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uosi 0 <uioArno in c o 0 JG lly í%. cambiò la scienza e la mia vita" L4NWILMIJT P OTRA sembrare strano, ma quando nacque Dolly io ero impegnato a cu- rare il giardino. Era il luglio del 1996 e sapevamo che se quell'agnellina fosse sopravvissuta sarebbe diventata il primo animale nellastoria clonato aparti- re da una cellula adulta. Avevo dato istru- zioni che dovevano essere presenti al par- to solo le persone strettamente indispen- sabili e mi attenni alla regola da me stes- so fissata. li mio collega Keith Campbell, che eb- be un ruolo importantissimo, era in va- canza. Quando tornò, ce ne andammo tut- ti a cena. Il circo dei media arrivò molto dopo, nel febbraio dell'anno seguente, quando lo studio venne pubblicato. A distanza di vent'anni, può sembrare semplice riepilogare gli eventi secondo una sequenza temporale chiara, un pas- so dopo l'altro. Ma la faccenda è più ingar- bugliata di così. Dolly ha modificato un aspetto fondamentale della nostra conce- zione dello sviluppo biologico, ma la sua nascita non rappresenta una cesura net- ta fra tutto quello che è venuto prima e la nuova era che è cominciata dopo. Sbarcai in quello che sarebbe diventa- to l'Istituto Roslin di Edimburgo dopo aver condotto ricerche in biologia ripro- duttiva all'Università di Cambridge. Li avevo messo a punto dei metodi per con- gelare embrioni di mucca, che avevano portato alla nascita di Frostie, il primo vi- tello nato da un embrione precedente- mente congelato, nel 1973. Intorno al 1980, la priorità della ricerca era diventa- ta la genetica molecolare, che includeva le modificazioni genetiche. Speravamo di riuscire a introdurre in cavie animali mutazio- ni che portassero alla produzione di certe pro- teine, come gli anticor- pi, utilizzabili a scopi te- rapeutici. Nel 1981 era stato pubblicato uno studio che dimostrava che era possibile clonare topi mediante trasferimento nucleare, che significa- va rimuovere il nucleo da un ovulo non feconda- to e sostituirlo con il nu- cleo di una cellula em- brionale allo stadio ini- ziale. Quello studio susci- tò la nostra attenzione, ma i tentativi di replicar- lo non ebbero successo. Poi, però, nel 1986, un ri- cercatore di nome Steen Willadsen riuscì a effettuare il trasferi- mento nucleare da una cellula embriona- le nelle pecore. E in una conversazione al tavolino di un bar, l'anno seguente, sco- prii che usando questo metodo era riusci- to anche a produrre vitelli vivi. Andai quindi a incontrare Willadsen, che si di- mostrò estremamente generoso nel de- scrivere le sue ricerche, e tornai a Edim- burgo con l'idea di lavorare sulla clonazio- ne mediante trasferimento nucleare. L'anno prima di Dolly clonammo due agnelli- Megan e Morag- prelevando i nuclei da cellule embrionali che avevano cominciato a differenziarsi. A quel punto il nostro prossimo obbiettivo diventò ca- pire se potevamo usare cellule a uno sta- dio ancora più avanzato, prese cioè da in- dividui adulti, Ogni esperimento necessitava di un'e- norme quantità di pecore, per prelevar- ne gli ovuli o per usarle come madri surro- gate, e non potevamo farli tutti in un col- po solo. A quel punto, però, l'azienda con cui collaboravamo, la Ppl Therapeutics, ebbe dei problemi con le linee cellulari e fu costretta a smettere di lavorare per un certo periodo. Questo significava che im- provvisamente ci ritrovammo con un gran numero di ovini a disposizione. In- torno al Natale del 1995 ci mettemmo se- duti a discutere su cosa fare con queste pecore: fu allora che pensammo all'espe- rimento di Dolly, Usando cellule prese da tessuti mam- mari adulti già sottoposti a coltura e con- gelati dalla Ppl, effettuammo il trasferi- mento nucleare in 277 ovuli, Solo 29 em- brioni furono impiantati in madri surro- gate. Da questi, nacque soltanto Dolly. Era una domenica di febbraio del 1997 quando la notizia esplose. Ci aspettava- mo un certo interesse da parte dei me- dia, ma il clamore superò ogni nostra pre- visione. Il lunedì dopo il parcheggio era già ingombro di furgoni satellitari delle televisioni. Eravamo consapevoli di aver aperto la porta a qualcosa di grosso, ma non sape- vamo realmente quali sarebbero state le possibilità. Era entusiasmante pensare alle enormi potenzialità di questa tecni- ca per la clonazione terapeutica (produr- re tessuti specifici per trapianti, ad esem- pio). Ma era entusiasmante anche per- ché modificava la nostra visione della bio- logia. Naturalmente, quando la notizia si dif- fuse, il dibattito si concentrò sulla clona- zione umana. Io e Keith lo avevamo previ- sto. Avolte lui mi dava un passaggio a ca- sa e durante il viaggio ne discutevamo. Sapevamo che la clonazione umana sa- rebbe potuta diventare possibile, e che dopo Dolly ci avrebbero domandato di questa possibilità. Eravamo d'accordo: l'i- dea non ci piaceva. Quello era l'aspetto della storia che più di tutti alimentava la tempesta me- diatica. Ricordo che dicevo a mia moglie: «Non ti preoccupare, vedrai che per l'au- tunno sarà tutto finito». Ero un pazzo a pensarlo. Poco dopo la pubblicazione dello stu- dio, Keith lasciò l'istituto. Negli anni se- guenti, tutti e due partecipammo a una quantità colossale di eventi e conferen- ze, e scrivemmo perfino un libro insieme. Dolly ha creato molte opportunità, ma qualcuno ha avuto la netta percezione che non siano state ripartite equamente, in particolare fra me e Keith. Per le ricer- che sulla clonazione e i miei studi prece- denti, io sono stato ammesso nella Royal Society e in seguito sono stato addirittu- ra insignito del titolo di baronetto. A qual- cuno questo non è anda- to giù. Quando ripenso a quello che ha realizzato la nostra équipe, mi vie- ne da considerare che an- cora non abbiamo vera- mente una comprensio- ne chiara dei meccani- smi biologici che ne stan- no alla base. Pensavo che a questo punto ne avremmo sapu- to di più, e - per quel che vale-penso ancora che un giorno ne sapre- mo effettivamente di più. La ricerca sulle cellu- le staminali, che ha fatto leva sugli esperimenti di donazione, sull'esperi- mento di Dolly, comin- cia ad avere effetti. Al momento sono in corso esperimenti clinici. La promessa di quello che Dolly rappresentava comincia a con- cretizzarsi. ((D 201 &NewScientist. All rights reserved. Distributed by Tri- bune ContentAgency. Traduzione di Fabio Galimberti)

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cambiò la scienza e la mia vita"L4NWILMIJT

POTRA sembrare strano, ma quandonacque Dolly io ero impegnato a cu-rare il giardino. Era il luglio del

1996 e sapevamo che se quell'agnellinafosse sopravvissuta sarebbe diventata ilprimo animale nellastoria clonato aparti-re da una cellula adulta. Avevo dato istru-zioni che dovevano essere presenti al par-to solo le persone strettamente indispen-sabili e mi attenni alla regola da me stes-so fissata.

li mio collega Keith Campbell, che eb-be un ruolo importantissimo, era in va-canza. Quando tornò, ce ne andammo tut-ti a cena. Il circo dei media arrivò moltodopo, nel febbraio dell'anno seguente,quando lo studio venne pubblicato.

A distanza di vent'anni, può sembraresemplice riepilogare gli eventi secondouna sequenza temporale chiara, un pas-so dopo l'altro. Ma la faccenda è più ingar-bugliata di così. Dolly ha modificato unaspetto fondamentale della nostra conce-zione dello sviluppo biologico, ma la suanascita non rappresenta una cesura net-ta fra tutto quello che è venuto prima e lanuova era che è cominciata dopo.

Sbarcai in quello che sarebbe diventa-to l'Istituto Roslin di Edimburgo dopoaver condotto ricerche in biologia ripro-duttiva all'Università di Cambridge. Liavevo messo a punto dei metodi per con-gelare embrioni di mucca, che avevanoportato alla nascita di Frostie, il primo vi-tello nato da un embrione precedente-mente congelato, nel 1973. Intorno al1980, la priorità della ricerca era diventa-ta la genetica molecolare, che includevale modificazioni genetiche. Speravamodi riuscire a introdurrein cavie animali mutazio-ni che portassero allaproduzione di certe pro-teine, come gli anticor-pi, utilizzabili a scopi te-rapeutici.

Nel 1981 era statopubblicato uno studioche dimostrava che erapossibile clonare topimediante trasferimentonucleare, che significa-va rimuovere il nucleoda un ovulo non feconda-to e sostituirlo con il nu-cleo di una cellula em-brionale allo stadio ini-ziale. Quello studio susci-tò la nostra attenzione,ma i tentativi di replicar-lo non ebbero successo.Poi, però, nel 1986, un ri-cercatore di nome SteenWilladsen riuscì a effettuare il trasferi-

mento nucleare da una cellula embriona-le nelle pecore. E in una conversazione altavolino di un bar, l'anno seguente, sco-prii che usando questo metodo era riusci-to anche a produrre vitelli vivi. Andaiquindi a incontrare Willadsen, che si di-mostrò estremamente generoso nel de-

scrivere le sue ricerche, e tornai a Edim-burgo con l'idea di lavorare sulla clonazio-ne mediante trasferimento nucleare.

L'anno prima di Dolly clonammo due

agnelli- Megan e Morag- prelevando inuclei da cellule embrionali che avevanocominciato a differenziarsi. A quel puntoil nostro prossimo obbiettivo diventò ca-pire se potevamo usare cellule a uno sta-

dio ancora più avanzato, prese cioè da in-dividui adulti,

Ogni esperimento necessitava di un'e-norme quantità di pecore, per prelevar-ne gli ovuli o per usarle come madri surro-gate, e non potevamo farli tutti in un col-po solo. A quel punto, però, l'azienda concui collaboravamo, la Ppl Therapeutics,ebbe dei problemi con le linee cellulari efu costretta a smettere di lavorare per uncerto periodo. Questo significava che im-provvisamente ci ritrovammo con ungran numero di ovini a disposizione. In-torno al Natale del 1995 ci mettemmo se-duti a discutere su cosa fare con questepecore: fu allora che pensammo all'espe-rimento di Dolly,

Usando cellule prese da tessuti mam-mari adulti già sottoposti a coltura e con-gelati dalla Ppl, effettuammo il trasferi-mento nucleare in 277 ovuli, Solo 29 em-brioni furono impiantati in madri surro-gate. Da questi, nacque soltanto Dolly.

Era una domenica di febbraio del 1997quando la notizia esplose. Ci aspettava-mo un certo interesse da parte dei me-dia, ma il clamore superò ogni nostra pre-visione. Il lunedì dopo il parcheggio eragià ingombro di furgoni satellitari delletelevisioni.

Eravamo consapevoli di aver aperto laporta a qualcosa di grosso, ma non sape-vamo realmente quali sarebbero state lepossibilità. Era entusiasmante pensarealle enormi potenzialità di questa tecni-ca per la clonazione terapeutica (produr-re tessuti specifici per trapianti, ad esem-pio). Ma era entusiasmante anche per-ché modificava la nostra visione della bio-logia.

Naturalmente, quando la notizia si dif-fuse, il dibattito si concentrò sulla clona-zione umana. Io e Keith lo avevamo previ-sto. Avolte lui mi dava un passaggio a ca-sa e durante il viaggio ne discutevamo.Sapevamo che la clonazione umana sa-rebbe potuta diventare possibile, e chedopo Dolly ci avrebbero domandato diquesta possibilità. Eravamo d'accordo: l'i-dea non ci piaceva.

Quello era l'aspetto della storia chepiù di tutti alimentava la tempesta me-diatica. Ricordo che dicevo a mia moglie:«Non ti preoccupare, vedrai che per l'au-tunno sarà tutto finito». Ero un pazzo apensarlo.

Poco dopo la pubblicazione dello stu-dio, Keith lasciò l'istituto. Negli anni se-guenti, tutti e due partecipammo a unaquantità colossale di eventi e conferen-ze, e scrivemmo perfino un libro insieme.Dolly ha creato molte opportunità, maqualcuno ha avuto la netta percezioneche non siano state ripartite equamente,in particolare fra me e Keith. Per le ricer-che sulla clonazione e i miei studi prece-denti, io sono stato ammesso nella RoyalSociety e in seguito sono stato addirittu-ra insignito del titolo di baronetto. A qual-

cuno questo non è anda-to giù.

Quando ripenso aquello che ha realizzatola nostra équipe, mi vie-ne da considerare che an-cora non abbiamo vera-mente una comprensio-ne chiara dei meccani-smi biologici che ne stan-no alla base.

Pensavo che a questopunto ne avremmo sapu-to di più, e - per quelche vale-penso ancorache un giorno ne sapre-mo effettivamente dipiù. La ricerca sulle cellu-le staminali, che ha fattoleva sugli esperimenti didonazione, sull'esperi-mento di Dolly, comin-cia ad avere effetti. Almomento sono in corso

esperimenti clinici. La promessa di quelloche Dolly rappresentava comincia a con-cretizzarsi.

((D 201 &NewScientist.All rights reserved. Distributed by Tri-

bune ContentAgency.Traduzione di Fabio Galimberti)

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_ - Nel 1996in Scozia nasceva la pecorapiù famosa del mondoVent'anni dopo il "padre"lai Wilmut ricorda queigiorni e quella rivoluzione

Nel 1962JohnGurdon clona unarana da una cellulaadulta: si ha cosìla prova che le cellulemature conservanole istruzioni geneticheadatte per tuttii tipi di cellula

KDINO

In quelmomentoeroimpegnatoa curare

il giardino

L'annunciofu dato

Nel luglio del 1996,la pecora Dollydi lanWilmut e KeithCampbell è il primomammiferoa venireclonatoda una cellulaadulta, Seguirannomucche, maiali,conigli e cavalli

Èil dicembre dei 2002quando la dittaClonaid, legataalla setta dei Raeliani,annuncia-trapolemiche e smentite--- la nascitadi "Eva", la primabambina Gionata

Nel 2006, ShinyaYamanaka riescea riportare cellulemature a uno statoembrionale. Le nuovecellule Ips (staminalipluripotenti indotte)gli valgono, conGurdon, un Nobel

di domenicaIl lunedì cifu l'invasionedelle tv

IDUBBI

Non cipiaceval'idea di usarequestatecnica

sull'uomo

La ricercasulle cellulestaminalisi e mossa

dai nostriesperimenti

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QJANDOUNACOPIA

I BUUC I

5L ABBIAMO chiamata

Dolly perché è sta-ta ottenuta da una

cellula di ghiandola mamma-ria e non ci sono venute inmente un paio di ghiandolemammarie più impressionan-ti di quelle di Dolly Parton», co-si lo scienziato lan Wilmut illu-strò candidamente alla Bbc lascelta del nome di quella chesarebbe diventata «la pecorapiù famosa del mondo».

Fin dalla sua nascita, Dollyentrava così nella storia dellascienza e al tempo stesso inquella dell'immaginario e del-la cultura popolare. E sebbeneWilmut e gli altri scienziaticoinvoltisi affrettassero a defi-nire- con significativo accen-to estetico più che etico - «ri-pugnante» l'idea di clonare es-seri umani, Dolly e la sua tra-volgente presenza mediaticacatalizzarono una serie di pro-iezioni, scenari futuribili e pau-re che da tempo covavano nel-la società e nella cultura popo-lare. Anche perché c'è un pri-ma e c'è un dopo Dolly, la peco-ra clonata da Wilmut e dal suomeno celebrato (e poi scom-parso) collega Keith Camp-bell si inserì in un quadro giàsensibilizzato, soprattutto nelRegno Unito, dalle lunghe di-

scussioni e dall'acceso dibatti-to parlamentare che portòdall'istituzione della cosiddet-ta "Commissione Warnock"(1982) fino all'approvazionedello Human FertilisationandEmbriologyAct (1990).

E poi naturalmente c'è undopo, segnato da significativisuccessi e promettenti svilup-pi anche sul piano terapeuti-co, ma anche da clamorosiscandali che marcano in modoindelebile il rapporto tra scien-za, politica e media. Sulla sciadell'eco suscitato da Dolly, in-fatti, nel 1999 lo scienziato su-dcoreano Hwang Woo-suk det-te il via a una serie di annunciad effetto, affermando di averclonato una mucca e poi addi-rittura (per la prima volta nel-la storia) il cane Snuppy, epubblicando sulla rivistaScience una serie di articoliche «provavano che la clona-zione umana era ormai realtà,e non più fantasia». Ormai di-venuto una gloria nazionale,con il suo ritratto già stampa-to su francobolli lestamente ri-tirati dalle poste coreane,Hwang fu travolto da un cla-moroso scandalo e costretto aritrattare pubblicazioni basa-te su dati falsificati.

Oggi Dolly, imbalsamatadopo la sua scomparsa sei an-ni dopo la nascita, troneggiacome una delle attrazioni prin-cipali del National Museum ofScotland a Edimburgo. Immor-talata come si addice a una ce-lebrità, non troppo dissimileda un'opera di Damien Hirst(la sua pecora in formalina,Away from the Flock, è del1994), raro esempio di una co-pia divenuta unica.

(dNIPNOOLL>JONE NISFR ATA