trattamento chirurgico mini invasivo

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Il documento “Il trattamento chirurgico mini invasivo del tumore al colon-retto: stato dell’arte e interventi necessari per la promozione e la diffusione di percorsi diagnostico terapeutici di gestione globale e integrata del paziente”, redatto da un gruppo multidisciplinare di esperti coordinato da Burson-Marsteller, rappresenta una tappa importante per approfondire i benefici clinici ed economici derivanti dall’adozione della tecnica chirurgica mini invasiva nel trattamento del tumore al colon-retto: patologia che in Italia colpisce 38.000 persone l’anno e rappresenta la seconda neoplasia più diffusa nelle donne dopo il carcinoma della mammella (17.000 le nuove pazienti ogni anno) e la terza per gli uomini dopo i tumori della prostata e del polmone (21.000 nuovi casi ogni dodici mesi).

Transcript of trattamento chirurgico mini invasivo

Il trattamentochirurgico mini invasivo

del tumore al colon-retto:stato dell’arte e interventi necessari per la promozione e la diffusione di

percorsi diagnostico terapeuticidi gestione globale

e integrata del paziente

Introduzione 3

CAPITOLO 1 4

a. Il tumore del colon-retto: epidemiologia e fattori di rischio 4a. 1. Le tendenze future 5

b. Approccio diagnostico dei tumori del colon-retto 6b. 1. L’importanza della diagnosi precoce 6

b. 2. Il ruolo della pancolonscopia nello screening 7

b. 3. Diagnosi e stadiazione del tumore colo-rettale 7

c. Linee generali di trattamento del tumore del colon-retto 8d. La terapia chirurgica del tumore del colon-retto: considerazioni generali 9

d. 1. Tumori del colon 9

d. 2. Tumori del retto 9

d. 2. 1. Trattamento delle lesioni non infiltranti “Early T1” 10

d. 2. 2. Trattamento delle lesioni avanzate (T2-T3-T4) 10

CAPITOLO 2 11

a. Chirurgia laparoscopica nel trattamento del tumore colo-rettale: il valore di una scelta 11

b. Dalla colecistectomia alla chirurgia colo-rettale: l’evoluzione della chirurgia laparoscopica 13b. 1. La chirurgia mini invasiva del colon-retto: il passato 13

b. 2. La chirurgia mini invasiva del colon-retto: il presente 14

b. 3. La chirurgia mini invasiva del colon-retto: il futuro 17

c. La chirurgia mini invasiva del colon-retto: indicazioni e controindicazioni 20d. La chirurgia mini invasiva del colon-retto: i vantaggi per il chirurgo 21

Sommario

COORDINATORI:Prof. Gian Franco Gensini

Preside, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di FirenzeDott. Gianluigi Melotti

Presidente, Società Italiana di Chirurgia

SI RINGRAZIANO:Dott. Pasquale Bernardo

Cardiologo, Terapia Intensiva Dipartimentale, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, FirenzeProf.ssa Patrizia Berto

Professore a Contratto di Farmacoeconomia, Facoltà di Farmacia, Università degli Studi di PadovaDott.ssa Rita Conigliaro

Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Azienda Ospedaliera di Modena

Dott. Carlo Favaretti Presidente, SIHTA (Società Italiana di Health Tecnology Assessment),

Direttore Generale, Azienda Ospedaliero-Universitaria "Santa Maria della Misericordia"di UdineProf. Massimo Federico

Direttore, Cattedra di Oncologia Medica II, Università degli Studi di Modena e Reggio EmiliaProf.ssa Sabina Nuti

Responsabile del Laboratorio MES (Management e Sanità), Istituto di Management, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa

Dott. Vincenzo Trapani Dirigente Medico, Chirurgia Generale, NOSAE U.O. Chirurgia Generale, Ospedale Baggiovara, Modena

“...nella moderna sanità è infatti altrettanto rilevante l’esperienza e la competenza del team composto

da diverse figure professionali...

l’organizzazione e l’impostazione multidisciplinare, in una strategia che comprenda anche il medico

di medicina generale e lo stesso paziente, sono fattori chiave per coniugare

la domanda e l’offerta di salute...”

3

INTRODUZIONEL’introduzione della colecistectomia laparoscopica nel mondo risale al 1987 ed ha determinato l’inizio

di un’era in cui i benefici degli approcci mini invasivi ai problemi gastrointestinali sono divenuti chiari,

contribuendo così ad un’ampia diffusione di questo approccio chirurgico: i pazienti mostrano una ridu-

zione del dolore post operatorio, minor rischio di infezioni, possono riprendere l’alimentazione più pre-

cocemente, e vengono dimessi in tempi più brevi rispetto alla colecistectomia tradizionale.

Il grande successo e la rapida espansione dell’impiego di questa modalità di intervento ha stimolato i

chirurghi ad estendere le tecniche laparoscopiche al trattamento di altri problemi gastrointestinali, tanto

che ad appena due anni dalla prima colecistectomia video laparoscopica è stata eseguita la prima co-

lectomia laparoscopica.

Gli sforzi di estendere l’impiego della chirurgia laparoscopica al tratto colo-rettale si sono successiva-

mente espansi nella linea di una tradizione classica della chirurgia, ma hanno incontrato delle resistenze.

Molti chirurghi hanno discusso circa l’utilità di investire in questa nuova tecnologia e sulla necessità di

un addestramento specifico impegnativo, col risultato di frenarne la diffusione rispetto a quella rapida

e ampia raggiunta dalla chirurgia laparoscopica della colecisti. Il risultato è che oggi, a tredici anni dalla

introduzione di questa tecnica, negli Stati Uniti solo il 3 per cento delle resezioni del colon sono effettuate

utilizzando la metodologia laparoscopica.

È sembrato quindi opportuno che un gruppo di professionisti caratterizzato da competenze diverse

(chirurgiche, oncologiche, internistiche, organizzative, manageriali), potesse affrontare il problema

dell’attuale utilizzazione e diffusione della chirurgia laparoscopica del colon in Italia, con l’obiettivo di

analizzare la situazione attuale e studiare le modalità più consone a poter garantire la diffusione di questo

approccio nel modo più ampio ed appropriato possibile ai pazienti che possono giovarsi dei suoi

vantaggi.

CAPITOLO 3 22

a. Health technology assessment del trattamento chirurgico mini invasivo del tumore colo-rettale 22a. 1. La valutazione di efficacia 23a. 2. L’analisi economica 23a. 3. Un progetto pilota: l’esperienza di Modena 24a. 4. Gli effetti sulla qualità della vita 26a. 5. Conclusioni 26

CAPITOLO 4 29

a. Interventi per la promozione e la diffusione di percorsi diagnostici terapeutici di gestione globale ed integrata del paziente 29a. 1. Introduzione 29a. 2. Sviluppo della metodica in Italia e meccanismi di governance regionale

per facilitarne la diffusione: l’analisi 29a. 3. Case History: il Modello Toscana 32

b. Formazione, addestramento e curva di apprendimento: fattori fondamentali per la diffusione della chirurgia mini invasiva del colon-retto 33

c. Strategie e modelli organizzativi a confronto per lo sviluppo della chirurgia mini invasiva colo-rettale 35

c. 1. Case History: l’Azienda Ospedaliero-Universitaria S. Maria della Misericordia di Udine 37

AllegatoLa terapia chirurgica del tumore del colon-retto: cenni di anatomia chirurgica 41

5

CAPITOLO 1a. Il tumore del colon-retto: epidemiologia e fattori di rischioIl tumore colo-rettale è tra le più diffuse forme neoplastiche su scala mondiale. Ogni anno, vengono re-

gistrati più di 1.200.000 nuovi casi di malattia, dato che pone la patologia al terzo posto nella graduatoria

di frequenza dei tumori maligni nella popolazione maschile (dopo i tumori della prostata e del polmone)

e al secondo tra le donne (dopo il carcinoma della mammella). In termini di mortalità, questa patologia

è responsabile di circa l’8 per cento della mortalità oncologica nel mondo, con oltre 600.000 decessi. In

Italia si stimano circa 21.000 nuovi casi all’anno tra gli uomini e oltre 17.000 tra le donne e la mortalità

si aggira sui 10.500 decessi tra gli uomini e 9.500 tra le donne, che pure risultano maggiormente colpite

dalla patologia.

Complice l’incremento dell’età media della popolazione, negli ultimi trent’anni si è registrata una tendenza

all’aumento progressivo dei casi di malattia, accompagnato tuttavia da una lieve riduzione della mortalità.

Il carcinoma colo-rettale è infatti maggiormente frequente nelle persone adulte e anziane: circa il 90

per cento dei nuovi casi si manifesta dopo i 50 anni e l’età media alla diagnosi è di poco superiore ai 70

anni. Le statistiche dimostrano peraltro come l’età media della popolazione colpita in Italia sia in costante

aumento: ad esempio, in Provincia di Modena l’incidenza sulla popolazione di persone con oltre 65 anni

era del 17 per cento nel 1988, del 21per cento nel 2006 e si stima che abbia ormai raggiunto il 22 per

cento nel 2011 (Registro Tumori della Provincia di Modena).

Oltre all’età avanzata, la predisposizione familiare e le abitudini alimentari possono aumentare il rischio

di sviluppare la malattia.

• Predisposizione familiare. Più o meno in un caso su quattro, il cancro del colon-retto com-

pare in persone che, in qualche modo, sono maggiormente predisposte rispetto alla popo-

lazione generale ad ammalarsi. In alcuni casi si tratta di individui che possono essere

maggiormente soggetti a questa forma tumorale per una particolare predisposizione ge-

netica, che implica una sorta di “alterazione” al DNA, e quindi con rischio più elevato di

sviluppare il cancro, come ad esempio accade per la la poliposi familiare (una patologia

“scritta” nei cromosomi che conduce alla formazione di numerosi polipi i quali, a volte già

in età relativamente giovane, tendono a trasformarsi in tumori maligni). Va comunque ri-

cordato che nel 75 per cento circa dei casi il cancro del colon-retto compare “sporadica-

mente” cioè in persone che non presentano specifica familiarità o altri fattori di rischio

genetico.

• Abitudini alimentari. L’alimentazione può rappresentare un altro importante fattore di ri-

schio. Una dieta ricca di grassi (specialmente quelli di tipo animale) e povera di calcio,

folati, frutta, verdura e fibre aumenta il rischio di sviluppare un tumore colo-rettale. Anche

l’eccesso di peso corporeo espresso in termini di Body Mass Index (BMI) si è dimostrato

un importante fattore di rischio. Le persone con elevato BMI hanno un rischio di ammalarsi

e di morire per questa forma tumorale di circa il 45 per cento più elevato (Calle, NEJM).

Infine anche un eccessivo consumo di alcool e il fumo di sigaretta conferiscono un lieve

aumento del rischio di ammalarsi. Purtroppo il trend per il futuro non appare incoraggiante.

Secondo i dati finora pubblicati dal Centro per il Controllo delle Malattie (CCM) del Mini-

stero della Salute nell’ambito del progetto PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la

Salute in Italia, avviato nel 2005 dal CCM come sperimentazione di metodi utili per la sor-

veglianza dei fattori comportamentali di rischio e per il monitoraggio dei programmi di

prevenzione delle malattie croniche) gli italiani sono sempre più esposti alla sedentarietà

e al conseguente incremento ponderale. Nel 2010 il 32 per cento degli italiani era in so-

vrappeso e l’11 per cento obeso. Nella fascia di età 50-69 anni il fenomeno è ancora più

preoccupante, con il 41 per cento di persone sovrappeso e il 16 per cento di obesi

(Sito CCM).

a. 1. Le tendenze futureCombinando quindi gli effetti della dieta (sfortunatamente sempre meno Mediterranea anche in Italia) e

dell’invecchiamento progressivo della popolazione, è molto probabile che già a partire dal 2020 le per-

sone che si ammaleranno di carcinoma del colon-retto saranno più di 45.000 all’anno. Va però sottoli-

neato che, a fronte di questa tendenza epidemiologica, all’aumento di incidenza della malattia non ha

fatto seguito un incremento della mortalità. Grazie ai progressi nel campo della terapia e soprattutto

della diagnosi precoce, è migliorata la sopravvivenza, che è passata dal 55 per cento a 5 anni dalla dia-

gnosi per chi si era ammalato nel periodo 1988-97, al 65 per cento di chi si è ammalato nel periodo

1998-2007 (Dati RT di Modena, 2010). In particolare, nell’ultimo periodo la sopravvivenza a 5 anni è ri-

sultata del 94 per cento per lo stadio I, dell’88 per cento per lo stadio II, del 65 per cento per lo stadio III

e del 9 per cento per lo stadio IV. Queste percentuali dimostrano come la diagnosi precoce dei nuovi

casi di patologia avrà un effetto molto rilevante sulla probabilità di guarigione dei pazienti. Basti pensare

ad esempio ai dati rilevati in Provincia di Modena: il trend dell’incidenza negli anni 2002-2006 per gli

stadi I e II in confronto agli stadi III e IV documenta un incremento dell’incidenza per gli stadi iniziali e

una stabilità dei tassi di incidenza degli stadi III e IV. Se consideriamo inoltre tutti i casi di carcinoma

colo-rettale si evidenzia anche in questo caso un aumento progressivo dei tassi che coincide con l’au-

mento dell’incidenza degli stadi I e II (Tab.1 e Fig.1).

Tabella 1. Trend dell’incidenza nella provincia di Modena negli anni 2002-2006

distinta per stadi

Tutti Stadi III e IV Stadi I e II

2002 77,75 41,2 36,55

2003 79,82 47,09 32,73

2004 79,68 44,46 35,22

2005 82,35 44,55 37,8

2006 93,62 46,55 47,08

7

tumori colo-rettali mostrano che il 90 per cento dei tumori del colon retto si manifesta dopo i 55

anni di età e fino ai 70 anni. Circa 2 tumori su 3 vengono diagnosticati nel sigma e nel retto. Più

dell’80 per cento dei tumori che si sviluppano in questi segmenti distali del colon derivano da

polipi adenomatosi. Nei segmenti distali la prevalenza di adenomi raggiunge un picco intorno ai

60 anni per restare poi stabile negli anni successivi.

b. 2. Il ruolo della pancolonscopia nello screeningLa colonscopia di screening è indicata in caso di positività al FOBT. L’esame deve essere eseguito da

personale esperto con comprovato training e debbono essere rispettate precise condizioni.

Nel dettaglio:

• per la prima indagine diagnostica deve essere chiesto ed ottenuto dal paziante un consenso in-

formato alla esecuzione della procedura;

• la qualità non può disgiungersi dalla completezza dell’indagine (raggiungimento del cieco). In

caso di mancato completamento vanno indicate le motivazioni e il punto raggiunto;

• in caso di mancato completamento dell’indagine per toilette insufficiente o per indagine com-

pleta ma con toilette inadeguata o impossibile è indicata la ripetizione nel più breve tempo pos-

sibile e comunque entro tre mesi;

• non sono richieste indagini di laboratorio pre-colonscopia (ad eccezione dei pazienti in tratta-

mento anticoagulante orale – TAO, maggiormente a rischio di sanguinamenti in caso di aspor-

tazione di polipi o tessuti a seguito di esami istologici);

• se tecnicamente possibile l’asportazione dei polipi va eseguita nel corso della stessa indagine

diagnostica (viene comunque considerata accettabile la mancata asportazione ambulatoriale

per i polipi oltre i 2 cm di diametro);

• i polipi senza evidenti aspetti endoscopici di malignità debbono essere considerati per il tratta-

mento endoscopico finché non si verifichino condizioni istologiche e/o limiti tecnici che ne in-

dichino il trattamento chirurgico;

• oltre alla percentuale di raggiungimento del cieco e al grado di pulizia del colon si considera

elemento di buona qualità dell’indagine il tempo di estrazione del colonscopio che non deve es-

sere inferiore ai 6 minuti.

b. 3. Diagnosi e stadiazione del tumore colo-rettaleL’esame endoscopico, insieme ad un’attenta valutazione clinica, è fondamentale per giungere alla dia-

gnosi di neoformazione del colon-retto. Nel corso dell’endoscopia è indispensabile eseguire una biopsia

per l’esame istologico e fare un’accurata descrizione della lesione, definendone l’aspetto e la morfologia

(piatta, granulare, polipoide, vegetante, ulcerata, infiltrata, stenosante). Per quanto riguarda i tumori del

retto, è basilare precisare sempre la distanza dal margine anale, così come occorre definire la sede per

i tumori del colon, procedendo a marcatura con inchiostro di china e/o al posizionamento di una clip

metallica.

Una volta diagnosticato il tumore, è poi indispensabile una stadiazione locale, locoregionale, generale e una

valutazione globale del paziente per la valutazione del rischio che quel singolo paziente corre in relazione alla

Tale incremento di incidenza negli stadi precoci potrebbe quindi essere interpretato come un iniziale ri-

sultato dello screening di massa per il CCR iniziato nella provincia di Modena nel marzo del 2005.

b. Approccio diagnostico dei tumori del colon-rettob. 1. L’importanza della diagnosi precoceIl tumore colo-rettale spesso è paucisintomatico, oppure del tutto asintomatico per molti anni. Infatti il

paziente non dà in genere particolare peso a sintomi poco specifici, come dolori addominali o alterazioni

dell’alvo con comparsa di stitichezza o diarrea inspiegabili, a volte alternate tra loro, per preoccuparsi

solo quanto si manifesta una vera e propria emorragia o presenza di sangue nelle feci. Solo ad uno stadio

più avanzato di malattia possono comparire anoressia, affaticamento e perdita di peso, che possono in-

dirizzare verso accertamenti mirati. A fronte di questa oggettiva carenza di segni clinici, oggi è comunque

possibile ottenere una diagnosi precoce della patologia sfruttando le diverse metodiche di screening di-

sponibili. Per la diagnosi precoce dei tumori del colon-retto dall’inizio degli anni 2000 il Ministero della

Salute ha promosso numerose iniziative e programmi di screening sulla popolazione asintomatica con-

sentendo l’identificazione della neoplasia in fase molto precoce. Fare diagnosi in uno stadio iniziale di

malattia consente un approccio terapeutico meno invasivo e più efficace ed è stimato che la diagnosi

precoce, attraverso gli screenings, determini una riduzione della mortalità del 20-30 per cento e, se fatta

durante lo stadio I (malattia localizzata) comporti una sopravvivenza del 90 per cento1. I programmi di

screening prevedono diversi approcci per la diagnosi precoce. Quelli maggiormente applicati sono:

• Identificazione dell’aumentato rischio mediante l’offerta dell’esecuzione del sangue occulto nelle

feci (Foecal Occult Blood Test - FOBT) con cadenza biennale nella fascia di età 50-69 anni e la

colonscopia nei pazienti risultati positivi.

• Sigmoidoscopia una tantum a tutti i soggetti che compiono i 58 anni d’età, offrendo al contempo

a quanti rifiutano quest’esame la possibilità di effettuare il test FOBT. Lo screening viene proposto

alle persone di 58 anni in quanto le stime sulla frequenza di adenomi e sull’incidenza attesa di

2002 2003 2004 2005 2006

Tutti

Stadi III e IV

Stadi I e II

100

90

80

70

60

50

40

30

20

10

0

Figura 1. Trend dell’incidenza negli anni 2002-2006 distinta per stadi

9

che la malattia si ripresenti dopo l’operazione di asportazione della lesione tumorale.

Cicli di chemioterapia consentono infatti di distruggere cellule tumorali eventualmente pre-

senti in circolo e di ridurre la probabilità di recidive. In caso di malattia che ha già determi-

nato metastasi in altri organi, infine, scopo della chemioterapia è controllare l’evoluzione

del quadro.

d. La terapia chirurgica del tumore del colon-retto: considerazioni generaliL’approccio chirurgico dipende dalla sede della neoplasia e dalla sua estensione al momento della

diagnosi. L’approccio terapeutico è quindi ovviamente diverso per i tumori localizzati nel retto e

per quelli del colon-sigma. Va ricordato che le lesioni molto iniziali, definite anche “Early” o “pre-

coci” perché limitate alla mucosa, rappresentano il 3-5 per cento dei tumori colo-rettali e di solito

possono essere trattate in maniera esclusiva con tecniche di resezione endoscopica. Il trattamento

delle lesioni avanzate deve essere invece affrontato attraverso un approccio multidisciplinare.

d. 1. Tumori del colonPer quanto riguarda i tumori localizzati a livello del colon e del sigma, non si può fare ricorso alla

radioterapia pre-operatoria per l’impossibilità di identificare un bersaglio “fisso”. Il trattamento è

quindi in prima istanza chirurgico e per le forme a maggior rischio di ricaduta (T1-3, N1 e T4, N0) si

associa un adeguato trattamento chemioterapico precauzionale, definito “adiuvante”, che viene som-

ministrato dopo l’intervento di resezione del tumore primitivo con l’obiettivo di ridurre il rischio di

ricaduta o di morte.

Approcci per le neoplasie del colon in funzione dello stadio di malattia

Stadio 0:TisN0M0

Escissione locale endoscopica (polipectomia, resezione mucosa, resezione /dissezione sottomucosa)

Resezione segmentaria per lesioni di grande dimensione non eradicabili endoscopicamente

Stadio I: T1-2N0M0

Resezione segmentaria o emicolectomia

Stadio II: T3-4N0M0

Resezione segmentaria o emicolectomia

Per i pazienti ad alto rischio può essere presa in considerazione la chemioterapia adiuvante

Stadio III: T1-2N1M0, T3-4N1M0, ogni TN2-3M0

Resezione segmentaria o emicolectomia

Chemioterapia adiuvante

Stadio IV: ogni T, ogni N, M1

Chemioterapia, eventualmente associata a chirurgia, di solito per asportazione di metastasi

d. 2.Tumori del rettoPer quanto riguarda i tumori localizzati al retto, in base al grado di infiltrazione della parete, si possono

distinguere trattamenti delle lesioni precoci e di quelle avanzate.

strategia che si adotterà. Il sistema universale, o per lo meno, quello maggiormente utilizzato per le classifi-

cazioni tumorali è il TNM: T indica lo stato del tumore e la sua eventuale diffusione locale, N sta per il coinvol-

gimento dei linfonodi, M segnala la presenza di metastasi a distanza. Per quanto riguarda la stadiazione

preoperatoria delle neoplasie rettali, ormai si impone l’ecoendoscopia nei tumori iniziali (T1 e T2); metodiche

come la RMN o la TAC multidetector (4-16 slice) sono raccomandate per quelli negli stadi più avanzati

(T3-T4) (Fig. 2), dove è fondamentale l’accuratezza nella valutazione dell’infiltrazione di una particolare struttura

anatomica, la fascia meso-rettale. Per la valutazione globale del paziente devono essere eseguiti l’anamnesi

completa, l’esame obiettivo, la routine ematochimica, il dosaggio del CEA, una TAC “total body” o, in alternativa,

una radiografia del torace, una TAC o RMN o una ecografia dell’addome2. La stadiazione post-operatoria com-

prende l’esame istologico definitivo e il grado di differenziazione del campione asportato compresi i margini

prossimale, distale e laterale, i linfonodi regionali e la presenza o assenza di invasione vascolare extramurale.

c. Linee generali di trattamento del tumore del colon-rettoL’intervento chirurgico rimane il primo, fondamentale passo terapeutico. Ma non è l’unica arma in mano

agli specialisti, nell’ambito di un approccio interdisciplinare sempre più diffuso. Ecco, in sintesi, le altre

strategie di cura per questa neoplasia.

• La radioterapia. Il trattamento è efficace per distruggere le cellule neoplastiche ma presenta

un profilo di tossicità legato al fatto che colpisce anche i tessuti sani compresi nel campo di ir-

radiazione con conseguenti effetti collaterali sia cutanei che a carico degli organi interessati. È

indicata per il trattamento del tumore localizzato al retto sia prima dell’intervento chirurgico,

sia dopo: in questo caso, associata o meno alla chemioterapia, consente di abbassare il pericolo

di recidiva locale, con la possibilità di associare la chemioterapia.

• La chemioterapia. Si possono distinguere tre condizioni diverse per l’impiego della che-

mioterapia, indipendentemente dai farmaci e dai regimi utilizzati. Innanzitutto, si può pro-

cedere ad una chemioterapia neoadiuvante, per rendere operabile una lesione altrimenti

non trattabile con il bisturi; si può dunque effettuare un trattamento chemioterapico per ri-

durre le dimensioni della lesione. Il trattamento adiuvante invece tende a limitare il rischio

Figura 2 Legenda = m1: primo strato dellamucosa, m2: secondo strato della mucosa, m3:terzo strato della mucosa, e: epitelio, l.p.: laminapropria, m.m.: “muscolaris mucosa“, s.m.:sottomucosa (sm1, sm2, sm3: i tre strati dellasottomucosa), m.p.: muscolare propria.L’infiltrazione fino alla m3 corrisponde al T1,l’infiltrazione fino allo strato sm3 corrisponde alT2, il superamento della muscolare propria (mp)corrisponde al T3, l’infiltrazione di organi vicinicorrisponde al T4. Questo livello di infiltrazioneche deve essere refertato dall’anatomopatologoquando ha disposizione il polipo asportato “en bloc” e orientato può essere valutato neitumori del retto anche dall’Ecoendoscopia.

11

CAPITOLO 2a. Chirurgia laparoscopica nel trattamento del tumore colo-rettale: il valore di una sceltaL’intervento chirurgico per via laparoscopica si basa su una serie di passaggi che consentono di effettuare

in sicurezza l’asportazione della lesione tumorale ed ha come risultato la diminuzione della morbosità e

della mortalità postoperatoria, perché limita gli effetti negativi tipici dell’atto chirurgico classico. Ma

ecco, in sintesi, alcune caratteristiche chiave dell’intervento per via laparoscopica.

Eliminazione delle cicatrici estese

Le cicatrici estese necessarie per un’ampia visione del campo operatorio vengono eliminate. Piccole in-

cisioni (da 5 o 10 millimetri) per il posizionamento dei trocar e piccole laparotomie di servizio per l’estra-

zione del pezzo sono sufficienti per la completa realizzazione dell’intervento.

Induzione del pneumoperitoneo

L’induzione del pneumoperitoneo consente di disporre dello spazio necessario per eseguire l’intervento all’interno

della cavità addominale. Lo pneumomoperitoneo si ottiene tramite insufflazione automatica di CO2 attraverso

un sottile ago di Verres introdotto nell’addome a livello sovraombelicale o in ipocondrio sinistro.

Campo operatorio su monitor televisivo

L’intervento viene eseguito trasportando il campo operatorio su di un monitor televisivo, attraverso una

fonte di luce ottica (una sorta di microtelecamera) introdotta attraverso uno dei trocar. La moderna tec-

nologia permette di avere immagini ingrandite, in alta definizione (HD) e in tre dimensioni (3D).

Distensione dell’addome

Si determina la distensione dell’addome con insufflatori elettronici e si raggiunge una pressione di

12-14 millimetri di mercurio. Successivamente vengono posizionati altri trocar operativi secondo modalità

standardizzate, a seconda del tipo di intervento chirurgico necessario1.

Tempi di procedura veloci, sicuri ed efficaci

La dissezione si avvale dell’utilizzo di strumentazioni tecnologicamente avanzate che, sfruttando l’azione

degli ultrasuoni o delle radiofrequenze, consentono manovre fini anche in vicinanza di strutture nobili,

velocizzando la procedura con la stessa garanzia di sicurezza ed efficacia2,3.

Esposizione variabile del campo operatorio

Il letto operatorio consente di ottenere ripetute variazioni di decubito del paziente (in Trendelemburg,

antitrendelemburg o laterale). In questo modo, l’operatore ha a disposizione sempre la miglior esposizione

del campo operatorio nel corso dell’intervento4,5.

I vantaggi dell’approccio mini invasivo6,7,8,9,10

• Minor dolore post-operatorio (mancanza di grandi ferite laparotomiche cutanee e muscolari,

assenza di trazione operata con divaricatori)

• Riduzione di ileo paralitico post-operatorio (minore traumatismo delle anse intestinali)

• Più rapida canalizzazione

• Mobilizzazione precoce del paziente

• Riduzione dei tempi di degenza

d. 2. 1. Trattamento delle lesioni non infiltranti “Early T1”

Le lesioni “Early” o “precoci” cioè limitate alla mucosa (T1 N0 M0), senza altre localizzazioni, rappresentano

il 3-5 per cento dei tumori rettali e potenzialmente possono essere trattate anche con un un approccio

endoscopico di rimozione, previa valutazione da parte dello specialista dell’aspetto della lesione. Se si

decide per il trattamento per via endoscopica, è tuttavia fondamentale valutare un’eventuale infiltrazione

della tonaca sottomucosa da parte della lesione. Per questo è necessario sottoporre il paziente ad un’eco-

endoscopia (EUS) per valutare se effettivamente si tratta di una lesione che interessa solo la mucosa fino

alla muscolaris-mucosa o la supera senza oltrepassare il primo strato della sottomucosa (T1 sm1). Data

l’alta affidabilità dell’EUS, che presenta un’accuratezza che può arrivare fino al 95 per cento3, una volta

appurata la fattibilità si può scegliere tra le diverse tecniche ovvero polipectomia con ansa dopo infiltra-

zione della lesione con soluzione fisiologica e adrenalina o altre soluzioni4-6, mucosectomia endoscopica

(EMR) con cappuccio (infiltrazione, aspirazione e asportazione della lesione con ansa diatermica) o dis-

sezione sottomucosa (ESD). Normalmente la decisione va presa in base alla morfologia della lesione. Va

ricordato il ruolo fondamentale dell’asportazione corretta e completa della lesione, perché ciò permette

di fornire all’anatomo-patologo un campione ben interpretabile in cui si possa analizzare e tipizzare bene

la base e i margini, per permettere una decisione ponderata in caso di “adenoma cancerizzato“.

d. 2. 2. Trattamento delle lesioni avanzate (T2-T3-T4)

Il trattamento delle lesioni avanzate deve essere affrontato in modo multidisciplinare rispettando alcuni concetti

base. Ad esempio le lesioni T2 N0 M0 normalmente vanno sottoposte a sola chirurgia anche con l’eventuale

opzione della escissione mesorettale totale (Total Mesorectal Excision – TME), mentre negli stadi localmente

avanzati è necessario associare radiochemioterapia preoperatoria e talvolta chemioterapia adiuvante post-

operatoria. Per quanto riguarda l’aspetto chirurgico è utile precisare che la resezione totale del mesoretto

(TME), introdotta negli ultimi anni, ha decisamente migliorato il controllo locoregionale della malattia special-

mente nei tumori del terzo medio e superiore. Per la parte distale del retto (quella più prossima all’ano) l’efficacia

è minore e le recidive sono ancora segnalate tra il 15 e il 21 per cento. Tuttavia l’efficacia di questa tecnica è

ancora strettamente correlata all’abilità del chirurgo in funzione del training e del volume di casi/anno7.

Bibliografia1 Screening Colorettale. CCM: Centro Nazionale per la prevenzione e controllo malattie. Ministero della Salute. www.ccm-network.it2 Glimelius B., Oliveira J.: Rectal cancer: ESMO Clinical Recommendations for diagnosis, treatment and follow-up. Ann Oncol 2009;

20 ( suppl. 4): iv 54-56 3 Schizas AM, Williams AB, Meenan J. Endosonographic staging af lower gastrointestinal malignancy. Best Pract Res Clin Gastroenterol

2009; 23: 663-70 4 Iishi H., Tastuda M., Iseki K., et al Endoscopic piecemeal resection with submucosal saline injection of large sessile colorectal polyps.

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in the treatment of rectal cancer. Br J Surg 2002; 89: 1008-13

13

b. Dalla colecistectomia alla chirurgia colo-rettale: l’evoluzione della chirurgia laparoscopica

Introduzione1987. Per la prima volta al mondo Philippe Mouret, a Lione, realizza la prima asportazione della colecisti

per via laparoscopica. In poco tempo la tecnica è disponibile anche per altre patologie, sia benigne

che maligne, in diverse specialità. Per quanto riguarda il colon, i primi interventi in laparoscopia risal-

gono a oltre vent’anni fa: autori di altissimo livello come Wexner e Jacobs segnalavano infatti in quel-

l’epoca le prime esperienze di colectomia laparoscopica. Progressivamente, l’entusiasmo per questo

intervento è cresciuto via via che venivano dimostrati i vantaggi di questa tecnica1,2. In Italia, a Modena,

già nel 1995 si teneva il I Seminario Internazionale di Chirurgia Colica Laparoscopica. Ma se per la pa-

tologia benigna la tecnica laparoscopica si è diffusa a macchia d’olio, nella patologia maligna l’appli-

cazione è stata rallentata dai legittimi dubbi sulla radicalità oncologica che lo stesso Wexner esplicitava

in un noto articolo del 1995 dal titolo “Laparoscopic colorectal surgery: are we being honest with our

patients?”1,3.

Da allora, la comunità scientifica si è prodigata nella messa in opera di numerosi studi randomizzati

controllati che hanno confrontato la tecnica laparoscopica con la chirurgia laparotomica, dimostrando

chiaramente che, in mani esperte, resezioni corrette del colon possono essere eseguite ottenendo risultati

equivalenti alle tecniche aperte da un punto di vista dell’efficacia oncologica4-7 con un livello di evidenza

di grado I. A tutt’oggi, non si può affermare lo stesso per il cancro del retto, anche se nuovi trial rando-

mizzati multicentrici sono in corso, al fine di confermare se esista lo stesso livello di evidenza ottenuto

per il colon.

L’accettazione delle procedure mini invasive da parte della comunità scientifica, dei chirurghi, dell’utenza

e dell’industria ha portato a sviluppare nuovi approcci con l’obiettivo di ridurre ulteriormente l’invasività

mantenendo gli stessi target oncologici. Basti pensare in questo senso alla continua evoluzione della

laparoscopia eseguita con un singolo accesso (Single Incision Laparoscopic Surgery - SILS)8 o alle tec-

nologie robotiche, d’efficacia già comprovata per altre specialità, come ad esempio l’urologia, applicate

alla chirurgia rettale nel tentativo di superare le difficoltà che la laparoscopia convenzionale incontra

quando lo spazio di lavoro è ristretto come nel caso del piccolo bacino per le resezioni molto vicine al

termine del tubo digerente9,10.

Infine, tra le opportunità che si presentano per il futuro, va ricordata la possibilità di sfruttare un orifizio

naturale per l’estrazione del pezzo (tecnica NOTES – Natural Orifice Transluminal Endoscopic Surgery),

già da molti utilizzato; non è stato tuttavia ancora eseguito un intervento di colectomia totalmente attra-

verso un orifizio naturale (come invece è già avvenuto per la colecistectomia trans-vaginale). Sia chiaro:

si tratta di tecnologie innovative, che aspettano di essere validate da un punto di vista scientifico, che

sono supportate da una evoluzione tecnologica che al momento presenta ancora diversi limiti11-14.

b. 1. La chirurgia mini invasiva del colon-retto: il passatoDopo l’entusiasmo iniziale, legato alla disponibilità di una tecnica tanto innovativa e così promettente

per il paziente e per l’equipe chirurgica, nei primi anni 90 sono nate alcune perplessità su questo

approccio, legate alla sicurezza e alla radicalità oncologica dell’approccio. Inoltre preoccupava il ri-

• Riduzione omnicomprensiva costi

• Riduzioni complicanze legate all’incisione (laparocele, infezione ferita)

• Riduzione complicanze respiratorie

• Riduzioni di complicanze quali la trombosi venosa profonda

• Miglior risultato estetico

• Assenza di aderenze chirurgiche

• Visione e partecipazione attiva all’intervento del team chirurgico, anestesiologico e infermieristico

Bibliografia1 Gordon PH. Malignant neoplasms of the colon. In: Gordon PH, Nivatvongs S (eds). Principles and practice of surgery for the Colon, Rectum and

Anus. Quality Medical Publishing. St Louis 1999: 574-8072 Brennan SS, Pickford IR, Evans M, Pollock AV. Staples or sutures for colonic anastomoses—a controlled clinical trial. Br J Surg. 1982

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higher prevalence of local recurrence. Br J Surg. 2004 Jan;91(1):125

15

Se per il trattamento del tumore del colon i risultati clinici si possono considerare estremamente chiari,

i benefici ed risultati oncologici di tecniche laparoscopiche nella chirurgia del cancro rettale, sebbene

dimostrati, non sono ancora supportati da un livello di evidenza di grado 1 per il limitato follow up a

lungo termine (ad oggi 3/4 anni). Va comunque ricordato che diversi studi mostrano al momento risultati

simili a quelli ottenuti per il cancro del colon. La comunità scientifica è comunque in attesa dei risultati

a lungo termine di alcuni studi clinici prospettici randomizzati multicentrici attualmente in corso, i cui

dati saranno disponibili nel prossimo futuro: l’American College of Surgeons Oncology Group (ACOSOG)

Z6051 negli Stati Uniti, il COLOR II in Europa, oltre ad altri trials in corso in Canada, Corea e Giappone

(Japan Clinical Oncology Group-JCOG) 040434. Oltre gli studi multicentrici randomizzati, diversi studi

comparativi eseguiti da singoli centri specializzati ad alto volume hanno dimostrato promettenti risultati

utilizzando la chirurgia laparoscopica per il cancro del retto. Ad esempio Leung et al. hanno confrontato

le due metodiche su oltre 400 pazienti affetti da adenocarcinoma del sigma-retto35, con risultati favorevoli

da un punto di vista di riduzione di giorni di degenza, outcome a breve termine, riduzione delle perdite

ematiche, tempi operatori più lunghi ed una sostanziale equivalenza in termini di sopravvivenza globale,

di periodo libero da malattia, mortalità, comparsa di recidive locali e a distanza. Questi risultati sono

stati confermati da un’analisi realizzata su un sottogruppo di pazienti con tumori del retto superiore,

sottoposti a resezione anteriore36.

scontro di complicanze, riportate nella letteratura scientifica di quegli anni, con un’incidenza sensi-

bilmente maggiore a quella riscontrata in chirurgia tradizionale (lesioni accidentali di visceri cavi,

emorragie, deiscenze anastomotiche e ascessi pelvici )15 e con un tasso di recidiva metastatica sui

siti di accesso dei trocar del 21 per cento3 rispetto all’1 per cento di impianto metastatico su lapa-

rotomia riscontrato nella tecnica tradizionale16. Ulteriore pessimismo suscitarono i lavori che ripor-

tavano una peggiore sopravvivenza nei pazienti in cui l’intervento condotto con approccio

laparoscopico veniva convertito, cioè realizzato poi con la tecnica laparotomica classica17,18. In questo

senso Chan et al. mostravano nel 2008 un aumento del tasso di recidiva locale a 3 anni di follow-

up del 9,8 per cento in laparoscopia convertita, rispetto al 2,8 per cento nei pazienti trattati con tec-

nica open.

b. 2. La chirurgia mini invasiva del colon-retto: il presenteLa questione è stata affrontata attraverso una serie di sette studi prospettici randomizzati controllati

multicentrici che hanno confrontato le due metodiche, laparoscopica e laparotomica nella chirurgia neo-

plastica del colon, analizzando sia i risultati a breve termine che quelli a lungo termine. Tra questi ampi

trials si possono ricordare lo studio “COST” (Clinical Outcome of Surgical Therapies), condotto dal National

Cancer Institute degli Stati Uniti, il “CLASSIC (Conventional versus Laparoscopic-Assisted Surgery in

Colorectal Cancer) portato avanti nel Regno Unito, e il “COLOR” (Colon Cancer Laparoscopic or Open

Resection), trial multicentrico Europeo19-25. L’obiettivo principale di questi studi è stato valutare non solo

l’outcome oncologico, ma anche la qualità della vita, le morbosità a breve termine e la sicurezza della

metodica. Il CLASSIC è l’unico studio che valuta anche l’efficacia della metodica nel trattamento del

cancro rettale.

Va comunque ricordato che già prima di questi studi clinici, una review su 22 studi randomizzati e 66

studi di coorte (MICRO), ha chiaramente mostrato i vantaggi della laparoscopia in termini di riduzione del

dolore post operatorio, riduzione delle perdite ematiche, più rapida ripresa della canalizzazione intestinale

e diminuzione della degenza. Peraltro i primi risultati a breve termine dei trials COST, COLOR e CLASICC,

a seguito di colectomia laparoscopica per il cancro del colon-retto hanno confermato questi risultati 19-

25,27. Inoltre diversi studi hanno documentato anche la riduzione di morbosità post-operatoria e del numero

di infezioni di ferita 20,22,26,28, dato recentemente rafforzato da un ampio studio dal National Surgical Quality

Improvement Program (NSQIP), un database di oltre 10.000 pazienti, nel quale si registra una minore in-

cidenza di infezione della ferita a seguito di colectomia laparoscopica rispetto alla colectomia laparotomica

(9,5 per cento versus 16,1 per cento, P <0,001)29. Infine, la qualità della vita dei pazienti è stata valutata

in diversi studi clinici che documentano vantaggi a favore della colectomia laparoscopica30.

Le preoccupazioni iniziali degli oncologi riguardo alla radicalità oncologica della metodica, sono state

fugate dai risultati ottenuti dai trial, che hanno mostrato l’efficacia della metodica in termini di re-

cidiva, di linfonodi asportati19-25, e di sopravvivenza19,21,25. Anche il problema della recidiva locale e

delle recidive metastatiche sui siti di accesso dei trocar appare quasi del tutto inesistente, qualora

si valutino gli outcome dei trial eseguiti in centri con grossi volumi di pazienti ed in mani

esperte4,5,7,23,31-33. La sopravvivenza libera da malattia a lungo termine (il monitoraggio è stato con-

dotto fino a 7 anni) nelle due metodiche appare infatti equivalente4,5,7,31,33.

Tabella 2. Risultati a breve ed a lungo termine degli studi randomizzati controllati su vasta scala

che confrontano la tecnica laparoscopica con quella tradizionale nella chirurgia del colon

(legenda: - minore, = equivalente + maggiore rispetto alla tecnica laparotomica)

COST CLASSIC COLOR Barcellona Braga Milsom Liang

T. per la canalizzazione = - - - - -

Dolore - -

Uso di analgesici - - -

Degenza - - - - - =

Tempi operatori + + + + + + +

Perdite ematiche - - - =

N. linfonodi asportati = = = = = = =

Margini di resezione + = =

Morbosità post operatoria = = = - - = =

Mortalità post operatoria = = = = - =

Qualità di vita = = +

Sopravvivenza globale = = = = =

T. libero da malattia = = = = =

Recidiva Locale = = =

Recidiva a distanza = = = = =

Recidiva su parete/port = = = = = = =

17

b. 3. La chirurgia mini invasiva del colon-retto: il futuroI continui sforzi nell’ambito della ricerca e dello sviluppo di nuove tecnologie sono orientati verso una

chirurgia sempre meno invasiva, che limiti sempre più il numero di accessi, e nello stesso tempo sia in

grado di garantire gli stessi risultati della tecnica laparoscopica. In questo senso, sia la laparoscopia

eseguita con un singolo accesso (SILS o SPLS – Single Port LaparoScopy o SPA – Single Port Access),

sia la NOTES sono in continua evoluzione. Anche per il cancro del colon-retto sono riportate in letteratura

le prime esperienze di singoli centri42,43,44,45. Gli studi al momento confermano la fattibilità della tecnica,

senza che essa costituisca un rischio maggiore per il paziente, se applicata a pazienti con criteri di se-

lezioni più specifici come assenza di precedenti interventi di chirurgia addominale (per la presenza di

aderenze), ed un Indice di Massa Corporea (BMI) <30.

Per quanto riguarda la NOTES sono già presenti in letteratura le prime esperienze di estrazione del seg-

mento intestinale patologico per via trans-rettale o per via trans-vaginale11-14, pur se non sono ancora

descritti in letteratura interventi sul colon eseguiti totalmente con tecnica NOTES. Al momento, questi

approcci sono in corso di validazione scientifica.

Bibliografia1 SD. Wexner, SM Cohen, A. Ulrich, P. Reissman. Laparoscopic colorectal surgery: are we being honest with our patients?Dis. Colon

Rectum, vol 38(7):723-727, 19952 M. Jacobs, J. C. Verdeja, and H. S. Goldstein, “Minimally invasive colon resection (laparoscopic colectomy),” Surgical Laparoscopy &

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Annals of Surgical Oncology, vol. 17, no. 6, pp. 1614–1620, 201010 A. Zimmern, L. Prasad, A. Desouza, S. Marecik, J. Park, and H. Abcarian, “Robotic colon and rectal surgery: a series of 131 cases,”

World Journal of Surgery, vol. 34, no. 8, pp. 1954–1958, 201011 E. J. Dozois, D. W. Larson, S. C. Dowdy, V. P. Poola, S. D.- Holubar, and R. R. Cima, “Transvaginal colonic extraction following

combined hysterectomy and laparoscopic total colectomy: a natural orifice approach,” Techniques in Coloproctology, vol. 12, no.

3, pp. 251–254, 200812 J. Knol, M. D’Hondt, E. J. Dozois, J. Vanden Boer, and P. Malisse, “Laparoscopic-assisted sigmoidectomy with transanal specimen

extraction: a bridge to NOTES?” Techniques in Coloproctology, vol. 13, no. 1, pp. 65–68, 200913 J. S. Park, G. S. Choi, K. H. Lim et al., “Clinical outcome of laparoscopic right hemicolectomy with transvaginal resection, anastomosis,

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term outcome,” Surgical Endoscopy, vol. 25, no. 6, pp. 2034–2038, 201115 P. Reissman, B. A. Salky, J. Pfeifer, M. Edye, D. G. Jagelman, and S. D. Wexner, “Laparoscopic surgery in the management of

inflammatory bowel disease,” American Journal of Surgery, vol. 171, no. 1, pp. 47–50, 1996

La capacità tecnica del chirurgo e la sua esperienza, in ogni caso, sono di grande importanza nella de-

finizione dei risultati della chirurgia mini invasiva per patologie tumorali del tratto colo-rettale. In questo

senso basti pensare alla dissezione pelvica, che rimane una metodica chirurgica difficile, da riservare a

chirurghi esperti che operano in centri ad alto volume. La difficoltà in questo caso è legata agli spazi ri-

stretti in cui si lavora (la piccola pelvi), e nella difficoltà di eseguire movimenti e manovre con strumenti

rigidi. Va comunque detto che la tecnologia robotica è in continua evoluzione nel tentativo di superare

questi ostacoli, e già si moltiplicano le pubblicazioni scientifiche che dimostrano l’efficacia di questa

metodica9,37-41, con risultati a breve e a lungo termine sovrapponibili ai pazienti trattati in laparoscopia6,9,37

e secondo alcuni con vantaggi che derivano dalla migliore visione del campo, dalla magnificazione delle

immagini tridimensionali, dalla maggiore possibilità di movimento degli strumenti robotici capaci di muo-

versi su più assi9,10,37-41.

Tabella 3. Risultati dell’outcome a breve e a lungo termine riscontrati nei trials randomizzati

controllati che hanno comparato la tecnica laparoscopica a quella tradizionale nella

chirurgia del cancro del retto

Araujo CLASICC Ng(45) Ng(44) Leung

T per la canalizzazione - - -

Dolore =

Uso di analgesici - - -

Degenza = = - -

Tempi operatori - + + +

Perdite ematiche = = = -

N. linfonodi asportati - = = =

Margini resezione + = = =

Morbosità postoperatoria = = = =

Mortalità postoperatoria = = =

Sopravvivenza globale = = = =

Periodo libero da malattia = = = =

Recidiva locale = = = = =

Recidiva a distanza = =

19

16 W. T. Reilly, H. Nelson, G. Schroeder, H. S. Wieand, J. Bolton, and M. J. O’Connell, “Wound recurrence following conventional treatment

of colorectal cancer: a rare but perhaps underestimated problem,” Diseases of the Colon and Rectum, vol. 39, no. 2, pp. 200–207,

199617 C. Y. Chan, J. T. C. Poon, J. K. M. Fan, S. H. Lo, and W. L. Law, “Impact of conversion on the long-term outcome in laparoscopic

resection of colorectal cancer,” Surgical Endoscopy and Other Interventional Techniques, vol. 22, no. 12, pp. 2625– 2630, 200818 H.Moloo, J.Mamazza, E. C. Poulin et al., “Laparoscopic resections for colorectal cancer: does conversion affect survival?” Surgical

Endoscopy and Other Interventional Techniques, vol. 18, no. 5, pp. 732–735, 2004 19 H. Nelson, D. J. Sargent, H. S. Wieand et al., “A comparison of laparoscopically assisted and open colectomy for colon cancer,” New

England Journal of Medicine, vol. 350, no. 20, pp. 2050–2114, 200420 M. Braga, A. Vignali, L. Gianotti et al., “Laparoscopic versus open colorectal surgery: a randomized trial on short-term outcome,”

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stage II or III left-sided colon cancers: a randomized controlled trial,” Annals of Surgical Oncology, vol. 14, no. 1, pp. 109–117, 200724 J. W. Milsom, B. B¨ohm, K. A. Hammerhofer, V. Fazio, E. Steiger, and P. Elson, “Aprospective, randomized trial comparing laparoscopic

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matched analysis of short-term outcomes,” Annals of Surgical Oncology, pp. 1–8, 201042 P. Bucher, F. Pugin, and P. Morel, “Single port access laparoscopic right hemicolectomy,” International Journal of Colorectal Disease,

vol. 23, no. 10, pp. 1013–1016, 200843 F. H. Remzi, H. T. Kirat, J. H. Kaouk, and D. P. Geisler, “Singleport laparoscopy in colorectal surgery,” Colorectal Disease, vol. 10, no.

8, pp. 823–826, 200844 J. Adair, M. A. Gromski, R. B. Lim, and D. Nagle, “Singleincision laparoscopic right colectomy: experience with 17 consecutive cases

and comparison with multiport laparoscopic right colectomy,” Diseases of the Colon and Rectum, vol. 53, no. 11, pp. 1549–1554,

201045 N. A. Rieger and F. F. Lam, “Single-incision laparoscopically assisted colectomy using standard laparoscopic instrumentation,”

Surgical Endoscopy and Other Interventional Techniques, vol. 24, no. 4, pp. 888–890, 2010

21

d. La chirurgia mini invasiva del colon-retto: i vantaggi per il chirurgoLa Video-laparoscopia rappresenta un fattore di grande importanza sia per il singolo chirurgo che per

l’equipe presente in sala, sia sotto l’aspetto operativo che sotto l’aspetto della didattica e dell’appren-

dimento.

Diversi elementi tipici di questo approccio consentono infatti di ottenere importanti risultati: ecco i fattori

principali in gioco.

• Migliore esposizione e facilità di esplorazione della cavità addominale. Grazie allo pneumope-

ritoneo, questi fattori permettono una adeguata stadiazione intraoperatoria che in alcuni casi,

come nella carcinosi peritoneale, può evitare laparotomie inutili e nello stesso tempo permette

di eseguire biopsie (peritoneali o epatiche) che consentono una stadiazione più accurata e quindi

una terapia palliativa più adeguata, la meno invasiva e invalidante possibile (chemioterapia,

confezionamento di by pass intestinali o stomie)1.

• Ingrandimento delle immagini. Permette di essere più accurati nella dissezione e nell’emostasi,

con maggiore rispetto delle strutture anatomiche. In determinati distretti chirurgici ed in spazi

ristretti come, ad esempio, in caso di resezioni del retto medio e basso, la chirurgia tradizionale

può indurre ad una dissezione “alla cieca” con il solo ausilio della palpazione, rischiando di

ledere strutture nobili quali i plessi nervosi, responsabili di importanti funzioni sessuali e o della

continenza, e di produrre sensibili ripercussioni sulla qualità della vita del paziente2.

• Uso di un sistema video in sala operatoria. Questo sistema consente una più viva partecipazione

da parte dell’intera equipe, con intuibili vantaggi per strumentisti, anestesisti e chirurghi in for-

mazione, che in tal modo possono essere coinvolti e partecipi in tutte le fasi dell’intervento. Il

sistema video permette, inoltre, una maggiore facilità di ripresa, archiviazione e trasmissione

delle immagini (ormai anche con dirette intercontinentali o in streaming sul web), con interazioni,

scambi di opinioni, divulgazione delle conoscenze e utilizzo anche a scopi medico-legali, che

con la tecnica open risultano difficilmente riproducibili con la stessa qualità. Infine, una archi-

viazione sistematica delle immagini permette, in caso di complicanze o dubbi diagnostici, di ri-

vedere in qualsiasi momento il filmato e quindi cogliere eventuali criticità e aspetti migliorativi.

• Implementazione delle opportunità didattiche. La continua evoluzione della tecnologia ha portato

oggi all’impiego di Robot con una doppia console, una per il chirurgo discente, l’altra per il

“tutor” che può guidare, indirizzare ed eventualmente sostituirsi al discente in qualsiasi momento

(un po’ come a scuola guida con i doppi comandi!!) garantendo in tal modo un ottimo standard

qualitativo di trattamento per il paziente e nello stesso tempo la formazione dei giovani chirurghi.

c. La chirurgia mini invasiva del colon-retto: indicazioni e controindicazioniSulla scorta delle informazioni presenti in letteratura scientifica, le controindicazioni al trattamento la-

paroscopico delle neoplasie del colon-retto appaiono estremamente limitate. Infatti le controindicazioni

assolute sono sostanzialmente quelle alla laparoscopia in genere, come ad esempio grave insufficienza

cardiaca, instabilità emodinamica, quadri aderenziali complessi. Per quanto riguarda le controindicazioni

relative, queste sono generalmente legate a fattori che rendono la metodica laparoscopica più indaginosa.

In presenza di tali fattori, l’intervento laparoscopico andrebbe riservato ai chirurghi con adeguata espe-

rienza di chirurgia oncologica del grosso intestino e di chirurgia laparoscopica avanzata. Tra questi i più

rilevanti sono sicuramente l’obesità, le neoplasie in stadio avanzato (T3-T4) con iniziali fenomeni di in-

filtrazione degli organi viciniori, pazienti già sottoposti a chirurgia addominale1,2. Va tuttavia sottolineato

che in presenza di tali fattori, benchè da un lato aumenti il rischio di conversione, dall’altro aumentano

i vantaggi offerti dalla tecnica mini invasiva. Basti pensare al paziente obeso, oppure ad un intervento

eseguito a scopo palliativo (come ad esempio una derivazione intestinale) quando ormai la neoplasia si

trova in uno stadio troppo avanzato per poter ambire ad una asportazione del tumore a scopo curativo.

La conoscenza di questi fattori quindi, piuttosto che costituire come spesso accade una controindicazione

assoluta alla laparoscopia, dovrebbe servire a discernere i casi che possono essere affrontati dal chirurgo

all’inizio della sua learning curve da quelli che invece devono assolutamente essere trattati da chirurghi

esperti3,4.

Bibliografia1 Jeyarajah S., Sutton C.D., Miller A.S. Hemingway D. Colorecta Disease 2007(9):808-815. Factors that influence the adequacy of total

mesorectal excision for rectal cancer 2 Quirke P. Lancet Oncol 2003;4:695-702. Training and quality assurance for rectal cancer: 20 years of data is enough3 Li J.C.Li, Lo A.W.I, Hon S.S.F. Int J Colorectal Dis 2011. Institution learning curve of laparoscopic colectomy-a multi-dimensional

analysis4 Stein S. Stulberg J. Champagne . Surg Endosc 2011. Learning laparoscopic colectomy during colorectal residency: what does it take

and how are we doing?

Bibliografia1 Laparoscopic colorectal surgery: summary of the current evidence. EMAD H ALY. Ann R Coll Surg Engl 2009; 91: 541–5442 Laparoscopic Pelvic Autonomic Nerve-Preserving Surgery for Patients with Lower Rectal Cancer after Chemoradiation Therapy

23

a.1. La valutazione di efficaciaLa chirurgia laparoscopica mostra, rispetto alla tecnica laparotomica tradizionale, significativi benefici

clinici, alcuni dei quali rivestono anche un ruolo importante sotto il profilo economico: esiste, ad esempio,

un’ampia mole di studi clinici che dimostrano chiaramente la significativa riduzione della durata della

degenza che la laparoscopia presenta rispetto alla tecnica open2-28. In questo senso basti ricordare la

metanalisi di Abraham et al. (12 trials pubblicati fino al 2002, riferiti a patologia colo-rettale), che dimostra

come il trattamento laparoscopico riduca del 20,6 per cento le giornate di degenza, rispetto alla tecnica

open, a fronte di una sostanziale sovrapponibilità dei dati di mortalità perioperatoria e clearance onco-

logica29. Inoltre, una successiva metanalisi (20 studi pubblicati fino al 2004) sui soli casi di chirurgia ret-

tale sostanzialmente riconfermava i vantaggi rispetto al recupero della funzionalità e la riduzione della

durata di degenza30.

Sulla scorta di queste indicazioni, nel 2006 il National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE),

cioè l’ente del Regno Unito che si occupa tra l’altro della valutazione dei trattamenti medici e della loro

validità sotto il profilo costo-beneficio, ha pubblicato le proprie indicazioni su questo approccio nell’ambito

della “Guidance” dedicata, affermando che la resezione laparoscopica delle neoplasie colo-rettali è rac-

comandata come alternativa alla chirurgia laparotomica e basando la raccomandazione anche sul fatto

che l’intervento laparoscopico ha una durata maggiore, rispetto alla tecnica open, ma comporta una de-

genza inferiore31.

a. 2. L’analisi economicaLa stessa Guidance dell’Agenzia Britannica ha stimato, tramite un modello di simulazione dei costi basato

su dati di letteratura e costi del sistema sanitario (NHS) britannico, maggiori costi di intervento per la la-

paroscopia (£2.885 vs £1.964), differenza in parte compensata dagli altri costi ospedalieri (degenza,

gestione post-intervento, chemio-radio terapia) che sono risultati invece inferiori in caso di trattamento

laparoscopico (£2.872 vs £3.294) principalmente in ragione della minore durata della degenza. Inclu-

dendo anche una stima del costo di follow-up a 3 mesi, si stimava quindi un costo pari a £6.117/paziente

per la laparoscopia vs. £5.852 della laparotomia, con una differenza di £265/paziente a sfavore dell’ap-

proccio laparoscopico31.

Altri studi più recenti hanno invece sottolineato il positivo effetto economico della riduzione della durata

di degenza e meritano una particolare menzione, in quanto mostrano come si stia affermando tra gli

stessi chirurghi, anche a livello internazionale, una notevole sensibilità al problema dei costi e della va-

lutazione delle alternative di trattamento disponibili per una data patologia.

Questi studi non sono incentrati sull’analisi costo-efficacia, data la sostanziale sovrapponibilità delle due

tecniche sotto il profilo dell’efficacia clinica a breve e lungo termine, come peraltro dimostrato dalla in-

conclusività della review alla base del Report di HTA del NICE32 nonché dell’analisi economica realizzata

dal NICE stesso31, quanto invece sul confronto dei costi “di produzione” dell’intervento laparoscopico in

confronto alla classica laparotomia, secondo il metodo dell’activity based costing, applicato da Cinquini

et al. sul tema della colecistectomia laparoscopica33 .

Nel 2007 Noblett & Horgan hanno pubblicato i risultati di uno studio caso-controllo su 60 pazienti operati

per resezione colo-rettale presso un ospedale britannico. I 30 casi trattati in laparoscopia sono stati cor-

CAPITOLO 3a. Health technology assessment del trattamento chirurgico mini invasivo del tumore

colo-rettalePrendere decisioni appropriate per migliorare i livelli di salute della popolazione in un contesto, come

quello attuale, caratterizzato da una grande ristrettezza di risorse costituisce una grande sfida per tutti

gli stakeholder dei sistemi sanitari moderni. Nella maggior parte dei paesi, Italia compresa, l’assistenza

sanitaria è gestita e amministrata da organizzazioni sanitarie che hanno la responsabilità di soddisfare,

nel modo migliore possibile con i finanziamenti di cui dispongono, i bisogni di salute di una popolazione

predefinita. Ciò ha comportato, a livello mondiale, un sempre maggiore impegno da parte di coloro che

hanno il compito di stabilire le priorità di intervento e di allocare le risorse necessarie e disponibili.

La domanda sociale e individuale di salute è cresciuta esponenzialmente a causa dei cambiamenti de-

mografici ed epidemiologici, e dello sviluppo della tecnologia sanitaria, intervenuti negli ultimi decenni,

a fronte di risorse del sistema sanitario sempre più scarse.

In questo contesto i sistemi sanitari pubblici si trovano ad affrontare il problema di come stabilire le

priorità della programmazione sanitaria e di come coniugare la scarsità di risorse con i bisogni crescenti

dei cittadini in termini di salute e qualità di vita, mantenendo i principi di universalità e equità di accesso

ai servizi sanitari. In questa prospettiva gli amministratori pubblici da un lato, e i professionisti sanitari

dall’altro, sono chiamati anche a valutare i modi di erogazione dei servizi sanitari per assicurare alla

collettività processi assistenziali che possano garantire maggior valore aggiunto al paziente a parità o

con minori risorse economiche.

L’Health Technology Assessment (HTA) rappresenta uno strumento fondamentale in questo processo di

valutazione e consiste appunto nella valutazione multidisciplinare complessiva e sistematica delle con-

seguenze assistenziali, economiche, sociali ed etiche provocate in modo diretto o indiretto, nel breve e

nel lungo periodo, dalle tecnologie sanitarie esistenti e da quelle di nuova introduzione. Le tecnologie

sanitarie oggetto di valutazione includono i farmaci, le attrezzature, i dispositivi, le procedure mediche

e chirurgiche, i percorsi assistenziali, gli assetti strutturali e organizzativi nei quali l’assistenza sanitaria

viene erogata1. L’HTA è quindi uno strumento fondamentale al servizio dei decisori per dare maggiore

razionalità alle decisioni che a tutti i livelli del sistema sanitario devono essere prese continuamente. I

decisori sono tutti i soggetti interessati (stakeholder) alla tecnologia: a livello macro (nazionale e regionale)

i decisori sono i politici; a livello meso (aziende sanitarie) i direttori generali; a livello micro (il rapporto

medico-paziente) i professionisti e i pazienti. Anche l’industria è un importante stakeholder e gioca un

ruolo strategico per lo sviluppo e la diffusione di tecnologie innovative.

In questo documento, per la prima volta, si è tentato di effettuare un’analisi di HTA sul trattamento chirurgico

mini invasivo del tumore del colon-retto, una tecnologia complessa che include attrezzature, dispositivi,

procedure medico-chirurgiche, percorsi dei pazienti, assetti strutturali e organizzativi. Si tratta di uno sforzo

di analisi estremamente significativo, anche perché non si dispone di database dell’attività sanitaria corrente

così sofisticato, e perché gli studi condotti tendono a considerare solo parti del complesso processo sopra

descritto, senza seguire interamente i diversi passaggi che caratterizzano questo approccio chirurgico.

25

Da una prima analisi è stato possibile ricostruire i costi associati ai due diversi approcci chirurgici.

Il costo medio di produzione del trattamento laparoscopico è risultato pari a € 8.675 per il colon e

€ 9.091 per il retto; per la tecnica laparotomica il costo medio rilevato è pari a € 9.815 e € 14.987 ri-

spettivamente per il colon e il retto.

I dati disponibili evidenziano, inoltre, un numero di giornate di degenza per la laparoscopia mediamente

inferiore alla laparotomia, sia in termini di degenza totale che di degenza post operatoria, in linea con

quanto riportato nella letteratura internazionale.

La Tabella 5 rappresenta i dati di dettaglio per il campione analizzato.

Questi primi dati sull’Azienda Ospedaliera di Modena mostrano una differenza nell’assorbimento di

risorse tra l’approccio chirurgico open e l’approccio laparoscopico, da approfondire attraverso la realiz-

zazione di un’ulteriore analisi su un campione più ampio e che tenga conto dei diversi elementi di com-

plessità emersi in questa prima analisi, tra cui la presenza di comorbidità associate.

La letteratura scientifica, in merito all’analisi economica dell’approccio laparoscopico all’intervento chirurgico

del cancro del colon-retto, è assai concorde nell’evidenziare, a fronte di un aumento di costo della fase intra-

operatoria, dovuto principalmente ai materiali strumentali impiegati, una sostanziale parità, quando non addi-

rittura una riduzione nel costo di produzione dell’intervento dal punto di vista della struttura ospedaliera. Questo

calo deriva dalla consistente riduzione dei tempi di degenza ospedaliera, riduzione ancora più significativa se

la scelta della tipologia di intervento deriva da una attenta selezione delle caratteristiche cliniche del paziente.

relati con altrettanti controlli in base a caratteristiche demografiche e di patologia. A fronte di un maggiore

costo/paziente delle strumentazioni (£912 vs. £276 per laparoscopia vs. laparotomia, p<0,001) vi era

una sostanziale sovrapponibilità del costo della sala chirurgica (£2.067 vs. £1.945 p=ns), un azzeramento

nell’impiego di prodotti trasfusionali (£0 vs. £73; p<0,001) ed infine una sostanziale riduzione nella

durata di degenza (£1.260 vs. £2.268; p<0,001) con una sostanziale parità nel costo totale per paziente

(£4.348 vs. £4.561; p=ns)34.

Analogamente uno studio relativo a 50 pazienti operati presso il Veterans Affairs Medical Centre di Houston,

valorizzando la riduzione del tempo operatorio e della durata di degenza, ha dimostrato che l’introduzione

di un programma di chirurgia mini invasiva nel trattamento del cancro colo-rettale35 determina costi in-

feriori per l’approccio laparoscopico vs. laparotomico, con un costo totale per paziente pari rispettivamente

a $12.500 vs. $18.564; lo studio conferma peraltro che gli esiti clinici sono comparabili36.

Conclusioni simili sono state riportate anche da uno studio Canadese recentemente pubblicato che si è

focalizzato sulla sola chirurgia del colon. Sono state analizzate retrospettivamente 470 colectomie destre

(RC) e 266 colectomie sinistre (LC) realizzate tra il 2005 ed il 2010 in un Centro del Western Ontario, uti-

lizzando il sistema di contabilità interna dell’Ospedale per valorizzare i costi dell’intervento (al netto dei

costi dei medici, come tipicamente avviene in Nord-America). Anche in questo studio si è visto che il

tempo operatorio era maggiore con la laparoscopia rispetto alla tecnica open: 203,4 minuti versus 173,4

per RC (p=0,1); 287,4 minuti versus 173,4 (p=0,009) per LC, con un costo maggiore della fase inter-

ventistica ($4.094 versus $3.312 per RC e $5.784 versus $4.582 per LC). Tuttavia, anche in questo

studio la durata di degenza è stata tale da compensare ampiamente questi maggiori costi intraoperatori:

5 giorni vs. 8 (p=0,01) per RC e 4 giorni vs. 6 (p= 0,049), riconfermando costi inferiori di gestione della

fase post-operatoria, con un costo globale di $10.097 versus $10.444 per RC and $11.067 versus

$11.146 per LC, con una stima di riduzione dei costi globali di istituzione superiori a $58.000 nei 5 anni

dall’introduzione della tecnica laparoscopica37.

a. 3. Un progetto pilota: l’esperienza di ModenaIn Italia è stata realizzata nel 2011 presso l’Azienda Ospedaliera di Modena una prima analisi su un

campione di 30 pazienti trattati per resezione colo-rettale, con l’obiettivo di valutare i costi di produzione

dell’intervento laparoscopico e dell’intervento laparotomico.

Il campione è stato estratto retrospettivamente da un totale di 128 pazienti sottoposti a resezioni colon-

rettali per patologia neoplastica nel 2011 dalla casistica dell’ospedale e mostra caratteristiche demo-

grafiche e cliniche tipicamente riscontrabili nella pratica clinica.

È stata effettuata un’attenta analisi del profilo del paziente sottoposto ad intervento chirurgico. Come

rappresentato nella Tabella 4, i casi trattati laparoscopicamente hanno un’età media inferiore e presen-

tano meno comorbosità (CCI Charlson Comorbidity Index) rispetto ai casi laparotomici.

Tabella 4. Tipologia di pazienti analizzati

Location Technique Age (year) CCI CCI age

Colon

Open 66,8 2,8 4,3

Lap 65,6 1,1 2,3

Colon-Retto

Open 78,4 2,3 5,7

Lap 61,5 0,0 0,0

Tabella 5. Degenza media dei pazienti trattati

Location Technique Total Hospital stay (day) Post operative Hospital stay (day)

Colon

Open 12,0 10,6

Lap 11,0 8,6

Colon-Retto

Open 21,6 20,7

Lap 11,8 10,0

27

Le cifre, peraltro, documentano come si sia di fronte ad un processo che appare in costante sviluppo.

Gli interventi laparoscopici di colecistectomia sono stati nel 2009 in Italia 88.565, a fronte di oltre 9.000

interventi al colon, con una percentuale crescente che dal 2007 è passata dal 15 per cento a poco meno

del 20 per cento. Il che significa che almeno un’operazione nell’ultimo tratto intestinale su cinque, oggi,

viene effettuata in laparoscopia. A confermare la tendenza alla crescita dell’impiego della metodica c’è

anche il dato sulle appendicectomie urgenti realizzate in laparoscopia nelle donne di età compresa tra

15 e 49 anni: sono state circa 9.600 nel 2009, crescendo in tre anni di circa 10 punti percentuali, dal

22 a circa il 32 per cento.

Bibliografia1 Carta di Trento sulla Valutazione delle Tecnologie Sanitarie in Italia, 2006, http://www.sihta.it/carta-di-trento 2 Lacy AM, Garcia-Valdecasas JC, Pique JM, Delgado S, Campo E, Bordas JM, et al. Short-term outcome analysis of a randomized

study comparing laparoscopic vs open colectomy for colon cancer. Surg.Endosc. 9[10], 1101-1105. 1995 3 Milsom JW, Bohm B, Hammerhofer KA, Fazio V, Steiger E, Elson P. A prospective, randomized trial comparing laparoscopic versus

conventional techniques in colorectal cancer surgery: a preliminary report. J.Am.Coll.Surg. 187[1], 46-54. 1998 4 Curet MJ, Putrakul K, Pitcher DE, Josloff RK, Zucker KA. Laparoscopically assisted colon resection for colon carcinoma: perioperative

results and long-term outcome. Surg.Endosc. 14[11], 1062-1066. 2000 5 Leung KL, Kwok SP, Lau WY, Meng WC, Chung CC, Lai PB, et al. Laparoscopic-assisted abdominoperineal resection for low rectal

adenocarcinoma. Surg.Endosc. 14[1], 67-70. 2000 6 Hartley JE, Mehigan BJ, Qureshi AE, Duthie GS, Lee PW, Monson JR. Total mesorectal excision: assessment of the laparoscopic

approach. Dis.Colon Rectum 44[3], 315-321. 2001 7 Braga M, Vignali A, Gianotti L, Zuliani W, Radaelli G, Gruarin P, et al. Laparoscopic versus open colorectal surgery: a randomized trial

on short-term outcome. Ann.Surg. 236[6], 759-766. 2002 8 Lacy AM, Garcia-Valdecasas JC, Delgado S, Castells A, Taura P, Pique JM, et al. Laparoscopy-assisted colectomy versus open

colectomy for treatment of non-metastatic colon cancer: a randomised trial. Lancet 359[9325], 2224-2229. 29-6-2002 9 Weeks JC, Nelson H, Gelber S, Sargent D, Schroeder G. Short-term quality-of-life outcomes following laparoscopic-assisted colectomy

vs open colectomy for colon cancer: a randomized trial. JAMA 287[3], 321-328. 16-1-2002 10 Araujo SE, da Silva eSousa AH Jr, de Campos FG, Habr-Gama A, Dumarco RB, Caravatto PP, et al. Conventional approach x

laparoscopic abdominoperineal resection for rectal cancer treatment after neoadjuvant chemoradiation: results of a prospective

randomized trial. Rev.Hosp.Clin.Fac.Med.Sao Paulo 58[3], 133-140. 2003 11 Hasegawa H, Kabeshima Y, Watanabe M, Yamamoto S, Kitajima M. Randomized controlled trial of laparoscopic versus open colectomy

for advanced colorectal cancer. Surg.Endosc. 17[4], 636-640. 2003 12 Wu FP, Sietses C, von Blomberg BM, van Leeuwen PA, Meijer S, Cuesta MA. Systemic and peritoneal inflammatory response after

laparoscopic or conventional colon resection in cancer patients: a prospective, randomized trial. Dis Colon Rectum 46[2], 147-155.

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randomized trial. J.Laparoendosc.Adv.Surg.Tech.A 14[6], 329-334. 2004 15 Leung KL, Kwok SP, Lam SC, Lee JF, Yiu RY, Ng SS, et al. Laparoscopic resection of rectosigmoid carcinoma: prospective randomised

trial. Lancet 363[9416], 1187-1192. 10-4-2004 16 Nelson H, Sargent D, Wieand H, Fleshman J, Anvari M, Stryker S, et al. A comparison of laparoscopically assisted and open colectomy

for colon cancer. N.Engl.J Med. 350[20], 2050-2059. 13-5-2004 17 Vignali A, Braga M, Zuliani W, Frasson M, Radaelli G, Di C, V. Laparoscopic colorectal surgery modifies risk factors for postoperative

morbidity. Dis Colon Rectum 47[10], 1686-1693. 2004

Ovviamente, questi dati vanno letti e interpretati con grande attenzione per ottenere i risultati auspicati

in termini di economia sanitaria. Per fare in modo che questa riduzione dei tempi di degenza abbia im-

patto economico favorevole bisognerebbe infatti mettere in discussione come gestire in modo ottimale

i posti letto che si “liberano”. L’alternativa sarebbe ridurre i posti letto o aumentare la casistica trattata,

altrimenti i costi fissi di gestione della struttura rimarrebbero inalterati.

Non sono disponibili analisi economiche che adottano il punto di vista del sistema sociale. Queste sa-

rebbero particolarmente interessanti visto che un migliore outcome della metodica laparoscopica è la

riduzione della durata della degenza e un più rapido ritorno alla vita lavorativa e sociale.

a. 4. Gli effetti sulla qualità della vita La prospettiva del paziente è estremamente rilevante nei processi di HTA. In termini strettamente clinici

gli studi scientifici non indicano particolari differenze tra l’adozione della tecnica laparoscopica rispetto

a quella laparotomica, ma essi segnalano miglioramenti in alcuni esiti per il paziente, anche in termini

di qualità di vita.

La ridotta ospedalizzazione (con relativo minor rischio d’infezioni), la minor invasività dell’intervento che

permette l’utilizzo di tecniche anestesiologiche differenziate, il rapido decorso post-operatorio che con-

sente un’immediata mobilizzazione del paziente sono fattori di grande peso per la qualità di vita del pa-

ziente stesso, che in tempi più rapidi può riprendere la sua vita nel contesto sociale e lavorativo.

In questa valutazione, poi, non bisogna sottovalutare anche aspetti significativi per la vita del paziente,

spesso poco considerati sotto il profilo clinico: è il caso ad esempio della riduzione del dolore post ope-

ratorio, per l’assenza di grandi ferite laparotomiche cutanee e muscolari e per l’assenza di trazione ope-

rata con i divaricatori, nonché del miglior risultato estetico a distanza. Altri importanti aspetti per il

paziente sono rappresentati dalla riduzione di ileo paralitico post-operatorio, la più rapida canalizzazione

post-intervento, la più rapida ripresa funzionale completa, la riduzione della frequenza di laparocele, la

diminuzione delle complicanze respiratorie e della trombosi venosa profonda; la pressoché totale assenza

di aderenze chirurgiche.

a. 5. ConclusioniUna sanità che mette il cittadino e la sua qualità di vita al centro del sistema non dovrebbe ignorare

ambiti di intervento in cui ci siano chiari vantaggi sia per il cittadino, sia in termini di risorse impiegate,

come nel caso della diffusione della tecnica laparoscopica per la cura del tumore al colon-retto. Peraltro,

la situazione di asimmetria del paziente rispetto ai professionisti e alle strutture di erogazione dei servizi

sanitari e lo scarso peso dei suoi desiderata fa si che non si tenga conto, nella programmazione degli

investimenti del sistema sanitario pubblico, del punto di vista del paziente e dell’impatto che certe cure

possono avere nel contesto di vita sociale.

Oltre che per il cittadino, la diffusione della tecnica laparoscopica nella cura del tumore del colon-retto

può avere ripercussioni positive sulla stessa organizzazione dell’ospedale, influenzando positivamente

altri percorsi assistenziali e quindi anche per altri pazienti, grazie alla presenza nell’ospedale di un team

chirurgico adeguatamente preparato e formato, con un volume complessivo di casistica trattata tale da

salvaguardare la sicurezza dei diversi pazienti.

29

CAPITOLO 4a. Interventi per la promozione e la diffusione di percorsi diagnostici terapeutici

di gestione globale ed integrata del pazientea. 1. IntroduzioneLa laparoscopia rappresenta una tecnica da diffondere e prediligere per gli interventi chirurgici oncologici

al colon-retto in fase precoce. I vantaggi, infatti, a fronte di una sostanziale sovrapponibilità dei dati di

mortalità perioperatoria e clearance oncologica rispetto alla chirurgia open, sono molteplici:

• significativa riduzione della durata della degenza (con relativo minor rischio d’infezioni)

• un migliore recupero della funzionalità (riduzione di ileo paralitico post-operatorio) e più rapida

canalizzazione

• riduzione della frequenza di laparocele

• diminuzione delle complicanze respiratorie e della trombosi venosa profonda

• assenza di aderenze chirurgiche

• minor invasività dell’intervento che permette l’utilizzo di tecniche anestesiologiche differenziate

• riduzione del dolore post-operatorio

• rapido decorso post-operatorio con un’immediata mobilizzazione del paziente che in tempi più

rapidi può riprendere la sua vita nel contesto sociale e lavorativo

• mancanza di grandi ferite laparotomiche cutanee e muscolari, con miglior risultato estetico

Sulla scorta di queste indicazioni risulta quindi fondamentale riflettere sulle modalità e i meccanismi che

possano facilitare questo processo, sia in termini di governance complessiva del sistema sanitario, sia con-

siderando la specifica realtà ospedaliera. Per questo si è ritenuto utile proporre alcuni elementi di riflessione

sull’attuale grado di diffusione della tecnica nel panorama nazionale e sulla carente attenzione fino ad oggi

prestata al fattore “volume” delle prestazioni erogate quale prima condizione di garanzia per la qualità degli

interventi chirurgici in sanità. Inoltre nelle prossime pagine si propongono alcuni suggerimenti su come in

particolare le Regioni possano adottare meccanismi di governance capaci di stimolare la riqualificazione

dell’offerta verso l’adozione di tecniche con un miglior rapporto costo - efficacia. L’obiettivo è quindi quello

di approfondire ulteriormente il tema dei modelli organizzativi da favorire a livello ospedaliero per diffondere

la tecnica laparoscopica per gli interventi chirurgici per il tumore al colon-retto come la standardizzazione

dei processi, l’impostazione multidisciplinare nel percorso di cura e la gestione dei processi formativi.

a. 2. Sviluppo della metodica in Italia e meccanismi di governance regionale per facilitarne ladiffusione: l’analisi

La tecnica laparoscopica può avere il risultato atteso in termini di esito per i pazienti nella misura in cui

venga praticata con la dovuta professionalità e competenza dagli operatori. Questa condizione può essere

conseguita quindi solo nei presidi che risultano in grado di garantire adeguati volumi di prestazioni chi-

rurgiche in laparoscopia.

Rispetto al tema della relazione esistente tra esito e volumi di prestazioni erogate, nell’ambito del Progetto

Mattoni il Ministero della Salute ha svolto nel 2005 una rassegna ed una valutazione critica delle revisioni si-

18 Wu WX, Sun YM, Hua YB, Shen LZ. Laparoscopic versus conventional open resection of rectal carcinoma: A clinical comparative

study. World J.Gastroenterol. 10[8], 1167-1170. 15-4-200419 Zhou ZG, Hu M, Li Y, Lei WZ, Yu YY, Cheng Z, et al. Laparoscopic versus open total mesorectal excision with anal sphincter preservation

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Endosc. 2011 Nov;25(11):3597-604. Epub 2011 Jun 8

31

2010 forniti da Agenas evidenziano ancora una enorme variabilità sul territorio nazionale. Considerando i

criteri di selezione della coorte illustrati nella Tabella 7, si evince che su 887 strutture ospedaliere italiane

che effettuano almeno un intervento, 159 registrano volumi superiori a 100 (18 per cento) mentre 587 sono

sotto la soglia dei 50 interventi (66 per cento) e addirittura 225 ne fanno meno di 10 (25 per cento).

Se poi si considera quanto nel territorio italiano è diffusa in questa tipologia di intervento chirurgico la

tecnica laparoscopica si registra un ulteriore livello di variabilità. Nel grafico seguente si rappresenta la

percentuale di interventi chirurgici al colon-retto eseguiti in laparoscopia su tutto il territorio nazionale

nell’anno 2010.

stematiche e dei rapporti di Technology Assessment presenti nella letteratura scientifica. Per numerosi trat-

tamenti lo studio ha evidenziato prove forti o comunque consistenti e statisticamente significative di associa-

zione positiva tra i volumi e gli esiti (quasi sempre l’esito maggiormente studiato è la mortalità intraospedaliera).

Esempi importanti di tali procedure sono l’angioplastica coronarica e il bypass aortocoronarico, l’appendicec-

tomia e la colecistectomia, l’isterectomia, l’artroplastica del ginocchio, il trattamento chirurgico dell’aneurisma

dell’aorta addominale e l’endoarterectomia carotidea. Per alcune procedure l’evidenza disponibile consente

di definire soglie operative minime per ciascun trattamento: nella rassegna sistematica sopra citata, confermata

da un analogo studio condotto nel 2009, si raccomandano almeno 200 casi anno per centro per l’angioplastica

coronarica, 200 per il bypass aortocoronarico ed almeno 100 casi l’anno per l’artroplastica del ginocchio. In

ambito di chirurgia oncologica lo stesso gruppo di ricercatori ha condotto nel 2009 una rassegna degli studi

disponibili, ed ha contribuito alla pubblicazione del Quaderno 3/2010 del Ministero della Salute che affronta il

tema, concludendo per una evidenza forte di associazione tra volumi e mortalità ospedaliera a 30 giorni nei

casi della chirurgia per carcinoma esofageo, del pancreas, della prostata e dello stomaco. Per la chirurgia del

colon-retto e per la chirurgia della mammella questa evidenza si conferma con l’aggiunta di raccomandazioni

per soglie operative minime rispettivamente di 100 e 150 casi l’anno.

Peraltro, l’associazione positiva tra volumi operativi e competenza/professionalità degli specialisti (e in

generale dei professionisti della sanità) è predicata e riconosciuta in primo luogo dai corpi professionali

stessi ed è parte costitutiva del percorso di apprendimento. Basti pensare in questo senso al numero di

procedure che uno specializzando deve aver eseguito per ottenere il titolo (vedi Tabella 6), oltre ad essere

patrimonio anche delle società scientifiche che in molti casi definiscono delle soglie operative.

Obiettivo degli standard di volume è naturalmente garantire un livello di sicurezza ottimale per i pazienti,

con conseguente maggior serenità degli operatori. Sia chiaro: come testimonia la letteratura su rischio clinico

e sicurezza del paziente, il volume da sé non è condizione sufficiente perché occorre garantire anche una

serie di condizioni di contesto (strutturali, organizzative, tecnologiche, culturali ecc.), né può essere ricondotto

solo al singolo operatore. Nella moderna sanità è infatti altrettanto rilevante l’esperienza e la competenza

del “team” composto da diverse figure professionali. Il volume degli interventi rappresenta comunque un

elemento imprescindibile, il cui valore è riconosciuto in primo luogo dai professionisti. In termini quindi di in-

dicazioni di governance sarebbe opportuno che le Regioni e il Ministero individuassero in primo luogo le

strutture che realizzano un numero significativo di interventi oncologici al colon-retto. I dati relativi all’anno

Tabella 6. Obiettivi formativi delle scuole di specializzazione in termini di numero minimo di

interventi

Numero minimo di interventi

Alta Chir. Media Chir. Piccola Chir. Totale

Chirurgia Generale 30 80 325 435

Chirurgia dell’apparato digerente 40 90 200 330

Tabella 7 Selezione della coorte

Criteri di eleggibilità

Tutti i ricoveri per acuti, in regime ordinario con diagnosi principale o secondaria di tumore

maligno del colon-retto (ICD-9-CM 153-154) ed intervento di asportazione parziale dell’intestino

crasso, colectomia totale o resezione del retto (ICD-9-CM 45.7, 45.8, 45.9, 46.03, 46.04, 46.1,

48.49, 48.5, 48.6).

Criteri di esclusione

• Ricoveri di pazienti non residenti in Italia

• Ricoveri di pazienti di età inferiore ai 18 e superiore ai 100 anni

• Ricoveri con degenza inferiore alle 48 ore e dimissione a domicilio o contro il parere del medico

• Ricoveri con diagnosi di altro tumore maligno dell’apparato digerente, incluso pancreas e

fegato [ICD-9-CM 150 (esofago), 151 (stomaco), 152 (tenute), 155 (fegato), 156 (vie biliari),

157 (pancreas), 158-1159 (peritoneo e retroperitoneo)]

800

700

600

500

400

300

200

100

0

Tabella 8. Volumi interventi per tumore maligno del colon-retto effettuati in laparoscopia o tecnica

tradizionale, ospedali italiani, anno 2010

no laparoscopia laparoscopia

33

b. Formazione, addestramento e curva di apprendimento: fattori fondamentali per la diffusione della chirurgia mini invasiva del colon-retto

Malgrado i vantaggi della metodica laparoscopica siano ormai scientificamente dimostrati, la procedura

stenta a diffondersi nel nostro paese, sia per problematiche connesse a retaggi culturali, sia per la

“scarsa richiesta” da parte dei pazienti. A differenza di altre patologie benigne ove ormai il paziente è

informato ed “esige” il trattamento mini invasivo (colecistectomia, patologie ginecologiche, patologia

funzionale dell’esofago, etc. etc.), meno diffusa è la consapevolezza che numerose patologie neoplasti-

che, compresi i tumori del colon-retto, possono essere curate in modo analogo alla chirurgia tradizionale

con tecniche mini invasive grazie alle tecnologie oggi disponibili.

In ogni caso, a fronte di una disponibilità estremamente ampia della tecnologia, il limite maggiore alla

diffusione della metodica resta ancora oggi l’acquisizione della tecnica chirurgica. Se per altre procedure

laparoscopiche di base, come ad esempio la colecistectomia laparoscopica, la diffusione è stata possibile

grazie anche alla relativa semplicità dell’intervento, non può dirsi lo stesso per un intervento di chirurgia

laparoscopica avanzato quale quello sul colon-retto. Anche se la chirurgia italiana ha un ruolo d’avan-

guardia nella ricerca e nello sviluppo delle nuove tecniche mini invasive, ampiamente riconosciuto a

livello internazionale e certificato dalla ricca e qualificata pubblicistica scientifica, la chirurgia laparo-

scopica del colon fatica a decollare come testimoniato dai numeri globali di casi trattati, di gran lunga

inferiori a quelli degli altri paesi europei.

I motivi di questo fenomeno sono sicuramente diversi. Uno, forse il principale, è da ricercarsi probabil-

mente nel fatto che la chirurgia colo-rettale è, nel nostro paese, appannaggio diffuso delle istituzioni di

chirurgia generale a differenza dei paesi di cultura anglosassone ove si tende a concentrare questa ca-

sistica in istituzioni dedicate e ad alto volume. La dispersione della casistica limita fortemente la possi-

bilità, per i giovani chirurghi in formazione, di acquisire esperienza sufficiente a garantire, salvo rare

eccezioni, la necessaria autonomia operativa al termine del percorso di specializzazione. A ciò si aggiunga

a. 3. Case History: il Modello ToscanaPer tutti questi motivi quindi, le indicazioni di governance per Regioni e Ministero della Salute sono volte,

da un lato ad orientare il sistema sanitario verso una più consistente concentrazione dei volumi in strut-

ture adeguate e di riferimento e dall’altro all’applicazione di meccanismi e strategie per diffondere ul-

teriormente la tecnica laparoscopica anche in questo ambito.

A questo scopo è determinante includere queste indicazioni nella programmazione regionale, nei criteri

di accreditamento delle strutture e negli strumenti di management sanitario adottati. Le esperienze in

merito della Regione Toscana sono significative e dimostrano quanto sia efficace integrare le strategie

di miglioramento dei processi sanitari con i meccanismi di gestione quali la valutazione dei risultati e la

loro integrazione con l’incentivazione del management. In particolare la scelta di incentivare alcuni obiet-

tivi mediante la misurazione sistematica di indicatori specifici permette di conseguire un miglioramento

in genere più che doppio rispetto agli obiettivi non oggetto di incentivazione [M. Vainieri e S. Nuti “CEO’s

rewarding system in the public health sector: strategies and effects of the Tuscan experience” 3rd Eu-

ropean Reward Management Conference (Rmc 2011) “Reward Management In Turbulent Times”. Brus-

sels 1-2 dicembre 2011].

In generale l’esperienza toscana degli ultimi 6 anni ha evidenziato una capacità di miglioramento signi-

ficativamente superiore alle altre regioni in tutti gli indicatori monitorati, valutati e integrati con l’incen-

tivazione dei direttori generali delle aziende sanitarie (L. Pinnarelli, S. Nuti, C Sorge, M Davoli, D Fusco

N Agabiti, M Vainieri e CA Perucci What drives hospital performance? The impact of comparative outcome

evaluation of patients admitted for hip fracture in two Italian regions, Bmj Quality & Safety Vol 21, p127-

134, 2012) .

Questa evidenza si riscontra anche quando si osserva la diffusione della tecnica laparoscopica negli in-

terventi oncologici al colon-retto che è uno degli obiettivi e indicatori parte del sistema di valutazione e

che ha visto negli anni una rilevante crescita.

800

700

600

500

400

300

200

100

0

Volumi interventi per tumore maligno del colon-reto effettuati in laparoscopia o tecnicatradizionale, ospedali italiani, anno 2010

no laparoscopia laparoscopia

1200

1000

800

600

400

200

0

Tabella 9. Resezioni al colon-retto in laparoscopia Regione Toscana

2008 2009 2010 2011

- - - - -

35

• diffusione e standardizzazione delle metodiche;

• innalzamento dello standard qualitativo medio delle prestazioni erogate;

• omogenizzazione delle eccellenze sul territorio nazionale con riduzione dei “viaggi della speranza”.

Bibliografia1 Coleman M.G., Hanna G.B., Kennedy R. The National Training Programme for Laparoscopic Colorectal Surgery in England: a new

training paradigm. Colorectal Disease 13; 614-6162 Akiyoshi T., Kuroyanagi H., Ueno M.,et al. Learning curve for standardized laparoscopic surgery for colorectal cancer under supervision:

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Outcomes after Rectal Cancer Resection? J Am Coll Surg. 2008 June ; 206(3): 1167–1177

c. Strategie e modelli organizzativi a confronto per lo sviluppo della chirurgia mini invasivacolo-rettale

Un’attenta analisi della letteratura scientifica (vedi modalità al termine del capitolo) non ha consentito

di evidenziare studi specifici che mettessero in evidenza modelli organizzativi definiti di chirurgia lapa-

roscopica. Valutando però alcuni lavori e diverse esperienze, è possibile trarre specifici spunti d’interesse.

1. La standardizzazione dei processi assistenziali è probabilmente la chiave di volta per ridurre l’oggettiva

variazione di indirizzi clinici che influenzano le decisioni dei professionisti.

• Percorsi “rafforzati” di ricupero (Enhanced Recovery Pathways, ERP) possono indurre un’ul-

teriore riduzione delle giornate di degenza dopo trattamento in laparoscopia, e consentono

di dimezzare la morbosità a 30 giorni, mentre non influenzano il tasso di riammissione non

programmata in ospedale. Gli ERP consentono di ottenere un miglioramento riproducibile

della qualità dell’assistenza grazie a una standardizzazione dei processi. I 5 elementi chiave

degli ERP sono: l’informazione del paziente, la preservazione della funzionalità gastrointe-

stinale, la minimizzazione della disfunzione organica, il controllo attivo del dolore e la pro-

mozione dell’autonomia del paziente. Il dato emerge da una revisione di un elevato numero

di studi clinici (Adamina et al)1.

• L’importanza di una corretta standardizzazione dei processi assistenziali è chiaramente di-

mostrata da uno studio trasversale sulle tendenze internazionali nel trattamento chirurgico

del cancro del retto. La ricerca ha coinvolto 123 chirurghi di 28 paesi (Nord America, Europa,

Australasia). I chirurghi sono stati considerati esperti: il 93 per cento aveva un’esperienza di

chirurgia oncologica superiore a 5 anni, il 70 per cento lavorava in centri con una casistica

annuale superiore ai 50 interventi, il 63 per cento aveva una casistica individuale annua su-

periore ai 20 interventi e il 20 per cento superiore ai 50 interventi. Dalla ricerca emerge chia-

la mancanza di percorsi chiari e generalizzati di certificazione dei professionisti e dei loro percorsi for-

mativi durante tutta la durata dell’attività lavorativa, altra significativa differenza, rispetto alle più avanzate

realtà europee con le quali i chirurghi italiani si confrontano. Se il percorso istituzionale ECM garantisce

in qualche modo modalità di aggiornamento continuo, esso non può tuttavia vicariare completamente il

necessario training pratico connesso alla rapidissima evoluzione delle tecniche chirurgiche e delle tec-

nologie ad esse connesse. Va tuttavia ricordato il ruolo fondamentale che hanno garantito in questo

campo le aziende produttrici di tecnologie biomedicali e le più importanti società scientifiche di settore

con l’istituzione di percorsi formativi dedicati ma non esaustivi della domanda di formazione diffusa su

tutto il territorio nazionale. Non bisogna dimenticare poi che non favorisce il raggiungimento di un obiet-

tivo così significativo un sistema sanitario frammentato in realtà regionali a forte autonomia ove gli obiet-

tivi non sempre rispondono ad una logica nazionale volta a gestire in modo univoco le criticità.

In Gran Bretagna ad esempio, già dal 2007, quando i vantaggi della diffusione della laparoscopia hanno

ottenuto evidenza scientifica adeguata, il NICE ha istituito un programma nazionale di formazione per la

chirurgia laparoscopica del colon-retto1. Questo programma prevede l’istituzione di centri accreditati di

comprovata esperienza destinati alla “formazione” dei chirurghi, previa individuazione e riconoscimento

di centri con adeguato volume e di chirurghi “esperti”, capaci di garantire il tutoring dei discenti. Il per-

corso formativo prevede quindi una parte teorica, una parte pratica su simulatori prima e su modelli

animali poi ed infine l’esecuzione di un numero di procedure tali da poter garantire il completamento

della “curva di apprendimento”, ultimata la quale il chirurgo discente può definirsi “formato “ per quella

procedura. Le procedure vengono eseguite nei centri riconosciuti, sotto controllo di chirurghi “esperti”.

È stato inoltre documentato, che i chirurghi che eseguono tali procedure durante la curva di apprendi-

mento, se adeguatamente tutorati, presentano le stesse percentuali di complicanze ottenute dai chirurghi

esperti, osservando tempi operatori più lunghi ed una percentuale di conversione alla tecnica open tra-

dizionale lievemente aumentata2,3. Questo dato, già acclarato dalla letteratura scientifica negli anni, sug-

gerisce quindi che il chirurgo in formazione non sottoponga il paziente ad un aumento dei rischi. Del

tutto differente la situazione quando si paragonano l’incidenza di complicanze a 30 giorni tra chirurghi

che eseguono queste procedure in centri ad alto volume - e con una casistica personale adeguata - e

chirurghi con un basso volume di casi che eseguono l’intervento in centri non specializzati e senza tu-

toring. In questo caso esistono differenze statisticamente significative, che rendono l’idea di come una

dispersione dei casi in piccoli centri ed in mani di chirurghi non formati costituisca in ultima analisi un

rischio maggiore per il paziente4,5,6.

L’esperienza della Gran Bretagna è estremamente chiara: quando si inizia un percorso virtuoso, la crescita

dei trattamenti mini invasivi appare serrata. Nel 2006 nel Regno Unito solo il 5 per cento di tutte le pro-

cedure colo-rettali veniva eseguito in laparoscopia, nel 2007 si è passati al 13,8 per cento per giungere,

nel 2010, al 33 per cento. Ad oggi la Gran Bretagna costituisce uno dei paesi con la più alta percentuale

di procedure laparoscopiche per chirurgia colo-rettale.

Questi dati suggeriscono come anche nel nostro paese sia necessaria l’istituzionalizzazione di percorsi

di formazione e di verifica a livello nazionale, con una partecipazione forte delle maggiori società scien-

tifiche atti a garantire a tutti i cittadini l’accesso a metodiche di trattamento avanzato con criteri di qualità

e sicurezza per raggiungere tre fondamentali obiettivi:

37

meno di 50 casi l’anno dovrebbero essere comunque in rete con strutture di riferimento.

In particolare, il mantenimento della competenza chirurgica richiede l’esecuzione di almeno

50 interventi individuali all’anno. Oltre ai chirurghi, il core team deve comprendere radio-

logo, oncologo, patologo, radioterapista, tecnico di radiologia, infermieri, psicologo e data

manager (anche per la documentazione di audit clinici sistematici che vengono fortemente

raccomandati). Al core team è bene siano collegate altre professionalità: infermiere esperto

nella gestione delle colonstomie, terapista del dolore, consulente genetico. Il Ministero non

affronta gli standard per la chirurgia laparoscopica: sembra, tuttavia, ragionevole pensare

che centri come quelli auspicati siano in grado di assicurare un più adeguato sviluppo e

diffusione della metodica laparoscopica, presidiando al meglio non solo la parte tecnica e

tecnologica della procedura, ma l’intero percorso assistenziale del paziente. Le Linee Guida

dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) 201010 confermano le indicazioni

del Ministero della Salute sull’impostazione multidisciplinare della patologia neoplastica

colo-rettale.

• La strutturazione del core team deve avere anche standard di servizio rivolti all’appropriata

informazione e all’empowerment del paziente, oltre che al coinvolgimento del medico di

medicina generale (MMG) del paziente stesso. Il Burton Hospital Foundation Trust11 prevede,

ad esempio, che il paziente debba essere esaminato da un “Consultant” entro 14 giorni

dalla richiesta del MMG effettuata alla Colorectoral Clinic via fax, e avviato all’inquadramento

multidisciplinare. Il MMG deve essere direttamente informato, via fax, dell’esito della dia-

gnosi entro 24 ore; il paziente con diagnosi di tumore deve ricevere counselling e supporto

infermieristico appropriati.

I risultati delle valutazioni multidisciplinari devono essere verbalizzati e devono essere portati a cono-

scenza del MMG o dello specialista che ha avviato il paziente al centro. Ogni paziente viene “affidato”

a un membro del core team che funge da case manager. La Cancer Care Ontario6 dal punto di vista

istituzionale e organizzativo, raccomanda che tutte le strutture ospedaliere che vogliano svolgere la

chirurgia laparoscopica avanzata debbano dimostrare l’impegno (committment), proiettato nel tempo,

di poter investire in tecnologia, in tempo dedicato di sala operatoria, in risorse umane organizzate in

team multidisciplinare, al fine di massimizzare l’esperienza e l’efficienza di tutti i membri del team.

c. 1. Case History: l’Azienda Ospedaliero-Universitaria S. Maria della Misericordia di UdineLa chirurgia laparoscopica delle neoplasie del colon-retto è stata precocemente introdotta, già dai primi

anni 2000, nell’ambito di questa struttura. La casistica cumulativa fino al 2004 mostra che circa il 40

per cento degli interventi venivano eseguiti in laparoscopia (153 su 376 totali). Tale proporzione è stata

stabile fino al 2006. Nel 2007 essa è passata al 47,9 per cento (80 su 167 totali). Dal 2008 è iniziata

una crescita sia del numero complessivo d’interventi annui (180 nel 2008; 229 nel 2011) che della pro-

porzione di quelli in laparoscopia: dal 53 per cento nel 2008 (96 su 180 totali) al 72 per cento nel 2011

(165 su 229 totali) (Tab.10). La diffusione della metodica ha avuto effetti positivi nel miglioramento delle

competenze tecniche dei chirurghi: il tempo medio di esecuzione degli interventi in laparoscopia, che

nel 2004 era di 182 minuti, è diminuito a 132 nel 2008 e a 102 nel 2011 (Tab. 11).

ramente come le decisioni sono spesso assunte più in base ad approcci tradizionali che sulla

base di prove scientifiche fissate in linee guida le quali, peraltro, non hanno ancora trovato

adeguato consenso internazionale (Augestad et al.)2. La sostanziale riluttanza da parte degli

operatori ad adottare procedure perioperatorie di dimostrata efficacia, che potrebbero de-

terminare un ricupero più sicuro, veloce ed efficace e confortevole grazie all’impiego di pro-

cedure standardizzate è confermata anche da uno studio condotto sulle abitudini di 131

chirurghi spagnoli (Roig et al)3.

2. La casistica operatoria dei centri ospedalieri che svolgono chirurgia colo-rettale e quella dei

singoli chirurghi è un punto fondamentale nella strutturazione e nell’adozione di specifici modelli

organizzatvi.

• Pur senza quantificare la casistica minima necessaria o opportuna, il NICE4, nell’aggior-

namento del suo primo rapporto, afferma che gli interventi laparoscopici nel cancro del

colon-retto dovrebbero essere eseguiti solo da chirurghi che abbiano completato un ap-

propriato addestramento nella tecnica e che svolgano la procedura con la continuità suf-

ficiente a mantenere la loro competenza. Il NICE affida ai più rilevanti organismi scientifici

nazionali il compito di determinare i criteri precisi di performance. La diffusione della

chirurgia laparoscopica, sempre secondo il NICE, è limitata dalla disponibilità di chirurghi

addestrati.

• L’Accreditation Council for Graduate Medical Education5 ha stabilito di richiedere per l’accredi-

tamento individuale un numero minimo di procedure laparoscopiche: 60 di base e 25 avanzate.

La Cancer Care Ontario6, attraverso il Laparoscopic Colon Cancer Surgery Expert Panel, racco-

manda che per l’attivazione della chirurgia laparoscopica i centri abbiano almeno un chirurgo

con esperienza minima di 20 casi trattati. Weeks et al.7 stimano che la curva di apprendimento

sia di 50 casi per il centro e di 20 casi per il chirurgo. Per quanto riguarda l’addestramento dei

giovani chirurghi alla sutura laparoscopica è possibile precocemente usando simulatori video e

modelli animali e suggeriscono di non limitare l’addestramento a coloro che si devono occupare

di procedure avanzate (Aggarwal et al.)8.

• In Italia, la normativa sulle scuole di specializzazione in chirurgia prevede che, per ottenere il

diploma di specialista, si debba avere una casistica di 435 interventi di chirurgia generale (30

di alta, 80 di media e 325 di piccola chirurgia) e 330 interventi di chirurgia dell’apparato dige-

rente (40 di alta, 90 di media e 200 di piccola chirurgia), senza tuttavia indicare criteri specifici

per la chirurgia laparoscopica.

3. L’organizzazione e l’impostazione multidisciplinare, in una strategia che comprenda anche il me-

dico di medicina generale (MMG) e lo stesso paziente, sono fattori chiave dell’attività di un centro

dedicato.

• Il Ministero della Salute9 evidenzia che, in generale, le neoplasie del colon-retto dovrebbero

essere trattate in centri dove sia possibile un’impostazione multidisciplinare del percorso

diagnostico e terapeutico, e dove sia possibile diagnosticare e trattare almeno 100 nuovi

casi per anno, prevedendo un adeguato follow-up degli stessi, questo al fine di mantenere

elevati standard assistenziali e giustificare l’impegno economico. Strutture che trattano

39

Modalità organizzative

Le indicazioni chirurgiche e il timing vengono discussi in un meeting settimanale cui partecipano,

oltre ai chirurghi, oncologi e radioterapisti, gastro-enterologi, radiologi, anatomo-patologi. L’équipe

operatoria prevede sempre la presenza di almeno un chirurgo “skilled” in chirurgia laparoscopica del

colon-retto (ve ne sono 4 nel gruppo, ciascuno dei quali ha eseguito almeno 70 interventi di questo

tipo come primo operatore). Diversamente dall’inizio dell’esperienza, le coppie di operatori non sono

“fisse”. In ogni caso, prima di un’eventuale “conversione” laparotomica viene consultato uno dei due

chirurghi con maggiore esperienza. Anche il personale di sala operatoria, inizialmente dedicato, col-

labora alla chirurgia videolaparoscopica con la normale turnazione; ciò grazie ai protocolli condivisi

e periodicamente aggiornati e alla graduale formazione del “neo-assunto”. Lo strumentario prevede

un sistema dotato di telecamera ad alta definizione, munito anche del dispositivo per la registrazione

e archiviazione in HD, e strumentario chirurgico misto mono- e poliuso. L’équipe anestesiologica col-

labora attivamente, consapevole dei vantaggi in termini di outcome di questo tipo di chirurgia. Una

casella di posta elettronica dedicata è a disposizione dei MMG con uno standard di risposta entro 24

ore: pur nella grande variazione d’uso, i MMG più interessati alla continuità assistenziale per i propri

pazienti la usano attivamente.

Dal 2004 il gruppo udinese vede la frequente presenza di chirurghi di altri ospedali che assistono,

e talora partecipano, alle attività operatorie, spesso nell’ambito di corsi, variamente strutturati anche

in collaborazione con la Clinica chirurgica di Trieste. Talvolta il percorso formativo si completa con

la trasferta di un chirurgo del gruppo udinese nella sede richiedente. Inoltre, da circa due anni è

attiva una piattaforma informatica, in continua evoluzione, attraverso cui sono gestiti gli aspetti cul-

turali e tecnici (anche intraoperatori), anzitutto a fini formativi. Con questa si accede ad un archivio

dove sono catalogati i percorsi diagnostico-terapeutici delle principali singole patologie (tra queste

appunto quelle riguardanti la chirurgia del colon-retto) e attraverso essa sono possibili anche colle-

gamenti web “punto-punto” talora stabili (ad esempio con l’AIMS di Milano), talora occasionali, per

singoli eventi di chirurgia live.

Metodologia della ricerca

È stata svolta una specifica ricerca bibliografica che ha preso in esame, appunto, i modelli organiz-

zativi della chirurgia laparoscopica delle neoplasie del colon-retto utilizzando le parole chiave per-

tinenti: laparoscopic surgery, minimally invasive surgery, surgery minimally invasive procedures,

colorectal neoplasms/surgery, colon rectum cancer, tumor, neoplasm, standards, models, organiza-

tion and administration, unit, department, statistics, audit, physician training, physician competence,

physician expertise, costs, safety, core team, associate in modo diverso utilizzando gli operatori

logici AND e OR.

Le banche dati prese in esame sono state: The Cochrane Library e quelle del Centre of Reviews of

Dissemination (DARE, NHS EED and HTA), Trip database e PubMed.

I motori di ricerca interrogati, anche in lingua italiana, sono: Google e Health Technology Assessment Engine

(sviluppato dall’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Udine e disponibile anche sul sito www.sihta.it). La ri-

cerca è stata limitata agli ultimi sette anni.

Tabella 10. Azienda Ospedaliero-Universitaria S. Maria della Misericordia: casistica della chirurgia

del cancro del colon-retto

casi trattati/anno

Chirurgia Chirurgia TOT %laparoscopica open

<2004 153 223 376 40,7

2004* 215 250 465 69,6

2005 70 101 171 40,1

2006 75 129 204 36,7

2007 80 87 167 47,9

2008 96 84 180 53,3

2009 129 92 221 58,3

2010 166 70 236 70,3

2011 165 64 229 72,0

TOT 996 877 1873

(*) dato parziale: solo dal 15 settembre a dicembre

Tabella 11. Azienda Ospedaliero-Universitaria S. Maria della Misericordia: durata media degli

interventi di chirurgia laparoscopica

DURATA MEDIA

minuti

2004 182

2008 132

2009 122

2010 128

2011 102

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AllegatoLa terapia chirurgica del tumoredel colon-retto: cenni di anatomiachirurgicaIl colon, pur se anatomicamente distinto in 7 segmenti (cieco, colon ascendente, flessura epatica,

colon traverso, flessura splenica, colon discendente e colon sigmoideo), da un punto di vista di

anatomia chirurgica per motivi di vascolarizzazione e drenaggio linfatico viene suddiviso in colon

destro e colon sinistro. Il retto, il cui margine superiore viene definito anatomicamente a livello

della III vertebra sacrale e chirurgicamente a livello del promontorio sacrale, rappresenta gli ul-

timi 15-18 cm dalla linea ano-rettale in diretta continuità con il giunto retto-sigma e viene sud-

diviso in tre parti di uguali dimensioni (superiore o alto, medio e inferiore o basso).

Oltre a ricordare questi criteri di anatomia chirurgica, occorre sottolineare l’elevato linfotropismo di que-

ste forme neoplastiche, che favorisce la precoce diffusione linfatica dei carcinomi colo- rettali. Per questo

motivo una corretta linfoadenectomia (cioè l’asportazione dei linfonodi direttamente correlati all’area di

sviluppo della lesione), oltre ad essere un passaggio chiave nell’approccio chirurgico terapeutico risulta

fondamentale per la stadiazione e la prognosi.

L’ exeresi oncologicamente corretta sia in laparotomia, cioè con il classico intervento chirurgico, sia in

laparoscopia prevede diversi passaggi1:

1. Asportazione in blocco del tumore con margini longitudinali e circonferenziali integri e liberi da malattia

indipendentemente dalla presenza di metastasi epatiche

2. Exeresi in blocco di eventuali organi o porzioni di organi viciniori infiltrati dalla neoplasia

3. Margini di sezione istologicamente liberi da infiltrazione:

• nelle resezioni del colon i margini ideali di resezione dal tumore sono convenzionalmente

> 5 cm distale e >10 cm prossimale

• nelle resezioni del retto i margini ideali di resezione dal tumore variano in rapporto alla sede2.

4. Legatura vascolare all’origine o a livello di rami di primo ordine3,4

5. Linfadenectomia estesa con esame istologico documentante almeno 12 linfonodi asportati2,5,6

6. Se la neoplasia è localizzata al retto superiore, asportazione di almeno 5 cm di mesoretto caudale al

limite inferiore della neoplasia stessa7,8

7. Escissione totale del mesoretto (TME) per neoplasie del retto medio-inferiore7,9

Bibliografia1 Knut M. Augestad, Rolv-Ole Lindsetmo, Harry Reynolds, Jonah Stulberg, Anthony Senagore,., Ph.D.d, Brad Champagne, Alexander

G. Heriot, Fabien Leblanc, Conor P. Delaney: International trends in surgical treatment of rectal cancer. The American Journal of Surgery

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residents in laparoscopic suturing skills is feasible and efficacious. Surgery; 2006 139: 729-349 Ministero della Salute. Quaderni del Ministero della Salute 2010; 3: 77-99. http://www.quadernidellasalute.it/download/download/3-

maggio-giugno-2010-quaderno.pdf ultimo accesso 19 luglio 201210 Linee Guida AIOM, tumori del Colon – Retto, aggiornate a dicembre 2010

http://www.aiom.it/UrlRewriting/RewritingEngine.asp?RWdescrizione=Attivit%c3%a0+Scientifica/Linee+guida/I+tumori+del+colon-

retto&RWid=348&RWpage=0&RWType=1&RWURL=1 ultimo accesso 19 luglio 201211 Burton Hospital Foundation Trust Colorectal clinic (bowel) http://www.burtonhospitals.nhs.uk/PAS/patLeaf/dept_Colorectal.asp-

ultimo accesso 19 luglio 2012

43

Chirurgia del colon-retto

Gli interventi per tumore localizzato al colon possono essere così suddivisi, considerando anche l’atten-

zione alla vascolarizzazione delle aree

• Resezioni settoriali

• Emicolectomia destra: legatura di arteria ileo-colica, arteria colica destra e ramo destro del-

l’arteria colica media

• Resezione segmentaria del trasverso: legatura del ramo ascendente dell’arteria colica destra

e dell’arteria colica media. In alternativa emicolectomia destra allargata

• Resezione segmentaria del sigma: preservazione dell’arteria emorroidaria superiore

• Emicolectomia sinistra: legatura dell’arteria mesenterica inferiore all’origine o legatura sotto

l’emergenza dell’arteria colica sinistra

• Resezioni estese

• Colectomia sub-totale

• Proctocolectomia sinistra

• Proctocolectomia totale

Gli interventi per tumore localizzato al retto possono essere così suddivisi

• Procedimenti trans-anali

• TEM

• Escissione transanale

• Procedimenti che prevedono il salvataggio dello sfintere anale (Sphincter-saving)

• Proctocolectomia con legatura dell’arteria mesenterica inferiore all’origine o preservazione

dell’arteria colica sinistra

• Resezione anteriore con anastomosi colo-rettale

• Resezione anteriore bassa con anastomosi colo-anale

• Resezione colo-transanale per neoplasie ultrabasse: anastomosi sulla linea pettinata eseguita

manualmente

• Procedimenti demolitivi degli sfinteri

Amputazione addomino-perineale (sec. Miles) senza o con ricostruzione della funzione sfinteriale con

gracile-plastica: in presenza di infiltrazione degli sfinteri, neoplasie ultrabasse localmente avanzate

I parametri da considerare

• Escissione totale del mesoretto (total mesorectal excision, TME)

Il mesoretto è costituito dal tessuto cellulo-linfatico che circonda il retto posteriormente e lateral-

mente, delimitato dalla fascia pelvica presacrale, o fascia propria del retto, e separata da un piano

avascolare e virtuale dalla fascia presacrale. Questo è lo spazio che il chirurgo, sotto visione diretta,

deve seguire nella dissezione del retto, evitando l’effrazione di entrambe le fasce descritte e dei

rami simpatici e parasimpatici, la cui lesione comporta gravi sequele di tipo urinario (vescica neu-

rogena) e sessuale (eiaculazione retrograda, impotenza). Per i carcinomi localizzati oltre gli 11 cm

dal margine anale, è sufficiente asportare il mesoretto per almeno 5 cm a valle della neoplasia,

mentre per i carcinomi del retto extraperitoneale è bene asportare tutto il mesoretto fino al piano

degli elevatori.

• Margine di resezione distale

Per i carcinomi del terzo inferiore del retto trattati con terapia neoadiuvante è accettabile anche un

margine di 1 cm, a meno che non vi siano caratteristiche morfologiche e istologiche sfavorevoli (neo-

plasie voluminose, carcinomi poco differenziati). Può essere utile eseguire un esame istologico intrao-

peratorio al congelatore per escludere l’infiltrazione della trancia di sezione distale.

• Margine di resezione circonferenziale (CRM)

Il CRM indica il margine di tessuto sano compreso fra qualsiasi struttura neoplastica (tumore A primitivo

o linfonodo) presente nel mesoretto e il margine di resezione mesorettale stesso. La presenza di neo-

plasia entro 1 mm dal CRM è correlata non solo a un’alta probabilità di recidiva locale, ma anche a

una minor sopravvivenza globale e libera da malattia e la resezione è da ritenersi non radicale.

La ricostruzione delle contuinità intestinale può essere eseguita sia mediante sutura manuale, sia me-

diante l’utilizzo di suturatrici meccaniche che inizialmente sono state progettate per la chirurgia open,

ma che con l’avvento della chirurgia mini invasiva hanno avuto un evoluzione tale da permettere di ri-

solvere molti dei problemi legati alle difficoltà di eseguire una anastomosi intracorporea in corso di la-

paroscopia.

Bibliografia1 Nelson H, Petrelli N, Carlin A, Couture J, Fleshman J, Guillem J, Miedema B, Ota D, Sargent D, Guidelines 2000 for colon and rectal

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Documento realizzato a cura di Burson-Marsteller nell’ambito del progetto“Tumore Colon-Retto”

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Edizione Settembre 2012