TURANDOT · realizzato una partitura molto precisa, con tutto appuntato, dai tempi ad alcune note...

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Anno XI - Numero 22 - 28 aprile 2005 TURANDOT di Giacomo Puccini TURANDOT di Giacomo Puccini L ’Inter vista Parla il Direttore Alain Lombard A Pag 2 L a Storia dell’Oper a La Turandot nata in un ristorante A Pag 6 I finali postumi Da Franco Alfano a Luciano Berio A Pag 8 –9 e 10 Gastronomia e Music a Il baccalà di Adami ed I fagioli di Puccini A pag. 14 e 15

Transcript of TURANDOT · realizzato una partitura molto precisa, con tutto appuntato, dai tempi ad alcune note...

Anno XI - Numero 22 - 28 aprile 2005

T U R A N D O Td i G i a c o m o P u c c i n iT U R A N D O Td i G i a c o m o P u c c i n i

L’IntervistaParla il Direttore Alain LombardA Pag 2

La Storia dell’OperaLa Turandot nata inun ristoranteA Pag 6

I finali postumiDa Franco Alfanoa Luciano BerioA Pag 8 –9 e 10

Gastronomia e MusicaIl baccalà di Adami edI fagioli di PucciniA pag. 14 e 15

Al solo nome dellaTurandot diGiacomo Puccini,

la mente del maestro AlainLombard, sul podio delTeatro dell’Opera perquesta edizione, corresubito al passato: «E’ un’-opera verso la quale ho sem-pre un grande affetto. L’hodiretta moltissime volte ed hoanche realizzato una inci-sione con MontserratCaballe, Mirella Freni e JosèCarreras, che ha riscosso ungrandissimo successo, che haguadagnato moltissimipremi».«Turandot è un’opera molto,molto difficile. Si deve avereuna orchestra grande e solida.Tante volte ho lavorato suquesto pezzo e sempre ho pen-sato a ciò che Puccini diceva.Voleva fare un’opera impor-tantissima, che rimanesse uncapolavoro assoluto. Ma lacosa che mi stupisce è che essaarriva dopo il Trittico (1918),che a mio avviso è di per se uncapolavoro assoluto. Pucciniaveva già toccato il tema del-l’orientalismo, tanto in vogaall’epoca, con MadamaButterfly nel 1904 e quellod’ambientazione americanacon La fanciulla del West(1910), ma egli volevaritornare su ambientazioni“esotiche”».«E’ un’opera difficile daeseguire per l’orchestra – con-tinua il Maestro Lombard -perché è una partituraestremamente raffinata, construmenti esotici, dal gong inpoi. Come al solito Puccini harealizzato una partitura moltoprecisa, con tutto appuntato,dai tempi ad alcune noteesplicative. Come musica, inalcuni punti – come con le tremaschere di Ping, Pong e Pang- è vicinissima a GianniSchicchi».Al Teatro dell’Opera diRoma Tutandot fu rappre-sentata per la prima volta il29 aprile 1926, appena quat-tro giorni dopo la prima

rappresentazione assolutadel Teatro alla Scala del 25aprile, con un cast formato

da Bianca Scacciati, RosinaTorri e Francesco Merli,diretti dal maestro EdoardoVitale.Questa volta, al momentodi mettere in scenaall’Opera di Roma l’allesti-mento del Teatro CarloFelice di Genova con laregia di Giuliano Montaldo– allestimento che haaffrontato anche la famosatrasferta cinese per essererappresentato ai piedi dellaCittà Proibita - si è discussosu quale finale adottare.«Con il direttore artistico,Maestro Trombetta, abbiamo a

lungo pensato se proporrel’opera con il primo od il secon-do finale di Alfano», dice il

direttore. «Poi siamoarrivati alla decisione dioptare per la seconda ver-sione, quella più snella. Laprima sarebbe stata troppolunga e meno bella. Io quel-la versione non l’ho maieseguita, ma all’Opera diRoma non avrebbe fun-zionato. Questa secondaversione, invece, la presen-

tiamo in versione integrale,senza alcun taglio, come adesempio quello tradizionaledelle maschere all’inizio delsecondo atto».D. – A proposito di finali,cosa ne pensa di quello diLuciano Berio?«Il finale di Berio lo conoscobene, l’ho studiato perché adun certo punto ho pensato dicimentarmici. E’ magnifica-mente fatto, ma è molto differ-ente dal lavoro e dallo stile diPuccini. Con questa regia,molto classica, non sarebbeandato bene».

Andrea Marini

2 TurandotIl GGiornale dei GGrandi EEventi

I prossimi appuntamentidella Stagione 2005

17 - 25 giugno 2005 THAÏS di Jules MassenetDirettore: Pascal Rophè

Amarilli Nizza, MarcoVinco, Claudio Di SegniRegia: Alberto Fassini

ALLESTIMENTO DEL TEATRO DELL’OPERA

Stagione estiva alle Terme di Caracalla(Due opere ed un balletto)

5 - 6 luglio ROMEO E GIULIETTAballetto su musica di Sergej Prokof’ev

Coreografia: Jean-Cristophe MaillotInterpretato dalla Compagnia Les Ballet de Monte-Carlo

Dal 9 luglio MADAMA BUTTERFLYdi Giacomo Puccini

Direttore: Donato Renzetti

Dal 26 luglio AIDAdi Giuseppe Verdi

Direttore: Placido Domingo

Dal 10 agosto IL LAGO DEI CIGNIballetto su musica di Pêter Ciaikovskij

Coreografia: Galina SamosovaORCHESTRA E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA

22 – 29 settembre LE NOZZE DI FIGAROdi Wolfgang Amadeus Mozart

Direttore: Gianluigi GelmettiAnna Rita Taliento,

Laura Cherici, Marco Vinco, Laura PolverelliRegia e Scene: Quirino Conti

NUOVO ALLESTIMENTO

18 – 25 ottobre DAS RHEINGOLD (L’Oro del Reno)di Richard Wagner

Direttore: Will HumburgRalf Lukas, Kristian Frantz, Hartmunt Welker,

Katia Litting, Hanna Schwarz, Eva MatosRegia, Scene e Costumi: Pier’ Alli

ALLESTIMENTO TEATRO ALLA SCALA

In lingua originale con sovratitoli

23 Novembre – 1 Dicembre LA SONNAMBULAdi Vincenzo Bellini

Direttore: Bruno CampanellaStefania Bonfadelli, Nina Makarina Dimitri Korchak,

Enzo CapuanoRegia: Pier Francesco Maestrini

Il GGiornale dei GGrandi EEventiDir ettore responsabile

Andrea MariniDir ezione Redazione ed Amministrazione

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~ ~ La Locandina ~ ~Teatro Costanzi, 28 aprile – 11 maggio 2005

TURANDOTDramma lirico in tre atti e cinque quadri

Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni

Musica diGiacomo Puccini EDITORE: CASA RICORDI - MILANO

Maestro concertatore e Direttore Alain LombardORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA

Allestimento del Teatro Carlo Felice di Genova

Maestro del coro Andrea GiorgiRegia Giuliano MontaldoRipresa da Marco GandiniScene Luciano RicceriCostumi Elisabetta Montaldo BocciardoMovimenti coreografici Hal YamanouchiDisegno luci Bruno Monopoli

Personaggi / InterpretiTurandot (S) Giovanna Casolla / Lucia Mazzaria (29/4;7, 11/5)Calaf (T) Giuseppe Giacomini / Piero Giuliacci (29/4), 6/5 /

Renzo Zulian (8, 11/5)Liù (S) Anna Laura Longo / Katia Pellegrino (29/4; 7, 8, 10/5)Timur (B) Michail Ryssov / Alfredo Zanazzo (29/4; 7, 8, 10/5)Ping (Bar) Damiano Salerno / Armando Ariostini (29/4; 7, 11/5)Pong (T) Mario Bolognesi / Cesare Ruta (29/4)Pang (T) Aldo OrsoliniAltoum (T) Fernando Cordeiro Opa /

Aldo Bottion (6, 7, 8, 10, 11/5)Mandarino (Bar) Roberto Nencini / Stefano Meo (29/4; 6, 8, 11/5)

Parla il direttore d’orchestra Alain LombardUna Turandot con il secondo

finale di Alfano,ma senza i tagli tradizionali.

L’azione si svolge a Pekino (così è riportato nel libretto originale, n.d.r.), altempo delle favole

ATTO PRIMODavanti alle mura e al palazzo imperiale di Pechino – Al tramonto, un Mandarinoannuncia alla folla che il Principe di Persia, non avendo sciolto i tre enigmi propo-sti dalla bella principessa Turandot a tutti i principi che aspirano alla sua mano,sarà decapitato pubblicamente dal boia al sorgere della luna. La folla, eccitata, tra-volge un vecchio e la giovane Liù che per lui invoca subito soccorso. Un giovaneaccorre e riconosce nell’anziano il proprio padre Timur, Re tartaro spodestato. Idue si abbracciano, ma il giovane Calaf lo prega di non pronunciare il suo nome,poiché ha paura dei regnanti cinesi, usurpatori del regno del padre. La schiava Liùè molto devota a Timur ed alla famiglia, in quanto un giorno Calaf nella reggia lesorrise. Intanto il boia Pu-Ti-Pao, affilando la lama, si prepara all’esecuzione delPrincipe di Persia. Ai primi chiarori lunari, su note lugubri, giunge il corteo cheaccompagna la vittima al supplizio. La folla, prima eccitata, si commuove per que-sto giovane ed invoca la grazia per il condannato. Nella pallida luce si presenta, glaciale, la principessa Turandot che impone di faresilenzio e con un gesto imperioso ordina al boia di giustiziare il Principe. Calaf è impressionato dalla magica bellezza della Principessa e decide di ten-tare la prova dei tre enigmi. Timur e Liù cercano di trattenerlo, ma lui si lan-cia verso il grande gong. Tre bizzarre figure lo fermano: si tratta dei ministridel Regno, Ping, Pong e Pang, i quali provano a dissuadere Calaf, descriven-do il rischio dell’impresa. Anche Timur, invocando la pietà filiale e la giovaneLiù, disperata ed in lacrime per il proprio amore segreto, tentano di far ragio-nare Calaf, il quale, ormai in preda ad una sorta di delirio, percuote per trevolte il gong, invocando ogni volta Turandot, al cui nome Liù, Timur ed i treministri rispondono con «la morte!».

ATTO SECONDOIn un padiglione - E’ notte. Ping, Pong e Pang, chiusi nella loro tenda ripassa-no il protocollo nuziale e quello funebre per essere pronti ad ogni evenienza.Si lamentano che, come Ministri, devono accompagnare all’esecuzione troppesfortunate vittime. Preferirebbero vivere tranquilli in campagna. Ma quandoil sole sorge, si avviano ad assistere all’ ulteriore supplizio.Il piazzale della reggia con una grande scala dove è posto il trono imperiale - Tuttoè pronto per il rito degli enigmi. L’imperatore Altoum invita il Principeignoto a rinunciare, ma Calaf rifiuta tre volte. Il Mandarino (sulla stessa musica dissonante del primo atto, n.d.r.) bandisce laprova, mentre appare Turandot. La Principessa avanza guardando negliocchi il nuovo pretendente e spiega le ragioni del suo comportamento:molti anni prima il suo Regno fu invaso dai tartari ed una sua antenatacadde preda di uno straniero. In ricordo della sua morte, Turandot ha giu-rato che mai si lascerà possedere da un uomo. La Principessa invita Calafa rinunciare alla prova, ma egli non vuole desistere. Il primo enigma vieneproposto e Calaf lo risolve senza tentennamenti: la speranza! Turandotscende la scala e si avvicina a lui per il secondo enigma. Calaf pensa alungo, ma poi risponde: il sangue!La folla, sperando nel successo, esulta, ma Turandot la obbliga al silenzioe, minacciosa, presenta il terzo enigma. Calaf, sembra voler rinunciare, provocando lo scherno della Principessa, ma

finalmente intuisce la risposta e dice felice: Turandot! Conquistando la vittoria. Turandot, ormai vinta ma non doma, si getta ai piedi del padre e lo sup-plica di non consegnarla allo straniero, ma per l’Imperatore la parola dataè sacra. Turandot inveisce contro il Principe, dicendogli che così egli con-quista una donna riluttante e piena d’odio. Calaf spiega che cerca una donna che lo ami e quindi la libera dall’impe-gno, proponendole a sua volta una nuova sfida: lui è pronto a morire selei riuscirà prima dell’alba ad indovinare il suo nome. Il nuovo patto èaccettato, mentre risuona solenne l’inno imperiale.

ATTO TERZONel giardino della reggia - E’ una notte gravida di attesa ed in lontananza gliaraldi portano in giro l’ordine della Principessa: Questa notte nessundorma in Pechino! Il nome del principe ignoto deve essere scoperto. Calafè sveglio e pregusta il vittorioso bacio a Turandot, immaginandola libera-ta dal gelo dell’odio. Giungono i Ministri che, per paura delle ire di Turandot, offrono a Calafdonne bellissime, ricchezze e gloria in cambio del suo nome, ricevendoneperò un secco rifiuto. Intanto Timur e Liù, insanguinati e logori, vengono trascinati davanti aitre Ministri: sono sospettati di conoscere il nome del principe, visto chesono stati notati parlare con lui.Giunge Turandot. Liù, per cercare di salvare Timur, dice che solo lei cono-sce il nome dello straniero, ma non lo rivelerà. Iniziano le torture, ma Liùresiste e continua a tacere. Turandot è incredula: cosa dà tanto coraggio eforza alla giovane schiava? Liù le risponde che è semplicemente l’amore.Turandot resta turbata, ma poi ordina ai Ministri di carpire il segreto adogni costo. Liù, conscia di non poter resistere, strappa il pugnale ad uno dei tortura-tori e si uccide, cadendo ai piedi dell’amato Calaf. Con Timur e Calaf checompiangono Liù morta, si avvia il mesto corteo funebre.

(Fin qui l’opera che Puccini riuscì a portare a termine prima della morte, avvenu-ta a Bruxelles il 29 novembre 1924)

———————————-(Finale realizzato da Franco Alfano, sugli appunti pucciniani)

Uscita la folla, Turandot e Calaf rimangono soli. Calaf, con l’impeto dellapassione, bacia la principessa. Questa dapprima lo respinge, ma poi gliconfessa il “brivido fatale” e l’odio da cui fu colta la prima volta che lovide ed anche di essere orami travolta dalla passione. Ma, orgogliosa, losupplica di non umiliarla e di andarsene senza svelare il proprio nome.L’ignoto principe le dice, però, di essere Calaf, figlio del re Timur.

Davanti al Palazzo Imperiale - E’ giorno. Tutti i dignitari ed una gran folla sonodavanti al trono dell’Imperatore. Squillano le trombe per annunciare l’arrivodi Turandot, che annuncia di conoscere il nome dello straniero: il suo nome èAmore! e, tra le grida di festa dei presenti, si abbandona nelle braccia di Calaf.

3TurandotIl GGiornale dei GGrandi EEventi

Le ReplicheTrama

Turandot Venerdì 29 aprile, ore 20.30 Sabato 30 aprile, ore 18.00 Venerdì 6 maggio, ore 20.30 Sabato 7 maggio, ore 18.00

Domenica 8 maggio, ore 17.00Martedì 10 maggio, ore 20.30 Mercoledì 11 maggio, ore 20.30

“La morte di Liù” in un figurino di Liebig

“La risoluzione degli enigmi” in un figurino di Liebig

5TurandotIl GGiornale dei GGrandi EEventi

Giuseppe Giacobini, Piero Giuliacci e Renzo Zulian

L’impavido Principe CalafGiovanna Casella e Lucia Mazzaria

La principessa del ghiaccio

Il ruolo della gelida principessa cinese è affidato al sopranoGiovanna Casolla. Diplomatasi in canto e pianoforte alConservatorio San Pietro a Majella di Napoli, ha proseguito

gli studi musicali con Michele Lauro e Walter Ferrari. L’esordioteatrale è avvenuto con La campana sommersa di Respighi alTeatro Verdi di Trieste a cui è seguito Il Castello del Principe

Barbablù di Bartòk alRegio di Torino. Nel 1982il suo ingresso alla Scalacon il pucciniano Tabarrosotto la direzione diGavazzeni che l’ha poidiretta anche nella Fedoradi Giordano sempre nelteatro scaligero.Successivamente alMetropolitan di New Yorkha cantato il Don Carlo diVerdi e la Tosca di Puccini,quest’ultima con la dire-zione di Placido Domingo.E’ regolarmente ospite deiprincipali teatri e festivaldel mondo. Ricordiamo lasua ultima presenza, nel2004, al teatro dell'Opera

di Roma come interprete diSantuzza in Cavalleria Rusticana.Ad alternarsi con la Casolla sarà il soprano Lucia Mazzaria(29/4; 7, 11/5). Nata a Gorizia e, terminati gli studi di canto, siè aggiudicata un primo premio al Concorso Puccini di Luccaed il secondo al Concorso Internazionale di Rio de Janeiro. Hadebuttato nel 1987 al Teatro La Fenice di Venezia e da allora siè esibita in teatri italiani e stranieri: dal Covent Garden diLondra, al Metropolitan di New York, ma anche in Norvegia eGiappone. A Roma ha cantato nel Macbeth di Verdi alle Termedi Caracalla. I suoi ultimi debutti la vedono nei ruoli di Abigailnel Nabucco a Fermo e Atene, nonché Turandot a Lisbona eCatania. Fra i suoi impegni futuri due nuovi attesissimi debut-ti in Gioconda di Ponchielli e in Ernani di Verdi.

Il ruolo del principe Calaf è interpretato dal tenore GiuseppeGiacomini. Diplomato con il massimo dei voti all'Istituto MusicalePollini di Padova, ha iniziato la sua esperienza artistica vincendo i

concorsi internazionali di Adria, di Vercelli, dellaScala di Milano e del S. Carlo di Napoli. Hadebuttato nel 1967 con Madama Butterfly e daallora ha cantato nei maggiori teatri d'opera dalCovent Garden di Londra al Metropolitan diNew York, dalla Deutsche Oper di Berlino alColon di Buenos Aires. L'artista vanta prestigio-se registrazioni discografiche tra cui l'integraledi Cavalleria Rusticana realizzata nel 1990 per laPhilips, in concomitanza con il Centenario dellaprima rappresentazione al Costanzi di Roma(17 maggio 1890).

Piero Giuliacci (29/4) ha compiuto gli studi di canto sotto la guida diMaria Negrelli. Vincitore assoluto del Puccini Foundation Competitiondi New York nel 1996, da allora è stato invitato a cantare nei principaliteatri internazionali. Ha cantato Aida in Europa e nel Sud America, èstato in tournée con l'Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino in SudAfrica e a Lisbona. All'Arena di Verona ha cantato ne Il Trovatore diZeffirelli, nell' Aida e in Turandot.Tra gli impegni futuri un Ballo in maschera, Adriana Lecouvreur e IlTrovatore a Tel Aviv.Renzo Zulian (30/4; 6, 8, 11/5), veneziano di nascita, ha debuttato nel1992 al teatro dell'Opera di Timisoara (Romania) come Pinkerton nellaButterfly.A Salisburgo (Teatro Festival Hall) ha interpreato Rigoletto, e semprecon quest'opera ha compiuto una tournèe in Inghilterra (Teatri diCanterbury, Buxton, Oxford), in Germania (Teatri di Berlino,Mannheim) a Luzern, Strasbourg... Recentemente ha cantato Traviata in Giappone, Conchita di Zandonai alFestival di Wexford (Irlanda), Manrico nel Trovatore al Teatro Regio diParma, Teatro Comunale di Modena e Reggio Emilia, Calaf nellaTurandot a Mannheil in Germania.

Katia Pellegrino e Anna Laura Longo

Liù schiava siucida per amore

Anna Laura Longo, nata a Milano, si è diplomata in pianoforte e tecnicavocale, perfezionandosi con Rodolfo Celletti. Nel 1996 ha vinto il concor-so internazionale di Roma, e l'anno dopo si è esibita in Otello

(Desdemona) al teatro Pergolesi di Iesi, a Mantova e al Cairo. Nel 1998 ha debut-tato nelle Nozze di Figaro al Teatro dell'Opera di Roma, dove torna poco dopo per ilBarbiere di Siviglia. Dal 2000 collabora anche con il Teatro Verdi di Trieste dove èstata Susanna nelle Nozze di Figaro, Dalinda in Ginevra di Scozia, e Rosina nel Barbieredi Siviglia di Paisiello. Al Festival di Torre del Lago è stata Mimì nella Bohème e Liùin Turandot.Al Teatro San Carlo è stata Euridice nell' Orfeo di Gluck. Tra gli impegni futuri da segnalare Le Nozze di Figaro in settembre al Teatrodell’Opera di Roma MacBeth al Teatro Comunale di Bologna. Don Giovanni (DonnaAnna) al Bellini di Catania e Un segreto d'importanza di Rendine al TeatroComunale di Bologna ed al Teatro dell’Opera di Roma.Katia Pellegrino (29/4; 7, 8, 10/5) è nata a Lecce ed ha studiato violino e cantopresso il Conservatorio "B. Marcello"di Venezia. Nel 1991 ha frequentato

l'"Accademia lirica mantovana" con corsitenuti da Katia Ricciarelli e, nel 1997 hadebuttato in "La Bohème" presso il TeatroMarrucino di Chieti. Nell'ottobre 1998 hadebuttato come protagonista in "LaTraviata" a Salerno, Como e Freiburg.Nell'ottobre 1999 ha poi cantato "Bohème"ad Adria, Lonigo, Legnago e Padova ed haquindi debuttato a Bologna in "Petite MesseSolemnelle" di Rossini. Ha cantato "Norma" a Cremona, Como, Brescia, Pavia ePiacenza, "Il Trovatore" all'Opera di Roma, a Busseto, Sofia e Lisbona, "Luisa Miller"nel Circuito Lirico Lombardo, "La forza del Destino" a Lima, "Otello" e "EugenioOnieghin" a Sassari, "Il Trovatore" al San Carlo di Napoli e a Sassari. E' stata diretta,tra gli altri, da Fabio Biondi, Paolo Carignani, Riccardo Chailly, Rafaeò Fruebeck deBurgos, Daniele Gatti. Tra i suoi prossimi impegni "I Lombardi alla Prima Crociata"a Firenze.

Pagina a cura di Andrea Cionci

Giovanna Casella

Giuseppe Giacomini

Anna laura Longo

6 TurandotIl GGiornale dei GGrandi EEventi

La composizione della Turandot, ultima opera diPuccini, si svolse tra il 1920 e il 1924, in quegliultimi quattro anni di vita del Compositore tri-

stemente segnati dalla malattia che lo condurrà allamorte. Dopo il successo del Trittico nel gennaio 1919al Costanzi di Roma, Puccini si pose nuovamentecon l’aiuto del fedele amico Giuseppe Adami alla ricer-ca di un soggetto per un’opera. Determinante per lanascita della Turandot fu però l’incontro con il giornali-sta Renato Simoni nell’autunno del 1919 a Torre delLago, residenza amatissima dal Maestro, dove si dedi-cava alla sua grande passione, la caccia. Simoni, com-mediografo e critico drammatico sensibilissimo e raffi-nato, sembrò a Puccini il più adatto da affiancare adAdami. L’intesa tra i due librettisti fu subito cordiale eproduttiva: la prima proposta fu un testo tratto dallariduzione teatrale dell’Oliver Twist di Dickens. L’opera,il cui titolo avrebbe dovuto essere Fanny, non piacqueperò a Puccini: l’ambientazione nello squallido climadei sobborghi londinesi avrebbe potuto offrire solamen-te tematiche e situazioni già ampiamente utilizzate dalcompositore, che invece aveva l’intenzione di “tentarevie non battute”.

Nata in un ristorante milanese

I biografi raccontano che la nascita della Turandot –soggetto così “regale” - avvenne, invece, in circo-stanza meno “nobile”: a tavola! Nel febbraio del 1920Puccini e Simoni erano in un ristorante milanese, peringannare il tempo in attesa che il Maestro prendes-se un treno per Roma. Simoni disse: «E Gozzi? … seripensassimo a Gozzi?… una fiaba che fosse magari lasintesi di altre fiabe più tipiche?… Non so… qualche cosadi fantastico e di remoto, interpretato con sentimento diumanità e presentato con colori moderni?». Puccini feceil nome di Turandot e Simoni mandò immediatamen-te a prendere il volume nella sua biblioteca, in modoche Puccini potesse portarlo con se in treno. LaTurandot di Carlo Gozzi, rappresentata per la primavolta a Venezia nel 1761 al teatro di San Samuele conla compagnia di Antonio Sacchi, affascinò subito ilcompositore per il carattere orientaleggiante cheavrebbe potuto aprire più ampi e sfaccettati orizzon-ti. Puccini iniziò immediatamente a documentarsi,leggendo la versione in italiano del poeta AndreaMaffei - noto come librettista di Verdi - basata sulla tra-duzione in tedesco di Schiller. Puccini visionò ancheriproduzioni sceniche e figurini di Max Reinhardt, ilquale poco prima aveva curato la messa in scena dellafiaba in Germania. Sull’argomento Puccini scrisse con entu-siasmo a Simoni: «…in Reinhardt, Turandot era una donninapiccola piccola; attorniata da uomini di donnina viperina e con uncuore strano di isterica. Insomma io ritengo che Turandot sia ilpezzo di teatro più normale e umano di tutte le altre produzioni diGozzi. In fine: una Turandot attraverso il cervello moderno, il tuo,d’Adami e il mio».

Difficoltà dietro l’angolo

L’entusiasmo però era destinato ad essere frenatodall’effettiva difficoltà di ridurre la fiaba.L’epistolario pucciniano è il testimone delle difficol-tà incontrate durante i quattro anni dedicati allaPrincipessa cinese. Puccini fu a lungo indeciso secostruire l’opera in uno, due o tre atti. La versioneche né risultò fu quella in tre atti, ma il musicista

sembrò più volte propendere per l’atto unico. Inoltreoccorreva « lasciare un po’ da parte Gozzi e lavorare dilogica e fantasia». Il primo rimaneggiamento operato

in quest’ottica dai librettisti, fu la trasformazionedelle quattro maschere della commedia italiana pre-senti nella fiaba - Tartaglia, Pantalone Truffaldino eBrighella - nei tre ministri cinesi Ping, Pang e Pong.L’altro cambiamento fondamentale fu l’introduzionedella figura di Liù, non presente nella favola diGozzi, con la funzione di umanizzare attraverso ilsuo sacrificio la figura della Principessa. Nella primavera del 1920 Puccini manifestava il suosconforto ad Adami: «metto le mani al piano e mi sisporcano di polvere! La scrivania mia è una marea di lette-re, non c’è traccia di musica. La musica? Cosa inutile. Nonavendo il libretto come faccio con la musica? Ho quel grandifetto di scriverla solamente quando i miei carnefici burat-tini si muovono sulla scena…». Nel Natale dello stessoanno i librettisti sottoposero il primo atto a Puccini,ma l’iniziale giudizio fu negativo. Dopo alcune modi-fiche, in cui si diminuirono molte cineserie, Puccini loapprovò ed iniziò a strumentarlo. Nel 1921, a distan-za di un anno, il primo atto fu completato. Ben piùfaticosi, invece, furono gli altri due atti per i quali ilMaestro fu spesso sul punto di abbandonare la com-posizione. L’11 dicembre 1922 amaramente scrivevaad Adami: «di Turandot niente di buono. Comincio aimpensierirmi della mia pigrizia! Che io sia saturo di Cinaper aver fatto il primo e quasi il 2° atto? Il fatto sta che nonriesco ad attecchire niente di buono. Sono anche vecchio!Questo è sicuro…. A Milano deciderò qualcosa. Forserestituisco i soldi a Ricordi e mi liberi». I primi mesi del 1923 furono ancora molto difficili,ma in primavera il compositore, rinfrancato nello spi-rito e con nuovo entusiasmo, si dedicò a strutturare emusicare il secondo atto. Nel gennaio 1924 Pucciniannunciò ad Adami l’inizio dell’orchestrazione delterzo atto. In aprile finalmente la composizione dellaTurandot era a buon punto ed il compositore né diede

ancora notizia ad Adami: «Penso ora per ora, minutoper minuto a Turandot e tutta la mia musica scritta fino adora mi pare una burletta e non mi piace più».

Triste presagio

L’autunno di quello stesso anno - 1924 - fu caratteriz-zato dall’incontro a Salsomaggiore e dalla riappacifi-cazione con Arturo Toscanini, dopo lo screzio sorto acausa di una incomprensione, quando in aprile ildirettore diede l’ordine di non ammetterlo alla provagenerale della prima esecuzione postuma del Neronedi Boito al Teatro Alla Scala. Pochi giorni dopo i duesi incontrano a Milano e Puccini fece ascoltare all’a-mico ritrovato il terzo atto di Turandot, fino al puntoin cui Liù sacrifica la propria vita. Ad esecuzione ter-minata Puccini disse a Toscanini la frase che egliavrebbe dovuto pronunziare davanti al pubblico selui fosse stato nell’impossibilità di concludere l’ope-ra: «E qui, signori, il maestro è morto». Presagio sini-stro. Il male alla gola, manifestatosi già da parecchimesi, iniziò ad aumentare ed in ottobre Puccini si erarecato a Firenze per essere visitato. La diagnosi atro-ce fu cancro alla gola. Come ultimo tentativo fu con-sigliata una cura presso una clinica specializzata inBelgio e Puccini si recò a Bruxelles per essere ricove-rato. La sera del 28 novembre sopraggiunse una crisicardiaca. Puccini lottò per la vita l’intera notte e il mat-tino successivo. Il 29 novembre 1924 verso mezzogiornoil cuore del maestro cessò di battere. Turandot, come ilsuo stesso creatore aveva funestamente previsto, erarimasta incompleta.

Un finale postumo

Gli editori di casa Ricordi, Clausetti e Valcarenghi,decisero allora di farla terminare dal musicistaFranco Alfano. Questi pensò di utilizzare le trentaseipagine di abbozzi lasciati dal Maestro per il duetto e,nelle parti in cui gli schizzi non erano di aiuto, i temiprecedentemente usati dal compositore all’internodell’opera. Il lavoro, così completato, era pronto perandare in scena. Alla vigilia la recita rischiò, però, diessere annullata per un increscioso incidente diplo-matico. Mussolini, in quei giorni a Milano, fu invita-to alla “prima” dalla direzione della Scala. Il Duceimpose come condizione che durante la serata fosseeseguito l’inno fascista in suo onore, dal momentoche Toscanini nel 1923 si era rifiutato di eseguirlodavanti ad un gruppo di Camicie Nere. Ancora unavolta Toscanini si oppose ed il Duce non prese partealla “prima”. Il 25 aprile del 1926, dinanzi al commosso pubblicodella Scala, la Turandot andò in scena. Il cast compo-sto da Rosa Raisa nel ruolo di Turandot, MariaBamboli in quello di Liù e Miguel Fleta in quello diCalaf, utilizzo le scene di Galileo Chini. Dopo lamorte di Liù, Toscanini – come è noto - seguì lavolontà di Puccini: interrompendo la musica e vol-tandosi verso il pubblico, con voce velata, disse:«Qui finisce l’opera, perché a questo punto il maestro èmorto. La morte in questo caso è stata più forte dell’ar-te». e poi: “viva Puccini!”. Subito scrosciarono gliapplausi, mentre il sipario calava. Dalla sera succes-siva le recite proseguirono con il finale realizzato daAlfano.

C.C.

Storia dell’opera

In un ristorante milanese la nascita di Turandot

7TurandotIl GGiornale dei GGrandi EEventi

“Piango la perdita del caroGiacomo, che amai conaffetto di fratello, con

ammirazione di discepolo.Accolgano il conforto del rimpian-to universale per l’uomo dalla suaopera fatto immortale”. Così il 29novembre 1924 da Vienna, dovesi trovava per una serie di con-certi, Mascagni scriveva adElvira Puccini. Poche ore primaa Bruxelles l’amico Giacomo siera spento, distrutto dal tumorealla gola.La morte del grande collega eamico con il quale aveva in gio-ventù condiviso sogni e soffe-renze, scosse profondamente ilcompositore livornese, il qualenelle lettere di quel periodo siespresse con forti accenti pole-mici.Vale la pena leggere ad esempioquella inviata il 4 dicembre allafiglia Emy: «…non so dirti qualecolpo sia stato per me l’annunzioimprovviso della morte di Puccini.Avevo notizie abbastanza buone:ero tranquillo il giorno; prima

avevo avuto tali notizie favorevoli,che con vera commozione avevotelegrafato all’Ambasciatored’Italia a Bruxelles pregandolo diportare all’amico carissimo il miosaluto ed augurio. E invece..... Equale morte terribile, poveroGiacomo! Io sono ancora moltoimpressionato e non riesco a rimet-termi. Non posso crederci ancora. Esono anche molto addolorato edavvilito che quei bottegaî deiMilanesi hanno già iniziato unaspeculazione su Puccini. Mentre lafamiglia voleva che la salma andas-se a Lucca, i bravi (?) milanesil’hanno voluta a Milano.... eToscanini ha messo a disposizionela tomba della propria famiglia....Sono cose che fanno male.... Edintanto si sta già preparando laspeculazione sull’opera postuma.Prima con Boito, ora conPuccini!... Ho avuto molto dispia-cere nell’apprendere, da un tele-gramma dell’Avv. Belli, che lo stes-so Belli, unitamente a Gasco,abbiano affacciato l’idea di far ter-minare a me la Turandot. Meno

male che, in una intervista che ebbiqui col corrispondente della“Tribuna”, espressi già il mio pen-siero in proposito. Peccato che la“Tribuna” non l’abbia riportatoesattamente, ma in ogni modo sicapisce che io ho detto che l’operadeve essere eseguita così come sitrova, anche se incompiuta: non sideve ripetere lo sconcio commessocol Nerone (l’opera che Boitolasciò incompiuta e che fu por-tata a termine da Tommasini eSmareglia sotto la supervisionedi Toscanini, n.d.r.), tanto piùche, per Puccini, sarebbe ancorauna profanazione, perché Puccini èstato un vero e grandissimo musi-cista e non uno stitico che aspetta-va sempre l’aiuto e l’elemosina diqualcuno, e che in vita non latrovò.... e l’ha trovata dopomorto....».

La morte di Liù ègià un finale

Mascagni, dunque, riteneva cheTurandot dovesse rimanerecome l’aveva lasciata Puccini.Una scelta dettata in lui dal

rispetto nei confronti dell’ami-co, ma suggerita anche da con-siderazioni di tipo drammatur-gico: la morte di Liù è già di persé un “finale”, lascia la storia fraCalaf e Turandot sospesa, machiude coerentemente l’opera. Ma a proposito di Mascagni,può essere interessante riporta-re ancora la seguente letterainviata il 22 dicembre alla figlia:«…io sono veramente sorpreso ditutta la speculazione che in Italia sifa sopra la sventura: la morte diPuccini ha svegliato nuove cupidi-gie e nuovissime ambizioni: la cittàdi Milano vuole avere il monopoliodelle salme degli uomini illustri.Hai letto il discorso del SindacoMangiagalli sul feretro diPuccini?... Non si può andare piùin là in materia di speculazione e diréclame: ha detto che Verdi morì e

fu sepolto in Milano; e, dopo Verdi,Boito morì e fu sepolto in Milano;ed oggi, per quanto Puccini siamorto all’estero, Milano ha la glo-ria di avere la sua salma.... Allalarga di questi necrofori jettatori!Mi aspettavo che continuasse, conl’augurio (?) di avere in Milanotutti i morti illustri, anche se laloro morte avviene lontana dalla.....necropoli lombarda..... Da Roma, ilMarchese Monaldi mi perseguitacon lettere e telegrammi per avereda me una prefazione al libro cheegli scrisse sopra Puccini, e delquale sta preparando la secondaedizione, in occasione della mortedel Maestro. Insomma, si speculain modo indegno; e non si capisceche io non intendo di prestarmi aquesto basso giuoco. E non rispon-do neppure: sono nauseato! [...]».

Roberto Iovino

Il 22 dicembre 1858, nelleprime ore della notte,Giacomo Puccini nasceva a

Lucca, nella casa di corteS.Lorenzo, a Lucca. Fu battez-zato il giorno successivo, alfonte battesimale dei SS.Giovanni e Reparata, con inomi di Giacomo AntonioDomenico Michele SecondoMaria. Era infatti l’ultimomusicista di una singolaredinastia che in un arco tempo-rale di un secolo e mezzo avevadominato la vita musicale luc-chese.Al momento della suanascita abitavano la casa i geni-tori, Michele e Albina Magi, lanonna Angela Cerù, le sorelleOtilia, Tomaide (la terza nata,Temi, era vissuta meno di unanno), Maria Nitteti e Iginia, euna serva. Un anno doponascerà l’altra sorella Ramelde,sarà assunta un’altra serva, epiù avanti nasceranno ancoraMacrina e infine, dopo la mortedel padre, Domenico Michele(Lucca, 1864 - Rio de Janeiro,

1891) anch’egli musicista.Giacomo, rimasto presto orfa-no di padre, visse in questacasa gli anni dell’infanzia edella prima giovinezza, primadel trasferimento a Milano perproseguire gli studi. Restò sem-pre legato ai ricordi che lo lega-vano alla sua casa natale e siadoperò, quando le condizionieconomiche glielo consentiro-no, affinché rimanesse di pro-prietà della famiglia.La famiglia Puccini, che nellaprima metà del XVIII secolo siera stabilita a Lucca in un’abita-zione posta in via Pozzotorelli,l’odierna via Vittorio Veneto, siera trasferita in corte S. Lorenzointorno al 1815, poco dopo lamorte improvvisa e prematuradi Domenico, nonno diGiacomo e pregevole operista.Aveva voluto così la giovanevedova, Angela Cerù, per riav-vicinarsi alla sua famiglia d’ori-gine, che abitava nello stessostabile. La famiglia Cerù - inparticolare Nicolao, cugino del

padre Michele - svolgerà unruolo importante nella forma-zione di Giacomo.L’appartamento, piuttostogrande ma appena sufficienteper una famiglia numerosacome quella di Giacomo (in cuitutti, almeno il padre e i figli,facevano musica) aveva, comeoggi, due ingressi sul medesi-mo pianerottolo, come testimo-nia una lettera del 1817 diAntonio, bisnonno di Giacomo.

Oggi museo

Oggi la casa natale di GiacomoPuccini custodisce oggetti a luiappartenuti: mobili di fami-glia, un cappotto, prezioseonorificenze che testimonianogli straordinari successi otte-nuti dal compositore in tutto ilmondo. Sono anche esposti:autografi di importanti com-posizioni giovanili, la Messa a4 voci (1880) e il Capriccio sinfo-nico (1883), una ricca collezio-ne di lettere scritte e ricevutedal compositore tra il 1889 e il

1915 (destinatari e mittenti: lamoglie Elvira, il figlio Antonio,Giulio Ricordi), e una serie diemozionanti testimonianzedegli ultimi momenti di vitadel compositore, che - a causadell’operazione subita per l’a-sportazione del tumore allagola - comunicava solo tramitebrevi messaggi scritti. L’ultimaopera, Turandot - la cui compo-sizione fu interrotta appuntodalla morte dell’autore aBruxelles, il 29 novembre 1924- è evocata dalla presenza delpianoforte Steinway su cui l’o-pera fu composta, nella villa diViareggio (una fotografiaritrae Puccini proprio davantia questo strumento, con ilfiglio Antonio), e dallo splen-dido costume di scena per il IIatto, donato alla FondazionePuccini dalla celebre cantanteMaria Jeritza, a ricordo delprimo allestimento dell’operaal Metropolitan Opera Housedi New York, nel 1926. Il costu-me realizza il disegno studiato

da Brunelleschi per la primaassoluta, poi sostituito daquello di Caramba. Si possono infine ammirarealcuni bei quadri, come i pre-gevoli ritratti di GiacomoPuccini senior e di sua moglieAngela Piccinini, eseguiti daun importante pittore lucche-se, Giovanni DomenicoLombardi detto “L’omino”, inoccasione delle loro nozze;come il ritratto di AntonioPuccini, probabilmente unacopia d’epoca dell’originalecustodito presso il CivicoMuseo Bibliografico Musicaledi Bologna; od anche loStemma della famiglia, che ilcompositore non era dispostoa lasciare in casa di altri paren-ti. E’ esposto, infine, lo stupen-do ritratto di Giacomo Puccini,opera di Leonetto Cappiello,con dedica “A Giacomo Puccinicon grande ammirazione e veraamicizia” e data “Paris, 11 gen-naio 1899”.

Mi. Mar.

Puccini e Mascagni ai funerali di Ruggero Leoncavallo

Le invettive del Maestro sulle speculazioni milanesi

E Mascagni disse:«Lasciate Turandot com’è!»

Nella casa natale di Puccini a Lucca

Tra i cimeli, il pianoforte su cui fu composta Turandot

8 TurandotIl GGiornale dei GGrandi EEventi

La sera del 25 apri-le 1926 va inscena al Teatro

alla Scala di Milano laprima rappresentazio-ne assoluta di Turandotdi Giacomo Puccini.Appena conclusa lascena dello straziantecorteo funebre per Liù,la musica si interrompee Arturo Toscanini, dalpodio, con una voceresa incerta dall’emo-zione, si rivolge al pub-blico trepidante:«Qui finisce l’opera, perchéa questo punto il maestro èmorto. La morte in questocaso è stata più forte del-l’arte». Dopo qualche istante distupore, gli spettatoriprorompono in fragoro-si applausi, gridando«Viva Puccini!». Toscanini aveva decisoper la “prima”- comevolontà espressagli daPuccini - di onorare inquesto modo la memo-ria del compositore, ter-minando l’esecuzione

nel punto esatto in cuila mano del “Lucchese”si era fermata. (Il com-positore era morto inseguito a complicazionipost-operatorie nel1924 a Bruxelles, dovesi era recato per curareun cancro all’esofago).Peraltro, lo stessoToscanini era stato,insieme ai parenti delmusicista e alla CasaRicordi, fra coloro cheavevano fortementevoluto che Turandotvenisse completata daun altro compositore.Infatti, sebbene nellamusica strumentale un

lavoro incompiutopossa esercitare unindiscutibile fascino emantenere comunqueinalterato il suo impat-to comunicativo, nelteatro musicale, soprat-tutto a partire da quellotardo ottocentesco, unagrave mutilazionecome la mancanza delfinale poteva mettere inseria discussione lafruibilità di un’interaopera.Lasciare in sospeso ilcorso dell’azione diTurandot, avrebbe,però, fatto traballare lecolonne portanti del-l’intera struttura musi-cale e drammatica del-l’opera.I primi compositori chevennero contattati furonoRiccardo Zandonai ePietro Mascagni, i qualiperò declinarono l’offerta.

La scelta cadde suAlfano

Fu invece il composito-re napoletano FrancoAlfano, allora cinquan-tenne, che, seppuredopo molte perplessità,accettò il gravoso com-pito, che pure gliavrebbe dato quelladuratura fama che lesue altre opere, comeResurrezione (1904) o Laleggenda di Sakuntala(1921), non sarebberoriuscite a procurargli.Compositore di rilievo,artista esuberante edentusiasta, Alfano si eraformato sulle orme diPuccini, del quale eraanche divenuto amicopersonale. Era anch’egliun compositore legatoalla Casa Ricordi e siera affermato condiscreto successo qual-che anno prima con l’o-pera La Leggenda diSakuntala, anch’essa diambientazione orienta-le, che tuttavia il pub-blico stava già dimenti-

cando. I committentidel lavoro pensaronoche l’indiana Sakuntalasarebbe potuta efficace-mente diventare sorelladella cinese Turandot.

Puccini aveva portatocon sé, nella clinica diBruxelles dove si dove-va operare, 36 foglipentagrammati conte-nenti gli appunti per ilfinale di Turandot, a cuicontava di lavoraredurante la convalescen-za. Quando Alfano liprese in esame, si trovòdi fronte un materialeconfuso, pieno di can-cellature, tagli e som-marie, quasi incom-prensibili, annotazionicome «qui trovare lamelodia tipica vagainsolita» oppure «PoiTristano…». Quest’ultima frase èstata variamente inter-pretata: secondo MoscoCarner, grande biografodi Puccini, egli avrebbevoluto inserire in quel

punto un intermezzoorchestrale, che avrebberievocato la magicaatmosfera dell’operawagneriana nel momen-to del bacio di Calaf.

Secondo Teodoro Celli,invece, il compositoreavrebbe voluto ritornareal tema inserito nel con-certato finale del primoatto, che sembra già ispi-rato al tema del mare nelTristano.Delle 375 battute scritteda Alfano, appena 97sono quelle originali diPuccini, desunte dallasua bozza, e precisa-mente: l’inizio delduetto Principessa digelo fino all’aria Delprimo pianto, di cui ilmateriale tematico erasolo accennato. Glistessi cenni sommaririguardavano il temadegli ottoni che intro-ducono il secondo qua-dro e la ripresa del temadel Nessun dorma nelcoro finale.

Le due versioni del finale postumo dell’opera

L’ingrato compito di Franco Alfano:

Giacomo Puccini nel 1924

Figurino prima di Turandot

Franco Alfano

9TurandotIl GGiornale dei GGrandi EEventi

Le due versioni

Il lavoro di Alfano fucompletato e consegna-to nel gennaio 1926 eRicordi ne stampò unospartito per canto e pia-noforte. Questa edizio-ne rappresenta unavera rarità, di cui esi-stono solo 12 copie intutto il mondo. Infattivenne ben presto ritira-ta dal mercato:Toscanini la rifiutò conla motivazione che inessa vi fosse «troppoAlfano e poco Puccini».Le discussioni e i malu-mori non mancarono,ma alla fine la volontàdello scorbutico edinflessibile direttored’orchestra prevalse e107 battute di Alfanovennero tagliate impie-tosamente, conducendoalla stesura di unaseconda versione dellapartitura.Le parti tagliate nonerano state scritte acaso da Alfano ed eranofunzionali a rendere

con gradualità e pene-tranza psicologica ilprogressivo mutamentointeriore di Turandot,come per i fondamenta-li momenti successivi albacio di Calaf o allarivelazione del nomedel principe. Toscanini,tuttavia, da grandeconoscitore dellavocalità, era ancheconsapevole che l’im-pegno richiesto ai can-tanti nell’esecuzionedella prima versionesarebbe stato eccessi-vo. Fu questa, proba-bilmente, la motiva-zione della sua impun-tatura.La prima versione diAlfano fu riesumatasolo nel 1982, in formad’oratorio, allaBarbican Hall diLondra, dopo il ritro-vamento della partitu-ra negli archivi Ricordie da allora è stataripresa in diverseoccasioni, l’ultimadelle quali al Teatro

del Giglio di Lucca,nel 2003.Alfano ebbe la sfortu-na di nascere in unmomento di crisi delmelodramma, dove,per giunta, giganteg-giava la figura diPuccini. Il suo caratte-

re sanguigno e indi-pendente non gli con-sentiva di inseguire igusti del pubblico edegli cercò pertanto diimporre una sua ideadi teatro musicale.Morì quasi dimentica-to dalla critica, ricor-

dato solo per il suolavoro di completa-mento di Turandot,che, pur essendo statocompiuto con scrupo-lo e sensibilità, vennebistrattato da direttorid’orchestra e criticimusicali.

Andrea Cionci

Ci ha provato subito dopo lamorte di Puccini, Franco Alfano,ci ha provato recentemente

Luciano Berio. Ma nell’opera degli enig-mi, l’enigma centrale, quello dell’epilo-go a lieto fine con la gelida Turandotche si scioglie per Calaf, rimane a tut-t’oggi irrisolto.Il trionfo dell’amore, il mutamento dellaprincipessa di ghiaccio, per quanto lo sirallenti (e Berio ha inserito un breveinterludio strumentale, quasi a volerconcedere qualche minuto in più alladonna per la metamorfosi) rimaneimprovviso e inaspettato.Certo, la trasformazione repentina diTurandot era già in Gozzi, ma lì l’atmo-sfera fiabesca la giustificava.In Puccini la dimensione favolistica èappena evocata da Ping,Pong e Pang;nel resto si è in un dramma alquantoforte e vibrante che sfocia in commediaa lieto fine con qualche difficoltà.E così, dopo l’interruzione di Toscaniniall’esecuzione dell’opera alla “primaassoluta” del 1926 al momento dellamorte di Liù dove l’aveva lasciataPuccini (così diversa dalla gozzianaAdelma), dopo il finale (anzi il doppiofinale: quello tagliato e quello intero) diAlfano, dopo l’ultima fatica di Berio, sipotrebbe suggerire un ulteriore finale a

sorpresa: la morte di Calaf.Calaf, in effetti, merita di morire. Egli,infatti, è - si badi bene - molto più cru-dele di Turandot. La Principessa fadecapitare i suoi spasimanti, ma non liconosce neppure. Ella mantiene unatteggiamento distaccato, li invitaanche a desistere prima di leggere i fati-dici tre enigmi. Se poi, volontariamenteed incoscientemente, quelli si lancianonel “quiz”, la responsabilità è anche esoprattutto loro.Calaf, invece, getta allo sbaraglio ilpovero padre e la deliziosa Liù per unsemplice capriccio. Guarda Liù che sisuicida per salvarlo e non muove undito. Manda in giro il padre cieco per ilmondo senza alcuna pietà. Di qualeumanità, dunque, è capace? Dalla morte di Calaf, Turandot avrebbetutto da guadagnare. Manterrebbe lapropria coerenza, dimostrando fino infondo la propria crudeltà, giocando unosplendido tranello al suo spasimante ebattendolo dopo averlo blandito esedotto. Una gran donna.«O Padre Augusto… ora conosco ilnome dello straniero.Il suo nome… è Calaf!»Uccidete Calaf. Avanti un altro!

Roberto Iovino

Proposta per un finale

Uccidete Calaf!

finire Turandot

La prima edizione di Turandot

Bozzetto del secondo atto per la prima rappresentazione di Turandot

10 TurandotIl GGiornale dei GGrandi EEventi

Alcuni anni orso-no Casa Ricordiincaricò il com-

positore Luciano Berio,scomparso a Roma il 27maggio 2003, di metteremano agli appuntilasciati da Puccini almomento della morteavvenuta a Bruxelles il29 novembre 1924, e dirifare un finale per laTurandot più ragionatodi quello steso all’epocada Franco Alfano. La“prima” mondiale dellarinnovata Turandot èandata in scena all’ope-ra di Los Angeles il 25maggio 2002, seguita daquella europea allo HetMuziektheater diAmsterdam (1° giugno2002), e dalle recite alFestival di Salisburgo (7agosto 2002). L’interoatto terzo, col nuovofinale, era tuttavia giàstato eseguito in formadi concerto al Festivaldelle Canarie il 24 gen-naio 2002

Pubblichiamo un’inter-vista rilasciata daLuciano Berio a SandroCappelletto pubblicatasul quotidiano “LaStampa” il 12 Gennaio

2002 in cui il Maestrospiega le motivazionie le finalità del suolavoro.

D. - Com’è nato questoprogetto?

Da parecchie parti, daparecchi anni, mi chiede-vano di farlo. Finora miero sempre sganciato daquesta possibilità, però poi,approfondendo il lavorosugli schizzi, mi sono con-vinto. Ho sempre amatoTurandot, la conoscobenissimo, il primo atto èdavvero mirabile, e poi alleCanarie c’è questo bellissi-mo festival di orchestreinternazionali, che amomolto.

D. - Come ha orientatoil Suo lavoro?

Turandot è un’opera spe-ciale nel panorama pucci-niano. Credo che non l’ab-bia finita non perché èmorto, ma perché è statotradito da un librettointrattabile: questo rac-conto orientale che finiscecon l’happy end è di unavolgarità indicibile, eracon questo che Pucciniaveva problemi, non con

altro, lo si vede dagli schiz-zi che ha lasciato, materia-le estremamente interes-sante da cui si capisce chestava avviandosi su viemusicalmente nuove. Horipensato il finale in modototale, non più un happyen, ma una conclusionepiù sospesa e reticente,come si addice ad unavisione orientale delle cose,meno deterministica,meno ovvia.

D. - Dunque è interve-nuto anche sul libretto.

Ho semplificato, sottratto,eliminato le cose più vol-gari, sempre in rapporto alprogetto musicale concepi-to esaminando gli schizzi,che mettono in luce le que-stioni musicali che preoc-cupavano Puccini inTurandot. Puccini è statoun musicista italiano dicultura europea, viaggia-va, ascoltava tutto, andavaspesso a Bayreuth, avevaconosciuto Schönberg chenutriva per lui un’enormeammirazione. Gli sviluppiarmonici additati inTurandot sono in un certo

senso nuovi, soloStravinskij nella Sagradella primavera dieci anniprima aveva fatto qualcosadel genere, con il tessutoarmonico concepito nonsolo come sviluppo di fun-zioni, che è la cosa norma-le, ma anche come produ-zione di accordi-oggetto, dientità armoniche isolabili -ad esempio accordi polito-nali - che hanno significa-to di per sé. Ma ci sonotantissime cose, ad esem-pio un ripensamento diWagner (in questi schizzie altro materiale puccinia-no relativo a Turandot tro-viamo notazioni come «epoi Tristano» e «San Graalchinese»), come nei croma-tismi sotto «Tu che di gelsei cinta».

D. - Ha enfatizzato que-sti aspetti?

Diciamo che ho solo spintole cose più in là, evidenzia-to un tessuto nascosto, adesempio, negli schizzi puc-ciniani, un ambiente di “laminore” che mi suggeriscel’«accordo del Tristano»,oppure le prime quattro

battute dell’opera con leterze e quarte aumenta-te, che mi portano asegnalare una presenzavirtuale in questa parti-tura della Settima diMahler, dei Gurreliederdi Schönberg. Diciamoche questo materialel’ho commentato, nonl’ho mai lasciato solo,c’è da parte mia un ele-mento non di disturbo,ma di esemplificazione,di commento appunto.

D. - Riassumendo,un Puccini che guar-da avanti ma èimpossibilitato aprocedere dalle for-zature della materia-trattata?

Sì, mi interessava tirarfuori, mettere in evi-denza, non in manieraplateale e ovvia, quelloche questa partitura

contiene e le difficoltà chel’autore ha incontrato.Certo Puccini era un com-positore di successo e que-sto ha determinato la suaopera, dietro di lui c’era lapaurosa macchina finan-ziaria di Casa Ricordi:doveva avere successo el’ha avuto, del resto questaè la vicenda di tutti glioperisti italiani, con l’ecce-zione parziale di Verdi, chesi muoveva su un’altradimensione, etica sevogliamo: il successo erauna condizione “sine quanon”, che determinava l’o-pera, imponeva delle stra-tegie. Ma Turandot posedei problemi, a Puccini: laconcezione del racconto,della favola, la traiettorianarrativa, non era cosìsemplice come nelle altreopere, doveva andarcipiano.

D. - Come reagirà ilpubblico?

Ah, non so. A me il succes-so non interessa!

Sandro Cappelletto

Intervista a Luciano Berio, autore dell’ultimo finale

Ancora un altro finale per Turandot

11TurandotIl GGiornale dei GGrandi EEventi

La prima dellaTurandot puccinianarisale al 25 aprile

1926. Siamo a Milano, alTeatro alla Scala, l’autore èmorto da quasi due annisenza riuscire a terminarel’opera; altri porteranno acompimento la sua ultimafatica. Ma come è arrivatain Europa la storia dellagelida principessa di Cinache ha affascinato Puccini?I suoi natali sul continenterisalgono al venezianoCarlo Gozzi (1720-1806).Figlio di un’aristocraticafamiglia in gravi difficoltàeconomiche fu il fondato-re, insieme con il fratelloGasparo, di una delle isti-tuzioni più conservatricidel Settecento italiano:l’Accademia dei Granelleschidi Venezia. Le sue posizio-ni conservatrici lo viderocontrapporsi al pensieroilluminista e alle scelteartistiche dei contempora-nei Goldoni e Chiari, inno-vatori importanti dellaCommedia dell’Arte espesso portatori sullascena anche di argomentirealistici d’ambientazionepopolare e borghese.Nel 1762 Gozzi scrisse la

favola teatrale di Turandottraendone l’argomento fia-besco dal ciclo persianodelle Mille e una notte e piùprecisamente da La storiadel principe Calaf e dellaprincipessa di Cina. In que-sta prima trasposizioneoccidentale, coerentemen-te all’epoca storica in cuiessa è prodotta, troviamoaccanto ai personaggiprincipali anche la presen-za delle più importantimaschere italiane:Tartaglia, Pantalone eTruffaldino. Il lavoro goz-ziano è un continuo alter-narsi di passione e giocosospesi fra realtà e irrealtà,atmosfera quotidiana efantasia esotica.Probabilmente le maschereavevano il compito di crea-re un legame tra il pubbli-co veneziano e l’Orientefittizio rappresentato sullascena.Saranno proprio quelleatmosfere esotiche, evoca-trici di mondi lontani, adaffascinare Puccini.Nel passaggio dalla favolaall’opera il compositore fuperò chiamato a risolverepiù di un problema. Adesempio, la presenza delle

maschere, nel momentostorico in cui componePuccini, ha perso la suavalenza. Vanno quindi tra-sformate nel contrario diciò che rappresentavanoper Gozzi: non un pontetra Occidente e Oriente maun elemento propriamentecinese. Nascono così i tredignitari di corte, dalnome un po’ faceto Ping,Pong, Pang, modellati sulgenere dei fools shakespe-riani, che assolvono allafunzione di commento iro-nico e disincantato, a voltecinico, della realtà che licirconda.

Inoltre perché l’interastruttura reggesse, Puccinifu costretto a concentrarsisulle linee essenziali dellavicenda e a trascurare gliintrecci secondari dellafiaba. La crudeltà diTurandot dovette quindiessere spiegata e riequili-brata. Fu necessario tra-sformare la Principessa daesecutrice tragica di undestino di vendetta, (quel-lo che si rifà alla violenzasubita dalla sua antenataLo-u-ling), in un personag-gio capace di esprimere unsentimento psicologica-

mente più sfaccetta-to, come quello dellapaura del maschiodominatore. Turandotnon è infatti la vitti-ma di un traumaancestrale, da leiusato come pretesto,bensì una donna chevuole fare di se stessaun monumento divirtù. Fuggire l’uomovuol dire conservarela purezza. Ignorareil sesso, la cui cono-scenza porta alla per-dita dell’innocenza, ècertamente un meto-do tra i più efficaciper evitare il confron-to con l’umanitàmaschile. In virtù diuna simile necessitàPuccini e i suoi libret-

tisti introdussero il perso-naggio della sciava Liù chefunziona da elementopatetico e permette, con ilsuo suicidio d’amore, lo“sgelamento” di Turandot.La soluzione degli enigmida parte di Calaf e la mortedella schiava fanno cosìconvergere l’apparato sim-bolico della vicenda versol’inevitabile discesa del-l’algida principessa allivello degli uomini everso il consueto lieto fine,

per quanto amaro, dellefavole. L’umanizzazione diTurandot è compiuta.E’ pur vero che Puccinimorì subito dopo averscritto il suicidio di Liù eche il trionfante finale conla principessa innamorataè opera di Alfano. In sordi-na possiamo legittima-mente domandarci se ilMaestro, avendone avutala possibilità, avrebbe scel-to lo stesso epilogo.

Maria Elena Latini

Le origini dell’opera

Turandot, dalla favola di Gozziall’opera di Puccini

Figurino di Umberto Brenellechi per la prima rappresentazione di Turandot

Le Opere di Giacomo Puccinie le loro prime esecuzioni

Le Villi (31.5.1884 Teatro dal Verme, Milano) Le Villi [rev] (26.12.1884 Teatro Regio, Torino) Edgar (21.4.1889 Teatro alla Scala, Milano) Edgar [rev] (28.2.1892 Teatro Communale, Ferrara) Manon Lescaut (1.2.1893 Teatro Regio, Torino) La bohème (1.2.1896 Teatro Regio, Torino) Tosca (14.1.1900 Teatro Costanzi, Roma) Madama Butterfly (17.2.1904 Teatro alla Scala, Milano) Madama Butterfly [rev] (28.5.1904 Teatro Grande, Brescia) Edgar [rev 2] (8.7.1905 Teatro Colón, Buenos Aires) Madama Butterfly [rev 2] (10.7.1905 Covent Garden,Londra) Madama Butterfly [rev 3] (28.12.1905 Opéra Comique,Parigi)La fanciulla del West (10.12.1910 Metropolitan Opera,New York) La rondine (27.3.1917 Opéra, Monte Carlo) Il trittico: (Il tabarro - Suor Angelica - Gianni Schicchi)(14.12.1918 Metropolitan Opera, New York) Turandot (25.4.1926 Teatro alla Scala, Milano)

Carlo Gozzi

12 TurandotIl GGiornale dei GGrandi EEventi

Franco Alfano visse in un momento storicodominato dalla confusione - si pensi ai dueconflitti mondiali - che non lasciò molto

spazio alle sue aspirazioni di operista, ostacolatedalla difficoltà di trovare libretti corposi, conintrecci affascinanti e coinvolgenti.Il compositore nasce a Napoli l’ 8 Marzo 1875.Studia al Conservatorio S. Pietro a Maiella e si per-feziona poi in composizione a Lipsia. Nel 1896,alla ricerca di un ambiente culturalmente più sti-molante, si trasferisce a Berlino dove la vita musi-cale si nutre di interessanti scoperte stilistiche.Nel 1899 è a Parigi per mettere in scena due bal-letti presso le «Folies Bergères» e dove comincia ascrivere l’opera Resurrezione, portata poi a termi-ne tra Mosca e Napoli. Gli anni a cavallo tra ‘800 e ‘900, dopo la morte diWagner nel 1883, musicalmente erano statiespressione di un forte scossone stilistico di cuiAlfano è testimone. Egli, insieme con la sua gene-razione, sentì la necessità di un rinnovamento nelcampo del teatro lirico ormai da tempo sclerotiz-zato, nonché l’esigenza di spaziare anche nelmondo della musica sinfonico-strumentale.Resurrezione, il suo più valido successo, è un lavo-ro che rivela una grande vena teatrale oltre aduna naturale forza di linguaggio, entrambe prefe-rite all’uso di melodie facilmente memorizzabili.Le pagine della sua musica risultano quindimolto dense sinfonicamente e spesso di difficilecomprensione. Il principe Zilah, sua secondaopera, è un esempio di tale difficoltà d’ascolto. Sitratta di un lavoro interessante dal punto di vista

musicale, affiancato però da un libretto mediocre. Nonostante gli insuccessi, Alfano continuò alavorare freneticamente fra le due guerre.

Ragguardevole la sua produzione di musica dacamera: sonate per violino e per violoncello e ilQuartetto n° 2, ricco di contenuti poetici e disonorità dolci e mediterranee.La sua opera maggiore è La Leggenda di Sakùntala,di cui scrive personalmente il libretto, in prosa enon in versi, tratta dal dramma di Kalidasa:Abhijnanasakuntala risalente al 400 a.C. circa. .L’azione, ambientata nell’India primordiale.Testo e musica sono nell’opera fortemente com-penetrati e l’orchestrazione raggiunge uno sfarzo

lussureggiante. La prima rappresentazione è alTeatro Comunale di Bologna, il 10 dicembre del1921, ma la partitura originale andò distruttadurante la seconda Guerra mondiale. Sarà Alfanostesso a strumentarla nuovamente, sulla basedella riduzione per canto e pianoforte, ripropo-nendola nel 1952 al Teatro dell’Opera di Roma.Intraprende anche la carriera di insegnante:docente di composizione e direttore delConservatorio di Bologna tra il 1916 e il 1923,diventerà poi direttore del Liceo Musicale diTorino, carica che manterrà fino al 1939.Tra le tappe più importanti della sua vita c’è,paradossalmente, proprio l’incontro con un gran-de libretto di cui è chiamato a musicare il finale.Nel 1925 infatti, su richiesta di Toscanini, la fami-glia Puccini e l’editore Ricordi lo invitano a termi-nare la Turandot, capolavoro incompiuto diPuccini, morto l’anno precedente. Si tratta di unlavoro delicato: musicologi e musicisti hanno gliocchi puntati sul risultato. A questa parentesi seguono, tra il 1940 e il 1942,la Sovrintendenza al Teatro Massimo di Palermoe la cattedra di Studi per il teatro lirico alConservatorio di Roma. Ultimo incarico dellacarriera didattica è la direzione del LiceoMusicale di Pesaro dal 1947 al 1950.Il suo ultimo lavoro è il Cyrano de Bergerac del1936. Critica e pubblico ne apprezzano la ritrova-ta sobrietà dell’orchestra. Franco Alfano muore a San Remo, quasi dimenti-cato, il 27 Ottobre 1957.

Ma. E. La.

Tradizionalista e antilluminista in filosofia ed inpolitica, purista e classicista in estetica, questa lasintesi del carattere aristocratico e conservatore,a tratti sprezzante, di Carlo Gozzi.Amante del fantastico, nellesue Fiabe scritte tra il 1761 eil 1765, Gozzi risuscita nellesue opere teatrali le masche-re della commedia dell’arte,trasportandole nell’atmosfe-ra dei racconti per bambini.Vissuto a Venezia tra il 1720e il 1806, proveniva da unanobile famiglia decaduta eper tutta la vita dovettecombattere con le difficoltàeconomiche. Nonostantel’intensa e produttiva attivi-tà di letterato, Gozzi si rifiu-tò sempre di trarne guada-gno per una sorta di orgo-glio aristocratico.Nel 1747 fondò con il fratello Gasparol’Accademia dei Granelleschi, tra le istituzioni let-terarie più conservatrici della sua epoca. Fuaspro critico di Goldoni, al quale rimproveravaun difetto profondo di sensibilità morale: conte-

stava nelle opere del suo avversario “virtù evizi mal collocati, sovente il vizio trionfato-re”, la mancanza di idealità poetica e l’insuffi-ciente disciplina stilistica. Considerava

Goldoni come “unoscrittore, levatolo daldialetto veneto delvolgo, nel quale era dot-tissimo, da porre nelcatalogo dei più goffi,bassi e scorretti scrittoridel nostro idioma”. La vena poetica cheanima le Fiabe, rievocanostalgicamente unmondo rarefatto di sem-plice grazia e gentilezza,infantile e popolare, cuil’occhio di Gozzi sirivolgeva con sguardobenevolo e ironico e conil senso di rimpianto

tipico del “laudator temporis acti”. Questi sentimenti resero l’opera di Gozzi partico-larmente gradita all’Europa dell’età romantica ele Fiabe incontrarono l’apprezzamento di Goethe,Schiller, Schlegel e Madame de Staël, fino a

Wagner e ai De Goncourt. In Italia, tuttavia, il suosuccesso fu immediato quanto effimero.Tardiva, seppur fortunata, fu la ripresa di alcunedelle sue Fiabe più riuscite da parte del teatromusicale: pensiamo a L’amore delle tre melarance,rielaborata da Mejerchol’d per l’omonima operadi Profi’ev nel 1921, Turandot, ripresa da Busoni(1917) e Puccini (1926) .Le ambientazioni magiche ed esotiche popolatedi maghi e principesse offrivano, comprensibil-mente, uno spazio ricco di possibilità per il melo-dramma. E’ pur vero che gli argomenti fiabeschidelle opere di Gozzi, tratti dalle Mille e una notte edal Pentamerone del Basile, si appesantiscono avolte di ragioni satiriche e di spunti polemici, chefanno decadere sovente la fiaba dal poeticomondo irreale e fantastico in un pedantescoallegorismo. Un cospicuo gruppo di carte in gran parte ine-dite, appartenenti a Gasparo e Carlo Gozzi,individuato di recente da Fabio Soldini, notostudioso gozziano, è stato acquistato di recen-te dalla Biblioteca Nazionale Marciana diVenezia. Il materiale è in corso di riordino edinventario e sarà quindi disponibile per la con-sultazione solo tra alcuni mesi.

A. C.

Franco Alfano, autore del finale postumo

Storia di un compositore minore

Carlo Gozzi, autore della fiaba Turandot

Un aristocratico sedotto dal fiabesco

Franco Alfano

13TurandotIl GGiornale dei GGrandi EEventi

Commediografo, librettista, sceneggiatore, critico teatrale e registacinematografico, Giuseppe Adami è nato a Verona il 4 febbraio 1878.Fin da giovanissimo si dedica al giornalismo, collaborando con il

quotidiano veronese L’Arena e, dal 1913 come critico musicale a La Sera diMilano, città nella quale si è in quegli anni trasferito. Scrive circa una quarantina di commedie comico-sentimentali, delle qualialcune in dialetto veneto: I fioi de Goldoni (1905), El paese de l’amor (1907) conArnaldo Fraccaroli, Bezzi e basi (1915) in veneziano, mentre in italiano Lasorella lontana (1909), La capanna e il tuo cuore (1913), Pierrot innamorato (1914),Capelli bianchi (1915), quest’ultimaforse la migliore delle sue comme-die.I suoi lavori sono quasi tutti benaccolti dal pubblico per l’ottimi-smo borghese che le anima. Lecommedie sono, infatti, di untenue sentimentalismo, graziose epiacevoli per compostezza diespressioni e vaghezza colorita distile. Di esse, in buona parte recita-te da Dina Galli, particolare fortu-na ebbero Felicita Colombo (1935)da cui fu tratto anche un film nel1937 e Nonna Felicita (1936) in cui èrappresentata la conquista dellabuona società milanese da parte diuna Madame Sans-Gêne meneghi-na, l’arricchita salumaia Felicita. Giuseppe Adami ha scritto anchediversi libretti per opere, dei quali i più conosciuti sono La via della finestra(1919) per Riccardo Zandonai e quelli per Giacomo Puccini: La rondine(1917), Il tabarro (1918), Suor Angelica ed, in collaborazione con RenatoSimoni, Turandot (1926).Stretto amico di Puccini, cura nel 1928 il primo epistolario pucciniano e scri-ve due biografie del musicista, delle quali la maggiore è Il romanzo della vitadi Giacomo Puccini (1932). E’ anche autore di soggetti cinematografici e diun’azione coreografica Vecchia Milano per la musica di Franco Vittadini(1928).Muore a Milano il 12 ottobre 1946.

A. C.

Giornalista, critico teatrale, commediografo, regista di teatro e cinema,Renato Simoni finito il liceo, rimasto orfano di padre, deve lavorareanche per provvedere alla famiglia e comincia così quella che sarà la

sua brillante carriera di giornalista.Nato il 5 settembre 1875 a Verona, entra nel 1894 nel giornale veronese L’Adigedove assume anche l’incarico di cronista teatrale. Cinque anni dopo diventa cri-tico drammatico e letterario del quotidiano L’Arena e collabora a periodici umo-ristici firmandosi con lo pseudonimo di “Turno”.Nel 1899 si trasferisce a Milano come critico drammatico del Tempo, testata

che lascerà nel 1903 per passare alCorriere della Sera dove inizialmen-te si mette in luce con una serie dibrillanti corrispondenzedall’Oriente, articoli vari ed elze-viri di terza pagina, finché nel1914 sostituisce Giovanni Pozzanell’incarico di critico drammaticoche eserciterà con equilibrio e sot-tigliezza di gusto, fino alla morte. Simoni tiene, inoltre, la rubrica difondo dell’Illustrazione italiana e ladirezione della Lettura, ed è collabo-ratore dell’umoristico GuerinMeschino, della Domenica del Corrieree del Corriere dei piccoli.Durante la prima guerra mondialeorganizza al fronte il “Teatro del solda-to”(1917) e fonda e dirige La Tradotta,

giornale di trincea della terza armata.Notevoli i suoi scritti come critico su Shakespeare, sulla commedia italiana delCinquecento, sulla commedia dell’Arte, sul prediletto Goldoni e certi suoiritratti di commediografi, di attori, di critici come Gli assenti (1920), Ritratti(1923), Teatro di ieri (1938) e Uomini e cose di ieri (1952).Tra il 1902 e il 1910 scrive per la scena quattro commedie in dialetto veneto chevengono tutte interpretate dal sensibilissimo Ferruccio Benini: La vedova (1902),Carlo Gozzi (1903) , Tramonto (1906) e Congedo (1910). La sua prima commedia fu La vedova che riscosse discreto successo, comeCongedo. Successo che invece non ottennero i lavori Carlo Gozzi e Tramonto,mentre con indifferenza fu accolta il Matrimonio di Casanova (1910), la comme-dia scritta da Simoni in collaborazione con Ugo Ojetti. Opere per lo più origi-nali, intimiste, ricche di psicologia, talora anticipatrici di una drammaturgiamoderna. Del 1908 è la rivista Turlupineide, una piccante satira di personaggidella vita politica e letteraria, prima del genere in Italia e subito imitatissima.

Dalle commedie ai libretti

Nel 1910 scrive il libretto per l’operetta La secchia rapita, prima esperienza incampo librettistico proseguita poi con collaborazioni più impegnative. E’anche regista di memorabili spettacoli goldoniani e di classici comeShakespeare, Pirandello, Tasso, nonché autore di vari libretti d’opera:Madame Sans-Gêne (1915) per Umberto Giordano, Turandot (1926) realizzatoin collaborazione con Giuseppe Adami per Giacomo Puccini e il Dibuck perLodovico Rocca.La sua pungente visione critica appare nelle recensioni del Corriere della Sera,raccolte postume in 5 volumi sotto il titolo di Trent’anni di cronaca drammati-ca 1911-52 (1951-60), nelle Cronache della ribalta (1927) e nei commenti delgiorno Le fantasie del nobiluomo Vidal (1953).Nel 1939 è nominato accademico d’Italia e nel 1951 presidente del Circolodella Stampa di Milano.Lascia al museo della Scala la sua cospicua raccolta teatrale composta da40.000 volumi, collezioni di riviste, costumi, maschere, manifesti e altrioggetti di interesse teatrale.Muore a Milano il 5 luglio 1952 e nello stesso anno è commemorato alFestival di Venezia con La vedova.

Alice Calabresi

Giuseppe Adami Renato Simoni

Giuseppe Adami, Giacomo Puccini e Renato Simoni

I librettisti

Renato Simoni

14 TurandotIl GGiornale dei GGrandi EEventi

Giuseppe Adami,veronese dinascita (4 feb-

braio 1878), ma milane-se di adozione, è notoper aver legato il suonome a quello di gran-di compositori, tra iquali Giacomo Pucciniper il quale oltre adaltri lavori (LaRondine, Il Tabarro),con Renato Simoniadattò il testo di unafiaba di Carlo Gozzicome libretto dellaTurandot, messa inscena la prima voltaalla Scala di Milano il25 aprile del 1926. Molto apprezzato dallaborghesia meneghina,sulla quale scrivevabrillanti commedie,recitate in gran partedall’attrice più famosain quei tempi: DinaGalli, inizia la sua pro-duzione drammaticanel 1910. Critico musi-cale e teatrale per ilquotidiano veronese“L’Arena”, sceneggia-tore cinematografico ecommediografo, ilmondano, ma ancheschivo, Adami è autoredi una ricetta gastrono-mica realizzata perl’Istituto EditorialeItaliano nel 1932, pub-blicata in un deliziosovolumetto dal titolo LaTavola della Celebrità.Tra i “celebri” parteci-panti c’è anche SibillaAleramo, FilippoTommaso Martinetti,fondatore del movi-mento futurista,Riccardo Bacchelli ealtri famosissimi perso-naggi del mondo lette-rario, teatrale, artisticoe giornalistico dell’epo-ca. Nel testo, il librettista sicimenta con il “Baccalàalla Goldoniana”. Un“piatto” non certo faci-le per i nostri tempifrettolosi, ma per unbuon “gusto” letterario

e per quel positivodesiderio “mondano”di riscoprire i sapori“antichi”, merita diessere presentato. Adami scrive testual-mente: «Come è da tempostabilito che per fare lalepre in salmì occorreprima di ogni altra cosa lalepre, resta assodato cheper raggiungere la perfe-zione nel piatto che oraprepareremo, è necessarioprocurarsi il miglior bac-calà, da non confondersi,Dio ci scampi e liberi, colcomunissimo merluzzo. Consiglio senz’altro dirivolgervi a qualcheamico del Veneto perché, oda Verona o da Padova, daVicenza o da Venezia vispedisca questa materiaprima che già all’epocadella Repubblica si impor-tava dai mari del nord perla delizia dei Dogi, delleDogaresse e del popolo.

Bisogna subito confessareche il primo gesto per lapreparazione del baccalàalla goldoniana, è ungesto brutale e violento: ilbaccalà va battuto. Moltobattuto. Senza remissio-ne. Senza Scrupoli. Senzapietà. Ma compiuta que-sta prima operazione,quasi a sanare i livididelle percosse, si deponein un placido bagno d’ac-qua fresca e là si abbando-na per otto o dieci ore. E’con quella stessa acquache, successivamente, simette sul fuoco. Ma appe-na levato il bollore, lo sitoglie, e si incomincia ladelicata operazione dellaripulitura. Bisogna asso-lutamente che non riman-ga la più piccola lisca. Ibei pezzi morbidi e bian-chi che se ne traggono,più o meno interi o sbri-ciolati, si infarinano e simettono quindi nel sof-

fritto che avretepreparato in appo-sita casseruola. Inquesto soffritto -ricordatelo - consi-ste gran parte dellariuscita del piatto.E mettetevi bene intesta questa massi-ma fondamentale: ilbaccalà va moltocondito. Perciò, perun chilo di materiaprima, occorre nonmeno di un etto diburro e altrettantodi olio finissimo.Un po’ di cipollaprofumerà inizial-mente l’atmosfera.Ma il vero, il sano,l’irresistibile profu-mo si sprigioneràpiù tardi, indimen-ticabile.Procediamo nellapreparazione. Rimestando, dun-que, il baccalà nelsoffritto, vi siaggiunge un po’ diquell’acqua nellaquale ha levato ilbollore, e si chiudeermeticamente la

casseruola. Fate bollire il più lentopossibile, per quattro ore.Il segreto è questo: bolli-tura lunga e sommessa. Ametà bollitura aggiunge-rete cinque o sei acciughe,

prezzemolo finementetrattato, un po’ di pepe.Richiudete la casseruola.Di tanto in tanto, sorve-gliate, rimestate, sbricio-late i pezzi più grossi, inmodo che la bagna riescanello stesso tempo morbi-da e densa, e baccalà edintingolo fraternizzinopienamente. All’ultima mezz’ora di bol-litura, preparate la polenta.Non dimenticatevi, a cot-tura compiuta, di lasciarriposare senza fuoco il bac-calà nel tegame, per unadecina di minuti. Quelriposo darà la fusione clas-sica all’intingolo. Sedete a tavola. Servite.Polenta e baccalà viriconciliano con la crisidel Teatro italiano».

A cura diMichela Marini

Consigli gastronomici del librettista Giuseppe Adami

Una ricetta d’autore: Il Baccalà alla goldoniana

Giuseppe Adami

15TurandotIl GGiornale dei GGrandi EEventi

Alla fine dell’otto-bre 1880, Puccinilasciò la sua casa

toscana per andare a stu-diare al Conservatorio diMilano. Sostenne l’esamee scrisse alla madre:«Cara mamma per ora nonho ancora saputo nientedella mia ammissione alConservatorio, perché saba-to si aduna il Consiglio perdeliberare circa gli esamina-ti e vedere quali possonoammettere; i posti sonomolto pochi. Io ho buonesperanze avendo riportatopiù punti. Dica al mio caromaestro Angeloni che l’esa-me fu una sciocchezza, per-ché mi fecero accompagnareun basso scritto di una riga,senza numeri è facilissimo,e poi mi fecero svolgere unamelodia in re maggiore, chemi riuscì felicemente. Basta,è andata anche troppo bene!...Vado spesso dal Catalaniche è gentilissimo...La seraquando ho palanche vado alcaffè, ma passano moltissi-me sere che non ci vado per-ché un ponce [sic] costa 40centesimi. Però vado a lettopresto, mi stufo a girare su egiù per la galleria. Ho unacameretta bellina, tuttaripulita con un bel banco dinoce a lustro che è unamagnificenza. Insomma cisto volentieri. La fame nonla pato. Mangio maletto, mami riempio di minestronibrodo lungo e...seguitate!La pancia è soddisfatta....».In una successiva letteraancora alla madre, il gio-vane artista raccontava lasua giornata: «Ieri hoavuto la seconda lezione diBazzini e va benissimo...Misono fatto un orario cosìdisposto. La mattina mi alzoalle otto e mezza, quando ciho lezione, vado. In casodiverso studio un po’ di pia-noforte...Seguito: alle dieci e1/2 faccio colazione, poiesco. All’una vado a casa estudio per Bazzini un paiod’ore; poi dalle tre alle cin-que via daccapo col piano-forte, un po’ di lettura dimusica classica...Alle cin-

que vado al pasto frugale(ma molto di quel frugale!) emangio minestrone allamilanese, che per dire laverità è assai buono. Nemangio tre scodelle, poiqualche altro empiastro; unpezzetto di cacio coi bei e un

mezzo litro di vino. Dopoaccendo un sigaro e me nevado in Galleria a fare unapasseggiata in su e in giù,secondo il solito. Sto lì finoalle nove e torno a casa spie-dato morto. Arrivato a casafaccio un po’ di contrappun-to, non suono perché lanotte non si può suonare.Dopo infilo il letto e leggosette o otto pagine di unromanzo. Ecco la miavita!...».La vita di Puccini studen-te assomiglia a quella ditanti suoi colleghi, dallaprovincia arrivati nellagrande città, armati solodel talento e della deter-minazione. In tasca pochisoldi. Stomaco costante-mente vuoto, o quasi.Sembra di rivivere nellarealtà le storie di Rodolfo,Marcello, Schaunard eColline i quattro sfortu-nati artisti di Bohème.Casa e scuola, combattutifra una realtà certamentedifficile e il sogno di unacarriera ancora tutta daconquistare e da vivere.Puccini, come Mascagni,come Leoncavallo siaccontentava, limitava ibisogni a quelli stretta-mente necessari. Quandoera tentato dai ricordi

della cucina lucchese, sirivolgeva alla madre:«Avrei bisogno di una cosa,ma ho paura a dirgliela, per-ché capisco anch’io Lei nonpuò spendere. Mi stia a sen-tire, è roba da poco. Siccomeho una gran voglia di fagio-

li (anzi un giorno meli fecero, ma non lipotei mangiare acagione dell’olio chequi è di sezamo dilino!) dunque dice-vo...avrei bisogno diun po’ d’olio, ma diquello nuovo. La pre-gherei di mandarmeneun popoino....».A Milano si era crea-ta una «colonia»toscana. Artistibuontemponi dallabattuta facile e dalsorriso sempre pron-

to. Luogo di riunione,l’Excelsior, una modestatrattoria toscana: «DaPuccini a Mascagni fino aipiù ignoti maestri paesanisparsi oggi giorno perl’Italia e all’estero...oquali maestri di cap-pella in qualche ignotovillaggio, tutti i giova-notti etruschi che stu-diavano alConservatorio nonmancavano mai. Vifaceva signorilmentequalche rara appari-zione in cerca di unamico o di un concit-tadino, oppure unapietanza casalinga,Alfredo Catalani, sem-pre pallido, elegante,modesto e melanconico,sobrio di parole e di gesto,freddo, ma garbato e signo-rile...Quando c’era bisogno diuna voce schietta, di unvocabolo nuovo, di una fra-settina viva che non facesseuna grinza, si andavaall’Excelsior dove il puzzodi cucina, quello che labuona anima di RaffaellinoFornaciari, già insegnanted’italiano al Liceo Lucca,sua città nativa, avrebbechiamato leppo, tappava ilnaso. Tutti mangiavano e

bevevano e nessuno, Dio ciliberi, si dava il pensiero dipagare....A nessuno saltavamai in mente di tirar fuoriun centesimo; e Gigi, ilpadrone, onorato da tantafiducia dimostrava la suagratitudine in due maniere:segnava a libro e teneva amente. Quando per casocapitava qualche novizio ilquale per ignoranza o perinavvertenza pagava subito,la “Laringe Etrusca” - ilbollettino manoscritto deiclienti dell’Excelsior - usci-va fuori il giorno dopo conqueste poche ma significantirighe della cronaca artisticateatrale: “Ieri all’Excelsior èavvenuto un putiferio. Unapersona forse affatto ignaradegli usi e dei costumi diquel ritrovo, dopo aver man-giato una bistecca alla fio-rentina, ha osato impruden-temente di volerla pagare.Questo incidente spiacevole,senza precedenti, per buonafortuna non ha avuto lut-tuose conseguenze”».

Le difficoltà per Puccinisi protrassero per diversianni. Ancora il 30 aprile1890 scriveva al fratello:«...Qui c’è un gran fermen-to per il primo maggio. Tuttigli operai fanno sciopero.Io... vado in campagna.Stanotte ho lavorato finoalle tre e dopo ho cenato conun mazzo di cipolle..». Poi,finalmente, nel 1893,Manon Lescaut diedenotorietà, fama e benes-sere al Lucchese che potèrientrare da vincitore

nelle sue terre dove prati-cò tutta la vita, ogni voltache la musica glielo con-sentiva, la caccia e lapesca.Il tono nelle sue letterecambia. Si legga laseguente indirizzata daTorre del Lago al libretti-sta Luigi Illica, il 4 agostoappunto del 1893:«...Pomè mi ha scritto chetu forse verrai a Lucca. Incasa mia, qui, esistono lettisoffici, polli, oche, anitre,agnelli, pulci, tavoli, sedie,fucili, quadri, statue, scar-pe, velocipedi, cembali, mac-chine da cucire, orologi, unapianta di Parigi, olio buono,pesci, vino di tre qualità(acqua non se ne beve), siga-ri, amache, moglie, figli,cani, gatti, rhum, caffè,minestre di varie forme, unascatola di sardine andate amale, pesche, fichi, duelatrine, un eucaliptus,pozzo in casa, una scopa,tutto a vostra disposizione(eccetto la moglie)...». In quegli anni si fecerostretti i rapporti fraPuccini, Illica, Giacosa(suoi collaboratori perBohème, Madama Butterflye Tosca) e naturalmenteGiulio Ricordi, il suogrande editore.Proprio a Ricordi nell’ot-tobre 1895, Puccini inviòuna certa quantità difagioli con la ricetta percucinarli: «Carissimo sig.Giulio, riceverà un poco difagiuoli... sono di quellistraordinari e si cuocionocosì: si mettono al fuoco inacqua fredda (l’acqua deveessere una dose giusta, nètroppa nè poca) devono bol-lire due ore a fuoco lento equando sono cotti non deverestarci che 3 o 4 cucchiai dibrodo. Ergo, attenzione alladose dell’acqua.N.B. Quando si mettono alfuoco bisogna aggiungere 4 o 5foglie di salvia, 2 o 3 teste d’a-glio intere, sale e pepe e quan-do sono (i fagiuoli) a mezzacottura metterci un poco d’olioa bollire insieme...».

Ro. Io.

Nei primi, goliardici, anni di studi del compositore lucchese

Fagioli e minestrone per Puccini

Giacomo Puccini ai tempi del soggiorno milanese

Albina Magi Puccini , madre di Giacomo