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La coltivazione del l inoLa scapsolaturaLa macerazione e l’essiccazioneLa gramolaturaLa spatolatura e la pettinatura

La fi laturaL’aspaturaI l lavaggio e la sbiancaturaLa tinturaLa tessitura

Il lino:dalla pianta alla stoffa

Museo provinciale degli usi e costumiVia Duca Diet 24 | 39031 Teodone | BrunicoTel. (+39) 0474 552 087 | Fax (+39) 0474 551 764E-mail museo-etnografico@museiprovincial i . i t

Lunedì di Pasqua–31 ottobreDa martedì a sabato: ore1 0–1 7Domenica e festivi : ore 1 4–1 8

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INDICE

Foto: HMG

Attività didattichenel Museo degli usi e costumi - Teodone

© Museo provinciale degli usi e costumi 2

1) La coltivazione del lino

La coltivazione del l ino ebbe origine probabilmente nell ’Asia occidentale e venne praticata in

tutta Europa fino a non molto tempo fa. In Val Pusteria la coltivazione del l ino era in parte diffusa

nelle zone montane delle val l i lateral i ancora fino agli anni 50. La relativa produzione serviva

soprattutto a coprire i l proprio fabbisogno.

Campo coltivato a l ino

Covoni di l ino

L’apprezzamento per questa pianta era sempremolto alto perché si prestava a svariati

impieghi: dai semi si ricavava l’ol io e dalle fibre

della pianta si producevano tessuti molto

apprezzati. Da noi i l l ino veniva chiamato

popolarmente “Har” (= capello).

I l l ino e la lana di pecora coprirono per diversi

secoli praticamente l ’ intero fabbisogno di fibre

tessil i che nei masi contadini venivano

trasformate in stoffe per i l proprio fabbisogno. In

seguito al l ’avanzare dell ’ industrial izzazione ed

alla diffusione del cotone, la coltivazione del l ino

venne gradualmente abbandonata, anche

perché comportava molto lavoro.La semina del l ino avveniva di regola in

primavera ed era il più possibi le fitta. Circa 50

giorni dopo la semina, la pianta fioriva

trasformando i campi in un mare di fiori azzurri.

Le piante raggiungevano un’altezza di ca. 60 -

90 centimetri e preferivano un clima mite ed

umido ed un terreno di buona qualità. I l campo

doveva essere l iberato regolarmente dalle erbe

infestanti per consentire al le piante di crescere

indisturbate e per ottenere così del le fibre di

qualità.

Nel periodo della maturazione, in lugl io o

agosto, i fiori si trasformavano in capsule

al l ’ interno delle quali maturavano i semi. Quello

era il momento in cui si poteva procedere alla

raccolta. I l l ino non veniva tagl iato, ma estirpato

dal terreno insieme alle radici in modo da poter

uti l izzare la pianta in tutta la sua lunghezza.

Successivamente le piante di l ino venivano

legate in covoni e disposte a strati o appese

affinché potessero asciugarsi bene.

Fatta eccezione per la preparazione ed il lavoro

sui campi, tutte le attività relative al la

lavorazione del l ino venivano svolte dalle

donne.

© Museo provinciale degli usi e costumi 3

2) La scapsolatura

I l termine scapsolatura indica l ’attività in cui le piante di l ino venivano passate a covoni

attraverso un pettine di ferro per cui venivano private delle capsule contenenti i semi. I l pettine

da lino era composto da diversi denti di ferro vertical i lunghi al l ’ incirca 1 5–20 cm.

Pettine da lino

Successivamente i semi venivano estratti dal le

capsule e puliti a fondo. Una parte dei semi

veniva uti l izzata per la semina dell ’anno

successivo, ma la maggior parte di essi veniva

pressata per ottenere olio di semi di l ino. L’oliodi l ino veniva in parte usato in cucina, ma ancor

di più come medicamento domestico contro

tutta una serie di disturbi di persone e animali

perché gli si attribuivano proprietà

medicamentose. L’ol io di l ino era però usato

principalmente come combustibi le per le

lampade, mentre i semi venivano uti l izzati

anche come mangime per gl i uccell i .

3) La macerazione ed essiccazione

La fase successiva della lavorazione del l ino era la macerazione. C’erano due metodi diversi: la

macerazione sui campi (Tauröste) e quella in acqua (Wasserröste). Nella prima gli stel i venivano

distesi sui campi. I l sole e la rugiada svolgevano il lavoro. Mettevano cioè in atto i l processo di

macerazione. Le piante dovevano essere solo rigirate regolarmente. In tal modo si otteneva che

la parte esterna legnosa dello stelo si poteva staccare più facilmente. Un’altra possibi l ità con il

medesimo risultato era quella di mettere a mollo i l l ino in fosse riempite d’acqua.

Dopo la macerazione i covoni venivano asciugati ed essiccati. L’essiccazione consisteva nel

disporre gl i stel i su una grigl ia di legno riscaldandoli . In questo modo gli stel i diventavano più

fragil i e potevano essere lavorati più facilmente.

4) La gramolatura

Per gramolatura si intende la fase di

lavorazione in cui l ’ involucro esterno dello stelo

veniva rotto, l iberando le fibre. La gramola era

una sorta di coltel lo di legno mobile sopra l istel l i

fissati ad un cavalletto.

I l covone di l ino veniva fissato fra i l istel l i ed i l

coltel lo di legno e tirato avanti e indietro. I l

lavoro della gramolatura avveniva nel tardo

autunno quando i lavori dei campi erano

terminati .

La gramolatura

© Museo provinciale degli usi e costumi 4

Molti masi avevano un proprio essiccatoio.

Esso era coperto da un tetto per cui era

garantita la lavorazione indipendentemente

dalle condizioni atmosferiche. Questi essiccatoi

erano dotati di un forno.

L’essiccatoio

5) La spatolatura (stigliatura) e la pettinatura

I l pettine

In alcuni posti i covoni di l ino passati al la

gramola venivano messi su una tavola verticale

detta “Schwingbock”. Con la spatola venivano

eliminati per battitura gl i ultimi avanzi di

corteccia. Questi ultimi potevano essere

uti l izzati come strame nella stal la.

Seguiva poi la pettinatura. Le fibre corte dette

“Werg” venivano separate dalle pregiate fibre

lunghe facendo passare più volte i l l ino

6) La filatura

Mentre le fasi lavorative del l ino descritte finora

si svolgevano per lo più al l ’aperto o

nell ’essiccatoio, la fi latura era un ’attività di cui cisi occupava in casa, i l più del le volte al caldo

nella stube. La fi latura era un lavoro che le

donne svolgevano soprattutto nei mesi invernali

ed in compagnia. Ci si riuniva nella stube, si

raccontavano storie, leggende ed altri aneddoti

o si cantavano delle canzoni. Le ragazze

imparavano fin da piccole ad uti l izzare il fi latoio

perché così erano in grado di preparare nel

corso di diversi anni i l loro corredo: lenzuola,

tovaglie, vestiti per i lavori di casa e nei campi.

Utensil i come il fi latoio facevano spesso

anch’essi parte del corredo oltre ad essere

assai apprezzati come doni di nozze o di

fidanzamento. Gli arcolai venivano decorati

artisticamente, dipinti o intagl iati .I l fi latoio a pedale

attraverso il pettine. Questo era formato da diversi chiodi di ferro fissati ad una tavola. La

funzione era appunto quella del pettine e con il l ino pettinato venivano poi fatte delle trecce.

Le fibre più corte venivano fi late grezzamente e impiegate per corde o sacchi, mentre le fibre più

fini , ricavate dopo due o tre pettinature, venivano trasformate in stoffa per ricavarne ad esempio

delle camicie.

© Museo provinciale degli usi e costumi 5

Fin dal XVI secolo si conosce il fi latoio a pedale. Sul la conocchia, un‘asta cil indrica in legno,

venivano avvolte le fibre da fi lare. La fi latrice estraeva la giusta quantità di fibre e le bagnava

con dell ’acqua. Attraverso la rotazione dell ’asse della ruota, messa in movimento azionando il

pedale, le fibre di l ino venivano ritorte a formare un fi lato e contemporaneamente avvolte sul

rocchetto. La fi latura del l ino richiedeva mani esperte perché le fibre si rompevano facilmente ed

era diffici le real izzare un fi lo regolare.

7) L’aspatura

L’aspo

Quando il rocchetto del fi latoio era pieno, i l fi lato

finito doveva essere avvolto sul l ’aspo. L’aspo

era un attrezzo in legno con quattro o sei

braccia mobil i disposte a forma di stel la, al le cui

estremità si trovava un piccolo legnetto

trasversale. Intorno a questi bracci i l fi lo poteva

essere teso e avvolto. In tal modo si ottenevano

fi lati uniformi che si potevano ben lavare,

candeggiare e conservare.

8) Il lavaggio e la sbiancatura

Un’armadio con stoffe di l ino (Foto: O. Verant)

Per lavare il fi lato si uti l izzava una liscivia che si

otteneva facendo boll ire del la cenere nell ’acqua

e che veniva poi fi l trata. I l procedimento del

lavaggio veniva ripetuto più volte. Infine i l fi lato

veniva messo al sole ad asciugare e

regolarmente rigirato. La tonalità naturale del

fi lato di l ino è grigio-beige. Attraverso

l’esposizione al sole i l fi lato veniva sbiancato

finché diventava bianco. In alcune località si

sbiancava appena il tessuto.

9) La tintura

Quali coloranti si uti l izzavano prodotti natural i come piante, cortecce di alberi, fogl ie, l icheni,

gusci e pietre. I l cartamo e la malvarosa o malvone coloravano di rosso, i l guado veniva

impiegato per colorare di blu finché non fu gradualmente sostituito dal l ’ indaco importato

dall ’Asia. Meno diffici le era ottenere delle colorazioni gial le. I l colore veniva prodotto in grandi

calderoni in cui si immergevano poi le matasse o il tessuto da tingere. Affinché il colore potesse

anche penetrare nel fi lato, i l colore doveva essere dotato di un mordente. Come mordente

venivano usati l ’aceto, ma anche l’ammoniaca sotto forma di urina. Dopo la tintura le matasse

venivano lavate e disposte ad asciugare su steccati, balconi o analoghi supporti in legno.

10) La tessitura

Affinché il tessitore potesse iniziare i l suo lavoro, i l fi lato di l ino doveva prima essere avvolto su

delle spole con l’ausi l io di un mulinel lo. Quindi si doveva ordire. Questa era la fase di

lavorazione con cui veniva preparato l ’ordito o catena vale a dire l ’ insieme di fi l i paral lel i in senso

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verticale. Su una rocchettiera venivano disposti

20 rocchetti d’ordito, che potevano ruotare

l iberamente. I l fi lo di ogni rocchetto veniva tirato

attraverso una tavola con degli occhiel l i

metal l ici in modo che ogni singolo fi lo potesse

essere mantenuto separato dagli altri . Quindi i l

fascio di ordito del la lunghezza e nel numero di

fi l i desiderato veniva teso sul l ’orditoio girevole.

Quando l ’ordito era finito, veniva rimosso efissato sul telaio.

Nella tessitura i fi l i vertical i (ordito) venivano

incrociati ad angolo retto con un fi lo che correva

orizzontalmente. I l fi lo orizzontale, vale a dire la

trama o fi lo di trama si trovava sulla spola e con

l’ausi l io del la navetta veniva fatto passare da

destra a sinistra e viceversa. I l tessitore

azionava un pedale in modo da alzare

alternativamente ogni secondo fi lo di ordito ed

abbassando l’altro creando la cosiddetta

boccatura o passo del telaio, una sorta di tunnel

attraverso il quale passava la navetta. Quindi

azionava il pettine che muoveva avanti e

La navetta

indietro battendo così i l fi lo di trama e compattando il tessuto in modo da creare una stoffa

omogenea. L’ordito veniva regolarmente inumidito con la bozzima, un l iquido colloso, in modoche i fi l i non si strappassero. I l tessitore avvolgeva gradualmente il tessuto finito sul subbio del

tessuto.

Con il tessuto di l ino finito si real izzavano diversi capi di vestiario quali camicie, grembiul i , pan-

taloni e vestiti . La stoffa di l ino, che è molto resistente, veniva uti l izzata soprattutto per l ’abbigl ia-

mento estivo perché ha un effetto rinfrescante. D’inverno s’indossavano invece preferibi lmente

capi di lana. Con il tessuto di l ino si real izzavano però anche tovaglie e lenzuola ed anche

sacchetti . Nel la pittura i l tessuto di l ino svolgeva un ruolo importante. Molte opere sono infatti

dipinte su tela di l ino. I l tessuto di l ino veniva impiegato anche in legatoria.

I l passo del telaio

Sulzenbacher, Gudrun, Contadini, fabbri, tessitori - Vita e mestieri di una volta (Material i didattici sulMuseo etnografico provinciale di Teodone. Vienna/Bolzano 2001 .

BIBLIOGRAFIA