che, riprendendo un

giudizio di Giorgio Rochat e una testimonianza di Gustavo Malan, ricordò giustamente come, di

quell’ambiente, Rollier fosse stato il primo, già nell’estate del 1938, a passare all’antifascismo

militante3, aderendo nel 1942 al Partito d’Azione4 e facendo della sua casa di Torre Pellice un

1 Giorgio Spini, Prefazione, in Cinzia Rognoni Vercelli, Mario Alberto Rollier, un valdese federalista, Jaca Book, Milano 1991, p. XII. Cfr. anche, per la Carta di Chivasso, ivi, pp. 117-119 e inoltre Id., Emile Chanoux e Mario Alberto Rollier: elementi per un’analisi comparata, in Paolo Momigliano Levi (a cura di), Emile Chanoux et le debat sur le federalisme, Presses d’Europe, Nice 1997, pp. 35-44; Joseph-Cesar Perrin-Paolo Momigliano Levi (a cura di), La Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine. Chivasso 19 dicembre 1943. Il contesto storico, i protagonisti e i testi, Le Château, Aosta 2003; Giorgio Peyronel, La dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine del Convegno di Chivasso il 19 dicembre 1943, in <<Il Movimento di Liberazione in Italia>>, settembre 1949, pp. 16-26.2 Cfr. Cinzia Rognoni Vercelli, Mario Alberto Rollier, cit., pp. 20-25, 46-51 e inoltre Neri Giampiccoli, Mario Alberto Rollier, <<Protestantesimo>>, 1980, n. 1, pp. 42-44; Jean-Pierre Viallet, La Chiesa valdese di fronte allo stato fascista, Claudiana, Torino 1985, pp. 273-277; le osservazioni di Altiero Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio. La goccia e la roccia, Il Mulino, Bologna 1987, p. 44; Giorgio Spini, Italia di Mussolini e protestanti, Claudiana, Torino 2007, ad indicem; Paolo Bagnoli, Il paradigma esemplare di Mario Alberto Rollier, in Carlo Papini (a cura di), Gli evangelici nella Resistenza, Claudiana, Torino 2007, pp. 99-108, poi in Paolo Bagnoli, L’Italia del Novecento: cultura civile e impegno politico, Polistampa, Firenze 2008, in particolare pp. 152-157.3 Secondo la testimonianza rilasciata il 16 luglio 1984 da Rita Isenburg Rollier a Cinzia Rognoni Vercelli <<durante gli studi universitari Rollier è stato ad Heidelberg dove ha incontrato Dino Luzzatto ed è lui che lo ha introdotto nella vita politica, in quanto fino ad allora aveva sì aderito a molte cose, ma mai in modo preciso come antifascista. Ciò accadde nel ’29-30. Appena tornato a Torino ricevette una visita dalla polizia alla ricerca di stampa che probabilmente aveva portato con sé>> (UP, CR, b. 3).4 <<All’inizio del 1941 Guido Rollier mi disse che il fratello maggiore Alberto Mario (sic), assistente alla facoltà di chimica dell’Università di Milano, aveva preso contatto con un gruppo organizzato di antifascisti il cui centro era negli uffici della Banca Commerciale di Milano, in Piazza della Scala, ove lavoravano alcuni antifascisti di cui, facendomi giurare la segretezza, mi fece un nome: Ugo La Malfa>> (Arialdo Banfi, Una vita attraverso la storia, a cura di Andrea Ragusa, Lacaita, Manduria 2000, pp. 147-148).

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centro di antifascismo e di resistenza (qui furono stampati, tra l’altro, i primi “Quaderni di Giustizia

e libertà”)5.

Per quanto riguarda invece il rapporto tra socialismo ed europeismo, in linea di principio vale anche

per Rollier quel passaggio della seconda parte del Manifesto di Ventotene, dovuto a Spinelli,

secondo cui la linea di divisione tra progressisti e reazionari non si situava più lungo la linea del

maggiore o minore grado di socialismo, ma su quella che separava coloro che concepivano come

fine essenziale della lotta la conquista del potere e chi vedeva come compito essenziale della

politica la creazione di un solido stato internazionale: sarà questo, come vedremo uno dei principali

motivi di critica, da parte di Rollier, alla politica di PCI e PSI.

È, in fondo, una posizione che ritroviamo nella nota lettera di adesione dello stesso Rollier, datata

marzo 1942, al Manifesto (conosciuto tramite Ursula Hirschmann, da tempo amica della moglie di

Rollier, Rita6), di cui egli mostrava di apprezzare <<la visione post-marxistica, moderna,

5 Cinzia Rognoni Vercelli, Mario Alberto Rollier, cit., p. 67. La scheda personale del CVL (scritta dallo stesso Rollier e conservata in UP, CR, b. 1) elenca, alla voce Missioni svolte: <<Creazione della prima formazione partigiana in Val Pellice. Prelievo e trasporto in montagna armi. Predisposizione primi accantonamenti. Organizzazione servizi logistici e sanitari (con Giorgio Agosti, Franco Venturi, Paolo Favout, Willy Jervis, Paolo Braccini, Roberto Malan e altri)>>. Cfr. anche la testimonianza di Arialdo Banfi in L’idea d’Europa nel movimento di liberazione 1940-1945, Bonacci, Roma 1986, pp. 104-105; Donatella Gay Rochat, La Resistenza nelle valli valdesi, Claudiana, Torino 2006, pp. 26, 30, 34-35; Ada Gobetti, Diario partigiano, Einaudi, Torino 1996, pp. 103-106; Willy Jervis-Lucilla Jervis Rochat-Giorgio Agosti, Un filo tenace. Lettere e memorie 1944-1969, La Nuova Italia, Milano 2002, pp. 48-49, 54; Carlo Papini (a cura di), Gli evangelici nella Resistenza, cit.; Leo Valiani, Tutte le strade conducono a Roma, Il Mulino, Bologna 1995, pp. 101-102.6 Cfr. Cinzia Rognoni Vercelli, Mario Alberto Rollier, cit., p. 71; Altiero Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio. La goccia e la roccia, cit., p. 44; Piero Graglia, Altiero Spinelli, il Mulino, Bologna 2008, pp. 168-169. Rollier intervenne anche sulla stesura, in particolare nel paragrafo relativo ai rapporti fra Stato e Chiesa: cfr. Antonella Braga, Un federalista giacobino. Ernesto Rossi pioniere degli Stati Uniti d’Europa, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 186-187.

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euroamericana7>> che, sostanzialmente, si traduceva nell’abbandono della dottrina della lotta di

classe8.

In un appunto senza data presente nelle carte Rollier, intitolato Come è sorto il MFE, si spiegava

quindi, cogliendo nel segno, che molte delle opposizioni al Manifesto

sorgevano in realtà non tanto per i fini generali e particolari che il movimento federalista si proponeva di raggiungere,

quanto per l’aspra critica contenuta negli scritti dei federalisti nei riguardi delle posizioni ideologiche ufficiali delle

correnti politiche tradizionali italiane […]. Si pensava infatti che la vita politica in Italia non sarebbe risorta battendo

senz’altro vecchie vie e correndo su binari arrugginiti, ma che fermenti nuovi avrebbero beneficamente operato anche

nell’ambito dei partiti e soprattutto in quelli in continuo contatto con la pullulante vita popolare.9

Ciò però non significava rinunciare, come Rollier avrebbe scritto nell’ <<Unità europea>> del

maggio 1944, alla lotta per una rivoluzione democratica, al fine dell’autogoverno delle masse

popolari e del compimento delle riforme sociali, sia pure nel quadro delle <<soffocanti frontiere

nazionali>>10.

7 Rollier conosceva la realtà americana fin dalla metà degli anni ’30: cfr. Cinzia Rognoni Vercelli, Mario Alberto Rollier, cit., p. 10. Cfr. anche Leo Valiani, Tutte le strade conducono a Roma, cit., p. 115: << Mario Rollier tiene alta la fiamma della religiosità protestante, in questa miscredente Milano. È già riuscito a portare nel partito d’azione, oltre a quelli di Torre Pellice, tutti gli evangelici residenti in Lombardia, tra i quali Silvio Baridon, comandante di una banda del Comasco. Li incita, per il momento, alla lotta antitedesca, ma si ripromette di portarli, dopo la liberazione, all’assalto del primo congresso nazionale del partito, onde imprimere ad esso un carattere puritano. Solo per questa ragione ripone le sue speranze negli anglo-americani: insegneranno agli italiani che gli ideali sono il miglior lievito del pane. Invano gli oppongo che, prima di tutto, fraternizzeranno con noi nelle bevute. Mario non disdegna le buone bibite, ma a tempo e luogo. Per il momento è soddisfatto, perché i tedeschi hanno fatto chiudere, per qualche giorno, tutti i caffè, le osterie, le pasticcerie, i cinematografi, i teatri di Milano, come rappresaglia ad un attentato contro alcuni dei loro soldati: così la gente che ama divertirsi, in questi tempi di espiazione nazionale, è servita>>. Già alla fine del 1943 aveva scritto: <<Con ogni probabilità si è aperto per l’Italia un periodo paragonabile sotto certi rispetti a quello dal quale sono nati gli Stati Uniti d’America e che si estende dal 1776 al 1787, dalla Dichiarazione d’indipendenza alla fine dei lavori della Costituente di Filadelfia, dai quali è uscito quel capolavoro di senno politico che è la Costituzione>> (Mario Alberto Rollier, Tollerati-Ammessi-Rispettati, <<L’Appello>>, novembre-dicembre 1943, p. 152). L’atteggiamento di ammirazione di Rollier verso il sistema politico americano spiega anche il suo favore verso la repubblica presidenziale: cfr. La Repubblica presidenziale, <<Il Pioniere>>, 24 maggio 1946.8 UP, CR, b. 7.9 INSMLI, CR, b. 7, f. 69. Per la partecipazione di Rollier alla riunione di fondazione del MFE, avvenuta il 27-28 agosto 1943 nella sua casa di Milano, cfr. Cinzia Rognoni Vercelli, Mario Alberto Rollier, cit., pp. 95-98; Id. Milano, via Poerio 37. La fondazione del Movimento Federalista Europeo, in Fabio Zucca (a cura di), Europeismo e federalismo in Lombardia dal Risorgimento all’Unione europea, il Mulino, Bologna 2007, pp. 149-186. Rollier aveva partecipato, con Eugenio Colorni ed Enrico Giussani, ad una riunione preparatoria che Ernesto Rossi aveva organizzato all’inizio di agosto a Monte Oriolo, presso Firenze: cfr. Antonella Braga, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi: da Ventotene alla battaglia per la Comunità europea di difesa, in Antonella Braga-Simonetta Michelotti (a cura di), Ernesto Rossi. Un democratico europeo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2009, pp. 163-164.10 Sull’ <<Unità Europea>> cfr. Giovanni Spadolini, <<L’Unità Europea: un giornale e una storia>>, in Id. (a cura di), Per l’unità europea: dalla <<Giovine Europa>> al Manifesto di Ventotene, Le Monnier, Firenze 1984, pp. 10-18 e

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Nella sua dichiarazione di voto contraria alla risoluzione del 25 maggio 1944 del Partito d’Azione,

Rollier chiariva il suo punto di vista, dopo aver sottolineato la natura antitotalitaria della sua visione

del socialismo:

Personalmente non credo ad una rivoluzione per riforme, per quanto progressista possa parere, se varata con il concorso

degli aggruppamenti (sic) di interessi reazionari conservatori e anti-democratici (Badoglio, il vecchio stato italiano, gli

industriali, i grandi trusts, casa Savoia, i latifondisti e grandi proprietari terrieri). Questi interessi agiranno sempre in

modo da neutralizzare e vanificare le riforme accordate sulla carta. Contro questi interessi si deve procedere con la

forza, ma non con la forza di classe, cioè con la forza esclusiva del proletariato, che porterebbe ad un nuovo

totalitarismo (la dittatura di un gruppo, di una sezione, cioè del proletariato) bensì con la forza di popolo, cioè con la

forza democratica data dalla coalizione degli interessi di tutti gli uomini eguali, a qualsiasi gruppo appartengano, perché

esso, l’uomo comune, è colui che ha bisogno di maggior giustizia, di maggior libertà, di maggior benessere e di

maggiori possibilità iniziali nella vita. Il PdA è un partito veramente democratico in quanto e solo in quanto capisce

ciò11.

Questo punto di vista si estende anche al campo delle relazioni internazionali, come è evidente nel

comunicato del MFE del 19 novembre 1944, quasi certamente scritto dallo stesso Rollier ed inviato

alla BBC, in cui si sottolineava che

International relations will be truly democratic in character when and only when there will be an Assembly of

representatives not of sovereign states, but of the peoples of these states, directly elected by the people, responsible to

the people, and not top the respective National governments, and provided by Constitution of a well defined amount of

sovereignty. Democratic relations will only be established between peoples in the exact measure in which a true federal

organization will be created […]. These question are also our chief source of anxiety, but one thing is certain: a simple

return to a pre-war diplomacy of pacts between sovereign states would amount for the democracies of Europe to losing

the peace after having won the war.12

la nota introduttiva di Sergio Pistone alla ristampa anastatica della rivista, Consiglio regionale del Piemonte, Torino 2000.11 UP, CR, b. 7 (le sottolineature nel testo). 12 INSMLI, CR, b. 7, f. 69. Il comunicato, tradotto in italiano, fu pubblicato da <<L’Unità europea>>, novembre-dicembre 1944.

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Si delineava così, allo stesso tempo, l’idea di un nuovo internazionalismo, diverso da quello

marxista, fondato su una solidarietà antifascista ed europea13, un’esperienza che Rollier stava

vivendo, dal novembre 1944, in prima persona come responsabile lombardo delle formazioni GL

(su incarico di Parri, Solari e Valiani14) e, come loro rappresentante, nel comando regionale del

CVL15.

Sul verso della copertina del numero 15 dei <<Quaderni dell’Italia libera>> su cui aveva

pubblicato, nel 1944, con lo pseudonimo di Edgardo Monroe, il suo opuscolo Stati Uniti

d’Europa16, aveva quindi posto la seguente dedica:

Ai giovani che ho conosciuto,

operai, contadini, studenti

i quali si sono uniti

alle bande dei partigiani

perché sentivano di non poter

fare altrimenti,

hanno combattuto senza iattanza

e sono morti senza retorica.

A tutti i caduti della guerra partigiana

13 Anche l’associazionismo partigiano doveva quindi assumere, per Rollier, una dimensione europea: <<Abbiamo una grande responsabilità, qui da noi, di fronte all’Europa: imporre ad ogni costo che i custodi dello spirito della Resistenza si organizzino su base rigidamente europea, sovranazionale. L’associazione degli ex-partigiani deve essere europea, non nazionale e mai nessuno, che sia stato partigiano, deve acconsentire di essere, anche per un solo istante, lo strumento di un nazionalismo reazionario che, al servizio di innominabili interessi, non si dà per vinto e ci insidia. Questo impegno ci chiedono i compagni che hanno dato la vita perché l’Europa viva>> (Mario Alberto Rollier, Attesa, <<L’Unità europea>>, 8 giugno 1945).14 Cfr. la lettera dell’8 dicembre 1944 di Rollier a Federico (Valiani) in UP, CR, b. 3 e, inoltre, il testo dell’intervista rilasciata dallo stesso Valiani il 10 giugno 1986 a Cinzia Rognoni Vercelli, ibidem; Leo Valiani, Tutte le strade conducono a Roma, cit., pp. 251, 254.15 All’alba del 25 aprile Rollier riceverà da Valiani l’ordine scritto dell’insurrezione generale, da trasmettere a tutte le squadre di GL: cfr. ivi, p. 266.16 Poi Editoriale Domus, Milano 1950. Per un giudizio a caldo sul contenuto dell’opuscolo cfr. la lettera di Giorgio Agosti a Dante Livio Bianco del 16 maggio 1944 in Un’amicizia partigiana. Lettere 1943-1945, a cura di Giovanni De Luna, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 49; la lettera di Rossi a Rollier del 23 maggio 1944, ASUE, AS, b. 3 (cfr. anche Antonella Braga, Un federalista giacobino, cit., pp. 372-374).

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in tutta Europa

affinché la loro morte

non sia stata vana

Così rispondeva, sempre come Edgardo Monroe, il 28 luglio 1944 a Rolando, <<comandante di una

formazione partigiana di Val***>>:

L’Unione federale europea è un interesse del popolo, innanzitutto, e proprio del popolo dei contadini e dei lavoratori

che non è traviato, come tanta parte della borghesia, piccola e grande, e delle classi medie, dalle menzogne del

nazionalismo. La mia esperienza è identica alla tua – a decine e decine conosco operai e contadini che capiscono

immediatamente, che sentono, di essere concittadini di un francese, di un jugoslavo, di un greco, di un inglese che come

loro sia operaio o contadino e di cui forse hanno sperimentata la solidarietà nel lavoro17

È un atteggiamento, quello di Rollier, che ritroviamo negli scritti clandestini dell’Associazione

professori ed assistenti universitari (da lui fondata il 26 luglio 1943 con Antonio Banfi, Gianfranco

Mattei, Giovanna Pagliani e Giorgio Peyronel18) e nella posizione da essa sostenuta a favore di

un’ampia epurazione degli intellettuali e dei docenti universitari collusi con il fascismo19.

Il volantino che ne annunciava la costituzione così recitava, sottolineando le discriminazioni attuate

dal fascismo nelle Università:

I sotto segnati Professori, Docenti ed Assistenti del Politecnico e dell’Università di Milano chiedono che venga

immediatamente abrogata ogni discriminazione religiosa, politica e razziale per l’ammissione di docenti e discenti in 17 UP, CR, b. 7 (sottolineatura nel testo). Cfr. anche <<L’Unità europea>>, luglio-agosto 1944. Nel numero di settembre-ottobre 1944 Rollier scrisse quindi (forse con una certa dose di ottimismo) che <<la lotta di liberazione ha mostrato che il popolo italiano è ormai tenuto insieme dalla coscienza di una comunità di destino, sopravvissuta allo stesso crollo momentaneo dello stato. L’unificazione operata dal Risorgimento è divenuta veramente irrevocabile>> (Le vie della politica estera italiana).18 Cfr. Annamaria Galbani-Andrea Silvestri, Il contributo del Politecnico al Movimento di Liberazione, in Andrea Silvestri (a cura di), Il ruolo del Politecnico di Milano nel periodo della liberazione, All’insegna del Pesce d’oro, Milano 1996, p. 45. 19 Cfr. lo statuto dell’Associazione e lo Schema di decreto per l’epurazione dell’Università, presentato dall’APAU al CLNAI, UP, CR, b. 7. Rollier non rinnegherà, nel dopoguerra, questa posizione. Scriveva, con amarezza, ad Ernesto Rossi il 9 dicembre 1955: << L’Università è in Italia l’istituto che, più di ogni altro, è rimasto inquinato di fascisti e l’omertà accademica rimane una delle forme di omertà alla quale, più di ogni altra, forse, è giudicato imperdonabile il sottrarsi>> (ASUE, CR, b. 57).

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tutti gli istituti di alta cultura del Paese convinti che soltanto quando questa vergogna sia lavata le Università italiane

possano aspirare ad essere riammesse nel novero delle Università dei paesi civili. Essi chiedono che il solo ed unico

criterio di ammissione nei corpi accademici torni ad essere la competenza. Essi chiedono inoltre che i colleghi colpiti da

iniqui provvedimenti discriminatori politici e razziali vengano reintegrati nei posti che occupavano e ritengono con ciò

di non compiere altro che il più elementare atto di giustizia. Infine essi salutano con riverenza i colleghi che hanno

rinunziato alla carriera universitaria per conservare integra la loro coscienza politica e morale e chiedono che anche per

essi vengano immediatamente presi in considerazione provvedimenti riparatori. Salutano il Maestro di recente

scomparso Piero Martinetti con il rimpianto che egli non abbia potuto vedere quest’alba di libertà e dignità risorgenti20.

Non a caso, proprio Intransigenza è il titolo di un articolo, quasi programmatico, pubblicato da

Rollier nel settembre 1943 sull’ <<Unità europea>>, subito dopo l’armistizio:

Per vincere noi oggi non dobbiamo fare i furbi. Dobbiamo presentarci col nostro volto, senza infingimenti. Dobbiamo

proclamare ben chiaro quello che è il nostro punto di vista, perché le forze sane del paese comprendano quali sono le

bandiere da seguire, quali sono gli uomini che possono fare da guida nel turbinoso periodo che si annuncia. Contro i

“realisti”, che tendono sempre a tradurre immediatamente in soldoni qualsiasi patrimonio ideale, noi dobbiamo pensare

a salvare il domani21

Così pure, proprio in nome dell’intransigenza, nettissima è quindi l’opposizione di Rollier alla

“svolta di Salerno”:

Sono per l’intransigenza, cioè per il rifiuto della proposta Togliatti, anche se dovessimo essere il solo Partito a opporre

questa fin de non recevoir. (…) Voi credete che i Braccini22 e i Mattei23 e il 95% dei partigiani che ci hanno lasciato la

pelle nell’Italia settentrionale ce l’abbiano lasciata per il re e i suoi reali successori? Signori miei informatevi meglio e

20 (UP, CR, b. 7. Nella stessa busta è presente anche un interessante Rapporto sull’attività dell’APAU, datato 28 ottobre 1944). Sempre in ambito universitario, Rollier fu promotore nel 1946 (insieme, tra gli altri, ad Umberto Campagnolo, Gino Cassinis ed Ezio Franceschini) di un Manifesto degli universitari italiani per la federazione europea, firmato da 266 docenti di varie Università italiane, con la richiesta di una Assemblea costituente europea (cfr. <<L’Unità europea>>, 10 settembre 1946).21 Intransigenza, <<L’Unità europea>>, settembre 1943.22 Paolo Braccini, professore universitario di zootecnica, rappresentante del Partito d’Azione nel primo Comitato militare piemontese, fucilato a Torino il 5 aprile 1944.23 Gianfranco Mattei, professore universitario di chimica, membro dei Gap romani, si suicidò il 6 febbraio 1944 nelle carceri di via Tasso per non cedere alle torture.

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sappiate che il vostro brusquer la situazione italiana imponendo una unità su delle basi diverse da quelle che vi

proponiamo noi, che sono quelle di una repubblica democratica decentrata, non solo non fa che aumentare la disunione,

ma è anche, malgrado tutto, troppo tardi. Troppo sangue è già stato versato per questa causa, l’irreparabile è già

avvenuto, la rivoluzione democratica italiana è già in marcia24

Una posizione ribadita anche dopo la formazione del secondo governo Badoglio e del successivo

passaggio della guida del governo nelle mani di Bonomi, legando, ancora una volta, politica interna

e politica internazionale:

Quello che noi critichiamo nel nuovo governo di Napoli è proprio ciò che gli serve da venerabile paravento: l’esser

governo di unione nazionale. L’unione nazionale è, nel nostro secolo, la peggior forma dell’unione; essa si realizza non

attorno ad una comunanza della ragione o della fede religiosa o morale, ma attorno alla comunanza di un egoismo

elementare, detto sacro. In questo momento il nemico è visto nella Germania, il che ha in sé una dose di verità (…).

Significa questo che, nella nostra guerra contro il fascismo nazista e nella nostra lotta politica contro la monarchia

sabauda, dobbiamo mettere in sordina i motivi di politica interna e sociale della nostra opposizione a queste forze

reazionarie? Niente affatto. La rivoluzione democratica vive perché abbiamo delle esigenze di autogoverno delle masse

popolari, di riforma sociale audace. Ma perché queste esigenze non finiscano in un vicolo cieco, come nel 1861, come

nel 1919, occorre additare sin d’ora la prospettiva liberatrice, che è nell’abolizione delle soffocanti frontiere nazionali

del nostro continente25

Un’intransigenza di cui è infine buona testimonianza anche l’articolo scritto per il <<Politecnico>>

di Vittorini il 24 novembre 194526 ed intitolato, non casualmente, Niente libertà di essere fascisti. In

questo articolo Rollier si rivolgeva ai giovani che stavano per iniziare i corso universitari nella

nuova Italia democratica, dopo vent’anni di fascismo, cogliendo i segni di quello che alcuni anni fa

avremmo chiamato riflusso e che allora si definiva qualunquismo, invitando <<quella parte della

24 Lettera a Leo Valiani datata Torino, 11 aprile 1944, cit. in Giovanni De Luna (a cura di), Il Partito d’Azione e la svolta di Salerno, <<Annali della Fondazione Einaudi>>, 1971, pp. 447-448. Il 18 dicembre 1944 Rollier scriveva quindi a Spinelli dell’<<opportunità di sfruttare la partecipazione dell’Università italiana alla Resistenza a scopi propagandistici elevati presso l’opinione pubblica anglo-americana>> (ASUE, CS, b. 6).25 Governo di unione nazionale o politica federalista, <<L’Unità europea>>, maggio-giugno 1944.26 Per la partecipazione di Rollier al <<Politecnico>> cfr. il Promemoria del 1 agosto 1945, in INSMLI, CR, b. 29, f. 170.

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gioventù che ha più coscienza dei suoi doveri civili e politici>> a spiegare <<ai figli di una

borghesia abbiente che non è la parte migliore né la più sana del paese>> che cosa sono stati

fascismo e Resistenza, smascherando <<gli interessi inconfessabili e la irresponsabilità ammantata

di ignoranza da cui sono manovrati>>. Scriveva tra l’altro Rollier (che comunista, come è noto, non

era e che anzi vedremo, nel corso della sua vita, assumere posizioni decisamente anticomuniste):

Lo spettacolo è brutto assai: si chiama gazzarra alla prolusione di un professore comunista che ha rischiato più di loro

quando c’era da rischiare, si chiama vaniloquio sui tramvai e nei caffè e propositi tra il grottesco e il bellicoso di

spaccare la faccia ai comunisti con un tirapugni, si chiama irresponsabilità ammantata di ignoranza, cioè fascismo

rinascente.

Ciò spiega anche la sua posizione sostanzialmente favorevole al governo dei CLN, in assonanza con

lo stesso Valiani27 e gli altri esponenti dell’Esecutivo Alta Italia del Partito d’Azione28, come

dimostra una lettera ad Ernesto Rossi del 15 febbraio 1945: <<Credo che la politica di

potenziamento dei CLN sia uno dei pochi mezzi efficaci per far nascere qualcosa di veramente

democratico nel nostro paese, e perciò il tentativo va fatto, anche se un certo scetticismo sui suoi

risultati sia logico. Lo scardinamento del complesso degli interessi reazionari-nazionalistici-

conservatori è impresa quasi disperata>>29.

Rollier non nascondeva quindi il suo pessimismo (coerentemente con lo pseudonimo utilizzato nella

Resistenza, “pessimista attivo”) sui risultati. Era infatti necessaria, scriveva al fratello Guido (il

“dottore in agraria”) il 6 marzo 1945, una <<novità di rapporti all’interno del corpo associato della

27 Cfr., ad esempio, la lettera di Valiani a Spinelli del 27 maggio 1944: <<In generale noi sosteniamo che il CLN non è un organo subordinato del governo, ma una Convenzione rivoluzionaria che controlla il governo e coopera con esso nella guerra di liberazione attraverso sue proprie forze>> (ASUE, FS, b. 3).28 Tra i quali lo stesso Spinelli: cfr. le lettere ad Ernesto Rossi del 20 novembre e del 4 dicembre1944 in ASUE, CS, b. 6.29 UP, CR, b. 7. Cfr. anche, in questo senso, l’intervento di Rollier al congresso del Movimento federalista europeo del 9-10 settembre 1945, in INSMLI, CR, b. 18, f. 2, poi in Altiero Spinelli, La rivoluzione federalista. Scritti 1944-1947, a cura di Piero Graglia, il Mulino, Bologna 1996, p. 303. Rossi era invece molto perplesso sulla reale utilità dei CLN come strumento di governo per il dopoguerra: cfr. le risposte a Spinelli del 29 novembre e del 9-11 dicembre 1944 in ASUE, CS, b. 6 e in generale, su questo dibattito, Antonella Braga, I federalisti lombardi fra esilio e Resistenza. L’azione dei fuoriusciti lombardi nel gruppo federalista in Svizzera (1943-1945), in Fabio Zucca (a cura di), Europeismo e federalismo in Lombardia, cit., pp. 234-235.

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nazione e liberazione di forze nuove, nonché espressione di una nuova classe dirigente. Queste tre

esigenze devono essere soddisfatte ad ogni costo, se si può con la rivoluzione, anche comunista

[…]. Ma gli uomini di ieri e i compromessi di ieri no, a nessun costo>>30.

Un pessimismo che si tradurrà presto in aperta delusione. Il 1 settembre 1945, nel suo Saluto ai

convenuti alle Giornate teologiche del Ciabas, dirà apertamente:

Oggi la guerra è finita e le nostre speranze di rinnovamento radicale sono in gran parte sfumate per molte ragioni:

perché la guerra è finita con la disfatta militare degli eserciti totalitari e non con la ribellione dei popoli che li

esprimevano, perché gli eserciti vittoriosi delle democrazie hanno trovato degli spazi geografici da governare

militarmente e non dei popoli ravveduti ed insorgenti che si stessero dando degli istituti liberi liberamente espressi,

perché anche quando, come nell’Italia settentrionale, l’insurrezione ha preceduto l’occupazione alleata, il margine è

stato troppo ristretto perché si potessero instaurare nuovi istituti in modo stabile e definitivo, perché, infine,

specialmente nel campo delle relazioni fra gli stati nazionali noi dobbiamo constatare che non sono i popoli che hanno

preso in mano la loro sorte, bensì assistiamo al rinascere del solito gioco della diplomazia con i soliti metodi, pregni di

diffidenza e di rancori, che due tragici fallimenti non sono ancora riusciti a squalificare per sempre e a sradicare

dall’Europa.31

Rollier aderì comunque nel dopoguerra, com’era logico, al Partito d’Azione e vi restò sino

all’ultimo, partecipando come candidato alle elezioni per l’assemblea costituente del 2 giugno

194632. Non fu però eletto, nonostante il successo personale, per la sconfitta del PdA e per il

mancato raggiungimento del quoziente nella circoscrizione Piemonte Nord in cui si era presentato.

La sua mancata elezione aprì un vivace dibattito all’interno del partito, anche perché veniva meno la

rappresentanza di una minoranza religiosa, quella protestante, da cui era stato fortemente sostenuto,

nel delicato momento della stesura della carta costituzionale. Indicativa, in questo senso, è la

30 UP, CR, b. 3. Cfr. anche il commento di Rollier, datato 8 luglio 1944, ai 7 punti programmatici del Partito d’Azione, ivi, b. 7.31 Ibidem.32 In quella occasione Rollier era favorevole ad una alleanza di Concentrazione repubblicana con il gruppo di Parri (appena uscito dal PdA) e il PRI, temendo gli esiti elettorali, che puntualmente si verificarono, qualora il PdA si fosse presentato da solo: cfr. il verbale della riunione del 1 marzo 1946 con gli esponenti milanesi del PRI (INSMLI, CR, b. 1, f. 12) e la lettera dell’ 8 aprile 1946 a Mario Andreis, segretario organizzativo del PdA (ivi, b., f. 31).

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risposta di Rollier ad una lettera di Vittorio Foa del 12 giugno 1946 in cui quest’ultimo chiedeva il

suo aiuto per scrivere, insieme a Calamandrei, una lettera agli elettori valdesi33, impegnandosi a

sostenere le loro richieste di autonomia e libertà religiosa. Così rispondeva Rollier il 14 giugno,

ponendo parimenti una questione che si rivelerà fondamentale per la vita del PdA (e direi della

sinistra nel suo complesso) e cioè quella del suo radicamento sociale e dei suoi ceti di riferimento

(pensiamo a tutta la discussione sul partito della democrazia e dei ceti medi):

Sono personalmente abbastanza seccato da tutta questa faccenda e chiederò una dichiarazione della segreteria che

spieghi l’automatismo della legge e mi scagioni dai rimproveri che i miei elettori mi fanno di non saper far valere i loro

interessi34 […]. D’altra parte capisco benissimo e condivido la delusione di questa minoranza per la quale se è un

piccolo danno non avere un rappresentante proprio ad un’assemblea legislativa normale il danno è invece grave e

gravido di conseguenze per il futuro il non averlo ad un’assemblea costituente […]35. Sono stato colpito dallo scarso

successo del partito a Torino e lo riconduco al fondamentale errore di quei nostri compagni che hanno insistito nel voler

andare a cercare i voti negli ambienti operai – il cui voto è assicurati ai partiti marxisti – e nel non andarlo a cercare in

quel vastissimo no man’s land politico-sociale dove effettivamente col nostro programma si trova il nostro voto e si

trasforma contemporaneamente un potenziale “conservatore per paura” in un progressista per convincimento indotto.

Ma è un lavoro per il quale la mentalità di una parte dei nostri compagni – non certo la tua né la mia – non è fatta: si

tratta in sostanza di indurre fiducia senza venir meno al proprio radicalismo (in senso anglosassone) ed è forse un

problema più di psicologia che di politica36.

È una posizione evidentemente molto più pessimistica di quella sostenuta solo pochi mesi prima, il

23 febbraio, in una conferenza tenuta da Rollier sul tema L’eredità di Rosselli nel PdA, nella quale,

dopo un’osservazione che potremmo definire schumpeteriana (<<vi è una porzione socialista nel

contenuto di qualsiasi democrazia che voglia essere moderna e libera, esattamente come vi è del

33 Cfr. il testo della lettera aperta di Foa e Calamadrei agli elettori valdesi ivi, b. 2,, f. 3.34 La lettera, indirizzata a Schiavetti, Lombardi e Codignola, era stata effettivamente già scritta il 13 giugno: cfr. ivi, b. 1, f. 3 e Riccardo Lombardi. Lettere e documenti (1943-1947), a cura di Andrea Ragusa, Lacaita, Manduria 1998, pp. 81-83.35 Rollier tornerà sul tema in un articolo pubblicato sul <<Ponte>>, 1947, n. 4, Patti lateranensi e diritti di libertà. Cfr. anche il suo intervento al congresso del Partito d’azione dell’aprile 1947, pubblicato il 9 aprile su <<Italia libera>> con il titolo La libertà religiosa e l’autonomia del socialismo.36 INSMLI, CR, b. 1, f. 3. Cfr. anche la lettera di Rollier del 25 febbraio 1947 a Tristano Codignola (che gli aveva chiesto la <<preziosa collaborazione sulle questioni relative ai rapporti Stato-Chiesa>>) in UP, CR, b. 7.

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socialismo, che non c’era ai tempi di Cavour, nei grandi programmi di imprese economiche statali

di Roosevelt>>), così concludeva:

Il PdA non ha paura di perdere terreno per delle momentanee involuzioni conservatrici di frazioni disorientate dei ceti

medi italiani perché sa che non è mettendosi al passo del soldato che zoppica che si guida un reggimento bensì

additandogli la via, assegnandogli delle tappe che umanamente si possono percorrere, ma insufflandogli al tempo stesso

la volontà di percorrerle. Così si serve la rinascita del nostro paese.37

Anche per questo pessimismo crescente, Rollier dovette pensare, nell’estate del 1946, ad

abbandonare il PdA per passare al PRI, come apprendiamo da una lettera di Giorgio Spini del 1

agosto 1946, che informato dell’intenzione dell’amico da Roberto Malan, tentò di dissuaderlo, con

parole non certo lusinghiere nei confronti del ceto dirigente repubblicano.38

Rollier espresse le sue perplessità il 3 agosto, in una lettera al segretario del partito, Riccardo

Lombardi:

La posizione del Partito io la ho sempre vista come un tentativo di conciliare la esigenze di socialismo della vita

moderna con le esigenze di individualismo e di libertà della nostra educazione occidentale. In questo anno il Partito ha

svolto una opera ammirevole ed entusiasmante in tutto il periodo di lotta clandestina e nella prima fase post-

insurrezionale. Non ha però saputo mantenere le promesse di una fase più strettamente politica come quella che è sorta

dopo il fiasco di Parri presidente, come quella elettorale e come quella attuale. Colpa in parte delle circostanze, in parte

degli uomini, in parte della perdita di quell’equilibrio che lo dovrebbe guidare in un’ora come l’attuale. Ma l’esigenza

della conciliazione suaccennata rimane, almeno, per me, e viene quindi naturale volgersi attorno per vedere se altre

organizzazioni, altri movimenti e altre tradizioni consentono una maggiore fiducia39.

Lombardi rispose il 14 agosto con una lunga lettera, con la quale mostrava di comprendere la realtà

internazionale, ma anche l’incapacità di coglierne le conseguenze:

37 INSMLI, CR, b. 1, f. 9.38 Cfr. Ivi, b. 1, f. 9.39 Ivi, b. 1, f. 15.

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La lotta fondamentale che il PdA è chiamato a svolgere oggi è contro il sistema del tripartito, velo molto trasparente

sotto il quale è intatta la brutta realtà fascista e prefascista. L’incapacità del tripartito a realizzare una forma decente di

democrazia e di socialismo è per me evidente. C’è di più: il tripartito tende a rappresentare su scala nazionale lo

schieramento dei tre imperialismi mondiali e a riprodurne la politica di reciproco equilibrio e neutralizzazione. Tu sei

l’uomo più indicato per apprezzare il profondo significato extranazionale dell’attuale schieramento dei partiti e

l’impossibilità di combattere la battaglia europea con simile armatura che è armatura di nemici dell’Europa […]. Il PdA

ha posto sempre il problema dello schieramento come fondamentale: ma oggi se un’apertura deve essere fatta essa deve

essere fatta a sinistra per creare il grande partito democratico non classista di sinistra che il PdA non è riuscito ad essere

per la rinascita del partito socialista ma che può ancora nascere se si riesce a mobilitare e il partito socialista e il partito

comunista […]. Il famoso partito di centro, imperniato sui repubblicani […] non risolve null’altro che un modesto

problema elettorale, poiché non sarebbe capace né di modificare lo schieramento dei due partiti operaistici (che semmai

ne irrigidirebbe l’attuale posizione), né di stabilire un solido legame con le masse popolari […]. Le difficoltà non sono

di dettaglio e di personalismi: sono nella massiccia situazione internazionale che è sostanzialmente antidemocratica.

Come meravigliarsi che in tale situazione il PdA sia battuto?

Mario Andreis (allora membro dell’esecutivo del PdA) poté quindi scrivere a Rollier il 25

settembre, dicendosi convinto, con un certo grado di preveggenza, <<che ritorneremo ad essere

ottimi collaboratori il giorno in cui lavoreremo in due partiti diversi, tu nel PSLI e quindi nel PRI,

dopo il disfacimento del primo, io nel PSI>>. La replica di Rollier non si fece attendere,

riaffermando le sue posizioni:

Tutti i miei sforzi vertono a far cambiare la linea politica del socialismo italiano (PSLI e PSI non sono per me che

episodi transeunti di questo sforzo) a far prendere al socialismo italiano la linea politica che consenta al paese il

cosiddetto “esperimento francese”, al quale Padre Togliatti ha posto il suo inesorabile veto […] ma nella quale

prevalgono delle considerazioni sulla necessità dell’autonomia europea del socialismo che sola può permettere

un’azione concertata sul piano europeo del laburismo inglese assieme ai socialisti tedeschi, francesi, belgi, olandesi e a

quanti altri socialisti autonomi possano ancora trovarsi nell’Europa sia occidentale che orientale. In questo settore

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ritengo Nenni e Basso assolutamente privi della necessaria larghezza di vedute e destinati ad essere messi da parte dai

tempi che non sanno né capire né valutare.40

Il 29 giugno 1947 Rollier, Aldo Garosci, Paolo Vittorelli ed Ernesto Rossi presentarono quindi al

Comitato Centrale del PdA una mozione nella quale, prendendo atto che la direzione del PSI non

era in grado di dare <<alcuna garanzia di essere capace di sviluppare una politica per l’unificazione

di tutte le forze socialiste autonome in Italia>> dava mandato all’esecutivo <<di prendere

immediato contatto con i laburisti inglesi per stimolarli ad assumere la direzione del movimento per

l’unificazione federale dell’Europa occidentale>>41.

Una posizione riaffermata da Rollier in un articolo del 18 settembre 1947, intitolato

significativamente L’unica via:

L’unica via è quella di un socialismo autonomo che faccia suo l’ideale degli Stati uniti d’Europa, della federazione

europea, e riesca, in due anni, assieme agli altri socialismi autonomi esistenti in Europa, a creare la Federazione europea

[…]. L’atto più necessario per l’Italia, come per la Francia, o per la Gran Bretagna o per il Belgio, cioè l’atto più

necessario per l’Europa, è di star fuori dai due blocchi, il russo e l’americano. Ma né l’Italia, da sola, né la Francia, da

sola, né il Belgio, da solo, e neppure la Gran Bretagna, da sola, o con il Commonwealth ma senza l’Europa, possono

star fuori dai due blocchi. Solo l’Europa, solo cioè la Federazione europea, solo gli stati dell’Europa, uniti, possono star

fuori dai due blocchi e così evitare la guerra, anzi divenirne gli arbitri42.

Rollier restò quindi nel PdA sino all’ultimo43 e, come è noto, al momento del suo scioglimento non

entrò nel PSI, ma costituì, con Calamadrei, Codignola, Garosci e Vittorelli, il <<Movimento di

Azione socialista Giustizia e libertà>>.44 Fece poi parte, con Ivan Matteo Lombardo e <<Europa

40 Cfr. il testo delle due lettere in INSMLI, CR, b. 2, f. 20.41 Ciò non toglie che pochi mesi prima lo stesso Rossi avesse cercato di verificare la possibilità di una confluenza nel PSI, nonostante i dubbi di Rollier: cfr. lo scambio di lettere del novembre 1946 in ASUE, carte Rossi, b. 34 e la lettera di Rossi a Beppino Disertori del 15 novembre 1946, pubblicata in Ernesto Rossi, Epistolario 1943-1967. Dal Partito d’Azione al centro-sinistra, a cura di Mimmo Franzinelli, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 75-76.42 INSMLI, CR, b. 2, f. 20..43 Cfr. l’appello (firmato insieme a Bolis, Calamadrei, Codignola, Garosci, Carlo Levi, Rossi, Schiano, Traquandi e Vittorelli) pubblicato sull’<<Italia socialista>>, 30 ottobre 1947.44 Cfr. il documento di costituzione INSMLI,b. 3, f. 31.

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socialista>> di Ignazio Silone45, di un piccolo gruppo, l’Unione dei socialisti, che si formò a Milano

l’8 febbraio 1948 (Rollier ne fu vicesegretario fino all’ottobre dello stesso anno) e si presentò alle

elezioni del 18 aprile del 1948, insieme al PSLI (nella lista <<Unità socialista>> 46), per poi

confluirvi47 e dar vita nel 1951, insieme ad altri gruppi, al PSSIIS (Partito socialista sezione italiana

dell’Internazionale socialista) che, nel gennaio 1952, cambierà la sua denominazione in PSDI (al

cui interno Rollier aderì alla corrente che faceva capo al milanese Giuseppe Spalla48).

Nella relazione sulla riunione costitutiva dell’Unione dei socialisti Rollier spiegava l’adesione

indiretta alle liste del PSLI per le elezioni del 1948 sia con motivazioni di ordine tattico (vincere le

persistenti diffidenze di molti elettori socialisti nei confronti dello scissionista Saragat), sia (ed è il

passaggio di maggior interesse) perché la posizione del partito di Saragat verso il piano Marshall

non appariva ancora sufficientemente chiara. Partendo dalla constatazione che il piano Marshall

poteva rappresentare per l’Europa o l’avvio di una nuova forma di capitalismo o l’occasione per far

uscire il socialismo europeo dalle tentazioni del nazionalismo politico ed economico, Rollier e i

suoi compagni auspicavano lo studio, da parte dei partiti socialisti e socialdemocratici dell’Europa

occidentale, di una <<politica di pianificazione socialista europea>> da presentare unitariamente ai

singoli governi nazionali49.

Rollier partecipò alla campagna elettorale dell’aprile 194850, di cui un documento interessante è il

discorso che tenne il 14 marzo 1948 a Milano, al cinema Astra. Il significato delle elezioni, per

Rollier, era chiarissimo: si trattava cioè di decidere << se l’Italia che uscirà dalle urne del 18 aprile

entrerà nell’Europa, si aggancerà fermamente all’Europa, oppure per la seconda volta in trent’anni

45 Cfr. la lettera di Rollier a Silone del 10 novembre 1947 ivi, b. 3, f. 26 e il successivo giudizio negativo espresso da Rollier nella lettera a Saragat e Romita del 3 marzo 1951 ivi, b. 4, f. 44.46 Cfr. per queste vicende, Franco Fantoni (a cura di), L’impegno e la ragione. Carteggio tra Aldo Garosci e Leo Valiani (1947-1983), Franco Angeli, Milano 2009, pp. 24-25, 28-29.47 Cfr. Cinzia Rognoni Vercelli, Luciano Bolis dall’Italia all’Europa, il Mulino, Bologna 2007, pp. 359-360.48 Cfr. la lettera allo stesso Spalla del 16 novembre 1951 in INSMLI, CR, b. 5, f. 49. Precedentemente, al congresso di fondazione del PSSIIS, nel maggio 1951, Rollier aveva firmato la mozione presentata da Roberto Tremelloni (cfr. Giuseppe Averardi, I socialisti democratici. Da Palazzo Barberini alla costituente socialista , Edizioni di <<Corrispondenza socialista>>, Roma 1971, p. 142).49 Cfr. ivi, f. 35 Cfr. anche, sul tema e sull’organizzazione del convegno, la lettera del 13 gennaio 1948 di Rollier ad Ernesto Rossi, ivi, b. 3, f. 28.50 Per una descrizione dell’impegno di Rollier nella campagna cfr. la lettera del 3 maggio 1948 di Giorgio Agosti a Lucilla Jervis in Willy Jervis-Lucilla Jervis Rochat-Giorgio Agosti, Un filo tenace. Lettere, cit., p. 148.

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il nostro paese rifiuterà di essere Europa>> dopo la tragica esperienza fascista51. A ciò si

aggiungeva la necessità di garantire la sopravvivenza di un gruppo che si ispirasse al socialismo

democratico, dopo la scelta del Fronte popolare attuata dal PSI, superando la paura e il dilemma

<<governo stalinista e governo vaticano>>. Il dovere dei socialisti era riassumibile, per Rollier, in

tre punti: 1) ritrovare l’espressione moderna del vecchio socialismo internazionalista, rendendosi

conto del fallimento del vecchio internazionalismo nel ’14 e nel ’44-45 2) garantire gli sviluppi in

senso socialista ed europeo del piano Marshall distaccandosi, in questo senso, dalla linea De

Gasperi-Einaudi e facendo quindi del piano Marshall la prima pietra per la costruzione degli Stati

uniti d’Europa52 3) creare una solidarietà europea socialista fra i lavoratori.53

Restava quindi la sua diffidenza per la DC, come si evince anche da una lettera a Saragat del 4

febbraio 1950:

Per me la DC non è un partito democratco, è un partito confessionale-corporativo-gerarchico-paternalistico e l’essere al

governo con lui è un sacrificio, forse un suicidio, che il socialismo democratico deve compiere, per il bene del paese,

solo se riesce, con la sua presenza, a obbligare la DC a rimanere democratica, rinunciando fra l’altro a leggi elettorali

fatte per dividere il paese in due blocchi, per poi mettere fuori legge il blocco più debole. Ma se non si riesce a far

compiere alla DC queste rinuncie… mille volte meglio andarsene dal governo, e subito.54

Nello stesso tempo Rollier stava però accentuando anche il suo anticomunismo, che lo portò anche

a polemizzare con antichi amici e compagni. Scriveva ad esempio il 21 settembre 1950 a Piero

Calamandrei, nella sua veste di direttore del <<Ponte>>:

Sostanzialmente le ragioni del mio dissenso sono due: 1) una pessimistica diffidenza da parte mia verso tutte le

posizioni di “moralismo politico” […] 2) La preoccupazione per una “scelta non avvenuta”, nei confronti delle

51 Un tema presente anche nella lettera a Giuliano Vassalli del 30 gennaio 1948, in INSMLI, b. 3, f. 28.52 Cfr. anche, sul tema, l’intervento di Rollier al convegno sulla “terza forza” tenutosi a Milano il 4-5 aprile 1948 (in Sulla “terza forza”, a cura di Lamberto Mercuri, Bonacci, Roma 1985, pp. 164-167). Un’opinione rafforzata dalla successiva partecipazione di Rollier alla riunione, tenutasi a Parigi dal 1 al 5 luglio 1948, della SFIO, in qualità di delegato dell’Unione dei socialisti: cfr. la sua relazione a Lombardo in INSMLI, b. 4, f. 40.53 Ivi, b. 3, f. 25.54 Ivi, b. 5, f. 46.

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posizioni comuniste, in quanto totalitarie, che spesso trovo nel <<Ponte>>, che sono una malattia distintiva del nostro

clima italiano e che non ritrovo per esempio tutte le volte che mi incontro con persone straniere che abbiano a un

dipresso la nostra visione delle cose […]. Un conto è riconoscere che la maggioranza della classe operaia industriale

italiana (piccola frazione del popolo italiano) è invischiata in questo calle tortuoso e senza uscita, e riconoscere anche

che vi sono a ciò delle valide giustificazioni nella troppo grande disuguaglianza sociale, constatazioni ovvie alle quali

consento, e un conto ritenere che queste constatazioni giustifichino delle ambiguità o dei complessi di inferiorità dei

quali eravamo del tutto privi quando, come GL, si combatteva accanto ai comunisti sapendo benissimo che alla base

della lotta comune c’era soltanto una precaria alleanza che non intaccava menomante le rispettive ideologie. È il ricordo

in me di questo limpido stato di fatto e non di sentimentali solidarietà, che non esistettero, che oggi mi fa di nuovo

accettare con perfetta tranquillità la possibilità di una alleanza governativa con i democristiani la quale nulla di più

contiene se non il riconoscimento che la necessità politica europea oggi la richiede come il minore dei mali.55

È una posizione che spiega anche la partecipazione di Rollier alla battaglia a favore della CED 56 e

caratterizza anche la sua risposta al questionario sul federalismo, pubblicato dal <<Ponte>> nel

dicembre 1950:

Il federalismo europeo si deve dichiaratamente inserire nel programma di riarmo atlantico solo a condizione che tale

riarmo sia fatto sulla base della creazione di un esercito europeo e non nel tentativo vano di ricreare degli impotenti

eserciti nazionali […]. È la condizione stessa della sua esistenza come stato federale alla conquista della sua

indipendenza, purché questa difesa sia difesa europea e non difesa dalla paura che i francesi hanno dei tedeschi e del

risentimento che gli italiani coltivano contro gli jugoslavi. L’Europa conseguirà la propria unificazione nella misura in

cui sarà capace di sentire in modo unitario la propria difesa […]. La creazione di un esercito europeo richiede

contemporaneamente la creazione di un organismo politico europeo che controlli tale esercito.57

55 INSMLI, CR, b. 9, f. 83.56 Cfr. l’articolo Esercito europeo: <<I popoli sono stufi di parole intorno all’Europa: se un esercito europeo deve essere creato, se un governo europeo, sia pure limitato agli affari esteri e della difesa e a quel minimo di economia integrata che la gestione comune di questi interessi vitali dei popoli dell’Europa occidentale comporta deve essere realizzato per la nostra salvezza attuale ed indipendenza futura sarà bene che gli statisti francesi ed italiani affrontino con calma e con concretezza questi problemi. Essi poi dovranno dire chiaramente ai loro popoli cos’hanno combinato, perché il futuro dell’Europa occidentale dipende dagli errori che si commetteranno o non si commetteranno ora>> (ivi, f. 86).57 Ivi, f. 82. Cfr. anche la lettera ad Altiero Spinelli del 20 settembre 1950, ibidem e l’intervento di Rollier al quinto congresso del MFE, in ASUE, Carte MFE, b. 229..

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Sussisteva contemporaneamente la diffidenza di Rollier verso certi atteggiamenti terzomondistici o

filoarabi della politica estera italiana, che egli attribuiva a sopravvivenze nazionalistiche o

all’influenza del Vaticano sui dirigenti della Dc (che accusava anche, in questo periodo, di

ambiguità nei confronti dello stesso processo di integrazione europea58). Scriveva ad esempio il 18

novembre 1951 da Berkeley a Vincenzo Vacirca, direttore del quotidiano socialdemocratico <<La

Giustizia>>:

Sono preoccupato per la politica estera italiana che è notevolmente peggiorata dal ritiro di Sforza in poi. Il tentativo di

“mediazione non richiesta” fra Inghilterra ed Egitto, fatto in modo grossolano, inabile e mancino, sarà di pura marca

vaticana, o clerico-fascista stile “spada dell’Islam”, certo che visto da qui è apparso semplicemente grottesco […]. Certo

che nel caso di Suez uno schieramento leale e solidale con la Gran Bretagna, in nome degli interessi generali europei, e

di condanna dell’incipiente follia nazionalistica egiziana, dato che noi italiani dovremmo sapere dove conduce la follia

nazionalistica, era l’unica posizione da prendere e che non è stata presa a causa delle influenze monarchico-fasciste-

vaticane che circondano De Gasperi e provengono sia da residui non ripuliti di Palazzo Chigi sia dalla Nunziatura. Non

ci vuole un democristiano a Palazzo Chigi, per il bene del paese, ma gonfi di potere come sono essi non lo capiranno59.

Consigliere comunale a Milano per il PSDI dal 1951 al 1960, si batté soprattutto per la costruzione

della metropolitana, un tema che andava incontro anche ai suoi interessi professionali, di uomo del

fare, pragmatico e concreto. Nell’ottobre 1951 dagli USA (dove si trovava avendo vinto una borsa

Fullbright e, contemporaneamente, una borsa del CNR per le sue ricerche nel campo della chimica

nucleare) scriveva al sindaco di Milano, Virgilio Ferrari, di essersi interessato, tramite Ivan Matteo

Lombardo, per verificare la possibilità di un finanziamento della Banca mondiale per la costruzione

della MM.60

Intervenne sull’argomento in consiglio comunale l’1 luglio 1952, spiegando la sua posizione con

una serie di previsioni sullo sviluppo del capoluogo lombardo:

58 Cfr. la lettera a Spinelli dell’8 maggio 1950 cit. in Paolo Caraffini, Costruire l’Europa dal basso. Il ruolo del Consiglio italiano del Movimento europeo (1948-1985), il Mulino, Bologna 2008, pp. 80-81.59 INSMLI, CR, b. 9, f. 83.60 Cfr. ivi, b. 5, f. 48.

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Se noi esaminiamo la curva dell’aumento della popolazione d’una città come Milano e la paragoniamo all’andamento

della curva che indica il numero degli automezzi, dei mezzi a propulsione meccanica in genere, motociclette,

motoscooter ecc. siamo immediatamente colpiti da un’enorme differenza fra queste due curve, cioè vediamo che

l’aumento della popolazione è un aumento relativamente lento […] l’aumento, invece, dell’altra curva, nonostante il

fatto che siamo in un paese relativamente a scarso sviluppo industriale, in un paese povero, in un paese a scarso potere

d’acquisto delle grandi masse lavoratrici, è molto superiore […]. Ci troviamo di fronte a questo dato di fatto: Milano è

una città che si sta meccanizzando rapidamente, che sta meccanizzando rapidamente i suoi mezzi di trasporto privato e

quindi è città il cui centro diventa ogni giorno più insufficiente alle esigenze del traffico […]. La meccanizzazione dei

mezzi di trasporto andrà aumentando nonostante tutto e in un certo senso in modo molto accentuato nei prossimi

decenni […]. La misura dell’utilità della metropolitana sarà data dal fatto che anche il proprietario di un mezzo di

trasporto meccanico preferirà lasciarlo in periferia o nelle vicinanze della periferia per prendere la metropolitana per

attraversare la città, perché nessun altro mezzo gli darebbe la velocità di trasporto attraverso la città che gli dà la

metropolitana.61

Stava però maturando anche il graduale distacco di Rollier dalla politica attiva (anche dal MFE, in

contrasto, a partire dal congresso di Varese del 1956, con la linea di Spinelli di opposizione ai

governo e di richiamo diretto ai popoli62) e il ritorno a tempo pieno all’insegnamento (peraltro mai

abbandonato) che si tradurrà, nel 1959, nonostante le insistenze dello stesso Saragat, nel sostanziale

rifiuto di un incarico di assessore al comune di Milano63.

Anche verso il PSDI Rollier mostrava un atteggiamento sempre più critico, sia per dissensi d’ordine

generale, sia (e sarà una costante delle posizioni dei suoi ultimi anni) per timore dell’unificazione

61 Intervento in consiglio comunale del 1 luglio 1952 in INSMLI, b. 5, f. 49.62 Cfr. Cinzia Rognoni Vercelli, Un valdese federalista, cit. pp. 190-192; Augusto Comba, Mario Alberto Rollier nella vita politica dell’Italia repubblicana, <<Nuova Antologia>>, aprile-giugno 1984, p. 254; Altiero Spinelli, Diario europeo, 1948-1969, il Mulino, Bologna 1989, pp. 287-288. Il dibattito con Spinelli sul tema della forma della partecipazione politica era iniziato, per certi versi, già durante il periodo resistenziale: <<Noi non possiamo lavorare in concreto che dentro e per il tramite di un partito politico e questo non può essere che il PdA, nel quale la nostra e la tua personale posizione non è conquistata, ma da conquistare>> (lettera del Pessimista a Pantagruel, 25 agosto 1944, ASUE, FS, b. 5). Nel febbraio 1963 Rollier sarebbe però intervenuto, con una relazione dal titolo Una politica comune per l’Italia e per la Gran Bretagna, all’XI convegno degli Amici del <<Mondo>>, organizzato al teatro Eliseo di Roma dallo stesso Spinelli: cfr. Altiero Spinelli (a cura di), Che fare per l’Europa, Ed. di Comunità, Milano 1963, pp. 163-169.63 Cfr. la lettera del 21 maggio 1959 al vicepresidente della Camera, Paolo Rossi, in INSMLI, CR, b. 7, f. 65.

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socialista. Il 6 marzo 1958 scriveva così all’amico Luigi Emilio Barberis, dichiarandosi d’accordo

con alcune prese di posizione di don Sturzo:

Anch’io nel 1945 ero per una, possibilmente intelligente, nazionalizzazione di certi gangli della vita economica e

produttiva. Poi ho visto che cosa sono le imprese statali in Italia, ho visto che Mattei vorrebbe creare un “paternalismo

economico vaticano” e mi sono anche accorto che la politica delle nazionalizzazioni è una politica economica

comunista non sociale. La politica sociale si batte nell’anno di grazia 1958 per la tutela sindacale dei lavoratori nella

libertà, per la tutela dei consumatori, che sono la povera gente, con le leggi antitrust e con lo smantellamento dei

privilegi costituiti dalle protezioni doganali. La politica sociale si batte infine per un minimo di programmazione

economica nell’interesse di una comunità, la più ampia possibile, la quale è oggi la comunità dei 6 paesi che si stanno

faticosamente unendo nell’Europa occidentale. Questa programmazione economica nell’interesse della comunità basta

il controllo del credito a realizzarla64 […]. Queste cose i pochi che le condividono nel nostro partito, e penso a Ivan

Matteo Lombardo, sono attualmente fuori dalla vita politica, e se si addivenisse all’unificazione con la muta famelica di

massimalisti ignoranti che c’è nel PSI le cose peggiorerebbero ancora65.

Col il 1960 e con la fine del suo mandato di consigliere comunale termina anche l’impegno politico

in prima persona di Rollier. Resterà comunque sempre interessato alle vicende politiche, in

particolar modo quelle più legate alla sua professione, come ad esempio alle questioni attinenti

l’energia e la politica nucleare, visti in un’ottica non solo tecnica, ma sempre legati alle tematiche

internazionali e, in particolare, alla costruzione dell’Europa:

Nel campo dello sfruttamento pacifico dell’atomo, perché vi sia un interlocutore valido nella grande competizione

pacifica con gli Stati Uniti, bisogna che esista lo Stato Europa. Fintanto che i nostri stati nazionali crederanno di poter

raccogliere da soli questa sfida, essi non saranno che rane desiderose di diventare buoi […] L’equilibrio del terrore si

rende minimo quando i centri capaci di possedere la spada di Damocle nucleare sono ridotti al minimo. Soltanto gli stati

di dimensioni continentali o sub-continentali sono in condizione di controllare responsabilmente gli armamenti nucleari

garantendo la sicurezza. Finché la condizione precedente non si è verificata è meglio limitarsi all’equilibrio,

64 Un punto che Rollier sosteneva fin dalla mozione di politica economica del congresso federalista di Montreux dell’agosto 1947, in cui svolse un ruolo importante: cfr. INSMLI, CR, b. 7, f. 71.65 Ivi, b. 2, f. 25.

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insoddisfacente, di una alleanza del tipo della NATO; essa riduce praticamente a due gli aggruppamenti di potenze

capaci di maneggiare le armi nucleari.66

Più in generale, le vicende di politica internazionale, e i loro riflessi in politica interna spinsero

Rollier alla critica delle posizioni di molti dei suoi antichi compagni di lotta, come testimonia lo

scambio di lettere del gennaio 1968 con Enzo Enriquez Agnoletti a proposito della posizione del

<<Ponte>> duramente contraria alla guerra in Vietnam e, secondo Rollier, troppo vicina a quella di

Basso e del suo Tribunale Russell. Scriveva Rollier il 16 gennaio:

Aborro e depreco quanto te la guerra nel Vietnam. Essa è un atroce fenomeno del confronto di potenza in Asia fra

Russia, Cina e Stati Uniti nel quale chi vi va di mezzo è la popolazione del Vietnam […]. Se fossi cittadino degli Stati

Uniti lotterei nel mio stato continentale perché si trovino mezzi meno atroci di perseguire la politica di potenza. In

questa impotente Europa ove, nei confronti dei russi e degli americani siamo cittadini castrati no […]. La politica e

l’economia americana stanno a Carlo Marx e ai paesi che lo dogmatizzano come Einstein sta ad Alessandro Volta che,

grazie a Dio, gli uomini della seconda cultura, quella delle scienze sperimentali, non dogmatizzano. Scommetto teco

che, finita la guerra nel Vietnam (e speriamo presto), Lelio Basso troverà qualcosaltro da strumentalizzare in funzione

antiamericana.67

La polemica a distanza con Basso, cui pure era legato da decennali rapporti di amicizia68, si fece poi

più aspra sulla questione medio orientale. Intervenendo al Rotary di Pavia il il 24 novembre 1976

sul tema Lo stato di Israele ed il conflitto arabo-israeliano, Rollier prendeva spunto da un suo

recente viaggio in Israele con un gruppo di docenti italiani invitati ad un seminario dell’ <<Israel

Universities study group for Middle eastern affairs>>. Dopo aver sottolineato come il ritmo di

accrescimento demografico della pop arabo-israeliana fosse 2,5 volte quello della popolazione

66 Mario Alberto Rollier, Dieci tesi sull’energia nucleare, <<Protestantesimo>>, 1967, n. 2, pp. 8-9. Cfr. anche il rapporto presentato da Rollier il 9 dicembre 1972 al Ministro dell’industria sulla Conferenza internazionale sulle soluzioni nucleari ai problemi mondiali dell’energia in INSMLI, CR, b. 29, f. 149 e la lettera del 10 novembre 1976 al’editore Gianni Mazzocchi, ivi, f. 145; la relazione tenuta al Rotary Milano centro il 24 maggio 1977 intitolata Tre anni di dibattiti sull’energia nei gruppi del consiglio ecumenico, ivi, f. 146.67 INSMLI, CR, b. 31, f. 198.68 Cfr. ad esempio il dialogo a distanza su Ibsen, in <<L’Appello>>, luglio-agosto 1942, pp. 79-87.

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ebraica, Rollier accusava Basso di trovarsi costantemente sulla linea politica sovietica nel sostenere

il fronte arabo del rifiuto e quindi il terrorismo, criticava la <<sacralità delle deliberazioni

dell’ONU>> e così proseguiva:

Bene fa perciò Israele a non muoversi dalle attuali linee di demarcazione sul Golan, sul Giordano e sul Sinai fino a

quando i tre stati arabi confinanti, Siria, Giordania ed Egitto, rinsaviti dalle esperienze che essi vivono dalla fine del

1973, non concluderanno la pace negoziando con Israele dei confini militarmente accettabili per la sicurezza dello stato

ebraico […]. Chi adopera, come fa Basso, i termini <<insediamento ebraico in territorio arabo>> e <<dare maggiore

legittimità all’esistenza dello stato di Israele>> fa dell’ideologia anti-ebraica e vive fuori dalla realtà medio-orientale..69

Il 12 febbraio 1970 scriveva quindi a Parri, annunciandogli il suo desiderio di non rinnovare

l’abbonamento a <<L’Astrolabio>>, tracciando un bilancio delle proprie posizioni politiche:

Nel suo bellissimo saggio The crisis of confidence Arthur Schlesinger, il consigliere del presidente Kennedy, definisce

democrazia libertaria il sistema nel quale in qualsiasi momento la regola della maggioranza riposa sulla garanzia del

diritto delle minoranze di trasformarsi in nuova maggioranza. Per questa democrazia libertaria ho combattuto teco ed

essa in Italia desidero conservare. Per questa ragione non credo alla “risposta alternativa” delle forze di sinistra […]. In

questo anno del centenario di Porta Pia mi trovo altrettanto anticattolico quanto anticomunista. Si deve andare al

governo coi cattolici solo perché l’esercito di Francisco Franco, il solo che potrebbe andare in aiuto di Sanctae

Romanae Ecclesiae e del prof. Gedda è molto meno potente dell’Armata rossa. Qualsiasi cosa succeda nel nostro paese,

scarsamente significante, la democrazia libertaria si difende e si protegge legando indissolubilmente l’Italia

all’occidente euro-americano e alla Nato, finché non esisterà un governo e un esercito degli Stati Uniti d’Europa. Salva

la democrazia libertaria e garantita la stabilità monetaria le altre questioni di politica interna, largamente viziate dalle

logomachie dei partiti, hanno scarsa rilevanza.70

Nello stesso periodo, Rollier stava compiendo, in conseguenza degli eventi legati alla contestazione

giovanile, anche un personale ripensamento del rapporto tra impegno religioso e politico:

69 INSMLI, CR,b. 29, f. 147.70 Ivi, b. 31, f. 198. Cfr. anche la lettera a Vittorio Olcese del 15 aprile 1970, ibidem.

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Riguardando, a 25 anni di distanza e alla luce della situazione teologica e culturale degli uomini che oggi, nel

protestantesimo italiano, hanno fra i trenta e i quaranta anni e vivono nella temperie di aristotelismo marxista della

cultura italiana, insufficientemente differenziati da questa, ho l’impressione che per colpa nostra, ma in questa sede

preferisco dire mia, ci sia stata, per qualche errore, l’incapacità di trasmettere un messaggio, un messaggio importante

che pur andava trasmesso.71

In quest’ottica, si comprende quindi meglio il senso della lettera scritta il il 29 gennaio 1971 a

Giuseppe Faravelli:

Caro Faravelli, non intendo purtroppo rinnovare il mio abbonamento a <<Critica Sociale>>. Come diceva Filippo

Turati i socialisti con i socialisti e i comunisti con i comunisti: ora alla luce degli avvenimenti di Praga e di Danzica

risulta lampante che i soli socialisti sono i socialdemocratici. Nel PSI non ci sono socialdemocratici, c’è una

maggioranza che anela a confondersi con il PCI e con la sinistra clericale che dal PCI si differenzia solo perché

desidera, in più, mandare le masse operaie, inquadrate, a messa. C’è una minoranza che si dice autonomista ma non ha

il coraggio di entrare nel partito socialdemocratico. La <<Critica Sociale>> non è con Turati, è a mezz’aria e io

purtroppo sono con i piedi per terra. Aggiungo che, come in Germania Ovest, desidero vedere al governo i

socialdemocratici con i liberali, non con i Donat Cattin.72

Era il preannuncio di un ulteriore, amaro distacco, comunicato il 1 marzo 1977 al compagno di

antiche battaglie, Aldo Garosci: <<Caro Garosci […] l’autunno scorso ho chiesto a Bucalossi e La

Malfa di accogliermi nel PRI – sono convinto che la gestione Romita condurrà quel che rimane del

PSDI in seno al PSI ove non voglio rischiare di trovarmi. L’Italia non è terra di socialdemocrazia!

>>.73

71 Autocritica, <<Protestantesimo>>, 1970, n. 4, pp. 219-220.72 INSMLI, CR, b. 31, f. 198. Faravelli gli rispose con un certo sarcasmo il 12 febbraio: <<Caro Rollier, non sapevo che tu fossi un negromante, avessi cioè il potere di evocare il pensiero dei morti (di Turati, nella fattispecie)>>.73 ISTORETO, CG, b. 34, f. 899. Cfr. anche, per la sua militanza nel PRI, Augusto Comba, Mario Alberto Rollier, cit., pp. 255-256.

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LEGENDA

b.=busta

CG=Carte Garosci

CR=Carte Rollier

CS=Carte Spinelli

f.=fascicolo

ASUE=Archivi storici dell’Unione europea (Firenze)

INSMLI=Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (Milano)

ISTORETO=Istituto per la storia della Resistenza in Piemonte (Torino)

UP=Università di Pavia