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Corso di Popolazione, Territorio e Società 1 A.A. 2013-2014 Appunti ad uso interno La “revisione” di Vitali Tra il 1960 e il 1983. quando Vitali pubblicò “evoluzione rurale e urbana dei comuni in Italia”, venne a mancare in Italia una definizione universalmente accettata. In questo periodo si ritornò a considerare semplicemente l’analisi per classe dimensionale dei comuni: pur rispettando il valore conoscitivo fornito da questo approccio, che consente di cogliere alcuni aspetti della dinamica territoriale di fenomeni di natalità o migrazione, esso non permette di cogliere tutte le differenze tra i comuni perché non tiene conto del fatto che le caratteristiche del territorio spesso contribuiscono fortemente a determinarne la tipologia (si pensi ad esempio ai comuni della Lombardia: le tre province di Pavia. Mantova e Sondrio sono accomunate dal fatto di avere comuni con dimensione media molto bassa nonostante le loro caratteristiche, relativamente alla tipologia rurale-urbano, risultino molto diverse). Nel 1983 Vitali propose un nuovo modello. costituito da 6 indicatori: (1) la % di popolazione attiva extra-agricola; (2) la % di popolazione attiva nel terziario. (ripresi direttamente dalla classificazione di Somogyi e Barberi) (3) la % di popolazione dotata di diploma di scuola media superiore, (4) la percentuale di abitazioni con servizi all’interno dell’abitazione; (5) la % di popolazione residente nel centro abitato del comune (non più quello dove si trova la sede comunale) – costruito solo per i comuni con almeno 20.000 abitanti-; (6) la densità demografica. Vitali, inoltre, riduce il numero delle classi a 4 (rurale, semi-rurale, semi-urbana, urbana). Università Degli Studi di Milano - Bicocca 125

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Corso di Popolazione, Territorio e Società 1 A.A. 2013-2014Appunti ad uso interno

La “revisione” di Vitali

Tra il 1960 e il 1983. quando Vitali pubblicò “evoluzione rurale e urbana dei comuni in Italia”, venne a mancare in Italia una definizione universalmente accettata. In questo periodo si ritornò a considerare semplicemente l’analisi per classe dimensionale dei comuni: pur rispettando il valore conoscitivo fornito da questo approccio, che consente di cogliere alcuni aspetti della dinamica territoriale di fenomeni di natalità o migrazione, esso non permette di cogliere tutte le differenze tra i comuni perché non tiene conto del fatto che le caratteristiche del territorio spesso contribuiscono fortemente a determinarne la tipologia (si pensi ad esempio ai comuni della Lombardia: le tre province di Pavia. Mantova e Sondrio sono accomunate dal fatto di avere comuni con dimensione media molto bassa nonostante le loro caratteristiche, relativamente alla tipologia rurale-urbano, risultino molto diverse).

Nel 1983 Vitali propose un nuovo modello. costituito da 6 indicatori:

(1) la % di popolazione attiva extra-agricola;(2) la % di popolazione attiva nel terziario.

(ripresi direttamente dalla classificazione di Somogyi e Barberi)

(3) la % di popolazione dotata di diploma di scuola media superiore, (4) la percentuale di abitazioni con servizi all’interno dell’abitazione; (5) la % di popolazione residente nel centro abitato del comune (non più quello dove si

trova la sede comunale) – costruito solo per i comuni con almeno 20.000 abitanti-; (6) la densità demografica.

Vitali, inoltre, riduce il numero delle classi a 4 (rurale, semi-rurale, semi-urbana, urbana).L’innovazione introdotta dal modello di Vitali, tuttavia, sta nel fatto che egli individua dei criteri di classificazione “assoluti”, non più riferiti al valore medio nazionale. La sintesi degli indicatori è compiuta attraverso un procedimento basato sull’analisi discriminante: si definiscono le quattro categorie tipologiche a cui corrispondono prefissati intervalli di variazione dei sei indicatori adottati. L’assegnazione della categoria a ciascun comune si risolve nell’individuazione di una funzione discriminante il cui punteggio di sintesi ottenuto è combinazione lineare di ciascuno degli indicatori adottati.Nella nuova classificazione proposta emergono alcune importanti novità: viene superato il limite della classificazione di Somogyi-Barberi, dato la classificazione risulta svincolata da un parametro di riferimento statico, dunque essa consente di cogliere la dinamica del processo di urbanizzazione attraverso l’analisi delle traiettorie seguite dai comuni nell’arco dei tre Censimenti 1951-1971.Così, ad esempio, la traiettoria 433 indica il percorso di un comune che, rilevato come rurale nel 1951, è diventato semi-rurale nel 1961 ed è rimasto tale nel passaggio dal ’61 al ’71; analogamente, la traiettoria 441 indica il percorso di un comune la cui trasformazione netta da rurale a urbano si è verificata nel periodo ‘61-’71.Il metodo delle traiettorie si rivela un potente strumento per l’analisi di molti fenomeni sul territorio, consentendo di metterne in luce la periodicità.

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Saldi migratori dei comuni italiani secondo il tipo di traiettoria (dati in migliaia)1

Traiettoria 1951-61 1961-71 1971-81 1951-81Tipo rurale 444-443-433-333 -2681 -2297 -276 -5254Semi-urbana 432-42..-32.. -756 -120 703 -173Urbana 111 2195 1285 -492 2988Altre … 200 86 110 396TOTALE -1042 -1046 45 -2043

Fonte:Vitali 1985

Tra tutte le traiettorie possibili Vitali “isola” tre particolari traiettorie, ritenute interessanti: la traiettoria di tipo rurale, che comprende le traiettorie 444, 443, 433 e 333, la traiettoria semi-urbana, che comprende tutte le traiettorie di comuni che sono partiti come rurali o semi-rurali nel ’51 e che si sono classificati come semi-urbani al ’61 o al ’71 e, infine, la traiettoria urbana che riguarda i comuni che sono sempre rimasti urbani in tutti i periodi di rilevazione. Si noti come le tre traiettorie principali riassumano oltre il 96% dei saldi migratori nel 1951-61 e il 93% nel 1971-81.Osservando i valori della tabella si osserva come nel passaggio dal 1951 al 1981 l’Italia abbia perso complessivamente 2 milioni di individui. Le perdite più rilevanti le hanno subìte i comuni a traiettoria rurale, con una diminuzione complessiva che supera 5 milioni di unità. Di questi 5 milioni una parte è andata all’estero e una parte si è diretta verso i comuni che hanno seguito traiettorie differenti, in particolare verso quelli a traiettoria urbana per i quali, alla fine del periodo, si osserva un incremento di circa 3 milioni di unità. Si noti, inoltre, come la forte emorragia dei comuni rurali sia avvenuta tra il ’51 e il ’71 mentre nel periodo successivo si è arrestata; il ’71 infatti rappresenta un punto di svolta anche nella tendenza alla crescita dei comuni urbani che cominciano ad andare in perdita. E’ interessante rilevare come i comuni di tipo semi-urbano abbiano iniziato il loro processo di urbanizzazione proprio quando i comuni urbani hanno cominciato a manifestare saldi migratori negativi. Si può pertanto concludere che il fenomeno dell’urbanizzazione ha assunto, a partire dal ’71, una particolare caratterizzazione: ad attrarre non sono più i centri di antica urbanizzazione ma i nuovi poli semi-urbani.

Altri contributi sulla scia degli studi di Vitali sono stati quello dell’Istat nel 1986 e quello di Merlini nel 1986; entrambi costituiscono delle varianti al metodo di Vitali. ma con scarso successo nel miglioramento dei risultati.

L’ISTAT ha considerato 13 indicatori (1) la densità. (2) la % della popolazione attiva in condizione professionale sul totale della popolazione di

14 anni o +. (3) la % della popolazione attiva in agricoltura sul totale della popolazione attiva in

condizione professionale. (4) % delle donne attive nei settori extra-agricoli sul totale della popolazione femminile in

età da 14 anni in poi.(5) % di persone in possesso di laurea o diploma sul totale popolazione di 18 anni o +.(6) % di occupati con luogo di lavoro situato all’esterno del comune sul totale occupati(7) % “addetti” sul totale popolazione di 14 anni o+.(8) % “addetti” nel terziario (escluso il commercio) sul totale popolazione di 14 anni o+.(9) il numero medio dei componenti per famiglia.

1 La classificazione di Vitali si ferma al ’71. per l’81 si è utilizzata la classificazione del ‘71.

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(10) % abitazioni in proprietà sul totale abitazioni occupate.(11) % di abitazioni fornite di alcuni servizi (acqua potabile e gabinetto) all’interno sul totale

delle abitazioni occupate.(12) la % utenze telefoniche sulla popolazione.(13) la % utenze telefoniche (“affari”) sulla popolazione.

e un metodo di classificazione basato sulla cluster analysis. L’utilizzo della cluster riporta in evidenza il problema della confrontabilità nel tempo delle classificazioni e non consente dunque di cogliere l’evoluzione seguita nel tempo da ciascun comune.

Un ultimo contributo riguarda alcuni autori, di cui si ricorda Merlini (1986/1991), che hanno ripreso la classificazione di Vitali apportando una modifica rispetto ad una variabile: la densità diventa la densità urbanistica (n. abitazioni per kmq). I risultati dell’analisi confermano sostanzialmente e si allineano a quelli di Vitali.

La trasformazione urbana in Italia attraverso un’analisi per classi dimensionali (Golini-Cantalini)

Come già osservato. analizzando il processo insediativo della popolazione italiana dal dopoguerra ad oggi si possono distinguere due fasi principali. La prima fase, che si svolge nel corso degli anni cinquanta e sessanta, è caratterizzata dal notevole sviluppo delle attività industriali e dà luogo ad ingenti trasferimenti di popolazione dai territori rurali a quelli urbanizzati e dal Sud verso il Nord. In questa fase di concentrazione territoriale delle attività produttive e della popolazione le grandi città italiane registrano un notevole tasso di crescita demografica, mentre i piccoli comuni rurali e le zone montane sono testimoni di un forte depauperamento.La seconda fase, che inizia con gli anni settanta, vede l'apparato produttivo percorso da un intenso processo di ristrutturazione tecnico-organizzativa che determina una più articolata ed equilibrata distribuzione sul territorio di tutte le attività economiche. Si passa infatti da un modello di sviluppo cumulato e spazialmente concentrato degli anni '50 e '60, a un modello diffusivo degli insediamenti produttivi e residenziali: le forti spinte al decentramento della produzione e i fenomeni di deconcentrazione della popolazione investono i tradizionali poli metropolitani-industriali e si riflettono nella crescita demografica ed economica di zone suburbane o periferiche.Proprio negli anni settanta si assiste, quindi, a una significativa inversione di una tendenza secolare: il tasso di crescita della popolazione delle grandi città e più in generale delle aree maggiormente urbanizzate risulta più basso di quello che si registra nel resto del Paese. Ecco dunque che il modello di urbanizzazione inteso come processo di agglomerazione spaziale, contraddistinto da una relazione positiva fra dimensione degli insediamenti e saldo migratorio, non è più in grado di interpretare le caratteristiche insediative dei paesi occidentali.A partire dagli anni ’70 le trasformazioni insediative sembrano suggerire l’instaurarsi di rapporti istituzionali assai più complessi rispetto al passato tra la città e il territorio circostante parallelamente all’affermarsi di una centralità urbana di tipo nuovo.Oggi l’Italia, così come la maggior parte dei Paesi industrializzati, sta attraversando un periodo di sostanziale stabilità demografica, cioè un progressivo rallentamento dei fattori dinamici che hanno caratterizzato il nostro recente passato: la componente naturale della crescita e quella migratoria interna hanno subìto un relativo ridimensionamento mentre un peso non più

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trascurabile hanno acquistato, a partire dalla seconda metà degli anni ’80 ad oggi, i flussi migratori dai Paesi in via di sviluppo. Il quadro insediativo si presenta oggi in fase di assestamento, dove il processo redistributivo si manifesta in una forma senz’altro meno vistosa di quella che ha contraddistinto gli anni dei grandi spostamenti sud-nord, campagna-città, montagna-pianura, aree interne-aree costiere, seppur con alcuni segnali di ripresa negli anni più recenti.Questi rilevanti cambiamenti hanno stimolato ad indagare la realtà urbana italiana privilegiando una chiave di lettura strettamente demografica al fine di mettere meglio a fuoco il fenomeno del declino della popolazione delle grandi città che può essere considerato tra gli aspetti più significativi, anche se certamente non l'unico, dell'evoluzione dei modelli territoriali di sviluppo tipici dei paesi ad economia avanzata.

Ma vediamo in dettaglio quanto è avvenuto nel corso degli ultimi 50 anni.L'urbanizzazione, cioè la concentrazione della popolazione nelle città e nei grandi centri, è in Italia un fenomeno che assume un certo rilievo solo durante il secolo scorso, in concomitanza con il crescente ruolo politico, amministrativo ed economico che le città esercitano sul territorio circostante. In generale l'evoluzione del modello territoriale di sviluppo demografico è dipeso in larga parte dai processi che hanno caratterizzato l'apparato produttivo nazionale (e decisamente in minor misura dalla struttura burocratico-amministrativa dello Stato), processi che si sono variamente manifestati sul territorio in relazione alle diverse situazioni socioeconomiche caratterizzanti le aree geografiche.Dal dopoguerra e fino alla fine degli anni sessanta si è assistito ad una crescita sostenuta e disordinata delle attività industriali nel cosiddetto «triangolo industriale» (Milano. Torino e Genova) e alla espansione delle funzioni politiche, governative e amministrative di alcune città. Nelle aree «forti» del paese si sono quindi create grandi capacità attrattive che hanno alimentato flussi migratori di ampiezza tale da modificare in profondità il tessuto urbano ed economico dell'Italia.

1961 - 1971L'esame dei dati mette chiaramente in evidenza la tendenza della popolazione a concentrarsi nelle grandi città: mentre al Censimento del 1961 ben 12,5 milioni di persone, cioè il 25%, risiedevano in comuni con oltre 100 mila abitanti, al Censimento del 1971 la proporzione raggiunge il 29%, pari a 15,7 milioni. E’ interessante notare come il processo di urbanizzazione realizzatosi nel decennio 1961-71 abbia riguardato un numero crescente di grandi città. Infatti nel decennio 1961-71 i comuni con oltre 100 mila abitanti passano da 32 a 47. In particolare il gruppo di comuni di ampiezza demografica compresa tra i 100 mila ed i 250 mila abitanti risulta il più dinamico: raddoppia la propria quota percentuale sul numero totale dei comuni, dallo 0,2% allo 0,4%, e registra un elevatissimo tasso di incremento medio annuo della popolazione, pari al 51,7 per mille.A fronte di questa concentrazione di popolazione nelle grandi città si assiste a una sostenuta diminuzione del peso e del numero dei centri di piccole dimensioni (classe 1001-20000 abitanti), i quali vedono scendere la propria consistenza da 6201 a 5876 unità, pari rispettivamente al 77,2% e al 72,9% del numero complessivo dei comuni italiani. Analogamente la quota di popolazione che vive in tali comuni si riduce di oltre cinque punti percentuali, dal 51% al 46%. Il regresso demografico dei piccoli centri trova riscontro anche nel sensibile incremento dei comuni piccolissimi (meno di mille abitanti), 293 in più al 1971.

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Se si esamina l'evoluzione della popolazione comunale nelle due grandi ripartizioni geografiche in cui normalmente si suddivide il territorio italiano si possono segnalare alcune importanti differenze:

- il marcato sviluppo della popolazione dei comuni di media ampiezza (20-50 mila abitanti) nel Centro-Nord (33,6 per mille l'anno) contro la stasi della popolazione corrispondente del Mezzogiorno (0,6 per mille);

- l'opposto andamento dei comuni medio-grandi (50-100 mila abitanti), in crescita quelli del Mezzogiorno (12,3 per mille l’anno), in regresso quella del Nord-Centro, (-7.,3 per mille l’anno).

1971-1981In Italia la grande trasformazione urbana è avvenuta nel decennio 1971-81 parallelamente alle profonde ristrutturazioni tecnico-organizzative dell'apparato industriale e distributivo. Da una fase di sviluppo cumulato e spazialmente concentrato degli anni '50 e '60 si è passati ad un modello diffusivo degli insediamenti residenziali e produttivi, che si riflette nella crescita demografica ed economica di zone sub-urbane o periferiche.Negli anni settanta la tendenza secolare all'accentuarsi del fenomeno dell'inurbamento nelle grandi città di quote crescenti di popolazione subisce una battuta d’arresto: le città con oltre 250 mila abitanti iniziano a perdere popolazione al tasso medio annuo dell’1,8 per mille e la quota percentuale della loro popolazione scende dal 20,8% al 19,5%. I centri che beneficiano di questa inversione di tendenza sono soprattutto quelli di media ampiezza (50-100 mila abitanti) che nel decennio in questione fanno riscontrare un tasso di incremento medio annuo della popolazione del 21 per mille e un aumento del loro peso sul totale dei residenti di un punto e mezzo percentuale.La crisi delle grandi città è comune ad ambedue le grandi ripartizioni, anche se risulta molto più accentuata nel Nord-Centro dove il tasso di incremento della popolazione assume un valore negativo pari al 3,1 per mille. Nel Mezzogiorno, pur in presenza di un tenue accrescimento della popolazione, la percentuale di persone che vivono nelle grandi città si riduce dal 15,2 % al 14,5 %.

1981-1991Nell’intervallo temporale (1981-91) continuano e si rafforzano i processi di redistribuzione territoriale della popolazione emersi nel precedente periodo intercensuale. Il decremento di popolazione nei comuni con oltre 250 mila abitanti al 1988 comincia ad assumere dimensioni ragguardevoli: circa 1.500.000 residenti in meno rispetto al censimento del 1981 (tasso medio di variazione del -13,7 per mille) ed un rapporto di residenti sul totale (17%) sensibilmente inferiore a quello del 1971 (19,5%).Tra il 1981 ed il 1991 la popolazione dei centri medi e mediograndi conquista un vantaggio decisamente più modesto rispetto ai due decenni precedenti: nel complesso i comuni compresi tra le 20 mila e le 250 mila persone aumentano la loro incidenza sul totale della popolazione di soli due punti percentuali, dal 33,9% al 35,8%. mentre il guadagno aveva superato abbondantemente i due punti nel 1971-81 ed era stato di ben quattro punti nel 1961-71. Questo gruppo di comuni è comunque l'unico che fa registrare incrementi, e in misura straordinaria, in tutto l'arco dell'orizzonte temporale 1951-1991.I piccoli comuni (1-5 mila abitanti), che denunciano una costante perdita di popolazione, nell'ultimo periodo riescono a contenere molto la diminuzione. I centri al di sotto dei mille abitanti, pur aumentando sensibilmente dal 1961 al 2011 nel numero e nell’ammontare della popolazione, a causa proprio delle ridotte dimensioni, mantengono inalterato il loro peso sul resto dei comuni. E’ interessante sottolineare come al 1991 questi 1959 comuni costituiscono

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quasi un quarto (24,2%) del totale dei comuni e assorbono soltanto il 2% della popolazione italiana (avendo una dimensione media di soli 584 abitanti), mentre i comuni al di sopra dei 100 mila abitanti rappresentano appena lo 0,5% del complesso dei comuni, ma contengono oltre un quarto (25,6%) della popolazione dell'intero paese.I dati distinti per grandi ripartizioni mettono in luce come il calo di popolazione delle grandi città accomuni il Centro-Nord (dove inoltre il numero di comuni oltre i 250 mila abitanti diminuisce di una unità-nel periodo 1981-91 questa fascia di comuni diminuisce ad un ritmo medio del 12,3 per mille), al Mezzogiorno (-18%). Pertanto tra il 1981 e il 1991 la proporzione di popolazione che vive nei grandi centri urbani si riduce di poco più di due punti percentuali nel Centro-Nord e di circa mezzo punto nella restante parte dell'ltalia.

1991-2001 e 2001-2011Dall’esame degli ultimi periodi si osserva un consolidamento delle tendenze riscontrate; la popolazione nei comuni con oltre 250.000 abitanti si riduce ulteriormente fino a rappresentare meno del 15% della popolazione un valore decisamente più basso che nel 1961. Si noti il costante incremento che subisce la fascia dei comuni medio grandi (20000-10000).

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POPOLAZIONE RESIDENTE    Nord-centro         Mezzogiorno         Italia        

     1961 1971 1981 1991 2001 2011 1961 1971 1981 1991 2001 2011 1961 1971 1981 1991 2001 2011

<= 1000 811 887 868 841 814 753 130 195 225 302 288 309 941 1.081 1.094 1.144 1.101 1.062

1001-5000 7.389 6.773 6.456 6.258 6.348 6.279 3.962 3.742 3.453 3.367 3.142 2.983 11.352 10.516 9.908 9.626 9.489 9.262

5001-20000 8.601 8.759 9.676 9.988 11.005 12.152 5.951 5.419 5.674 5.712 5.705 5.820 14.552 14.177 15.350 15.700 16.710 17.972

20001-50000 3.364 4.680 5.059 5.263 5.718 6.624 3.500 3.520 3.824 4.256 4.358 4.526 6.864 8.200 8.883 9.520 10.076 11.150

50001-100000 2.821 2.622 3.096 3.098 3.141 3.188 1.564 1.767 2.306 2.732 3.249 3.130 4.385 4.388 5.402 5.830 6.390 6.318

100001-250000 1.979 3.193 3.252 3.073 2.925 3.256 768 1.354 1.645 1.723 1.201 1.622 2.747 4.547 4.897 4.796 4.126 4.878

> 250000 7.082 8.349 8.097 7.158 6.530 6.561 2.702 2.877 2.926 2.441 2.573 2.229 9.784 11.226 11.023 9.599 9.103 8.791

TOTALE 32.047 35.263 36.504 35.682 36.480 38.814 18.577 18.874 20.053 20.537 20.516 20.620 50.624 54.137 56.557 56.220 56.996 59.434

POPOLAZIONE RESIDENTE %

    Nord-centro         Mezzogiorno         Italia        

     1961 1971 1981 1991 2001 2011 1961 1971 1981 1991 2001 2011 1961 1971 1981 1991 2001 2011

<= 1000 2.5 2.5 2.4 2.4 2.2 1.9 0.7 1 1.1 1.5 1.4 1.5 1.9 2 1.9 2 1.9 1.81001-5000 23.1 19.2 17.7 17.5 17.4 16.2 21.3 19.8 17.2 16.4 15.3 14.5 22.4 19.4 17.5 17.1 16.6 15.65001-20000 26.8 24.8 26.5 28 30.2 31.3 32 28.7 28.3 27.8 27.8 28.2 28.7 26.2 27.1 27.9 29.3 30.220001-50000 10.5 13.3 13.9 14.7 15.7 17.1 18.8 18.6 19.1 20.7 21.2 21.9 13.6 15.1 15.7 16.9 17.7 18.850001-100000 8.8 7.4 8.5 8.7 8.6 8.2 8.4 9.4 11.5 13.3 15.8 15.2 8.7 8.1 9.6 10.4 11.2 10.6100001-250000 6.2 9.1 8.9 8.6 8.0 8.4 4.1 7.2 8.2 8.4 5.9 7.9 5.4 8.4 8.7 8.5 7.2 8.2> 250000 22.1 23.7 22.2 20.1 17.9 16.9 14.5 15.2 14.6 11.9 12.5 10.8 19.3 20.7 19.5 17.1 16.0 14.8

TOTALE 100.0

100.0

100.0

100.0

100.0

100.0

100.0 100.0 100.0 100.

0100.

0100.

0100.

0100.

0100.

0100.

0100.

0100.

0

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NUMERO COMUNI    Nord-centro         Mezzogiorno         Italia        

     1961 1971 1981 1991 2001 2011 1961 1971 1981 1991 2001 2011 1961 1971 1981 1991 2001 2011

<= 1000 1333 1522 1562 1577 1527 1453 175 279 334 382 447 498 1508 1801 1896 1959 1974 1951

1001-5000 3028 2805 2661 2588 2569 2512 1513 1484 1406 1342 1293 1239 4541 4289 4067 3930 3862 3751

5001-20000 995 993 1076 1123 1185 1276 665 594 622 630 607 607 1660 1587 1698 1753 1792 1883

20001-50000 116 154 168 181 188 217 116 114 127 143 147 149 232 268 295 324 335 366

50001-100000 39 37 45 47 46 46 23 27 36 43 50 49 62 64 81 90 96 95

100001-250000 14 24 24 23 21 23 5 9 11 11 8 11 19 33 35 34 29 34

> 250000 8 9 9 8 8 8 5 5 5 4 5 4 13 14 14 12 13 12

TOTALE 5533 5544 5545 5547 5544 5535 2502 2512 2541 2555 2557 2557 8035 8056 8086 8102 8101 8092

NUMERO COMUNI %    Nord-centro         Mezzogiorno         Italia        

     1961 1971 1981 1991 2001 2011 1961 1971 1981 1991 2001 2011 1961 1971 1981 1991 2001 2011

<= 1000 24.1 27.5 28.2 28.4 27.5 26.3 7.0 11.1 13.1 15.0 17.5 19.5 18.8 22.4 23.4 24.2 24.4 24.1

1001-5000 54.7 50.6 48.0 46.7 46.3 45.4 60.5 59.1 55.3 52.5 50.6 48.5 56.5 53.2 50.3 48.5 47.7 46.4

5001-20000 18.0 17.9 19.4 20.2 21.4 23.1 26.6 23.6 24.5 24.7 23.7 23.7 20.7 19.7 21.0 21.6 22.1 23.3

20001-50000 2.1 2.8 3.0 3.3 3.4 3.9 4.6 4.5 5.0 5.6 5.7 5.8 2.9 3.3 3.6 4.0 4.1 4.5

50001-100000 0.7 0.7 0.8 0.8 0.8 0.8 0.9 1.1 1.4 1.7 2.0 1.9 0.8 0.8 1.0 1.1 1.2 1.2100001-250000 0.3 0.4 0.4 0.4 0.4 0.4 0.2 0.4 0.4 0.4 0.3 0.4 0.2 0.4 0.4 0.4 0.4 0.4

> 250000 0.1 0.2 0.2 0.1 0.1 0.1 0.2 0.2 0.2 0.2 0.2 0.2 0.2 0.2 0.2 0.1 0.2 0.1

TOTALE 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0

132Università Degli Studi di Milano - Bicocca

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Corso di Demografia Regionale A.A. 2005-2006Appunti ad uso interno

DIFFERENZE ASSOLUTE: POPOLAZIONE RESIDENTE    Nord-centro   Mezzogiorno   Italia

         

  1961-71 1971-81 1981-91 1991-01 2001-11 1961-71 1971-81 1981-91 1991-01 2001-11 1961-71 1971-81 1981-91 1991-01 2001-11<= 1000 76 -19 -27 -27 -61 65 30 77 -14 21 140 13 50 -43 -391001-5000 -616 -317 -198 90 -69 -220 -289 -86 -225 -159 -836 -608 -282 -137 -2275001-20000 158 917 312 1017 1147 -532 255 38 -7 115 -375 1173 350 1010 126220001-50000 1316 379 204 455 906 20 304 432 102 168 1336 683 637 556 107450001-100000 -199 474 2 43 47 203 539 426 517 -119 3 1014 428 560 -72100001-250000 1214 59 -179 -148 331 586 291 78 -522 421 1800 350 -101 -670 752> 250000 1267 -252 -939 -628 31 175 49 -485 132 -343 1442 -203 -1424 -496 -313TOTALE 3216 1241 -822 798 2334 297 1179 484 -21 104 3513 2420 -337 776 2438

DIFFERENZE ASSOLUTE: NUMERO COMUNI    Nord-centro   Mezzogiorno   Italia

         

  1961-71 1971-81 1981-91 1991-01 2001-11 1961-71 1971-81 1981-91 1991-01 2001-11 1961-71 1971-81 1981-91 1991-01 2001-11<= 1000 189 40 15 -50 -74 104 55 48 65 51 293 95 63 15 -231001-5000 -223 -144 -73 -19 -57 -29 -78 -64 -49 -54 -252 -222 -137 -68 -1115001-20000 -2 83 47 62 91 -71 28 8 -23 0 -73 111 55 39 9120001-50000 38 14 13 7 29 -2 13 16 4 2 36 27 29 11 3150001-100000 -2 8 2 -1 0 4 9 7 7 -1 2 17 9 6 -1100001-250000 10 0 -1 -2 2 4 2 0 -3 3 14 2 -1 -5 5> 250000 1 0 -1 0 0 0 0 -1 1 -1 1 0 -2 1 -1TOTALE 11 1 2 -3 -9 10 29 14 2 0 21 30 16 -1 -9

133Università Degli Studi di Milano - Bicocca

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Corso di Demografia Regionale A.A. 2005-2006Appunti ad uso interno

Tasso d’incremento medio annuo    Nord-centro   Mezzogiorno   Italia

         

  1961-71 1971-81 1981-91 1991-01 2001-11 1961-71 1971-81 1981-91 1991-01 2001-11 1961-71 1971-81 1981-91 1991-01 2001-11<= 1000 9.0 -2.2 -3.2 -3.3 -7.7 41.4 14.4 29.9 -4.8 7.2 14.0 1.2 4.5 -3.8 -3.61001-5000 -8.7 -4.8 -3.1 1.4 -1.1 -5.7 -8.0 -2.5 -6.9 -5.2 -7.6 -5.9 -2.9 -1.4 -2.45001-20000 1.8 10.0 3.2 9.7 10.0 -9.3 4.6 0.7 -0.1 2.0 -2.6 8.0 2.3 6.3 7.320001-50000 33.6 7.8 4.0 8.3 14.8 0.6 8.3 10.8 2.4 3.8 17.9 8.0 6.9 5.7 10.250001-100000 -7.3 16.8 0.1 1.4 1.5 12.3 27.0 17.1 17.5 -3.7 0.1 21.0 7.7 9.2 -1.1100001-250000 49.0 1.8 -5.6 -4.9 10.8 58.3 19.7 4.6 -35.5 30.5 51.7 7.4 -2.1 -14.9 16.9> 250000 16.6 -3.1 -12.3 -9.1 0.5 6.3 1.7 -18.0 5.3 -14.2 13.8 -1.8 -13.7 -5.3 -3.5TOTALE 9.6 3.5 -2.3 2.2 6.2 1.6 6.1 2.4 -0.1 0.5 6.7 4.4 -0.6 1.4 4.2

134Università Degli Studi di Milano - Bicocca

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1

23

4

5

6 7

8

Corso di Popolazione. territorio e società A.A. 2010-2011Appunti ad uso interno

Il malessere demografico

Approccio atomistico: la rosa dei venti di Ascolani

Nell’ambito degli studi orientati all’analisi dei fenomeni di popolamento/spopolamento nei comuni italiani si distingue il contributo di Ascolani per essere stato tra i primi studiosi a legare la dinamica migratoria alla dinamica naturale delle popolazioni.Secondo il modello di Ascolani. con riferimento ad un determinato periodo. i comuni vengono classificati secondo due variabili: il saldo naturale ed il saldo migratorio (naturalmente espressi in termini di tassi per 1000 residenti). Le unità vengono disposte su di un sistema di assi cartesiani in cui in ascissa rappresentiamo il saldo migratorio e in ordinata il saldo naturale.

-150

-100

-50

0

50

100

150

-150 -100 -50 0 50 100 150saldo migratorio

sald

o na

tura

le

sm=sn

-150

-100

-50

0

50

100

150

-150 -100 -50 0 50 100 150saldo migratorio

sald

o na

tura

le

sm+>sn+st>0

sm+=sn+

sm+<sn+st>0

sm-<sn+st>0

sm-=sn+st=0

sm->sn+st<0

sm->sn-st<0

sm-<sn-st<0

sm+<sn-st<0

sm+>sn-st>0

sm+>sn-st=0

sm-=sn-st<0

Si tracciano. inoltre. le bisettrici dei quadranti: delle due bisettrici. la più importante è quella secondaria in quanto in grado di discriminare tra i comuni che si trovano al disopra (caratterizzati da una condizione di crescita demografica. avendo un saldo totale positivo). da quelli che si trovano al di sotto (caratterizzati da una condizione di decremento demografico avendo un saldo totale negativo). La bisettrice principale invece distingue i comuni per i quali il saldo migratorio è maggiore del saldo naturale (al di sotto della bisettrice) da quelli per cui il saldo migratorio è minore del saldo naturale (al di sopra della bisettrice).Il piano risulta pertanto diviso in 8 settori (numerati in senso antiorario a partire dall’asse x); questo semplice schema permette di ottenere due risultati: uno. quello di posizionare e confrontare tutti i comuni rispetto ai loro valori dei saldi naturale e migratorio misurati in un certo intervallo temporale e. due. permette di leggere in senso evolutivo il percorso compiuto da ciascun comune in più intervalli.Con riferimento ai risultati del suo lavoro. Ascolani. di fronte all’eterogeneità delle concrete esperienze di sviluppo dei comuni. propone un “percorso di riferimento” sulla cui scorta inquadrare le tendenze e le inversioni di tendenza delle evoluzioni che hanno caratterizzato il periodo 1951-1986 per i comuni della provincia di Roma.

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Corso di Popolazione. territorio e società A.A. 2010-2011Appunti ad uso interno

Si consideri un comune che si trova nel 1° quadrante a una certa data. ed è quindi “demograficamente sano” con saldi naturale e migratorio entrambi positivi; successivamente. per il sopraggiungere di fatti di rilievo (interni o esterni al contesto locale) si deteriora progressivamente il rapporto tra popolazione e risorse economiche. occupazionali o ambientali rallentando progressivamente l’afflusso migratorio fino a portare il comune nel 2° settore. Il peggioramento delle condizioni spinge il saldo migratorio verso il segno negativo. pertanto il comune si porta nel 3° settore; il saldo totale continua a essere positivo per via del permanere degli effetti di struttura derivanti dalla forte componente naturale; quando il deflusso migratorio diventa consistente il comune comincia a manifestare un saldo complessivo negativo. 4° settore. anche se la struttura per età rimane ancora sostanzialmente giovane per via del saldo naturale positivo. E’ questo il momento in cui. se il degrado delle strutture produttive e occupazionali permane. il comportamento migratorio comincia a condizionare anche il saldo naturale: da un lato. infatti. sono le giovani coppie che si allontanano in cerca di migliori opportunità. e andandosene sottraggono alla popolazione una parte del potenziale di fecondità. dall’altro. vi sono prove di una diffusione del comportamento teso alla bassa fecondità derivanti da scarse aspettative sul futuro e pessimiste prospettive economiche anche per coloro che rimangono. Ciò comporta uno spostamento del comune verso il 5° settore. nel quale cominciano a farsi sentire gli effetti del calo della fecondità sulla struttura per età che invecchia. Il comune precipita in un percorso involutivo che “teoricamente” porterebbe la sua popolazione all’esaurimento. se non intervengono fattori rilevanti in grado di ridurre sostanzialmente gli squilibri economici. ambientali e/o occupazionali. fermare l’emorragia migratoria (6° settore) e recuperare attrazione demografica.L’avviato ripristino dei flussi migratori in ingresso promuove lo spostamento del comune verso il 7° settore. Nonostante il saldo naturale sia negativo. il passaggio da questa condizione è la necessaria premessa per la ripresa della vitalità migratoria: le giovani coppie che immigrano contribuiscono a ringiovanire la struttura per età e ad aumentare la fecondità. Gli effetti di un conseguente incremento della fecondità si traducono in un miglioramento del saldo naturale. pertanto il comune arriva a raggiungere l’8° settore. per poi. al permanere delle condizioni positive. riportarsi nella condizione ottimale del 1° settore.

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Corso di Popolazione. territorio e società A.A. 2010-2011Appunti ad uso interno

Lo schema teorico qui riportato trova conferma nell’evoluzione seguita dai comuni della provincia di Roma nel periodo 1951-1986.Come si rileva. la nuvola di punti-comune non subisce che poche variazioni nei primi due decenni durante i quali le condizioni generali di sviluppo accennano a cambiamenti rilevanti solo in vista degli anni ’70. Appunto nell’intervallo ’61-’71 colpisce l’attenzione. riguardo ai numerosi comuni con perdite migratorie. il progressivo abbassamento dei punti verso l’asse delle ascisse. segno dell’affievolimento in atto della dinamica naturale. che tuttavia. per l’epoca e per le caratteristiche di tali comuni. è da attribuirsi principalmente all’effetto delle trasformazioni di struttura imputabili all’emigrazione. piuttosto che ad un primo riscontro del declino della fecondità.Nel successivo decennio 1971-1981. il diffondersi dello sviluppo nel territorio metropolitano e i problemi di congestione dell’area di Roma concorrono a rilanciare lo sviluppo dei comuni posti

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Corso di Popolazione. territorio e società A.A. 2010-2011Appunti ad uso interno

oltre la prima cintura urbana. in molti dei quali si riscopre e si afferma una nuova residenzialità. Conseguentemente. si riduce non solo il numero dei centri con perdita migratoria ma anche l’entità di questa; contemporaneamente si osserva l’aumento del numero di centri in espansione per l’apporto dell’immigrazione. La nuvola di punti si sposta. infatti. verso destra. lungo l’asse delle ascisse ma ruota anche verso il basso. verso i valori negativi del saldo naturale. L’ultima rappresentazione cartografica. 1981-1986. denota infine che anche per la gran parte dei comuni con saldo migratorio passivo negli anni ’70 si è ormai realizzata l’inversione di tendenza migratoria ma anche complessiva. tornata a essere positiva nei comuni che si trovano nell’ottavo settore.

Le figure 12 e 13 mostrano. rispettivamente per i comuni del centro-nord e del sud l’evoluzione dei saldi naturali e migratori nel periodo 1961-87.Per entrambe le macro aree si osserva nel corso del tempo un addensamento dei punti verso l’origine degli assi: ciò indica. infatti. una generalizzata contrazione dei saldi naturali e migratori.In particolare si osserva per i comuni del sud una scarsa attitudine all’attrazione migratoria e quindi i comuni si dispongono nei settori contraddistinti da saldi migratori negativi. inoltre. i comuni tendono a muoversi nella parte superiore del piano. a conferma di saldi naturali generalmente positivi.Naturalmente. questo metodo di analisi può essere utilizzato anche per aggregati territoriali diversi dal comune.Per comprendere quale sia la situazione di ciascun comune. ossia per individuare l’itinerario che esso ha seguito. bisogna ricorrere alle matrici di transizione: l’uso delle matrici di transizione permette. inoltre. di cogliere globalmente il fenomeno degli spostamenti dei comuni appartenenti a una determinata area geografica. una provincia o una regione.

Settori 1 2 3 4 5 6 7 8 Totale1 xx X2 x X X3 x X X X4 x X X X X X5 X678

Totale

Le tabelle 4.5.6 mostrano la transizione dei comuni della provincia di Roma nei tre intervalli dal 1951-61 al 1961-71 (tabella 4). dal 1961-71 al 1971-81 (tabella 5). dal 1971-81 al 1981-86 (tabella 6).Si osservi la tabella 4. Dall’analisi delle distribuzioni marginali emerge in primo luogo come nel periodo 51-61 la maggior parte dei comuni (59) si trova nel settore 4. caratterizzato dalla diminuzione della popolazione ma con saldo naturale positivo. Una gran parte di questi (48) vi rimane nel periodo successivo (61-71). I comuni (29) che nel decennio 51-61 si trovavano nel settore 3 sono i più dinamici: nel periodo successivo ben 12 di essi riacquistano vitalità migratoria e si riportano nel primo quadrante mentre 4 scivolano nel 4 settore. Il settore 4 è comunque il più numeroso anche nel decennio 1961-71.

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-50 -30 -10 0 10 30 50

-50 -30 -10 0 10 30 50

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-50 -30 -10 0 10 30 50

-50 -30 -10 0 10 30 50

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Corso di Popolazione. territorio e società A.A. 2010-2011Appunti ad uso interno

Nella tabella 5 si vede come nel passaggio dal decennio 61-71 al decennio 71-81 il settore 4 perda il primato che invece viene preso dal settore 1 con 41 comuni. Va notato come ciò sia dovuto soprattutto ai contributi dei settori 2 (con 12 comuni) e 3 (con 10 comuni). Si noti anche come parte dei comuni del settore 4 (15 + 2) slittino verso i settori 5 e 6 (i meno favorevoli) mentre alcuni (in totale 6) finiscano direttamente nei settori 7 e 8.Infine. la tabella 6 mostra il compimento del processo evolutivo: i settori più numerosi sono l’1 e l’8. Si svuota il settore di malessere 5 verso il settore 8 (ben 11 comuni) e 7 (4 comuni) e il settore 2 perde 15 unità a favore del primo settore.

Approccio atomistico: Le aree di malessere demografico di Golini

Secondo Golini. le aree di malessere demografico sono quelle in cui il processo di invecchiamento della popolazione è che così avanzato che la popolazione sembra aver imboccato una via senza ritorno verso l’esaurimento. a meno di un effetto compensativo derivante da un elevato livello della fecondità; le migrazioni non vengono considerate. se non attraverso l’effetto indiretto sull’invecchiamento e sulla fecondità.Golini intercetta il malessere demografico attraverso il tasso d’incremento naturale (saldo naturale per 1000 residenti) e ne propone una classificazione secondo tre livelli: forte se il tasso d’incremento naturale ha un valore inferiore a -10 per 1000 (tn< -10‰). intenso se il saldo naturale è compreso tra –10‰ e –5‰. e infine moderato se il saldo ha un valore negativo superiore a -5‰ (tn> -5‰).Per l’analisi dinamica del malessere propone l’adozione di 2 indicatori di struttura.

dove l’indice di carico famigliare è afdottato come proxy del numero medio di figli per donna. Infatti. il numero medio di figli per donna non può essere agevolmente calcolato attraverso la relazione che lega TFT al Icf : TFT=7*Icf.Tali indicatori vengono utilizzati per descrivere la popolazione in un certo istante (tipicamente al Censimento) e vengono osservati insieme al tasso d’incremento naturale della popolazione nel decennio successivo.Golini propone un’applicazione di questo modello ai comuni di due regioni italiane: Liguria e Molise.Per ciascun comune delle due regioni vengono calcolati gli indicatori relativi ai tre Censimenti 1971. 1981 e 1991; da questi dati si verifica come le due regioni siano state entrambe investite da un processo di invecchiamento e da un processo di riduzione della fecondità. ma in modi diversi. L’obiettivo di Golini è quello di spiegare il malessere demografico nelle due regioni alla luce della dinamica di invecchiamento e fecondità. Di conseguenza considera. per ciascuna delle due regioni. la distribuzione congiunta dei comuni in base ai due indicatori. con riferimento al Censimento del 1981 (l’intermedio) e la accosta al loro tasso d’incremento naturale medio annuo del periodo intercensuario 1981-1991.

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I cf =P0−4

P15−49fI ve=

P60+

P

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Distribuzione percentuale dei comuni secondo il livello di invecchiamento e fecondità: Liguria e Molise. 1971-1991

Invecchiamento FeconditàClassi dell’indicatore 1971 1981 1991 1971 1981 1991

Liguria< 20 10.6 8.5 1.7 18.7 73.2 89.820 – 24.9 25.5 23.0 13.6 24.2 22.1 6.425 – 29.9 28.9 27.7 28.9 39.6 2.6 2.630 – 34.9 20.4 18.7 20.9 13.6 2.1 1.235 e + 14.5 22.1 34.9 3.8 - -Totale 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0N. comuni 235 235 235 235 235 235

Molise< 20 33.1 16.2 5.9 5.9 18.4 26.520 – 24.9 41.2 34.5 18.4 18.4 30.1 48.525 – 29.9 19.9 30.1 24.3 29.4 36.0 21.330 – 34.9 4.4 12.5 27.2 27.2 12.5 3.735 e + 1.5 6.6 24.3 19.1 2.9 -Totale 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0N. comuni 136 136 136 136 136 136

Distribuzione dei comuni al 1981 e tasso d’incremento naturale medio annuo 1982-91 (in corsivo) in funzione del livello di invecchiamento e fecondità: Liguria e Molise

Livello di FeconditàClassi dell’indicatore < 20 20 – 24.9 25 – 29.9 30 – 34.9 35 e + TotaleInvecchiamento Liguria< 20 10 -1.6 6 -1.4 4 -0.1 - - - - 20 -1.2

20 – 24.9 36 -5.4 17 -3.5 1 -3.5 - - - - 54 -4.8

25 – 29.9 47 -8.1 15 -7.4 - - 3 -6.7 - - 65 -7.9

30 – 34.9 35 -12.1 7 -14.0 1 -13.6 1 -9.2 - - 44 -12.4

35 e + 44 -17.0 7 -16.3 - - 1 -27.0 - - 52 -17.1

Totale 172 -10.2 52 -7.5 6 -2.9 5 -11.3 - - 235 -9.5

Molise< 20 1 0.4 3 1.2 12 3.4 5 3.7 1 6.1 22 3.1

20 – 24.9 1 -0.7 20 -1.6 15 -0.7 9 -0.8 2 -0.1 47 -1.1

25 – 29.9 11 -6.1 12 -6.0 15 -4.0 2 -0.2 1 -2.6 41 -4.9

30 – 34.9 6 -8.6 5 -7.1 5 -5.8 1 -9.0 - - 17 -7.3

35 e + 6 -13.6 1 -13.0 2 -12.4 - - - - 9 -13.2

Totale 25 -8.0 41 -3.6 49 -7.1 17 -0.1 4 -0.8 136 -3.1

Dall’osservazione della tabella emerge che le due realtà. quella ligure e quella molisana. sono completamente diverse.Dai dati della tabella si osserva. dunque. che: tassi d’incremento fortemente negativi (inferiori a -10‰) si osservano per entrambe le regioni in corrispondenza di classi di invecchiamento elevate (35+). tuttavia. nel caso del Molise. a differenza che in Liguria. il malessere è frenato da una fecondità che risulta ancora “tenere”. almeno per i 21 (17+4) comuni per i quali il livello di fecondità supera il 30%.

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