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Anamnesi
1968
Super8; colore; sonoro magnetico;15’51”
Michele Sambin e Mario Angi.
n.b. Le schede delle opere sono tratte dalla tesi di Laurea Magistrale in Storia dell'Arte di Lisa Parolo
dal titolo «Il linguaggio artistico di Michele Sambin dal film alla video-performance musicale (1968-
1982). Ipotesi per la conservazione, il restauro e la riproposta attuale di Looking for listening (1977)»,
Università degli Studi di Padova.
Come indica lo stesso titolo, questo film è una vera e propria anamnesi della
malattia del protagonista, in cui sono spiegate le ragioni della sua necessità di
isolarsi dal mondo e il conflitto dell’uomo contemporaneo tra vita attiva e vita
contemplativa, dove nessuna delle due sembra soddisfare pienamente.
Nella prima scena del film la cinepresa inquadra la lenta e affaticata ascensione del
protagonista mentre sale le scale ed il tutto è accompagnato ritmicamente dalle note
di un pianoforte (dalle più gravi a quelle più acute degli ultimi gradini) che seguono
l’uomo, scalino dopo scalino. Già da questi primi secondi è palese che la
sonorizzazione del film avviene successivamente al montaggio della pellicola,
utilizzando le immagini di quest’ultima come spartito.
La seconda scena vede il protagonista entrare in una stanza; il tutto avviene ora in
un rigoroso silenzio. che si rompe solamente quando lo zoom focalizza
l’attenzione dello spettatore su una lampada sferica, elemento fantastico ed
escamotage per un cambio di scena. Ci troviamo ora in uno spazio aperto in cui
incombe la natura e dove l’uomo, piccolo e lontano, cammina con il suo cane; la
musica, questa volta un violoncello e un clarinetto, ci avvicina al sentire dell’attore e
ci lasciamo trasportare dentro questo sogno ad occhi aperti. Altro cambio di scena, di
nuovo silenzio, di nuovo l’uomo di fronte alla sua arte in meditazione. Si noti come
l’alternanza tra suono e silenzio in questo gruppo di scene sia utilizzato da Sambin
per rimarcare la differenza tra gli spazi chiusi e quelli aperti, tra l’artificio di una
stanza e la naturalezza della natura, tra la realtà e il sogno.
Circa al decimo minuto del film, il protagonista, fino a quel momento solitario, è
introdotto da una ragazza ad un gruppo di persone in un paesaggio desolato. Ogni
qualvolta il ragazzo si ferma a conversare con i personaggi – rappresentativi
ognuno a suo modo della società contemporanea - la cinepresa zooma in primo piano
sul volto dell’estraneo; in seguito, inizia un montaggio di scene tratte dalla vita di
tutti i giorni, accompagnate da alcune musiche commerciali di quegli anni.
Ciò che vediamo e ciò che udiamo ci avvicina al mondo del personaggio interrogato
senza che sia necessaria la tradizionale voce narrante: si prenda ad esempio il
primo personaggio con cui il protagonista viene a contatto. Un ragazzo giovane,
vestito alla moda di quegli anni, si presenta sorridente a Sambin porgendogli la
mano. Subito la scena cambia, inizia una canzone, Everybody’s got something to
hide except me and my monkey (Beatles, The White Album, 1968) e vi sono, in
ordine di comparsa, giovani davanti ad un liceo, scene di alcuni ragazzi impegnati ad
accendere una moto, ragazze vestite alla moda che camminano per Padova,
giocatori di basket, motocross, cartelloni che incitano alla lotta per le assemblee
autonome nell’università etc. Tutti questi spezzoni montati, si alternano al primo
piano del ragazzo, che muove le labbra concitato dal lungo discorso; questo ci dà la
percezione che sia lo stesso ragazzo a raccontarci, attraverso immagini e suoni -
escludendo quindi il linguaggio verbale - la sua verità. Questa seconda parte fa di
Anamnesi non solo il primo film dell’artista Sambin, ma anche un documento
importantissimo di quel momento storico che vede protagonisti non solo gli
studenti (non dobbiamo dimenticare che la data del film è il 1968, anno
fondamentale che sancisce l’inizio delle lotte studentesche nella storia italiana e
mondiale) ma anche i conservatori, i religiosi e gli operai, tutti caratteri ben descritti
nel loro mondo d’immagini e suoni.