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- IL GIOCO DELLA MORTE- 1 Questo racconto si ispira ad alcune notizie circolate in rete circa un gioco fatto da adolescenti che conduceva al suicidio. Ho voluto scriverne per aprire una finestra su qualcosa che vero o falsa che sia, mostra la fragilità degli adolescenti di oggi. L’ho impostata come lettera, in prima persona proprio per immedesimarmi nei panni della protagonista che potrebbe essere ognuno di noi. Asia Mi chiamo Asia, ho 19 anni e sono un’assassina. Sono chiusa in galera per istigazione al suicidio, o almeno così dicono, e oggi una giornalista verrà a parlare con me, per conoscere la mia storia.

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Questo racconto si ispira ad alcune notizie circolate in rete circa un gioco fatto da adolescenti che conduceva al suicidio. Ho voluto scriverne per aprire una finestra su qualcosa che vero o falsa che sia, mostra la fragilità degli adolescenti di oggi. L’ho impostata come lettera, in prima persona proprio per immedesimarmi nei panni della protagonista che potrebbe essere ognuno di noi.

Asia

Mi chiamo Asia, ho 19 anni e sono un’assassina. Sono chiusa in galera per istigazione al suicidio, o almeno così dicono, e oggi una giornalista verrà a parlare con me, per conoscere la mia storia.

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Sara

La lettera era sul pc, in una busta rosa, lo stesso colore della sua stanza. La stanza di una ragazza di sedici anni che teoricamente dovrebbe avere tutta la vita davanti e che invece una mattina è morta facendo un salto nel vuoto. Ma le cose non sono chiare. Si è trattata di una tragedia, una fatalità. No, in queste pagine è racchiusa la verità.

“Mi chiamo Sara, ho sedici anni e sono morta. Se avrete tra le mani questa lettera vorrà dire che il percorso da me intrapreso qualche tempo fa è giunto al termine. Non è andata come avevo previsto. Sono stata sconfitta. Ma del resto lo sapevo, lo avevo messo in conto quando ho accettato di fare questo gioco, un gioco che mi ha portato alla morte.

Non piangete per me, non ne vale la pena. Sono solo una ragazza debole che per farsi accettare dagli altri ha deciso di mettere in secondo piano la sua stessa vita.

Farsi accettare, che bella parola, ma senza un vero significato. Non esiste un modo per piacere agli altri. Essere se stessi porta inevitabilmente a non essere amati da tutti. Non è possibile infatti che tutti accettino il proprio modo di essere. Anche se sei popolare qualcuno ti odierà. Lo faranno per ripicca o semplicemente per invidia. Le ragioni possono essere migliaia.

Io ero una ragazza timida. Non stavo molto con gli altri. Mi piaceva restare in un angolo a leggere un libro o ascoltare musica ed

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immaginare. Sì , immaginare una vita diversa, dove ero fidanzata, ammirata, e dove mi presentavo ovunque con una stuola di persone dietro di me che pendevano dalle mie labbra.

Poi però mi arrivava un pallone sulla testa di un gruppo di ragazzi che giocavano poco distanti da me e tornavo alla realtà. Quella triste realtà dove andavo bene a scuola, non avevo amici, e tutti mi evitavano come la peste.

Così quando mi hanno chiesta di partecipare a quel gioco, io mi sono sentita felice. Sarei stata finalmente parte di qualcosa, e qualcuno avrebbe cominciato a considerarmi. Avrei potuto mostrare il mio coraggio, la mia forza di volontà e la mia caparbietà. E, forse, anche la mia fortuna, che ero convinta di avere, magari nascosta in qualche angolo remoto della mia esistenza.

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Asia

Mi guarda, non la conosco e nemmeno mi interessa cosa pensi di me. Per lei sono soltanto una pazza, ne sono sicura. Non me lo dice perché non può. Ha detto di chiamarsi Mara, e di avere intenzione di scrivere un libro su quello che è successo.

Non intende giudicare, tecnicamente non può farlo. È una cronista. Vuole solo raccontare i fatti. Del gioco, delle sue cause, conseguenze, e soprattutto della morte di Sara.

Come se io non ci pensassi ogni giorno. Come se quella sagoma che vola nel vuoto non mi facesse visita ogni notte e non mi risvegliassi sudata e spaventata.

Io non avrò mai pace. Questo lo so benissimo. Lo so da quella maledetta mattina, quando ho giurato fedeltà al gruppo e ho giurato di diventare un curatore. Di seguire quella ragazza e portarla a un passo dalla morte.

Non l’ho uccisa io, poteva salvarsi. Ma non è andata così e nel medesimo istante in cui lei ha perso la vita, io l’ho ammazzata.

Avrei dovuto consigliarla meglio, darle delle indicazioni migliori, forse.

Continuo a farmi mille domande ma non trovo risposta. Perciò ho accettato di parlare con questa donna. Per capire, per aiutare me stessa a capire cosa sia veramente successo in quindici giorni, solo due settimane, che hanno cambiato per sempre la mia vita. Non avevo bisogno di un medico, non capirebbe. Lei mi va bene. Ascolta e non ha uno sguardo inquisitorio.

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Sara

So che la prima domanda che ti verrà in testa sarà chiederti perché. Come ho potuto morire a sedici anni e soprattutto come abbia potuto fare ogni cosa senza farti accorgere di nulla. Non colpevolizzarti. Non devi. Fa parte del gioco. So che chiamarlo così viste le conseguenze, non ha molto senso, ma per me all’inizio era solo quello.

Un modo veloce per entrare a far parte di un gruppo. Uno di quelli che a scuola fanno scintille, che tutti si girano a guardare perché illuminati dalla scia che lasciano. E una mattina, una come tante una di loro, venne proprio da me.

Ero sdraiata su un muretto del cortile, con i libri a farmi da cuscino. C’era un bel sole e io avevo un’ora libera tra una materia e l’altra. Non essendo molto richiesta, stare sdraiata era una delle poche attività ricreative alla quale potevo dedicarmi.

Avevo la musica nelle orecchie e la mia mente vagava come sempre. A un certo punto mi sentii toccare la gamba. Alzai lo sguardo e la vidi. Era Asia Altieri, una delle ragazze più benestanti e popolari della scuola. Alta e bionda. Una di quelle che attirano l’attenzione dei ragazzi senza aver bisogno di fare nulla. Senza bisogno di stare ore a truccarsi e prepararsi perché Dio è già stato molto generoso con lei.

Tolsi le cuffiette dalle orecchie e la guardai. Non capivo per quale ragione mi stesse chiamando. Mi disse solo di avvicinarsi alla sua comitiva, che era poco distante.

La formavano quattro persone, oltre lei. C’era Giacomo Bocci, suo ragazzo nonché il più figo della scuola, Gaia Bruni, migliore amica di Asia, Alessio Igni, altro ragazzo sportivo e ammirato e infine Angelica

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Chiassi, una di quelle con la puzza sotto al naso che amava soltanto vestire di marca.

Tutti appartenevano a famiglie benestanti, come del resto la maggior parte di quelli del mio liceo. Una scuola ben frequentata. Mamma non colpevolizzarti per questo. So che la hai scelta per darmi il meglio e te ne sono grata.

Dopo essere stata chiamata da Asia, il mio cuore batteva forte. Ero emozionata ma spaventata allo stesso tempo, dopotutto è ovvio quando ci si trova di fronte all’ignoto. Mi avvicinai e salutai con voce tremante, come mio solito.

“Ciao, come va?” fu Alessio a rivolgermi la parola per primo.

Diventai rossa come un peperone ma risposi con educazione.

“Bene, grazie, volevate dirmi qualcosa?”

“Sì, ovviamente. Sei fortunata. Oggi sei stata scelta per partecipare a un gioco. Se ne uscirai vincitrice entrerai a far parte del nostro gruppo e ti aiuteremo anche a emergere, a farti notare. Dopotutto sotto la base c’è”.

Alessio parlava e mi accarezzava allo stesso tempo. In me cominciò a crescere il sentimento che già sapevo di provare verso di lui, da sempre.

Non ero una bella ragazza, ma nemmeno brutta. Ero solo una adolescente un po’ spigolosa che avrebbe dovuto credere un po’ più in se stessa e affidarsi all’aiuto di qualche estetista ogni tanto e magari ad un personal shopper.

Da quel momento, da quando mi era stata prospettata la possibilità di diventare una di loro, le mie risposte sarebbero diventate solo assensi. Non mi serviva sapere altro per decidere.

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Asia

Da quando sono nata sono sempre stata una leader. Vengo da una famiglia agiata, una di quelle dove le cose ti vengono date senza nemmeno bisogno di chiederle. Sono figlia unica. I miei mi hanno avuto tardi, ragion per cui rappresento per loro un meraviglioso dono del cielo, da venerare ogni giorno della mia vita.

Anche ora che sono qui dentro nulla è cambiato. Mio padre mi ha detto che uscirò presto. Non dovrò passare molto in questa lurida cella. Ho uno dei migliori avvocati che si potrebbero desiderare.

Ma lei non è qui per questo. Lei è interessata a sapere la ragione che mi ha portata qui. Il perché a causa mia una ragazza è morta. Si è buttata di sotto. In realtà è stata una disgrazia. Poteva anche salvarsi se avesse fatto la scelta giusta, ma così non è stato. L’ho anche detto alla polizia quando mi hanno interrogata ma non c’è stato verso di farglielo capire.

In fondo se lei si fosse salvata ora sarebbe una di noi. Una ragazza ammirata e corteggiata, perché in fondo era una bella ragazza, non come me, ovviamente, ma con un po’ di impegno sarei riuscita a trasformarla. Ovviamente sempre se ce l’avesse fatta a superare tutte le prove. Ed eccoci tornati all’unica ragione che ti ha portata qui, al gioco.

Io, Gaia, Giacomo, Alessio e Angelica eravamo un gruppetto che a scuola piaceva molto. Tutti erano lì ad ammirarci quando passavamo. A desiderare che noi, anche soltanto uno di noi, rivolgesse loro la

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parola. Quella mattina, quando tutto è cominciato, eravamo in cortile. A smanettare col telefono, come sempre, a cercare in rete qualcosa di interessante, che normalmente non succedeva intorno a noi.

All’improvviso Alessio mi mostrò una notizia. Si parlava di un gioco, dal nome un po’strano, Blue Whale. Dalla Russia era giunto in Europa e spopolava tra gli adolescenti. Si trattava di ragazzi che dovevano superare delle prove, loro assegnate in rete, da un curatore. Dovevano tagliarsi, farsi del male, correre di notte, vedere video dell’orrore. Insomma tutto ciò che potesse fargli perdere la testa. Cinquanta giorni, cinquanta prove, fino ad arrivare a quella più estrema, la morte, che doveva essere filmata, ovviamente.

Un gioco del genere volendo avremmo potuto farlo anche noi, non in modo così estremo, ovviamente. Avremmo tralasciato alcune cose e ridotto la tempistica. Due settimane di prove di coraggio, fino alla più importante.

Ci serviva solo designare un curatore e una vittima. Fummo scelte io e Sara.

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Sara

Tornai a casa piena di strane sensazioni addosso. Ero spaventata prima di tutto, di fronte all’ignoto. Poi ero contenta delle attenzioni ricevute da Alessio, e anche eccitata perché ero convinta che sarei diventata una di loro.

Già mi vedevo sdraiata sull’erba, affascinante e piena di ammiratori. Mi sembrava di avere in testa la nuvoletta dei fumetti.

Io non avevo ho mai avuto un ragazzo. Tanti me ne sono piaciuti e me ne piacciono ma mai nessuno si è interessato a me. Nella mia testa invece sono stata spesso fidanzata. Sono stata lasciata e ho lasciato a mia volta moltissimi ragazzi. Gli intrecci amorosi che sviluppavo con la fantasia facevano invidia alle migliori soap opera.

Tuttavia quando tornavo nel mondo reale mi sentivo svuotata, come se qualcuno avesse scosso la mia persona e mi avesse riportata alla vita squallida e priva di emozioni.

Ecco perché in fondo quello che stavo vivendo mi piaceva. Provavo delle sensazioni nuove che mai avevo provato fino a quel momento.

Guardavo il telefono ogni cinque secondi in attesa del messaggio che mi avrebbe mandato Asia. Non appena lo vidi vibrare lo afferrai con voracità e lessi, a bassa voce in modo che nessuno potesse sentirmi.

“Fatti un taglio a forma di cuore, in un posto nascosto. Poi scatta una foto e inviamela”.

Ero sconvolta. Perché mai dovevo tagliarmi. Il coraggio cosa c’entrava con questo. Io non amavo il sangue. Anche quando mi facevo il

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prelievo guardavo dalla parte opposta. Ma avevo accettato le regole e ora era mio dovere eseguirle.

Andai in bagno, presi il rasoio e iniziai. Il freddo sulla pelle ebbe un iniziale effetto anestetico ma durò poco. Il dolore e soprattutto il bruciore arrivarono in fretta. Fui veloce, anche se potrebbe sembrare strano, ma avevo solo voglia che finisse tutto il prima possibile. Il primo passo lo avevo fatto. Scattai la foto e la inviai e giuro che dalle mie labbra uscì anche un sorriso. Mi medicai, avevo paura di qualche infezione, e mi misi a letto, sperando di addormentarmi presto.

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Asia

Quando mostrai la foto agli altri restarono sconvolti almeno quanto me. Mai avrei pensato che quella ragazzina facesse una cosa del genere. Non mi chiese nemmeno spiegazioni, nulla. Lo fece e basta.

“Hai visto che ho scelto bene?” disse Alessio, soddisfatto.

“Sì, devo ammettere di sì, ma bisogna aspettare che porti a termine tutte le prove, non ci dimentichiamo che questa è solo la prima”.

Alessio sorrise ma era convinto che lei sarebbe giunta alla fine. Chissà perché ma era come se la conoscesse benissimo, cosa che non poteva essere possibile.

Quel pomeriggio stemmo tutto il tempo a casa mia. I miei non c’erano e noi ci dedicammo ampiamente all’organizzazione del gioco. I giorni dedicati all’autolesionismo sarebbero stati tre, con prove sempre più cruente. Tre dedicate alla visione di horror. Tre dedicato alla corsa notturna e tre dedicate all’altezza, con finale col botto.

Non eravamo strateghi e di certo quello che uscì dalle nostre menti lo avevamo visto qua e là e scopiazzato. Anni di film e letture su internet sull’argomento ci aveva fatto diventare esperti.

Bevemmo molto quel pomeriggio e ci concedemmo qualche regalino, un po’ di cocaina giusto per rendere il tempo più piacevole. Se mia madre lo avesse solo immaginato.

Pensi che quado era in casa e ci vedeva andare in camera ci portava anche la merenda. Ci considerava bambini, non avrebbe mai creduto a qualcosa di diverso.

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Una cosa però mi colpì. Mentre io e Giacomo passavamo il tempo a modo nostro, potrà immaginare come, mi fece una domanda.

“Ma tu non ti senti in colpa per quello che stiamo facendo a quella ragazza?”

Ovviamente risposi di no. Anche perché nella mia mente il senso di colpa non credo esistesse. Ma non capivo cosa volesse dire farmi una domanda del genere.

Certo che mi ero scelta proprio un ragazzo stupido, insicuro, un buono a nulla. Ecco perché ero convinta del fatto che tradirlo non fosse sbagliato per niente.

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Sara

Ho avuto una fortuna, o forse una sfortuna, non saprei dirlo con certezza. Che mi trovassi in inverno e portassi le maniche lunghe. In questo modo i tagli non si sarebbero visti. Il primo lo feci sul polso. Il secondo giorno invece dovevo fare una sfera, un po’più grande del precedente, ma il terzo difficilmente avrei potuto nasconderlo se non avessi avuto i maglioni.

Si trattava di una stella a cinque punte. Era grande, non tantissimo ma certamente non sarebbe stato semplice realizzarla. Avevo una gran paura del dolore, l’ho sempre avuta e tu, mamma, lo sai bene.

Ricordi quando da piccola sono caduta dalla bicicletta e mi sono fatta male al ginocchio? Immagino di sì, ricordi tutto di allora. Di quando eravamo ancora una famiglia felice. Di quando c’era papà che andava al lavoro e si faceva in quattro per stare con noi e di quando tu eri a casa, a preparare deliziose pietanze per tutti. Di quando Marco era solo uno scricciolo che cominciava a camminare, dopo una lunga fase di gattonamento.

Sono stata felice allora. Credimi ero veramente felice, anche se forse non te lo mostravo. Pagherei oro per tornare a quel meraviglioso periodo. Tuttavia sappiamo entrambe che non è possibile. Il destino ha voluto diversamente, ha voluto che una malattia se lo portasse via per sempre, lontano da tutti noi.

Non ti dico queste cose per farti stare male. Lo faccio perché voglio farti sapere che se non ne parlo mai di quei giorni, è solo perché non ti voglio arrecare altro dolore. Ne hai già tanto dentro di te, e per quanto fai di tutto per soffocarlo so che spesso esce attraverso pianti lunghi e liberatori, fatti in un letto vuoto e coperto dal cuscino.

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Ad ogni modo io quella stella l’ho disegnata, se così si può dire. Ho sofferto tanto ma in me c’era soltanto voglia di essere un’altra. L’ho fatto solo per questo. Se avessi avuto una vita migliore anche tu ne saresti stata felice. Non mi avresti vista sola nella mia stanza, ogni singolo giorno.

Ti starai chiedendo quando mi dedicavo a queste macabre arti. Di sera, molto tardi, quando sia tu che Marco dormivate profondamente stremati dalla giornata appena trascorsa. Prima di iniziare venivo a darvi un bacio sulla fronte. Mi infondeva quel coraggio che sentivo di non avere.

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Asia

Quando vidi quella stella mi venne da vomitare. Si trattava di una prova più estrema e una foto non bastava. Dovevo verificare di persona che avesse avuto la forza di farla. Eravamo nel bagno delle ragazze, a scuola.

Lei sembrava soddisfatta, ma io non lo capivo. Come faceva a fare quelle cose senza stare male. Tagliarsi era da deboli. Ne avevo viste di persone del genere. Ne avevo anche conosciute, ma le avevo subito allontanate. Sono solo dei fragili senza alcuna dignità.

Per persone come me che hanno sempre avuto tutto dalla vita è difficile capire chi non ha nulla. Perché diciamo la verità, qui si parla proprio di mancanza di soldi. I soldi incidono su tutto.

Non credo che chi è ricco faccia certe cose, non potrebbe. Ci sono altre soluzioni per passare il tempo in questo caso.

Quando dico questo la giornalista mi guarda strana. Sembra che io sia un’aliena che viene da un mondo sconosciuto. Sono un po’ stufa di queste occhiate, di vederla segnare chissà cosa su quel blocchetto. Mi sembra di essere da un prete. Non mi fa domande quindi non potrei definirla una psicologa. Ascolta e segna, ma forse anche gli psicologi fanno così. Non lo so non ci ho mai avuto a che fare.

Solo una volta, quando ero una ragazzina, i miei volevano portarmi da un dottore, a sfogarmi. Perché avevo fatto una cosa che non ho mai raccontato a nessuno. Una sera ho aperto il mobiletto dei farmaci. Presi le pillole di mia mamma e cominciai ad ingoiarle. Una dopo l’altra, senza pensarci troppo.

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Avevo un dolore dentro, fu l’unica volta che lo provai. Ma la mia missione per farlo sparire durò poco. La mia governante se ne accorse, chiamò i miei e un’ambulanza. Di quella storia non si è mai saputo nulla e io ne fui felice.

Fu un gesto stupido, fatto da una bambinetta stupida. Ma questa storia deve restare un segreto. Nemmeno questa donna dovrà mai saperlo. Soprattutto la ragione che mi ha spinto a farlo. Era la prima volta che ho provato male. Un forte male dentro di me. Talmente forte da non poterlo soffocare in nessun modo. Ma mai ho raccontato quale fosse. Era mio, e tale doveva restare.

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Sara

I film dell’orrore li odio. Mi hanno sempre fatto schifo, scusa il termine ma non ne trovo uno migliore. Non vedo la ragione perché continuino a farne e perché in molti si rechino addirittura al cinema. Pagano il biglietto per vedere cose che danno il voltastomaco.

Una volta un ragazzo che conoscevo, e che amava il genere, mi disse che questo tipo di film fortifica. Una volta che sei diventato un esperto, che ne conosci tanti e ne hai visti in ogni occasione possibile ed immaginabile diventi più coraggiosa.

A me sembrava solo la giustificazione di un tipo che tanto normale non era. Ma in fondo chi sono io per giudicarlo, sto rischiando la vita per far parte di un gruppo. Credo che il mio metro di giudizio da quando ho iniziato questo percorso non sia più degno di nota. Nessuno che io conosco avrebbe mai fatto una cosa del genere. Quindi a occhio e croce la più pazza e strana in assoluto resto io, posso aggiudicarmi l’unico premio della mia vita.

Lo so che non c’è molto da scherzare su questa cosa. Ma sto solo tentando di esorcizzare me stessa, di dare un senso a tutto quello che ho fatto fino a oggi e soprattutto a quello che sto per fare.

Tornando al discorso horror, i tre giorni di prove relative, erano così suddivise.

La prima prova consisteva nel vedere un filmato, molto breve. Il secondo giorno avrei dovuto vedere un video di musica psichedelica e tre film dell’orrore, e il terzo avrei trascorso la notte intera a vederne.

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Ti starai chiedendo se si è trattato di quella volta che non sei riuscita a svegliarmi per andare a scuola e che ti ho chiesta di restare a casa perché ero stanchissima. Ovviamente la scusa addotta era di una notte passata sui libri per il compito che avrei affrontato qualche giorno dopo, ma la realtà ora la conosci.

Non potevo andare a scuola se nemmeno riuscivo a chiudere gli occhi senza vedere quelle immagini orribili. Ci sono volute ore perché finalmente si dissolvessero, nonostante l’ansia e la paura ce l’avessi ancora addosso, e me la porto anche adesso. Ho dovuto riprendermi mentre guardavo quelle cose, altrimenti potevano non credere che lo avessi fatto sul serio. La verifica era molto importante, e io rispettavo ogni cosa minuziosamente.

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Asia

Ho guardato poche volte le stelle. Per molti si tratta di desideri che si avverano e di persone che ormai nell’aldilà sono loro vicine. Per me sono solo puntini che vanno e vengono. Sono cinica lo riconosco. Non sono una persona che si lega alle cose o alle persone.

Non mi piace avere legami. Per questo sto con chi mi ammira ma che io non ammiro per niente. I miei amici ad esempio, li ho scelti perché sapevo che mi seguivano. Interessavo loro come persona, con la mia sicurezza e bellezza. Dopotutto è per questo che mi hanno scelta come curatore.

Ho un forte ascendente sulle persone, vengo imitata facilmente. Io invece non ho mai seguito o imitato nessuno, non sopporto questa parola, non ha un significato per me. Io non so perché bisogna fare quello che gli altri fanno. Per me se loro fanno una cosa, io mi diverto a fare l’esatto opposto. Mi piace essere controcorrente.

Ma non sono una sfigata, non nel senso che non seguo la moda o che mi vesta da povera idiota. In questo ho delle regole, e le rispetto sempre. E ovviamente impongo a chi mi segue di comportarsi allo stesso modo.

Una volta una persona a me molto vicina mi ha detto che ero una stella che brillava di luce propria, che non aveva bisogno di nessuno per essere splendida e meravigliosa.

È la stessa persona che diceva che potevo essere paragonata ad un ramoscello, che aveva solo bisogno di una piccola stecca per essere tenuto dritto e non afflosciarmi o distorcermi. Che un giorno sarei

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diventata una bella ragazza dolce e amata da tutti, che avrei trovato l’amore, qualcuno che mi volesse veramente bene, che mi avrebbe rispettato e onorato finché morte non ci separi.

È la stessa persona che se ne è andata via troppo presto, che mi ha lasciata sola a districarmi in questo strano posto che si chiama mondo. Lei lo sapeva che in fondo nel mio io, quello più profondo c’era del marcio. Lo sapeva ma fingeva che non fosse così, che prima o poi il bello che di sicuro custodivo, sarebbe emerso definitivamente, uccidendo la parte brutta e anche cattiva che c’era. Erano solo bugie, lei se ne è andata e io sono qui, a vivere il mio inferno.

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Sara

Correre ti libera, ti da forza e voglia di arrivare. Ti permette di raggiungere anche gli obiettivi più estremi. Ti sembra che quando le gambe cominciano ad andare da sole, quando nemmeno le controlli più ti diano la capacità di volare.

Mi è sempre piaciuto lo sport, ho sempre apprezzato coloro che lo fanno quotidianamente, con devozione e impegno sacrificando tutto il resto, anche una uscita con gli amici o con la ragazza, solo perché devono allenarsi.

Hanno una grande forza di volontà e tenacia. Forse avrei dovuto anche io dedicarmi allo sport, magari tante stupidaggini non le avrei fatte. Ma dopotutto a che serve pensarci adesso. Ma in tre giorni ho fatto più sport di quanto ne avrei potuto fare in anni.

Le tre prove consistevano nello svegliarmi alle tre di notte e percorrere la prima sera un chilometro, la seconda tre e la terza quattro. Per una non allenata anche farne uno è tantissimo. Poi correre di notte con il freddo che ti taglia la faccia è stato terribile.

Quando ho sentito la sveglia alle tre la prima volta avrei voluto tirarmi indietro. Stavano chiedendomi troppo e anche io stavo chiedendo troppo a me stessa. Avrei voluto chiudere gli occhi e sparire. Non riuscivo nemmeno a immaginare di alzarmi dal letto caldo e uscire fuori. Ma l’ho fatto.

Ho corso nella pineta poco distante da casa nostra. Ho segnato il percorso, i tempi, e ho inviato tutto ad Asia. Di sicuro si sarà meravigliata che abbia superato anche quello. La sera seguente e

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quella successiva fu piu semplice. La fatica c’era ma almeno il freddo lo superavo dopo poco avere iniziato il percorso. Le sensazioni negative lasciavano spazio alla voglia di arrivare al traguardo. In quella occasione mi sono sentita la protagonista di un allenamento estremo, quello che si vede nei film, quello che fanno i militari prima di andare in missione. Un allenamento duro ed estenuante che ti fortifica, senza pensare a freddo,caldo, dolori fisici. In quei momenti ci sei solo tu e il maggior nemico, te stesso.

Perché non esiste nemico maggiore di se stessi da sfidare, di questo ne sono sicura. Tuttavia il loro lavoro era comprensibile, e aveva un senso logico, ma non il mio. Ero solo una pazza che stava sfidando se stessa, per arrivare nel baratro.

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Asia

Vorrei capire cosa pensa quando mi guarda. Si farà delle domande, vorrebbe essere nella mia testa per capire dopo quello che è successo cosa provi. Mi ha fatto una domanda, mi ha chiesto cosa abbia provato dopo averla vista morta. Che domanda assurda. Cosa vuole che abbia provato. Mi sono sentita svuotata all’improvviso.

Ho semplicemente capito che aveva fatto la scelta sbagliata. Quando abbiamo iniziato il percorso credevamo tutti che lei si sarebbe fermata dopo due al massimo tre prove. Nemmeno immaginavamo che sarebbe andata avanti. Dopotutto una persona debole come quella non poteva spingersi così lontano.

Quando poi le cose sono andate avanti abbiamo iniziato a capire che potevamo finire male, molto male. Ma la prova finale, se mai fosse stata fatta, era solo una scelta. E la possibilità che l’avrebbe condotta alla morte era bassa. Quindi abbiamo continuato.

Poi però tutti erano a conoscenza che quella piccola possibilità era diventata la sola certezza e che quella ragazza era morta. E da allora non avevo pace. Non lo avrei mai ammesso, nemmeno sotto tortura ma la sua immagine mi appariva ogni notte. Non riuscivo a scacciarla dalla testa. Anche di giorno mi capitava di sentirla accanto a me, come se fosse pronta a giudicarmi, a buttarmi addosso la sua rabbia, la sua sofferenza.

Pensavo a volte che mi avrebbe voluto condurre con lei. Non ho mai creduto nell’aldilà. Sono una di quelle persone che si fanno poche domande. Di certo non mi chiedo da dove vengo e dove andrò dopo la morte. Sono convinta che c’è una data di nascita e una di scadenza,

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una di quelle che non puoi cambiare in nessuna maniera, anche se spesso ci si illude del contrario.

Si crede che anche nell’ultimo minuto di vita basti pentirsi per andare nella gloria di Dio, in quanti lo credono. In quanti pregano per arrivare al meglio l’ultimo giorno della loro vita. Cercano di essere perfetti, di seguire la retta via, e di non fare del male, in attesa di chissà quale ricompensa.

Io invece sono sicura che tutti resteranno delusi da quello che li aspetterà, ossia il nulla. Sì sono convinta che non ci sia proprio nulla dall’altra parte.

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Sara

È arrivato poi lo sfidare l’altezza. Sono dovuta salire sul palazzo più alto della città, quello con dodici piani, quello che ha solo uffici.

Ho dovuto prima solo salire sul tetto, poi ho dovuto riprendermi mentre camminavo sul cornicione e poi, poi ti spiegherò quello che dovrò fare.

Quando sono salita la prima volta avevo paura, molta. L’altezza spaventa chiunque e io non ero da meno. Quello che più di tutto mi ha terrorizzata è stato salire sul tetto e farmi il video. Mi tremava la mano ma poi ho provato a pensare che non stessi così in alto. Soltanto illudendomi di stare a terra sono riuscita a procedere nel percorso.

Io che nella mia vita non mi ero nemmeno fatta un selfie, adesso dovevo riprendermi mentre ero a camminare sul cornicione del palazzo più alto della città. Non è stato difficile salirci. Era mattina presto ma sono riuscita a eludere i controlli.

Ero ormai alla fine e l’attesa dell’ultima prova riempiva la mia giornata. Mi chiedevo solo cosa mi aspettasse. Avevo superato tutto, anche le cose più brutte, ma sapevo che l’ultima sarebbe stata terribile. Me lo sentivo, non poteva essere diversamente. Ed avrebbe avuto a che fare con l’altezza.

Quando poi Asia mi mandò un messaggio dicendo che mi avrebbe dovuto incontrare i miei dubbi sono diventati realtà.

Ci vedemmo in un posto isolato, lontano dal centro abitato. Uno di quei posti frequentati perlopiù da coppiette. Io sono arrivata a piedi mentre lei aveva la macchina.

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Mi ha fatto salire e mi ha mostrato delle corde, quelle che si usano per il salto nel vuoto. Erano quattro, una identica all’altra.

“Come avrai capito, domani dovresti lanciarti dal palazzo che ormai conosci bene” cominciò con aria tranquilla, come se mi stesse invitando al parco giochi.

“C’è però un problema”continuò “ una di queste è difettosa. Sarai tu a scegliere quale usare. Da come immaginerai però c’è la possibilità che la corda non regga e tu cada realmente nel vuoto”.

A quelle parole scoppiai a piangere. Ero terrorizzata, stavo per rischiare la vita. Forse avrei scelto la corda giusta ma se così non fosse stato…

“So che è pericoloso, ma sei a un passo dalla fine. Da domani potresti essere una di noi, potresti sederti qui accanto a me, e magari andare insieme a fare spese. Sarebbe figo non trovi?”

Sì lo era, dopotutto volevo quello a tutti i costi. Era per quella ragione che avevo cominciato quel percorso. Così senza pensarci oltre, accettai.

E ora eccomi qui, seduta alla scrivania a scrivere questa lettera per te e Marco, ma non solo. Domani spero di gettarla io stessa nel cestino, ma se così non fosse, voglio che tutti conoscano quello che è accaduto a me, per non fare i miei stessi errori. Sto per fare la cosa più stupida della mia vita per prendere tra le mani una pistola come nella roulette russa, perché è questo che accadrà domani. Se sbaglierò la corda morirò . Scrivo queste parole e rabbrividisco. Tu mamma sei in cucina a preparare la cena e Marco è accanto a te a finire i compiti.

Mi raccomando se dovesse succedermi qualcosa non lasciarti andare. Pensa a lui, stagli accanto. Non soffocarlo ma amalo, con tutta te stessa. Io non ci sarò più e tu dovrai essere il suo punto di riferimento. E fai in modo che questa lettera arrivi nelle mani giusti. Diventa portavoce della vita, dato che io non le ho affidato il giusto valore.

Scusami mamma, ti voglio bene. Perdonami, se puoi.

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Asia

Quella mattina l’ho accompagnata io sul tetto. Avevo con me le corde ma non ricordavo quale fosse quella difettosa. Ripresi tutto, ogni minimo dettaglio, e soprattutto la preparazione.

Ripresi Sara, le sue mani tremanti mentre indossava l’imbracatura. Le chiesi di dire qualcosa ma non lo fece. Si girò di scatto solo una volta, con il viso pieno di lacrime e con tanta rabbia.

Mi odiava, era evidente, non c’era bisogno che me lo dicesse. Poi si voltò di scatto e si gettò nel vuoto. Per un attimo ho sperato che quella corda risalisse e la portasse indietro ma non fu così. Il suo corpo volò a terra, con una velocità sempre più forte.

Sembrava un manichino usato per le dimostrazioni, ma non lo era. Era una persona e in quel preciso istante io ero diventata la sua assassina. Vidi quando toccò il suolo, quel rumore non potrò mai dimenticarlo. Aveva una posizione scomposta, ovviamente.

Ero terrorizzata. Raccolsi tutto e scappai via.

Me ne andai, ma non sapevo dove, volevo sparire, addormentarmi e svegliarmi nella mia stanza, tra le mie cose, come se quello non fosse mai successo. Ma non era possibile, così provai a fuggire, ma la mia fuga è durata solo pochi giorni, fino a che la polizia non mi ha condotta qui dentro.

- IL GIOCO DELLA MORTE-

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Epilogo

La lettera di Sara ha fatto arrestare tutte le persone coinvolte. In maniera diversa ma tutti hanno pagato per le loro colpe. La mamma di Sara ha mantenuto la promessa ed è stata una portavoce della vita e ha aiutato molte madri nel loro rapporto con i figli. Marco ha continuato gli studi e ora frequenta l’università di medicina

Asia,giudicata colpevole, è stata trovata morta nella sua cella. Si è tagliata le vene. Non ha lasciato nessun messaggio o lettera di addio.