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GINO VINICIO GENTILI INCUNABOLI _, COROPLASTICI DI STILE IONICO DALLA NESOS SIRACUSANA E LORO SCUOLA PLASTICA INQUADRAMENTO NELLA ARCAICA DI SYRAKOSAI L A PETROSA 0RTIGIA, che Tucidide 1 > nella sua scarna ed incisiva prosa designa sempli- cemente come la Nésos, quasi l'isola per antonomasia, ha dischiuso prodiga nel volgere di questo secolo i veli della sua storia millenaria, re- stituendo fino dalle prime metodiche indagini che vi iniziò nei primi anni del 'goo Paolo Orsi, per entro il suo secolare mistero le testimonianze si- cure dei più remoti palpiti vitali risalenti alla cul- tura pre-greca e quelle più grandiose e monumen- tali della civiltà del ferro e classica, che vi ebbe il suo avvìo con l'approdo ai suoi scogli dei Co- rinzi seguaci di Archias nella seconda metà del secolo VIII a. C., ed il suo progressivo, rigoglioso sviluppo con i discendenti dei coloni greci e dei loro soggetti successori dei Siculi, i killichirioi, che in una attiva simbiosi vissero nelle murate 3l Anche alla nostra indagine, quando ci siamo dovuti occupare del suolo di Ortigia toccato da lavori di cantieri edili, sono emersi, con maggiore e minore imponenza, i documènti della vita reli- giosa, economica, artistica e sociale dell'antica Siracusa, ininterrottamente, dall'arcaismo all'età di mezzo. Se abbiamo avuto la ventura di imbat- terci nelle prime, sicure reliquie del grande Tem- pio ionico, e propriamente di quelle gravitanti sul- l' opist6domos del sacro monumento, suggellate sotto il secentesco Palazzo Vermexio 4l - i resti del rimanente settore ponderati verso il pr6naos sono stati più tardi esplorati sub divo a seguito del- l'abbattimento delle costruzioni che vi insisteva- no s> - e di recuperare alcune possenti membra- ture architettoniche lapidee del tempio, non sono pure mancati di apparirci significativi elementi figurativi coroplastici di quello stile i0nico che, come già noto, influenzò diffusamente l'arte scul- torea siceliota e della Magna Grecia, spaziando da -esse sul restante mondo italico, nella seconda metà del VI secolo a. C., e vi si affermò in partico- lare nell'ultimo quarto del secolo. Di quest'arte, accolta assieme all'architettura nell'Ortigia di Si- racusa, vuole essere eco la presente nota attraverso la di due notevoli, se pur mutili, incuna- boh della plastica, una maschera di kore perti- nente ad un'antefissa, ed i frammenti, disiecta membra, di un non piccolo pinax, che doveva ac- cogliere in sentito rilievo le patetiche figure fem- minili delle due divinità ctonie, Demetra e Kore. Il primo pezzo è stato restituito d;tll'ambito del témenos del tempio ionico ed è stato raccolto non lontano dal piccolo altare quadrato incontrato su- bito dietro l' opist6domos del tempio stesso, al di sotto delle fondazioni del fronte occiduo del Pa- lazzo Vermexio. Resta quasi unicamente la sola maschera muliebre della giovinetta (fig. 2) dal volto ovale, grassoccio, in cui giocano la luce e l'ombra sfumata nel brusco o tenue variare dei piani, che il coroplasta ha creato ora col netto ed incisivo colpo di stecca alla base del naso e nel giro inferiore delle sopracciglia rigorosamente arcuate, nell'occhio obli- quo ed amigdaloide aperto all'angolo interno in corrispondenza della caruncola lacrimate, e nella larga bocca spremuta, dal tumido labbro inferiore, ora con la morbida e prolungata carezza della stret- ta spatola nelle guance paffute, che non nascondono gli zigomi pronunciati, e nell'ampio mento, corona- mento prominente al pendulo festone del labbro inferiore. Questo volto di giovinetta, perfetto nella sua rigorosa simmetria, è deturpato dalla scheg- giatura della punta del naso e dalla frattura in dia- gonale che, nella parte superiore sinistra, interessa l'esterno dell'occhio ed il cavo orbitale sotto il so- pracCiglio e taglia la fronte liscia fin oltre la sua metà; ma ancora si leva saldo sul collo carnoso, troncato dal taglio netto orizzontale di base del- l'antefissa: le dimensioni attuali del pezzo sono comprese tra un'altezza massima di mm. 125, una larghezza di mm. 105 ed uno spessore di mm. 8. Dell'acconciatura delle chiome, che incornicia- vano questo enigmatico volto femmineo, dischiuso al sorriso, vi ha solo un piccolo avanzo, poco più di tre perle della treccia più interna, tinta ancora della sua policromia bruna, scendente lungo il lato sinistro del collo. Il colore, quivi tuttora conser- vato, e, del resto, l'ingubbio, che ricopre tutta la superficie già in vista, fanno intravvedere la vivace policromia, che vivificava la testa e le dava espres- sione, non diversamente da quel più antico fram- mento di volto, 6 > ritenuto pertinente forse ad una figura di sfinge - come di sfinge è la testa da Ka- lydon, conservata nel Museo Nazionale di Atene, 3 ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

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0005~ GINO VINICIO GENTILI

INCUNABOLI _,

COROPLASTICI DI STILE IONICO DALLA NESOS

SIRACUSANA E LORO

SCUOLA PLASTICA INQUADRAMENTO NELLA

ARCAICA DI SYRAKOSAI

L A PETROSA 0RTIGIA, che Tucidide 1 > nella sua scarna ed incisiva prosa designa sempli­cemente come la Nésos, quasi l'isola per

antonomasia, ha dischiuso prodiga nel volgere di questo secolo i veli della sua storia millenaria, re­stituendo fino dalle prime metodiche indagini che vi iniziò nei primi anni del 'goo Paolo Orsi, per entro il suo secolare mistero le testimonianze si­cure dei più remoti palpiti vitali risalenti alla cul­tura pre-greca e quelle più grandiose e monumen­tali della civiltà del ferro e classica, :~l che vi ebbe il suo avvìo con l'approdo ai suoi scogli dei Co­rinzi seguaci di Archias nella seconda metà del secolo VIII a. C., ed il suo progressivo, rigoglioso sviluppo con i discendenti dei coloni greci e dei loro soggetti successori dei Siculi, i killichirioi, che in una attiva simbiosi vissero nelle murate Syraq6sai~ 3l

Anche alla nostra indagine, quando ci siamo dovuti occupare del suolo di Ortigia toccato da lavori di cantieri edili, sono emersi, con maggiore e minore imponenza, i documènti della vita reli­giosa, economica, artistica e sociale dell'antica Siracusa, ininterrottamente, dall'arcaismo all'età di mezzo. Se abbiamo avuto la ventura di imbat­terci nelle prime, sicure reliquie del grande Tem­pio ionico, e propriamente di quelle gravitanti sul­l' opist6domos del sacro monumento, suggellate sotto il secentesco Palazzo Vermexio 4l - i resti del rimanente settore ponderati verso il pr6naos sono stati più tardi esplorati sub divo a seguito del­l'abbattimento delle costruzioni che vi insisteva­no s> - e di recuperare alcune possenti membra­ture architettoniche lapidee del tempio, non sono pure mancati di apparirci significativi elementi figurativi coroplastici di quello stile i0nico che, come già noto, influenzò diffusamente l'arte scul­torea siceliota e della Magna Grecia, spaziando da -esse sul restante mondo italico, nella seconda metà del VI secolo a. C., e vi si affermò in partico­lare nell'ultimo quarto del secolo. Di quest'arte, accolta assieme all'architettura nell'Ortigia di Si­racusa, vuole essere eco la presente nota attraverso la ~segesi di due notevoli, se pur mutili, incuna­boh della plastica, una maschera di kore perti­nente ad un'antefissa, ed i frammenti, disiecta

membra, di un non piccolo pinax, che doveva ac­cogliere in sentito rilievo le patetiche figure fem­minili delle due divinità ctonie, Demetra e Kore.

Il primo pezzo è stato restituito d;tll'ambito del témenos del tempio ionico ed è stato raccolto non lontano dal piccolo altare quadrato incontrato su­bito dietro l' opist6domos del tempio stesso, al di sotto delle fondazioni del fronte occiduo del Pa­lazzo Vermexio. Resta quasi unicamente la sola maschera muliebre della giovinetta (fig. 2) dal volto ovale, grassoccio, in cui giocano la luce e l'ombra sfumata nel brusco o tenue variare dei piani, che il coroplasta ha creato ora col netto ed incisivo colpo di stecca alla base del naso e nel giro inferiore delle sopracciglia rigorosamente arcuate, nell'occhio obli­quo ed amigdaloide aperto all'angolo interno in corrispondenza della caruncola lacrimate, e nella larga bocca spremuta, dal tumido labbro inferiore, ora con la morbida e prolungata carezza della stret­ta spatola nelle guance paffute, che non nascondono gli zigomi pronunciati, e nell'ampio mento, corona­mento prominente al pendulo festone del labbro inferiore. Questo volto di giovinetta, perfetto nella sua rigorosa simmetria, è deturpato dalla scheg­giatura della punta del naso e dalla frattura in dia­gonale che, nella parte superiore sinistra, interessa l'esterno dell'occhio ed il cavo orbitale sotto il so­pracCiglio e taglia la fronte liscia fin oltre la sua metà; ma ancora si leva saldo sul collo carnoso, troncato dal taglio netto orizzontale di base del­l'antefissa: le dimensioni attuali del pezzo sono comprese tra un'altezza massima di mm. 125, una larghezza di mm. 105 ed uno spessore di mm. 8. Dell'acconciatura delle chiome, che incornicia­vano questo enigmatico volto femmineo, dischiuso al sorriso, vi ha solo un piccolo avanzo, poco più di tre perle della treccia più interna, tinta ancora della sua policromia bruna, scendente lungo il lato sinistro del collo. Il colore, quivi tuttora conser­vato, e, del resto, l'ingubbio, che ricopre tutta la superficie già in vista, fanno intravvedere la vivace policromia, che vivificava la testa e le dava espres­sione, non diversamente da quel più antico fram­mento di volto, 6> ritenuto pertinente forse ad una figura di sfinge - come di sfinge è la testa da Ka­lydon, conservata nel Museo Nazionale di Atene,

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stilisticamente e formalmente ad esso assai simi­le 7l - e restituito anch'esso dall'ambito del tem­pio ionico - propriamente da una stipe votiva connessa ad un sacello e ad un'ara della prima metà del secolo VI, anteriori quindi all'impianto del­l' edificio ionico -, prodotto di . quel filone della scuola coroplastica siracusana, del quale la nostra rappresenta, nell'ingentilito stile dominante del­l' epoca, reazione al massiccio e duro modellato ancor sentito nella prima metà del secolo, ormai uno stadio di almeno un cinquantennio più avanzato.

La resa dei lineamenti, senza dubbio in essa sempre più rifuggente dalla convenzionalità e più aderente al naturalismo, porta a collocarla, a nostro avviso, nella fase finale di quel periodo distinto, nella classificazione delle korai proposta dalla Rich­ter, come Gruppo IV, o Gruppo della kore di Lione-rilievi di Efeso I, ricondotto all'arco di tempo che sta tra il 555 e 535 a. C.: può infatti essere stilisticamente messa a fianco delle teste in marmo ad altorilievo restituite dal tempio di Apollo a Didyma, 8> ed ancor meglio può reggere il con­fronto con la robusta resa plastica del volto della kore ateniese n. 678 del Museo dell'Acropoli, da­tata intorno al 535-530 a. C. 9) Ma proprio a Si­racusa un'affinità stilistica con essa la si può co­gliere, per quanto ne è possibile la lettura, in quelle piccole, miniaturistiche teste femminili di profilo della prima monetazione incusa (fig. 4), assegnata alla Serie ·P del Gruppo I nella classificazione del Boehringer, che ne colloca l'inizio intorno al 530 · a, C, IO)

Una eco delle caratteristiche formali e struttu­rali, che la maschera in esame contiene, si sente ancora nella stessa Siracusa in due pressoché integre teste, diademate meglio che modiate, di korai delle note antefisse restituite dalla necro­poli del Fusco; in ciascuna di esse il coroplasta, se non lo stesso certo della medesima bottega aretusea, manifesta una fase artistica un po' più evoluta per quel senso di incipiente reazione alla leziosità ionica che pur domina ancora appieno nella ricercata acconciatura delle chiome: ma sul volto, pur mantenendo gli allungati occhi obliqui, rimpicciolisce la bocca e dà una resa stilizzata in rilevato listello falcato alle sopracciglia, caratteri­stica che è comune anche alla statua fittile di dea di Terravecchia di Grammichele, ricadente anche essa nell'influenza artistica della coroplastica sira­cusana dell'arcaismo maturo. Su questi accenti comuni però v'ha una differenza sostanziale di espressione tra le due stesse antefisse, che a nostro avviso può indicarne la differenza cronologica, anche se lieve: il volto dell'una (fig. 5) è ancora atteggiato . allo stereotipato sorriso caratteristico della tendenza ionica; mentre in quello della se­conda (fig. 6) questo sorriso sembra spegnersi o meglio attenuarsi in una forzata ed enigmatica smorfia. L'esame comparativo con altre sculture, sistematicamente inquadrate del mondo figurativo

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ellenico, può consentirne meglio la collocazione cronologica: le due teste di korai del Fusco, nono­stante in esse si attardi il tipo di acconciatura delle chiome già di moda nella ricordata kore ateniese, evidentemente per le fattezze del volto gravitano già attorno all'ultimo decennio del VI secolo a. C., riportandosi tra la fase finale rappresentata dai conii siracusani delle teste piccole, inquadrati nella Serie na del Gruppo I, II) e quella iniziale della Serie IIP del successivo Gruppo II, propriamente nei tipi monetali in cui nell'etnico figura ancora la lettera <?, che nella stessa serie viene ad essere so­stituita ad un certo momento dalla K, 12> e ricol­legandosi per stile, nella sopra ricordata classifi­cazione delle korai, all'ultimo periodo del Gruppo V, o Gruppo delle Sculture del Tesoro dei Sifni­Tempio di Apollo a Delfi; compreso tra il 535 e il 500 a. C. all'incirca, I3l ed abbracciante in sostanza l'ultimo quarto del secolo VI a. C.; in special modo la seconda antefissa del Fusco, dal sorriso ormai pressoché svanito, ha un sapore formale che più l'avvicina alla kore ateniese n. 674 datata intorno al 500 a. C. I4l Senz' altro comunque la maschera di kore in esame rappresenta un immediato ante­fatto di queste due antefisse del Fusco non solo co­me precedente artistico della stessa corrente ionica e dello stesso gruppo inquadrato nell'ultimo quarto del VI secolo a. C., ma anche per quello che doveva essere il suo aspetto generale formale: ché se ne volessimo tentare una ricostruzione, ci lusinga l'ipo­tesi che essa non avrebbe dovuto molto discostarsi (fig. 3) dalle due del Fusco, che probabilmente la ebbero a loro prototipo.

N ella medesima fase artistica si collocano anche i frammenti, in parte cospicui, del secondo incuna­bolo coroplastico, oggetto del nostro esame; trat­tavasi evidentemente di un già considerevole pi­nax - propenderemmo infatti, data la presenza della cimasa ondulata che ne è il coronamento, ad escludervi il-riconoscimento di fronte d'altare -; le dimens.iòni che possono desumersi da una ri­composizione ideale del quadro fittile sulla scorta delle proporzioni dei pezzi superstiti (quale pre­sentiamo, assieme ad una sezione, alla fig. I) non dovrebbero essere lontane da quasi un metro d'al­tezza e da circa cm. 65 di larghezza, con una pre­sumibile altezza delle figure intorno al mezzo me­tro. Il mutilo pinax, restituito nel rg6o dalla zona ponderata all'interno della fronte orientale, pres­soché nella parte mediana, dell'attuale Piazza Ar­chimede nell'Ortigia nell'occasione dell'impianto nel sito della nuova sede della locale Cassa di Ri­sparmio, costituiva evidentemente un ex-voto nel­l'ambito di un Koreion, che doveva sorgere nel sito ed il cui perimetro meridionale può forse essersi toccato negli avanzi assai miseri - come accade d'altronde sempre là dove s'è ininterrottamente nei secoli fino ai nostri giorni avvicendato e rinno­vato il tessuto urbano, che ha distrutto, depredato

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I - Ricomposizione ideale del pinax fittile dal Koreion siracusano (a s., sezione)

e sconvolto i manufatti anteriori - di una fonda­zione lapidea ricadente proprio verso il limite set­tentrionale dell'istituto bancario, mentre il San­tuar_i<;> di Demetra e Kore gravitava con tutta pro­babthtà per intero sulla limitrofa proprietà non toccata dall'escavazione, sotto la quale dovrebbero pert~nto forse sussistere ancora testimonianze più cosp1cue e probanti. La ubicazione nell'area del sup­posto Koreion è d'altronde documentata da tutto un numeroso gruppo di statuine fittili, restituite sempre dalla fascia settentrionale dello scavo, raf­figuranti Demetra e Kore - soltanto qualche fi-

gurina esula dalla cerchia delle divinità ctonie, es­sendovi presente Artemide, il tipo dell' auletria e quello dell'offerente zsl - in trono o in piedi, in genere con i consueti simboli della face e del por­cellino, di stile severo, classico ed ellenistico, nella tipologia comune nell'ambito siceliota ed abbondan­temente nota. z6J Il riconoscimento di questo san­tuario nella Nésos viene d'altronde ad arricchire ulteriormente, assieme alla ricordata recente indivi­duazione dei resti del grande tempio ionico a fianco del superstite dorico Athenaion dinomenidico, le nostre conoscenze topografiche degli edifici reli-

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giosi che dovevano essere vanto dell'isola, ed in esso non è possibile non vedere d'altronde una di quelle " aedes sacrae complures, appunto ricordate per l'Ortigia da Cicerone. 17)

Nella restituzione grafica del pinax, certa nella sua essenza formale, colpisce sull'alta (cm. I4,8) fascia superiore la ricchezza decorativa, che diventa più sobria ai lati (largh. cm. 6,7) e si semplifica in un saldo (cm. 31 I) listello di base al fondo, cosicché le due divinità thesmophoroi, stanti affrontate nel campo interno del quadro, venivano ad essere rac­chiuse, sul piano di posa, dalle cornici laterali a largo rinfascio liscio su cui si rilevano il motivo ad astragali ed il listello esterno. Questi due ultimi continuano orizzontalmente sulla cornice superiore arricchendosi qui, s'è detto, di altri motivi orna­mentali (fig. 7): difatti sotto il rinfascio si aggiunge una seconda fila di astragali, da cui pende una teo­ria di foglie ligulate con nervatura mediana, men­tre altra teoria simile, che dà quasi la sensazione di un kymation dorico, sottolinea la fila di astragali interna.

A coronamento di questa membratura orizzon­tale, che in sezione si presenta come una robusta cassetta, nel cui tergo si allunga il resto del supporto destinato a sostegno e a fissaggio del pinax, corre in alto, più arretrato, un listello vittato sormontato da un nastro ondulato aggettante. Per lo più siamo di fronte ad elementi decorativi di tradizione io­nica, che si incontrano quasi sempre dissociati e mai con altrettanto esuberante accoppiamento nella plastica ornamentale si celiata dell'arcaismo: pos­siamo fuggevolmente richiamare i ben noti rilievi, che si scaglionano dalla metà alla fine del secolo VI a. C., sin dai più antichi, dei quali è già avver­tibile il sapore dell'influenza ionicizzante, vuoi le metope, tra cui quella notissima con il ratto d'Eu­ropa tSl (fig. I I) del tempio arcaico dell'acropoli di Selinunte (550 a. C. circa), trovate reimpiegate quale materiale costruttivo nelle fortificazioni d'Er­mocrate (fine secolo V a. C.), vuoi l'arula fittile del santuario della Malophoros della stessa Selinunte con Eos e Cefalo I9l (fig. I4), pur se in essa le figure manifestano una incipiente reazione alle conven­zioni dell'arte ionica, da cui si ispira ancora però la decorazione ad .avoli e ad astragali, vuoi l' arula col leone all'assalto del vitello da Centuripe, ormai vicina al 500 a. C., 20> con la semplice fila orizzon­tale di astragali (fig •. I2).

Delle dee, che campeggiavano erette ed affron­tate nel pinax, non ci rimangono che mutili e slegati contesti, ma per ambedue, fortunatamente, almeno le parti più nobili, i volti, e per la figura giovanile

. anche il lembo della veste ed i saldi piedi, nei tre frammenti plastici figurati pervenutici. 2I) Il ri­lievo è piuttosto sentito (l'aggetto massimo è di circa cm. 8), ché le figure sono trattate in parte con un modellato pronunciato ed almeno per le gambe e soprattutto per le teste quasi interamente svin­colate dal fondo.

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Nella giovinetta Kore vista di profilo in atto di volgersi verso la dea madre (fig. 8) le membra rivelano conoscenze anatomiche assai approfondite, sia nella resa dei muscoli nella torsione del collo, sia nella veristica notazione del breve tratto di gamba, fuoruscente dal lungo chitone, e particolar­mente dei piedi dalle dita nervose, su cui si deli­neano nette le unghie, e dallà plastica evidenza, sulla morbida superficie, dell'interiore gioco di ossa e tendini e dei globosi malleoli prominenti (fig. IO).

In questo resto inferiore rigidamente di profilo della figura, mentre, come meglio vedremo, la testa accenna ad una leggera torsione all'esterno, possia­mo cogliere, anche se in minima misura invero, il sa­pore della trattazione solida della veste: la parte interna del chitone è espressa in tenue rilievo sul piano di fondo, marcata come da un solco sul fondo stesso, che sembra attardare quell'accorgimento ad intaglio invalso nel rilievo più arcaico - si vedano ad esempio le richiamate metope dell'acro­poli di Selinunte con i Latonidi, la Sfinge~ l'Ercole e l'Europa, pur qui presentata alla fig. I I -, nel quale si è voluto sentire un influsso samio. 22> Il monoto­no, uniforme panneggio ad ondulate piegoline ver­ticali, quasi fitte rabdoseis di ionica colonna, è rotto dalla più ampia piega rialzata sul davanti a coda di rondine, che erompe dall'appena rièonoscibile orlo obliquo del lungo manto e che trova il suo im­mediato parallelo nella scultura siceliota dell'epo­ca - basti pensare ad esempio alla tunicella di Perseo nella metopa del tempio C di Selinunte 2 3>

o al mantelletto della statuetta fittile di sacerdo­tessa da Gela della seconda metà del VI secolo a. C. 2 4> - o in quella italiota, come è ben evidente nella prima delle due fanciulle in corsa verso de­stra nel rilievo fittile dal tempio da contrada Griso Laboccetta a Reggio di circa il 530 a. C. (fig. I3) e nelle fanciulle in fuga delle metope dell'Heraion del Sele create intorno al 500 a. C. 2 5>

Dobbiamo. ricostruire quindi la dea Kore come una erettà ed agile figura di giovinetta, di profilo a destra, panneggiata nel lungo e rigido chitone e nell'ampio mantello fluente dalle spalle e dalle braccia in ampie pieghe fin poco sopra l'orlo stesso del chitone, indubbiamente reggendo nelle mani protese verso Demetra degli attributi (face e melo­grano?). La espressione pensosa del volto con lo sguardo, pare, abbassato, pervaso di un senso pas­sionale, compendia con sicura efficacia la duplice natura, umana e divina, della figura: la plastica delle fattezze è tradotta in un linguaggio formale mor­bido e delicato, come un trasfondere dall'intimo un'espressione di serena rassegnazione e di interna quiete: il saldo collo, in cui compare il realismo analitico del gioco dei muscoli, rivela l'energia giovanile, nervosa e tesa che si è già osservata nella veristica notazione della contrazione delle dita dei piedi ignudi. Il bel volto, pieno e sensuale, è in­corniciato dalla varia acconciatura delle chiome

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2 - Maschera di Kore d'antefissa dal temenos del tempio ionico di Siracusa

3 - Ricostruzione ipotetica

5 - Testa di Kore della prima antefissa della necr.:>poli del Fusco

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4 - Decadrammi di Siracusa dell'arcaismo maturo (dal Rizzo)

6 - Testa di Kore della seconda antefissa del Fusco

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Pinax fitti! e del Koreion siracusano:

7 - Frammento superiore ;

8 - Testa della Kore;

9 - Testa di Demetra;

IO - Frammento inferiore della figura di Kore

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oltre l'orecchio nella resa sentita della maniera ar­caica; i capelli infatti scendono dal capo, ove sono chiusi in un velo a cuffia cinto da una tenia, a fitte ciocche sinuose, che si arricciano a lumachella sulla fronte in due volute contrapposte e sulle tempia in riccioli correnti verso l'orecchio, mentre escono dietro il collo in una mossa cascatella di fitte trec­cioline segmentate, fluente in successivi rigonfia­menti. Quanto cammino ha percorso l'arte figurata siracusana dall'arcaicissima testa di dea (Ciane?) in calcare (fig. 16) da Laganello 26> databile intorno al 580 a. C., che ci ha lasciato il primo antefatto di una acconciatura del genere! È superfluo seguire nell'ambito siracusano il processo di questa moda delle chiome scendenti a riccioli spiraliformi in­torno alla fronte per tutto il corso del secolo VI a. C., dalla piccola Kore di Megara Hyblaea, la cosiddetta "terracotta David, 27J (fig. 15), alle terrecotte plastiche ornamento dei templi arcaici, quali i mascheropi gorgonici o la intera figura della Medusa "~8> (fig. 20), ornamento dei cavi frontonali, e le teste di Sfingi della scultura acroteriale, quale ad esempio l'asciutta e secca testa sfingea bifronte (fig. 17) dell'Athenaion siracusano. 29> Nell'ambito artistico della Magna Grecia una certa qual vici­nanza a questa foggia esteriore a riccioli penduli da ciuffi sinuosi si può cogliere nella testa fittile, di divinità o di statua votiva che sia (fig. 18), restituita

· da Taranto e assegnabile a circa il 530 a. c: 3oJ

D'altronde le fitte piegoline segmentate della chio­ma fluente dietro il collo, se può trovare un antefatto formale nella corta massa dei capelli della statua marmorea megarese di Sombrotidas 3r) (fig. 19) della prima metà del secolo VI a. C., ha nel suo trattamento " quadrettato , un raffronto analogo nelle treccioline fluenti sulla spalle deUa già ricor­data dea fittile in trono da Grammichele, .a nostro avviso non scendente oltre l'ultimo decennio del VI secolo, cronologia che ci sembra ben convenire anche alla Kore in esame. Difatti, se volessimo confrontarla con opere scultoree greche, non po­tremmo non cogliere un analogo aspetto formale ad esempio nella testa del giovane Kroisos (d'in­torno al 520 a. C.) o in quella dell'Antiope nel grup­po con Teseo dal frontone occidentale del tempio di Apollo Daphnophoros ad Eretria d'Eubea di circa il 510 a. C. 3:al

1>. THucm., VI, 3 menziona, nella epica lotta tra Atene

e S1racusa, la Nf]aos. 2J Si considerino anzitutto le grandiose scoperte at­

torn? all' Athenaion dinomenidico, dalle capanne sicule ai sacn monumenti, con terrecotte architettoniche, che lo precedettero; e poi le esplorazioni dei notevoli complessi delle necropoli arcaiche siracusane da quella del Fusco a quella dell'ex-Giardino Spagna, e la sempre miglior conoscenza delle fortificazioni dionigiane di Siracusa.

. 3) L~ grafia più antica del nome è restituita dalla moneta- . Zl_one s1racusana più arcaica: rimando in proposito all'opera d1 E. BoEHRINGER, Die Miinzen von Sirakus, Berlin '1929, P~: 7 e 10, ed a quella di G. E. RIZZO, Monete greche di Si­Cl la, Roma 1948, tavv. XXXIV, nn. 7-8, e tav. D, 1-2 • .

Un atteggiamento non improntato a freddezza impassibile, ma con un contenuto d'espressività interiore e benevola pur nella maestà e nella so­lennità della posa, appare anche nella sola super­stite testa di Demetra, la dea madre dal capo velato (fig. g). Il volto, deturpato purtroppo dalla scheg­giatura al naso, ha la stessa plasticità chiaroscurale avvertita in quello di Kore. Demetra è da immagi­nare, attesa la posa e la tenue flessione del capo e il volgere dello sguardo un poco socchiuso, con la luce che colpisce la palpebra superiore, rivolta verso la figlia a mostrare forse l'attributo, che do­veva tener levato nelle sue mani (presumibilmente le spighe di grano) con materna comprensione. Dal manto, portato sul capo, esce sulla fronte e le tempia la prolissa chioma, che si sviluppa Ìn una massa plissettata di onde finissime, non nuova nella coroplastica siracusana, essendo stata già incontrata nelle due ricordate antefisse muliebri della necro­poli del Fusco, partecipi dello stesso linguaggio formale morbido e delicato di maniera ionica del tardo VI secolo a. C.: d'altronde questa· foggia este­riore della capigliatura, che sovrappone una succes­sione di onde parallele ricorrenti, ha trovato favore nella fase artistica di tale periodo nella plastica si­celiata - si pensi alla giovanile testa muliebre, terracotta votiva, restituita dalla stipe del santuario della Malophoros di Selinunte, che è datata dal Bernabò Brea tra il 52o-5IO a. C., o alla pensosa testa fittile di Agrigento (fig. 21) della fase finale del secolo 33) -; non manca nella coroplastica della Magna Grecia, ove compare nelle statuine di dea in trono di Medma, 34J e trionfa nella Grecia pro­pria, tanto che ad Atene figura più volte nella gran­de statuaria marmorea, come nell'Athena dal fron­tone orientale del suo antico tempio sull'Acropoli 35l

e in alcune delle teste di korai della stessa acropoli dell'ultimo periodo del secolo VI, come nella va~a testa della kore 6r6 36l dalla superficie leggermente più sfumata della Demetra in esame. È da lamentare ·che la figura sia giunta incompleta, ma nella iera­tica posa del volto sembra di poter cogliere una anticipazione, di circa mezzo secolo, di quell'at­teggiamento che compendia la pensosa testa a!p.­mantata di Hera stante di fronte a Zeus, che le solleva con dolce violenza il braccio, nella famosa metopa selinuntina della ierogamia. 37)

4)_ G. V. GENTILI, Il grande tempio ionico di Siracusa. I dati topografici e gli elementi architettonici raccolti fino al 1g6o, in Palladio, 1967, p. 61 ss.

5) P. PELAGATTI, in Dialoghi di Archeologia, III, 1g6g, 1-2, p. 141 ss. A seguito di queste esplorazioni è stato definito che il tempio, esastilo con 14 colonne sul fianco, posava su uno stereobate di m. 25 x 59·

6) PELAGATTI, loc. cit., e nel volumetto Un quinquennio di attività archeologica nella provincia di Siracusa, XIV Settimana dei Musei, Siracusa 1971, p. 44, tav. XV.

7) :È cronologicamente inquadrata tra il 6oo..:.sso a. C.: cfr. G. M. A. RICHTER, Korai. Arcaich greek Maidens, . London Ig68, p. 37, tav. IX, d.

8) RICHTER, op. cit., p. 6o, nn. g6-g7, figg. 296-300.

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9) RICHTER, op. cit., p. 7I s., n. I 12, fig. 348. ro) Si veda BOEHRINGER1 op.cit., p. 6 ss., tav. I, nn. 2-I7• II) Ibid.1 p. IO S., tav. I 1 n. 20. r:a) Ibid., p. I3 s., tav. 2, nn. 34-36. 13) RICHTER, op. cit., p. 62 ss. 14) Si rimanda per la cronologia a E. LANGLOTZ, Die

Koren, in H. ScHRADER, Die archaischen Marmorbildwerke der Akropolis, I939, p. 93 ss., n. 44, tavv. 62-67. Per la da­tazione delle antefisse siracusane del Fusco, il Langlotz assegna la prima, che presenta come un " busto votivo di dea 11 1 a circa il 500 a. C. (E. LANGLOTZ-M. HIRMER, L'Arte della Magna Grecia, Roma Ig68, p. 38), ed il Ber­nabò Brea ritiene di poter collocare la seconda sugli ultimi decenni del VI secolo a. C., considerandola contemporanea alla dea fittile da Terravecchia di Grammichele (L. BER­NABÒ BREA, Musei e monumenti in Sicilia, Novara I958, rispettivamente p. 38 e p. 36).

• 1 5) Il materiale coroplastica enunciato e quello vascolare, che con qualche pezzo pre-greco va dall'antico protoco­rinzio al corinzio, cicladico, attico, ellenistico, romano e bizantino recuperato nel corso dei lavori dal compianto assistente della Soprintendenza Cav. Minniti, è stato da me descritto, nel Registro Cronologico Generale d'Entrata del Museo Archeologico Nazionale di Siracusa, sotto i numeri d'inventario 56926-57006; sotto quest'ultimo sono compresi i frammenti del pinax.

r6) I copiosissimi frammenti pertinenti alle figure delle dee tesmophoroi, tra cui figurano pezzi di discrete propor­zioni, pertinenti a statue di oltre mezzo metro d'altezza -oltre a statuine di Artemis, auletrìa e portatrici d'offer­te - sono stati trascritti, sulla mia descrizione, nel Regi­stro Cronologico Generale d'Entrata del Museo di Siracusa sotto i numeri di inventario 56926-5694I; le statue mag­giori sotto il n. 57002 e tre teste di dea, alta cm. Io, sotto il n. 57003.

r7) Cic., Verr. IV, 53, II8: "In ea [Ortygia] sunt aedes sacrae complures, sed duae, quae longe ceteris antecel­lant, Dianae et altera Minervae ,.

rB) B. PACE, Arte e Civiltà della Sicilia Antica, I, I938, p. II ss., figg. II-I3i BERNABÒ BREA, op. cit., p. 97•

rg) Il PACE, op. cit., p. 30, fig. 28, lega quest'arula al­l'arte del tempio di Selinunte. Si veda per lo stesso rilievo M. SANTANGELO, Selinunte, Roma s. d., p. 95, fig. 68; BERNABÒ BREA, op. cit., p. I02.

ao) BERNABÒ BREA, op.cit., P• 37• ar) Le dimensioni dei tre pezzi sono precisamente le

seguenti: il maggiore (fig. 7) comprendente la testa di Kore,

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un lungo tratto della cornice superiore, in vario modo fram­mentata, e parte della cornice laterale mutila all'interno, ha una larghezza massima di cm. 54, un'altezza di cm. 30 ed uno spessore di cm. II 15; il secondo frammento con i piedi della -stessa figura (fig. 10) presenta una larghezza massima di cm. 22, un'altezza di cm I6; il terzo, minore, rappresentato dal volto di Demetra (fig. g), è. alto cm. I5 e largo cm. 6. Oltre a questi, un quarto frammento è un semplice tratto di cornice laterale, lungo cm. 16, largo cm. 7·

22) G. RIZZA, La grande scultura greca nell'Italia meridio­nale e in Sicilia, in Arte Antica e Moderna, I2, Ig6o, p. 334 e P· 337·

23) LANGLOTZ, L'arte ... , cit., p. 262, tav. 15 (datazione della metopa al 530 c. a. C.).

24) Ibid., pag. 2I a destra. 25) Ibid., tav. II e figg. 30-3I; per le metope del Sele,

vedasi U. ZANOTTI BIANCO - P. ZANCANI MoNTUORO, L' Heraion alla foce del Sele, I: Il Santuario - Il tempio della Dea, I95I, tavv. 4I, 44, 59·

26) BERNABÒ BREA, Musei ... , cit., p. 28; LANGLOTZ, op. cit., p. 258, 3·

27) BERNABÒ BREA, op. cit., p. 3I i LANGLOTZ, op. cit., P· 259, 5 a destra.

28) BERNABÒ BREA, op. cit., p. 33, e frontespizio della sovracopertina; LANGLOTZ, op. cit., tav. I.

29) BERNABÒ BREA1 op. cit., p. 35• 30) LANGLOTZ, op. cit., P• 29· 3r) BERNABÒ BREA, Kouros arcaico di Megara Hyblaea,

in Annuario Scuola Arch. Atene, XXIV-XXVI, Roma I950, p. 59 i In., Musei ... , cit., p. 39i LANGLOTZ, op.cit., p. 26o, tav. 7•

32) R. LULLIEs-M. HIRMER, La scultura greca, Firenze 1957, tav. 61 e tav. 66.

33) L'una e l'altra riportate in BERNABÒ BREA, Musei ... , cit., p. I II, e in LANGLOTZ, op. cit., tavv. 35-37•

34) LANGLOTZ, op. cit., tav. 22· 35) LULLIES, op. cit., tav. 65. . 36) RICHTER, Korai ... , cit., p. 82 s., n. I291 figg. 420-422

(si confronti in particolare con la nostra il profilo di fig. 422). Lo sfumato plastico del volto ha portato il Langlotz (in ScHRADER, Marmorbildwerke, cit., p. 135, n. 106,

-tav. 100) a datare la testa intorno al 490 a. C., mentre il Payne (PAYNE-YOUNG, Archaic Marble Sculptures, 1936, p. 34, tav. 56) l'assegna verso il 520.

37) BERNABÒ BREA, Musei ... , cit., pp. I06-I07i LAN­GLOTZ, l'Arte ... , cit., tavv. 105-106.

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