Stefano Mirti con Stefano Bocchi e la Fa- readelSud ... · un magnifico giardino (nelle foto) .O...

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Aumenta la popolazione, diminuisce la terra coltivabileArchitetti e biologi: fattorie verticali e città per maiali

Le immaginiIn alto: un rendering

del progetto «City Pig»dello studio olandese

Mvrdv; qui sopra, a sinistra,«Seawater Vertical Farm»(2009) di Dubai, progetto

degli architetti CristianaFavretto e Antonio Girardi

(studiomobile); a destra,«Dragonfly» (2009), la

fattoria urbana a forma difarfalla ideata da Vincent

Callebaut per New York.Nella pagina a fianco:

il renderingdel grattacielo-serra

di Linköping, in SveziaL’iniziativa

Venerdì 6 settembre aBologna si tiene il convegno

«Il biologico verso l’Expo2015» (aula di Santa Lucia

dell’Università, via de’ Chiari25/a, dalle 9.30);

tra gli ospiti Hans Hassle,amministratore delegato

di Plantagon sul progettodi vertical farm. L’evento,

promosso dal consorzioExbo, apre la 25ª edizione

di «Sana 2013 - Saloneinternazionale del biologico

e del naturale»(fino al 10 settembre;

www.sana.it)

Caratteri Prospettive

Sedici piani coltivati a rape. Eccola soluzione per salvare, forse, ilpianeta. Non è uno scherzo: inSvezia i lavori per il grattacie-lo-serra, già cominciati, finiran-

no entro il 2014. «Sarà il primo urban sky-scraper a combinare agricoltura verticalee produzione industriale», spiega AlessioBoco, architetto perugino coordinatoretecnico del progetto studiato da Swecoper conto della società Plantagon.

Tutto nasce da quello che non è ancoraun bisogno, ma lo sarà presto stando all’al-larme lanciato dalla Fao. Oggi abbiamo su-perato la soglia dei sette miliardi di abitan-ti e l’impronta agricola — la quantità diterreno destinato a coltivazioni e alleva-mento — è pari all’intera superficie del Su-damerica; a fronte di un aumento del 12%negli ultimi 40 anni della superficie mon-diale coltivata, la produzione agricola è au-mentata del 150%; nel 2050, forse prima,mantenendo invariati stile di vita, ritmodi crescita e consumi pro capite gli abitan-ti saranno oltre 9,5 miliardi e di terra colti-vabile non ce ne sarà abbastanza per sfa-mare tutti. Allora, non resterà che arram-picarsi sui vetri, che poi è quello che conlungimiranza alcuni hanno già comincia-to a fare.

Il grattacielo-serra di Linköping, cittàdi 100 mila abitanti asud di Stoccolma, siinerpicherà fino a 60metri di altezza e dietroi vetri, nelle stanze, cre-sceranno le piante. «Lacoltivazione e la lavora-zione riguardano solola facciata sud dell’edifi-cio, a nord ci saranno uf-fici» spiega Boco. L’im-pianto, ad alta automa-zione, impiegherà unadecina di persone e co-prirà tutte le fasi del ci-clo produttivo: «Entrano semi, esconopiantine; si inizia con la semina, poi su unnastro di trasporto le pianticelle passanonelle camere di germinazione — sintetiz-za Boco — e, infine, arrivano all’ultimopiano, dove attraverso un’elica scendonoverso il basso, completando la maturazio-ne; al piano terra vengono lavorate e ven-dute».

Perché solo rape? «È un progetto-proto-tipo, volevamo limitare le variabili. A pari-tà di condizioni climatiche avremmo potu-to produrre insalata, ma il pak choi ha unmaggiore potere nutritivo». Il pak choi èuna verdura asiatica della famiglia delle ra-pe; oltre che consumata a tavola può esse-re usata per creme e medicinali. Senzacontare che il target asiatico è più sensibi-le a temi di sicurezza e qualità del cibo.Plantagon sta progettando strutture similia quella svedese in America e nel Sudestasiatico. In prospettiva, l’agricoltura verti-cale — numeri alla mano — può essere lasoluzione all’allarme della Fao. Ogni me-tro quadro dà un raccolto di circa 300 chi-li, ma quello che più conta è il volume oc-cupato: «Rispetto a una serra piatta —spiega Boco — il volume viene sfruttatofino a dieci volte di più: per 4.700 metriquadrati di coltivazione basta una serraverticale di 200-250 metri quadrati, in unaorizzontale occorrerebbe una superficiedi 6 mila metri quadrati».

Il progetto è virtuoso per più di un moti-vo: è una produzione a «chilometro ze-ro», dal grattacielo-serra ai mercati locali,che abbatte i costi di trasporto (e relativoinquinamento); non prevede uso di terrao torba, al suo posto verrà utilizzato «unsubstrato inerte, pietra pomice e vulcani-ca, che potrà essere riutilizzato in diversicicli per sette anni». Quanto alla coltura,

le pianticelle saranno alimentate con latecnica idroponica in cui le sostanze nutri-tive necessarie sono presenti nell’acqua,senza uso di fertilizzanti, concimi, pestici-di e altri inquinati. Dopo le rape potrebbe-ro arrivare i grattacieli per animali, comeCity Pig, la città dei maiali: l’Olanda è ilmaggior esportatore europeo di carne dimaiale, tra un po’ nei Paesi Bassi non cisarà abbastanza spazio per altre attività.Da qui la provocazione — l’allevamento inverticale dei suini — poi sviluppata in unprogetto ufficiale (dello Studio Mvrdv)che prevede una serie di torri dove i suinipossono muoversi liberi.

Nell’attesa, per capire l’agricoltura didomani è utile un cambio di prospettiva:da orizzontale a verticale. Tre anni fa,quando uscì The Vertical Farm di DicksonDespommier, microbiologo e già docentealla Columbia University, la coltura vertica-le sembrava una bella utopia. Ora la verti-cal farm è una realtà diffusa non solo co-me progetti (l’avveniristica DragonflyFarm del belga Vincent Callebaut per NewYork; la futuristica Seawater VerticalFarm di studiomobile per Dubai) ma purecome esperienze-pilota, in America e inOriente. A Chicago, come a Suwon, in Co-rea del Sud. E a Singapore, dove da novem-bre è in funzione Sky Greens, la prima fat-toria verticale aperta al pubblico: formatada 120 torri di alluminio alte 9 metri (cuipresto se ne potrebbero aggiungere altre300) la fattoria urbana produce e vendeogni giorno mezza tonnellata di verdure.

Simona Galateo, architetto che si occu-pa del rapporto tra agricoltura e città, starealizzando (per Skira) un atlante dell’agri-coltura urbana, dagli orti condominaliagli spazi interstiziali, dalle greenhouse aicommunity garden. «Che sia una moda o

una necessità — spiega — il tema dellevertical farm è diffuso e declinato in moltimodi diversi. Fiorisce spesso in città, co-me Detroit, toccate pesantemente dallacrisi economica. Un aspetto ricorrente è ilriutilizzo di vecchi fabbricati». A Chicago,The Plant è una ex fabbrica di imballaggiodi carne rinata ora come fattoria grazie aun progetto eco & green a emissioni zero;a Kyoto, in Giappone, una vertical farmha messo radici dentro un ex hangar del-l’aeroporto.

Si tratta di edifici «nei quali lo spazioviene sfruttato in altezza con coltivazioniidroponiche». Per quanto riguarda i grat-tacieli, invece, «il problema è innanzitut-to economico: richiedono alti investimen-ti iniziali e costi di manutenzione». Nel ca-so del progetto del plantscraper diLinköping il ritorno di investimento (il co-sto non è dichiarato) è calcolato tra 5 e 10anni. Poi c’è l’aspetto politico: aggiungeGalateo, «la questione del cibo non è nel-l’agenda politica». Non ancora.

Cibo, energia, pianeta, vita: sono le pa-role-chiave di Expo 2015. Per l’evento an-che Milano avrebbe dovuto avere una ver-tical farm, il grattacielo Skyland (progettoEnea) ma poi ci si è orientati su BoxXland,una torre formata da container dismessi,usati come serre. Sempre per Expo, il te-ma agricolo sarà raccontato nel Parco del-la biodiversità con un progetto curato daStefano Mirti con Stefano Bocchi e la Fa-coltà di Agraria di Milano. «Una serie didodici serre aperte sui lati — anticipa Mir-ti — che racconta la storia dell’agricoltu-ra: come si coltivava nell’antichità, nel Me-dioevo fino ad oggi, attraverso un percor-so che guarda al futuro e spiega come fun-zionano le vertical farm».

Al di là delle singole realtà, l’idea forte

Fiori e carote:così ti disarmole gangdi Chicago

Angela e Sam Taylor sono unafamiglia come tante. Nel 2004si trasferiscono in una nuova

casa a Fulton Street, Chicago, in unadelle aree più violente della città:omicidi, reati associati alla droga,piccoli o grandi crimini come unicopanorama per molti ragazzini nati daquelle parti. Nella nuova casa c’è ungiardino, che all’inizio nessuno degnadi molta attenzione. Poi Angela iniziaa sistemarlo. Prende lezioni digiardinaggio e, seme dopo seme,piantina dopo piantina, il risultato èun magnifico giardino (nelle foto). Omeglio: magnifico è l’effetto di quelgiardino sul quartiere. Le personecominciano a fermarsi, a parlarne, avoler partecipare. Angela è «la vicinache ha quel bel giardino!» e quellospazio rappresenta sempre più unavisione del mondo: al posto dellesquallide aree dove i ragazzinivendono e comprano droga, si puòguardare a un luogo in cui cresconofiori, frutta e ortaggi. E sono propriogli adolescenti i destinatari privilegiatidi questa piccola rivoluzione:insegnare loro a prendersi cura di ungiardino invece che a tagliare le dosi.Oggi è un’oasi in mezzo al nulla, omeglio in mezzo a un’area disagiata.Come racconta Angela in undocumentario del 2009, «non sonomica una povera illusa, non pensoche basti un giardino per risolvere iguai, ma intanto io ho cominciato».Sergio Endrigo cantava che «per fareun tavolo ci vuole un fiore»? Angelacon un fiore sta facendo molto di più.

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Civiltà Dal progetto pilota in Svezia ai container dell’Expo di Milano, i campi superano la dimensione orizzontale

di CHIARA LALLI

La rivoluzione dell’orto

di SEVERINO COLOMBO

Un grattacielo di rape

14 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 25 AGOSTO 2013

{ Momo ha quarant’anni. La bimba misteriosae la sua tartaruga Cassiopea sono venute almondo nel 1973, nate dalla fantasia di quelMichael Ende che, tempo dopo, avrebbeconquistato il mondo con «La storia

infinita». Ora McMullens, la sezione diMcSweeney’s dedicata ai bambini, ripubblicail romanzo negli Usa: una nuova traduzioneinglese dopo 25 anni di attesa. E di lotta diMomo contro i Signori grigi ruba-tempo.

di Giulia Ziino

Se chiedete a un gruppo di ragazzi informa-zioni su tablet e smartphone, di sicuro otter-rete una buona lista di prodotti. Segno chein questo settore c’è una competenza diffu-sa, vuoi perché sono raccontati di continuo,

vuoi perché quei prodotti si usano e dunque si impa-ra, via via, anche a conoscerli in profondità. Se l’espe-rimento lo ripetete chiedendo però informazioni sul-l’agricoltura e i suoi prodotti, i commenti sarannomolto vaghi: parole suggestive, come «naturale», inquantità industriale e scarsi elementi tecnici. E tutta-via se a proposito di «naturale», si chiede: quandoavviene la maturazione naturale delle mele? Allora,in pochi risponderanno da agosto a ottobre, del re-sto le mele sono il prodotto più destagionalizzatoche esista. Il fatto è che la natura è stata sostituita eper fortuna, da circa 10 mila anni, con la cultura agro-nomica e il racconto di questa straordinaria storia èfermo — poi la mela non cresce per noi, è una pian-ta, nemmeno sa che esistiamo, ha solo uno scopo:riprodursi. Se non fossimo intervenuti con il proces-so di domesticazione e dunque con le modifiche ge-netiche, la mela noi non la mangiavamo, o megliomangiavamo un frutto piccolo, acidulo e poco com-mestibile.

Tutto è artificiale, cioè culturale, e se sia un beneo un male dipende dai singoli casi. Tuttavia mentreper altri settori, appunto, esiste un racconto popola-re ed entusiasmante che ci rende partecipi del pro-cesso, nelle moderne pagine narrative e saggisticheitaliane si trova poca agricoltura. Da una parte sicomprende: il settore incide sul Pil per il 2% appena(www.tradingeconomics.com/italy/ gdp-growth-an-nual), l’Italia è in sintonia con il resto dei Paesi indu-strializzati, quindi meno terra più produzione. Peròquest’affanno narrativo crea un immaginario falsa-to. Voglio dire, c’è stato un benefico cambiamentoepocale (i costi ci sono stati), avvenuto tra gli anniCinquanta e Settanta, in gergo si chiama «rivoluzio-ne verde», che non abbiamo saputo raccontare. Ilsaggio collettivo a cura di Giovanni Vecchi, In ric-chezza e povertà (il Mulino) dimostra, con un sapien-te uso di strumenti statistici ed economici, i beneficiche abbiamo ottenuto in quegli anni. Migliorano tan-ti indicatori, tutti indici di benessere fisico. Sale l’al-tezza e si amplia il torace. Cambia la composizionedella dieta e la varietà delle calorie. Diventiamo piùforti, meno soggetti alle malattie (mio nonno conta-dino non era propriamente sottonutrito, era mal nu-trito, in effetti il vino era un surrogato di quelle calo-rie che altrimenti non avrebbe potuto avere). La chi-mica, la meccanizzazione e il miglioramento geneti-co hanno prodotto tutto questo, e al culmine neglianni Settanta è avvenuto il passaggio epocale, dallacampagna alla città. Passaggio poco gradito. Raccon-tato in un saggio ripubblicato da poco di FrancescoCompagna (per anni direttore della rivista «Nord

Sud»). Il libro si intitola: I terroni in città (Hacca). Visi dimostra, tra l’alto, che il nostro Paese è soggettoal mito del ruralismo. Si tratta, dice Compagna, «diun mito reazionario assai più antico del fascismo,che se lo era accaparrato e vi aveva innestato le sueformulazioni». Un mito reazionario che è stato ali-mentato anche in tempi recenti dalla cultura cattoli-ca e da una visione di sinistra: entrambe hanno vistoe vedono nella civiltà contadina una grande riservadi valori, non contaminati dalla civiltà moderna, in-dustriale e cittadina — un divertente libro narrativosul conflitto di classe, campagna vs città, è La guerradei cafoni di Carlo D’Amicis (minimum fax).

Il suddetto mito — campagna e vecchie e sane tra-dizioni contro città e alienazione — torna in alcuneproduzioni narrative. Solo a mo’ di esempio: Pia Pe-ra, Giardini e orto terapia (Salani) e Serena Dandini,Dai diamanti non nasce niente (Rizzoli). Buone ri-flessioni ma su piccola scala, meno efficaci quandosi passa a ragionare su scala più estesa. Ma soprattut-to c’è una generazione (anche di scrittori giornalistie politici) cresciuta con le suggestioni di Carlin Petri-ni. Che ha un merito serio. Il suo movimento è riusci-to — attraverso la ripresa mitologica ed efficace delsuddetto ruralismo — a concentrare l’attenzione sul-l’agricoltura. Con qualche eccesso ideologico, rac-contato dal saggio di Luca Simonetti, quasi un fogliocarbonaro, contro slow food: Mangi, chi può. Me-glio, meno e piano. L’ideologia di Slow Food (MauroPagliai Editore). E tuttavia se, mito a parte, gli obietti-vi professati sono giusti (meno input energetici, piùcibo per tutti) e condivisi, gli strumenti risultano ar-caici. Questo perché il mito ha alimentato l’immagi-ne di un’agricoltura bucolica, diciamo così, immagi-nata ma non reale. Come una foto presa da lontanodi campi cristallizzati. Se solo facessimo una zooma-ta scopriremmo che in quei campi c’è una vita con-vulsa, soprattutto insetti e patogeni e malerbe checausano fatica reale, come racconta il bel libro Il me-stiere più antico del mondo (Fandango) di AntonioLeotti — che tra l’altro coltiva farro in regime organi-co.

Dobbiamo cambiare racconto, bisogna qui intro-durre il concetto di innovazione. Nuovi saperi e nonvecchie tradizioni. Perché è vero che dal letame na-scono i fiori, ma per migliorare tutti insieme il mon-do è ora di domandarsi: sì, ma quanti fiori? Con qua-li fertilizzanti? Con quali tecniche? Se non prenderàpiede un nuovo racconto agricolo e popolare capacedi rendere compatibile fabula (male necessario) enumeri, accadrà che altri Paesi meno propensi all’ag-gettivazione forzata e più capaci di maneggiare e rac-contare i nuovi saperi produrranno buon olio (l’In-dia) e buoni pomodori (la Gran Bretagna). Poi nonresterà altro da fare che difendere e raccontare il no-stro orticello.

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Risvolti

Buon compleanno Momo

che passa è un’altra: «Sembra un ritornoalla città medievale — osserva lo storicodell’architettura Luca Molinari — dove tut-to si produceva all’interno. Un’autosuffi-cienza che è anche la risposta a una crisidi valori che porta a riscoprire il senso del-le comunità, dello stare insieme e a condi-videre i prodotti che si mangiano». E seuna volta bastavano campi e tetti per sod-disfare i bisogni alimentari, oggi che le cit-tà sono sempre più grandi (nel 2020, l’80%

della popolazione europea vivrà in centriurbani) occorrono orti fuori scala, comequelli dei grattacieli. Ma fanno comodoanche soluzioni mini: geniale quella deldesigner Antonio Scarponi che ha scrittoun manuale, Eliooo. Grow Your Food, perinsegnare come costruirsi in casa un mi-ni-grattacielo con un sistema di colturaidroponico, usando i pezzi dell’Ikea. Unavertical farm a misura d’appartamento.

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Perché l’agricolturaè sparita dai romanzi

Oltre il giardino I libri di Carlo D’Amicis e Antonio Leotti e il mito del ruralismo

Slow food ha prodotto solo orticelli narratividi ANTONIO PASCALE

15LA LETTURACORRIERE DELLA SERADOMENICA 25 AGOSTO 2013