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Kairos 65- La Tradizione 1 KAIRÓS Samuele e il mistero della vocazione 65 Anno XII n. 3 Dicembre 2007 Indice La Parola 2 Samuele e il mistero della vocazione don Severino Pagani La Preghiera 14 Ti rendo grazie o Padre Giovanni di Fécamp La Tradizione 16 Una teologia nata e Betlemme Dietrich Bonhoeffer

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Kairos 65- La Tradizione

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KAIRÓS Samuele

e il mistero della vocazione 65

Anno XII n. 3 Dicembre 2007

Indice La Parola 2 Samuele e il mistero della vocazione don Severino Pagani La Preghiera 14 Ti rendo grazie o Padre Giovanni di Fécamp

La Tradizione 16 Una teologia nata e Betlemme Dietrich Bonhoeffer

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LA PAROLA

don Severino Pagani

SAMUELE

E IL MISTERO DELLA VOCAZIONE

Ciò che è straordinario nella fede cristiana è che ciascuno di noi non si trova mai né all’inizio radicale di tutto e neppure alla fine, dopo ogni cosa. La nostra posizione è chiarissima, noi siamo sempre secondi e penultimi. Infatti, il primo e l’ ultimo è sempre il Signore. All’inizio siamo chiamati e alla fine siamo attesi: questo spiega perché i cristiani, quelli veri, possono vivere nella pace il grande abbandono della fede e hanno una giusta concezione della vita. L’esistenzialismo ateo del Novecento ha avuto insieme l’audacia e la debolezza di porre l’uomo assolutamente all’inizio di tutto, e altrettanto assolutamente responsabile alla fine di ogni cosa. È stato indubbiamente un altissimo e ingannevole inno alla libertà umana questo inizio senza autore, ma è anche una solitudine triste questa fine senza casa e senza ospitalità da parte di qualcuno che ti aspetta. La fede si pone a questo punto, quando la libertà dell’uomo si raccoglie fin dall’inizio e si confida alla fine, dopo l’ultimo respiro, nelle misteriose possibilità della grazia di Dio.

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La vita è così subito pensata come vocazione: qualcuno mi chiama all’esistenza, che ha una sua qualità e una sua significazione; qualcuno mi aspetta alla mia morte, che ha un suo senso e una sua aspettativa. La vita è una vocazione, e la vocazione non è altro che il modo concreto e storico con cui una persona vive la sua fede. La vicenda di Samuele, personaggio simpatico e giovanile tra tanti protagonisti delle pagine bibliche, si inserisce a questo punto, per richiamare a ciascuno di noi la grazia della vita come una vocazione e per ricordare che l’esistenza è una responsabilità, nel suo senso più vero, cioè come capacità di rispondere alla fine a Colui che ti ha chiamato. Per questo, a tutte le età e in ogni stato di vita, ha senso ritornare a parlare della propria vocazione. A volte bisogna intuirne i passaggi, altre volte bisogna semplicemente rimanere fedeli. Senza perdersi d’animo. 1. LA STORIA DELLA SALVEZZA

Dal primo libro di Samuele 1 Samuele 3,1-20

La vocazione di Samuele A. LETTURA DEL TESTO 1 Il giovane Samuele continuava a servire il Signore sotto la guida di Eli. La parola del Signore era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti. 2 In quel tempo Eli stava riposando in casa, perché i suoi occhi cominciavano a indebolirsi e non riusciva più a vedere. 3 La lampada di Dio

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non era ancora spenta e Samuele era coricato nel tempio del Signore, dove si trovava l’arca di Dio. 4 Allora il Signore chiamò: “Samuele! ” e quegli rispose: “Eccomi”, 5 poi corse da Eli e gli disse: “Mi hai chiamato, eccomi!”. Egli rispose: “Non ti ho chiamato, torna a dormire! ”. Tornò e si mise a dormire. 6 Ma il Signore chiamò di nuovo: “Samuele! ” e Samuele, alzatosi, corse da Eli dicendo: “Mi hai chiamato, eccomi! ”. Ma quegli rispose di nuovo: “Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire! ”. 7 In realtà Samuele fino allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore. 8 Il Signore tornò a chiamare: “Samuele! ” per la terza volta; questi si alzò ancora e corse da Eli dicendo: “Mi hai chiamato, eccomi! ”. Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovinetto. 9 li disse a Samuele: “Vattene a dormire e, se ti si chiamerà ancora, dirai: Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”. Samuele andò a coricarsi al suo posto. 10 Venne il Signore, stette di nuovo accanto a lui e lo chiamò ancora come le altre volte: “Samuele, Samuele! ”. Samuele rispose subito: “Parla, perché il tuo servo ti ascolta”. 11 Allora il Signore disse a Samuele: “Ecco io sto per fare in Israele una cosa tale che chiunque udirà ne avrà storditi gli orecchi… 15 Samuele si coricò fino al mattino, poi aprì i battenti della casa del Signore. Samuele però non osava manifestare la visione a Eli. 16 Eli chiamò Samuele e gli disse: “Samuele, figlio mio”. Rispose: “Eccomi”. 17 Proseguì: “Che discorso ti ha fatto? Non tenermi nascosto nulla. Così Dio agisca con te e anche peggio, se mi nasconderai una sola parola di quanto ti ha detto”. 18 Allora Samuele gli svelò tutto e non tenne nascosto nulla. Eli disse: “Egli è il Signore! Faccia ciò che a lui pare bene”. 19 Samuele acquistò autorità poiché il Signore era con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole. 20

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Perciò tutto Israele, da Dan fino a Bersabea, seppe che Samuele era stato costituito profeta del Signore.

1. L’importanza della luce Si impone da sola l’immagine di Eli, un genitore stanco e affaticato, ormai provato dalla vita e dalle sue difficoltà; si rende conto ormai che fa fatica a vedere, scopre la sua debolezza, vedi i giorni che passano e i suoi figli non facili da governare. Su questo orizzonte che tramonta, su questa tentazione di soffuso pessimismo, si presenta nella sua incantevole fedeltà la forza della Parola, la lampada di Dio. Infatti leggiamo: “In quel tempo Eli stava riposando in casa, perché i suoi occhi cominciavano a indebolirsi e non riusciva più a vedere. La lampada di Dio non era ancora spenta. Questa lampada di Dio è incredibile, non si spegne mai. Nessun vento della storia è in grado di farla morire. È l’anima di ogni annuncio è il cuore di uno proposta educativa, è la sorgente di ogni desiderio e di ogni fecondità. Dio non perde la sua strada, non si sgomento e non si smarrisce di fronte ai più grandi cambiamenti storici. Abbiamo ancora troppo segni di cristianità nella nostra cultura, per capire veramente la forza della speranza e il desiderio di conservare la nostra eredità. 2. La ricerca di una strada Il Signore chiama prima ancora che lo si conosca e ci apre una strada prima ancora di saper camminare. Questa è la premura di Dio. Rimanerne infastiditi significa confondere il creatura con il creatore, l’uomo con Dio. Così, il Signore chiamò Samuele ed egli gli rispose “Eccomi”.

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In realtà Samuele fino allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore: è su questo amore preveniente che si regge la fede. In questa fede si cerca di capire progressivamente qual è la propria strada e come fare a percorrerla. Poi vengono le grandi decisioni della vita e ad un certo punto emergono le piccole e le grandi fedeltà. La vocazione si regge su due figure: l’intuizione e la fedeltà. Due domande: come vivo la mia vocazione e come accompagno la vocazione dei miei figli. Innanzitutto, come pensare da adulti la propria vocazione resistendo ad una concezione un po’ fatalista o stanca della vita; imparando invece a riscoprire esperienze sempre nuove a partire da quello che si vive, che si soffre, che si incontra. La vita è una continua rivelazione di Dio. La Parola di Dio si manifesta attraverso la Sacra Scrittura e attraverso la nostra biografia. Che discorso mi sta facendo il Signore? 3. La vocazione dei figli L’altra domanda: come accompagno la vocazione dei miei figli, ad ogni età, man mano che crescono e che prendono le loro decisioni? Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovinetto: “Samuele, figlio mio”. Rispose: “Eccomi”. Proseguì: “Che discorso ti ha fatto il Signore? Ci sono molte cose da capire dei propri figli: il loro temperamento, le loro doti, i loro difetti, le modalità con cui incoraggiare o rimproverare; che cosa è giusto dare o negare. Importantissimo è cogliere il loro emergente rapporto con Dio, la loro preghiera, la loro capacità di sacrificio, di relazioni, di perdono. Scoprire la vocazione di un figlio e far di tutto per promuoverla è un arte, perché

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crescano secondo i desideri di Dio, più che non le aspettative dei genitori. B. LA PREGHIERA E LA VITA - Signore, la tua lampada non è ancora spenta. Insegnami a guardare con fiducia e gioia al mondo di oggi: la tua parola è ancora capace di convincere le persone; tu scrivi ancora nei cuori. Il tuo Spirito attraversa ogni notte dell’anima e raggiunge molta gente, che nasce e che cresce. Ti sei il Signore della storia. Starò pi attento a come il tuo spirito è presente nelle persone che incontro. - Signore, non ho mai finito di conoscerti. Per accorgersi dei tuoi inviti e dei tuoi richiami ti devo conoscere di più: ogni compimento di vocazione ha bisogno ancora di una più forte intimità con il Signore. Se appena ti lascio, mi perdo. Se appena ti dimentico, mi sbaglio. Se appena ti do per scontato rimango male di fronte alla mia facile arrendevolezza. - Signore, aiutami a capire la vocazione dei miei figli. Mi sta a cuore, o Signore, che i miei figli ti conoscano, che ti incontrino, che ti amino. Come faccio a raccontare a loro di te? Cosa faccio per aiutarli a leggere bene quello che oggi succede? Come li aiuto a formarsi una coscienza cristiana? Che domande mi fanno i miei figli? - Signore, solo tu sei la sorgente di ogni autorità. Aiutami, o Signore, ad esercitare con amore e con rispetto, con fermezza e con bontà l’autorità che mi hai affidato. Aiutami ad imparare ad ubbidirti, perché sappia farmi ubbidire. Ti chiedo, o Signore, di restarmi vicino perché sappia tradurre la

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tua grazia in regole precise; e perché riesca a far capire che ogni regola è un dono della tua grazia. 2. LA MEDITAZIONE TEOLOGICA A. LA LETTURA DEL TESTO

Dalla lettera agli Efesini

Efesini 3, 1-12 Il ministero di Paolo

1 Io Paolo, il prigioniero di Cristo,…2 penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro beneficio: 3 come per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero di cui sopra vi ho scritto brevemente. 4 Dalla lettura di ciò che ho scritto potete ben capire la mia comprensione del mistero di Cristo. 5 Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: 6 che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo, 7 del quale sono divenuto ministro per il dono della grazia di Dio a me concessa in virtù dell’efficacia della sua potenza. 8 A me, che sono l’infimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo, 9 e di far risplendere agli occhi di tutti qual è l’adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell’universo… 13 Vi prego quindi di non perdervi d’animo per le mie tribolazioni per voi; sono gloria vostra. 1. Il ministero della grazia a me affidato

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Paolo ha veramente la convinzione di essere legato a Gesù, da non avere più nessuna autonomia per se stesso. E’ estremamente difficile essere distaccati così dalla propria vita e dalla propria persona. Si sente veramente prigioniero di Cristo. Gli è stato fatto conoscere il mistero. Come si può spiegare la parola “mistero”? Mi verrebbe da dire che il mistero è il cuore di Dio, come quando si dice che il cuore di una persona è misterioso. Paolo conosce e fa proprio il cuore di Dio. Pensa, ama, soffre, valuta, agisce, parte e arriva sempre con il cuore di Dio. Mi piacerebbe così: avvicinarmi di più con tutto me stesso al cuore di Dio. Paolo sa che gli è affidato un ministero, cioè un incarico, un servizio, perché altri ne possano avere un certo beneficio. E ciò che stupisce è che si tratta del ministero della grazia: cioè far sapere che Dio ama e che se si vuole vedere come ama, si può guardare Gesù. In alcuni momenti della vita è proprio importante percepire che Dio ci ama. In superficie non sembra, ma in profondità – soprattutto quando si soffre – è veramente così.

2. La mia comprensione del mistero di Cristo Quello che mi affascina in alcuni momenti è pensare che fino ad un certo punto non si sapeva di questo mistero e che poi, da un certo punto in avanti, si è veramente capito qualcosa di nuovo. Forse siamo troppo abituati al cristianesimo. Scrive Paolo: “Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti rivelazioni, come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito”. Che sia veramente così, non solo nella storia, ma anche nella mia vita?. Devo pensare che ad un certo punto posso capire veramente qualcosa di nuovo, che mi da pace, coraggio, gioia, perseveranza, autentica libertà? Eppure a

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volte hai proprio l’impressione di imparare qualcosa dalla vita che prima non avevi capito. È certamente grazia anche questo, avviene in virtù dell’efficacia della potenza di Dio.

B. LA PREGHIERA E LA VITA

- Signore, tu hai affidato un ministero anche a me; mi hai dato un incarico, una reale responsabilità. So che non sono da solo, so chi mi accompagni, non mi perdo d’animo. Vorrei riprendermi un poco; vorrei condividere con i miei fratelli questa nostra certezza; vorrei la confidenza di qualcuno di loro che mi conforti nel portare vanti le mie responsabilità. - Signore, fammi conoscere la ricchezza della tua misteriosa persona. A volte mi tornano alla mente le parole della sorella d Lazzaro: se tu fossi qui, se potessi davvero ascoltare la tu tua voce, se davvero mi sciogliessi ogni dubbio che a volta mi assale. Voglio conoscerti Gesù, voglio starti vicino con una fede povera e incrollabile. - Signore, io sono piccolo e debole e troppo spesso mi scoraggio. Non voglio perdermi d’animo perché tu mi ha concesso la grazia: qualcosa che anch’io devo far brillare agli occhi di tutti. Perdonami o Gesù, la tua misericordia mi renderà più buono, più accogliente, più paziente. Donami sempre l’intelligenza della fede e il discernimento spirituale sulla storia.

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3. LA GIOIA DEL VANGELO

Dal vangelo di Matteo Matteo 4, 18-22

La chiamata dei primi apostoli A. LA LETTURA DEL TESTO 18 Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. 19 E disse loro: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”. 20

Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. 21 Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedèo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. 22 Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono. La vocazione Gesù è capace di vedere. “Mentre camminava lungo il mare di Galilea Gesù vide due fratelli”. Gesù vede perché guarda con divina simpatia, guarda con amore. Penetra nella storia delle persone, la valorizza, la espande, la fa crescere; la trasforma e la indirizza per strade imprevedibili e impegnative. Ognuno di noi, se pensa alla sua storia e alla sua vocazione non può che commuoversi. Un giorno il Signore

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mi ha visto, e mi ha chiamato, e sapeva com’ero, e vedeva il mio amore e i miei peccati. Mi ha chiamato dalla mia solitudine. La sua parola ha guidato i miei passi e le mie scelte; mi ha indicato il luogo del mio amore e del mio dolore, delle mie gioie e delle mie fatiche, delle mie speranze e della mie perseveranze. Oggi, tutto questo ha un nome, una casa, un luogo, persone concrete e conosciute. Tra queste mura, che circondano la mia vita, offro il mio sacrificio e continuo a ricevere il dono. La risposta Al fascino di una chiamata per amore si risponde subito, cioè prontamente, volentieri, con il cuore contento pur sapendo che un giorno la prova ci sarà, perché l’amore viene sempre provato. E disse loro: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”. Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. Anche Gesù si impegna in una promessa: pescatori di uomini. Il “pescatore di uomini” sta ad indicare una figura escatologica, cioè una vocazione umana che va oltre l’immediatezza del presente, conferisce pienezza di senso ad una vita, esprime densità di futuro, di evento straordinario, oltre un tempo che non si logora mai, verso un incontro definitivo che riscatta tutti i debiti della storia. La risposta va data ogni giorno, con i sentimenti e con la buona volontà, non senza preghiera, non senza sofferenza, non senza carità. L’abbandono Ogni vera chiamata introduce sempre a qualche distacco doloroso. “Lasciata la barca e il padre, lo seguirono”. La fede e l’amore per Gesù alla fine tocca sempre due cose importanti della vita: da un lato le proprie radici e i propri affetti (il padre); e dall’altro le condizioni del proprio lavoro (la barca). Ogni tanto nella vita ci viene chiesto

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qualche strappo, qualche svolta decisa, qualche rottura. Solo così si riesce a riprendere vita. Lasciare qualcosa, mettere qualcosa da parte, relegare in secondo piano spesso sempre impossibile. Tuttavia bisognerà farlo se si vuole continuare a cogliere la vita. Ci vuole prudenza, ci vuole rischio, ci vuole fede. È comunque necessario un vero amore per Gesù, come una persona in carne ed ossa. Anche di questa incarnazione abbiamo bisogno.

B. LA PREGHIERA E LA VITA - Signore, insegnami a vedere come sai guardare tu. Con amore, dando futuro alle persone, non schiacciandole sempre. Vorrei imparare a chiamare, a dare fiducia, a valorizzare la gente. Il giudizio troppo severo non è mai in grado di scoprire nessuna nuova vocazione. - Signore, donami sempre di risponderti con gioia. Non vorrei mai rattristarti con le mie incertezze, con le mie facili delusioni, con quei ripiegamenti negativi su di me. Donami slancio, fiducia, voglia sincera di ricominciare. A volte sono contento, Signore, vedo le cose diversamente ed è così bello vivere e amare così. - Signore, rendimi libero dalle cose e dalle persone. Donami di amare davvero senza trattenere. Affido a te la mia famiglia e ciò che ho di più caro: meglio che siano nelle tue mani che nelle miei preoccupazioni. Voglio prendermi un po’ di tempo per pregare davvero. “Lascia che parta il tuo servo, o Signore, verso la pace che tu gli hai promesso”.

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LA PREGHIERA

Giovanni di Fécamp

AMORE CHE SEMPRE ARDI E NON TI SPEGNI MAI

Amore che sempre ardi e non ti spegni mai, dolce Cristo, Gesù buono, carità, Dio mio, infiammami tutto del tuo fuoco, del tuo amore, del tuo affetto, del tuo desiderio, della tua carità, del giubilo ed esultanza tua, della letizia e della dolcezza tua, della brama ardente di te; affinché tutto riempito della dolcezza del tuo amore, consumato dalla fiamma della tua carità, io ti ami Signore mio dolcissimo e bellissimo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le mie forze, con tutti i miei pensieri, in grande contrizione di cuore e versando lacrime, con molta riverenza e tremore. Fa' che ti abbia nella bocca e nel cuore e davanti agli occhi sempre e dovunque, perché nessun altro amore abbia più spazio in me. Il tuo amore vero e santo colma di dolcezza e insieme di quiete l'anima che gli appartiene, la illumina con la luce limpida della visione interiore. O pane dolcissimo, risana il gusto del mio cuore, perché senta la soavità del tuo amore. Ti supplico, per il mistero della tua santa incarnazione e natività, infondi nel mio petto la tua inesauribile tenerezza e carità, perché te solo io ami, a te solo pensi,

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te solo desideri, te solo abbia sulla bocca e nel cuore. Signore carissimo ti supplico, per la tua passione e per la tua croce riempi il mio cuore di inestinguibile affetto per te, di continuo ricordo di te, finché bruciando tutto come fiamma io arda nella dolcezza del tuo amore: mai possano spegnerlo in me le grandi acque, mai possano corromperlo né diminuirlo. Signore amatissimo, per la carità con cui hai dato la vita per il tuo gregge, ti supplico e ti prego: scrivi con il tuo dito nel mio petto la dolce memoria del tuo nome soave, che nessuna dimenticanza deve mai distruggere. Scrivi nelle pagine del mio cuore i tuoi comandi e il tuo volere, la tua legge e i tuoi precetti, perché sempre e in ogni luogo io abbia davanti agli occhi te, Signore di immensa tenerezza, e tutti i tuoi comandi. Quanto sono dolci al mio palato le tue parole. Dammi una memoria tenace, perché non le dimentichi più. Signore soavissimo, fammi il dono delle lacrime, segno del tuo amore, forza e riposo del mio pellegrinaggio: e come la cerva anela ai corsi d'acqua, fa che l’anima mia peccatrice ti desideri, abbia sete di te o Dio, fonte viva.

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LA TRADIZIONE

Dietrich Bonhoeffer

UNA TEOLOGIA NATA A BETLEMME Chiamata a custodire il mistero

Non c'erano né preti né teologi alla grotta di Betlemme. Eppure tutta la teologia cristiana ha origine in quel miracolo dei miracoli: Dio si è fatto uomo. "Accanto ai bagliori della notte santa ardono gli insondabili misteri della teologia" (Hello). Theologia sacra: la sua origine è in quel genuflettere adorante dinanzi al mistero del Figlio di Dio nella stalla. Israele non aveva una teologia. Non conosceva Dio nella carne. Senza la notte santa non c'è teologia. "Dio manifestato nella carne", l'uomo-Dio Gesù Cristo: questo è il mistero santo che la teologia è chiamata a proteggere e custodire.

Quale insensatezza credere che compito della teologia sia quello di decifrare il mistero di Dio e di ricondurlo alle saggezze umane, così piatte e senza mistero, dell'esperienza e della ragionevolezza! La sua unica funzione è invece quella di custodire il miracolo di Dio come miracolo, di comprendere, difendere e celebrare il mistero di Dio precisamente come mistero. Così e non altrimenti ha sempre inteso fare la chiesa primitiva, allorché si dedicava con zelo inesausto al mistero della trinità di Dio e della persona di Gesù Cristo.

Per diversi secoli la chiesa antica ha continuato a riflettere sulla questione di Cristo. Nel far questo ha saputo sottomettere la ragione all'obbedienza a Gesù Cristo, e in

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termini categorici, paradossali, ha reso una testimonianza viva al mistero della persona di Gesù Cristo. Non ha ceduto

all'illusione moderna che pretenderebbe che questo mistero possa essere solo percepito o esperito; essa conosceva bene infatti il carattere effimero e ripiegato su di sé di ogni sensazione ed esperienza umana. Certo, non ha neppure ri-tenuto che questo mistero potesse essere dedotto logicamente; ha invece testimoniato e celebrato il mistero in quanto mistero per ogni intelligenza naturale, non avendo paura di enunciare i paradossi più estremi e inconcepibili. La cri-stologia della chiesa antica è realmente nata nella grotta di Betlemme, e sul suo volto segnato dagli anni c'è lo splendore del Natale. A chi impara a conoscerla essa conquista ancor oggi il cuore. In questo tempo di Natale noi vogliamo dunque rimetterci alla scuola della chiesa antica e cercar di comprendere, nel raccoglimento, ciò che ha pensato e insegnato in vista della celebrazione e della difesa della fede in Cristo. Gli ardui concetti di quel tempo sono come pietre, ma pietre focaie da cui si sprigionano scintille di fuoco. Il Figlio di Dio ha assunto la natura umana

E stato fondamentale per i padri professare che Dio, il Figlio, ha assunto la natura umana, e non una data persona. Che significa questo? Significa che Dio si è fatto uomo assumendo la natura umana, non assumendo un singolo uomo. Tale distinzione era necessaria per salvaguardare il carattere universale del miracolo di Natale. "Natura umana": è la natura, l'essere, la carne di tutti gli uomini, e dunque anche la mia natura, la mia carne; la natura umana è il compendio di tutte le possibilità umane in genere. Forse noi oggi diremmo, in modo più comprensibile: Dio nella nascita di Gesù Cristo ha assunto l'umanità e non semplicemente un individuo.

Questa assunzione avvenne però - ed è questo il miracolo unico dell'incarnazione - corporalmente. Il corpo di Gesù

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Cristo è la nostra carne. Egli porta la nostra carne. Ecco perché dov'è Gesù Cristo, là siamo noi, che lo sappiamo o no;

è così in virtù dell'incarnazione: ciò che accade a Gesù accade a noi. E veramente la povera carne di tutti noi, è realmente il nostro sangue che giace in quella mangiatoia. È la nostra carne che egli santifica e purifica con la sua obbedienza e con la sua sofferenza. È la nostra carne che muore con lui sulla croce e con lui è sepolta. Egli ha assunto la natura umana perché fossimo in eterno presso di lui. Dov'è il corpo di Cristo Gesù, là siamo anche noi; anzi, noi siamo il suo corpo.

Per questo la testimonianza di Natale narra a tutti gli uomini: Voi siete stati assunti, Dio non vi ha disprezzati, egli porta nel suo corpo la carne e il sangue di voi tutti. Volgete lo sguardo alla mangiatoia! Nel corpo di quel bimbo, nel Figlio di Dio fattosi carne, è la vostra carne, è tutta la vostra miseria, la vostra angoscia, la vostra tentazione, anzi tutto il vostro peccato che è portato, perdonato, santificato. Se tu ti lamenti: "Non c'è salvezza per la mia natura, per tutto il mio essere, sono perduto per sempre", la buona novella del Natale ti risponde: 'La tua natura, tutto il tuo essere sono stati assunti: Gesù li porta; è così che è diventato il tuo Salvatore".

E poiché il Natale è l'assunzione corporale di ogni carne umana da parte del Dio della grazia, si deve dunque dire: Il Figlio di Dio ha assunto la natura umana". Due nature, una persona

"Due nature e un'unica persona". Ė in questa paradossale formula dogmatica che la chiesa antica ha osato enunciare la sua comprensione del Natale. Osato, poiché anch'essa si rendeva conto che qui veniva proferito qualcosa di ineffabile; proferito per il semplice fatto che non lo si poteva tacere (Agostino).

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Nella mangiatoia si trovavano e si testimoniavano le due realtà: l'umanità assunta nella carne e la divinità eterna, entrambe unite nell'unico Nome di Gesù Cristo; natura umana

e natura divina unite nella persona del Figlio di Dio. La natura divina è la divinità che unisce per l'eternità Padre, Figlio e Spirito santo. È l'eterna potenza, gloria, maestà del Dio trino. Dove è il Figlio, là egli porta con sé questa natura divina, poiché resta vero Dio nei secoli dei secoli. Se il Figlio di Dio è veramente divenuto uomo, allora è certamente presente anche la natura divina in tutta la sua maestà, altrimenti Cristo non sarebbe vero Dio. Ma se Gesù Cristo non fosse vero Dio, come potrebbe aiutarci? E come potrebbe aiutarci se non fosse vero uomo? Certo, la natura divina nella grotta di Betlemme è celata; solo qua e là, nella vita di Gesù, essa traspare attraverso il misero abito della natura umana. Ma quanto è misteriosamente celata, tanto peraltro è presente; celata per noi, per noi presente.

Natura divina e natura umana: in Cristo unite e tuttavia non diventate una cosa sola; altrimenti sarebbe annullata l'enorme differenza che c'è tra la divinità e l'umanità. Ecco perché non si può assolutamente dire che la natura divina ha assunto quella umana; ciò implicherebbe che anche il Padre e lo Spirito santo si sono incarnati, e in tal modo si sancirebbe la definitiva mescolanza di Dio e dell'uomo. Si deve invece dire: il Figlio di Dio, la persona divina del Lógos ha assunto la natura umana. Ma divinità e umanità, natura umana e natura divina si incontrano e si uniscono solamente nella persona del Figlio di Dio, in Gesù Cristo. Unicamente nella persona di Gesù Cristo e attraverso di essa divinità e umanità sono unite l'una all'altra, "senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili", come il credo calcedonese ha enunciato con estremo paradosso e al tempo stesso con reverenziale salvaguardia del mistero della persona del Mediatore. Raramente in seguito la ragione è stata altrettanto pronta a umiliarsi e ritirarsi di fronte al miracolo di Dio quanto in queste parole. Ma, proprio per questo, raramente

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essa è stata in grado di essere migliore strumento della ce-lebrazione della rivelazione divina di quanto lo fu allora.

La formula cristologica "due nature, una persona"

racchiude così al tempo stesso un altissimo significato soteriologico: divinità e umanità separate l'una dall'altra prima della venuta di Cristo, unite l'una all'altra unicamente nell'incarnazione del Figlio di Dio. Solo attraverso la persona le nature hanno comunione tra loro, cioè solo tramite Gesù Cristo divinità e umanità sono unite. IMMERSIONE NELL'UMANITÁ Dio assume la carne dell'uomo Sappiamo che, ben prima che divenisse usuale celebrare il

Natale, nelle chiese d'oriente e d'occidente l'Epifania era il supremo giorno di festa del solstizio invernale. U origini sono oscure. E certo invece che, fin dai tempi antichi, in quel giorno si faceva memoria di quattro diversi eventi: la nascita di Cristo, il battesimo di Cristo le nozze di Cana, l'arrivo dei magi dall'oriente.

A partire dal IV secolo, la chiesa ha celebrato con solennità la nascita di Cristo il 25 dicembre, svincolandola in tal modo dalla festa dell'Epifania. Roma ha inoltre posposto la benedizione dell'acqua, strettamente connessa con il battesi-mo, al sabato santo, mentre le nozze di Cana furono spostate più avanti nel tempo liturgico, cosicché al cuore della festa dell'Epifania restò solamente l'adorazione di Cristo da parte dei sapienti venuti dall'oriente e l’ ”apparizione della stella ai pagani.”

La separazione della festa della nascita di Cristo da quella del suo battesimo ha rivestito un grande significato. Nei circoli gnostici ed eretici d'oriente si era fatta strada la

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persuasione che il giorno del battesimo fosse il vero giorno della nascita di Cristo quale Figlio di Dio. Si era fatto tra l'altro un calcolo artificioso, secondo il quale Gesù avrebbe

compiuto il trentesimo anno di età proprio il giorno del suo battesimo. Questa circostanza ci dà occasione di riflettere brevemente sulla connessione tra nascita e battesimo di Gesù Cristo.

Era diventato uso comune, nel cristianesimo primitivo - ce

lo testimonia ancora Agostino -festeggiare solennemente il giorno della propria rinascita, cioè il giorno del battesimo, anziché il proprio compleanno. Era ovvio che si finisse per procedere allo stesso modo anche con il battesimo di Gesù, che divenne così la festa principale. Ciò comportava, però, il rischio di un pericoloso errore, quello di un discredito dell'incarnazione di Dio. La nascita di Gesù ' infatti, non è semplicemente l'inizio naturale di una vita umana, a cui avrebbe dovuto far seguito una seconda nascita spirituale; ma la nascita di Gesù è il farsi carne del Figlio di Dio, in vista della salvezza di ogni carne. Piacque a Dio di assumere la carne dell'uomo, la natura dell'uomo, non di "adottare" l'uomo Gesù quale figlio, come insegnavano gli eretici in opposizione alla chiesa primitiva.

Se Dio avesse solamente adottato come figlio l'uomo Gesù nel momento del battesimo, allora saremmo ancora da salvare: Gesù sarebbe l'essere unico, irraggiungibile, il superuomo che ha conquistato per sé la beatitudine, ma egli non ci potrebbe aiutare. Se invece Gesù è il Figlio di Dio che fin dal suo concepimento e dalla sua nascita ha assunto e porta la nostra stessa carne e il nostro sangue, allora, e allora solamente, egli è vero uomo e vero Dio; allora solamente ci può aiutare; allora è veramente "scoccata" per noi alla sua nascita “l’ora della redenzione”; allora la nascita di Cristo è salvezza per tutti gli uomini; allora è proprio quello del farsi carne del Figlio di Dio il giorno che rende possibile la nostra nuova nascita.

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Per amore dei suoi fratelli

Ora, questo getta una luce sul significato del battesimo di Gesù. Se infatti non è il giorno dell'adozione del Figlio di Dio, cos'è allora? Quando Gesù domanda il battesimo, lo fa, a differenza di tutti gli altri uomini, come il solo buono, il solo senza peccato, il solo che non abbisogna di perdono. In quanto unico buono, tuttavia, egli domanda il battesimo, sebbene non ne abbia bisogno per se stesso, per amore di coloro che ne hanno bisogno, per amore dei peccatori. Proprio perché unico buono, non si lascia separare dai peccatori, non diviene come il fariseo che vuole tenere il bene per sé. L'assenza di peccato, la bontà di Gesù si rivelano proprio nel suo incondizionato amore per i peccatori. Non per penitenza, bensì per amore Gesù va al battesimo, e si mette così dalla parte dei peccatori. Se Giovanni vuole rifiutargli il battesimo, è perché in questo caso non comprende ciò che Gesù sta facendo.

Il battesimo è l'abbassamento volontario di Gesù per amore dei peccatori: il senza-peccato diventa peccatore per amore dei suoi fratelli. Mai nell'intera Scrittura si accenna al fatto che Gesù abbia avuto bisogno per sé del battesimo, anzi è ovunque testimoniato con forza proprio il contrario. Gesù che desidera il battesimo non è altri che colui la cui bontà consiste nella comunione con i peccatori; ecco perché si sottopone al battesimo: "poiché conviene che così adem-piamo l'intera giustizia" (Mt 3,15). Questa "intera" giustizia non è però una santità egoistica, bensi la pienezza dell'amore per gli uomini, per i peccatori. t proprio in questo momento dell'unione del Figlio di Dio con i peccatori nel battesimo che a lui (e agli astanti: cf. Gv 1,31 ss. e Mt 3,17) viene confermato dal Padre celeste che egli è il suo Figlio amato. In quanto redentore dei peccatori Gesù viene proclamato quale egli era sin dal principio: il Figlio di Dio. Il battesimo è una

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conferma che Gesù è da Dio. Esso non apporta nulla di nuovo al suo essere, ma apporta una novità decisiva al suo agire:

d'ora in poi Gesù agisce dinanzi al mondo intero quale egli è fin dall'eternità.

La manifestazione di Gesù quale Figlio di Dio, così come viene celebrata il giorno dell'Epifania facendo memoria del suo battesimo, è la manifestazione nell'abbassamento, nell'essere uguale ai peccatori. Compagno dei pubblicani e dei peccatori: ecco chi è il Figlio di Dio, la cui manifestazione ci deve essere cara.

Lettera teologica, Natale 1939 (GS III, pp. 382-388) e Meditazione teologica, Epifania, 1940 (GS III, pp. 388-392)