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All’Interno NEWS: Mercato a dicembre Il 2014 chiude in attivo | Suzuki ritorno di Katana e Gamma? | N. Cereghini I vigili di Roma, di Milano, e noi | MOTOGP: N. Cereghini intervista Guido Meda | Aspettando DopoGP Livio Suppo (HRC) Numero 181 13 Gennaio 2015 71 Pagine Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine Prova Cross Kawasaki KX250F 2015 Speciale Dakar 2015 Cronache, classifiche, interviste e storia. Lo speciale in diretta Novità KTM, l’erede della SM-T in dirittura d’arrivo. Sarà 1290 | PROVA SU STRADA | YAMAHA MT-09 TRACER da Pag. 2 a Pag. 15

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All’InternoNEWS: Mercato a dicembre Il 2014 chiude in attivo | Suzuki ritorno di Katana e Gamma? | N. Cereghini I vigili di Roma, di Milano, e noi | MOTOGP: N. Cereghini intervista Guido Meda | Aspettando DopoGP Livio Suppo (HRC)

Numero 18113 Gennaio 2015

71 Pagine

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Prova CrossKawasaki KX250F 2015

Speciale Dakar 2015 Cronache, classifiche, interviste e storia. Lo speciale in diretta

NovitàKTM, l’erede della SM-T in dirittura d’arrivo. Sarà 1290

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YAMAHA MT-09 TRACER

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L’EREDE DELLA TDM È ARRIVATA

Con la Yamaha MT-09 Tracer versatilità e divertimento vanno di pari passo. Una moto completa, comoda e

dalle prestazioni entusiasmanti, a un prezzo interessante: 9.590 euro con ABS e controllo di

trazione. E’ scomoda la regolazione del cupolinodi Francesco Paolillo

Foto A. Barbanti – Herny Stern Francesc Montero – Jonathan Godin

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Yamaha MT-09 Tracer Prezzo 9.590 €PREGI Rapporto prezzo-dotazione DIFETTI Sistema di regolazione parabrezza

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S i può considerare l’erede della TDM che tanto succes-so ebbe negli anni novanta, cambia il nome, acquista un cilindro, ma concettualmente è molto simile. A differenza

delle versioni precedenti, che erano modelli a sé stanti, e non derivavano quindi da moto esi-stenti, la MT-09 Tracer è parte di un progetto che nasce con la nuda MT-09, con cui condivide la piattaforma, cioè ciclistica e propulsore, e ben il 70% delle componenti. Il successo di vendite della MT-09 che ha raggiunto il ragguardevo-le traguardo di 12.000 moto consegnate, delle quali 1.800 in Italia, 2.200 in Germania e 3.700 in Francia, fa ben sperare a Yamaha anche per questa versione Touring. Un modello che si po-siziona all’interno della gamma Yamaha, tra

le enduro stradali (Super Tènèrè) e le naked sportive o semi-carenate (FZ1), coniugando alla perfezione versatilità e divertimento di guida. Ri-spetto alla naked MT-09, che ha nel minimalismo una delle sue caratteristiche peculiari, la Tracer vuole essere più versatile e maggiormente vo-tata al turismo, anche in coppia. Senza apparire goffa e voluminosa, la tricilindrica giapponese è dotata di una carenatura anteriore rastremata e sfuggente, con un cupolino regolabile (su tre posizioni differenti senza l’uso di attrezzi), che sulla carta garantisce una discreta protezione aerodinamica. I gruppi ottici sfruttano la tecno-logia LED sia per le spigolose luci diurne anteriori sia per quelle posteriori, mentre la destinazione turistica della Tracer viene messa in risalto dalla possibilità di personalizzazione della posizione di guida, grazie alla sella regolabile in altezza,

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su due differenti posizioni (845/860 mm), e al manubrio regolabile in senso longitudinale, at-traverso supporti che possono essere ruotati. Non mancano inoltre la presa di corrente a 12V e il cavalletto centrale, insostituibile quando si deve fare manutenzione alla catena di trasmis-sione, ma anche quando si carica di tutto punto la moto. Eccellente a quanto dichiara la casa co-struttrice, l’autonomia di viaggio, che si attesta poco al di sopra dei 300 km, grazie al serbatoio da 18 litri, e quindi 4 in più rispetto alla versione naked.

AccessoriLa connotazione turistica della Tracer è sottoli-neata dalla possibilità di montare un set di borse, un supporto per il navigatore e un kit di mano-pole riscaldate, mentre l’aspetto ludico si può enfatizzare montando uno scarico Akrapovic, e

magari le leve dei comandi al manubrio ricavate dal pieno o le protezioni motore. I colori disponi-bili sono tre: Matt Grey; Race Blu; Lava Red.Motore e ciclistica La MT-09 Tracer condivide il motore con la MT-09, quindi ritroviamo il tre cilindri da 847 cc, che eroga 115 cv (84,6 kW) a 10.000 giri, con una corposa coppia di 8,5 kgm (87,5 Nm) a 8.500 giri, che adesso vengono te-nuti a bada da un controllo di trazione TCS (Trac-tion Contol System), disinseribile all’occorrenza, mentre il sistema anti bloccaggio ABS è di serie.Confermata la possibilità di scegliere fra tre map-pe motore differenti, come sulla versione naked, grazie al D-Mode di serie, che consente di impo-stare la mappa Standard, oppure la più “reattiva” A, o la conservativa B. Il motore a tre cilindri è al-loggiato in un telaio a diamante con piastre pres-sofuse in alluminio, che si differenzia da quello della versione naked, solo per il telaio reggi sella,

più lungo e robusto, e quindi adatto a sopportare carichi maggiori. Le sospensioni sono le stesse della MT-09, ma la taratura è specifica per la Tracer, e in ogni caso è possibile intervenire sul precarico e l’estensione della forcella, così come sul precarico del mono, che purtroppo manca di un pomello per svolgere tale operazione, e quin-di è necessario adoperare una chiave adeguata. Nulla cambia anche nell’impianto frenante, che prevede una coppia di dischi da 298 mm davanti e un singolo da 245 mm posteriore, con pinze ri-spettivamente a quattro e due pistoncini, il tutto tenuto sotto controllo dall’ABS.

On the roadTrovare la posizione di guida ideale sulla Tra-cer è certamente facile, in questo aiuta la possibilità di alzare e abbassare la sella a

piacimento (845/860 mm), operazione tutt’al-tro che complicata e che si riesce a fare senza l’ausilio di attrezzi. Più complicato il sistema di regolazione del cupolino, che obbliga a posizio-narsi davanti alla moto per raggiungere le due rotelle di sgancio in maniera appropriata, se in-vece si vuole compiere la manovra mentre si sta seduti in sella, per prima cosa è necessario to-gliersi i guanti, ed è poi consigliabile disarticolarsi i polsi! A differenza delle rotelle per la regolazio-ne del cupolino, il resto dei comandi è facilmente raggiungibile e anche con i guanti invernali non ci sono problemi a selezionare i menù sul display. La strumentazione è presa in prestito dalla Su-per Tènèrè, e si distingue per la buona leggi-bilità e la completezza d’informazioni, più che per il design. Nel display di sinistra sono visua-lizzati il contagiri e il tachimetro, oltre al livello

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carburante, in quello di destra invece si posso scorrere (con l’utilizzo di un comodo tasto sul blocchetto sinistro) le informazioni riguardan-ti il consumo medio e istantaneo, temperatura aria e liquido, orologio e durata del viaggio. Le temperature rigide che caratterizzano le prime ore del mattino in questa zona dell’Andalusia, ci avrebbero fatto apprezzare le manopole riscal-date optional, ma i paramani deviano sufficien-temente l’aria dalle mani, discreto anche il lavo-ro del rastremato plexiglass, che protegge dal vento solo il busto, lasciando le spalle e il casco, esposti (anche nella posizione più alta). Quello che impressiona della Tracer è la confidenza che regala sin da subito, sarà il peso contenuto, di-chiarato in 210 kg in ordine di marcia con il pieno (190 a secco), o i comandi dalla modulabilità ec-cellente, che esaltano il comportamento del tre

cilindri, la Tracer va via che è un piacere. Siete in modalità total relax? No problem, metti la sesta e vai, sono infatti consentite le piene aperture di gas anche da regimi poco superiori a quelli del minino, 1.100/1.200 giri. Se invece volete godere dell’aspetto ludico della tre cilindri di Iwata, non ci sono indugi da parte sia del motore che spinge in modo corposo fino a 7.000 giri, e in maniera aggressiva dai 7 ai 10.000, sia dalla ciclistica che si lascia strapazzare per benino senza mostrare il fianco a critiche particolari. Il posizionamen-to della Tracer al centro della gamma Yamaha, esattamente tra le grosse enduro stradali e le sportive naked e semi carenate, emerge chilo-metro dopo chilometro. Comoda macina chi-lometri, si trasforma in tempo zero in fun bike, senza il carattere a volte bizzoso della MT-09, da cui si differenzia anche per la scomparsa totale

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del fastidioso effetto on/off nel chiudi-apri del comando del gas. Il motore tre cilindri, ampia-mente lodato sulla MT-09 è ancora più gustoso e piacevole su questa Tracer, le mappature svilup-pate specificatamente per questa moto hanno sortito un effetto positivo. Poco meno aggressi-vo e arrabbiato, il motore della Tracer si dimostra incredibilmente fluido e lineare nell’erogazione della coppia, con capacità di ripresa notevole, e perfettamente in sintonia con il comportamen-to stradale della Tracer, che sa essere stabile e precisa sul veloce, tanto quanto riesce ad essere agile e reattiva nello stretto. L’appoggio è sem-pre sicuro, anche quando il grip dell’asfalto met-te in difficoltà le pur ottime Dunlop D222 di primo equipaggiamento, nelle misure 120/70 e 180/55 montate su cerchi da 17 pollici. In tali situazio-ni non si può che lodare l’ottimo controllo di

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trazione, che si distingue per la linearità di fun-zionamento quando contrasta le perdite di ade-renza in uscita di curva.

ConclusioniI numeri per riscuotere un bel successo, la MT-09 Tracer li ha tutti. Numeri legati alle presta-zioni, ma anche al prezzo, sicuramente interes-sante vista anche la dotazione tecnica. Pronta a soddisfare chi pur cercando la versatilità di utilizzo, non vuole per forza sedersi su una moto ingombrante e sovrappeso, e che all’occorrenza sappia anche regalare emozioni di guida quasi da naked sportiva.

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Casco Caberg ModusGiacca Dainese Carve Master Gore-TexGuanti Dainese Full Metal RSStivali Dainese Nighthawk C2 Gore-Tex

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OYamaha MT-09 Tracer 9.590 euro

Tempi: 4Cilindri: 3Cilindrata: 847 ccDisposizione cilindri: in linea, trasversaleRaffreddamento: a liquidoAvviamento: EPotenza: 115 cv (84.6 kW) / 10000 giriCoppia: 8.9 kgm (87.5 Nm) / 8500 giriMarce: 6, cambio meccanicoFreni: DD/D Misure freni: 298/245 mmMisure cerchi (ant./post.): 17’’ / 17’’Normativa antinquinamento: Euro 3Lunghezza: 2160 mmLarghezza: 950 mmAltezza sella: 1645 mmCapacità serbatoio: 18 lSegmento: Naked

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ALLUNGO ESAGERATO

Sale, sale, sale! Il piccolo motore della KX è davvero inesauribile, ha una bella schiena a metà e in alto ha

tutta la potenza che serve e un allungo esagerato. Molto stabile, dura a partire la forcella

di Andrea PerfettiFoto Luca Braguti

PROVA MOTOCROSS

Kawasaki KX250F 2015 PREGI Motore al top e ciclistica stabile DIFETTI Forcella dura a partire Prezzo 8.260 €

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L a Kawasaki KX250F è tra le quar-to di litro più desiderate dai gio-vani crossisti. Il merito è tutto della solida fama che si è costru-ita nei campionati di ogni livello nel passato più recente. Anno

dopo anno, con un costante affinamento di ogni componente, la KX250F è arrivata a porsi nella rosa delle migliori 250 4 tempi già nella configu-razione standard. Detto in altre parole: la compri così com’è e ti schieri senza troppe menate al cancelletto del regionale. Il motore ha tutta la po-tenza che serve per emergere anche sui terreni morbidi, che assorbono cavalli come spugne. La ciclistica è quella nota e apprezzata degli ultimi anni, sempre stabile sul veloce, ma anche agile nel curvare sullo stretto senza appoggio. Vedia-mo nel dettaglio cosa cambia nel modello 2015 della 250 più titolata nella serie AMA del Super-cross e Motocross National in Nord America.

Nel motore è nuovo il pistone, ancora più legge-ro per girare a regimi altissimi (consentiti anche dal rapporto super quadro di alesaggio e corsa pari a 77 x 53,6 mm). Sono rivisti i due iniettori, che nebulizzano meglio la benzina ai medi regi-mi; il corpo farfallato Keihin da 43 mm ha poi un comando migliorato nella progressione per otti-mizzare il flusso d’aria. Come sulla 450 usata in gara da Ryan Villopoto, anche la KX250F offre di serie il launch control e le tre mappe del motore. Il primo, selezionabile con un tasto sul manu-brio, imposta una mappa del motore che limita le perdite di aderenza dovute all’eccessivo pat-tinamento ritardando l’accensione. Funziona in prima e seconda marcia e si disattiva appena si inserisce la terza. Le tre mappe possono essere scelte semplicemente cambiando lo spinotto po-sto sul trave destro del telaio in alluminio. C’è la standard, la hard per terreni duri (che addolcisce l’erogazione) e la soft per terreni morbidi, che dà

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l’erogazione di potenza più pronta. Cambia an-che la forcella da 48 mm, sempre del tipo con funzioni separate SFF, ma ora di seconda gene-razione; secondo la Casa di Akashi risulta miglio-rata nello scorrimento. Nello stelo sinistro ospita l’idraulica, in quello destro la molla singola rego-labile nel precarico. In compressione si hanno 22 click, in estensione 20 click, mentre il precarico molla ne presenta 40. Kawasaki ha rivisto anche la sospensione Uni-Track, che ha nuove taratu-re e un link inferiore inedito che allunga l’escur-sione. Il mono è interamente regolabile in com-pressione sia alle alte che alle basse velocità. Confermati il telaio e il forcellone in alluminio, i cerchi anodizzati neri, mentre è implementata la possibilità di regolare la posizione in sella. Si può infatti variare l’attacco del manubrio, così come quello delle pedane.

Si tratta di un vantaggio di grande rilievo, che consente alla KX di accogliere piloti dalla statura anche medio/alta senza grossi problemi. Il peso della moto è di 106 kg, compresi 6,1 litri di ben-zina. I pneumatici misurano 80/100-21 davanti e 100/90-19 dietro. Chiudiamo il capitolo novità con i freni. Sulla Kawasaki KX250F 2015 debutta il gigantesco disco anteriore da 270 mm di dia-metro, mentre al posteriore è confermata l’uni-tà da 240 mm. La verdona costa 8.260 euro, un prezzo che la posiziona nella fascia alta del seg-mento 250 4 tempi, giustificato però dalla dota-zione della moto e dal ricco kit ricambi a corredo della moto (il suo valore supera i 1.300 euro e comprende: pignone, corona e catena; dischi fri-zione, pistone con fasce elastiche e spinotto, fil-tro olio, pedale cambio, pedale freno, leva freno, leva frizione, pastiglie freni, filtro aria).

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La nostra prova in pistaStabile sul veloce e con una gran bel motore. Così ci ricordiamo la KX delle passate stagioni. E la prova in pista a Lodi ci conferma subito que-sto feeling con la verdona. Il telaio è infatti quel-lo che conosciamo e apprezziamo. È rigoroso e stabile sul veloce, ma risulta anche molto man-geggevole nello stretto. La KX curva infatti come un razzo anche dove manca il minimo appoggio e tiene bene la traiettoria impostata. Dietro il mono risulta sempre un po’ seduto, ma questa caratteristica non dà fastidio, migliora anzi la tra-zione senza innescare un fastidioso sottosterzo quando si scaricano i cavalli. La frenata del nuo-vo discone da 270 mm è molto potente, ma non è per questo brusca. Per ottenere il meglio la leva

va strizzata per bene e in questo si dimostra un filo meno pronta rispetto all’impianto della Hon-da CRF. Le sospensioni sono valide sul veloce e sui grandi salti, mentre la forcella è dura a parti-re e fatica a copiare le piccole sconnessioni so-prattutto quando si cala il ritmo. La Showa SFF è invece perfetta quando si affrontano le rampe più toste con decisione. La KX250F è infatti una moto maschia, da guidare con decisione e ag-gressività: più osi e più la Kawasaki risponde con una guida precisa e sicura che invita a buttare a terra tutti i cavalli del motore. E sono davvero tanti! Il motore bialbero è superlativo e si con-ferma al top tra i 250 del 2015: è regolare sotto, mentre agli alti non smette di crescere mai, sca-ricando una grande potenza sul terreno. Accetta

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il cambio marcia anche quando non è ancora a pieni giri e si scatena in un allungo esagerato che consente di tenere il rapporto senza smanettare troppo col cambio. Le tre mappe permettono di avere la giusta erogazione per i diversi terreni di gara; noi ci siamo trovati bene con quella stan-dard che regala il compromesso ideale tra la ri-sposta dell’acceleratore e la trazione sui diversi fondi.

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Casco AirohCompleto UFO PlastStivali TCX Boots

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Kawasaki KX 250 F 8.260 euro

Tempi: 4Cilindri: 1Cilindrata: 249 ccRaffreddamento: a liquidoAvviamento: PMarce: 5, cambio meccanico, retromarciaFreni: D/D Misure freni: 252/240 mmMisure cerchi (ant./post.): 21’’ / 19’’Normativa antinquinamento: Euro 3Peso: 106.2 kgLunghezza: 2170 mmLarghezza: 820 mmAltezza sella: 1250 mmCapacità serbatoio: 6.1 lSegmento: Cross

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KAWASAKI VERSYS 650 E 1000 2015IL VIDEO DELLA NOSTRA PROVAdi Edoardo Licciardello | Torniamo in sella alle due crossover di Akashi a qualche settimana dalla nostra prova, per raccontarvele attraverso il video girato in quell’occasione

S iamo tornati decisamente entusiasti dal test delle due Kawasaki Versys 2015 – la 650 e la 1000 – lo scorso mese in Sicilia. Entrambe si sono di-

mostrate migliori delle versioni precedenti, già ottime, e grazie alle condizioni meteo non sem-pre ideali hanno messo in mostra doti di versa-tilità, solidità ed accessibilità sicuramente non banali. Cogliamo l’occasione di rinfrescarci la memoria grazie al video che abbiamo realizzato in occasione del lancio stampa, che vi ripropo-niamo a distanza di qualche settimana.

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KTM, L’EREDE DELLA SM-T IN DIRITTURA D’ARRIVOdi Edoardo Licciardello | La foto del prototipo conferma l’ormai prossima uscita della crossover austriaca

T utti hanno notato la dismissione del-la SM-T dal listino KTM nonostante a Mattighofen si siano (giustamente) ben guardati dal pubblicizzarlo. Le

attese per una versione spinta dal propulsore 1190 sono però finora andate deluse, gettando nella disperazione i fan più accaniti della riusci-tissima crossover KTM. La consolazione è dietro

l’angolo: gira infatti da qualche tempo l’immagine di quella che può essere soltanto l’erede della sto-rica “supermotard turistica” KTM. Con ogni pro-babilità spinta dal bicilindrico 1290 che già mo-torizza SuperDuke R e SuperAdventure, la nuova KTM va a scontrarsi frontalmente con le nuove proposte a guida alta e cerchio da 17” di BMW e Ducati, sulla scorta di un vantaggio prestazionale

News

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(la SuperDuke R vanta ben 180cv) che difficil-mente verrà eroso in questa versione. Difficile definire l’orizzonte del debutto di questa nuova SM-T, ma quello della foto sembra un esempla-re già in avanzato stato di sviluppo, quindi non andremmo sicuramente oltre i saloni autunnali 2015 per il suo debutto. Proviamo ad indovinare il nome, visto che non è possibile aggiungere il pre-fisso Super alla sigla della SM-T? Cosa ne dite di “SuperDuke T”?

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SUZUKI PENSA AL RITORNO DI KATANA E GAMMA?di Maurizio Gissi | Verrebbe da pensarlo notando che la casa di Hamamatsu ha recentemente registrato nomi e marchi già utilizzati in passato per importanti modelli sportivi. Che abbiano a che fare anche con la Turbo di cui si attende l’arrivo?

P ochi giorni fa abbiamo parlato dell’in-discrezione girata in Giappone che confermerebbe l’entrata in produzio-ne della Suzuki Recursion. La strada-

le sovralimentata, presentata al Salone di Tokyo di fine 2013 (foto sopra), che già mesi fa era sta-to lasciato intendere non sarebbe rimasta allo stadio di concept d’esposizione. Un’altra piccola notizia riguarda il costruttore nipponico, piccola

ma che lascia intendere la volontà di mantenere il fascino del passato per alcuni progetti futuri. Difficile anticiparne la portata ma ci piace pensa-re che non si tratti soltanto di modelli di piccola cilindrata destinati ai mercati emergenti. Suzuki ha registrato nuovamente il marchio e il nome Katana presso gli appositi uffici europei e sta-tunitensi. Sarebbe ben più adatto di Recursion, ci vien da dire, pensando alla futura bicilindrica

News

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Turbo. Le Suzuki Katana fecero la loro compar-sa all’inizio degli anni Ottanta, inizialmente sulle quattro cilindri 750 e 1.100 cc, ed erano caratte-rizzate da uno styling decisamente contro ten-denza rispetto alle stradali sportive dell’epoca. Un’estetica che fu molto apprezzato nel tempo per la sua originalità. Katana, nome della spada giapponese per eccellenza usata dai Samurai, venne dato da Suzuki ad altri modelli di 250, 400, 550 e 650 cc, oltre che a un paio di scooter. Nel 2001, per i 20 anni della serie Katana, venne pro-dotta una serie rievocativa siglata GSX-1100SR. Soltanto in Europa, per il momento almeno, Su-zuki ha registrato anche il simbolo Gamma, reso celebre dalle super sportive a due tempi intro-dotte sempre all’inizio degli anni Ottanta. Nome che venne aggiunto alle sigle RG e RGV, la più

celebre fu la quattro cilindri 500, la replica della moto da GP. Tuttavia con quella sigla Suzuki ha realizzato moltissime versioni sportive, dai 50 ai 500 cc, a partire dal 1983 e fino alla fine degli anni Novanta. Si trattava di moto spinte da viva-ci motori a due tempi, leggeri, potenti ma ormai spariti dalla produzione di serie a eccezione di al-cune applicazioni off-road. Il fatto che il simbolo Gamma non sia stato registrato negli USA, dove i due tempi sono di fatto banditi, farebbe pensa-re a un possibile abbinamento del nome Gamma a nuovi modelli così motorizzati? Crediamo sia un’ipotesi remota, va precisato non ci sono in-formazioni a riguardo, ma ci spiacerebbe vedere quel nome relegato a modelli di cilindrata medio piccola. Non ci resta che aspettare di saperne di più.

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MERCATO A DICEMBREIMMATRICOLATO A +9%. IL 2014 CHIUDE IN ATTIVO: +1,4%di Maurizio Gissi | Le vendite di dicembre, positive, hanno chiuso il 2014 con un +1,4% rispetto all’anno precedente. Ma se si sommano i ciclomotori all’immatricolato allora il dato 2014 diventa -1,5%. Dicembre ha sfiorato il +9%

I n leggero ritardo rispetto al solito, compli-ci le festività, sono arrivati i dati di vendita di moto e scooter nel mese di dicembre e con questi si può trarre il bilancio dell’an-

nata 2014. Un bilancio che non fa gridare al mira-colo, com’era già scritto nelle tendenze dei mesi precedenti, ma che almeno ha fermato l’emorra-gia nelle vendite del nuovo degli ultimi anni. Per questo ci piace guardare al bicchiere mezzo pie-no. L’immatricolato moto e scooter del 2014 ha raggiunto le 156.046 unità, pari al +1,4% rispetto al 2013. Ma se a questi dati si sommano le regi-strazioni dei ciclomotori – settore in costante e seria sofferenza – il saldo arriva a 182.733 veicoli venduti, pari a -1,5% nei confronti dell’anno pre-cedente. Il mercato 2014, tolti i ciclomotori, ha perciò conosciuto una lievissima ripresa (meno di due punti percentuali) tuttavia è giusto sotto-lineare l’importanza di questa piccola ma signi-ficativa inversione di tendenza. Perché va detto che il 2013 si era chiuso sì con 153.863 moto e scooter venduti, ma aveva perso il 20% rispetto al 2012 (-11% le moto e -24% gli scooter), addi-rittura il 25% se si tiene conto della commessa di Poste Italiane avvenuta proprio nel 2012. E il 2012, con 206.422 immatricolazioni, aveva chiu-so a -19% rispetto al 2011. Il 2014 vede quindi il segno positivo che mancava dal lontano 2007. Se ripresa vera ci sarà – e la faccenda è tutta da verificare - saranno comunque i primi mesi del 2015 a prevederlo. Sono state le moto a trainare

la crescita con 54.532 vendite e un +3,3%, men-tre gli scooter hanno sostanzialmente riconfer-mato i volumi dell’anno precedente con 101.514 veicoli e un +0,4%. E’ invece proseguita la cadu-ta dei cinquantini, con sole 26.727 registrazioni pari al -15,5%. Come dire che in un anno ne sono stati venduti quanti se ne acquistavano in due settimane nel periodo d’oro, ovvero nei primi anni Novanta... Il mese di dicembre appena con-cluso, mese che vale soltanto il 3% del merca-to annuale, ha visto le moto sostanzialmente in pareggio con 1.541 nuove immatricolazioni. Gli scooter sono invece cresciuti di 16 punti percen-tuali arrivando a 2.753 immatricolazioni. Il calo dei cinquantini è stato ancora una volta a doppia cifra: -11,7%, fermandosi a 1.093 registrazioni.

La Top 100 Moto del 2014In un mercato del comparto moto migliorato, non cambia sostanzialmente la segmentazione nelle differenti tipologie, al primo posto ci sono sempre le enduro stradali con 18.786 moto e un +7,3%. Ma le naked, dopo un 2013 in flessione, incalzano con 18.008 veicoli e una crescita a due cifre pari al +16,6% grazie soprattutto alle novità Yamaha della famiglia MT. Seguono a distanza le custom con 5.868 pezzi, sostanzialmente stabili, mentre le moto da turismo con 4.709 unità sono a -5,3% rispetto all’anno scorso. Le sportive si fermano a 3.388 immatricolazioni e perdono il 24% dei volumi, infine anche le supermotard

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con 2.591 pezzi scendono di un -22%. Passando all’analisi per cilindrata va osservata l’importan-te crescita delle moto oltre il litro di cilindrata: sviluppano i maggiori volumi con 18.509 imma-tricolazioni e un significativo +15,1%. Vale a dire che le moto oltre i 1.000 cc rappresentano il 34% del mercato moto: a ulteriore conferma che tiene lo zoccolo duro mentre manca il ricambio generazionale. A seguire sono stabili le 800-1000, con 13.107 vendite come l’anno scorso. Le 650-750, con 10.683 moto, mostrano una ripre-sa di +6,2%. Prosegue la caduta delle 600 che scendono sotto le 1.000 unità con solo 716 pezzi e un -64,4%. Buono invece l’andamento delle 300-500 con 5.845 unità e un +10,1%. Tra i 150 e i 250 ci sono 2.095 pezzi, pari a -4,5%. Le 125 restano in sofferenza con 3.177 vendite e -11,1%.

La Top 100 Scooter del 2014Passando all’andamento delle immatricolazioni degli scooter nel 2014 emergono due segmenti principali: la classe di accesso dei 125 e quella dei 300-500. I primi, con 33.811 unità e un +2,8%, sono seguiti da vicino dai modelli 300 e 500 con 32.665 unità e un risultato che vale un +2,7%. Perdono inve-ce volumi i modelli che vanno da 150 a 200, con 23.092 immatricolazioni (pari a -6,8%), mentre sono in ripresa i 250 con 4.009 vendite: il che si-gnifica un +15,1%. Prosegue la leggera flessione dei maxiscooter oltre 500 cc che hanno ottenuto nuove 7.937 immatricolazioni e quindi un contenuto -2,8% rispetto al 2013.

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La Top 100 assoluta del 2014Gli scooter valgono il doppio delle moto in termini di vendite, normale quindi trovarli ai pri-mi posti della classifica assoluta. Inoltre una tipi-ca caratteristica del segmento scooter è la mag-giore concentrazione attorno a pochi modelli di grande successo, mentre la preferenza fra le moto è maggiormante distribuita su di un nume-ro superiore di modelli, cilindrate e tipologie. Gli scooter a ruote alte la fanno sempre da padrone e in particolare svettano gli SH Honda. Due moto entrano nella Top Ten e sono entrambe enduro stradali: la BMW GS al settimo posto e la Hon-da NC-X al decimo. Seguono la GS Adventure al 19esimo e la prima naked (Yamaha MT-07) si piazza al ventesimo. Gurda tutte le classifiche Le 50 moto più vendute a dicembre 2014 Gli scooter più venduti a dicembre 2014 La Top 100 Moto del 2014 La Top 100 Scooter del 2014 La Top 100 assoluta del 2014

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VENDITA DELL’USATOBATTE IL NUOVO 3 A 1di Maurizio Gissi | Il cambiamento è in atto dal 2010: al diminuire delle vendite del nuovo sono aumentati i passaggi di proprietà. Una tendenza confermata nel 2014, nonostante il nuovo sia cresciuto. Ogni di 10 immatricolazioni ci sono 33 vendite dell’usato. Usato diventato ancora più strategico per le concessionarie

L e vendite di moto e scooter nel 2014 hanno segnato una leggera ripresa, passando a 156.046 unità e guada-gnando l’1,4% rispetto l’anno prece-

dente. Poca cosa. Si dirà, ma era dal 2006 che le vendite perdevano inesorabilmente quota. Sembra passato un secolo dall’anno 2000, quando si toccò il record assoluto nelle immatri-colazioni italiane con quasi 525.000 unità ven-dute. Quell’anno gli scooter registrarono la cifra record (anche questa di valore assoluto per il nostro Paese) di quasi 400.000 veicoli. Ora quel mercato si è ridotto di quattro volte: nel 2014 gli scooter sono stati poco meno di 102.000. Le moto, dal canto loro, sono andate un po’ meno peggio: dalle 161.000 del record assoluto - se-gnato nel 2006 - si è scesi alle 54.532 immatri-colazioni del 2014. La crisi degli ultimi anni non è stata soltanto italiana e non ha colpito soltan-to noi, in ogni caso il nostro mercato è molto cambiato nella sua composizione e soprattutto nei suoi utenti: i ciclomotori sono spariti (grazie soprattutto alle esose tariffe assicurative) e sta mancando il ricambio delle nuove generazioni. Sono molte le ragioni di questo cambiamento, ma questa – come si dice – è un’altra storia. Qui ci preme sottolineare l’importanza crescente del mercato dell’usato, che sottolinea – se mai ce ne fosse bisogno – come alla diminuita disponibilità economica non corrisponda l’abbandono di una

passione per la moto. Per quanto riguarda invece il settore scooter, qui si tratta di ribadire la sua importanza come arma anti traffico. Nel 2014 per ogni dieci immatricolazioni (il dato fornito dall’ACI mette somma alla voce motocicli gli sco-oter e le moto) ci sono stati 33 passaggi di pro-prietà: rispettivamente 156.046 e circa 540.000 passaggi di proprietà. Da questo numero sono già tolte le minivolture (ovvero la registrazione al PRA di un passaggio di proprietà di un veicolo a favore di un concessionario, ai fini della rivendita a terzi) e quindi si tratta di vendite nette di usati. O quasi, perché le immatricolazioni a chilometro zero esistono anche fra le moto, ma non certo con il peso che si registra nel settore dell’auto-mobile. Lo stesso rapporto di 3,3 a 1 di quest’an-no, fra usato e nuovo, c’era stato anche nel 2013. Dati forniti dall’ACI alla mano, messi a confronto con le statistiche di immatricolazione, racconta-no che in Italia l’usato ha conosciuto un forte svi-luppo fra il 2000, con circa 230.000 passaggi di proprietà, fino al 2007 quando è stata superata la cifra di 600.000 trapassi. Nell’anno 2000 per ogni 100 immatricolazioni c’erano 47 passaggi di proprietà. Nel 2002 si era raggiunto il pareggio fra vendite del nuovo e dell’usato e nel 2005 (con un rapporto di 1,14 a 1 a vantaggio dei passaggi di proprietà) la forbice ha iniziato ad aprirsi. Fra il 2006 e il 2008 la somma di nuove immatri-colazioni e di passaggi di proprietà superava il

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milione l’anno. E ancora nel 2009 valeva ben 978.000 unità. Nel 2009 il rapporto nel merca-to moto e scooter era: 10 nuovi motocicli per 14 usati. Nel 2014, a fronte di un mercato di quasi 700.000 unità fra nuovo e usato il rapporto è appunto confermato in 10 nuovi mezzi e 33 pas-saggi di proprietà. Corrado Capelli, presidente di Confindustria-Ancma, pochi giorni fa ha fatto presente che: «Su 8 milioni e mezzo di veicoli a due ruote circolanti in Italia, ne abbiamo oltre 5 milioni e mezzo che superano i 10 anni d’età, pari al 65%». Dal grafico in alto si può notare come il mercato dell’usato (linea in colore blu) sia ca-lato a partire dal 2007 ma in maniera contenuta (attorno al 10%), mentre quello del nuovo ( linea rossa) nello stesso periodo è crollato di oltre il 60%. Quindi la sua influenza ha determinato

diverse politiche di vendite da parte delle con-cessionarie, che ormai ritirano un usato pratica-mente per ogni vendita. Le radiazioni (in verde), che riguardano l’intero parco circolante pari a circa 6,5 milioni di motocicli, dal 2007 al 2014 hanno conosciuto un aumento medio del 9-10% e in cifre assolute pesano meno delle sole nuove immatricolazioni (circa il 70%), mentre fra le au-tomobili raggiungono lo stesso valore. Come già sottolineavamo l’anno scorso, oltre alla sua com-posizione è mutato il valore in danaro del mer-cato della moto, cambiando l’area di azione delle concessionarie. E’ nell’usato, oltre che nell’assi-stenza, che le concessionarie hanno le migliori possibilità di lavoro e guadagno. Tenuto poi con-to che i margini di ricavo sul nuovo, visti gli sconti sempre in atto, sono generalmente modesti.

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NICO CEREGHINII VIGILI DI ROMA, DI MILANO, E NOIA Roma si danno malati la notte di Capodanno, sono tanti e forse poco attivi. A Milano sono la metà e secondo le statistiche multano il doppio. Ma in tutti i casi la sicurezza delle città sembra essere l’ultima preoccupazione

rezza di una città siano diretta-mente proporzionali al numero delle contravvenzioni contesta-te. Noi verifichiamo tutti i giorni che nella nostra città c’è una lotta senza quartiere alle soste vietate, fino al punto di multare anche una moto parcheggiata sul marciapiede e che non in-tralcia nessuno; e abbiamo vi-sto piazzare decine di nuovi au-tovelox con limiti assurdi, tipo i cinquanta orari su certe super-strade a due corsie o i settanta all’ora in tratti autostradali a tre e persino quattro corsie come sul cavalcavia del Ghisallo, dove nel solo mese di maggio sono stati colpiti 70.000 utenti. E in-vece non ci capita mai di vedere un tutore dell’ordine interessar-si ai cellulari appiccicati all’o-recchio di moltissimi automobi-listi; né li vediamo contestare i ciclisti che circolano a manetta sui marciapiedi e sulle strisce pedonali, o i padri che traspor-tano i bambini senza i seggio-lini specifici, o i camion che scaricano le merci dai pianali senza segnalare il pericolo de-gli spigoli taglia-teste. E potrei citare decine di altre situazioni altrettanto gravi, ma mi preme soprattutto dire che a Milano più che altrove, certamente per scelta degli amministratori e non dei singoli vigili, si fanno tante multe ma non si fa sicu-rezza. Si fa semplicemente cas-sa. E la si fa con il minimo sforzo (tanti ausiliari a infilare verbali sotto i tergicristalli e tanti auto-velox da scaricare con calma) e

C iao a tutti! La notte di C a p o d a n -no è stata t e r r i b i l e per i vigili

di Roma: ottocentotrenta dei mille di turno, colpiti da un’im-provvisa indisposizione, sono rimasti a casa invece di anda-re a lavorare. La cosa ha fatto scandalo, certamente ne avete sentito parlare sui giornali e in televisione. Che la si possa qua-lificare semplicemente come assenteismo oppure sia stata

una forma di protesta contro il sindaco Marino -colpevole, pare, di aver eliminato la “mag-giorazione notturna” che prima della sua nomina scattava a partire dalle 16- resta il fatto che numeri del genere sono clamo-rosi. Sergio Rizzo, sul Corriere.it, ha fatto un po’ di confronti interessanti sul tema vigili. Riz-zo scrive che Roma dispone di oltre seimila agenti di polizia locale contro i tremila circa di Milano, e mentre ogni vigile del-la capitale eleva mediamente 154 contravvenzioni all’anno, il

“ghisa” milanese ne fa 370. In-somma, contro la bellezza di 79.870 multe distribuite a Mi-lano direttamente dai vigili, a Roma se ne fanno solo 29.000 e rotti con il doppio degli agen-ti di polizia locale. Ed è qui, sul punto della produttività dei vi-gili, che voglio fermarmi un po’. Rizzo sembra semplicemente preoccupato che i vigili di Roma diano poche multe, e questa prospettiva porta i suoi lettori fuori strada. Non vorremmo che qualcuno pensasse che la qualità del traffico e la sicu-

Media

NELLA NOSTRA CITTÀ C’È UNA LOTTA SENZA QUARTIERE ALLE SOSTE VIETATE, FINO AL PUNTO DI MULTARE ANCHE UNA MOTO PARCHEGGIATA SUL MARCIAPIEDE E CHE NON INTRALCIA NESSUNO

il massimo rendimento. L’abbiamo già scritto sul sito: un aumento del 980 per cento in cinque anni in Italia, una mul-ta ogni 10 secondi a Milano, 170 euro l’anno di costo per ogni milanese patentato. I vigili di Roma sono da sempre nell’oc-chio del ciclone, sono stati pre-si in giro persino dal romano Alberto Sordi, tanti servizi di Striscia ce li hanno mostrati indifferenti all’abusivismo e ai ladri di monetine nella fontana di Trevi. E probabilmente fanno pochi controlli se è vero, come è vero, che Roma e il Lazio han-no il record dei furti di moto. Ma invito gli amici motociclisti della capitale a farci capire. Davvero i vostri vigili sono così apatici? E cosa ci dite della si-curezza nella vostra città? L’e-quazione suggerita da Rizzo non ci basta.

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ASPETTANDO DOPOGPLIVIO SUPPOSTONER VS MARQUEZdi Giovanni Zamagni | Il team Principal Honda HRC risponde alle domande dei lettori di Moto.it. Inevitabile il confronto tra Stoner e Marquez. In cosa si assomigliano e perché sono diversi

L’ ospite della quarta puntata di Aspet-tando DopoGP è Livio Suppo, team Principal Honda HRC. Tante le do-mande degli appassionati e molte

inevitabilmente su Stoner. «Vederlo di nuovo in pista è solo un sogno» spiega subito Suppo, che esclude anche la possibilità di una partecipazio-ne come wild card. Il pilota australiano rimane comunque «un’opportunità irrinunciabile per HRC. I collaudatori, per bravi che siano, vanno sempre un po’ più piano dei piloti e Casey inve-ce ci permette di raggiungere il limite e questo

avvantaggia molto il lavoro». Si parla anche del 2009, quando tornò in Australia a metà campio-nato. «Le intolleranze e le allergie a volte sono le cose più difficili da scoprire» spiega Suppo. Più forte Stoner o più forte Marquez? «Una guida molto simile ma diversissimi come persone». Tante altre le domande dei lettori: Come si com-porta Marquez nei box? E’ un bravo collaudatore, utile nello sviluppo? E poi Gresini che quest’anno ha abbandonato Honda per Aprilia, come mai? Ma anche Miller: l’anti-Marquez? Scarica l’audio della puntata

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GUIDO MEDA“COMMENTERÒ SOLO LA MOTOGP”di Nico Cereghini | Oltre alla telecronaca avrà molto da fare, perché è il vice direttore dei motori. Guido si lascia andare nella prima intervista targata Sky: Mediaset, la SBK, Biaggi, Capirossi, la squadra 2015, il suo stile di commentatore e le dure critiche che gli muovono alcuni tifosi

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Ormai già lo sapete, Guido Meda torna a commentare live la MotoGP passando da Media-set a Sky. Finora non aveva vo-luto parlarne, ci aveva chiesto il tempo di prendere contatto con la sua nuova realtà. Ecco la sua prima intervista. Ci sono tanti aspetti interessanti da in-dagare.

E si parte con una domanda d’obbligo: perché esattamen-te ha deciso di passare a Sky?«Per un appassionato come me» risponde. «E’ una cosa bella, il progetto è ambizioso, la tecnologia e la qualità sono al massimo livello. E’ una grande occasione e anche una sfida. Ho quarantotto anni ed è il mo-mento giusto»

Guido era da ventisei anni a Mediaset, entrato nell’88 come programmatore-regi-sta, poi giornalista dal ’91.«Te lo ricordi, c’eri anche tu. Mi occupavo degli sport vari, dallo slittino al salto in alto e al tennis. Per le dirette c’era Capodistria, 24 ore su 24, una gran bella palestra. Poi Giovanni Bruno, oggi direttore a Sky, decise di coprire anche lo sci: ho fatto quattordici stagioni da inviato, con la fortuna di raccontare dodici anni delle grandi impre-se di Tomba. Bellissimo! E poi il ciclismo, il Giro d’Italia… Fino a che, nel 2001, proprio tu mi hai segnalato come potenziale telecronista del motomondiale, che non eri più disposto a se-guire; e di questo, lo sai, ti sarò

grato per sempre… Ecco voglio aggiungere che oggi vado a Sky, Mediaset e Sky sono av-versarie, però mi porto dietro solo cose belle e anche l’addio è stato molto sereno per tutti»

Andiamo subito sulle tele-cronache, c’è tanto da dire. Per cominciare, cosa ti porti dietro dei tredici anni da te-lecronista Mediaset, dodici di MotoGP e l’ultimo di SBK?«Sul piano professionale lascio un gruppo di lavoro speciale, che ha sempre saputo creare una bellissima atmosfera di collaborazione e condivisione. Da appassionato ricordo bene il primo contatto con questo mondo che subito ho sentito mio: un bel clima, tanta voglia

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di giocare, che poi è una cosa che conservo anch’io. Poi ho avuto la fortuna di raccontare le imprese di Valentino Rossi, che è l’unica vera star italiana dello sport internazionale. Lui mette Welkom 2004, prima vittoria con la Yamaha, al top delle sue emozioni; a me è pia-ciuto commentare l’ultimo giro di Phillip Island dello stesso anno, con la volata vincente su Gibernau, e anche il sorpasso a Lorenzo nell’ultimo curvone di Barcellona nel 2009. Lì mi sono detto: che bello raccontare un fatto così figo!»

E della SBK?«Raccontare le gare di moto è sempre bello, lo sai. Lì c’è meno tensione, da giornalista posso dire che mi è mancata un po’ di adrenalina; ma i piloti sono sempre piloti, fichissimi, diver-tenti. L’atmosfera è più paesa-na, ma bella. E poi Max Biaggi, restituito diverso da quando correva: rilassato, mai presun-tuoso o capriccioso. Come pi-lota non l’abbiamo mai odiato, naturalmente, ma c’era una specie di diaframma che crea-va delle incomprensioni. Anche per lui è stata una scoperta: ci siamo molto apprezzati a vi-cenda»

Ecco allora la prima domanda scomoda. Lasci Biaggi, che si è rivelato un ottimo commen-tatore tecnico, e trovi Capi-rossi che al pubblico è piaciu-to poco. Troppo compresso.

Potrai farlo crescere?«Sì, perché credo che il pilota vada messo a suo agio e di-mensionato nel ruolo giusto e più opportuno» replica Meda. «Starà a me trovare per Loris la dimensione adatta. Credo che migliorerà molto»

Del resto con i Loris ti sei sempre trovato bene. E Trio-lo? Il suo stile ha creato qual-che perplessità nel pubblico dei motociclisti.«Dici? Invece a me piace» ri-sponde convinto Guido. «Ha colpo d’occhio, parlantina, è giovane. Ha un bel potenziale e sono sicuro che diventerà un bravo telecronista, convincente per tutti»

La squadra dello scorso anno non cambia, dunque...«Sono appena arrivato, sto in-contrando le persone una ad una per verificare cosa hanno in mente, e come la loro idea si possa combinare con quello che ho in mente io. Ho bisogno di tempo e anche di tutti loro»

Tu farai come Zoran Filicic, cioè il commento di MotoGP e Moto3?«No, soltanto la MotoGP, per-ché da responsabile dell’aera dovrò fare altre cose. Sto pen-sando a una diversa distribu-zione dei compiti senza stra-volgere la squadra del 2014. Qualche ritocco, niente di più»

Vicedirettore dei motori vuol dire autonomia?«Autonomia con il naturale flusso di condivisione con l’e-ditore. L’accoglienza è stata buonissima, c’è stato un certo stand-by nell’attesa che io arri-vassi, ora si riparte. Ancora non ho esplorato tutte le potenzia-lità di Sky, sono enormi, ne co-nosco soltanto un centesimo. Mi serve un po’ di tempo»

Hai già in mente qualcosa?«Dobbiamo riempire due cana-li, moto e F1, ed è stimolante. Forse, ecco, vorrei scaldarli un po’. Oggi ci sono tante repliche, ma vorrei metterci anche dei contenuti di passione, passione per la moto e per l’auto»

Sui media leggiamo che Sky ha perso abbonamenti nell’ul-timo anno…«Ha perso? Non è un mio tema e non lo so. Certo il momen-to è difficile, la crisi morde, e Sky avrà pagato come tutti quei servizi che richiedono un esborso. Ma certamente non va male e ha grandi risorse»

Chiudiamo con qualcosa di molto personale del Meda te-lecronista. Con il passaggio a Sky, hai pensato magari di cambiare qualcosa nel tuo sti-le e nel linguaggio?«A dirti la verità ci ho pensato, ma poiché non è stato un argo-mento di trattazione credo che come mi muovo sia abbastan-za congeniale a Sky. Forse non

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sono allineato del tutto, ma ci sta. Non cambierò, ma in real-tà qualcosa è già cambiato nel tempo. Sono maturato come persona, le due stagioni diffici-li di Rossi mi hanno insegnato a raccontare altro. A Mediaset ero padrone del mio terreno e qualche volta ho sbracato an-che troppo: penso a qualche terminologia o a certi duetti con Reggiani. Mi definiscono urlatore? Quello è un aspetto

della mia telecronaca facile da ricordare, ma c’è stata sempre attenzione per tanti altri temi, tutti trattati con opportunità»

Siamo d’accordo. Io credo che tu sia sempre stato, nel complesso, un commentato-re equilibrato. Però c’è anche chi ti definisce fazioso e non perde occasione per ripeterlo. Cosa rispondi?«I detrattori sono sempre gli

stessi, li trovi sul gruppo di Fa-cebook “Odio Valentino Rossi”. Se uno ha Rossi sui coglioni, è abbastanza normale che ci stia anch’io. Ogni posizione è legittima e si può essere dissenzienti, ma è utile ripetere che quella è una minoranza. E del resto la sindrome del “perché non piaccio a tutti?” mi è passata da tempo»

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LA YAMAHA R1 IN PISTA PER LA SBK USALa Superbike AMA è diventata “Moto America” e la Yamaha R1 2015 del team Monster è scesa in pista con Cameron Beaubier per i primi test in attesa della gara di Austin

I l 22enne statunitense Cameron Beaubier, vincitore l’altr’anno della Daytona SportBi-ke (ha fatto sue 12 gare su 13) ha portato in pista la Yamaha YZF-R1 2015 per i primi

test sul circuito californiano Chuckwalla Valley Raceway. Si tratta di una versione Stock, per i colori del team Monster Energy Graves Yamaha,

che si presenterà la via del neonato campiona-to Moto America SBK (l’ex SBK Ama Pro Road Racing) sul circuito texano di Austin, nello stesso fine settimana nel quale si disputerà soprattut-to il mondiale MotoGP. Compagno di squadra di Cameron Beaubier è Josh Hayes, quattro volte campione Ama della specialità.

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SUPERCROSS.TOMAC: “UNA DELLE GARE PIÙ BELLE DELLA MIA VITA”di Massimo Zanzani | L’ufficiale Honda questa volta non sbaglia e sbaraglia Roczen dopo un lungo e avvincente scambio di colpi; a Cooper la 250

E’ s tata un po’ come la rivincita della sfortunata apertura di Anaheim, che a distanza di una settimana lo lascia tuttora incredulo di aver

buttato al vento un possibile podio a causa di un paio di scivolate del quale non si è reso bene conto neppure lui. Nella seconda tappa Eli (Ilai, come pronunciano oltreoceano… ) Tomac ha

però rimesso subito le cose a posto e tanto per confermare il suo potenziale che la gara prima era solo emerso con il miglior tempo spiccato in prova, si è aggiudicato orgogliosamente la sua prima vittoria supercross della classe regina ar-rivata dopo i due secondi della scorsa stagione. Ottenuta tra l’altro con grande determinazio-ne, una velocità pazzesca ed una fantastica e

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personale lucidità sull’interpretazione del circu-ito. Nonostante abbia perso nelle prime battute di gara la posizione di testa ai danni di un Ken Roczen deciso a bissare l’affermazione di sette giorni prima, il pilota del Colorado ha mantenuto la calma e dopo essersi rimboccato le maniche ha iniziato a fare pressione sul battistrada della Suzuki sul quale ha avuto la meglio poco prima di metà gara, dopo un entusiasmante scambio di colpi col tedesco. A quel punto ha mantenuto la concentrazione involandosi con sicurezza verso la sua attesa prima vittoria 450.

Eli Tomac«E’ stata una delle gare più belle della mia carrie-ra - ha spiegato raggiante l’ufficiale Honda Geico - con Ken dopo avergli fatto un po’ di pressione a metà gara ho avuto un bello e lungo scambio di

posizioni, poi una volta passato in testa ho cer-cato di allungare un po’ per avere un margine di sicurezza che mi ha permesso di vincere senza problemi. Gli ultimi giri abbiamo però abbassato il ritmo perché entrambi eravamo molto stanchi: un conto è allenarsi 20 minuti sulle nostre piste ed un altro è correre in un circuito come questo molto tecnico, specie sulle whoops, e molto bu-cato. Si è dimostrato molto impegnativo anche rispetto a quello dello scorso anno. Sono contento che nel nostro scontro sia io che lui abbiamo mantenuto il massimo rispetto, vuol dire che abbiamo la stessa mentalità e che pensiamo al nostro futuro e non solo alla gara singola. Ci siamo toccati in due o tre occasioni, soprattutto nell’ultima parte della pista dove io avevo un certo vantaggio, ma tutto è rientra-to nella norma. Devo dire che però non è stato

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facile batterlo, per fortuna avevo alcuni punti in cui mi sentivo meglio di lui ed ho cercato di sfrut-tare questo mio vantaggio ma ce l’ho dovuta mettere tutta». Ken RoczenDa parte sua Roczen, dopo aver smaltito l’amaro in bocca sul podio, ha accettato con uguale sod-disfazione il posto d’onore. «Ho avuto un’altra ottima partenza, probabilmente anche dovuta al fatto che con la mia Suzuki riesco a scaricare tutta la potenza a terra, ho iniziato bene ma poi ho perso un po’ il ritmo e ciò ha permesso a Eli di avvicinarmi. E’ stato un buon insegnamento sul quale cercherò di lavorare, e comunque un se-condo posto va sempre bene perché l’importan-te è finire sempre sul podio. Specie al termine di

una gara così dove non è stato facile mantenere un ritmo altissimo con queste difficoltà tecniche, in particolare sulle whoops che erano molto lun-ghe e impegnative. Avrei potuto indurire un po’ di più il mono ma non è stato un grosso problema, complessivamente sono molto soddisfatto della moto».

Roger De CosterTerza piazza per Ryan Dungey, che non è però apparso ancora al massino del suo potenzia-le come ha confermato anche Roger De Co-ster. «Abbiamo progredito rispetto allo scorso weekend, ma oggi Ryan avrebbe dovuto fare se-condo - ha commentato a Moto.it il team mana-ger belga - purtroppo ha ritardato la partenza e perso tre posizioni in un paio di curve, e dopo gli

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ci sono voluti ben 17 giri prima di scavalcare We-ston Peick, davvero troppo. Se non altro ha fatto meglio della volta precedente, il peccato è che oggi Roczen era battibile come ha dimostrato il fatto che poi Ryan gli è arrivato solo a quattro se-condi dopo tutto il tempo perso prima di passare in terza posizione». Peick si è confermato rivelazione della stagione, grazie al quarto posto che lo ha portato al quinto della classifica di campionato. Ex pilota Suzuki, il neo acquisto Yamaha è un pilota fisicamente prestante e piuttosto aggressivo ma un po’ limi-tato per quanto riguarda la tecnica, e a Phoenix ha sfruttato la sua forza fisica per tenere bene stretta la sua YZ450F specie sulla serie di who-ops sfiorando il podio, sfuggitogli per qualche sbaglio di troppo. Numerosi gli attesi e mancati

protagonisti, ad iniziare da Justin Barcia che ha pasticciato ancora una volta, non si capisce se è limitato psicologicamente o se è per il fatto di non avere ancora trovato il feeling giusto con la Yamaha, terminando solo 11° dietro a Chad Reed il quale nonostante il larghissimo seguito tra il pubblico sembra non avere più tutti gli attributi per mantenere il passo da podio. Solo sesto que-sta volta Jason Anderson, limitato da una medio-cre, e 8° Trey Canard dopo una rimonta dalla 17ª posizione. Gara tirata anche nella 250 Costa Ovest, che ha visto Webb Cooper precedere Malcom Stewart e Jessy Nelson mantenutosi al comando della classifica; limitato dalla frattura di un pollice, Zac Osborne si è invece dovuto accontentare della settima piazza.

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STORIE DI DAKARCYRIL NEVEU, IL PRIMO VINCITOREdi Piero Batini | Nel 1978 la Dakar parte dal Trocadero. Già nell’immaginazione del suo creatore, Thierry Sabine, era un evento epocale. A vincere la prima edizione fu un giovanotto di Orleans sportivamente sconosciuto

C yril Neveu aveva ventuno anni quan-do decise di schierarsi alla partenza della prima Dakar. Padre e fratello come assistenti, e la sola esperien-

za nella Abidjan Nizza dell’anno precedente. Non aveva un passato motociclistico importante e, per sua stessa ammissione, non era altro che un “fannullone”. Aveva i soldi contati per partire, e scelse una Yamaha XT500, la stessa con la qua-le Thierry Sabine aveva partecipato alla storica Abidjan-Nizza perché era un mezzo non velo-cissimo, neanche per l’epoca, ma robusto. Una moto inglese costruita… in Giappone, dunque affidabile. Pur essendo stato campione francese di Enduro, Neveu non aveva particolari ambizioni di successo. Voleva vivere l’avventura, e dunque per prima cosa doveva arrivare a Dakar. Il resto sarebbe venuto da solo. Fu così che, sin dal pri-mo giorno, Neveu si rivelò pilota intelligente e furbo, opportunista e molto “regolare”. Con que-sta semplice strategia di gara riuscì a correre il minimo di rischi e a progredire anche nella clas-sifica. Più tardi Fenouil, che aveva partecipato alla Dakar dei primi giorni e avrebbe inventato il Rally dei Faraoni, lo definì “indistruttibile”. Ne-veu, in quella prima edizione della Dakar, riuscì a vincere non per le doti di guida, ma perché

seppe utilizzare quelle caratteristiche scono-sciute nello sport motoristico che sarebbero diventate cruciali alla Dakar: saggezza, concen-trazione e costanza. La miscela del Rally che sa-rebbe diventato leggenda era però l’avventura, e in quella Neveu seppe esprimere il meglio di sé. Neveu andò in testa alla prima edizione della Da-kar nel corso della sesta tappa tra Gao e Bama-ko, quando il leader Schaal fu costretto al ritiro. Il giorno successivo, tra Bamako e Nioro du Sahel, un solo concorrente arrivò in tempo utile all’ar-rivo previsto, Philippe Vassard. Thierry Sabine, tuttavia, introdusse una delle regole chiave della Dakar, prolungando il tempo di arrivo fino all’ini-zio della tappa successiva. Neveu fu quindi riam-messo in gara, e vi rimase in testa fino all’arrivo a Dakar. La prima vittoria aprì a Neveu le porte della notorietà, e con l’avvento della grande epopea delle Case ufficiali, anche del successo economico. Neveu corse con Yamaha e Cagiva, e Honda gli affidò la leggendaria NXR bicilindrica. Il suo record di cinque vittorie poté resistere fino al 1998, anno nel quale Stephane Péterhansel vinse la sua sesta Dakar con la Yamaha ufficia-le. Ritiratosi dalle corse, Neveu rimase “nell’am-biente”, assumendo la guida dell’unico Rally che non aveva mai vinto, il Tunisia.

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STORIE DI DAKAR, 1988EDI ORIOLI, L’ATTORE di Piero Batini | Edi Orioli è stato il nostro più grande pilota alla Dakar, non solo per aver vinto quattro volte. L’estro e la raffinatezza tattica del friulano infatti sono qualità pressoché introvabili

T essalit, 1988, la tappa cruciale, la prima grande occasione per Orioli. Gilles Lalay è al comando, ma salta una nota e non abbandona la pista

principale per prenderne una meno visibile. Molti lo seguono replicandone l’errore, presi più dalla polvere che dalla navigazione. Edi si rende conto chiaramente dell’errore e intuisce che può cre-are una situazione clamorosa, ma ci vuole un’e-secuzione perfetta. Lalay tarda ad accorgersi dello sbaglio, e Edi non esita un solo istante, si nasconde dietro a una duna che gli offre la possi-bilità della grande interpretazione.

La prima Parigi-Dakar ad un italianoDal nascondiglio vede passare gli inseguitori, e quando anche questi prendono la pista sbaglia-ta sulla scia di Lalay, punta la bussola sulla rotta giusta e attraversa il deserto alla ricerca di due vecchi pneumatici, il segnale del rifornimento. Dopo, altri 250 chilometri, ancora in perfetta so-litudine con la certezza di essere sulla pista cor-retta. La Dakar si decide in quel momento, con quella mezz’ora di vantaggio che Orioli si è co-struito con scaltrezza e molta, coraggiosa deci-sione. Il 22 gennaio arriva sulla spiaggia del Lago Rosa da vincitore. È la prima volta che succede a un italiano. Agadez, 1990. La partenza della

nona tappa è stata posizionata male. Non “guar-da” dalla parte giusta. I piloti che partono prima di lui non se ne avvedono e iniziano a cercare di modificare la propria traiettoria. Finiscono per girare in tondo. Orioli torna la campo e rifornisce di nuovo la sua moto e decide di giocare la sua carta. Il rischio è elevatissimo, e la soluzione del rebus è 800 chilometri più avanti. Il problema è non farsi vedere, in modo da non suggerire agli avversari la sua interpretazione dell’enigma.

Da solo nel TénéréOrioli decide allora di simulare un guasto e si da da fare attorno con chiavi e bulloni sinché l’ultimo degli indecisi non sparisce dalla parte sbagliata. A quel punto imposta il GPS, che allora è solo una dote naturale, un istinto, e si lancia da solo con-tro il Ténéré nuova direzione e, da solo contro il deserto assoluto, si avventura nel Ténéré. 450 km più avanti, a Termit, trova il camion del rifor-nimento. Al traguardo ci arriva al tramonto, in perfetta solitudine, e ci vorrà più di un’ora prima di veder apparire un altro concorrente. Roberto Azzalin, suo team manager di allora, gli si avvi-cina e lo abbraccia: “Mi sembri Fausto Coppi!”. Ancora una volta, è la spiaggia del Lago Rosa, sessanta chilometri a Dakar, che mette i sigilli alla nuova vittoria di Edi. Per la sua nuova moto, la CaGiVa, è invece la prima volta.

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STORIE DI DAKARSTEPHANE PETERHANSEL, CINQUE COLPI DI MARTELLOdi Piero Batini | Chi ha amato il Peterhansel Motociclista non può dimenticare la Bakel- Labé, Dakar 1995, tappa nella quale il fuoriclasse francese fu protagonista di un attacco a dir poco epico

L a Dakar parte dalla Spagna il 1° gen-naio e a guidarla, dopo l’intermezzo di Fenouil nel 1994, è Hubert Auriol, un mito della prima ora. Vincono Stepha-

ne Paterhansel (Yamaha), Pierre Lartigue e Mi-chel Perin (Citroen) e l’equipaggio Loprais/Sta-chura/Kalina (Tatra). Venti anni fa. Saldamente in testa alla corsa a 4 tappe dalla fine, Stephane Peterhansel cade nell’imboscata spagnola. È la storia del martello preso in prestito dall’orga-nizzazione per raddrizzare una pedana durante la neutralizzazione di un rifornimento. All’atto pratico non c’è nessuna intenzione di violare il regolamento. L’atmosfera della neutralizzazione è, some sempre, impregnata di fatica e di anima-zione. I piloti cercano di recuperare, in quel quar-to d’ora di “stop”, il massimo delle energie, e di riparare ai piccoli danni eventualmente sofferti durante la prima parte della Speciale. “Peter” ha una pedana storta, testimonianza di una caduta pesante. Come è arrivato fin lì potrebbe conti-nuare, non certo nel massimo confort, ma per un “duro “ come il francese il problema non è grave. La moto è accanto al camion del rifornimento, e Stephane si fa prestare un mazzuolo per raddriz-zare la pedana e riportarla nella posizione origi-naria. Cinque colpi di martello. Alle conseguenze,

al momento, non pensa nessuno. Poi qualcuno suggerisce la “stortura” e, alla sera, Jordi Arca-rons accusa l’avversario di aver usufruito di una forma di assistenza irregolare. Al termine di una lunga discussione, il giudice iberico infligge a Pe-terhansel una penalità di 15 minuti, tre minuti per ogni colpo. La situazione è rovesciata, Stephane passa da inseguito a inseguitore. Gli animi sono caldi, “Peter” sorride ironico inchinandosi alla decisione che lo penalizza. Non poco. La 17ma Granada-Dakar si decide tra Bakel e Labé, con una tappa da far accapponare la pelle. Peterhan-sel parte a testa bassa, frusta la sua Yamaha bicilindrica, un “bestione” potentissimo ma an-che pesantissimo, e usa la motocicletta costru-ita espressamente per la Dakar come una agile moto da enduro, sfruttando al massimo tutto il proprio potenziale agonistico e di talento, ma anche della meccanica. Vola letteralmente sugli ostacoli incurante, per una volta, dei rischi cui va incontro, e mantiene la prestazione sempre, costantemente al massimo. Peterhansel arriva solo al traguardo, si volta, non c’è nessuno. Oro-logio alla mano inizia il conto che stabilisce l’effi-cacia di quell’attacco fuori dall’ordinario, insolito per il “temperato” Campione francese. “Ogni minuto che passa è buono, posso aspettare!”

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Finalmente arriva anche Arcarons, e a quel pun-to si può stabilire che Peterhansel ha vinto con venti minuti di vantaggio. Ha massacrato, av-vilito l’avversario, e ristabilito l’ordine naturale delle cose. Sulle rive del Lago Rosa, Peterhansel vincerà la sua quarta Dakar. Nella memoria di Peterhansel non c’è traccia di sete di vendetta, ma il ricordo semplice ed esaltante di una tappa nella quale ha attaccato come mai nella sua car-riera. Nella nostra memoria il ricordo di un’indi-menticabile, esaltante impresa agonistica.

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FRANCO PICCOL’ANNO PROSSIMO RITORNO!di Piero Batini | Unica assistenza italiana “ufficiale” per le moto, l’organizzazione di Franco Picco perde i suoi due piloti ma resta a disposizione. Momento difficile, Dakar dura, non resta che…

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la Dakar, ma c’è un limite oltre il quale è impossibile andare. Piano va bene, ma se questo significa arrivare tardissimo, ri-schiare il fuori tempo massimo o guidare di notte, allora tutto diventa molto più difficile, e la stanchezza si somma giorno dopo giorno, non c’è più modo di recuperare ed è l’inizio della catastrofe»

Il “tuo” sudafricano ne è un esempio«Sì, perfettamente. In più Wes-sel Bosman è un po’ matto, coc-ciuto, e non ha esperienza»

Come significa, allora, seguir-lo e assisterlo?«Significa fornirgli tutta l’assi-stenza “tradizionale”, meccani-ca, logistica, morale, e quando la sua corsa diventa critica non indugiare ad andare oltre. Wes-sel ha finito due tappe a notte fonda. Alla fine della prima volevano metterlo fuori gara perché ritenevano che fosse troppo stanco. Allora sono an-dato dagli organizzatori, ho spiegato loro che era il suo “sti-le”, ho insistito e ho un po’ ap-profittato del fatto che conosco tutti e che tutti mi conoscono

o si ricordano di me. Talvolta si tratta di sforzarsi di “legge-re” il regolamento, insistere sui punti dubbi, trovare una solu-zione. Così sono riuscito a farlo ripartire. Il giorno successivo stessa storia: stava arrivando tardi, tardissimo. I miei amici organizzatori sono venuti a cer-carmi per dirmi che era ora che Wessel si fermasse, che voleva-no vedere come stava prima di farlo ripartire la mattina dopo. Lì, per la verità ho giocato un po’ sull’equivoco. L’ho aiutato a ripartire e, dopo un po’ quan-do i commissari sono venuti a

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Bisogna premettere che quan-do Franco Picco correva la Da-kar io ero uno dei suoi tifosi. E lo sono sempre stato, anche quando, vincente dappertutto, non riuscì a vincere la Dakar e si dovette accontentare dell’en-nesimo secondo posto. Erava-mo arrabbiati, io e un grande amico, per perché ce l’aveva in mano, ma nisba, no way, nada, vinceva quello o quell’altro. Eravamo arrabbiati con Franco a tal punto che il mio amico, raccolto un bastardino per stra-da, brutto come il buio, piccolo come un bassotto e agile come un boxer, lo chiamò “Picco”. In realtà Franco è uno dei simboli della Dakar degli italiani, perché ha continuato a farne in auto, è tornato con i camion, a fare l’as-sistente e di nuovo in moto. In tutte le forme possibili, è sem-pre rimasto legato alla Dakar. Quest’anno con un suo camion di assistenza a “proteggere” la

Dakar di Paolo Sabatucci e di Wessel Bosnam. Sfortunatis-simo l’avvocato romano, fuori dopo pochi giorni, per Bosnam è iniziato il calvario, e per Fran-co Picco di conseguenza.

Racconta Franco, prego.«Non corro più, ma l’aria della Dakar è sempre la mia preferi-ta. Ho continuato ad esserci, vi ho mantenuto la mia esperien-za. L’ho rifatta in moto e adesso la faccio per fornire assistenza»

L’unica assistenza italiana?«Sì, l’unica totalmente made in italy. L’unica per le moto, si in-tende»

E come funziona?«Noi mettiamo tutto quello che serve a disposizione dei pilo-ti che vogliono partecipare. Li accudiamo dal giorno zero e li seguiamo per tutta la Dakar cercando di portare in alto il

loro limite. Certo, sono privati, ed è durissima di questi tempi per i privati»

Come mai solo due piloti as-sistiti?«Credo che alla base ci sia la crisi, e quando c’è la crisi la mo-neta influisce sul modo di pen-sare e di prendere le decisioni. Talvolta si è costretti a non pen-sare che a quella. Evidentemen-te i nostri costi sono più elevati di altri, e i piloti scelgono al ri-basso. Oppure qualcuno offre assistenze a prezzi stracciati e poi fornisce un servizio di bas-so livello o, gettando fumo negli occhi, dopo aggiunge costi “in corso d’opera” »

Come è andata ai tuoi piloti?«Paolo Sabatucci è stato sfor-tunato, e un po’ forse non è riuscito a darmi retta. A volte si pensa che andando piano si abbia più probabilità di finire

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cercarlo per controllarne lo sta-to di efficienza lui era già par-tito. Ho detto loro che credevo fossero loro a venire, non noi ad andare da loro. L’hanno bevuta, e un altro giorno è andato. Poi è arrivata l’ultima tappa prima del riposo. Stava facendo tardi anche quel giorno, allora per telefono l’ho consigliato di fer-marsi, di dormire nel deserto e ripartire la mattina del giorno di riposo, visto che il controllo di arrivo resta aperto per buona parte del giorno. Ma lui è an-dato avanti, ha attraversato le

dune di notte e a metà del gior-no dopo ha sbagliato pista e si è presentato non lontano da Iqui-que su una duna verticale. Non si è dato per vinto, è sceso da una parete di sabbia lunga e dif-ficilissima, ma con quel tragitto extra ha saltato dei waypoint. A quel punto non c’è stato niente da fare. È stato un eroe, ma era out»

E adesso che fai?«Non so ancora, forse resto per vedere se posso dare una mano a qualcuno»

Insomma è una vita dura, al-meno quanto quella del pilo-ta?«Per certi versi è molto più dura. Ti senti coinvolto in situazioni che non puoi controllare per-sonalmente. Correre è un’altra cosa. Anzi, sai che ti dico? Ho fatto un “tagliando” completo alle anche, sono fisicamente a posto. Compio sessant’anni a ottobre prossimo e partecipo alla prossima Dakar, in moto, naturalmente, con la mia strut-tura e gli amici che vorranno seguirmi!»

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IL DECESSO DI MICHAL HERNIKMORTI E FANTASMIdi Piero Batini | Muore il polacco Michal Hernik. Era alla sua prima Dakar e, lato sinistro, non nuovo e cinico della tragedia, dicono che era riuscito a realizzare il suo sogno

N on è cambiato nulla. Joan Barreda e Nasser Al-Attyia restano in testa alla corsa non ostante i successi parziali di Matthias Walkner e di Or-

lando Terranova. E non cambia il lato più sinistro di quest’avventura tanto appassionante quanto, per certi versi, contraddittorio. La morte del po-lacco Michal Hernik, 39 anni e alla prima parte-cipazione, lascia interdetti, senza parole, senza più ragioni all’arco dell’intelligenza. Non faccia-mo della demagogia, non ci nascondiamo dietro un dito. Io questo punto cruciale della Dakar non l’ho mai risolto. Dieci anni fa ho perso un amico speciale, Fabrizio Meoni, ne ho sofferto con ag-ghiacciante incredulità la mancanza, e ho conti-nuato ad esserci e ad appassionarmi. Poi è stata la volta dell’amico australiano Andy Caldecot, ne ho avuto abbastanza e ho smesso di andarci. Ma oggi sono ancora qui, seguo la Dakar e ne esalto la valenza agonistica, che non ha pari, e rimango di sasso, inutile, fuori luogo, di fronte all’ennesi-mo episodio drammatico. Non conoscevo Michal Hernik. Devo ammettere che ho dovuto ricostru-ire il suo profilo. Non so dire, né con esattezza né con approssimazione, se questo fosse il suo sogno, la sua sfida, la sua scommessa della vita, e certamente per il polacco era una cosa impor-tante perché non si può fare una Dakar senza prenderla tremendamente sul serio. So solo,

come tutti di fronte ad eventi di questo genere, che non so niente di sogni e di incubi, di vita a di morte. So che la morte è il lato inaccettabile delle cose belle, e quello che rende brutte anche le più belle. So che è il limite della Dakar e di questo genere di avventure. Delle avventure in genere, e so che socialmente, prima ancora che individualmente, un giorno la Dakar morirà perché non saremo più disposti ad accettare che sport e morte vadano a braccetto. Dicono del sogno che Hernik aveva realizzato, ma il sogno resta a casa e l’incubo è sulla pista. Insistono che chi fa la Dakar sa che corre anche questo rischio. Credo sia vero come la firma di una liberatoria, un atto di accettazione ma non di consapevolezza, che siano veramente in pochi quelli che lo sanno e che chi lo sa o lo ha saputo non è mai venuto alla Dakar o ha smesso di andarci. E poi la morte non è un arbitrio, non è un evento che uno decide di portarsi nello zaino perché gli appartiene, perché nel momento stesso in cui uno perde la vita consegna la morte ai suoi cari, che se la portano nel cuore finché sono in vita. Sotto questo aspetto si dovrebbe chiedere non a chi rischia, ma a chi aspetta a casa se è consape-vole del rischio. A tutti i cari di Michal Hernik, che non conosco così come non conoscevo Michal un abbraccio forte.

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